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27/4/2017 Coscienza 

infelice ed anticapitalismo

Coscienza infelice ed anticapitalismo

di GIUSEPPE ROTONDO

Le figure della filosofia borghese hegeliana

"La  filosofia  è  figlia  della  scissione,  in  quanto  la  scissione  è  la  fonte  del
bisogno  di  filosofia.  Se  esaminiamo  più  da  vicino  la  forma  particolare  di
una  filosofia,  la  vediamo  scaturire  da  un  lato  dell'originalità  vivente  dello
Spirito, e dall'altro da una forma particolare di scissione da cui procede  il
pensiero". (G.W. Hegel, Differenza tra i sistemi di Fichte e di Schelling)

Secondo  l'insegnamento  del  capostipite  dell'idealismo  classico  tedesco,


Johann  Gottlieb  Fichte,  è  possibile  valutare    una  filosofia  dal  suo
cominciamento,  poichè  la  scelta  che  ogni  filosofo  compie  rispetto  al
cominciamento  dipende  dall'indole  che  lo  caratterizza,  "dall'uomo  che
ciascun  filosofo  è".    Sebbene  l'idealismo  hegeliano  sia  stato
ubiquitariamente  riconosciuto  come  un  pensiero  conservatore  sul  piano
politico  e  giustificazionista  sul  piano  storico,  proprio  nel  suo

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cominciamento  è  possibile  individuare  un  argomento  di  forte  antitesi


rispetto all' hegelofobia oggi imperante:

"Mentre i pur grandi Aristotele, Cartesio e Kant non si sognano neppure di
cercare la genesi reale del bisogno di filosofia, ma ne danno per scontate
le ragioni di insorgenza, Hegel invece propone un'ipotesi storico­sociale,
la Trennnung (scissione) della precedente comunità."[1]

Il  cominciamento  della  filosofia  hegeliana  non  risiede,  come  si  è  spesso
sostenuto, nella semplice spinta teoretica alla verità, nè tanto meno nella
megalomane  pretesa  pan­logistica  di  dominare  razionalmente  l'intera
realtà. La riconciliazione della scissione, a cui Hegel attribuisce il bisogno
di  filosofia,  non  è  pura  sistemazione  teorica  delle  contraddizioni  e  delle
antinomie  lasciate  aperte  dal  criticismo  kantiano  e  fichtiano.  Questa
considerazione  è  infatti  già  figlia  di  una  concezione  distorta  del
cominciamento  filosofico,  per  cui  vi  sarebbe  una  separazione  tra  il
soggetto  conoscente  e  l'oggetto  di  conoscenza  e  la  verità  sarebbe
prodotta  estrinsecamente,  secondo  metodologie  o  criteri,  pur  sempre
soggettivi  e  arbitrari.  Lo  stesso  Hegel  nella  sua  Prefazione  alla
Fenomenologia  dello  Spirito  del  1807,  rivendicava  l'impossibilità  di
separare  soggetto  e  oggetto  nel  cominciamento  filosofico,  giacchè
l'Assoluto  o  verità  si  dava  come  mobile  e  vivente  unità  di  soggetto  e
oggetto,  di  pensiero  e  realtà.  Lungi  dall'essere  una  posizione
esclusivamente  teoretica,  quella  hegeliana  insorgeva  dal  bisogno  di
ripristinare  una  scissione,  ormai  infiltrata  in  ogni  aspetto  dell'esistenza,
laddove all'ideale illuministico di emancipazione astratta dell'intero genere
umano,  faceva  da  contraltare  una  realtà  dilaniata  dalla  contraddizione,
dominata dall'atomismo economico sul piano sociale e dal relativismo sul
piano culturale, caduta ormai ogni legittimazione metafisico­teologica del
mondo.  Piuttosto  che  nelle  contraddizioni  della  filosofia  a  base
gnoseologica kantiana, è nella scissione della coscienza borghese, che si
deve  individuare  il  nucleo  originario  del  pensiero  hegeliano:  "Nella
Fenomenologia  hegeliana,  la  coscienza  infelice  corrisponde  allo  stato
d'animo  scaturente  dalla  tensione  inconciliabile  tra  il  finito  e  l'infinito,  il
mutevole e l'immutevole e, nella fattispecie, tra l'autocoscienza umana e
la  divinità  trascendente.  Analogamente,  "questa  coscienza  infelice,
caratterizza anche la genesi della coscienza dialettica borghese, in cui il
particolarismo della propria specifica collocazione sociale e degli interessi
materiali  ad  essa  connessi  confligge  con  l'universalismo  del  progetto
illuministico di emancipazione e liberazione. [...] L'infelicità della coscienza
borghese  scaturisce  dalla  scissione  che  la  innerva  e  che,  portandola  a

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fluttuare  tra  particolarismo  e  universalismo,  le  impedisce  di  trovare


quell'unitarietà  "immutevole"  di  cui  pure  è  in  cerca."  [2]La  dialettica  tra
l'apologia del capitalismo, di cui essa è classe egemone e trainante e la
contestazione dell'asservimento, della schiavitù economica, delle tragedie
etiche  prodotte  dallo  stesso  meccanismo  di  riproduzione  capitalistico,
rende la coscienza borghese infelice. Poichè in una simile condizione non
è  possibile  attingere  l'  Assoluto  ­inteso  non  come  mera  acquisizione
teorica della verità,  ma come conciliazione con il proprio tempo storico in
tutte le sue determinazioni.

E'  evidente  che  l'epoca  in  cui  Hegel  viveva,  la  Germania  contadina,
nobiliare e artigiana di inizio Ottocento non può essere identificata con il
capitalismo industriale sviluppatosi solo successivamente, nè tanto meno
con  l'odierno  capitalismo  finanziario,  Ma  la  distinzione  tra  la  borghesia  ­
intesa  come  soggetto  dialettico  e  contraddittorio,  diviso  tra  l'ideale
dell'emancipazione  astratta  e  l'attestazione  realistica  dell'  asservimento
concreto­  ed il capitalismo come meccanismo anonimo ed impersonale di
produzione  del  valore  economico  o  di  valorizzazione  del  valore,  è  già
presente in nuce nella filosofia hegeliana. La stessa filosofia dello spirito
hegeliana  presenta  quei  tratti  peculiari  della  cultura  borghese  non
perfettamente  conciliabili  con  l'onnimercificazione  generata  dall'anomico
sistema di produzione capitalistico. La visione dell'istruzione come sintesi
della paideia greca, della raison illuministica e della bildung romantica; la
concezione  della  famiglia  come  primo  e  spontaneo  nucleo  comunitario,
caratterizzato dall'amore e dalla fiducia tra i coniugi ed i figli; l'idea che lo
stato etico debba in qualche modo arginare le contraddizioni prodotte dal
"regno  animale  dello  spirito",  che  è  il  sistema  economico  di  scambio
abbandonato a sè stesso.

Sono  tutti  elementi  che  autorizzano  a  considerare  Hegel  come  un


pensatore ad un tempo borghese ed anticapitalista, senza che tra questi
due poli vi sia una contraddizione insanabile. Giacchè la borghesia è una
classe  soggetto,  dotata  di  valori  etici  e  culturali  autonomi  e
potenzialmente  incompatibili  con  quelli  economici  capitalistici:  primo  su
tutti la valorizzazione del valore fine a se stessa e contraddittoria rispetto
al riconoscimento del lavoro, vilipeso oggi in forme sempre più subdole e
variegate,  ma  non  meno  virulente  rispetto  al  passato.  Ma  proprio  in
quanto  il  prototipo  di  borghese  oggi  socialmente  accettato,  nelle  sue
varianti  del  nichilismo  imprenditoriale  o  del  predazionismo  borsistico­
finanziario,  di  fronte  alla  coscienza  culturale  tramandata  dalla  borghesia
intellettuale  occidentale,  recuperare  Hegel  significa  anche  riportare  in

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auge  un  sistema  valoriale  in  rapida  dissoluzione,  riaprire  una  scissione
ormai  ricomposta,  rifiutare  cioè  la  totale  identificazione  della  borghesia
con l'ordine capitalistico dominante, la sua conseguente rarefazione nella
metafisica  della  merce,  santificata  della  "teologia  mercatistica".  Significa
opporre al modello antropologico dell'homo economicus, pervicacemente
inglobato nel flusso anonimo ed orizzontale dello scorrimento delle merci,
quello  filosofico  di  una  coscienza  borghese  autonoma  e  perciò  scissa,
non conciliata con il proprio tempo, con una totalità alienata e contraria ai
suoi ideali di emancipazione universale.

[1]Costanzo Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia, Ed. Petite
Plaisance

[2]Diego Fusaro, Minima Mercatalia, Ed. Bompiani

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