Sei sulla pagina 1di 4

Esordio Mattino 1763

(vv. 1-64)

Nella stampa del 1763 Il Mattino ha inizio con una sequenza di 32 versi che,
come la dedica Alla Moda, non si leggeranno più nella seconda redazione del
poemetto, che prende invece avvio da Sorge il mattino in compagnia dell’alba...
Il registro stilistico adottato fin dai primi sette versi (Giovin Signore...ascolta) è
marcatamente aulico, come si converrebbe a una protasi epica. Senonché dietro
questa locuzione altisonante si cela un primo ritratto alquanto ironico dell’”eroe”
protagonista, il Giovin Signore. Tra il vocativo iniziale, Giovin Signore, e il verbo
che gli è collegato (Giovin Signore ascolta me, precettor d’amabil rito), si collocano
una serie di frasi disgiuntive (o...o) che, insinuando dubbi riguardo alla purezza del
sangue che scorre nelle vene del Giovin Signore, irridono il concetto cardine col
quale i nobili giustificavano il proprio privilegio (il motivo era già oggetto di satira
nel Dialogo sopra la nobiltà).
Parafrasi: sia che a te discenda, per lunga trafila (lungo...ordine) di nobili reni
(lombi, che filtrano il sangue rendendolo puro: intende le generazioni degli antenati
nobili che si sono succedute prima di lui), il sangue purissimo divino, sia che in te
eliminino (emendino) la mancanza della nobiltà di sangue i titoli nobiliari comprati
(compri onori) e le ricchezze accumulate (adunate) in poco tempo (in pochi lustri)
con i commerci per terra e per mare dal tuo sobrio padre (genitor frugale: qui frugale
ha senso ironicamente dispregiativo e sta per «spilorcio»).
Precettor d’amabil Rito: l’oggetto dell’insegnamento del precettore è l’amabil
rito. Questa espressione, che accosta due termini di per sé antitetici (la disinvoltura
del saper vivere in società, che è appunto la qualità che rende amabili, e la serietà, ma
anche ripetitività, che è propria del rito sacro) racchiude il senso della giornata del
Giovin Signore, che è fatta dal succedersi rituale di una serie prevedibile di
occupazioni insignificanti, ma alle quali viene attribuito un valore sacrale.
I versi 8-11 esplicitano qual è il compito del precettore: il suo insegnamento (or
io t’insegnerò...come ingannar...) ha lo scopo di scacciare la noia che pervade la vita
del Giovin Signore, ingannando il trascorrere del tempo, che, non essendo impiegato
in alcuna occupazione utile, pesa sulla sua esistenza oziosa, procurandogli un fastidio
insopportabile. I versi 11-15 precisano che il precettore indicherà al Giovin Signore
quali debbano essere le sue occupazioni (cure, latinismo) nelle tre diverse parti della
giornata (corrispondenti alle scansioni previste del poemetto), e quindi, ironicamente,
aggiunge: «se, immerso come sei nei tuoi ozi, ti resta ozio abbastanza da dedicare
all’ascolto (tender gli orecchi) dei miei versi».
Prima di iniziare a descrivere quali debbano essere le sue occupazioni al mattino,
nei versi 16-30 il precettore ricorda al Giovin Signore ciò che egli ha fatto sino ad
allora: ha visitato le case di piacere e le case da gioco in Francia e in Inghilterra. I due
luoghi sono designati con perifrasi che rinviano alla religione pagana: i postriboli
sono templi (per metonimia: altari) sacri a Venere (la dea dell’amore), e i casinò sono
templi sacri al dio dei giocatori (Mercurio); al campo metaforico generato
dall’ironico «are» si associa poi l’avverbio «devotamente» (cioè: con zelo religioso).
Di tanta “devozione”, ovvero frequentazione assidua, il Giovin Signore porta
impressi i segni sulla pelle: sono le conseguenze degli stravizi, comprese le cicatrici
della sifilide. La satira di Parini si appunta qui contro il costume nobiliare del grand
tour (alluso col riferimento ai paesi stranieri), che non sempre si traduceva per i
giovani aristocratici in una esperienza davvero formativa, come si può constatare da
quanto ne scrive anche Alfieri nella sua autobiografia e nelle satire intitolate I viaggi.
Ora è tempo di posa significa «ora (dopo esserti tanto affaticato in giro per
l’Europa) è giunto il tempo di fermarti a riposare», ed è detto ironicamente. Una volta
fatto ritorno in patria dopo il grand tour, i giovani aristocratici dovevano infatti
scegliere la loro strada: ad esempio darsi alla carriera delle armi, oppure intraprendere
studi di livello superiore, universitario. Il Giovin Signore, invece, si sottrae a
entrambe queste ipotesi, preferendo l’ozio.
Parafrasi vv. 20-23: Invano il dio della guerra (Marte) ti invita a intraprendere la
carriera militare, dal momento che colui che si guadagna l’onore (onor si merca)
mettendo a rischio la propria vita è ben folle, mentre tu spontaneamente aborrisci
l’idea di versare il tuo sangue. Naturalmente è detto in senso ironico e significa «per
natura»; cioè il Giovin Signore è vile per natura, non vuole mettere a rischio la
propria incolumità.
Nei versi 24-30 il precettore allude all’altro oggetto di aborrimento da parte del
Giovin Signore: lo studio. La dea Pallade è la dea della sapienza. I «mesti studi» della
dea Pallade sono tutti i vari tipi di studi attraverso i quali si acquista il sapere, e sono
«mesti» perché intristiscono il Giovin Signore, non gli piacciono affatto, gli sono
altrettanto odiosi della carriera militare.
Parafrasi vv. 25-30: contrario ad essi (gli studi) ti resero le aule risonanti dei
lamenti degli alunni (i queruli ricinti) nelle quali le arti liberali (arti migliori:
grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, musica, astronomia) e le
scienze, trasformate in mostri, e in invisibili (vane), orrende figure spettrali (larve),
fanno continuamente (sempre) riecheggiare di grida infantili (giovanili strida) gli alti
soffitti [allude alle grida degli alunni sottoposti alle punizioni corporali dagli
insegnanti].
Alla rievocazione degli orrori della crudele pedagogia vigente nelle scuole si
oppone la frase che introduce l’antitetico insegnamento del precettore (vv. 30-32). Or
primamente odi...con facil mano: Ora odi innanzitutto (primamente) quali per te dolci
occupazioni (a te soavi cure) debba il Mattino [personificato] insegnare (guidar) con
mano lieve (con facil mano).
Sorge il Mattino... Ha inizio qui la descrizione dell’inizio della giornata di coloro
che non appartengono al mondo degli aristocratici e che, al contrario del Giovin
Signore, che vive nell’ozio, lavorano. Sono in primo luogo il contadino e poi il
fabbro. La descrizione del loro mattino si protrae fino al v. 51.
La realtà descritta nel Giorno si colloca pressoché tutta in interno, nel chiuso dei
palazzi nobiliari. Questa sequenza (venti versi) costituisce una deliberata eccezione
alla regola perché ci porta fuori di quei palazzi, aprendo uno squarcio sulla realtà
abitata dalle persone umili, le quali nel loro vivere quotidiano seguono i ritmi dettati
dalla natura: si alzano dal letto all’alzarsi del sole e si coricano al calare della notte, al
termine delle loro fatiche. Intorno a questo mondo, alternativo a quello dei nobili, si
addensano quei valori cui va l’adesione morale di Parini: in primo luogo la laboriosità
e l’affetto coniugale, sul quale si costruisce l’istituto fondamentale della famiglia.
Parafrasi: Sorge il mattino insieme all’alba prima del sole, che poi si mostra
completamente (grande appare) sull’orizzonte più lontano per allietare (a render lieti)
gli animali, le piante, i campi e il mare. Allora l’operoso contadino (buon villan) si
alza dal caro letto [caro perché accoglie tutta la famiglia] che (cui) la moglie fedele e
i suoi figlioletti più piccoli hanno riscaldato [col calore del loro corpo] durante la
notte; poi, caricandosi sulle spalle i sacri attrezzi da lavoro (sacri arnesi) che per la
prima volta inventarono (che prima ritrovar) Cerere e Pale [dee, rispettivamente
dell’agricoltura e della pastorizia] va al campo, preceduto dal bue che avanza
lentamente (bue lento innanzi) e procedendo lungo il piccolo sentiero scuote dai rami
ricurvi le gocce di rugiada (il rugiadoso umor) che, come gemme, rifrangono i raggi
del sole nascente. Allora si alza anche il fabbro, e riapre la bottega risuonante [del
rumore dei metalli battuti all’incudine], e ritorna ai lavori non terminati il giorno
prima (opre l’altro dì non perfette), sia che renda sicuri i forzieri (o se... l’arche
assecura) al ricco timoroso di essere derubato (inquieto) con una chiave complicata
(chiave ardua) e serrature di ferro (ferrati ingegni), sia che voglia incidere gioielli e
vasi d’argento e d’oro per ornamento di spose novelle o per mense.
Il mattino del contadino è inquadrato in una cornice idillica, nella quale sono
ripresi molti elementi di ascendenza virgiliana. Da notare anche l’espressione «sacri
arnesi» con la quale Parini enfatizza la sacralità del lavoro del contadino, che si
collega all’idea del primato morale ed economico che per lui doveva avere
l’agricoltura nella società. La serena laboriosità del fabbro è poi presentata in
contrapposizione polemica con l’inquietudine del ricco, che non trova pace nella sua
ansia di possesso.
Ma che?...umile vulgo. La brusca cesura segnala un equivoco: no, quello sin qui
descritto non è, Giovin Signore, il tuo mattino, ma quello dell’umile volgo che è
condannato a un modo di vita ben diverso dal tuo.
La raffigurazione del Giovin Signore spaventato dalle parole, da lui fraintese, del
precettore, è comica: gli si sono rizzati i capelli in testa dalla paura di doversi
svegliare presto al mattino per lavorare.
Parafrasi: Ma che? Tu inorridisci e sulla testa mostri i capelli irti come gli aculei
di un istrice, udendo le mie parole? Ah, non è questo, signore, il tuo mattino. Tu non
ti sei seduto al tramonto a una mensa frugale, e non sei andato ieri a coricarti, alla
luce incerta del crepuscolo, in un letto scomodo (in male agiate piume), come invece
è condannato a fare l’umile popolo.
I versi che seguono delineano, nella forma di una enfatizzazione satirica, l’antitesi
tra l’umile vulgo e la celeste prole, ovvero quella stirpe di natura divina alla quale
appartiene il Giovin Signore. Con una seconda iperbole ironica, questa prole viene
designata anche «concilio di Semidei terreni», sul quale si riversa il favore di Giove e
al quale sono riservate ben altre leggi da quelle che valgono per i non nobili.
Parafrasi: A voi nobili, figli di dei (celeste prole), a voi, assemblea di semidei
residenti sulla terra (terreni), Giove benevolo concesse altro [un altro destino]: e a me
spetta guidarvi per una strada inusitata (nova) [diversa e riservata solo a voi
privilegiati] con altri metodi (arti) e altre leggi.

Potrebbero piacerti anche