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Armonia come simmetria.


Rapporti tra teoria musicale,
tecnica compositiva e pensiero scientifico
di Massimiliano Locanto

8.1
Problematiche generali

Il radicarsi di una visione dell’armonia fondata sul criterio della sim-


metria ha costituito indubbiamente uno dei più decisivi fattori che
hanno determinato il dissolversi dell’armonia tonale entro nuove mo-
dalità di organizzazione delle altezze. Una serie di lavori analitici del-
la seconda metà del Novecento, le cui basi erano state gettate a loro
volta dalle teorie di Milton Babbitt (1960; 1961) e Allen Forte (1973),
ha evidenziato la presenza, nella produzione post-tonale del primo
Novecento, di procedimenti armonici il cui comune denominatore
consiste nello sfruttamento della suddivisione simmetrica dell’ottava.
Quest’ultima costituisce infatti la premessa essenziale e necessaria di
due procedimenti costruttivi basilari: il principio ciclico-intervallare e
la simmetria inversionale. I cicli formati da una serie (da una nota
fino alla sua ripetizione una o più ottave al disopra) di n intervalli
identici (due tritoni, tre terze maggiori/seste minori, quattro terze mi-
nori/seste maggiori, sei toni/settime minori, dodici semitoni/settime
maggiori, dodici quinte/quarte giuste) fungono da intelaiature struttu-
rali di riferimento (Antokoletz, 1986), oppure danno luogo a collezio-
ni di suoni simmetriche, come la scala per toni interi o quella ottato-
nica (due cicli di terze minori a distanza di semitono). Similmente le-
gata alla suddivisione dell’ottava in dodici parti uguali è la tecnica
dell’inversione simmetrica, teorizzata e/o applicata da numerosi autori
(Ziehn, Busoni, Schröder) già a partire dai primi anni del secolo scor-
so. Nella musica di autori molto differenti tra loro (Berg, Bartók,
Schönberg, Webern, Stravinskij, Skrjabin) la costituzione di una sim-
metria inversionale rappresenta uno dei principali mezzi per ottenere
una “centricità” (Straus, 1990, pp. 89-117), ossia una gravitazione at-
torno ad un centro sonoro – posto più o meno in rilievo – fondata

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ARMONIA , TEMPO

però su principi differenti e indipendenti da quelli della tonalità. La


tecnica dell’inversione simmetrica assume poi un ruolo decisivo nel
metodo dodecafonico di Schönberg, dove riguarda non solo il noto
procedimento di inversione (Umkehrung) della serie dodecafonica,
ma anche la strutturazione interna della serie stessa, fondata sul con-
cetto di combinatorialità inversionale (Babbitt, 1960, 1961; Perle,
[1962] 1991, pp. 98-9; Lewin, 1962). Il criterio ciclico-intervallare e
la simmetria inversionale interagiscono nei costrutti che Perle (2000,
pp. 142-3) e Antokoletz (1984, pp. 67-77, 271-311) hanno descritto
come combinazioni di intervalli o cicli intervallari a formare una
struttura simmetrica attorno ad un asse (per esempio: dall’unione dei
tricordi per terze maggiori La b-Do-Mi e Re-Fa#-La# si forma l’insieme
[Re#]-Mi-Fa#-Sol#-[La]-La#-Do-Re-[Re#], simmetrico attorno a La e
Re#). L’interesse per le simmetrie ciclico-intervallari è particolarmente
evidente nella musica dodecafonica di Berg – come testimonia anche
una sua lettera a Schönberg del 27 luglio 1920 (Perle, 1977, pp. 2-5).
La serie sulla quale sono basati Schliesse mir die Augen beide (II ver-
sione) e il primo movimento della Suite lirica, per esempio, oltre a
contenere tutti gli intervalli dalla seconda minore alla settima maggio-
re, è formata da sei coppie, ciascuna delle quali può essere disposta
simmetricamente attorno ad un medesimo asse; inoltre riordinando
consecutivamente le note pari e quelle dispari (1-3-5-2-4-6) di ciascun
esacordo si ottengono due cicli di quinte giuste, i quali possono esse-
re a loro volta riordinati come due esacordi diatonici (Ashby, 1995,
p. 71). A questa propensione di Berg per le costruzioni simmetriche
avevano dato un impulso decisivo (ivi, pp. 75-6) le ricerche del suo
alunno Fritz Heinrich Klein nel campo delle costruzioni intervallari
simmetriche (in particolare in Die Maschine, op. 1 del 1921 e nel sag-
gio Die Grenze der Halbtonwelt del 1925; Headlam, 1992).
Le origini di questo pensiero musicale fondato sulla simmetria
sono rintracciabili nelle composizioni, ancora tonali, che a partire so-
prattutto dalla metà dell’Ottocento fanno uso sempre più frequente
di accordi dalla struttura interna simmetrica e di progressioni armoni-
che, successioni accordali e organizzazioni tonali su ampia scala basa-
te sulla suddivisione dell’ottava in parti uguali (Antokoletz, 1984, pp.
1-25; Taruskin, 1996, pp. 255-306; Dunsby, Whittall, 1988, pp.
123-4). Le armonie simmetriche costruite secondo il criterio ciclico-
intervallare – triadi diminuite (due terze minori), triadi aumentate
(due terze maggiori), settime diminuite (tre terze minori), accordi per
quarte/quinte, accordi diatonici basati sul ciclo delle quinte come le
settime di seconda o quarta specie (due quinte a distanza di terza
minore o maggiore), vari accordi estrapolati dalla scala esatonica (sei

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8. ARMONIA COME SIMMETRIA

toni interi) come la “sesta francese” – perdono ogni significato fun-


zionale-tonale man mano che la loro risoluzione viene ritardata o ad-
dirittura omessa, divenendo infine, attorno ai primi anni del Nove-
cento, entità totalmente indipendenti, la cui logica di collegamento
poggia su criteri “geometrici”, e non più sulle leggi per il trattamento
delle dissonanze o sul rapporto con l’armonia di tonica. Un analogo
potenziale distruttivo è insito nei rapporti tra armonie le cui fonda-
mentali sono poste simmetricamente attorno a un centro (per esem-
pio a distanza di terza maggiore: Do-Mi-Do-La b-Do): a differenza dei
tradizionali costrutti dell’armonia tonale, la logica sulla quale poggia-
no simili collegamenti armonici non è più subordinata al contesto
scalare-diatonico (nella scala di Do, per riprendere l’esempio prece-
dente, la terza sopra la tonica è maggiore, quella sotto la tonica è
minore; viceversa nella scala di Do minore). La presenza di simili
strutturazioni simmetriche anche su una scala formale più ampia, os-
sia nei rapporti tra le regioni tonali, si riscontra già in Wagner, in
particolare nel Parsifal (Whittall, 1981, pp. 65-6, 79-80), e diviene
sempre più frequente nella musica austro-tedesca post-wagneriana
(Antokoletz, 1984, pp. 13-6).
A dispetto di inveterate visioni storiografiche tendenti a enfatizza-
re l’elemento di rottura (tonalità vs atonalità), il principio della sim-
metria accomuna pertanto le composizioni ancora interpretabili nel-
l’ottica dell’armonia tonale con quelle che esulano ormai dalla tonali-
tà. La crescita di importanza del concetto di simmetria sembra ac-
compagnare il dileguarsi della tonalità allo stesso modo in cui, negli
ultimi decenni dell’Ottocento, si era associata all’indebolimento della
concezione unitaria della scienza (Bernstein, 1993; Orcalli, 2000).
Verso la fine dell’Ottocento, infatti, il concetto di simmetria sembra
assumere così il valore di una struttura conoscitiva profonda che in-
veste vari ambiti del sapere (Weyl, 1952; Yaglom, 1988, p. v). In
campo matematico esso sta alla base della definizione della nozione
di “gruppo”, affacciatasi già nei primi decenni del XIX secolo nella
teoria delle equazioni algebriche di Evariste Galois, ma approfondita
soprattutto attorno agli anni settanta del secolo da Sophus Lie e Felix
Christian Klein. Nel campo della fisica Pierre Curie formula attorno
agli anni ottanta il principio in base al quale un effetto fisico non può
presentare una dissimmetria che è assente nella sua causa efficiente.
Nell’ambito delle scienze naturali si possono citare (Bernstein, 1993,
p. 379) le ricerche sulla simmetria negli animali e nelle piante di
Ernst Haeckel o le teorie sulla simmetria applicate alla mineralogia e
alla cristallografia di Evgraf Stepanovich Federov.

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ARMONIA , TEMPO

Tra i precedenti di questo rinnovato interesse per la simmetria


merita di essere annoverato il concetto di polarità di Goethe. Come è
noto, nella sua produzione scientifica egli interpretò una grande va-
rietà di fenomeni naturali nell’ottica di energie e tensioni polarmente
e simmetricamente opposte: luce-buio, contrazione-espansione, sisto-
le-diastole ecc. La polarità della luce giocò un ruolo centrale nella sua
Farbenlehre, alla quale si rifarà espressamene l’ideale di “musica ato-
nale” di Matthias Hauer. In un breve scritto dal titolo Zur Tonlehre,
Goethe riconduceva il differente carattere dei due modi ad un’oppo-
sizione polare, associando al modo maggiore il moto degli intervalli
verso l’alto, al modo minore il moto verso il basso (Goethe, [1810]
1992, pp. 379-80). Goethe sembra qui avvicinarsi alla visione propria
della teoria dualistica – le cui origini sono state rintracciate già in
Zarlino (Jorgenson, 1963, pp. 33-4) – che interpreta la triade minore
come inversione di quella maggiore. Particolarmente vicina alle idee
espresse da Goethe è la visione dualistica esposta nel Die Natur der
Harmonik und Metrik di Moritz Hauptmann (1853). Riconducendo ai
soli intervalli di quinta giusta e terza maggiore – rispettivamente con-
siderati come “opposizione” e “sintesi”, in senso dialettico, alla “uni-
tà” della nota fondamentale – la formazione della triade maggiore e
della triade minore, Hauptmann concepì la prima come terza maggio-
re + quinta giusta dal basso verso l’alto (Do-Mi-Sol), la seconda come
terza maggiore + quinta giusta dall’alto verso il basso (Mi-Do-La)
(Hauptmann, 1853, pp. 14-7).
In Hauptmann si può già scorgere l’inizio di un processo che por-
terà la simmetria sempre più al centro dell’attenzione in ambito teori-
co-musicale, dapprima nei lavori ancora rivolti all’armonia tonale, e
in seguito – e ancora più palesemente – negli studi di primo Nove-
cento espressamente rivolti all’armonia “moderna”. Queste indagini
pionieristiche, perlopiù concentrate negli anni immediatamente prece-
denti la Grande guerra, costituiscono una sorta di cerniera tra la tra-
dizionale teoria dell’armonia e la nuova visione “collezionale” che si
affermerà invece a partire dagli anni venti, soprattutto nei paesi di
lingua tedesca. Tale visione, delineatasi già nelle prime riflessioni sulla
musica definita “atonale” e sulla tecnica dodecafonica da parte di au-
tori come Schönberg, Hauer, Eimert e Fritz Heinrich Klein (Bernard,
1997, pp. 24-8), eroderà alla base il significato tradizionalmente asso-
ciato al termine “armonia”, radicando l’idea di una congruenza strut-
turale tra le due dimensioni – verticale e orizzontale. Concependo
l’armonia e la melodia non più come due dimensioni distinte e fonda-
te su principi costruttivi differenti (ibid.), ma come due diverse mo-
dalità di rappresentazione delle medesime strutture o “collezioni”,

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8. ARMONIA COME SIMMETRIA

tale visione sancirà sul piano teorico ciò che era uno stato di fatto nel
campo della composizione musicale già sin dai primi anni del secolo,
quando, con la progressiva differenziazione delle forme accordali usa-
te e con la possibilità di trattare liberamente anche gli incontri verti-
cali più dissonanti, si era affermato un pensiero musicale per il quale
qualsiasi combinazione di suoni esposta in senso melodico può pre-
sentarsi anche come accordo.
Gli scritti dei primi due decenni del Novecento – di cui ci occu-
peremo – rimangono invece legati al concetto tradizionale di “armo-
nia”, nella cui storia segnano, in un certo senso, un momento con-
clusivo. Al contempo essi rappresentano una prima, significativa tap-
pa nella progressiva integrazione del concetto di simmetria nella teo-
ria musicale novecentesca, e costituiscono quindi un’importante pre-
messa alle formulazioni teoriche della seconda metà del Novecento,
nelle quali tale concetto è ormai profondamente assimilato.

8.2
Visione ciclica (intervalli temperati)
e visione non-ciclica (intervalli naturali)
La premessa semplice quanto essenziale della concezione simmetrica
affermatasi nella pratica musicale a partire dal tardo romanticismo
consiste nell’equiparazione dei dodici semitoni contenuti nell’ottava
musicale e nella conseguente equivalenza delle grafie enarmoniche.
Tale presupposto sussisteva sul piano pratico perlomeno sin dall’ini-
zio del Settecento – con la diffusione del temperamento equabile tra
gli strumenti a intonazione fissa – e si può dire che le risorse offerte
da esso fossero sfruttate in una certa misura già a quell’epoca. Ciò è
evidente in particolare nel tardo classicismo: nella musica di Schubert
si trovano diverse progressioni lungo il ciclo delle terze minori o
maggiori che suddividono simmetricamente l’ottava in parti uguali; i
collegamenti cromatici tra accordi a distanza di terza (affinità di ter-
za), che preludono a questo tipo di progressioni, sono addirittura una
cifra caratteristica della sua musica. Tuttavia è solo a partire dalla me-
tà dell’Ottocento che l’applicazione di simili procedimenti assume
una sistematicità e una rilevanza strutturale tali da mettere in crisi la
concezione sulla quale si era retta l’armonia classica, inducendo a ri-
considerare il significato teorico della suddivisione dell’ottava in dodi-
ci parti uguali. In Schubert i procedimenti basati sull’affinità di terza
si inseriscono ancora in un contesto complessivamente determinato
dal rapporto dominantico di quinta giusta – il rapporto di gran lunga

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ARMONIA , TEMPO

prevalente in epoca classica (Federhofer, in Azzaroni, 1997, pp.


265-76). Diversamente, in un autore come Liszt tendono già sistema-
ticamente ad una dominant avoidance (Bianchi, 2004, pp. 75-9).
Tuttavia, mentre nella pratica compositiva la concezione simme-
trica fondata sull’equiparazione dei dodici semitoni si affermava sem-
pre più in profondità, sul piano della teoria musicale essa si scontrava
con un antico e radicato punto di vista teorico che fondava l’armonia
tonale sugli intervalli naturali della serie degli armonici. Quest’ottica,
peculiare della tradizione fisicalistica della teoria armonica che ha la
sua principale origine in Rameau, impediva di riconoscere al tempera-
mento equabile un autentico valore teorico, inducendo a considerarlo
perlopiù un compromesso della teoria con la pratica. Nella seconda
metà dell’Ottocento le teorie fondate sugli intervalli naturali conosco-
no un deciso rilancio, dovuto soprattutto all’influsso delle ricerche
psicoacustiche di Hermann von Helmholtz e al clima positivista che
pervade l’Europa negli ultimi tre decenni del secolo. Un nuovo spiri-
to di fiducia nelle scoperte scientifiche viene a prendere nell’armoni-
stica tedesca il posto che dapprima, soprattutto con l’opera teorica di
Hauptmann, era stato occupato dal pensiero dialettico di stampo
idealistico. In seguito esso continua ad agire su una parte significativa
della teoria musicale di primo Novecento, nonostante l’ondata di ri-
flusso antipositivista che già dagli ultimi anni del secolo precedente
aveva cominciato a investire alti ambiti della cultura e del sapere.
Un importante punto di riferimento per la teoria musicale france-
se fino ai primi del Novecento è costituito da Études sur l’origine du
système musical di Auguste Barbereau, del 1852, e dalla Esthétique
musicale. Technie, ou lois générales du système harmonique di Camille
Durutte, del 1855 (Orcalli, 1996; 2000, p. 142). Ambedue i lavori
fondano l’armonia su una serie di trenta quinte naturali estesa da
Sol ≡ a La : (esempio 8.1a-b). I trentuno suoni generati da questa se-
rie, riportati entro un’ottava, la suddividono asimmetricamente in al-
trettante parti di ampiezza diseguale. Sia Durutte che Barbereau attri-
buiscono all’identificazione dei suoni enarmonici mediante il tempera-
mento equabile un ruolo importante nell’esperienza musicale pratica:
secondo Barbereau (1852, p. XVII; Orcalli, 2000, p. 144, nota) la valu-
tazione percettiva delle distanze intervallari è sottoposta a un «princi-
pio di inerzia», in base al quale ogni intervallo viene concepito come
formato da un numero n di quinte consecutive inferiore a sette. Per
esempio: l’intervallo Si b-Sol# (terza diminuita), che dovrebbe essere
generato da dieci quinte consecutive (Si b-Fa-Do-Sol-Re-La-Mi-Si-Fa#-
Do#-Sol#) viene percepito invece come Si b-La b (seconda maggiore),
che corrisponde solamente a due quinte consecutive nella direzione

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8. ARMONIA COME SIMMETRIA

ESEMPIO 8.1

Fonte: a) Durutte (1855, p. 64); b) ivi, p. XXI; c) ivi, p. XXVII; d) ivi, p. XXX.

opposta (Si b-Mi b-La b). È evidente come il principio di inerzia impon-
ga di considerare l’equivalenza enarmonica (Sol# = La b), ovvero l’equi-
parazione di semitono cromatico e diatonico nonché la conseguente
suddivisione simmetrica dell’ottava in dodici semitoni temperati. Per
Durutte (1855, p. 63), la necessità di una mediazione tra la serie teo-
rica delle quinte pure e l’uso degli intervalli temperati è legata alle
«tendenze multiple» degli accordi, ovvero alla possibilità, fondamen-
tale nell’armonia tonale classica e romantica, di interpretarli in base a
differenti tonalità (ibid.). Tuttavia, nonostante il riconoscimento del
ruolo svolto dal temperamento equabile, la gamma delle quinte non

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ARMONIA , TEMPO

temperate costituisce sia per Barbereau che per Durutte il fondamen-


to ultimo dell’armonia e il solo modello in base al quale è possibile
descrivere la costruzione degli accordi. Nella sua esposizione teorica,
fortemente formalizzata in senso matematico – ed espressamente mo-
dellata alle teorie del matematico Hoëné Wronski – Durutte descrive
gli accordi come sovrapposizioni di suoni estrapolati dalla serie delle
quinte pure. Così, per esempio, la triade maggiore è rappresentata
come l’unione di tre suoni che occupano la prima, seconda e quarta
posizione in una serie di quattro quinte (esempio 1c). In base a que-
sto criterio, e sovrapponendo più triadi maggiori o minori, Durutte
ottiene l’intera casistica degli accordi fino alla tredicesima (l’esempio
1d mostra la generazione di due specie di nona mediante sovrapposi-
zione di triadi generate dal ciclo delle quinte). Per produrre in tal
modo tutti gli accordi impiegati nelle 24 tonalità maggiori e minori è
necessaria una successione lineare (non-ciclica) di quinte che com-
prende trentuno suoni da Sol ≡ a La : .
All’inizio del Novecento la serie delle trenta quinte naturali è po-
sta nuovamente a fondamento dell’armonia nel Cours de composition
musicale di Vincent d’Indy ([1900] 1912, pp. 104-5), nel Traité d’har-
monie di François-Auguste Gevaert (1905) e nell’Étude sur l’harmonie
moderne di René Lenormand ([1912] 1915, p. VI). D’Indy ([1900]
1912, pp. 91-106) non considera significativa la discrepanza che si
crea tra questa serie intervallare non ciclica e l’equivalenza enarmoni-
ca sistematicamente implicata nella pratica della composizione musi-
cale, sostenendo che lo scarto d’intonazione tra intervalli naturali e
intervalli temperati non ha valore percettivo ma solamente teorico
(ivi, p. 106). Al contrario, Lenormand ([1912] 1915, p. V) considera
tale discrepanza significativa: nella sua visione l’origine delle armonie
negli intervalli naturali della serie armonica (ivi, pp. VI, XII nota, 13)
si scontra con la riduzione della gamma teorica di trentuno suoni ai
soli dodici suoni del temperamento equabile, dovuta, a suo avviso, a
una rapida mutazione della sensibilità armonica che ha investito il
mondo della composizione musicale dei suoi giorni scardinando i
fondamenti della teoria musicale rimasta in uso fino ad allora. Si
pone quindi il cruciale quesito: «Modelleranno [i compositori] il loro
pensiero sulla scala dei suoni naturali, con i suoi armonici non inclusi
nel presente sistema? [...] [Oppure] adotteranno, nella teoria, la divi-
sione dell’ottava in dodici semitoni uguali, come esiste già nella prati-
ca per gli strumenti a intonazione fissa? Ciò non cambierebbe l’aspet-
to sonoro della musica, tuttavia modificherebbe la teoria e bandireb-
be [la distinzione tra] i segni d’accidente # e b» (ivi, p. VII).

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8. ARMONIA COME SIMMETRIA

Lenormand individua quindi i sintomi di questo radicale muta-


mento nell’equivalenza enarmonica sistematicamente implicata dalla
scrittura armonica moderna: al termine del suo studio osserva che «i
nostri compositori manifestano sempre più spesso una sorta di indif-
ferenza nella scelta tra # e b» (ivi, p. 140). Assecondando tale tenden-
za, egli prospetta anche la possibilità di una semplificazione della gra-
fia musicale che annulli la differenza tra i due tradizionali segni d’al-
terazione. La sua proposta si inscrive così in una lunga schiera di ten-
tativi di riforma notazionale, nella quale figurano, tra gli altri, d’Indy
([1900] 1912, p. 62), Bartók (1920, p. 26), Schönberg (1975, pp.
354-62), Eimert (1924, p. 35). Tuttavia, per quanto Lenormand si
sforzi in tutto il trattato di interpretare i collegamenti armonici mo-
derni nell’ottica tradizionale che associa all’alterazione cromatica
ascendente (#) un movimento melodico per grado congiunto verso
l’alto e a quella discendete ( b) un movimento verso il basso, la stessa
intercambiabilità delle grafie enarmoniche cui egli allude mostra chia-
ramente come la logica di tali collegamenti non poggi tanto sulla dia-
lettica tensione-risoluzione che determina il moto delle parti, quanto
su criteri di pura simmetria, come è certamente il caso quando interi
accordi (triadi, settime o none) si muovono parallelamente per grado
congiunto, un procedimento, assai tipico della musica francese di ini-
zio Novecento, preso più volte in esame da Lenormand ([1912] 1915,
pp. 1, 13-6, 30-2).
L’enfasi sugli intervalli naturali come fondamento dell’armonia è
ancora più forte nei paesi di lingua tedesca. Helmholtz (1863, p.
277), Arthur von Oettingen ([1866] 1913, p. 8), Ottokar Hostinský
(1897, p. 67) e Hugo Riemann (1877, p. 29; 1902, p. 479; 1914-15, p.
20) adottano una struttura per quinte e terze maggiori naturali nota
come Tonnetz, le cui origini sono state rintracciate in un sistema di
temperamento a base naturale risalente al matematico Leonardh Eu-
ler (Vogel, 1966, pp. 114-5; 1960, p. LX). Nel Tonnetz di Oettingen e
Riemann (esempio 8.2) la serie delle quinte pure è disposta sull’asse
orizzontale, quella delle terze maggiori pure sull’asse verticale (si noti-
no le lineette orizzontali che indicano lo scarto di comma sintonico
tra note omonime, prodotto dall’intonazione naturale degli intervalli:
una nota con n linee sovrapposte è più bassa di un comma rispetto
alla stessa nota senza linee; un nota con n linee sotto è più alta di un
comma rispetto alla stessa nota senza linee). Nel corso della seconda
metà dell’Ottoccento si erano dichiarati a favore di un temperamento
a base naturale autori influenti come Simon Sechter e il già citato
Oettingen, che nel suo Harmoniesystem in dualer Entwicklung del
1866 (rivisto nel 1913 come Das duale Harmoniesystem) descrisse la

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8. ARMONIA COME SIMMETRIA

ESEMPIO 8.3

Fa # Fa # = Solb
Do #
Do Si Do
Mi Mi
Re Re Sib Re La # Re
Do Do La Re #
Sib Si b
Lab Lab
Lab Mi Sol # Mi
Solb Solb = Fa # Fa # = Sol b Sol Fa # Fa

a b c d

rie delle quinte naturali posta a fondamento dei trattati francesi so-
pra menzionati è simmetrica attorno alla nota centrale Re. Durutte
concepisce la serie delle quinte come una struttura polarizzata (si
noti l’uso dei numeri relativi, con la nota Re corrispondente allo
zero, nei grafici di Durutte riprodotti nell’esempio 8.1a-b): proce-
dendo verso il polo positivo si hanno gli intervalli maggiori e au-
mentati, verso il polo negativo gli intervalli minori e diminuiti. L’o-
rientamento diametralmente opposto, rispetto a un suono centrale,
di queste due categorie di intervalli nella scala delle quinte è alla
base, secondo Durutte (1885, p. XXI), del differente contenuto asso-
ciato alla terza maggiore e alla terza minore (esempio 8.1b) e di
conseguenza ai due modi (Orcalli, 2000, p. 142). Perfettamente sim-
metriche sono anche le forme del Tonnetz di Oettingen e Riemann
(esempio 8.2b-c), la prima attorno al Re, la seconda attorno al Do.
Tuttavia la rappresentazione simmetrica delle teorie basate sugli
intervalli naturali è concettualmente differente da quella delle teorie
fondate sulla suddivisione simmetrica dell’ottava in dodici semitoni
temperati: mentre la prima è di tipo simmetrico-assiale e organizzata
attorno a un unico centro, la seconda è di tipo simmetrico-ciclica, e
al suo interno possono delinearsi diversi assi di simmetria delimitati
dall’intervallo di tritono. Per comprendere questa differenza, si pren-
da in considerazione l’inversione simmetrica del tetracordo di toni in-
teri Do-Re-Mi-Fa# attorno alla nota Do, operazione che produce le
note Do-Si b-La b-Sol b (esempio 8.3). Nella visione fondata sui rapporti
intervallari naturali (non-ciclica), quest’operazione dovrebbe essere
rappresentata (esempio 3a) con due serie di toni che si irradiano ver-
so l’alto e verso il basso a partire dalla nota centrale Do, proseguen-
do idealmente nelle due direzioni senza mai ricongiungersi, visto che

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ARMONIA , TEMPO

nelle strutture basate sugli intervalli naturali non vale l’equivalenza


dei suoni enarmonici (in questo caso il Fa.# superiore non corrisponde
al Sol b inferiore). Nella visione ciclica il Fa.# si può considerare invece
corrispondente al Sol b inferiore (esempio 8.3b), per cui la struttura
speculare si richiude, per così dire, su se stessa (esempio 8.3c) e l’in-
versione simmetrica assume un aspetto circolare. Tale differenza non
riguarda tanto il concreto aspetto psicoacustico, ossia l’eventuale per-
cettibilità degli scarti di intonazione tra i suoni enarmonici, ma illu-
mina piuttosto due contesti differenti in cui è di volta in volta situato
il concetto di armonia, ovvero il modo in cui le teorie si rappresenta-
no l’universo delle relazioni tra i suoni. Ai modelli teorici fondati su-
gli intervalli naturali si può associare una visione dello spazio bidi-
mensionale e infinito; mentre quelli basati sulla suddivisione simme-
trica dell’ottava rimandano a una visione dello spazio circolare. La
differenza è rilevata in termini analoghi da d’Indy, che a proposito
della teoria di Durutte, fondata sulla serie delle quinte naturali, affer-
ma: «A dispetto di questa considerazione [che non è possibile discer-
nere uditivamente lo scarto teorico tra la quinta naturale e quella
temperata], l’autore [Durutte] attribuisce nondimeno un’entità diffe-
rente a ciascuno dei suoni che il nostro orecchio considera uguali per
enarmonia. La successione delle quinte si presenta dunque a lui sotto
la forma di una linea retta infinita, non di un cerchio chiuso» (d’In-
dy, [1900] 1912, pp. 138-9).
Nella visione simmetrico-ciclica l’operazione di inversione simme-
trica assume una configurazione particolare, nella quale la funzione di
asse della simmetria non è più svolta da un unico suono ma da una
coppia di note a distanza di tritono. Nell’esempio 8.3c i sei suoni ot-
tenuti dall’inversione si dispongono simmetricamente attorno all’asse
costituito dalla coppia Do-Fa#. Inoltre l’insieme complessivamente ot-
tenuto è anche simmetrico attorno agli assi Si b-Mi e La b-Re (esempio
8.3c, linee tratteggiate). Esso corrisponde infatti a una scala esatonica,
una struttura perfettamente simmetrica attorno a tre diversi assi di
simmetria delimitati dal tritono. L’intera gamma dei dodici suoni è
concepita così come un ciclo di dodici semitoni temperati (o anche di
dodici quinte temperate), nel quale le sei coppie di suoni a distanza
di tritono possono formare altrettanti assi di simmetria (esempio
8.3d), ovvero altrettanti centri. La tendenza “policentrica” della prati-
ca armonica post-tonale è legata infatti, in ultima analisi, alla fonda-
mentale funzione costruttiva che in essa assume il tritono (Straus,
1990, pp. 101-7).
Diversi studiosi del primo Novecento, intravedendo nella suddivi-
sione simmetrica dell’ottava una prerogativa essenziale della pratica

210
ARMONIA , TEMPO

Riemann formulò una visione delle relazioni tra le armonie, nota


come teoria delle “funzioni armoniche”, alcuni aspetti della quale de-
nunciano un significativo impatto da parte delle costruzioni simmetri-
che della musica tardoromantica. A partire soprattutto dalla Verein-
fachte Harmonielehre (1893) Riemann pose l’accento sulla disposizio-
ne simmetrica delineata dalle tre armonie fondamentali (S ← T → D
nel modo maggiore; oS ← oT → oD nel modo minore: esempio 8.4a).
Nella sua visione, le armonie sugli altri gradi della scala, che nella
tradizionale teoria dei gradi erano considerate secondarie, sono inter-
pretate come «consonanze apparenti» (Scheinkonsonanzen) e descritte
come trasformazioni delle tre armonie principali, ossia come loro «ac-
cordi paralleli» (Parallelklänge) (indicati nell’esempio 8.4a dalla lette-
ra p posta di seguito alle lettere T, S, o D) o come «accordi di scam-
bio di sensibile» (Leittonwechselklänge) (indicati nell’esempio 8.4a dal
segno > o < sovrapposto a T, S, o D). Dal nostro punto di vista è
interessante osservare come dal complesso di queste relazioni si deli-
nei una perfetta simmetria (esempio 8.4a): la tonica costituisce l’asse
ai cui due lati si pongono, a distanza di quinta giusta, la sottodomi-
nante e la dominante. All’interno di ciascuna di queste due quinte, la
collocazione dell’accordo mediante (interpretabile nella teoria di Rie-
mann sia come Parallelklang che come Leittonwechselklang) non sa-
rebbe invece simmetrica (poiché la quinta giusta è suddivisibile solo
in due intervalli diseguali); tuttavia, mescolando le relazioni armoni-
che dei due modi si nota che ciascuno dei due lati è a sua volta strut-
turato simmetricamente attorno alla diade formata dall’accordo paral-
lelo e dall’accordo di cambio di sensibile (esempio 8.4a, terza riga).
Riemann non pose mai l’accento su questa struttura simmetrica la-
tente nella sua teoria delle funzioni armoniche; nondimeno essa co-
stituì una premessa essenziale per Hermann Erpf, che ridefinì le sue
teorie applicandole alla musica tardoromantica e moderna.
Una teoria delle relazioni armoniche fortemente improntata al
criterio della simmetria è formulata da George Capellen in una serie
di scritti apparsi nel primo decennio del Novecento (Capellen, 1901;
1905; 1908; Bernstein, 1986; 1989; 1993, pp. 388-93). Essa si presta
facilmente a essere associata ai procedimenti dell’armonia tardoro-
mantica, in particolare quella wagneriana, alla quale Capellen aveva
dedicato uno studio approfondito (Capellen, 1902; Bernstein, 1989,
p. 11). Capellen (1903; 1908) produsse una teoria delle relazioni ar-
moniche che presenta forti similitudini con quella di Riemann, col
quale ingaggiò nondimeno una dura polemica (Bernstein, 1993, pp.
389-91). Essa è sintetizzata graficamente nell’esempio 8.4b: ai due
lati dell’asse costituito dall’armonia centrale di tonica (Mittelklang

212
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

ESEMPIO 8.4

a 5a+ 5a+
3a+ 3a– 3a+ 3a–
S <S/Tp T <T/Dp D
maggiore: Fa+ La– Do+ Mi– Sol+
5a+ 5a+

3a– 3 a+ 3 a– 3a+
S °Sp/T> °T °Tp/°D> °D
minore: Fa– La b Do – Mi b+ Sol–

5a+ 5a+
3a– 3a– 3a– 3a–
S T D
maggiore Fa+/– La b+La– Do+/– Mi b+Mi– Sol+/–
+ minore:

Fa #
b c

La Mi Si Fa #
Si
3 a+ 3a+ 3a+ Mi
Re
5a 2a+ 5a La
Re Sol
Fa Do Sol
2a+ Do
Fa
3a+ 3a+ Si b 3a+ Si b
Mi b
Lab
Reb Lab Mib Re b

Solb Sol b

nella terminologia di Capellen) sono disposti innanzitutto la sottodo-


minante (Linksklang) e la dominante (Rechtsklang). Un tritono sopra
e sotto la tonica, si trova invece l’armonia definita Zwischenklang.

213
ARMONIA , TEMPO

Una terza maggiore sopra e sotto la tonica sono collocate le armonie


definite Ober- e Unterklang, mentre gli accordi una terza maggiore
sopra e una terza maggiore sotto la sottodominante e la dominate
sono indicati rispettivamente come Ober- e Unter-Linksklang, e
Ober- e Unter-Rechtsklang. Per finire, un tono sopra e sotto la tonica
sono poste le armonie di Ober- e Unter-Zwischenklang. Come si può
notare, l’asse verticale centrale di questa struttura simmetrica corri-
sponde a una successione di toni interi da Fa# al Sol b, con il Do al
centro. Ai lati, si trovano invece due cicli di terze maggiori, la cui
somma produce una seconda scala esatonica che, sommata a sua vol-
ta alla scala esatonica dell’asse verticale centrale, forma il totale dei
dodici suoni. Capellen genera questa struttura da un ciclo completo
di quinte giuste da Sol b a Fa#: nell’esempio 8.4c il ciclo delle quinte
si ottiene seguendo la linea a zig-zag nel senso delle frecce; le note
poste sull’asse verticale centrale formano invece il ciclo di sei toni
corrispondente all’asse centrale dell’esempio 8.4b, mentre quelle alli-
neate in verticale sugli apici di destra e sinistra danno i due cicli di
terze maggiori, che uniti formano il secondo ciclo dei toni interi.
L’influsso dei procedimenti armonici basati sulla suddivisione sim-
metrica delle teorie di Riemann e Capellen può essere scorto anche
nell’importanza che in esse assumono le relazioni armoniche di terza
travalicanti i limiti della scala diatonica. Per Riemann una successione
armonica come quella dell’esempio 8.5a può essere interpretata nel-
l’ottica della tonalità di Do maggiore, nonostante il forte cromatismo
(s.v. Tonalität, in Riemann, [1882] 1909; Dahlhaus, 1968, pp. 11-2 e
nota 11). Ciò dipende dal fatto che nella sua visione non è la scala
diatonica a determinare i rapporti tra le armonie, ma, al contrario,
queste ultime a generare la scala (Dahlhaus, 1968, pp. 9-12). Il rap-
porto di terza maggiore, che Riemann, sulla scorta di Hauptmann
considera «direttamente intelligibile» (Riemann, 1874, p. 40), assieme
alla simmetria della struttura, concorre a determinare un nesso forte
con l’armonia centrale della tonica. Si noti che la successione dell’e-
sempio 8.5b potrebbe essere considerata come un ciclo completo di
terze maggiori, interpretando enarmonicamente il Sol# come La b (o
viceversa) per chiudere il ciclo Do-Mi-La b[Sol#]-Do. Un esempio di
progressione del tutto analogo (esempio 8.5b) è esposto da Capellen
nella Fortschrittliche Harmonie- und Melodielehre del 1908 (Bernstein,
1993, p. 391).
La visione di Capellen e quella di Riemann divergono però ri-
guardo al valore attribuito all’enarmonia e alla suddivisione dell’ot-
tava in parti uguali. Capellen concepisce la serie delle quinte come
una struttura che parte da Fa# e si richiude a Sol b (esempio 8.4c), e

214
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

ESEMPIO 8.5

Fonte: a) Riemann (1909; ed. fr. 1899, p. 834); b) Capellen (1908, p. 38).

non distingue le due armonie costruite su questi suoni (ambedue


definite come Zwischenklänge); dunque è evidente che la sua teoria
implica l’equivalenza enarmonica (Fa# = Sol b) e la suddivisione del-
l’ottava in dodici parti uguali, col tritono come asse centrale di sim-
metria. La sua struttura è in altre parole perfettamente simmetrico-
ciclica. L’atteggiamento di Riemann rispetto all’equivalenza enarmo-
nica è invece più legato ai suoi presupposti fisicalistici. Pur ricono-
scendo, nella Musikalische Syntaxis (1877), allo «scambio di valori
enarmonicamene coincidenti» una funzione fondamentale nella rap-
presentazione logica dei rapporti sonori (Riemann, 1914-15, p. 26),
nella sua ottica l’identificazione enarmonica non costituisce l’auten-
tica e originaria forma di tale rappresentazione logica, ma solo l’ine-
vitabile e necessaria condizione che essa assume nella dimensione
concreta della composizione: «[la conciliazione] della prassi evoluti-
va della composizione musicale con le più recenti conquiste dell’a-
custica e della fisiologia dell’orecchio» (Riemann, 1874, p. 71; Azza-
roni, 1991, pp. 104, 149-50). Riemann ritiene infatti che «noi imma-
giniamo unicamente nel senso dell’intonazione naturale [anche l’ac-
cordatura artificiale del temperamento equabile]» (Riemann,
1914-15, p. 26; Azzaroni, 1991, p. 149). Al fondo della sua teoria vi
è la rappresentazione simmetrica ma non ciclica del Tonnetz. In
base al principio della «massima economia possibile delle rappre-
sentazioni sonore», Riemann considera la sovrapposizione di quinte
e terze naturali come la rappresentazione più economica, giudican-
do invece la suddivisione dell’ottava in parti uguali e la reinterpre-
tazione enarmonica come una necessità del sistema. Sulla scorta del-
le ricerche di Carl Stumpf, Riemann ritenne infatti che il significato
di un intervallo non è condizionato dalla sua concreta misura, ma è

215
ARMONIA , TEMPO

il prodotto di un’attività logica. Data questa premessa, sia Riemann


che Stumpf giunsero alla conclusione che la terza maggiore viene
concepita come intonata naturalmente anche se viene di fatto realiz-
zata in modo temperato, poiché la correzione dell’intervallo dovuta
al temperamento non ne compromette il significato logico (Dahl-
haus, 1968, pp. 49-51). Tuttavia, se si giudica in rapporto a un con-
testo musicale specifico e non in astratto, la pratica armonica inval-
sa a partire dalla fine dell’Ottocento avrebbe dovuto indurre Rie-
mann e Stumpf proprio alla conclusione opposta: la terza maggiore
viene qui “pensata” come temperata anche qualora venga intonata
di fatto secondo i rapporti di frequenza naturali. Pur intuendo che
l’attività logico-musicale riesce a rappresentarsi le relazioni astraen-
do dalle condizioni sensibili, Riemann e Stumpf concepirono in
modo statico tali relazioni, ipostatizzando cioè la condizione propria
della musica tonale dell’epoca classica, e non videro come l’attività
logica è a sua volta condizionata dal cangiante contesto musicale cui
si riferisce.
Questo concetto è chiarito da Ernst Kirsch in un saggio del 1928
(Azzaroni, 1991, pp. 49-79) e messo pienamente a frutto nel 1927 da
Hermann Erpf, il cui Studien zur Harmonie- und Klangtechnik der
neueren Musik rappresenta un pregevole tentativo di applicare la teo-
ria funzionale di Riemann – del quale Erpf fu allievo a Lipsia – al di
fuori del suo campo preferenziale d’azione (l’armonia tonale). Basan-
dosi sui concetti riemanniani di Parallelklang e Leittonwechselklang e
considerando sistematicamente la possibilità dello scambio maggiore-
minore, Erpf formula una teoria delle affinità armoniche (Dreiklangs-
verwandschaften) modellata su un’impalcatura perfettamente simme-
trica. Essa è riassunta nell’esempio 8.6 (corrispondente alla fig. 2 di
Erpf, 1927, p. 32): procedendo in verticale dall’armonia centrale del-
la tonica maggiore (Do maggiore nell’esempio) verso l’alto, si ha l’ac-
cordo parallelo di La minore, la cui variante maggiore (La maggiore)
ha a sua volta come accordo parallelo Fa# minore. Si delinea così una
successione di terze minori (Do-La-Fa#...). Verso il basso il ciclo è
completato dagli accordi paralleli delle forme minori: dalla tonica mi-
nore (Do minore) si passa all’accordo parallelo Mi b maggiore, la cui
variante minore (Mi b minore) ha a sua volta come parallelo Sol b mag-
giore, enarmonicamente equivalente al Fa# maggiore della parte supe-
riore. Sull’asse orizzontale si ha invece il ciclo delle quinte, delineato
dai rapporti di dominante (verso destra) e di sottodominante (verso
sinistra). Procedendo in diagonale si ha invece il ciclo delle terze
maggiori generato dalla catena degli accordi di cambio di sensibile
(Leittonwechselklänge): a Do maggiore corrisponde come accordo di

216
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

ESEMPIO 8.6

Re + La + Mi + Si + Fa# + Do# + Sol# + Re# + La# +


Re – La – Mi – Si – Fa# – Do# – Sol# – Re# – La# –

Fa + Do + Sol + Re + La + Mi + Si + Fa# + Do# +


Fa – Do – Sol – Re – La – Mi – Si – Fa# – Do# –

← La b + Mi b + Si b + Fa + Do + Sol + Re + La + Mi + →
La b – Mi b – Si b – Fa – Do – Sol – Re – La – Mi –

Do b + Sol b + Re b + La b + Mi b + Si b + Fa + Do + Sol +
Do b – Sol b – Re b – La b – Mi b – Si b – Fa – Do – Sol –

Mibb + Sibb + Fa b + Do b + Sol b + Re b + La b + Mi b + Si b +


Mibb – Sibb – Fa b – Do b – Sol b – Re b – La b – Mi b – Si b –


Fonte: Erpf (1927, p. 32).

cambio di sensibile Mi maggiore, alla cui variante minore (Mi mino-


re) corrisponde Sol# maggiore. Nella direzione opposta a Do minore
corrisponde La b maggiore, alla cui variante minore corrisponde Fa b
maggiore. Erpf (ivi, p. 33) evidenzia che l’assoluta ciclicità della strut-
tura, dovuta all’equivalenza enarmonica del temperamento equabile,
corrisponde alla condizione propria dell’armonia a partire dal tardo
romanticismo. Diversamente, l’armonia del periodo classico, fondata
sugli intervalli naturali, non possiede un’analoga struttura simmetri-
co-ciclica di relazioni funzionali (ivi, pp. 33-4). In tal modo Erpf spo-
sta il «problema particolare che riguarda la morfologia della costru-
zione accordale, [consistente] nella determinazione della misura esat-
ta, determinata su basi fisicalistiche, degli intervalli, [problema] che
oggigiorno è venuto particolarmente in primo piano» (ivi, p. 14) da
un piano puramente teorico a una prospettiva storico-musicale.
Una delle tesi centrali dello studio di Erpf consiste nell’idea che
con l’allargarsi di questa rete concentrico-ciclica di relazioni funziona-
li tra le triadi, il ruolo di centro svolto dalla triade di tonica si vada
progressivamente affievolendo (ivi, p. 34), provocando infine una
condizione di crisi della tonalità intesa come «relazione funzionale
con un centro» (ivi, p. 110). Nondimeno Erpf ritiene che la totale
assenza di ogni nesso funzionale per l’intera durata di una composi-
zione costituisca una fattispecie rara anche nella musica più speri-
mentale (ivi, p. 70). Si comprende quindi come per Erpf il concetto

217
ARMONIA , TEMPO

di “atonalità” risulti assai problematico e vada inteso più che altro


come un caso limite.
Erpf è tra i teorici che più chiaramente hanno individuato nella
simmetria la ragione essenziale della perdita del senso della tonalità.
Un intero capitolo del suo studio (ivi, pp. 72-86) è dedicato a co-
strutti e collegamenti armonici nei quali non sono più riconoscibili
relazioni funzionali (funktionslose Zusammenhänge). Un posto di pri-
mo piano è riservato agli accordi simmetrici (Symmetrische Klänge), la
cui elencazione mostra come Erpf li concepisca in senso prettamente
ciclico-intervallare: accordi per terze minori (settima diminuita) e per
terze maggiori (triade eccedente), l’“accordo” (in realtà di due soli
suoni) di tritono, le sovrapposizioni di quarte o quinte giuste, gli ac-
cordi per toni interi o semitoni. Anche le progressioni simmetriche
(symmetrische Sequenzen), nelle quali la successione degli accordi de-
linea una suddivisione dell’ottava in parti uguali, non sfuggono alla
classificazione di Erpf.
In definitiva, la teoria di Erpf può essere interpretata come una
riformulazione in chiave simmetrico-ciclica della teoria funzionale di
Riemann. Si noti che il grafico dell’esempio 8.6 corrisponderebbe al
Tonnetz di Riemann (esempio 8.2b: le terze minori sono qui disposte
in diagonale anziché in verticale, e viceversa) qualora quest’ultimo
fosse concepito in modo ciclico e non come rappresentazione di uno
spazio di altezze non temperate (non ciclico). È significativo il fatto
che in tempi più vicini a noi un’importante corrente dell’analisi della
musica atonale – l’indirizzo neoriemanniano avviato da David Lewin
(1982) – sia scaturita proprio da una rilettura del Tonnetz di Rie-
mann nell’ottica del temperamento equabile.

8.4
Natura e ragione

La visione non ciclica associata all’impostazione fisicalistica continuò


ad agire ancora a lungo sulla teoria musicale novecentesca, come si
può evincere ad esempio da un trattato come l’Harmonielehre für
Vorgeschrittene di Walter Klein (1923) – un manualetto che descrive
un’ampia gamma di procedimenti armonici cromatici fondati sulle
dominanti secondarie, che portano la tonalità ai suoi limiti estremi
senza però metterne in questione le fondamenta. Nel discutere la sca-
la esatonica Klein la giudica un nonsenso teorico, dal momento che
già la locuzione “tono intero” è inesatta o quantomeno incompleta,
poiché in una scala basata sui rapporti di vibrazione naturali esistono

218
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

due diversi tipi di tono: il tono maggiore, espresso dal rapporto 9:8, e
il tono minore, espresso dal rapporto 10:9 (Klein, 1923, p. 5). Inoltre
Klein ritiene scorretto considerare come un “tono” la distanza tra La#
e Do nella scala esatonica Do-Re-Mi-Fa#-Sol#-La#-(Do), dal momento
che l’equivalenza La# = Si b non ha valore teorico ed è solo un effetto
illusorio della tastiera a temperamento equabile (ibid.). In tal modo la
possibilità di concepire la scala esatonica come una struttura simme-
trica e ciclica è preclusa.
Il riferimento al modello “naturale” della serie degli armonici, sin-
tomo di un perdurante timore nei confronti delle scienze naturali,
permane anche nei teorici che intuiscono per primi il nuovo significa-
to assunto dall’equivalenza enarmonica e dal temperamento equabile.
Capellen, come si è visto, pur giungendo a una visione simmetrico-
ciclica, credette di poter fondare la sua teoria sugli intervalli naturali
della serie degli armonici. Gli intervalli di terza maggiore, quinta giu-
sta e tono, fondamentali per il suo sistema di relazioni armoniche,
traggono infatti a loro volta origine, secondo Capellen, dalla struttura
interna del Naturklang, ovvero dall’accordo di nona formato dalla se-
rie degli armonici naturali, dal primo al nono armonico. Una conside-
razione in parte analoga vale, come vedremo, anche per Schönberg.
Un esempio assai tipico di questo atteggiamento ambivalente nei
confronti della tradizione fisicalistica è offerto dall’ampia «Digressio-
ne polemica [sulla] scala naturale e scala temperata» che nel 1911 il
marchigiano Domenico Alaleona introduce in due saggi (Alaleona,
1911a; 1911b). I principali oggetti di interesse di Alaleona sono, a
giudicare dagli esempi prodotti, quegli aspetti della musica operistica
italiana a cavallo tra i due secoli che risentono maggiormente dell’ar-
monia post-wagneriana e della coeva musica francese. Alla base della
teoria di Alaleona vi è la «divisione dell’ottava in parti uguali», dalla
quale scaturiscono i costrutti armonici da lui definiti «bifonia» «trifo-
nia» «tetrafonia», «esafonia», «dodecafonia», corrispondenti rispetti-
vamente alla suddivisione dell’ottava in due, tre, quattro, sei o dodici
intervalli identici (Alaleona, 1911b, p. 29). Osservando che ciascuno
di questi costrutti contempla «rispettivamente sei, quattro, tre, due,
uno accordi [scale]» (ibid.), Alaleona intuisce, forse per primo tra i
teorici del Novecento, uno dei principi basilari delle costruzioni ci-
clico-intervallari, che sarà esposto in seguito nella teoria dei «modi a
trasposizione limitata» di Olivier Messiaen (1944, pp. 51-6) e nei la-
vori di Forte, Perle e Antokoletz: quello per cui una collezione sim-
metrica formata da un ciclo di n intervalli identici può essere traspo-
sta esclusivamente su 12: n livelli differenti (per esempio: la collezio-
ne esatonica, formata da un ciclo di sei toni, può essere trasposta solo

219
ARMONIA , TEMPO

su due livelli a distanza di semitono, dopodiché la trasposizione suc-


cessiva contiene le stesse note della prima). Secondo Alaleona, cia-
scuna di queste sonorità simmetriche possiede a sua volta una o più
«forme tonali» e una forma «neutra» o «atonale». La “forma tonale”
corrisponde a una delle possibili grafie enarmoniche che questi accor-
di simmetrici assumono a seconda della nota considerata come basso
fondamentale. La «tetrafonia», per esempio, intesa in senso tonale
corrisponde all’accordo di settima diminuita, il quale possiede, in vir-
tù della sua simmetria, quattro possibili risoluzioni, a seconda della
nota scelta come basso fondamentale. Considerata invece come forma
neutra, la tetrafonia non può essere più intesa come un accordo tra-
dizionale, ma piuttosto come una sonorità simmetrica i cui quattro
elementi costitutivi sono in perfetto equilibrio (Alaleona, 1911b, p.
25). Alaleona ritiene, giustamente, che in queste condizioni il concet-
to di basso fondamentale (e quindi di rivolto) perda totalmente di
significato. Intesa in questo senso, la tetrafonia non appartiene quindi
né a una tonalità specifica né a tutte e quattro le tonalità cui può
essere riferita, ma piuttosto a una «tonalità neutra». Alaleona si sforza
evidentemente di esprimere, in mancanza di un apparato categoriale e
di una terminologia adeguata alla nuova realtà compositiva, la totale
perdita di carattere tonale-funzionale che le sonorità simmetriche as-
sumono in un contesto non più riferibile a una tonalità specifica e
organizzato in base a criteri di pura simmetria.
Nonostante questa forte enfasi sulla simmetria, al fondo delle ar-
gomentazioni di Alaleona si scorge chiaramente l’idea che «nella mu-
sica la scala naturale è la tecnica perfetta, rispondente esattamente al-
l’ideale di perfettibilità del sentimento musicale umano» (ivi, p. 8),
idea che lo studioso assorbe un po’ passivamente da quegli stessi «fi-
sici puri» che «scambiano la tecnica, il mezzo materiale e meccanico
di cui l’artista si serve [...] con l’ultimo fine dell’arte» (ivi, p. 6). La
legittimità del temperamento equabile, che costituisce il fondamento
teorico delle sue «tonalità neutre», dipende quindi da esigenze pretta-
mente estetiche e artistiche: l’equiparazione dei dodici suoni costitui-
sce una trovata “tecnica”, ossia artificiale (non naturale) che però non
snatura il senso degli intervalli naturali, ma «ne facilita l’esercizio e la
estrinsecazione» (ivi, p. 15).
Una linea d’argomentazione sostanzialmente simile a quella di
Alaleona è seguita ancora nel 1920 da Béla Bartók nel breve ma im-
portante scritto Das Problem der neuen Musik. Bartók indica nelle
composizioni di Wagner, Liszt, Strauss e Debussy le «tappe interme-
die fondamentali del processo di dissoluzione della tonalità» e indivi-
dua la «svolta decisiva» di questo processo in una «necessità» di ca-

220
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

rattere estetico, che mette il compositore nelle condizioni di «poter


godere dell’assoluta eguaglianza dei dodici diversi suoni che compon-
gono il nostro sistema a dodici note». Bartók ritiene impossibile giu-
stificare l’equiparazione dei dodici semitoni «per mezzo del sistema
degli armonici», e la considera un «sistema artificiale», un «violento
allontanamento dalla natura», finalizzato però ad allargare gli orizzon-
ti tonali mediante «libere modulazioni» (Bartók, 1920, pp. 108-9).
Il problema del conflitto tra la concezione fondata sugli intervalli
naturali e quella simmetrica basata sul temperamento equabile rimar-
rà scottante nelle riflessioni sul concetto di “atonalità” dei primi anni
venti. Secondo Eimert (1924, p. 33), «il problema fondamentale di
ogni trattazione teorico-musicale consiste nella fondazione della teoria
sui fatti meccanico-acustici, ovvero nella sua liberazione dalle leggi
immutabili della fisica. Ottava, quinta giusta e terza maggiore sono gli
intervalli che, originati dalla serie degli armonici, costituiscono “la so-
norità di natura”». Consonanza e dissonanza sono quindi legate, se-
condo Eimert, a questo Naturklang, ma la composizione atonale se ne
libera grazie all’«emancipazione della musica dalla serie degli armoni-
ci» (ibid.). È evidente l’influsso del concetto schönberghiano di
«emancipazione della dissonanza». Secondo Eimert, che cita a tal
proposito le ricerche di Stumpf, consonanza e dissonanza non perdo-
no il loro valore psicoacustico (a tal proposito Eimert menziona le
cadenze consonanti della musica di Hauer), tuttavia, con la musica
atonale, esse perdono di significato tecnico-compositivo. Nel capitolo
dal titolo Die geschichtliche Entwicklung zum Atonalen Eimert descri-
ve uno sviluppo dell’armonia dalla musica classica a quella «moder-
na» e «atonale», in base al quale la moltiplicazione dei movimenti
cromatici di sensibile (è avvertibile la lezione di Kurth, spesso citato
da Eimert) porta infine a una rottura individuata emblematicamente
nell’opera di Max Reger.
La visione dell’atonalità e della tecnica dodecafonica esposta da
Hauer in una serie di saggi apparsi a partire dai primi anni venti
(Hauer, 1920; 1922; 1923-24; 1925; 1926) si muove in una direzione
in parte analoga, in parte differente da quella di Eimert. Anche
Hauer risolve il problema del conflitto tra i fondamenti “naturali”
dell’armonia e la visione fondata sulla suddivisione simmetrica dell’ot-
tava associando i primi alla tonalità e la seconda all’atonalità; tuttavia,
a differenza di Eimert, egli non intende questi nel senso dello svi-
luppo storico-musicale, ma piuttosto come categorie estetiche ideal-
mente contrapposte. In Vom Wesen des Musikalischen (1920) Hauer
sostiene che la suddivisione dell’ottava nelle dodici note del tempera-
mento equabile è contraria alle leggi naturali del suono, ma risulta

221
ARMONIA , TEMPO

FIGURA 8.1

ugualmente da una «spiritualizzazione» della materia grezza (la serie


degli armonici naturali) che la natura offre alla mente contemplatrice.
Seguendo l’argomentazione della Farbenlehre di Goethe, secondo la
quale lo spettro completo dei colori non esiste di per sé in natura ma
è un prodotto della mente, Hauer sostiene che il totale dei dodici
suoni temperati non costituisce un dato della natura ma risulta piut-
tosto da un’astrazione spiritualizzante, un atto puramente intuitivo,
che permette di “udire” in una sfera immateriale. La musica atonale
che sorge da questa intuizione si colloca su un livello spirituale più
alto di quella tonale, che invece corrisponde più da vicino alle esi-
genze della materialità. Per Hauer la forma più perfetta di musica
atonale è quindi quella nella quale tutti i dodici suoni temperati si
succedono assumendo lo stesso peso e intrattenendo rapporti equidi-
stanti l’uno dall’altro, un concetto riassunto in una forma visiva elo-
quente sulla copertina della sua Atonale Musik, op. 20 per pianofor-
te, del 1920-22 (FIG. 8.1).
Hauer contrappone al melos – la melodia, intesa come pura confi-
gurazione astratta dei dodici intervalli non ancora concretizzata in una
particolare forma ritmica e in un particolare timbro – il ritmo, ovvero
la componente materiale, concretizzata nel tempo. La composizione
musicale risulta quindi (Hauer, 1925, p. 10) dall’interazione tra il polo
«puramente atonale» del melos e quello «puramente tonale» del ritmo.
L’atonalità, pertanto, costituisce un’essenza (Wesen), una struttura
astratta e trascendente, piuttosto che un metodo compositivo, un
aspetto dell’armonia o una categoria storiografico-musicale. Tale visio-
ne è diametralmente opposta a quella di Schönberg, che, oltre a entra-
re in netto disaccordo con le teorie di Hauer (Schönberg, 1975, pp.
209-12, 246), in una celebre nota della sua Harmonielehre aveva rifiu-
tato il termine “atonalità” sostanzialmente per la medesima ragione
per la quale Hauer lo avrebbe invece elevato a proprio ideale: «Il ter-

222
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

mine “atonale” potrebbe solo indicare qualcosa che non corrisponde


alla natura del suono. [...] Qualsiasi rapporto di suoni non potrà mai
essere chiamato “atonale”, così come un rapporto di colori non può
essere definito aspettrale o “acomplementare”» (Schönberg, [1911]
1963, p. 508). L’affermazione di Schönberg gioca ovviamente sul fatto
che in tedesco la parola Ton significa anche “suono”, per cui Atonal
dovrebbe significare “senza suono”, ma vedremo come le ragioni di
Schönberg siano più complesse e rimandino in ultima analisi a una
componente fisicalistica insita anche nel suo pensiero.
La presa di posizione di Hauer contro le “leggi della natura” del
suono sembra determinata da una forte reazione antipositivista che si
carica anche di spinte “irrazionaliste”. Sviluppatasi sotto l’influsso dei
movimenti esoterici che fiorirono a Vienna verso la fine dell’Ottocento,
essa presenta diversi punti di contatto con l’antroposofia di Rudolf
Steiner e con la visione spirituale di Ferdinand Ebner (Das Wort und
die geistigen Realitäten, 1921) col quale Hauer fu in stretto contatto a
Vienna (Covach, 1990). Nello stesso tempo, nell’idea di un aggancio
diretto tra il polo tonale e la natura dei fenomeni vibratori, si può scor-
gere il lascito delle teorie armoniche fisicalistiche e del pensiero positi-
vista che avevano caratterizzato la cultura viennese di fine Ottocento.

8.5
L’inversione simmetrica nella teoria
e nella composizione musicale
Un secondo aspetto del pensiero di Riemann che può essere associato
alla tecnica armonica del primo Novecento consiste nell’idea di «riso-
nanza inferiore» del suono (Klang), un’ipotesi scientifica che si spense
sostanzialmente con Riemann, e che egli stesso dovette rimettere in
questione nei suoi ultimi scritti. Riemann motivò la polarità triade
maggiore-triade minore ipotizzando che la prima corrispondesse alla
risonanza degli armonici superiori (Oberklang), la seconda alla riso-
nanza degli armonici inferiori (Unterklang). Per Riemann (1874, p.
64), infatti, la Tonalität consiste nel «fissare nella memoria un suono
come suono principale» e quindi nel rappresentarsi logicamente tutti
i rapporti tra le armonie in base alle relazioni con i suoi armonici,
superiori o inferiori. Al di là della sua problematicità, questa visione
condivide un portato essenziale con molte teorie di inizio Novecento:
la negazione dell’idea, strettamene legata alla sintassi armonica tonale,
che il contenuto percettivo delle armonie sia determinato esclusiva-
mente dalla loro configurazione dal basso verso l’alto. L’idea degli ar-

223
ARMONIA , TEMPO

monici inferiori portò infatti Riemann, in piena sintonia con le sue


premesse fisicalistiche, non solo a concepire gli accordi minori come
inversione di quelli maggiori, ma anche a immaginarli come costruiti
a partire dalla nota più acuta, non da quella più grave (per cui, per
esempio, nella triade minore La-Do-Mi, la nota fondamentale non è il
La ma il Mi). Le stesse reazioni suscitate dalla teoria della «risonanza
inferiore» mostrano come questo punto di vista fosse poco consono
alla sintassi musicale tonale, prestandosi invece a essere associato al
pensiero simmetrico-inversionale che nei primi anni del secolo si an-
dava radicando oltre i confini della tonalità. Capellen sostenne che
l’orecchio rifiuta l’inversione simmetrica poiché attribuisce significato
ai suoni simultanei organizzandoli dal basso verso l’alto, in conformi-
tà cioè a una «legge di gravità» musicale (Capellen, 1905, p. 74;
Bernstein, 1993, p. 388). Dello stesso parere fu anche Ernst Mach, i
cui studi sulla percezione (Beiträge zur Analyse der Empfindungen,
1885) influenzarono molto l’ambiente musicologico viennese di fine
secolo facente capo a Guido Adler. Si può dire però che sul giudizio
di questi autori abbia pesato la consuetudine con la sintassi tonale,
mentre la struttura simmetrica che Riemann proiettò sul suo concetto
di Klang si presta a essere associata ai procedimenti basati sull’inver-
sione simmetrica che si affermano nella musica post-tonale dei primi
anni del Novecento. Capellen (1905, p. 72) sostenne l’argomento del-
la legge di gravità con il fatto che i soli armonici realmente esistenti
sono quelli superiori. Tuttavia il nesso tra il pensiero di Riemann e la
tecnica compositiva dell’inversione simmetrica non consiste tanto nel-
la teoria degli armonici inferiori di per sé (che peraltro fu rifiutata
proprio da quegli autori che, come Bernhard Ziehn, teorizzarono
questa tecnica), quanto nell’idea, latente nel concetto di «forma di
rappresentazione logica», che i rapporti verticali tra i suoni possano
essere rappresentati mentalmente tanto dal basso verso l’alto quanto
dall’alto verso il basso. Anche il dibattito sulla possibilità dell’inver-
sione simmetrica, allo stesso modo di quello sulla legittimità teorica
della suddivisione dell’ottava in dodici parti uguali, può essere quindi
interpretato come un conflitto tra due distinte visioni: quella della
tradizione tonale fondata sugli intervalli naturali della serie degli ar-
monici naturali – che procedono dal basso verso l’alto – e quella del
pensiero post-tonale, che rivendica invece una maggiore autonomia
della componente logica da quella fisico-acustica. È significativo che
Busoni, tra i primi e più convinti sostenitori dell’uso dell’inversione
simmetrica nella pratica compositiva – che considerò come una delle
principali “vie” per la costruzione di «nuovi edifici armonici» (Buso-
ni, 1977, p. 89) e adottò concretamente nella sua Fantasia contrap-

224
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

puntistica (Busoni, 1988, pp. 167-70) – avesse preso le distanze, già


nel suo saggio Dell’intelligenza musicale del 1885 (Busoni, 1977, pp.
507-24), dalla concezione fisicalistica di matrice helmholtziana e dal-
l’impronta positivista che caratterizza le teorie di Mach.
Le idee di Busoni sull’inversione simmetrica furono influenzate a
loro volta dalle teorie di Bernhard Ziehn, che Busoni ebbe modo di
conoscere personalmente nei suoi viaggi negli Stati Uniti (ivi, p. 387).
Il punto di partenza delle idee di Ziehn sull’inversione simmetrica,
espresso nel suo Harmonie- und Modulationslehre del 1887 (poi rivisto
e ripubblicato in inglese nel 1907 come Manual of Harmony), ci riporta
nuovamente al dibattito sullo status teorico del temperamento equabi-
le. Pur essendosi stabilito definitivamente a Chicago nel 1868, Ziehn
mantenne stretti contatti con la cultura musicale tedesca, entrando in
aperta polemica con Riemann, del quale rifiutò non solo la teoria degli
armonici inferiori ma anche l’idea che gli intervalli naturali offrano il
modello per i rapporti logici fondamentali dell’armonia. Ziehn, infatti,
considerò proprio le dodici note temperate come la struttura teorica
fondante il suo sistema, distaccandosi così dalla tradizione teorico-mu-
sicale fisicalistica prevalente in area tedesca sul finire del secolo. La sua
reazione allo spirito positivista che aleggiava su tale tradizione è mani-
festa nell’idea secondo la quale «i modelli di giudizio della scienza mu-
sicale non sono nelle leggi della fisica ma nei capolavori musicali» (let-
tera del 10 gennaio 1912, in Ziehn, [1912] 1976, p. 10). Accettando
l’equivalenza enarmonica dei dodici suoni come una “legge” del suo
sistema, Ziehn (1911, pp. 12-4) motiva un’ampia serie di fenomeni tipi-
ci del linguaggio armonico dei suoi giorni, come gli accordi per quarte,
che interpreta nell’ottica dell’enarmonia della terza eccedente (Do-Fa-
Si b = Re bb-Fa-La. ) (ivi, pp. 10-1). L’aspetto più interessante della sua
teoria risiede comunque nell’applicazione sistematica dell’inversione
simmetrica, che nelle sue mani diviene un mezzo per generare un con-
testo fortemente cromatico che mette decisamente in crisi la tonalità.
Nei Canonical Studies, la tecnica dell’inversione simmetrica è descritta
da Ziehn ([1912] 1976, p. 23) come l’inversione esatta di tutti gli inter-
valli di una melodia o di un accordo, un’operazione che nella tecnica
imitativa tradizionale non era sempre possibile, a causa della necessità
di attenersi alle note della scala o del modo impiegato. È interessante
notare come Ziehn adotti sistematicamente la nota Re come asse d’in-
versione dei suoi esempi musicali, motivando tale scelta come un’e-
spansione dell’antica tecnica imitativa del contrarium reversum (ibid.).
L’affermazione di Ziehn necessita di un chiarimento: la tecnica del con-
trarium reversum, illustrata da una lunga serie di trattati di composizio-
ne, dal Musico prattico (1673) di Giovanni Maria Bononcini ai Grund-

225
ARMONIA , TEMPO

sätze der musikalischen Komposition (1853-54) di Sechter (Bernstein,


1993, p. 393, basato su Mann, 1958, p. 44), permetteva di invertire
rigorosamente gli intervalli di una melodia senza che si producessero
suoni estranei alla scala modale di riferimento. Ciò era reso possibile
grazie ad una scelta oculata della nota impiegata come asse di simme-
tria. Nel caso delle melodie basate sulle scale contenenti esclusivamente
le sette note fondamentali non alterate (che nei moderni strumenti a
tastiera corrispondono ai tasti bianchi), i trattatisti prescrivevano l’in-
versione attorno alla nota Re. Ciò suggerì a Ziehn, i cui esempi musica-
li esulano invece ampiamente dai limiti delle scale diatoniche, un espe-
diente di carattere sostanzialmente pratico-esecutivo: se la scelta del Re
come asse di simmetria fa sì, in pratica, che a ogni tasto bianco corri-
sponda sempre per inversione un altro tasto bianco, allora essa farà
anche sì che a ogni tasto nero corrisponda sempre un tasto nero (esem-
pio 8.7a, parte destra). In tal modo anche le inversioni di modelli estre-
mamente cromatici divengono più facilmente gestibili sulla tastiera del
pianoforte. A dispetto della sua apparente astrattezza teorica, la tecnica
di Ziehn ha quindi un immediato risvolto pratico-esecutivo. Ziehn
([1912] 1976, p. 23) afferma inoltre che «la relazione inversa [...] tra i
tasti neri e i tasti bianchi [...] è immediatamente riconoscibile da Re a
La b», riferendosi al fatto che il La b è l’unica nota, oltre al Re, che rima-
ne invariata a seguito dell’inversione (esempio 8.7a). Nei termini della
teoria più recente ciò equivale a dire che il La b è la seconda nota deli-
mitante l’asse inversionale di tritono.
Pochi anni prima della pubblicazione dei Canonical Studies di
Ziehn, d’Indy ([1909] 1912, pp. 26-31) aveva mostrato che la simme-
tria dell’insieme costituito dalle sette note fondamentali (Do-Re-Mi-
Fa-Sol-La-Si) attorno alla nota Re si deve al fatto che tale nota occu-
pa la posizione centrale all’interno della serie simmetrica di sei quinte
che genera tale insieme (Fa-Do-Sol-Re-La-Mi-Si). D’Indy ([1900]
1912, pp. 101-2; [1909] 1912, p. 29) mette in relazione questa pro-
prietà con la visione dualistica adottata da Riemann: invertendo gli
intervalli della scala di Do maggiore attorno al Re (esempio 8.6b) si
ottiene una scala discendente a partire da Mi: per d’Indy, come Rie-
mann, la nota Mi è infatti la fondamentale della triade minore (esem-
pio 8.7c, parte sinistra). In tal modo d’Indy individua una simmetria
maggiore-minore non solo a livello di triadi, ma anche di scala moda-
le (esempio 8.7c, parte destra).
È significativo che nel secondo volume del Cours di d’Indy la teo-
ria della relazione inversionale tra i due modi cada all’interno di un
capitolo dedicato alle tecniche imitative basate sull’inversione. Nella
cultura teorico-musicale del tempo si affermava evidentemente una

226
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

ESEMPIO 8.7

Fonte: a) Ziehn ([1912] 1976, p. 23); b) d’Indy ([1909] 1912, p. 30); c) ivi, p. 29.

visione che tendeva ad associare la teoria dualistica di stampo rieman-


niano ai procedimenti compositivi, sempre più diffusi, basati sull’in-
versione simmetrica. Tale associazione è resa del tutto esplicita nel
trattato Die symmetrische Umkehrung in der Musik pubblicato da
Hermann Schröder, un violinista dai forti interessi per la teoria musi-
cale, nel 1902. Il volume di Schröder costituisce probabilmente la
trattazione più approfondita della tecnica dell’inversione simmetrica.
A differenza di Ziehn, col quale entrò in polemica su questo punto,
Schröder considerò tale tecnica come la manifestazione, sul piano tec-
nico-compositivo, della serie degli armonici inferiori, sulla cui concre-
ta esistenza non nutrì mai seri dubbi (Schröder, 1902, p. 34; Bern-
stein, 1993, p. 396). Al di là della sua aperta adesione alle tesi duali-
stiche di Riemann, comunque, il principale interesse dell’opera di
Schröder risiede nella sistematica esplorazione delle risorse compositi-

227
ARMONIA , TEMPO

ve della tecnica dell’inversione simmetrica, applicata ugualmente a


scale, melodie, accordi, progressioni armoniche e infine a intere com-
posizioni. Il volume di Schröder contiene inoltre numerose intuizioni
teoriche che anticipano alcuni aspetti della tecnica dodecafonica e
metodi analitici della seconda metà del Novecento. Tra queste vi è
l’osservazione che il rapporto tra una scala cromatica e la sua inver-
sione trasposta può essere descritto semplicemente stabilendo su qua-
le asse di simmetria (phonische Mittelpunkt, nella terminologia di
Schröder) è effettuata l’inversione – un criterio che si è dimostrato
particolarmente utile per l’analisi delle ultime composizioni dodecafo-
niche di Schönberg (Lewin, 1967) – e che, a seconda del rapporto di
trasposizione tra i due insiemi, tale asse di simmetria può corrispon-
dere ad una singola nota oppure cadere a metà di una diade di semi-
tono, una proprietà ben nota agli studi analitici recenti ed indagata
soprattutto nei lavori di Milton Babbitt (1960) sulle proprietà inva-
rianti degli insiemi dodecafonici (Bernstein, 1993, pp. 396-8).

8.6
Simmetria come fondamento della logica musicale:
le teorie di Boleslav Javorskij
Il concetto di simmetria è centrale in una delle più originali e innova-
tive teorie armoniche del primo Novecento, formulata da Boleslav
Leopoldovich Javorskij nel trattato La costruzione del linguaggio musi-
cale (Strojenjie muzïkal’noj rechi), edito a Mosca nel 1908. Le matrici
del pensiero di Javorskij vanno rintracciate innanzitutto nella pedago-
gia russa dell’armonia di fine Ottocento (Sergej Taneev, Rimskij-Kor-
sakov) (McQuere, 1983a, pp. 22-5) e negli studi sulla musica della
tradizione folklorica russa (ivi, p. 147). Altri importanti precedenti si
riscontrano nell’opera di Fétis, dalla quale Javorskij attinse l’idea che
il significato del tritono sia legato alla sua intrinseca instabilità e ne-
cessità di risoluzione. È infine chiaramente percettibile l’influsso della
teoria funzionale di Riemann, che si manifesta innanzitutto nell’ado-
zione dei simboli funzionali T, D e S e nella costruzione del modo
minore come inversione di quello maggiore.
Javorskij intende i concetti di “stabilità” e “instabilità” in modo
innovativo, svincolandoli da quelli di consonanza e dissonanza. Egli
sostiene infatti che non esista alcun costrutto armonico stabile o in-
stabile in senso assoluto, ma solamente costrutti stabili o instabili re-
lativamente al contesto. Questa premessa gli consente di considerare
come “funzioni stabili” o “toniche” (T) accordi decisamente disso-

228
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

ESEMPIO 8.8

nanti come la triade eccedente (nel cosiddetto “modo aumentato”), la


triade maggiore-minore (nel “modo a catena”) o la triade diminuita
(nel “modo diminiuto”). In quest’aspetto della teoria di Javorskij si
può scorgere un punto di contatto con quella di Riemann: anche in
quest’ultima i concetti di consonanza e dissonanza non sono intesi in
senso assoluto ma piuttosto come funzioni “logiche”. È in base a
quest’idea, per esempio, che Riemann considera come “consonanza
apparente” o “dissonanza concettuale” la triade minore sul secondo
grado del modo maggiore (Re-Fa-La in Do maggiore), che pure si
direbbe assolutamente consonante su un piano prettamente acustico.
Viceversa, gli accordi che nell’ottica della tradizionale teoria della
consonanza sarebbero da considerare intrinsecamente instabili, in de-
terminati contesti possono risultare, secondo Javorskij, “funzioni sta-
bili”. Dal nostro punto di vista, è interessante osservare che ciò avvie-
ne in particolar modo nel contesto di collezioni simmetrico-cicliche,
come la scala per toni interi o quella ottatonica. Si consideri come
esempio la costruzione di Javorskij del “modo diminuito”, corrispon-
dente appunto alla scala ottatonica (esempio 8.8). Esso risulta dalla
somma delle note “instabili” (note nere nell’esempio 8.8) di due “si-
stemi simmetrici doppi” posti a distanza di terza minore (esempio
8.8a). Il “sistema simmetrico doppio” – una quinta giusta che conver-
ge simmetricamente su una terza minore attraverso un moto contrario
cromatico – risulta dalla fusione di due “sistemi simmetrici semplici”
a distanza di semitono (esempio 8.8b). Il “sistema simmetrico sem-
plice”, l’unità basilare della teoria di Javorskij, è costituito a sua volta
da un tritono che converge su una terza maggiore. Javorskij definisce
“dominante” (D) la porzione instabile (il tritono) del sistema simme-
trico semplice e “tonica” (T) la sua risoluzione (la terza maggiore).
Col termine “sottodominante” (S) indica invece la porzione instabile

229
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

ti sulla suddivisione simmetrica dell’ottava. La teoria di Kurth spo-


sta definitivamente la ricerca del fondamento dell’armonia dalle leg-
gi acustiche a quelle “psicologiche”. Essa si pone come un’indagine
“scientifica” sugli aspetti fondamentali del fenomeno musicale; tutta-
via il termine “scientifico” non deve essere inteso nel senso del fisi-
calismo e della filosofia positivista – il cui rifiuto caratterizzò forte-
mente l’ambiente socioculturale nel quale si formarono teorici come
Kurth e August Halm (Rothfarb, 1991, pp. 6-10) – bensì nel senso
della fenomenologia e degli studi sulla percezione visiva. La compo-
nente “fenomenologica” delle analisi di Kurth è evidente nella loro
dichiarata intenzione di rivelare il modo in cui alcune forze elemen-
tari agiscono nell’evoluzione organica della musica e nella costituzio-
ne di una struttura dinamica complessiva, un’idea che sembra ri-
specchiare l’impostazione di Husserl attorno al 1913 (anno delle
Ideen zu einer reinen Phänomenologie). Per questa sua caratteristica,
l’opera di Kurth venne al centro dell’attenzione in diversi studi che
attorno agli anni venti si sforzano di individuare i fondamenti di
una «fenomenologia della musica» (Mersmann, 1922-23, p. 227;
Cohn, 1921, pp. 129-30; 1918-19, p. 674; Eimert, 1926, p. 242). Il
nesso tra il pensiero di Kurth e la psicologia della Gestalt può esse-
re colto invece nell’idea fondamentale di Grundlagen des linearen
Kontrapunkts (1917): la linea melodica non è il risultato della som-
ma di più suoni concepiti come elementi a sé stanti, ma l’effetto di
una «fase agogica» (Bewegungsphase) che si manifesta come un tutto
unitario. Secondo Kurth (1917, p. 17), «non esistono prima i suoni
e poi la loro connessione; al contrario è il flusso agogico [Bewegung-
szug] a costituire l’elemento primario». Tale idea trova esatto riscon-
tro nella descrizione del fenomeno melodico di Kurt Koffka – uno
dei principali fondatori della Gestaltpsychologie assieme a Max
Wertheimer e a Wolfgang Köhler – secondo il quale «l’elemento
melodico risiede nel moto attraverso i suoni, non nei singoli suoni
attraverso i quali il moto scorre» (Rothfarb, 1991, p. 21). Sebbene
gli scritti di Koffka, Wertheimer e Köhler, che segnano il vero e
proprio inizio della Gestaltpsychologie, siano in realtà contemporanei
o anche di poco successivi ai Grundlagen e alla Romantische Harmo-
nik, l’argomentazione di Kurth condivide con un vasto ambito di in-
dagini che fungeva da background alla Gestaltpsychologie la proble-
matica delle “totalità” o “figure” – spaziali o temporali – che non
possono essere rappresentate come semplice sommatoria delle singo-
le parti costituenti, richiedendo invece una percezione unitaria delle
relazioni e delle forze interne. Difatti, tale problematica è latente
nella teoria delle «qualità figurali» di Christian Ehrenfehls, negli stu-

231
ARMONIA , TEMPO

di sulla percezione di Ernst Mach e nella teoria degli «oggetti d’or-


dine superiore» di Alexius Meinong (Orcalli, 2000, pp. 153-66).
Gli elementi tipici della fenomenologia e della Gestaltpsychologie
si uniscono inoltre in Kurth a una tendenza “psicologista” che lo por-
ta a considerare gli eventi musicali come manifestazioni sonore delle
tensioni interne della mente creatrice e a ritenere che l’analisi musica-
le richieda una sorta di «empatia» (Einfühlen) o «risonanza interiore»
con tali tensioni psichiche. Kurth interpreta gli eventi armonici come
manifestazioni sonore di un’energia dinamica di origine psichica, allo
stesso modo in cui nei Grundlagen des linearen Kontrapunkts (1917)
aveva individuato l’essenza della melodia nel moto che ha inizio nelle
emozioni della mente creatrice. L’aspetto sonoro costituisce solo la
conseguenza ultima di questo processo mentale originario. Le armo-
nie sono il «riflesso dell’inconscio»; ciascun accordo costituisce «solo
un’immagine concepita acusticamente di alcuni impulsi energetici»
(Kurth, [1920] 1923, p. 11).
Su un piano più prettamente analitico-musicale, il cuore della teo-
ria di Kurth consiste nell’allargamento del concetto di alterazione
cromatica fino ad abbracciare «qualsiasi modificazione cromatica che
devia dalle fondamenta stabilite totalmente» (ivi, p. 183). Le motiva-
zioni di tutti i vari tipi di alterazione cromatica descritti da Kurth
sono di carattere prettamente “dinamico”: come un singolo suono al-
terato melodicamente contiene un’energia cinetica che gli proviene
dal flusso melodico nel quale è inserito, allo stesso modo l’alterazione
“armonica” di un suono entro un singolo accordo produce un’energia
potenziale, una volontà, un impulso interno dell’accordo a proseguire
nella successiva armonia.
L’uso intenso delle alterazioni di tipo melodico e armonico e delle
note di passaggio cromatiche nell’ultima fase dello sviluppo dell’ar-
monia romantica porta, secondo Kurth, alla disintegrazione di tutte le
normali forme accordali, alla dissoluzione delle relazioni funzionali
tra gli accordi – e quindi della tonalità stessa – e alla continua pre-
senza di dissonanze nel tessuto armonico (ivi, p. 110). Nella ricostru-
zione storica di Kurth, il culmine di questo processo è raggiunto nel
Tristano, il quale costituisce, allo stesso tempo, la fine di un percorso
evolutivo e il punto di partenza per gli ulteriori sviluppi della musica
tardoromantica.
Il pensiero di Kurth si fonda quindi su una concezione “dinami-
ca” che, in quanto strettamente legata all’aspetto temporale, è poco
incline a riconoscere all’armonia una natura “geometrica” e “spazia-
le”, ovvero non temporale. Di conseguenza, la sua teoria non attribui-

232
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

sce apertamente alla simmetria un ruolo specifico nella crisi dell’ar-


monia romantica. Tuttavia una certa attenzione per la simmetrizzazio-
ne dei costrutti armonici si cela al disotto dei fenomeni definiti «ef-
fetto assoluto delle armonie» ed «effetto assoluto della successione
armonica» (ivi, pp. 262-3). Il primo di essi segna, secondo Kurth, la
fase finale del processo di “monadizzazione” delle armonie, ossia del
loro dissolvimento nel puro colore: il significato dell’accordo non è
più determinato dalla logica dinamica in cui è inserito ma dalle ca-
ratteristiche interne alla sua struttura. Il secondo fenomeno non ri-
guarda la struttura dei singoli accordi, ma quella dei loro collegamen-
ti (ivi, p. 262). Al fine di spiegare tali concetti, Kurth introduce una
premessa di carattere generale, secondo la quale l’effetto di ciascun
accordo è determinato da tre aspetti: 1. la sua posizione in relazione
all’armonia centrale della tonica, ovvero la sua funzione tonale; 2. la
sua relazione con l’accordo immediatamente precedente, ovvero l’ef-
fetto dovuto alla successione accordale; 3. il suo “effetto assoluto”,
ovvero non condizionato dal contesto circostante, determinato sola-
mente dalla costituzione interna dell’accordo. Nella musica tardoro-
mantica, il primo di questi tre aspetti (tonale-funzionale) viene dra-
sticamente ridimensionato, secondo Kurth, dal progressivo restringi-
mento delle zone tonalmente stabili, in altre parole dalla continua
fluttuazione armonica, che non consente più di stabilire il centro da
cui dovrebbe dipendere l’effetto degli accordi. Come conseguenza di
questa evoluzione storica, il secondo aspetto (la relazione con l’accor-
do precedente) assume una maggiore importanza. Infatti, fintanto che
il contesto tonale rimaneva sufficientemente chiaro, il significato di un
accordo restava determinato più dalla sua relazione con la tonica che
non dalla successione armonica in cui esso si inserisce. Con l’indebo-
limento della relazione con la tonica, al contrario, l’effetto dovuto alla
posizione all’interno della successione non dipende più dalla relazio-
ne col contesto, e pertanto si assolutizza. Nella visione di Kurth l’ef-
fetto della tonica e quello della successione stanno reciprocamente in
competizione: il primo è di tipo costruttivo e accentratore; il secondo
è di tipo distruttivo e disgregante. L’effetto assoluto della successione
è ravvisato da Kurth soprattutto laddove avviene una «collisione di
armonie appartenenti a regioni tonali distanti» (ivi, p. 266), ma è evi-
dente, anche dagli esempi prodotti nel corso della trattazione, che si
tratta perlopiù di collegamenti basati sulla suddivisione simmetrica
dell’ottava, come le progressioni simmetriche per terze e i collega-
menti a distanza di tritono chiamati in causa poco più avanti da
Kurth:

233
ARMONIA , TEMPO

Con l’incremento del carattere romantico dell’arte, oltre all’effetto delle pro-
gressioni cromatiche, aumentano notevolmente le progressioni di medianti di
tutti i tipi. Gli slittamenti di armonie le cui fondamentali si trovano una terza
maggiore o minore sopra o sotto l’altra, a differenza di quelle progressioni di
medianti che appartengono a una sola scala [progressioni tonali], attirano la
nostra attenzione sul loro fascino pungente e sfaccettato. Il gusto romantico
per il colore si estende anche alle progressioni armoniche in cui le fonda-
mentali sono separate dalla quinta diminuita, dalla quarta aumentata, o da
altri intervalli alterati (ivi, p. 269).

Alla «tecnica delle progressioni romantiche» (ivi, pp. 333-5), e in par-


ticolare a quelle simmetriche (non-tonali) per terze, che suddividono
l’ottava in parti uguali (cfr. per esempio l’analisi del passaggio in Par-
sifal, III, 2, ivi, p. 277), Kurth dedica particolare attenzione, attribuen-
do loro il maggiore “effetto assoluto” e quindi la più forte carica di-
sgregatrice nei confronti della tonalità.

Se questi movimenti [melodici delle sequenze] non avvengono più come


“progressioni tonali” – ovvero, se le varie ripetizioni [del modello] non si
inscrivono più entro una sola tonalità [Tonart] – allora la continuità armoni-
ca è interrotta e si instaura semplicemente un movimento di armonie com-
plete a distanza di un certo intervallo. Sorge così la progressione extratonale.
Essa è stata anche definita “meccanica” perché melodia e accordi sono sem-
plicemente trasposti completamente invariati, mentre nella progressione tona-
le le relazioni intervallari devono andare incontro a modifiche al fine di con-
formarsi alla tonalità [Tonart] predominante (ivi, p. 334).

Dietro le espressioni “meccanico” e “assoluto” si cela evidentemente


una preoccupazione nei confronti di procedimenti armonici orientati
verso una logica simmetrica, che nell’ottica di Kurth assume un si-
gnificato “spaziale” contrario alla natura intrinsecamente dinamica dei
fenomeni armonici.

8.8
La sintesi di Arnold Schönberg

Nella riflessione teorica di Arnold Schönberg, la simmetria, se intesa


come criterio di organizzazione della forma musicale, gioca un ruolo
importante già nelle composizioni precedenti l’individuazione del me-
todo dodecafonico (Lewin, 1968), manifestandosi anche nell’interesse
per le forme palindrome – una considerazione, questa, che potrebbe
essere allargata anche ad altri compositori come Webern e Berg. Sul

234
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

piano della forma musicale, in realtà, Schönberg sembra aver conside-


rato in genere la simmetria come un criterio basilare ma al contempo
insufficiente. Nel suo pensiero, infatti, la simmetria assume un signifi-
cato equivalente a “regolarità” e “ripetizione”, antitetico cioè a “con-
trasto”. Ora, la regolarità e la ripetizione costituiscono per Schönberg
un fondamentale criterio per conferire coerenza (Zusammenhang) for-
male, ma non del tipo solitamente associato alle «forme sviluppate»
(höheren Formen), nelle quali giocano invece un ruolo decisivo il con-
trasto e l’irregolarità (Peles, 2004, pp. 57-60). Nondimeno si può dire
ugualmente che la simmetria costituisca nella sua visione un principio
basilare, strettamente legato allo stadio “embrionale” dell’evoluzione
del pensiero musicale.
Il concetto di simmetria sembra assumere più importanza se dal
terreno della forma, intesa come costituzione temporale della musica,
ci si sposta alla visione dello spazio musicale. Ciò è evidente soprat-
tutto a seguito dell’adozione, sul versante tecnico-compositivo, del
metodo dodecafonico, nel quale trovano compenetrazione la dimen-
sione verticale associata allo spazio delle altezze e quella orizzontale,
che riguarda invece l’aspetto temporale. Il metodo dodecafonico è
concepito infatti da Schönberg come un mezzo per conferire coeren-
za e comprensibilità alle successioni di suoni in ambedue le dimensio-
ni, che appaiono quindi come un tutto inscindibile.
La visione unitaria dello spazio musicale si affaccia negli scritti di
Schönberg a partire soprattutto dalla metà degli anni venti: già in un
manoscritto del 1925 (Carpenter, 1997, p. 103), mettendo a confron-
to la composizione tonale e quella dodecafonica, egli osservava che in
quest’ultima l’uso dello spazio musicale tende a tal punto ad accelera-
re i tempi di presentazione dell’idea, da rendere del tutto equivalenti
la sua esposizione successiva (melodica) e simultanea (armonica). L’i-
dea dell’unità dello spazio musicale fu poi ripresa e approfondita in
una conferenza del 1934 (Schönberg, [1934] 1974) per essere infine
formulata chiaramente nella prima parte de La composizione con dodi-
ci note (Schönberg, 1975, p. 220). Tuttavia, come vedremo, le origini
di questa idea possono essere individuate già nell’Harmonielehre del
1911.
In tale visione, lo spazio musicale si configura come uno spazio
dalle proprietà simmetriche: l’orientamento verso l’alto diviene equi-
valente a quello verso il basso, il movimento verso destra a quello
verso sinistra. Lo spazio musicale è, in altre parole, concepito in
modo totalmente simmetrico, come uno «spazio assoluto» (1974, pp.
80-4, 88-9), nel quale «non v’è, in assoluto, sopra o sotto, destra o
sinistra, avanti o dietro. Ogni configurazione musicale, ogni movi-

235
ARMONIA , TEMPO

mento di note, deve innanzitutto essere inteso come relazione reci-


proca di suoni, di vibrazioni oscillatorie, che si presentano in diversi
punti e in diverso tempo» (Schönberg, 1975, p. 223).
Sebbene l’idea di uno spazio musicale dalle proprietà simmetriche
riguardi una fase della riflessione teorica e della produzione musicale
di Schönberg situata al di là del periodo storico che è al centro della
nostra attenzione, è interessante osservare come essa sia prefigurata
già nella riflessione schönbergiana sull’armonia, tradizionalmente inte-
sa, e sulla tonalità. Il nucleo essenziale del pensiero di Schönberg at-
torno a questi aspetti è esposto nell’Harmonielehre, la cui stesura, tra
il 1909 e 1911, si colloca all’indomani di una fase di attività creativa
determinante per l’evoluzione del pensiero musicale nella direzione di
un estremo allargamento dei confini tonali. Sebbene le idee fonda-
mentali sull’armonia tracciate in questo scritto abbiano conosciuto in
parte un’evoluzione, in funzione soprattutto dei mutamenti intervenu-
ti nella concezione del metodo dodecafonico e degli adattamenti ne-
cessari alla differente situazione culturale degli Stati Uniti (dove
Schönberg era emigrato nel 1933), in buona misura esse sono ricono-
scibili nella successiva produzione teorica di Schönberg, assieme alla
quale formano nel complesso un pensiero unitario. In tal senso una
lettura dell’Harmonielehre effettuata alla luce degli scritti posteriori
non rischia di essere snaturante.
La visione di Schönberg dell’armonia e della tonalità sembra pre-
sentare, a prima vista, alcune analogie con la visione simmetrica della
teoria dualista di Riemann. A un livello molto basilare, tanto Rie-
mann quanto Schönberg concepiscono la tonalità come una rete di
relazioni che si instaura con un centro (Schönberg, 1975, pp. 270,
282). All’idea che la tonalità sia espressa dal relazionarsi di un certo
numero di suoni con una nota fondamentale corrisponde, nella visio-
ne di Schönberg, la concezione della dodecafonia quale metodo per
porre tutti i dodici suoni della scala cromatica in relazione reciproca,
piuttosto che con un unico centro (ivi, p. 218). Schönberg sembra in
parte concepire le relazioni col centro tonale secondo una simmetria
che richiama alla mente la teoria dualista. Nell’Harmonielehre egli so-
stiene infatti che se una nota è considerata come punto centrale, allo-
ra si delineano due forze opposte, la prima che spinge in basso verso
la sottodominante, la seconda che spinge in alto verso la dominante
(Schönberg, [1911] 1963, p. 27). La simmetria sembra poi giocare un
ruolo importante nel suo innovativo concetto di “monotonalità”,
esposto per la prima volta in modo sistematico nel volume Structural
Functions of Harmony. Schönberg ([1954] 1967, pp. 48-9) illustra qui
il concetto in base al quale in un dato brano musicale esiste sola-

236
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

mente una tonalità, e che tutte le cosiddette modulazioni devono es-


sere intese solamente come espansioni di questa tonalità. Ogni affer-
mazione momentanea di una tonalità differente deve cioè essere con-
siderata solo come una “regione” che espande uno dei gradi della
scala della tonalità di riferimento come se fosse esso stesso una tona-
lità (lo stesso concetto è illustrato in Schönberg, [1934-36] 1995, pp.
330-1). Tale idea era già prefigurata nella trattazione delle modulazio-
ni dell’Harmonielehre, dove Schönberg ([1911] 1963, p. 190) stabili-
sce il grado di affinità tra le tonalità in base al tradizionale criterio
del circolo delle quinte, ossia in base al numero di alterazioni diffe-
renti, aggiungendo però che tale criterio non è sufficiente a classifica-
re tutti i vari gradi di affinità, dal momento che vi sono tonalità deci-
samente affini che appaiono invece lontane nel circolo delle quinte –
il riferimento è alle tonalità raggiungibili mediante lo scambio di
modo (maggiore-minore). In Structural Functions of Harmony Schön-
berg approfondisce ulteriormente il concetto incorporando sistemati-
camente le relazioni di terza (mediante e sottomediante). Il risultato è
la Tavola delle regioni riprodotta nell’esempio 8.9 (basato sull’edizio-
ne inglese del 1969, l’edizione italiana del 1967 presenta alcune di-
screpanze) – dove Schönberg adotta simboli che suggerirebbero a
prima vista un orientamento verso la teoria funzionale – che esprime
le relazioni tra tonalità nel modo maggiore. Come si può notare, sul-
l’asse orizzontale si delinea, mediante il meccanismo dello scambio
modale, un seguito di terze minori, esattamente come si è visto per la
tabella di Erpf (esempio 8.6, dove le terze compaiono però sull’asse
verticale). In verticale si hanno invece le relazioni di quinta. La tona-
lità d’impianto funge quindi da fulcro attorno al quale tutte le regioni
si bilanciano simmetricamente. Oltre alla forte analogia con la tavola
delle relazioni tra le triadi di Erpf (una copia degli Studien di Erpf
era effettivamente in possesso di Schönberg; Bernstein, 1992, p. 40),
si potrebbe intravedere anche un’analogia con il modello simmetrico
del Tonnetz – nel quale la serie delle terze minori compare in diago-
nale anziché in orizzontale (ivi, p. 32).
Tuttavia tra la visione di Schönberg e quella di Riemann vi è,
proprio su questo punto, una differenza decisiva. Riemann, come si è
visto, nega alla scala diatonica un ruolo fondamentale nella definizio-
ne della tonalità, che basa invece su una struttura radiale di relazioni
funzionali delineate dai tre intervalli fondamentali di ottava, quinta
giusta e terza maggiore. Al contrario, la teoria delle affinità tra regio-
ni tonali di Schönberg si fonda sulla struttura (non simmetrica) della
scala diatonica. Le regioni di La b maggiore e Mi maggiore, per esem-
pio, che nella teoria di Riemann sarebbero considerate direttamente

237
ARMONIA , TEMPO

ESEMPIO 8.9

Fonte: Schönberg (1967; ed. ingl. 1969, p. 20).

affini a Do maggiore (esempio 8.5), sono considerate da Schönberg


rispettivamente come regione della sottomediante maggiore abbassata
di semitono ( bSM) e regione della mediante maggiore (M): di queste
due, la prima presenta, in base alla classificazione di Schönberg
([1954] 1967, pp. 109-10), una relazione «indiretta ma vicina» con la
tonica, la seconda addirittura una relazione «indiretta». I vari gradi
di affinità nella classificazione di Schönberg tengono infatti conto
delle affinità tra le rispettive scale diatoniche. La Tavola delle regioni
corrisponde del resto alla teoria del «grado di affinità» (Verwan-
schaftgrade) tra tonalità esposta da Gottfried Weber nel Versuch einer
geordneten Tonsetzkunst (1817-21), anch’essa fondata sulle affinità
tra le scale (Bernstein, 1992, p. 38; 2002, p. 786). La versione origina-
ria della Tavola delle regioni, contenuta in uno scritto del 1936 dal
titolo Konstruktionelle Funktion der Harmonie (Schönberg, [1934-36]

238
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

1995, pp. 338-9), non faceva uso dei simboli di tipo funzionale per
indicare le regioni, ma semplicemente dei numeri romani normal-
mente impiegati per i gradi della scala.
La visione delle relazioni tra le regioni di Schönberg si pone
quindi in linea con la tradizione viennese della “teoria dei gradi” fon-
data sulla scala diatonica – e in particolare con quella di Simon Sech-
ter (Wason, 1985, pp. 136-8) forse veicolata attraverso l’insegnamen-
to di Anton Bruckner (Orel, 1940, pp. 4-6). La concezione simme-
trica di Riemann dipende invece direttamente dalla sua visione duali-
stica della struttura del suono (Klang) e pone decisamente in secondo
piano la scala diatonica. Schönberg, del resto, non accolse la visione
simmetrica del Klang fondata sulla teoria della risonanza inferiore:
nell’Harmonielehre (Schönberg, [1911] 1963, p. 96) osserva che la re-
lazione dualistica tra modo maggiore e modo minore potrebbe sugge-
rire che il sistema tonale è rigidamente ordinato secondo un princi-
pio universale; tuttavia sottolinea anche che tale relazione non può
essere in alcun modo immaginata come qualcosa di già dato in natu-
ra (ivi, p. 95).
Un secondo punto di distacco tra Schönberg e Riemann si ha sul
piano del rapporto tra natura e pensiero. Tanto per Schönberg
quanto per Riemann, la logicità dei rapporti tra suoni e armonie è
garantita, in ultima analisi, dai rapporti intervallari racchiusi nella
serie degli armonici; tuttavia mentre per Riemann tali intervalli si ri-
ducono sostanzialmente all’ottava, alla quinta e alla terza maggiore,
per Schönberg le relazioni comprensibili includono una serie di rap-
porti più ampia e in continua espansione, in virtù di un processo
storico-evolutivo cui è sottoposto il modello naturale degli armonici.
In un saggio intitolato Probleme der Harmonie, Schönberg (1975, p.
270) esamina il problema di come si possa instaurare una rete di re-
lazioni tra le note di una particolare scala e una nota fondamentale,
riconducendolo al problema più fondamentale di come sia logica-
mente possibile l’instaurazione di un relazione tra due soli suoni.
Ciò è garantito, secondo Schönberg, dal fatto che già il singolo suo-
no è in realtà composto da una nota fondamentale e da una serie di
armonici (ivi). Così, per Schönberg, la logicità della scala maggiore
dipende dal fatto che essa è costituita dalle note contenute nei primi
sei armonici delle note fondamentali delle tre armonie di tonica, do-
minante e sottodominante (Do, Fa e Sol), le quali, a loro volta, sono
contenute una nell’altra come armonici (Do è il terzo armonico di
Fa; Sol è il terzo armonico di Do). L’origine della scala cromatica
risiede invece negli armonici superiori al sesto. Questa progressiva
incorporazione degli armonici di ordine superiore all’interno del si-

239
ARMONIA , TEMPO

stema sonoro in uso equivale a ciò che Schönberg definisce «eman-


cipazione della dissonanza» (ivi, pp. 216-7), un concetto nel quale si
può cogliere al contempo il debito di Schönberg nei confronti della
tradizione fisicalistica e il suo superamento. Le origini di tale con-
cetto sono nuovamente nell’Harmonielehre, dove Schönberg ([1911]
1963, pp. 390-434) mette in discussione il tradizionale concetto di
“suoni estranei all’armonia”, concependo l’armonia come un sistema
in continua evoluzione nel quale il progressivo aumento degli incon-
tri verticali ammissibili corrisponde all’incorporazione, nel sistema
stesso, dei suoni armonici più lontani dal suono fondamentale (ivi,
p. 401). In virtù della sua origine attraverso l’emancipazione della
dissonanza, la scala cromatica costituisce, secondo Schönberg, un
nesso di relazioni solo più complesso ed emancipato della scala dia-
tonica, uno cioè all’interno del quale l’individuazione di una nota
fondamentale diviene più difficoltosa (1975, p. 272). Di conseguenza
anche la tonalità, intesa come relazione di tutti i suoni con un cen-
tro, costituisce per Schönberg solamente una delle possibili modalità
di organizzazione delle altezze (Schönberg, [1911] 1963, pp. 34-5;
1975, p. 259), sebbene una delle più logicamente relazionate alla na-
tura del suono (Schönberg, 1975, p. 270).
In secondo luogo, a differenza delle impostazioni teoriche più
prettamente fisicalistiche, Schönberg, pur derivando la scala e gli ac-
cordi dal modello naturale della serie degli armonici, non si arena
sulla questione del temperamento naturale e accoglie come un dato
di fatto consolidato dalla pratica l’equiparazione dei dodici semitoni e
l’equivalenza enarmonica. Discutendo del circolo delle quinte, ad
esempio, trova superfluo e contrario alla pratica musicale considerare
i suoni enarmonici come effettivamente distinti: «ho letto da qualche
parte che l’espressione circolo delle quinte non sarebbe del tutto per-
tinente, e che i nomi delle tonalità dovrebbero essere indicati, per es-
sere esatti, su una spirale, perché Do b maggiore non è uguale a Si
maggiore, né per origine né per numero di vibrazioni; in altre parole,
la linea non dovrebbe tornare esattamente su se stessa. È un’afferma-
zione curiosa: [...] quanto a me io so comporre ma non sono un teo-
rico e insegno solo l’artigianato della composizione» (Schönberg,
[1911] 1963, pp. 190-1, nota). Nell’ottica di Schönberg, infatti, gli in-
tervalli naturali della serie degli armonici costituiscono un modello
dal quale però l’esperienza artistica si allontana e si emancipa pro-
gressivamente (ivi, p. 482).
È dall’imitazione del modello degli armonici naturali, intesa però
nel senso di questa emancipazione, che si originano, secondo Schön-
berg, tanto l’armonia quanto la melodia. Ipotizzando un’origine co-

240
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

mune di scale e accordi, Schönberg (ivi, pp. 23, 26, 313-5) poneva
già nell’Harmonielehre una premessa essenziale per l’equiparazione
delle due dimensioni – verticale e orizzontale: «Se la scala è l’imita-
zione del suono nella dimensione orizzontale, successiva, gli accordi
ne sono l’imitazione nella dimensione verticale, nella simultaneità. Se
la scala è analisi, l’accordo è sintesi del suono» (ivi, p. 31). «La scala
[è] intesa come un’imitazione orizzontale e gli accordi [...] come imi-
tazione verticale (più o meno fedele) del modello dato in natura, cioè
del suono» (ivi, p. 482).
In definitiva, è evidente come le origini della concezione simme-
trica dello spazio musicale di Schönberg abbiano poco a che vedere
con la visione dualistica, e vadano ricercate in altri aspetti riguardanti
la concezione dell’armonia e della tonalità. Nel fare questo si deve
considerare innanzitutto che l’armonia è intesa da Schönberg come il
punto di incontro delle varie forze dinamiche che agiscono nell’opera
d’arte musicale. La sua trattazione deve essere quindi inquadrata in
una visione più ampia che abbraccia e riunisce le varie componenti
(armonia, contrappunto, ritmo, strumentazione, forma). L’integrità
dell’organismo musicale, e la conseguente necessità di una sua osser-
vazione multilaterale, costituisce infatti una delle idee costanti e fon-
damentali in tutta la produzione teorica schönberghiana. Schönberg
avvertì la necessità di un approccio teorico che tenesse conto dell’a-
zione combinata delle varie componenti già a partire dagli anni della
Harmionielehre (Schönberg, 1995, pp. XVI-XVII), necessità alla quale
corrisposero poi una serie di scritti rimasti inediti e perlopiù incom-
pleti – in particolare Zusammenhang, Kontrapunkt, Instrumentation,
Formenlehre, del 1917 (Schönberg, [1917] 1994) e un gruppo di testi
incentrati sul concetto di “pensiero musicale”, elaborati tra il 1923 e
il 1936 (Schönberg, 1995). È solo nel contesto di una simile visione
teorica unificata che si comprende la definizione di “armonia” formu-
lata nell’Harmonielehre: «L’armonia è la teoria degli accordi e delle
loro possibilità di collegamento con riguardo ai loro valori architetto-
nici, melodici e ritmici e ai loro rapporti di equilibrio» (Schönberg,
[1911] 1963, p. 14).
Schönberg sottolinea ripetutamente come l’armonia possieda una
fondamentale funzione strutturante in relazione alle varie componenti
interagenti nell’opera. Essa non rappresenta in alcun senso una sorta
di “addizione verticale” alla melodia, ma costituisce piuttosto l’inte-
laiatura stessa dell’edificio musicale (ivi, pp. 360-8). A questa visione
dell’armonia corrisponde l’idea che lo spazio tonale sia multidimen-
sionale, non solo in virtù della comune origine delle due dimensioni
(orizzontale e verticale), ma anche nel senso di una stretta interazione

241
ARMONIA , TEMPO

tra differenti livelli: melodico, armonico, dell’organizzazione tonale,


formale. Secondo Schönberg qualsiasi evento musicale ha conseguen-
ze sull’intero spazio multidimensionale:

Nel formulare la nozione concernente l’unità dello spazio musicale, mi basai


su un’asserzione che è stata fatta da diversi teorici precedenti, ovvero che gli
accordi sono il prodotto verticale degli armonici, mentre la scala è il pro-
dotto orizzontale. Portai questa idea alla sua conclusione e arrivai quindi a
una concessione nella quale il verticale e l’orizzontale, l’armonico e il melodi-
co, il simultaneo e il successivo erano in realtà compresi all’interno di uno
spazio unificato. Segue da questo che tutto ciò che accade in un punto di
questo spazio, accade non soltanto lì ma anche in ogni aspetto dimensionale
del continuum spaziale, di modo tale che un qualsiasi moto melodico parti-
colare, per esempio un movimento di semitono cromatico, non avrà soltanto
i suoi effetti sull’armonia ma anche su tutto ciò che è compreso all’interno di
questo continuum spaziale (Schönberg, [1934] 1974, pp. 82-3; il testo in cor-
sivo corrisponde al sottolineato nell’originale di Schönberg).

È evidente, da questo passaggio, come la figura motivica («un moto


melodico particolare») sia per Schönberg l’elemento che possiede
maggiori implicazioni sulle varie dimensioni dello spazio musicale.
Nella sua ottica, infatti, l’armonia è una pura astrazione se considera-
ta indipendentemente dall’aspetto motivico:

Poiché molti collegamenti di accordi [...] non hanno una origine esclusiva-
mente armonica in quanto derivano da un movimento melodico, si presenta
la necessità di disporre le successioni in modo che gli influssi melodici possa-
no risultare visibili. [...] Gli accordi vengono rappresentati sulla carta come
combinazione di note che provengono dal movimento delle parti; non si di-
mentichi però che in armonia manca il motore di questo movimento di parti,
cioè il motivo [das Motiv] (Schönberg, [1911] 1963, p. 43, trad. rettificata).

Il motivo mette in azione l’armonia e l’organizzazione tonale su am-


pia scala. A proposito del rapporto tra la tonalità del secondo tema
(La maggiore) e la tonalità di impianto (Fa maggiore) del primo mo-
vimento della Terza Sinfonia di Brahms, per esempio, Schönberg ipo-
tizza una sorta di riverberazione di un motivo fondamentale di terza
minore comparso al basso nella terza e quarta battuta (ivi, p. 202). In
altre parole, il percorso attraverso le regioni tonali è una funzione del
materiale motivico, che imprime una curvatura allo spazio musicale a
tutti i livelli.
In secondo luogo, il motivo possiede per Schönberg un carattere
prettamente dinamico che trova corrispondenza sul piano dell’armo-

242
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

nia: «Qualsiasi suono che è aggiunto ad un suono iniziale rende il


significato di quel suono incerto. [...] In tal modo si produce uno
stato di instabilità [unrest], di sbilanciamento [unbalance] che cresce
attraverso gran parte del brano ed è rinforzato ulteriormente da simili
funzioni del ritmo» (Schönberg, 1975, p. 123). Analogamente l’armo-
nia crea una serie di stati di instabilità e stabilità attraverso percorsi
«tortuosi, [...] che portano in tutte le direzioni, raggiungendo un
punto di partenza e lasciandolo di nuovo» (Schönberg, [1934-36]
1995, p. 309). La funzione tonale di un accordo, infatti, non è data
per Schönberg solamente dalla sua posizione rispetto alla tonica
(come è invece per la teoria funzionale di Riemann) ma anche della
sua capacità di confermarla o destabilizzarla, vale a dire dalle sue ten-
denze centripete o centrifughe, che sono sempre compresenti. La me-
desima considerazione vale per i rapporti tra le regioni tonali. La to-
nalità si delinea così come un “campo di forze” che si oppongono e
si attraggono reciprocamente (Carpenter, 1997). Questa enfasi sull’a-
spetto “dinamico” ed “energetico” da parte di Schönberg si presta ad
un accostamento al pensiero di Kurth.
Il punto di partenza della concezione simmetrica dello spazio mu-
sicale di Schönberg va quindi ricercato in un concetto multidimensio-
nale di “funzione tonale”, nel quale l’aspetto motivico gioca un ruolo
decisivo. La figura (Gestalt) motivica, infatti, assume una rilevanza
tale da rimanere riconoscibile in qualunque direzione e disposizione,
orizzontale o verticale, si presenti: nel manoscritto Der musikalische
Gedanke und die Logik Technik und Kunst seiner Darstellung, sotto il
titolo Symetrie si legge: «La simmetria è uno dei principi più sem-
plici: alla destra dell’asse c’è la stessa cosa (a distanza uguale, in
quantità uguale ecc.) che a sinistra. L’inversione e il principio dello
specchio e il retrogrado sono sostanzialmente la stessa cosa. Il loro
vantaggio, oltre a una più facile comprensibilità, è che essi offrono
una nuova Gestalt che in realtà ha la stessa reazione interna, sola-
mente in ordine o direzione inversi» (Schönberg, [1934-36] 1995, pp.
296-9).
È sostanzialmente grazie al ruolo centrale svolto dalla figura moti-
vica che la distinzione destra-sinistra e alto-basso viene annullata e lo
spazio musicale si configura come un luogo dalle proprietà simmetri-
che. Sottoposte ad un gruppo di trasformazioni fondate sulla simme-
tria, le qualità figurali rimangono invariate nel senso proprio della
Gestaltpsychologie (Orcalli, 2000, pp. 149-66):

La nozione di concezione assoluta dello spazio musicale è strettamente relazio-


nata a quella precedente [di unità dello spazio musicale]. Di conseguenza,

243
ARMONIA , TEMPO

nello spazio musicale non v’è né una direzione assoluta verso l’alto né verso
il basso, né in avanti né indietro, dal momento che ogni direzione diverrà
l’altra da un punto differente dello spazio. Per illustrare questo fenomeno,
sarà utile ricordare che noi [...] riconosciamo un orologio, per esempio, o
una bottiglia o un fiore, a prescindere dalla posizione nella quale essi sono
posti. [...] Mi sono reso conto di ciò prendendo coscienza del fatto che nel-
l’elaborazione tematica il motivo spesso appare in posizioni – inverse, retro-
grade, retrograde-inverse ecc. – che non sono costruite consapevolmente, ma
percepite istintivamente (Schönberg, [1934] 1974, pp. 82-3; il testo in corsi-
vo corrisponde al sottolineato nell’originale di Schönberg).

Nella visione di Schönberg la figura motivica è concepita, allo stesso


modo di Kurth, come un flusso agogico (Bewegungszug) unitario, le
cui implicazioni dinamiche si riverberano sulle varie dimensioni (me-
lodica, armonica, e delle regioni tonali) dello spazio musicale:

Un motivo è qualcosa che causa movimento. Un movimento è la modifica-


zione di uno stato di quiete, che lo tramuta nel suo opposto. Conseguente-
mente si può comparare un motivo ad una forza propulsiva. [...] Una certa
cosa si chiama motivo se è già sotto l’effetto di una forza propulsiva, se ha
ricevuto il suo impulso, e se si trova già sul punto di realizzarne le sue con-
seguenze. [...] Il più piccolo evento musicale può divenire un motivo se gli si
consente di avere un effetto; già la singola nota può avere delle conseguenze
(Schönberg, [1917] 1994, p. 5).

Se, quindi, alla base della visione simmetrica dello spazio musicale
vi è un’idea di motivo dal carattere prettamente dinamico, si com-
prende facilmente perché nell’Harmonielehre i costrutti armonici
simmetrici siano sempre interpretati come processi dinamici di ori-
gine melodico-lineare e in base alla tradizionale dialettica tensione-
distensione. Schönberg ([1911] 1963, pp. 301-36) attribuisce agli
accordi simmetrici (settime diminuite, triadi eccedenti, seste ecce-
denti di vario tipo ecc.) da lui definiti «vaganti», un ruolo fonda-
mentale nel processo che porta la tonalità al limite estremo dei suoi
confini (la «tonalità sospesa», ivi, pp. 480-1). Nello scritto Structural
Functions of Harmony (Schönberg, [1954] 1967, pp. 27-8), comple-
tato nel 1948, Schönberg illustra la differenza tra il concetto di mo-
dulazione e quello di «armonia vagante»: a differenza della prima,
quest’ultima non esprime univocamente alcuna tonalità o regione
tonale specifica (e pertanto è particolarmente adatta alle zone for-
mali di sviluppo). L’armonia vagante svolge secondo Schönberg (ivi,
pp. 225-6) un ruolo nell’allargamento e nella disgregazione della to-
nalità perlomeno analogo a quello degli accordi vaganti descritti

244
8. ARMONIA COME SIMMETRIA

nell’Harmonielehre. Essa trae il proprio carattere ambiguo non tan-


to dalla presenza di accordi simmetrici (poiché altrettanto spesso si
tratta di una successione di semplici triadi o settime di dominante),
quanto dalla molteplicità di significato che gli accordi acquistano al-
l’interno della sua particolare struttura. Le osservazioni di Schön-
berg circa la natura dell’armonia vagante rimandano costantemente
ad uno stretto legame con l’aspetto lineare-contrappuntistico: uno
degli esempi più caratteristici di armonia vagante prodotti da
Schönberg (ivi, pp. 28, 132-3) consiste in un prototipo di progres-
sione nella quale le parti estreme si muovono cromaticamente per
moto contrario, fungendo da intelaiatura per una serie di armonie
vaganti prodottesi all’interno (Schubert, 1993).
La tendenza a interpretare i fenomeni armonici nell’ottica della
dinamica propulsiva delle linee melodiche investe anche i costrutti ar-
monici più avanzati nel senso della simmetrizzazione. Nel capitolo
dedicato alla scala per toni interi, Schönberg ([1911] 1963, pp.
488-98) si sforza di mostrare come l’uso di questo costrutto derivi
storicamente dall’impiego sistematico della triade eccedente, e risulti,
sul piano tecnico-compositivo, da procedimenti di tipo melodico-con-
trappuntistico che prevedono un movimento delle parti estremamente
“emancipato”. È evidente l’intenzione di Schönberg di interpretare i
nuovi aggregati nel contesto del loro rapporto con i costruiti tradizio-
nali: «Debussy impiega questo accordo e questa scala [esatonici] più
nel senso di mezzi espressivi impressionistici, quasi in funzione di
timbro [...], mentre io, avendo originato questi fenomeni per via ar-
monico-melodica, ho inteso questi accordi più come una possibilità
di collegamento con altri accordi e la scala come un mezzo reale di
trasformazione della melodia» (ivi, p. 492).
In effetti nella visione di Schönberg le armonie basate sulla colle-
zione esatonica sembrano possedere una funzione propulsiva, che li
avvicina ai costruiti armonici della tradizione, fondati sulla tensione
dominantica. Diversamente, nella musica di Debussy, la scala esatoni-
ca funge da collezione basilare di riferimento la cui natura simmetrica
priva il decorso armonico di tensione propulsiva, ponendolo in una
condizione di costante “equilibrio” attorno a diversi centri gravitazio-
nali equidistanti.
Anche le armonie (simmetriche) per quarte, alle quali Schönberg
dedica un’ampia trattazione nell’Harmonielehre, sono fatte derivare
dal moto emancipato delle parti, e associate a un carattere propulsivo
analogo a quello di un’armonia di dominante (ivi, p. 506). La risolu-
zione della carica tensiva avviene solitamente, negli esempi di Schön-
berg, per moto cromatico. Il carattere propulsivo è garantito dalla lo-

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