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A SILVIA ​(pag.

63)

Tra il 1827 e il 1828 Leopardi, nonostante le precarie condizioni di salute, colse ogni
possibile occasione per vivere lontano da Recanati, optando per stabilirsi a ​Pisa​.
Proprio nella città toscana nacque ​A Silvia nell’aprile del ​1828​, componimento presente
nella raccolta ​canti pisano-recanatesi​.

Nella ​prima strofa il poeta si rivolge a ​Silvia, ​la cui vita mortale è giunta ad una
conclusione e ciò che ne rimane non è altro che un ricordo evanescente.
La tradizione ha identificato ​Silvia con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa
Leopardi, morta di tubercolosi secondo alcuni a diciotto anni, secondo altri a ventuno; si
ipotizza conoscesse personalmente il poeta e che si fosse anche rivolta a lui per chiedergli
lezioni. Tuttavia nel componimento -fatta eccezione per il titolo- non vi sono altri
riferimenti a ​Silvia​, bensì di lei si ricordano la beltà che splendea (v.3), gli occhi ridenti e
fuggitivi (v.4), il suo essere lieta e pensosa (v.5); ma si ritiene, in realtà, che sia solo una
costruzione mentale, un fantasma dell’immaginazione poetica che assurge a simbolo della
speranza giovanile irrealizzata e della giovinezza prematuramente interrotta dalla morte.

Lo spunto da cui ha origine la poesia è sicuramente un dato reale, sottoposto, però, ad una
serie di ​filtri ​che depurano la realtà​, togliendole l’urgenza materiale propria dell’​arido vero​.
In questo caso il poeta adopera il ​filtro della memoria​, la cui funzione si concretizza nel
rendere indefinite e poetiche le cose.
Nella ​seconda strofa​, infatti, prende vita il ricordo di ​Silvia intenta a tessere mentre
immaginava il suo futuro, definito ​vago, i​ n riferimento al fatto che fosse al tempo stesso
indeterminato, così come bello e desiderato.
Una delle caratteristiche del linguaggio di Leopardi, inoltre, è l’impossibilità di essere reso
completamente in prosa: maggio odoroso (v.13) [così come le vie dorate del v.24]

Nella ​terza strofa Leopardi continua a ricordare ciò che aveva modo di vedere solo
attraverso una finestra. Vi è, quindi, un ​filtro concreto e materiale​: in ​A Silvia​, infatti, il
mondo esterno è percepito dal poeta attraverso la finestra del ​paterno ostello (v.19)​, che
impedisce il contatto immediato con la realtà.
Leopardi, successivamente, attraverso un parallelismo tra l’esperienza della ragazza e la
propria, ricorda la sua giovinezza. La lirica, infatti, non propone un preciso rapporto
sentimentale tra i due giovani, ma ciò che unisce la fanciulla del popolo e il giovane poeta
aristocratico è solo la loro condizione giovanile, con le speranze e i sogni che reca con sé.
Il ricordo di Recanati, ormai lontano, assume una connotazione positiva (​studi leggiadri​,
v.15). Allora dai balconi della casa in cui viveva aveva modo di ascoltare la voce di Silvia,
mentre osservava le sue mani scorrere velocemente sulla tela che lavorava.
Si ha qui il ​filtro dell’immaginazione​, che nel rapporto con il reale determina una sorta di
doppia visione,​ poiché il dato fisico del canto non è tanto percepito con i sensi, quanto,
appunto, trasfigurato attraverso l’immaginazione.
Vi è, inoltre, un filtro letterario​, che si potrebbe considerare strettamente legato a quello
della memoria, in quanto si ha la sovrimpressione sul reale del ricordo di passi poetici: in
particolare la scena di Silvia che canta mentre è intenta al telaio si sovrappone con il
ricordo virgiliano del canto di Circe, passo molto caro a Leopardi in quanto esempio
mirabile del carattere immaginoso della poesia antica.
La strofa si conclude con una sensazione di pienezza (​mirava il ciel sereno, v.23​) e quasi
riprende il topos dell’ineffabilità, poiché dichiara che la ​lingua mortal (v.26) “n
​ on dice quel
che sentiva in seno”.
Ancora più vaga è la raffigurazione del mondo esterno, in quanto il poeta non offre vere e
proprie descrizioni ma solo pochi aggettivi (vv-23-25).

Nella ​quarta strofa​, il poeta afferma di essere oppresso da grande dolore al ricordo della
speme (​dal latino spem, ovvero speranza, ricorre solo nella lingua letteraria e
abitualmente in Leopardi) che caratterizzava gli anni della giovinezza, motivo per cui
inveisce contro una natura che ritiene crudele, colpevole di ingannare i ​suoi figli,​ non
dando loro quanto promesso.
L’illusione recuperata dalla memoria, quindi, non può più essere vissuta ingenuamente
come negli anni giovanili, infatti essa risorge accompagnata dalla consapevolezza del ​vero
e dell’​infinita vanità del tutto (​ ​filtro filosofico​).

Oggetto della ​quinta strofa è una riflessione sulla morte di Silvia, sconfitta da una
malattia prima del sopraggiungere dell’età matura, motivo per cui non ebbe modo di
godere dei suoi anni migliori, le dolci lodi a lei rivolte non avevano modo di allietare la sua
sofferenza. né le compagne parlavano d’amore con lei nei giorni di festa.

Nell’​ultima ​(sesta) strofa del componimento, invece, il poeta pone l’attenzione su come il
destino avverso causò anche ​la morte ​della sua speranza, con cui si identifica in chiave
simbolica Silvia, vedendosi, dunque, negato anche la sua giovinezza,
La ​riflessione​ portata avanti diventa poi oggettiva, ​universale​.
Leopardi chiedendosi quale sia ​la sorte delle umani gente (v.59), ​individua come unica
risposta ​la fredda morte ed una tomba ignuda (v.62).
struttura

La lirica è costruita con grande sapienza stilistica.

Dal punto di vista metrico vi è un’assoluta libertà che, oltre a rappresentare una grande
innovazione inaugurata proprio da questo canto, asseconda perfettamente la tendenza alla
vaghezza e all’indefinitezza; vi sono, in particolare, sei strofe di varia lunghezza in cui si
alternano endecasillabi e settenari, senza alcuno schema fisso.

La sintassi ​è caratterizzata da periodo brevi e con poche subordinate, prevalentemente


temporali. Tuttavia nelle strofe 4 e 6 la sintassi è arricchita da esclamazioni ed interrogazioni.

A livello morfologico​, invece, risalta l’opposizione dell’imperfetto ​e del ​presente, a cui si


alternano anche verbi coniugati al​ ​passato remoto.
➢ L’​imperfetto indica la continuità nel passato, è il ​tempo della memoria e dell’illusione
(strofe 1, 2, 3 e 5), mentre il ​passato remoto​, che traduce l’ariosto greco, fa riferimento
ad un’​azione puntuale​ ed indica la ​consapevolezza del poeta​ (v.50).
➢ Il ​presente​, invece, non presenta il vagheggiamento tipo del passato, bensì è il ​tempo
del vero e della delusione​, presente nelle strofe 4 e 6, in cui il poeta trae un amaro
bilancio, riproponendo l’immagine di una natura nemica dell’uomo.

Anche ​il lessico ​risponde alla poetica dell’indefinito: le strofe sono ricche di
➢ termini vaghi che Leopardi considera sommamente poetici (quali ​fuggitivi (v.4), quiete
(v.7), perpetuo (v.9), vago (12), odoroso (v.13), da lungi (v.25), dolce (v.45).​);
➢ vocaboli suggestivi​, poiché caratterizzati da una patina arcaica (quali ​rimembri (v.1),
veroni (v.19), ostello (v.19), giovanezza (v.52).)​ .

A livello fonico colpisce il ricorrere frequente della sillaba ​vi (disseminazione fonica, prevalente
nelle prime due strofe, intorno al nome di Sil​vi​a)​, che ricorre 19 volte nel componimento, le
assonanze delle lettere t, m, n, l.
approfondimenti

Il canto segna la ​riscoperta dell’ispirazione poetica da parte di Leopardi dopo l’abbandono


temporaneo della poesia a favore della prosa filosofica delle Operette morali,
Il componimento appartiene, dunque, ai ​canti pisano-recanatesi (noti anche con la
denominazione di ​grandi idilli)​, il cui titolo indica una poesia lirica non legata a una forma
metrica precisa, adoperata per esprimere una meditazione sull’esistenza dell’uomo,
contrassegnata però dall’approdo al cosiddetto ​pessimismo cosmico​.
L’autore riprende i temi dei primi idilli* (1819-1821): l’io poetico è sempre soggetto della poesia,
espressione dei sentimenti e moti interiori; sono presenti illusioni e speranze proprie della
giovinezza, quadri di natura serena, suoni e immagini vaghe e indefinite, liete ma al tempo
stesso rarefatte dalla memoria e accompagnate dalla ​consapevolezza del dolore e della morte​.

*un idillio, dal greco eidyllion (idiullion), è nella tradizione letteraria un breve componimento
lirico che tratta di vicende relative alla vita campestre e contadina; tuttavia Leopardi nelle sue
opere non punta a trattare la serenità della natura e della campagna in sé, quanto a riportare la
serenità del paesaggio e la "sensazione di vago" sulla propria persona, per rappresentare i
momenti essenziali del suo mondo interiore.

Nel componimento si può cogliere anche un rimando al latino s​ ilvae, m ​ a soprattutto il nome
Silvia fa riferimento all’eroina dell’​Aminta di Tasso e rimanda, di conseguenza, ad un mondo
pastorale.
➢ L’Aminta è un dramma pastorale, un’opera scritta in versi e ricca di sfumature
voluttuose, ambientata in luoghi silvestri e che vede come personaggi pastori, ninfe,
satiri e creature del bosco. ​Il mondo in cui la storia è ambientata è una specie di
paradiso terrestre non toccato dal peccato né tanto meno dalla consapevolezza di
esso; è la dimensione in cui l'essere umano raggiunge la perfezione seguendo il
proprio istinto naturale.
Si incentra sull'amore del pastore Aminta per la ninfa Silvia, ritrosa e scontrosa,
che solo alla fine, mossa dalla pietà, si decide a riconoscere il proprio sentimento e
ad accettare quello del pastore. Il contenuto dell'opera si fonda su colpi di scena ed
equivoci, per approdare, però, alla vittoria dell'amore.
La finzione pastorale, dunque, permette al poeta di esprimere liberamente il proprio
sogno di vita e di avvertirne la distanza incolmabile dalla società in cui vive.

Nel componimento, come abbiamo visto, è presente un’estrema vaghezza, non casuale, ma che
corrisponde ad una precisa poetica leopardiana: ​la tendenza al vago e indefinito​.
Nello Z
​ ibaldone​, una sorta di diario intellettuale di cui Leopardi iniziò la stesura nel 1817, il
poeta annotava materiali differenti in seguito alle sue meditazioni o alle sue letture, i quali
risultano fondamentali per seguire l’evoluzione del suo pensiero.
In particolare in esso è presente una riflessione che collega la ​teoria dell’indefinito alla ​doppia
visione​ della realtà attraverso l’​immaginazione​.
All’inizio del testo Leopardi evoca l’immagine dell’uomo sensibile e provvisto di grande
immaginazione, affermando che quest’ultimo ha la capacità di vedere il mondo e gli oggetti in
modo doppio, capacità in cui consiste il bello e il piacevole delle cose.
In un altro estratto, invece, sempre in relazione alla teoria dell’indefinito, assume un ruolo di
rilievo la ​memoria​: l’autore afferma che qualunque cosa attrai da fanciulli è sempre vaga e
indefinita, poiché qualunque piacere della fanciullezza tende all’infinito. In età adulta, invece, il
piacere di una sensazione si determina e circoscrive. Da qui comincia l’idea della ​rimembranza
della fanciullezza​: Leopardi, infatti, crede che la maggior parte delle immagini e sensazioni
indefinite che si provano da adulti non derivino immediatamente dalle cose presenti, bensì
siano ricordi, ripercussioni o riflessi di un’immagine antica.
Nella ​teoria del suono​, invece, grande rilevanza è data a questi ultimi e in particolar modo
Leopardi predilige i suoni suggestivi e vaghi, proprio come quello di un canto che si allontana
man mano, Il poeta ritiene, infatti, che i suoni la cui origine non è ben comprensibile assumono
grande rilevanza poiché, nella loro vaghezza, contribuiscono alla creazione di immagini
fortemente poetiche.

Nella quarta strofa, inoltre, tramite l’invettiva alla natura, si ha l’espressione del cosiddetto
pessimismo cosmico​: la natura è vista come un meccanismo indifferente alla sorte delle sue
creature e l'infelicità è considerata una condizione assoluta e universale che coinvolge tutti gli
esseri in ogni tempo.
Questa concezione risulta l’evoluzione del ​pessimismo storico​, basato sull’idea per cui la
condizione negativa del presente fosse l’esito di un processo storico legato al progresso della
ragione che aveva precluso agli uomini di essere felici come gli antichi, nonostante la natura,
considerata allora una madre benigna, offriva alle sue creature la capacità di immaginare e di
illudersi.

Quest’idea di una natura matrigna caratterizza la produzione dei canti pisano-recanatesi, ma è


presente anche nella produzione in prosa di Leopardi: le ​Operette Morali​.
L’opera include 24 prose in cui sono affrontati temi di ​filosofia morale​, composte tra il 1824 e il
1832, in seguito al processo di passaggio “dal bello alla ragione e al vero”, esito di una totale
prostrazione, acuita dal tentativo fallito di fuga da Recanati del 1819 e un grave indebolimento
della vista che lo costrinse a rinchiudersi nelle sue meditazioni.
Il diminutivo operette ne indica da un lato il ​taglio breve dei testi​, dall’altro sottolinea
l’impostazione lontana dalla serietà dotta del trattato filosofico, ma il ​carattere comico non ne
pregiudica la profonda ​serietà degli intenti​; alla base della loro scrittura vi è infatti un intento
morale e civile.
Fra i temi fondamentali vi è la ​critica ai falsi miti dell’età contemporanea (dalla religione al
progresso scientifico) e ​l’emergere di sentimenti di pietà e solidarietà nei confronti degli uomini​,
oltre ​l’immagine di una natura matrigna e indifferente, nonché prima causa di infelicità degli
uomini.

Quest’ultimo tratto si evince particolarmente nel ​Dialogo della Natura e di un Islandese​,


composto nel 1824, dopo che Leopardi venne a conoscenza delle terribili condizioni degli
islandesi, continuamente minacciati dal gelo e dal vulcano Hekla.
In esso l’Islandese diventa portavoce di Leopardi e fa un elenco accurato delle cattiverie che la
Natura infligge agli uomini; da qui deriva l’idea di una natura nemica che mette al mondo le
sue creature con il solo scopo di perseguitarle.
L’Islandese, dunque, assurge a simbolo di un’umanità flagellata dalla natura ed espressione del
comune destino di infelicità degli uomini e più in generale ogni essere di ogni tempo.

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