Sei sulla pagina 1di 104

Lezioni di Cultura Tedesca

Cultura Ted. 2018-02-26


Argomento: Nascita della Germania

Quello che vi capiterà sempre di ricordare è una data fissa nella nostra cronologia: il 1871, l'anno di fondazione
dello stato tedesco unitario, in cui viene definitivamente superato l'assetto. In quest’anno avviene un processo di
stratificazione sociale della struttura tedesca, di riduzione del numero delle unità statali che inizia, al più tardi,
una settantina d'anni prima rispetto al 1871, cioè con il regime napoleonico. Vi è assoluta centralità, nella storia
tedesca, per la quale, tutti i livelli che ha il 1871. In questo anno nasce il cosiddetto Secondo Reich – Kaiser
Reich. Secondo perché, in una ideale cronologia culturale, ce ne era stato un primo che, dal punto di vista
istituzionale e storico, non ha assolutamente nulla a che fare con il secondo Reich. (Nella storia della Germania,
fatti attinenti alla sfera della storia materiale, politica e sociale vengono compresi, interpretati e rappresentati con
categorie di carattere culturale). Il secondo Reich non eredita strutture o aspetti materiali, istituzionali del primo
Reich, ma quando in Germania si fonda lo stato nazionale, come sempre nei momenti di svolta nella vita di una
comunità, c'è bisogno di una legittimazione culturale della propria storia collettiva, un punto di riferimento forte
che agisca da elemento di legittimazione per la nuova realtà che si sta costruendo. I fondatori dello stato nazione
del 1871, se lo vanno a cercare nella storia millenaria dell'Impero Romano d'Occidente. Il primo Reich, o meglio
l'unico Reich finché non si costruisce un nuovo Reich, ovvero il secondo, per continuità culturale, non è
nient'altro che il prodotto della dissoluzione dell’Impero Romano nel V secolo d.C. Da questo impero
discendono due identità: uno d'Oriente e uno d'Occidente, attraverso le complicate vicende della sua evoluzione,
questo impero finisce alla conclusione del Medioevo per coincidere con l'intero territorio europeo di lingua
tedesca. Sul piano formale il Reich continua ad esistere, ma sul piano sostanziale, politico è, col passare dei
secoli, una costruzione sempre più vuota, priva di potere reale nell'equilibrio della politica europea. Cessa di
esistere nel 1806 (primo Reich), a causa delle guerre napoleoniche, ma è già morto da almeno 200 anni.
Formalmente gli organi del Reich continuavano a riunirsi. Ma esso non aveva più potere, sopravviveva a se
stesso sul piano meramente formale. Quale forza, quale peso ha un riferimento culturale. I fondatori del
secondo Reich istituiscono questo riferimento ideale a un istituto, a una forma, a un assetto, che dal punto di
vista politico non aveva più alcun peso, ma continuava ad esercitare la propria influenza dal punto di vista
culturale. Era un riferimento caratterizzato da grande prestigio, e aveva quindi per questo una grande capacità di
legittimazione. Era cioè l'immagine del vecchio Reich: un classico esempio di ciò che si definisce un mito di
fondazione. Un mito di fondazione è un racconto, una narrazione, un'immagine, una struttura biologica che
serve a legittimare un movimento storico, un progetto politico del presente. Uomini del presente alimentano la
forza di un progetto politico istituendo un riferimento ideale rispetto a una certa costellazione del passato; vanno
a cercare nel passato elementi di un'ulteriore legittimazione. Perché un progetto politico riesca, naturalmente, c'è
bisogno innanzitutto di una forza pratica, materiale, deve essere provvisto di una capacità reale, concreta,
pragmatica di affermare se stesso. Esiste anche una componente simbolica, immateriale, la capacità persuasiva
dell'idea che è alla base di quel progetto. Non esiste solo la bruta forza materiale di uomini potenti che in una
certa condizione storica sono più forti e quindi riescono ad affermare il proprio progetto. Questa forza spesso è
alimentata da un riferimento culturale. Questi si vanno a cercare nel passato più o meno idealizzato. Non è
questione di precisione filologica nella lettura del passato, perché alla fine del passato si prelevano gli elementi
funzionali ad una strategia che deve affermarsi nel presente. Quindi non importa se il riferimento al primo Reich
fosse corretto dal punto di vista storico, cronologico, anzi non lo era assolutamente ma non è questo il punto. Il
riferimento al primo Reich serve per il prestigio che veniva associato all'immagine del primo Reich. Non serve a
migliorare il livello delle conoscenze sul primo Reich, ma a legittimare l'azione politica in un'altra epoca, a
rafforzare simbolicamente il materiale culturale. Per fondare qualcosa di nuovo c'è bisogno di condizioni
materiali, di un apparato di miti di fondazione, immagini, riferimenti culturali, ideali, che hanno la capacità di
conferire legittimazione ad un progetto politico. Il mito di fondazione dello stato tedesco, 1871, è la tradizione
millenaria dell’Impero Romano d'occidente, del Reich. Una costruzione influente, praticamente, che aveva
smesso di essere forte sul piano politico europeo da secoli, ma che sopravviveva in termini di prestigio. La forza
che non aveva più sul piano materiale, l'aveva interamente conservata simbolicamente. 1871 è una data di
riferimento obbligato. (praticamente lo chiede Ottocento volte all'esame ha detto). È una data fondamentale
perché questo cronico ritardo che aveva accumulato la Germania, se non lo supera di scatto quanto meno riesce
a porre le condizioni fondamentali per superarlo con la nascita di uno stato unitario. Questo stato nasce al
culmine di una serie di processi concomitanti. Di questi processi quello che è bene avere subito a mente riguarda
quello che nella galassia di quei 350 stati che sono stati via via semplificati riesce a svolgere una funzione di
traino rispetto agli altri stati tedeschi. È lo stato che nella storia tedesca svolge più o meno la stessa funzione che
nella storia italiana svolge il regno di Sardegna. Questo stato è la Prussia. Non è altro che uno di questi stati che
per una serie di ragioni sia materiali sia culturali al più tardi a partire dalla seconda metà del Seicento, anche qui
una data chiave: 1675 – battaglia di Fehrbellin. È importante perché è uno stato ancora abbastanza primitivo dal
punto di vista culturale, era paragonato, nell'opinione dei contemporanei ad una caserma di massa, perché aveva
solo un elemento di forza: un esercito militare fortissimo, ma per il resto mancava di tutto perché tutte le risorse
dello stato erano impiegate nell'amministrazione dell'esercito e per il resto era uno stato che versava in
condizioni medievali da tutti i punti di vista. Ma comunque aveva un formidabile esercito in grado di reggere il
confronto con gli eserciti delle civilizzate nazioni europee e tradizionale avversario nella Russia nello scacchiere
politico dell’Europa del Seicento. Nel 1675 questo piccolo stato di rozzi soldati riesce a infliggere una
memorabile sconfitta all'esercito svedese ed è l'atto di nascita della potenza militare prussiane. La Prussia si
accredita rispetto agli altri stati tedeschi in una funzione di guida. Si comincia a identificare come il più forte tra
gli stati tedeschi. Chiunque da ora in poi ragioni sulla possibilità di superare la disunità del paese finisce per
attribuire alla Prussia una funzione di guida. Si aspetta che la Prussia, unico tra gli stati, si assuma il compito di
avviare il processo di unificazione del paese. Fu così 200 anni più tardi. La nascita del secondo Reich nel 1871 è
la conseguenza di vari fenomeni, processi ma questi processi hanno un denominatore comune: la capacità della
Prussia, sulla base della forza militare ed economica. La Prussia in questi 200 anni si è trasformata in uno stato
moderno, forte dal punto di vista degli apparati amministrativi che è uno stato che funziona, efficiente. In questi
200 anni la Prussia si è consolidata in questa nozione come stato leader nel concerto degli stati tedeschi. Nel
1871 maturano le condizioni per lo stato nazionale: le condizioni sono innanzitutto vitali, cioè la Prussia si era
affacciata nella competizione tra gli stati europei in seguito a una vittoria militare, così in questi 200 anni si
legittima definitivamente come stato leader vincendo due guerre. Nel 1866 la guerra austro-prussiana (riesce ad
infliggere una sconfitta ad uno stato molto più potente, cioè l'impero asburgico); nel 1870 la Prussia sconfigge
ancora più duramente in una guerra lampo la Francia. 1870-1871 guerra franco-prussiana culmina il 18 gennaio
del 1871 con la firma del trattato di costituzione dello stato tedesco, del Reich, che viene apposta non a Berlino
ma a Parigi, nel salone degli specchi del palazzo reale di Versailles. Nel cuore della potenza nemica. I fondatori
dello stato dicono "siamo così forti che possiamo permetterci di celebrare la nascita del nostro stato, di celebrare
la nostra vittoria nel luogo simbolico, investito della maggior forza simbolica del nostro avversario, nel centro
stesso della monarchia francese". La nascita dello stato è il frutto di questi fatti contingenti, e della forza
economica dello stato prussiano. I capitali vennero messi a disposizione dalla borghesia capitalistica che in
Prussia, poiché aveva migliorato le proprie strutture, questa borghesia proprio in Prussia godeva delle migliori
condizioni per il proprio sviluppo, e per lo sviluppo dei traffici e dei capitali che vengono messi a disposizione
dell'impresa politica della nascita dello stato. Permette così il superamento di una cronica condizione di ritardo.
Sono sviluppi che si possono considerare in un parallelismo insieme a quelli della storia nazionale italiana. Le
vicende sono molto simili e anche i tempi di sviluppo. Di fatto la nascita dello stato nazionale in Germania non
è che una espressione particolare del movimento di ridefinizione dello scacchiere geopolitico europeo che parte
al più tardi nel 1848 e arriva a concludersi nel 1871 con la nascita del secondo Reich. In Italia lo stesso processo
si era concluso nel 1861. La conseguenza diretta di un evento che sta nel centro della storia tedesca, una guerra,
che presenta alcune caratteristiche distruttive, perfettamente è paragonabile nei suoi esiti agli esiti che per la
Germania e l'Europa avrà 300 anni dopo la Seconda guerra mondiale. È paragonabile alla Seconda guerra
mondiale è proprio la Guerra dei 30 anni; un evento dalle conseguenze durature e profondissime. Questa guerra
si colloca tra il 1618 e il 1648 (Madame Courage di Brecht che rappresenta attraverso il filtro della guerra dei 30
anni i fatti che riguardano il presente. Si serve del parallelo con la distruzione della guerra dei 30 anni per
rivolgere un fortissimo appello alle coscienze). Ha due conseguenze questa guerra: innanzitutto si conclude con
un trattato di pace che fissa per più di 100 anni quell'assetto di divisione, di disunità dal quale siamo partiti, con
la cosiddetta pace di Westfalia nel 1648. È una guerra di religione tra le forze degli eserciti cattolici, paccato alla
monarchia asburgica, e luterani, paccato alla Svezia, una guerra interna alla religione cristiana. È una guerra
destinata a interessi di carattere politico, economico e territoriale. Queste due fazioni decidono di combattere sul
territorio tedesco perché non c'era uno stato vero e proprio, era una terra di conquiste, terra di nessuno. Perché
distruggere i propri stati? Era meglio combattere in campo neutro. Fino al 1871 non esiste la Germania.
Cultura Ted. 2018-03-06
Argomento: Storia della Germania

Ci siamo riferiti ad un momento particolare della storia sociale, politica della Germania, cioè il 1871, anno della
nascita dello stato unitario, l'istituzione del cosiddetto secondo Reich. Vi era la necessità che questa
trasformazione di carattere politico fosse accompagnata, legittimata da alcuni forti riferimenti per la cultura
tedesca, e il nuovo stato, il primo stato nazionale aspirava evidentemente ad istituirsi come una sorta di
continuazione e di compimento ulteriore. Qual è poi il terzo tempo di questa vicenda, di questa costruzione di
una linea di tradizione della storia tedesca? Viene assecondato, affiancato e legittimato il terzo Reich che non
costituisce appunto altro che un ulteriore richiamo ad una tradizione che contava già su alcune stazioni
significative. Il tentativo che, avvenne nel 20esimo secolo da parte dei teorici del nazismo, è quello di configurare
il nuovo stato che evidentemente aspirava a proporre sé stesso, nel senso di una rottura radicale rispetto alla
forma statale preesistente. In questo caso è la cosiddetta Repubblica di Weimar, cioè l'assetto istituzionale che la
Germania ha dal 1919 (fine della prima guerra mondiale) e dura fino al 1933, quando finisce, ed inizia la presa
del potere da parte del nazismo. Il 30 gennaio 1933 è un'altra data fondamentale per il panorama della Germania.
Il termine corrente per riferirsi a questa data in particolare è MACHT ERGREIFUNG, presa del potere:
ergreifen vuol dire afferrare con la forza, repentinamente. E questa presa del potere avvenne da parte di Adolf
Hitler che con l'inizio del suo cancellierato segna la fine dell'esperimento repubblicano. Anche in questo caso il
nuovo stato vuole rafforzare la propria legittimazione, già sufficientemente forte sul piano materiale, pragmatico,
intensificandola ulteriormente, attraverso il richiamo ad alcuni momenti significativi nella tradizione della cultura
nazionale. Questo riferimento ritorna sempre a ruota intorno al Reich. È una costante nella cultura pubblica
tedesca, nell'immaginario che è alla base della cultura nazionale, questo riferimento al Reich, all'impero romano
d'occidente, come al momento più alto nella tradizione germanica, nazionale, indigena, autoctona. Serve ai
teorici del secondo Reich del 1871 e ai teorici del nuovo stato del 1933, il riferimento ad una tradizione politica,
ideologica, che sia univocamente riconosciuta come GERMANICA, come connotata in senso nazionale, come
non contaminata da altre tradizione eterogenee, estranee, rispetto al disegno di questa sorta di purezza nazionale
non contaminata da fonti alternative. I teorici di questa tradizione identificano nel Reich, nell'assetto istituzionale
del Reich, e nella tradizione politica che è alla base del pensiero della sovranità, una forma prettamente
germanica, nazionale perché il Reich storicamente deriva dalla rottura dell'impero romano. E quindi i teorici
vedono nella forma del Reich, una sorta di risultato tutto tedesco, germanico della rottura dell'impero romano;
in un certo senso ci vedono una risposta germanica alla tradizione di derivazione latina, romana che tanto nel
1800 quanto nel 1900, questi teorici vedono nella tradizione latina, nella linea politica neoromana, incarnata nel
grande avversario della Germania, cioè la Francia. Questa è un'altra grande linea di continuità nella storia della
cultura tedesca. Un'altra grande costante, che ha le sue radici ideologiche nell'antagonismo fra un modello
identitario latino, romano e un modello identitario germanico, indigeno, autoctono è la contrapposizione
ideologica, politica, culturale, militare con la Francia. I teorici di questo modello culturale ragionano in termini
negativi, identificano nella cultura di derivazione romana un antimodello: un modello rispetto al quale
differenziarsi, prendendone le distanze e opponendone una costruzione alternativa. Esiste un grande testo alla
base di questa contrapposizione, di questo antagonismo tra il mondo latino e il mondo germanico: il trattato
sulla Germania di Tacito. Questo trattato serviva a consolidare, legittimare, dal punto di vista culturale e
ideologico, il presupposto del primato del mondo latino-romano rispetto al mondo germanico. Questo perché è
un trattato che deve porre rimedio ad un evento traumatico nella storia dell'impero romano, cioè la impensabile
sconfitta del potentissimo esercito romano, nei primi anni dell'era cristiana, a opera di questi rozzissimi barbari
combattenti, che avevano le facce dipinte di strani colori, che mangiavano con le mani, che emettevano rumori
rozzi e incomprensibili e però avevano dispiegato, sul campo di battaglia, una forza militare soverchiante, che
aveva costretto alla ritirata del potentissimo e perfettamente organizzato esercito romano, nella selva di
Teutoburgo. Al comando vi era il leggendario condottiero Arminio che aveva sconfitto nel 6 d.C. le truppe
dell'esercito romano guidate dal condottiero Varo. Per il mondo romano si era trattata di una sconfitta epocale,
gravissima, non preventivata. In un certo senso aveva segnato anche la fine dell'espansionismo romano. Era
stato un segnale che il mondo romano, con la sua superiore intelligenza e la sua avanzatissima civiltà, aveva
riconosciuto che doveva fermarsi: espandere ulteriormente il loro impero avrebbe significato di fatto indebolirlo.
A supporto di questa strategia politica si pone appunto il trattato di Tacito che è tutto più centrato sul
presupposto del primato della civiltà romana, sulla barbarie, inciviltà, sulla rozzezza di cultura e costumi delle
popolazioni germaniche, barbare. Come operano, in questa contrapposizione, i teorici del Reich? Essi assimilano
lo schema di questa contrapposizione, lo accettano, lo fanno proprio, lo intensificano, lavorano moltissimo sulla
traccia di una contrapposizione insanabile fra mondo romano-latino e mondo germanico, MA ne invertono il
segno: ciò che nella costruzione di Tacito ne era espressione di forza, di sovranità, di una civiltà avanzata e
matura, adesso nella rilettura a segno invertito, che ne danno i teorici del Reich germanico, diventano fattori
negativi. Ciò che per Tacito era presentato sotto un segno positivo, i teorici del Reich tedesco lo invertono. Ciò
che era forza e maturità per la tradizione latina, per i difensori della superiorità del Reich diventa un sintomo di
vecchiezza, di prossimità al tramonto, di corruzione. Ciò che, al contrario, per Tacito era la rozzezza,
l'immaturità delle popolazioni germaniche, dal punto di vista dei teorici del Reich diventa freschezza, entusiasmo
giovanile, vigore di forze non ancora corrotte dalla civilizzazione. Diventa "destino di comando",
"predisposizione al controllo", "legittimazione al dominio delle altre popolazioni"; perché dal punto di vista dei
teorici del Reich, proprio il fatto che le popolazioni germaniche non disponessero di una tradizione illustre, già
strutturata e consolidata ove quella su cui poteva contare l'impero romano, ne conseguiva che la fase del
dominio germanico doveva ancora arrivare. Popoli di più antica e consolidata tradizione ormai avevano i giorni
contati, avevano già toccato l'apogeo della loro forza. Un'idea molto presente in vari punti della storia germanica
è l'idea che la storia dei popoli segua uno schema di carattere biologico, un'idea fortissima per esempio in tutta la
cultura del romanticismo: l'analogia tra la storia dei popoli e il ritmo di nascita, di infanzia, di crescita, di
invecchiamento e morte proprio degli esseri viventi. L'idea è cioè che i popoli seguano le stesse vicende che
riguardano ogni singolo individuo e progressivamente la maturità si dissipa nel naturale invecchiamento.
Applicando coerentemente questo schema biologico alla vicenda storica del popolo tedesco ne conseguiva che
proprio perché nel momento in cui l'impero romano dominava il mondo, imponendo la superiore ragione del
proprio avanzatissimo diritto, proprio perché in questo momento invece i popoli germanici vivevano in uno
stato di disorganizzazione, non disponevano di una cultura nemmeno lontanamente strutturata, adesso invece, al
termine del ciclo evolutivo dei popoli di derivazione romana (Francia, grande antimodello della Germania) era
arrivato il momento che il vigore non ancora consumato del popolo tedesco trovasse libero campo per
esercitarsi attraverso l'imposizione del proprio dominio agli altri popoli. È un'idea alla base dell'imperialismo del
secondo Reich e anche l'idea alla base della dottrina dello stato e della politica estera nel terzo Reich. È il
principio che sta alla base della seconda guerra mondiale. L'idea cioè diffusamente teorizzata da tutti i pensatori
politici sotto il nazismo che al popolo tedesco spetti NATURALMENTE un destino di comando. Quindi
poiché si tratta dell'esplicitazione di una necessità naturale ne consegue il pieno diritto di occupare altri stati,
invadere popoli, di imporre la propria sovranità alle altre popolazioni. L'espressione in cui concretamente va
questa ideologia è quella di DRANG NACH OSTEN, spinta verso est. Il popolo tedesco poteva legittimamente
spingersi verso est perché su quei popoli, i tedeschi erano chiamati ad esercitare un naturale destino di comando
che in questa fase del suo ciclo evolutivo si trovava a godere di quella piena maturità, di quella forza sorgiva, di
quella incontrastabile virilità che abilitava all'esercizio del comando. Si trattava dal punto di vista dei teorici della
sovranità del Reich di una LEGGE DI NATURA, applicando sempre quello schema biologico ne conseguiva
che i popoli di più antica tradizione erano ormai avviati alla morte, alla consumazione del loro ciclo vitale. Si
prestavano quindi ad essere soggetti al dominio del popolo giovane, fresco, nel pieno godimento del proprio
giovanile vigore, ovvero i tedeschi. Nella propaganda del terzo Reich l'antimodello assoluto per i tedeschi era il
popolo ebraico, l'EBREO. Ma come viene rappresentato l'ideal tipo del tedesco? È un uomo, sempre, perché
deve istituire nel modo più chiaro una disposizione al dominio, una capacità di comando con forza virile. È un
uomo giovane, privo di imperfezione fisica, sempre rappresentato nell'esercizio di un'azione di forza, nella piena
esplicitazione di un incontrastabile vigore. Pensate invece al modo in cui viene rappresentato il modello opposto
di identità: l'ebreo anziano. Il popolo ebraico era quello che si prestava meglio a simboleggiare l'idea di una forza
ormai perduta perché era il popolo più antico. Quindi è un uomo anziano, brutto, sempre munito di alcune
distintive deformità fisiche, soprattutto era un uomo pervertito. Nello stereotipo destinato a stigmatizzare
l'ebreo nella propaganda era sempre rappresentato, non solo munito di alcune deformità fisiche, ma è sempre
raffigurato nell'atto di svolgere qualche oscena passione sessuale. L'ebreo è per definizione un invertito, è dedito
a forme di piacere sessuale lontane dalla fresca baldanza del maschio tedesco. Perché? Perché il correlato
essenziale di questa idea di freschezza, di purezza tipica del tedesco è che il tedesco sia
fecondo, sia libero di esercitare e dispiegare la propria creatività, sia fertile. Vi furono infatti delle politiche
varate, sotto il nazismo, per incrementare la natalità nella Germania a discapito della crisi economica del
decennio precedente. Erano politiche accompagnate dalle nuove misure destinate a selezionare geneticamente il
tipo di natalità che veniva incrementata. Parallelamente l'ebreo è l'individuo infecondo per eccellenza, sterile
perché è esponente di una civiltà consumata, che non può più produrre nulla dal punto di vista culturale. Questa
idea di infecondità dell'ebreo viene espressa nel modo più trasparente in modo sessuale, rappresentando l'ebreo
come un individuo che non può procreare, è privo di forza vitale. Queste sono immagini che noi comprendiamo
sotto il termine di STEREOTIPI, cioè forme consolidate, codificate di rappresentazione dell'altro, del diverso, di
stigmatizzazione del diverso. Gli stereotipi non sono mai innocenti, mai neutrali, ma incorporano sempre un
punto di vista, un interesse ideologico, una propensione ad attribuire all'altro determinate caratteristiche che in
genere vengono diversificarci dall'altro. Il termine tecnico di questi stereotipi a cui si fa riferimento è il campo
dell'IMAGOLOGIA, che fa riferimento al complesso delle tecniche di rappresentazione degli altri popoli da
parte di un altro popolo.
Che cosa intendiamo per cultura? BILDUNG: termine per dire cultura ma diverso da KULTUR. Bildung sta ad
intendere la cultura come puro e semplice possesso individuale di conoscenze. È il risultato della
HAUSBILDUNG: cioè la formazione in senso scolastico come le nostre lezioni. Das BILD è l'immagine, una
figura, ovvero quanto siamo riusciti a plasmare e stabilizzare, che si trasforma poi appunto in una forma stabile e
ha un assetto definitivo. KULTUR: termine più complesso come significato. Non è un possesso individuale ma
è il grado di incivilimento di una comunità. È un termine traducibile con "civiltà". Per la cultura non germanica,
ovvero quella francese (antimodello dei tedeschi) si usa il termine ZIVILATION, che deriva dal francese. E
questo termine significa corruzione, vecchiaia, consumazione.
Cultura Ted. 2018-03-12
Argomento: Storia della Germania e della cultura tedesca

Bildung: insieme delle conoscenze di un singolo individuo, ciò che si apprende, legato all’AUSBILDUNG è un
prodotto dell’AUSBILDUNG.
Kultur: (civiltà) termine più culturalmente connotato. È legato alla storia della cultura tedesca. Può essere usato
solo nel contesto culturale. Differenza sostanziale tra cultura tedesca e le altre culture latine. Non esiste solo una
comunità e una cultura tedesca, ma un’identità, una germanicità 🡪 DEUTSCHTUM (aggettivo sostantivato):
carattere nazionale che distingue i tedeschi dagli altri popoli, alla base della dottrina del nazionalismo tedesco. Ha
permesso ai tedeschi di avvalersi del diritto di superiorità e sovranità rispetto agli altri popoli.
Nel 1914 con lo scoppio della prima guerra mondiale si consolida questo concetto: per gli ideologi del
nazionalismo apparirà come naturale prosecuzione del lavoro iniziato con il 2° Reich (1871), così può esercitarsi
concretamente nella storia, consolidamento della forza tedesca.
Le forze di AUTORAPPRESENTAZIONE si fondano sulla differenza tra KULTUR (tedesco) e
ZIVILISATION (non tedesco).
KULTUR: ciò che è tedesco. Professata ad esempio negli scritti di guerra di Thomas Mann: tutto ciò che è
primitivo, ingenuo, non artificioso, partecipazione attiva alla politica etc. L’intellettuale per la sua capacità di
leggere il significato profondo dietro alla storia, ha una capacità di GUIDA della sua comunità, ha accesso alla
sostanza dei fatti, si elevano a CUSTODI DELL’IDEA DI PUREZZA NAZIONALE.
ZIVILISATION: tutto ciò che è eccessivamente elaborato, falso, menzognero (apparati burocratici delle nazioni
nelle quali l’individuo scompare nell’apparato burocratico e non ha possibilità di dominare). Il termine deriva dal
francese e proprio per questo è volto a rappresentare una realtà estranea a quella tedesca.
GERMANIA come NAZIONE in RITARDO: rende conto a diversi ambiti della storia tedesca. È in ritardo
perché lungamente divisa e frammentata 🡪 questa condizione ha delle conseguenze nel 18esimo secolo.
1700: tutta la storia della Germania moderna (dal Seicento in poi) 🡪 SATTELNZEIT: epoca dei grandi
fenomeni di modernizzazione. È una modernizzazione DUPLICE: dal punto di vista sociale ed economico e dal
punto di vista politico. Dal punto di vista economico e sociale la produzione di merci per un’economia borghese
basata sulla velocità dei ritmi di produzione e circolazione delle merci. La modernizzazione ricalca due aspetti
fondamentali:
1) uscita dall’economia feudale (avanzata della borghesia, che detiene il monopolio sulle merci);
2) costituzione delle prime forme di monarchia borghese.
1789: RIVOLUZIONE FRANCESE. In Germania non c’è, non è possibile perché è troppo debole per
assumere il governo della società. Un tentativo di rivoluzione in Germania avverrà nel 1848, che però verrà
represso dalle autorità.
Su entrambi i campi di modernizzazione la Germania è in ritardo. Gli intellettuali vedono una condizione
negativa e di mancato sviluppo nel sistema feudatario. I maggiori intellettuali del classicismo di Weimar, Goethe
e Schiller, assumeranno un atteggiamento di condanna nei confronti della rivoluzione, anche se consapevoli
dell’arretratezza della Germania. Ritengono però che le condizioni della Germania non siano abbastanza mature
per una rivoluzione come quella francese (fatta dalla borghesia che vuole oltre che quello economico, anche il
potere politico). In Germania non c’è la borghesia, non è pronta a consolidare e rivendicare spazi più ampi di
potere politico. E manca anche lo stato, che deve essere abbattuto dalla rivoluzione: mancano i due ATTORI
NECESSARI della RIVOLUZIONE.
Gli intellettuali, a fronte di questa situazione, credono sia necessario uno STATO MODERNO, dotato di
strutture burocratiche, come quello prussiano. Questo stato avrebbe gli stessi effetti benefici della rivoluzione in
Francia. 🡪 ASIMMETRIA RADICALE.
Ci si aspettano gli stessi effetti della distruzione dello stato in Francia, in Germania dalla costruzione di
quest’ultimo. La tensione tra due categorie tecniche della SOCIOLOGIA:
STAATSNATION e KULTURNATION: si riferiscono alle due grandi tendenze che regolano la storia della
cultura tedesca. La STAATSNATION ha la stessa funzione della coesione e dell’unità, e che in Germania non
esiste e che viene quindi svolta dalla KULTURNATION, dalla cultura. La Germania è una nazione, comunità
tedesca perché esiste una KULTUR. Quindi la tensione provocata dalla mancanza di uno stato, particolarmente
viva nel Settecento. Viene compensata dalla cultura, quindi dagli intellettuali che si occupano della unificazione
nazionale.
Cultura Ted. 2018-03-13
Argomento: Storia della Germania e della cultura tedesca

Avevamo introdotto una distinzione fra due concetti che sono importanti per tutta la storia della cultura del
Settecento: da una parte abbiamo la cosiddetta STADTNATION che in Germania non esiste, perché non ci
sono le istituzioni addette alla costituzione dello stato moderno; quello che invece esiste è la cosiddetta
KULTURNATION, cioè tutto ciò che in Germania, nel corso del 18esimo secolo, si può definire in termini di
nazionalità ha a che fare, non con la costituzione di uno stato, di strutture istituzionali, ma con le attività degli
intellettuali, con le forme di produzione di cultura. Questo rapporto è sempre in una sorta di tensione mai
veramente risolta, anche perché gli intellettuali sono i primi a elaborare modelli di comportamento politico che
dovrebbero condurre alla formazione di uno stato. Gli intellettuali sono tra i più impegnati nella società tedesca
nell'elaborare instancabilmente dei modelli che opportunamente applicati nella sfera della prassi, della società,
potrebbero portare alla formazione di uno stato nazionale. Gli intellettuali sono molto chiari ed espliciti su
questo: sono tra i più fervidi sostenitori della necessità dello stato moderno. Però questo divario fra uno stato
che non c'è e l'attività degli intellettuali è il fenomeno che globalmente caratterizza la cultura tedesca del 18esimo
secolo. Nel senso che gli intellettuali svolgono una sorta di funzione di compensazione rispetto alla mancanza di
uno stato. Ora bisogna chiarire una cosa: che gli intellettuali tedeschi, in generale le forme di produzione di
cultura, nel corso del Settecento, hanno quasi esclusivamente a che fare, cioè si svolgono quasi esclusivamente,
all'interno della nuova classe sociale, della borghesia, con poche eccezioni. I principali intellettuali tedeschi
rispondo ad alcuni criteri fondamentali: sono per la massima parte di estrazione borghese, questo significa cioè
che i luoghi tradizionalmente deputati alla produzione culturale prima del Settecento, le corti, in Germania nel
Settecento perdono completamente importanza, non contano più nulla; gli intellettuali tedeschi nel Settecento si
formano prevalentemente in ambienti luterani, non cattolici. Inoltre, la cultura nel corso del Settecento viene
prodotta pressoché esclusivamente in ambiente urbano, nelle città. Le città diventano i luoghi di più intensa
elaborazione culturale. Le città si avviano a destituire completamente i luoghi tradizionalmente deputati alla
produzione di cultura, cioè le corti. In Germania è molto evidente questo spostamento nei luoghi destinati alla
produzione culturale. Le città sono i luoghi nei quali vengono costruite alcune istituzioni fondamentali per la
produzione di cultura nel Settecento come: le case editrici, le redazioni di riviste e soprattutto i teatri. Si assiste in
Germania ad un processo di continua fondazione di teatri borghesi. In realtà il termine sotto cui questo processo
è noto, non si riferisce tanto all'identità sociale di questi teatri o al loro carattere borghese, ma si parla di teatro
nazionale. Manca un teatro nazionale in Germania, l'attività teatrale si è svolta fino a questo momento quasi
esclusivamente nell'ambito delle corti ed è dunque fortissima la richiesta di un teatro che possa essere
liberamente frequentato dai cittadini e in cui soprattutto vengano rappresentate opere vicine ai gusti, ai bisogni,
alle aspettative di un pubblico borghese. Questo primo riferimento alla intensità con la quale si lavora alla
costruzione di un nuovo teatro che sia borghese, ci fornisce subito un indizio fondamentale. Abbiamo detto
dunque che la cultura svolge una funzione di compensazione, interviene dove c'è un vuoto della politica, dove
mancano istituzioni addette a disciplinare, ad organizzare, a strutturare la vita della comunità; in questo vuoto di
istituzioni politiche interviene la cultura che fornisce la base dell'identità collettiva, comunitaria; svolge quelle
stesse funzioni di collante, di unificazione, che nella vita sociale e politica non si riesce; soddisfa quelle attese che
non trovano soddisfazione nella vita politica e sociale. DICE SEMPRE LE STESSE COSE ASSURDO Questa
produzione culturale è quasi esclusivamente appannaggio di autori borghesi. L'attività di questi autori è
condizionata in modo decisivo da una circostanza: dal fatto cioè che a metà del Settecento comincia a venir
meno il tradizionale legame di committenza che aveva subordinato l'attività degli intellettuali al sostegno
finanziario dei grandi soggetti detentori di potere nel periodo precedente, in epoca premoderna. Chi erano questi
soggetti? Erano fondamentalmente due nella cultura europea ovvero la chiesa e le corti. Sino alla metà del
Settecento un po’ ovunque in Europa, la produzione di cultura funziona all'interno di un perimetro chiuso e
rigorosamente definito che da un lato assicura agli intellettuali il sostegno economico necessario a svolgere con
agio la propria attività, dall'altro però li vincola ad aderire alla richiesta di conformità ideologica da parte di questi
soggetti. Gli intellettuali hanno la sicurezza, possono vivere con agio, possono dedicarsi professionalmente alle
proprie attività, cioè possono fare della propria attività creativa un'attività esclusiva, sono sicuri dal punto di vista
economico ma non sono liberi, non possono scegliere liberamente i temi dei quali vogliono occuparsi, non
possono scegliere la prospettiva dalla quale intendono svolgere questi temi. Tutto il circuito della produzione
culturale sino alla metà del Settecento si svolge all'interno di questo perimetro rassicurante, perché stabile,
perché si basa su un sistema consolidato di relazioni fra i grandi soggetti committenti e gli intellettuali e però in
un certo senso claustrofobico, fortemente limitante, asfittico. Si ha la tranquillità, si ha il benessere, si ha la
stabilità economica per svolgere la propria attività, non si ha però la libertà di occuparsi dei temi più vicini alla
propria sensibilità personale. Bisogna produrre cultura in modo conforme alle richieste indirizzate agli
intellettuali dai ceti egemoni della società, dai soggetti committenti: la chiesa e la corte. Questo legame comincia
a sciogliersi un po’ per quei processi di modernizzazione, un po’ perché cominciano a mutare, in Germania,
molto lentamente, con il solito ritardo, le forme di produzione economica e gli equilibri sociali associati a queste
forme; un po’ se mutano con particolare energia paradossalmente proprio per queste condizioni di ritardo,
proprio perché gli intellettuali non avendo, nella vita sociale, nella dimensione della prassi, uno spazio sufficiente
per affermare la propria visione del mondo, devono concentrare, nelle forme di quella compensazione, tutto il
proprio desiderio di riforma, di modernità sul piano della produzione culturale. È la cultura che diventa il piano
nel quale concretamente, sia pure nelle forme simboliche della produzione culturale, trova espressione la
richiesta di innovazione, di cambiamento, di trasformazione, di modernizzazione avanzata dalla borghesia. La
borghesia non ha nella politica lo spazio sufficiente ad operare in modo trasformativo sulla società, a
modernizzare la società. La società tedesca nel Settecento è statica, stagnante, paralizzata: le cose cambiano
molto lentamente che nei paesi di più antica tradizione nazionale. Poiché la borghesia non ha, sul piano sociale,
politico, economico lo spazio (DI NUOVO LA STESSA COSA IN 3 RIGHE) per affermare concretamente la
propria visione del mondo e per realizzare i propri desideri di cambiamento, concentra queste aspirazioni sul
piano della cultura. Attraverso la produzione intellettuale la borghesia dà una forma concreta alla richiesta di
trasformazione sociale che non può trovare ancora espressione sul piano della prassi, delle relazioni sociali che
invece in Germania restano ancorate a un livello premoderno, a un segno delle tradizionali relazioni di potere
che vedono l'aristocrazia in una condizione di forza, di grande vantaggio politico rispetto alla borghesia. Lo
spazio che la borghesia non trova sul piano delle relazioni sociali (aiusfhdrgiafhdgiau), sul piano degli equilibri di
potere, cerca di crearlo artificiosamente, cerca di surrogarlo in modo simbolico attraverso le forme della
produzione di cultura. La cultura è nel Settecento tedesco il grande campo nel quale si riversa il desiderio di
modernizzazione della classe borghese. Viene meno il tradizionale legame di subordinazione degli intellettuali ai
bisogni dei committenti. Questo che conseguenze comporta? Abbiamo intellettuali borghesi, portatori di
un'aspettativa di cambiamento che è tanto più importante, perché è l'unica veramente efficace, in una società
paralizzata, poco dinamica e stagnante. La rottura di questo legame privilegiato tra intellettuali e tradizionali
soggetti committenti ha una conseguenza fondamentale: sì è vero gli intellettuali riescono ad estendere
progressivamente lo spazio della propria libertà di pensiero e di espressione, ma fra tanti limiti naturalmente
perché si tratta di una libertà di pensiero e di espressione che deve comunque declinarsi in una società statica,
claustrofobica e oppressiva dei piccoli stati tedeschi. In ogni caso gli intellettuali sono molto più avanti dal punto
di vista ideologico, spiritualmente, incomparabilmente più moderni della società nella quella devono operare. Ma
non è questo il punto. Il punto è che quest'ansia di cambiamento deve trovare espressione all'interno di
condizioni che sono molto meno vantaggiose che in passato: gli intellettuali devono trovare da sé, adesso che è
venuto meno il legame con i grandi mecenati del passato, il sostentamento necessario a proseguire e a rendere
efficace la propria attività. È vero, stanno conquistando margini sempre più ampi di libertà spirituale, però non
hanno più il sostegno della chiesa e delle corti. Pagano la richiesta di libertà con la perdita della sicurezza
economica. Nasce così un fenomeno chiamato il MODERNO MERCATO EDITORIALE. Gli intellettuali
non hanno più alcuna garanzia di poter svolgere con stabilità e regolarità la propria condizione; sono obbligati
adesso a vivere come piccoli imprenditori, in analogia rispetto alla trasformazione dei modi di produzione
economica nella società, a vivere dei profitti della propria attività. La conseguenza fondamentale è che la loro
sopravvivenza è legata strettamente al gradimento che le loro opere incontrano presso il pubblico, cioè la
sopravvivenza e quindi anche la libertà degli intellettuali è espressione del loro successo, della loro capacità di
soddisfare, di intercettare i gusti del pubblico. Non è difficile questo perché tutto il quadro entro il quale si
svolge la produzione e il consumo di cultura nella Germania del Settecento è saldamente presidiato, sta tutto nel
segno di una classe sociale: la borghesia. Borghesi sono gli intellettuali, borghesi sono gli scrittori e
prevalentemente borghesi sono i lettori. Il Settecento tedesco è caratterizzato da una straordinaria voracità del
pubblico borghese che ha letteralmente fame di sempre e continue novità letterarie, che affolla i teatri nazionali,
nei quali programmaticamente vengono rappresentate opere vicine al gusto del nuovo pubblico borghese.
L'intellettuale può portare avanti la propria attività a condizione che le proprie opere suscitino il gradimento del
pubblico perché la
sua sopravvivenza è legata alla sua capacità di resistere alle sfide del mercato editoriale, è legata alla sua capacità
di imporsi in una logica che è imminentemente finanziaria, economica ed è chiaramente capitalistica. Infatti, è
come tale leggibile in perfetta analogia rispetto a quanto parallelamente accade nel mondo della produzione dei
beni. Gli intellettuali si trasformano essi stessi in imprenditori obbligati ad agire in una logica capitalistica, di
accumulo, di incremento dei propri profitti e perché questo meccanismo funzioni gli intellettuali devono scrivere
in modo il più possibile conforme alle aspettative del loro pubblico. La letteratura a partire dalla metà del
Settecento diventa letteratura prodotta da autori borghesi, incentrata su temi borghesi e destinata ad un pubblico
di lettori borghesi che quindi nelle storie narrate nei grandi romanzi della metà del Settecento, nelle opere teatrali
messe in scena, non cerca che una conferma, un sostegno alla propria condizione sociale. Tutto il circuito di
produzione e consumo della cultura, sta nel segno di questa sostanziale solidarietà e affinità spirituale fra
intellettuali e il loro pubblico. Gli intellettuali scrivono storie che sono programmaticamente vicine alle
aspettative del pubblico, perché il successo che essi incontrano presso questo pubblico va a legittimare e a
sostenere, a permettere la prosecuzione della loro attività. È la nascita di un fenomeno tipicamente moderno,
come il mercato editoriale, che si sostiene ai media tipici della produzione di cultura nel moderno: le case editrici,
le riviste. Il Settecento è il secolo delle riviste dei principali intellettuali che hanno come preoccupazione costante
quella di fondare, finanziare le riviste che devono rendere pubblico e mettere in circolazione il loro programma
culturale. Questo perché per pubblicare un romanzo ci vogliono anni di lavoro, la rivista invece si basa su una
periodicità costante. Continuamente attraverso il mezzo della rivista si può velocemente raggiungere una
quantità molto larga di destinatari; il romanzo richiede i tempi lunghi della lettura individuale, solitaria. La rivista
è invece un medium che funziona su una scala collettiva, che più velocemente e con tempi più brevi sia di attesa
che di consumo da parte del pubblico può raggiungere strati molto ampi di lettori. La rivista si caratterizza
soprattutto per il suo carattere programmatico, militante, esplicitamente interventistico; è l'organo
tradizionalmente deputato alla illustrazione di un programma; sono gli organi che nel Settecento sostengono gli
intellettuali nella loro aspirazione a intervenire concretamente sul destino della società, sui processi di
trasformazione che interessano la società nella quale operano. Questa profonda solidarietà ideologica fra gli
intellettuali e i destinatari della loro attività si esprime nei grandi generi letterari che presidiano l'orizzonte della
cultura tedesca a partire dalla metà del Settecento. Essa è una cultura di intellettuali borghesi (non ce la faccio
più) che riversano il proprio desiderio di modernizzazione nella produzione di cultura, anche come reazione al
carattere asfittico e claustrofobico della società nella quale devono operare. Quello che non è possibile realizzare
sul piano della società e della politica si presta ad essere quanto meno adombrato, vagheggiato nelle forme
astratte, simboliche della produzione di cultura. Costoro si rivolgono ad un pubblico omogeneo nella sua
composizione sociale e affine nelle sue posizioni ideologiche. L'atto della comunicazione letteraria presuppone la
continua disponibilità da parte del pubblico a riconoscersi nel contenuto delle opere letterarie che vengono
immesse sul mercato, proprio sulla base di questa affinità fra chi scrive e chi legge. Queste trasformazioni le
vediamo operare in modo molto chiaro in alcuni dei generi letterari più popolari nella letteratura tedesca della
metà del Settecento. Uno dei grandi processi di trasformazione del mercato editoriale della Germania del
18esimo secolo riguarda la cosiddetta nascita del ROMANZO MODERNO. Il romanzo è il genere letterario
che più esprime i processi dei quali stiamo parlando. Stiamo parlando di un genere prettamente tedesco ovvero il
BILDUNGSROMAN – ROMANZO DI FORMAZIONE. Come genere codificato risale ad un autore in
particolare cioè all'onnipresente GOETHE. L'archetipo di questo romanzo di formazione sono i due romanzi,
che a partire dagli anni 90 del Settecento Goethe dedica al personaggio di WILHELM MEISTER. L'opera che
fu più influente, che ebbe maggior successo, che fu recepita tra i due romanzi è quella pubblicata tra il 1795 e il
1796 cioè GLI ANNI DI APPRENDISTATO DI WILHELM MEISTER – WILHELM MEISTERS
LEHRJAHRE. Di che cosa si tratta e perché questa storia e in generale il genere del romanzo di formazione è
così intimamente vicino ai processi di cui abbiam parlato fino a questo punto? Questa è la storia di un
personaggio palesemente presentato come medio, come dotato non di caratteristiche eccezionali, il che già
introduce un elemento di novità rispetto alle aspettative tradizionalmente proiettate su una storia letteraria che
tende, affinché si ragioni in un’ottica di un'estetica dell'ammirazione, affinché si tenda ad associare all'idea del
personaggio letterario l'idea di una sorta di modello di riferimento, tende a presentare (pensate ai grandi poemi
epici dell'antichità) personaggi comunque dotati di caratteristiche eccezionali nel bene e nel male. Wilhelm
Meister invece è presentato esplicitamente come un personaggio del tutto comune, privo di caratteristiche che lo
rendano particolare e dunque tanto più efficace come oggetto di identificazione per il pubblico di
lettori. Non soltanto un personaggio comune ma viene presentato come un personaggio che all'inizio della storia
si trova su un percorso sbagliato. È abbandonato al giro confuso, al vortice oscuro di alcune generiche fantasie
di affermazione di sé stesso come artista, prima come attore poi come scrittore di teatro, che in realtà, è chiaro
sin dall'inizio, non lo porteranno da nessuna parte. È un personaggio che dall'inizio del racconto appare come
smarrito, perso nel giro di alcune improbabili fantasticherie. È un personaggio in formazione appunto, deve
ancora trovare un percorso lineare. È quindi esposto al pericolo, al traviamento, allo smarrimento, alla
confusione, a ogni sorta di illusione e di fallimento. In effetti il romanzo è di formazione proprio per questo,
perché anziché offrire al lettore un personaggio già compiuto nella sua fisionomia e come tale consegnato
all'ammirazione del lettore secondo i tradizionali sistemi di produzione dell'effetto estetico, il romanzo di
formazione offre al lettore un personaggio psicologicamente vicino alla condizione del lettore comune.
L'oggetto del racconto diventa la catena dei disinganni, delle avventure fallimentari, dei tentativi provati e andati
male, necessari al personaggio per raggiungere alla fine quella fisionomia, per compiersi come personaggio
formato, per maturare. E qual è il punto finale di questa maturazione? Una volta che, attraverso l'incontro con le
figure che esercitano su di lui una profonda influenza formativa, Wilhelm Meister al termine di tante avventure,
si è liberato da quelle oscure fantasticherie che avevano imprigionato la sua mente negli anni della giovinezza,
decide di intraprendere così una carriera borghese: decide di diventare medico. Si trasforma in un membro utile
della società nella quale vive. Si trasforma nel componente utile per eccellenza: un medico, uno che salva vite.
All'inizio ci viene presentato come un personaggio sostanzialmente abbandonato ad un desiderio infantile ed
egoistico di affermazione di sé. Vuole affermarsi come attore ma non è ha alcun talento. Ci viene presentato
come un personaggio le cui aspirazioni non sono in alcuna relazione di ragionevolezza rispetto alle sue doti
effettive. È un personaggio, all'inizio, che può solo nutrire desideri smisurati ma che non ha in sé le capacità
tecniche di realizzare questi desideri. E allora accettando di riconoscere la propria imperfezione e accettando di
sottoporsi all'influenza informativa esercitata su di lui, sia da alcuni personaggi già maturi, già più esperti della
vita, sia dalle vicende che gli capitano, accettando di cogliere l'insegnamento di queste vicende e riuscendo a non
restare impermeabile rispetto all'influenza che queste vicende esercitano su di lui, Wilhelm Meister muta, cambia.
Si compie così la grande trasformazione nel genere della scrittura di romanzo che è tipica di tutta la letteratura
europea a metà del Settecento. Noi non abbiamo più a che fare con personaggi già formati, la cui esemplarità è
basata nel presupposto della loro superiorità rispetto a noi. Noi abbiamo a che fare con personaggi che sono
esemplari perché vicini a noi, e perché come noi cambiano, mutano, abbracciano il fisiologico movimento
dell'esistenza, si lasciano pervadere dalla naturale tendenza della vita a mutare le forme. Particolarmente
importante è che l'esito finale della vicenda sia un esito utile dal punto di vista sociale, produttivo. Con il
romanzo di formazione incontriamo uno dei presupposti fondamentali della cultura tedesca del Settecento.
Questa di cui abbiam appena parlato è una vicenda basata sul presupposto che l'individuo debba essere
sollecitato ad affermare sé stesso sulla base del proprio più profondo valore individuale. La cultura borghese è
cultura dell'individuo, del valore del soggetto, radicata nelle capacità personali del soggetto. Il presupposto
fondamentale su cui funziona la cultura borghese è che il singolo deve essere portato a realizzare liberamente il
proprio piano di vita, il proprio programma di felicità. Il concetto di felicità è un concetto profondissimamente
radicato nella cultura del 700: la dichiarazione dei diritti dell'uomo che è alla base della costituzione americana
adombra come diritto fondamentale dell'umanità il diritto alla felicità. Ma cosa è questo diritto alla felicità?
Ebbene il desiderio di felicità nutrito dalla cultura del Settecento non è altro che la legittima aspirazione
dell'individuo a esplicare l'intero ventaglio delle proprie capacità, tutto l'ambito della propria soggettività.
Indipendentemente, anche nelle implicazioni sociali e politiche che ne conseguono, da ogni vincolo di natura
particolare, contingente. Qual è il senso di questa contrapposizione tra la libertà e l'ambito del contingente, del
particolare? Significa fondamentalmente che tutto ciò che attiene alla condizione particolare degli individui, cioè
ciò che fa capo per esempio alla loro origine sociale, alla loro confessione religiosa, alla loro appartenenza
nazionale, non tocca dal punto di vista della cultura borghese la vera sostanza degli uomini che invece è sostanza
UNIVERSALE UMANA – ALLGEMEINMENSCHLICH. Questo è il concetto fondamentale
dell'illuminismo. L'idea è che ci siano due forze dalle quali si svolge la vita dell'uomo. Le forze che attengono agli
aspetti particolari, tutto ciò che separa l'uomo dagli altri, che lo connota in modo particolare e che quindi lo
limita, lo vincola, che chiama in causa uno spettro limitato, ristretto della sua identità. I teorici dell'illuminismo
pensano, ad esempio, a tutto ciò che ha a che fare con l'ambito della confessione
religiosa, della condizione sociale. Questi aspetti che formano l'identità degli individui dal punto di vista
dell'illuminismo non toccano la sostanza della condizione umane che invece ha a che fare con tutto ciò che è
universale nell'uomo, che non è particolare, limitato. Se io sono nato in un certo luogo e usufruisco quindi di
determinate condizioni storiche, questo non ha nulla a che fare (dicono gli illuministi) con la mia sostanza più
profonda, con i fondamenti ultimi del mio essere umano; ma ha a che fare con fattori casuali, occasionali,
contingenti che certo mi determinano ma non toccano ancora la sostanza più profonda della mia umanità. Tutta
la cultura dell'illuminismo settecentesco ha l'ambizione di spingere l'uomo a liberarsi, ad emanciparsi dai fattori
contingenti, da ciò che determina e limita la sua umanità, spingendolo invece a esplicitare il meglio della propria
umanità. C'è un testo che si chiama sempre in causa da questo punto di vista per far riferimento a questa
opposizione fra il sogno degli illuministi di liberare l'uomo da ogni vincolo particolare e la resistenza esercitata
dalla contingenza. È uno dei testi che valgono come una sorta di manifesto dal punto di vista culturale
nell'illuminismo tedesco. L'opera è di Lessing, chiamata NATHAN DER WEISE. Uno dei punti più famosi
dell'opera è la parabola dei tre anelli. In questo segmento dell'opera il personaggio principale, Nathan, un
mercante ebreo di straordinaria saggezza, viene convocato dal re musulmano, dal saladino, che ha bisogno di
soldi, vuole chiedergli un prestito, però siccome è una gara a chi è più nobile, il re non se la sente di rivolgergli
direttamente una richiesta così meschina. E allora siccome sono dei raffinati intellettuali, a loro agio con le
questioni più sublimi della condizione umana, iniziano una discussione su uno dei grandi temi dell'umanità: il
rapporto con il divino. In particolare, ad un certo punto, la discussione prende una piega molto delicata per i due
personaggi cioè il re chiede a Nathan quale delle tre religioni monoteistiche sia quella vera. Nathan ovviamente si
trova in grossa difficoltà, lui è più ricco del saladino, ma il saladino potrebbe fargli tagliare la testa da un
momento all'altro. E allora non risponde direttamente e racconta una storia, una parabola che è una caratteristica
fondamentale della cultura ebraica. Gli racconta la storia di un uomo che aveva tre figli. In questa famiglia vigeva
un'antica tradizione cioè che il primogenito insieme alle ricchezze che gli spettavano avrebbe ricevuto come
sigillo visibile della sua posizione privilegia anche un anello. Il problema è che quest'uomo si sentiva legato in
egual misura a tutti e tre i figli. Ovviamente un primogenito c'era ma lui non se la sentiva di privilegiare il
primogenito conferendogli questo anello. Dopo aver pensato a lungo a come poteva aggirare questo problema
gli viene un'idea. Chiama il miglior gioielliere della sua società e gli fa fabbricare due copie di questo anello.
Abbiamo quindi un anello vero del tutto indistinguibile dalle due copie. In punto di morte il padre chiama
separatamente i tre figli e lascia a ciascuno un anello, che dal punto di vista dei tre figli è L'ANELLO, è il
contrassegno della loro superiorità. Tutti e tre i figli quindi si congedano dal letto di morte del padre certissimi
che, nonostante per la tradizione famigliare quel contrassegno di valore spettasse al primogenito, il preferito è
lui. Muore il padre, le vicende legate all'amministrazione del patrimonio portano i tre figli a scoprire le carte.
Diventa evidente che c'è qualcosa che non va. Ciascuno dei tre figli è convintissimo in perfetta buona fede di
possedere l'anello giusto e cominciano a litigare. Il più saggio dei tre, allora, trova una soluzione: propone di
rivolgersi ad un giudice, anziché litigare tra loro. Il giudice risolve la questione rimproverando aspramente i tre
figli dicendo che non hanno capito nulla dei motivi che hanno spinto il padre ad agire in quel modo; il padre
amava tutti e tre allo stesso modo e ha lasciato l'anello ai suoi tre figli non perché intendesse premiare in modo
particolare uno di loro, ma per seminare dentro di loro il desiderio di rendersi degni del possesso dell'anello.
Sciogliendo la parabola la risposta al quesito posto dal saladino è esattamente questa: è insensata la questione
circa l'esistenza di una vera religione perché tutto ciò che caratterizza in modo particolare, specifico le religioni,
differenziandole l'una dall'altra attiene a condizioni storiche, a fattori contingenti, i quali non costituiscono
affatto un indizio di verità, un segno di valore, ma sono l'espressione necessaria di fattori storici diversi da una
comunità all'altra, ma ciò non abilità una comunità a ritenersi migliore della comunità che del tutto casualmente
si è sviluppata in una direzione diversa. Il punto è che la religione non conta per i contenuti specifici delle
dottrine religiose, i quali sono storici, e quindi non toccano il punto sostanziale. Le religioni valgono come una
sorta di appello costantemente rivolto alle migliori attitudini dell'uomo. Bisogna non pasciersi del possesso
dell'anello, ma rendersi degni del significato dell'anello. La religione è da intendere come una sollecitazione
rivolta allo spirito dell'uomo per elevare sé stesso, per rendersi il più possibile umano, per emanciparsi da tutto
ciò che lo limita, che lo vincola, che lo tiene prigioniero, sia dal punto di vista spirituale sia culturale sia sociale.
Tutta la cultura dell'illuminismo settecentesco è una cultura di emancipazione, del tutto coerente rispetto alle
necessità della borghesia.
Abbiamo descritto un quadro in maniera schematica, abbiamo detto che gli intellettuali borghesi scrivono
contenuti borghesi per un pubblico borghese. Dopo di che ci siamo posti la questione fondamentale: che cosa
caratterizza il tratto borghese di questa cultura, che cosa ci permette di identificare come borghesi questi autori, i
loro temi? Abbiamo suggerito un minimo comune denominatore in questa idea: il valore dell'individuo si misura
sulla base delle sue attitudini individuali che sono ciò che fa dell'individuo, che determina l'umanità
dell'individuo. Il valore dell'individuo prescinde da tutti i fattori che vincolano, che comprimono l'umanità
dell'individuo, che attribuiscono all'individuo un tratto particolare e perciò limitato. L'obiettivo comune della
cultura di questo periodo è spingere instancabilmente l'uomo verso la valorizzazione di tutto ciò che nell'uomo è
universalmente umano, cioè non è limitato, necessitato, occasionale, ma attiene alla sua natura umana. È un
discorso tutto sbilanciato nel senso dell'emancipazione, del superamento dei vincoli che ha palesemente una
pubblicazione di carattere sociale. È il discorso culturale più vicino ai bisogni della borghesia che deve rompere
le catene del vecchio ordine premoderno, deve imporre il proprio sistema di produzione economica, un ordine
sociale nuovo incentrato sulla capacità dell'individuo di affermare da sé il proprio destino. Il sistema culturale al
quale la borghesia affida l'espressione tangibile di queste aspettative è l'Illuminismo, tutto volto a rompere i
vincoli, a emancipare gli individui da ogni fattore di limitazione e a porre il centro dell'individuo in ciò che in
ognuno partecipa, è parte di una comune sostanza umana, di una universale generale identità umana. Nella
cultura del 770 questo è un paradigma che deriva dall'applicazione di una tradizione di pensiero già lungamente
consolidata nella cultura europea e tedesca in particolare. Ha a che fare cioè con la tradizione di dottrina
giuridica che si definisce del GIUSNATURALISMO. Termine che si presta facilmente a essere sciolto nei suoi
due campi semantici perché la prima parte ha a che fare con l'ambito dei diritti, della legge; la seconda parte
chiama in causa la natura come fondamento del diritto, come base del diritto. Significa che si tratta di un
indirizzo di pensiero giuridico che si afferma in Europa e in particolare in Germania a partire dalla fine del 500 e
che di fatto recupera alcuni degli elementi cardinali della civiltà giuridica romana. Il GIUSNATURALISMO si
basa sull'idea che tutti gli individui siano detentori di un nucleo di diritti definiti appunto fondamentali, cioè
basilari, non in forza di condizioni particolari, perché sono più o meno ricchi, perché appartengono ad una
civiltà nella quale certi diritti sono riconosciuti e certi altri no; questi diritti spettano a ciascun individuo per il
semplice fatto di essere al mondo. È un pugno, un nucleo di diritti essenziali, fondamentali che deve essere
riconosciuto a tutti gli individui sulla base del fondamento naturale di questi diritti e non perché una civiltà
giuridica li ha codificati. Perché se questo fosse il fondamento dei diritti allora gli stessi diritti dovrebbero essere
riconosciuti in una comunità che li tutela e non riconosciuti in una comunità che si è sviluppata invece sulla base
di un'altra tradizione giuridica. I teorici del giusnaturalismo ritengono che esista un gruppo di
GRUNDRECHTEN (raga non ho capito la parola, non so se sia giusta) che vuol dire DIRITTI
FONDAMENTALI, legittimati nella comune appartenenza di tutti al genere umano. Sono diritti fondati
naturalmente e non culturalmente. Se il fondamento dei diritti fosse storico o culturale e non naturale allora
bisognerebbe riconoscere la validità di certi diritti in ragione della tradizione giuridica che li tutela o non li tutela.
Cultura Ted. 2018-03-19
Argomento: Cultura e società borghese

Evidentemente questa spinta verso il superamento di ogni possibile elemento di vincolo e di costrizione è un
orientamento congeniale rispetto ai bisogni di una classe sociale, quella che aspira a liberarsi dalle limitazioni di
un ordine preesistente per imporre un nuovo assetto sociale: la Borghesia. Quindi a partire da questa
osservazione trasversale che fa capo a trasformazioni epocali che riguarda tutto l’occidente europeo. Ma che
cosa comporta questo nesso tra emancipazione e borghesia nell’ambito della cultura del tempo e della
produzione estetica e della letteratura? I fenomeni più caratterizzanti nella produzione e circolazione della
cultura del Settecento stanno nelle richieste e aspirazioni di questa nuova classe sociale e la loro tendenza di
liberarsi dalle limitazioni che impediscono il loro sviluppo. Queste trasformazioni che possiamo comprendere
sotto il segno di un’accelerata modernizzazione della società e della cultura, dal punto di vista della letteratura
queste trasformazioni sono visibili in Germania in almeno 2 grandi ambiti che fanno capo a due grandi generi
letterari e interessano l’ambito del genere EPICO e del genere DRAMMATICO. Questa comunanza di interessi
tra illuminismo e sogni della borghesia la ritroviamo nelle vicende della nascita del Bildungsroman: perché il
romanzo di formazione tratta le vicende di un personaggio medio vicino alla identità del lettore comune, vicende
che sono tutte volte alla affermazione del personaggio contro gli ostacoli (tradizioni, convenzioni contro cui il
personaggio aspira ad ribellarsi con forza, strutture sociali) frapposti su questo percorso di autoaffermazione e il
punto finale di questo percorso è l’operoso inserimento del personaggio nel sistema della società borghese. Il
personaggio archetipico, che svolge il ruolo di modello per la tradizione del romanzo di formazione (il Wilhelm
Meister), viene presentato come un giovane intellettuale privo di una chiara determinazione e di un percorso di
vita già definito e come tale, aperto all’influenza dell’ambiente, disponibile a lasciarsi plasmare dall’incontro con
carismatiche figure di riferimento e con eventi destinati a esercitare su di lui una incisiva capacità formativa. Noi
ci infanghiamo in questo personaggio all’inizio dell’intreccio del Wilhelm Meister avendo a che fare con un
individuo tutto perso nel giro di alcune oscure fantasticherie e alcuni generici confusi piani di vita che
verosimilmente non troveranno una concretizzazione nella realtà e una direzione che lui auspica perché come
artista il WM è un dilettante (termine tecnico dell’estetica, i teorici dell’estetica del Settecento intendono un
individuo animato dal generico desiderio di fare della propria esistenza una esistenza artistica, impegnarsi sul
fronte della creatività che è però privo della necessaria perizia tecnica e capacità concrete per superare il livello di
puro e semplice interesse per la creatività e diventare un artista rigoroso, capace di esercitare una tecnica
formativa veramente efficacie. Wm non raggiunge mai questo livello, come artista rimane sempre un volenteroso
dilettante, animato da una accentuata sensibilità a contatto con l’arte ma privo del sapere concreto necessario a
superare questo livello primitivo. Animato da una generica predisposizione ma senza capacità tecniche per
definire la propria identità artistica. Allora la vicenda della sua formazione consiste proprio nel progressivo
allontanamento dal campo artistico, non perché sia negativo, ma è perché lui non è dotato di ciò che è
necessario per esercitare professionalmente l’attività di artista. L’allontanamento dipende dalla sua capacità di
riconoscere questi aspetti della sua perso e di lasciarsi modificare e plasmare. L’opera d’arte che Wm non riesce a
realizzare come artista la compie con la propria esistenza, quella insufficiente capacità di ricavare una forma che
lo penalizza e lo condanna all’insuccesso come artista, si applica invece alla sua vita, perché la sua vita acquisisce
invece una forma stabile e concreta: LA FORMA DI ESISTENZA BORGHESE: Wm riesce accettando di
lasciarsi plasmare dalle circostanze ed esperienze come individuo, ad acquisire una stabile forma di vita, diventa
un componente utile di una comunità, trova la propria forma di vita e questa forma di vita corrisponde al libero
sviluppo delle sue migliori capacità (che non ritroviamo nell’arte, che era solo un desiderio tipico degli
adolescenti di investire con forza in una identità suggestiva). Al termine di questo processo troviamo un
personaggio COMPLETO, che si è formato traendo da se e non dal sistema in cui è inserito, non dal sistema di
privilegi, ma soltanto dal proprio valore individuale le fonti del proprio successo (concetto fondamentale
dell’illuminismo, che il percorso di vita rispecchi il valore individuale del singolo soggetto prescindendo da tutto
ciò che può vincolare e restringere il campo delle esperienze del soggetto è necessario che gli individui si
emancipino da tutto ciò che può comprimere il campo delle loro migliori capacità. CULTURA DELLA
TOTALITA’: significa che l’individuo deve essere messo nelle condizioni di esplicitare e dare forma a tutto il
correndo delle proprie migliori capacità, deve essere messo nelle condizioni di svilupparsi senza disperdersi nella
particolarità che stringe l’ambito del singolo individuo.). Il romanzo di formazione è borghese proprio perché
percepito come una metafora dello sviluppo della borghesia, con forza tanto maggiore in Germania, perché
questo percorso di autoaffermazione è esposto nella società, nella prassi a tutti gli ostacoli ed elementi di freno a
causa dell’arretratezza e paralisi della società tedesca. Quindi possiamo leggere sul piano della rappresentazione
finzionale, in modo tanto più chiaro l’aspirazione della borghesia ad affermarsi ed emanciparsi nella società
proprio perché questo processo di liberazione in realtà nella realtà sociale avviene molto pii lentamente e fra
difficolta molto più aspre che altrove e quindi nella sfera simbolica della rappresentazione letteraria lo vediamo
molto più chiaramente. LA CULTURA COMPENSA LE DIFFICOLTA’ DELLA SOCIETA’. Una classe in
fase di espansione, animata da una concezione del mondo e dei rapporti sociali RIVOLUZIONARIA che però
non trova nella prassi un ambito favorevole. Il romanzo di formazione incorpora il modo più chiaro questo
bisogno identitario della borghesia. Sposta il discorso dal piano materiale al piano simbolico. Il personaggio del
Bildungsroman non è altro che una rappresentazione simbolica del percorso di emancipazione che tutti gli
intellettuali che appartengono alla società borghese stanno provando a compiere nella prassi, dove non riesce (a
causa degli ostacoli) e allora questa dinamica si è spostata ad un altro livello, quello simbolico.
Ugualmente chiara è la situazione dell’ambito del genere DRAMMATICO. Cosa è borghese nel
Settecento in Germania? Borghesi sono le strutture alla base della produzione culturale, è borghese il
contesto generale, è borgese il romanzo di formazione. Nell’ambito della drammaturgia, essa è borghese
prima ancora di arrivare all’analisi delle opere, è borghese anche già nelle strutture della produzione
culturale (teatro borghese, un teatro libero dal controllo della corte e della società dell’antico regime in
cui il pubblico, che è un pubblico borghese, possa liberamente assistere a vicende nelle quali
identificarsi, vicine al suo gusto e ai suoi bisogni. Il genere che caratterizza la drammaturgia tedesca del
Settecento è il DRAMMA BORGHESE, BURGERLICHES TRAUERSPIEL. TRAUERSPIEL si
innesta come forma letteraria prettamente tedesca e significa DRAMMA DEL BRUTTO. È un genere
di scrittura che ha già una storia millenaria. Prima della riforma del dramma borghese, che in ambito
tedesco sta tutta nel nome di Lessing, l’autore dei più influenti drammi borghesi, delle opere che
vengono recepite come portatrici di un carattere di novità, già recepite come opere innovative. Le
opere sono due: Miss Sara Samson (1755) ed Emilia Galotti (1772). Prima di questa riforma tutta la
tradizione del teatro in occidente sta nel segno di un autore che con un’opera destinata ad esercitare un
enorme influenza ben oltre l’ambito del genere drammatico, Aristotele, di ciò che scrive in un libricino
che diventa il fondamento perché contiene alcuni principi fondamentali e segna il confine tra lecito e
non lecito nell’ambito artistico. Tratta di letteratura ma in particolare del genere TRAGICO sulla base
degli esempi che Aristotele aveva sotto mano → Eschilo, Sofocle ed Euripide i tre maggiori esponenti
della scrittura tragica classica greca del Periodo D’Oro. Aristotele ha davanti questi esempi di eccellenza
e ricava dei principi generali che descrivono uno sviluppo obbligato a più tardi della metà
dell’Ottocento, perché il dramma borghese non mette radicalmente in discussione la concezione
Aristotelica ma ne corregge alcuni aspetti. Una discussione critica rivoluzionaria delle teorie di
Aristotele comincerà a venire nella metà dell’800 da parte di un autore che rivoluzionerà totalmente la
concezione di Aristotele: Brecht. Aristotele parte da una proposizione che diventa come un vangelo:
“L’ARTE È IMITAZIONE DELLA NATURA”, non intende dire che un’opera d’arte debba avere
come oggetto la natura, intende che essa debba operare e dar forma al modo della natura, come la
natura, non deve rappresentare oggetti naturali, a lui non interessa il contenuto dell’arte ma il COME si
rappresenta esteticamente, come l’artista deve operare. Significa che l’artista deve attenersi nella propria
identità di formatore alla legge creativa che è alla base della natura, che secondo Aristotele è che la
natura plasma applicando un principio di SELEZIONE. Cioè che ogni oggetto naturale, ciò che esiste,
parte da un nucleo iniziale nel quale solo implicitamente presenti tutti i possibili sviluppi che quella
materia può acquisire. La natura operando su questa materia alla base di tutto seleziona nella quantità
potenzialmente limitata di sviluppi completi (tutti implicitamente presenti nel nucleo iniziale), una e
una sola FORMA DI SVILUPPO. Da forma cioè, neutralizzando tute le possibili forme di sviluppo
estranee ad un programma formativo, seleziona tutto nella quantità sterminata di possibili soluzioni una
sola forma. Individuata questa linea di sviluppo procede secondo criteri di necessità, di logico sviluppo,
nell’assemblare tra loro tutte le parti concordi con questa scelta preliminare. La natura individua nella
materia un obiettivo formale. Procede quindi assemblando progressivamente tutti i costituenti
dell’oggetto in modo che tra ognuno di loro si instauri un legame di necessità, linearità logica.
Esattamente così avviene con l’artista. Secondo Aristotele il poeta tragico deve procedere come la
natura: il poeta ha a disposizione una situazione, un intreccio rudimentale generico, in quanto generico
che contiene illimitate possibilità di sviluppo, dato un soggetto, una MATERIA da quella materia
possono essere ricavate linee di sviluppo potenzialmente illimitate. Il lavoro del poeta tragico consiste
nel selezionare da questa quantità illimitata di ipotesi di sviluppo una sola linea di sviluppo nel
perseguire questa linea con PIENA COERENZA LOGICA in modo che l’azione tragica proceda verso
la sua conclusione con la stessa linearità di una freccia lanciata a velocità crescente verso il centro del
bersaglio. NULLA DEVE DISTOGLIERE L’ATTENZIONE DELLO SPETTATORE DAL
PROGRESSIVO LINEARE, LOGICO, COERENTE SVILUPPO DELLA RAPPRESENTAZIONE,
DEVE ESSERE TRASCINATO, DEVE ESSERE IN UNO STATO DI SEMI-PRIGIONIA, DEVE
CREDERE ALLA REALTA’ CHE VEDE RAPPRESENTATA DAVANTI A SÉ, NULLA DEVE
FAR CREDERE CHE SIA UNA RAPPRESENTAZIONE FINZIONALE. Ogni rappresentazione
drammatica è basata su questa convenzione. Lo spettatore deve consegnare ogni capacità dì controllo
razionale al fascino e alla suggestione generata dall’efficacia della rappresentazione.
Cultura Ted. 2018-03-20
Argomento: Filosofia aristotelica, forme d’arte in Germania

La concezione drammatica era alla base della filosofia di Aristotele. Tutto ciò che ha a che fare con il teatro, con
la cultura occidentale e al più tardi fino alla fine del 1800 è inseparabile dai principi stabiliti da Aristotele nel suo
libricino che esercita un'influenza incalcolabile su tutto il concetto di arte nella cultura dell'occidente. La poetica
di Aristotele è stata il segno del principio di imitazione della natura; questa idea non ha a che fare con i contributi
dell'arte ma con le modalità della rappresentazione funzionale. Abbiamo dunque seguito il filo delle implicazioni
chiamate in causa da questo principio negli aspetti caratteristici della forma drammatica, cioè la tragedia. Per
Aristotele la tragedia funziona fondamentalmente ad una condizione: siano dati tutti gli elementi necessari a
mantenere il pubblico, lo spettatore in una condizione di silenzio della ragione, di cedimento al fascino
suggestivo ed ipnotico prodotto dall'efficacia della messa in scena. Perché la rappresentazione drammatica
realizzi il proprio effetto nella psiche dello spettatore devono innescarsi due reazioni emotive che Aristotele
definisce pietà e terrore. Sono reazioni emotive che in un momento di sintesi conclusiva sono soggette ad un
procedimento di purificazione ed il termine giusto per la materia estetica di Aristotele è la "catarsi". È appunto
un procedimento di purificazione destinato a depurare, a neutralizzare gli aspetti più pericolosi, ciò che potrebbe
turbare in modo irreversibile la psiche dello spettatore, distraendolo dalla finalità più profonda della tragedia
stessa, cioè riconsegnarlo alla sua comunità dove è determinato a prestare i propri contributi per la realizzazione
del bene comune come membro attivo della polis. Questo è il perimetro nel quale le forme drammatiche in
occidente si sviluppano senza troppe correzioni di rotta, almeno fino alla metà del 1800. Tra la metà dell'800 e i
primi del Novecento la situazione cambia drasticamente e il punto dell'osservazione della letteratura tedesca è
particolarmente favorevole a comprendere la portata delle trasformazioni perché questo schema della poetica di
Aristotele sarà messo in crisi nel modo più incisivo da un drammaturgo tedesco, Bertolt Brecht. Quello che
andrà in crisi con Brecht sarà proprio il principio secondo il quale lo spettatore deve consegnarsi senza alcuna
difesa alla suggestione prodotta dalla rappresentazione teatrale. Per Brecht l'effetto della rappresentazione
drammatica funziona esattamente secondo il principio contrario: funziona tanto meglio quanto più vigile si
mantiene lo spettatore di fronte alla scena rappresentata; quanto maggiore è la resistenza critica che lo spettatore
oppone alla scena rappresentata; quanto meno lo spettatore è disposto a credere che ciò che viene rappresentato
davanti ai suoi occhi ha uno stato di realtà. Allo spettatore deve essere chiaro in ogni momento della
rappresentazione drammatica che ciò che si svolge sul palcoscenico è l'espressione di una finzione calcolata, è il
prodotto di una rappresentazione artificiosa, intenzionale. Allo spettatore deve essere chiaro che quella non è
una vera realtà ma è un modello di interpretazione della realtà, destinato non a confermare la realtà così com'è,
ma, al contrario, a mostrare gli aspetti reversibili, trasformabili, modificabili della realtà stessa. In Aristotele il
principio secondo cui l'arte funziona come comunicazione della cultura (ha parlato talmente veloce che non so
se sia giusta sta frase) ha come risultato che la rappresentazione drammatica è di fatto una copia della realtà, una
seconda realtà, potenziata dall'efficacia simbolica propria della forma estetica. Per Brecht è tutto il contrario: ciò
che viene rappresentato sul palcoscenico non è una copia della realtà ma è un discorso sulla realtà, è un'ipotesi di
interpretazione della realtà. È una rappresentazione della realtà. Non è una realtà alternativa che può
indifferentemente sostituirsi alla realtà comune. È un discorso critico sulla realtà che per essere recepito
necessita da parte dello spettatore il costante mantenimento di un'alta soglia di vigilanza critica per cui lo
spettatore nella logica brechtiana non è sollecitato a identificarsi, a porre se stesso al posto dell'eroe drammatico.
È chiamato, al contrario, a serbare in ogni segmento della rappresentazione drammatica un vigile distacco
rispetto a quanto viene rappresentato. Lo spettatore deve, sempre nell'ottica brechtiana, ragionare, deve acquisire
una graduale e progressiva e piena consapevolezza del carattere di finzione di quanto viene rappresentato.
Brecht sostituisce appunto al concetto aristotelico di identificazione quello che comunemente si associa alla
drammaturgia brechtiana di "straniamento". Lo spettatore deve avere in ogni momento della rappresentazione
drammatica l'impressione di un divario, di una frattura. Quanto viene rappresentato non deve semplicemente
aderire alla realtà come un involucro inseparabile dalla realtà vera, ma l'abilità dell'autore drammatico consiste
appunto nella capacità di disseminare elementi di perplessità, di distacco tra la rappresentazione drammatica e la
realtà, che induca lo spettatore a diffidare di quanto deve accadere sulla scena e quindi a porsi delle domande.
Deve porsi delle domande che hanno come oggetto da un lato il contenuto della rappresentazione, ma a un
livello più ampio, domande che hanno proprio come oggetto la realtà, le condizioni di vita dello spettatore e
della sua comunità: la realtà vera.
L'obiettivo dell'opera d'arte rappresenta la realtà come trasformabile, reversibile, come espressione non di una
natura indiscutibile, di una sorta di necessità assoluta, sottratta al costo della storia, sottratta alla capacità degli
uomini di migliorare, di correggere ciò che non va. La realtà deve essere rappresentata come effetto di concrete
circostanze, di fattori storicamente determinati e quindi come tali trasformabili. Nulla nell'idea brechtiana di arte
riflette una ragione non discutibile: una sorta di natura data una volta e non più modificabile. L'idea brechtiana di
realtà non è che l'espressione di fattori storici, di cause concrete, di agenti materiali. Le cose sono andate così, in
quelle circostanze ma sarebbero potute anche andare in modo completamente diverso e possono andare in un
futuro in modo completamente diverso. La relazione di sfruttamento che avvelena le esistenze degli uomini può
essere invertita. Lo spettacolo teatrale da questo punto di vista rappresenta una potentissima sollecitazione,
potente proprio perché non si svolge nelle forme del puro e semplice discorso politico che mira esclusivamente
alla persuasione razionale, ma si svolge nelle forme molto più complesse e molto più profondamente persuasive
e incisive del discorso simbolico che è in grado di persuadere i gradi più profondi della psiche e quindi di
incidere in modo molto più persuasivo sulla immaginazione degli uomini. (questa è un'anticipazione di quanto
diremo poi – cit. Ed è uscita una pagina e mezza. Ok) La straordinaria influenza esercitata dalla poetica di
Aristotele sul regime delle arti della cultura occidentale ha una conseguenza: nel sistema della gerarchia dei geni
letterari si afferma al più tardi, a partire dal 400, dall'Umanesimo-Rinascimento, quando il testo di Aristotele
viene riscoperto, valorizzato, studiato, sottoposto ad una minuziosissima inquisizione, si afferma l'idea che la
tragedia sia il più alto dei generi letterari, il più prestigioso. E' molto importante capire che un concetto del
genere non ha nulla a che fare in realtà con le posizioni di Aristotele, il quale non ragionava in un'ottica
gerarchica, ma esprime la realtà, l'esigenza che è molto forte alle origini dell'umanesimo-rinascimento di ricavare,
dai grandi testi della tradizione classica, dei principi di carattere normativo in grado di disciplinare il
funzionamento delle arti; non solo di descrivere il meccanismo della rappresentazione estetica, ma anche di
stabilire delle regole, dei principi non derogati. Questa non è l'ottica di Aristotele che argomenta per lo più in
una prospettiva neutralmente descrittiva; si accontenta di rappresentare il sistema di funzionamento delle arti e
se mai di stabilire quale tipo di conoscenza. Aristotele è un filosofo che si occupa di arte non perché nutra dei
genuini interessi di carattere estetico, ma perché la questione che lo appassiona è quale tipo di conoscenza è
possibile attraverso il filtro dell'arte, quali attitudini dell'umano vengono sollecitate attraverso il filtro della
rappresentazione dell'estetica, attraverso il carattere simbolico del discorso artistico. Aristotele quindi non è
interessato a stabilire dei principi, delle regole, anzi egli desume la sua teoria della tragedia da opere già esistenti.
Quindi è l'ultima delle sue preoccupazioni quella di stabilire delle regole. Semmai, Aristotele descrive delle opere
dalle quali ricava delle indicazioni di carattere generale sulla natura della rappresentazione estetica di dare delle
regole vincolanti ai futuri poeti drammatici. Per il Rinascimento invece è molto importante attribuire una
funzione esemplare, normativa ai testi della tradizione classica perché si tratta di ricostruire, rifondare una rete di
riferimenti culturali dopo il Medioevo e quindi c'è bisogno di una struttura stabile, di un corpo di regole sulla
base delle quali rilanciare la società, e che è comunque una comunicazione culturale. A questo fa capo per
esempio le famose tre unità aristoteliche che sono sì coerenti con lo spirito della poetica di Aristotele, perché
tendono a far abbozzare quel carattere di unità, di compatta chiusura dell'intreccio drammatico. Ricordiamo che
per Aristotele la forma drammatica deve funzionare come una freccia scagliata senza alcuna dilazione verso il
centro del bersaglio (ma quanto è AULICO). Le tre unità servono ad introdurre nel tessuto della
rappresentazione drammatica elementi di intensa compattezza. Solo che le tre unità non risalgono ad Aristotele,
sono magari implicite in alcuni punti delle sue esposizioni; sono un effetto di una codificazione elaborata di dotti
dell'umanesimo-rinascimento. Il testo di Aristotele diventa una sorta di manifesto per la rinascita della cultura
europea, diventa una delle fonti persistenti nel dibattito fra i dotti a cavallo tra le nazioni dell'Europa del 500. Si
lavora moltissimo sulla poetica di Aristotele e uno degli effetti più noti di questa intensa attività di elaborazione
sul testo della poetica di Aristotele è appunto la codificazione di queste tre unità "di luogo" in base al quale
l'intreccio drammatico deve svolgersi dall'inizio alla fine, dalla prima scena del primo atto all'ultima scena del
quinto atto, perché questa è la struttura ricorrente nella drammaturgia aristotelica, nello stesso luogo. Un'unità
"di tempo" che descrive che l'azione duri dall'alba al tramonto della stessa giornata e un'unità "di azione" che
descrive che tutto l'intreccio ruoti intorno ad un'asse centrale sempre riconoscibile che sarebbe l'eroe tragico, il
personaggio protagonista. Il personaggio protagonista tende a restare fisicamente presente sulla scena il più a
lungo possibile. Nelle opere che applicano rigorosamente questi criteri l'eroe tragico è fuori dalla scena quasi
mai. In un assetto ideale il personaggio principale è chiamato a esser sempre
fisicamente presente sulla scena perché svolge da cardine, da garante, di quel carattere di compattezza
dell'azione: tutto torna perché tutto in un modo o nell'altro si riferisce a LUI; chiama in causa il suo personale
destino. L'unità di luogo, di tempo e di azione, che non risalgono però alla lettera del testo di Aristotele, ma sono
il frutto di codificazioni successive, tra queste c'è questo principio, secondo cui nel sistema generale delle fonti di
espressione letteraria, in un'ideale gerarchia dei generi e delle forme letterarie la tragedia stia al primo posto, sia il
più alto, il più prestigioso dei generi. Dato questo principio ne risultano due conseguenze che riguardano
rispettivamente il tipo di personaggi che devono essere rappresentati nella tragedia, quindi un fattore che attiene
al contenuto della tragedia, cosa deve essere rappresentato nella tragedia, le vicende di quali personaggi; seconda
conseguenza riguarda lo stile della rappresentazione tragica, in che tipo di linguaggio devono essere rappresentati
gli avvenimenti della tragedia. Secondo questo sistema di codificazioni derivanti dall'applicazione dei principi
della poetica aristotelica, all'idea che la tragedia sia il più importante dei generi letterari corrisponde, sul piano dei
personaggi, l'idea che la tragedia proprio perché è il più alto dei generi, debba necessariamente rappresentare le
vicende dei personaggi in cima alla scala sociale della comunità di riferimento della tragedia. E chi sono questi
personaggi? Questi personaggi che sono al centro della rappresentazione tragica sono sovrani, regnanti, le loro
famiglie, il circuito ristretto della corte, principi che aspirano a sostituire i regnanti, oppure antagonisti dei
sovrani. Questo significa che secondo quest'ottica la tragedia in quanto genere più alto rappresenta le vicende dei
personaggi più importanti, e per effetto di questo tipo di selezione, in un'ottica aristotelica, è chiamata a
rappresentare vicende che hanno a che fare con la gestione del potere, cioè vicende di carattere pubblico, di
interesse collettivo. È ovvio, se io pongo al centro della rappresentazione drammatica personaggi di quel tipo in
una società comunque fortemente elitaria, vi è come conseguenza che il tema nominante sarà proprio questo, il
potere, come si gestisce, come si custodisce, come si difende dalle insidie di chi vorrebbe impadronirsene,
oppure come si impadronisce il potere quando ancora non lo si possiede. Alla tragedia compete una dimensione
pubblica. Il tema proprio è la politica, l'esercizio della sovranità, il modo in cui si dirige la comunità. Questo per
quanto riguarda la prima conseguenza dell'idea che la tragedia sia il genere più alto legata all'idea del dominio
della tragedia fra gli altri generi letterari. La seconda conseguenza come dicevo non ha a che fare con il
contenuto, con il corpo dei personaggi chiamati in causa, ma ha a che fare con la forma, con la lingua della
tragedia. Se la tragedia è il più importante dei generi letterari e nelle tragedie trovano posto esclusivamente le
vicende dei più importanti tra i personaggi operanti nella comunità di riferimento, la lingua in cui queste vicende
devono essere rappresentate deve essere la più prestigiosa; il registro nel quale queste vicende devono essere
rappresentate, deve essere un registro il più elevato possibile. La retorica classica definisce questo tipo di registro
sublime. Lo stile a cui il poeta tragico deve attenersi poiché sta lavorando con il più alto dei generi letterari, sta
rappresentando le vicende dei più importanti tra i personaggi, deve essere il più alto possibile tra gli stili, deve
essere sublime. Questo stile caratterizza un elemento: la distanza dal parlato, dal linguaggio comune, uno
spiccato carattere di artificio. Questi personaggi poiché non hanno nulla in comune con gli individui ordinari, e
nulla delle loro vicende è ordinario, perché si tratta di vicende che interessano una ristrettissima élite di
personaggi vicini alle questioni del potere. Questi personaggi sono chiamati a esprimersi in uno stile
programmaticamente non comune, lontano da qualunque interferenza del linguaggio ordinario, cioè del parlato.
Deve essere sempre chiaro che questi personaggi si muovono in un orizzonte ristretto, limitato, circoscritto,
elitario tanto dal punto di vista della loro identità sociale quanto dal punto di vista delle loro abitudine
linguistiche, delle loro attitudini espressive. Devono esprimersi in modo tale che sia chiaro che ci si muove
all'interno di una sfera ristretta proprio perché tale è il carattere della tragedia. Questi tre paradigmi che si legano
reciprocamente, si condizionano e sono inseparabili, presidiano l'orizzonte della scrittura drammatica per 2000
anni Per 2000 anni in Occidente, prima ancora che scrivere le tragedie, si pensa la forma tragica conformemente
rispetto a queste caratteristiche. Le vicende rappresentate nella tragedia non hanno in comune. Il più grande
teorico del realismo in letteratura, uno studioso vissuto a metà del Novecento, autore di un’opera in due volumi
di non sempre scorrevole lettura (non ho capito chi sia), che si intitola Mimesis (ah ora ho capito XD) che è uno
studio sulle forme che il realismo assume nella cultura occidentale, parte proprio da questa osservazione: il
realismo non bisogna andarlo a cercare, una storia del realismo dovrebbe prescindere completamente dalla
forma tragica. Al più tardi sino alla metà del Settecento ogni forma di realismo è assente dalla tragedia. Forme
embrionali di realismo sono presenti semmai in altri generi letterari, nella satira per esempio che per sua natura
ha un legame diretto e concreto con la comunità di riferimento vista nei suoi aspetti quotidiani che attacca in
forma parodistica i disvalori di una comunità. Ma la tragedia resta
completamente immune da qualunque intoccata fino alla riforma nel Settecento, fino a quando una nuova classe
sociale rivolge lo sguardo della letteratura, da questa comunità immaginaria di spiriti eletti che si intrattengono
tra loro in un registro linguistico privo di qualunque aderenza alla realtà concreta dei rapporti umani, verso la
realtà comune, la realtà quotidiana. Se ci si ricorda i due criteri che nella tradizione aristotelica devono dar corpo
al presupposto secondo il quale la tragedia è il più importante dei generi, e cioè il tipo di personaggi e il tipo di
lingua, questi due principi vengono completamente capovolti, invertiti nel dramma borghese. Lessing scrive sì
tragedie, ma queste tragedie non rappresentano le vicende di quel corpo ristretto di personaggi detentori di
privilegi, non si incentrano sul grande tema della conquista e della difesa del potere, ma nella tragedia vengono
adesso inclusi personaggi comuni, ordinari, medi, tali da alimentare al massimo grado possibile la capacità del
pubblico di identificarsi nella sorte dei personaggi. Perché il dispositivo aristotelico puntava non sul meccanismo
dell'identificazione sociale, perché in Aristotele è forte l'idea che l'identificazione funzioni bene se il personaggio
è sì simile a lui ma innalzato di qualche gradino. Il personaggio migliore per la sua poetica, per cui si realizza
l'effetto tragico è un personaggio simile a lui solo un "po’ migliore" (dice proprio così Aristotele) perché per lui
sono del tutto inefficaci personaggi che abbiano un carattere estremo. Ripensiamo al discorso sulle passioni, sul
tipo di passioni che devono essere innescate come effetto della rappresentazione drammatica (pietà e terrore).
Aristotele dice che un personaggio eccezionalmente positivo, virtuoso è del tutto inadatto ad innescare quel
sentimento di identificazione; così come un personaggio eccezionalmente negativo o inguaribilmente malvagio
non suscita nello spettatore alcuna identificazione, ma suscita sentimenti di natura completamente diversa. Di
fronte alla rovina di un personaggio straordinariamente virtuoso noi non proviamo né pietà né terrore, ma
proviamo una sorta di perplesso smarrimento, una sensazione di rifiuto, di incredulità perché il nostro
sentimento morale resiste all'idea che un personaggio così virtuoso sia l'oggetto di una catastrofe così rovinosa.
Non si sviluppa in noi un'adesione empatica spontanea al destino rovinoso di un personaggio troppo positivo
perché appunto un personaggio troppo positivo noi lo sentiamo lontano da noi, suscita il nostro consenso
morale, suscita la nostra ammirazione ma non suscita la nostra capacità di identificazione. Può suscitare al
massimo il nostro desiderio di diventare come lui, ma nemmeno tanto perché comunque proviamo una sorta di
naturale repulsione nei confronti di tutte le forme di eccesso. E lo stesso discorso vale per personaggi
eccezionalmente negativi, che di fronte alla rovina di un personaggio negativo noi non proviamo nessuna forma
di pietà, proviamo soltanto una fredda sensazione di giustizia. Ma questa non è la base di un sentimento di pietà,
non è la base di un moto di spontanea identificazione nei confronti del destino dell'altro. Nel caso della rovina
del giusto noi ci ribelliamo, nel caso della rovina del malvagio noi proviamo una forma di freddo
compiacimento. In un caso e nell'altro non si innesca quel gioco degli affetti che deve portarci in una condizione
di turbamento sulla quale poi deve innestarsi l'azione chiarificatrice, deve distendersi il manto purificatore della
ragione, perché si produca la catarsi. Per Aristotele c'è bisogno di un personaggio simile a lui, solo un po’
migliore e allora alcuni teorici dell'umanesimo-rinascimento intenderanno quella formula "un po’ migliore"
interpretandola nel senso dell'identità sociale del personaggio. Così come ricaveranno dal dispositivo della
tragedia aristotelica l'idea che questo dispositivo debba chiamare in causa delle regole che disciplinino in modo
ferreo ambientazione, sviluppo temporale e caratteristiche del personaggio principale, ricaveranno dal principio
aristotelico secondo il quale il personaggio deve essere vicino ma un po’ più in alto rispetto a lui, dunque è un
personaggio potente, socialmente collocato in una condizione di privilegio. Questo significa secondo gli
interpreti della poetica aristotelica. Lessing sposta il discorso su un altro fenomeno: l'identificazione funziona
tanto meglio quanto più il personaggio tragico è portatore di vicende, destini, gusti, problemi, bisogni vicini alla
quotidianità della vita dei suoi spettatori. L'effetto di identificazione richiede una ininterrotta circolazione fra
l'ambito del palcoscenico e la posizione del pubblico. Il pubblico deve materialmente identificarsi, deve avere in
ogni momento della rappresentazione drammatica la sensazione che sul palcoscenico vengano trattate delle
questioni vicinissime al suo comune orizzonte. Quanto nel 1755 venne rappresentata per la prima volta quella
"Miss Sara Sampson" (????), le cronache del tempo riferiscono di reazioni entusiastiche del pubblico prossime
alla vera e propria isteria; la gente scoppiò a piangere, ebbero vere e proprie crisi di panico per l'improvvisa
scoperta di un potenziale completamente nuovo della rappresentazione drammatica. Prima di quel giorno si
andava in teatro per assistere alle vicende di personaggi lontani, adesso improvvisamente qualcuno comincia a
parlare di fatti, comincia a collocare la rappresentazione drammatica in una dimensione vicina al quotidiano,
perché appunto la conseguenza del fatto che non si parli più delle vicende legate alla sfera del potere, e che si
cominci a parlare di banalissime, comuni vicende di gente ordinaria, cioè di vicende legate alla
sfera della vita privata. È questo il grande cambio di paradigma nella riforma del dramma borghese, ed è questo
ciò che tiene insieme, in fondo, i due aspetti del problema perché si comincia a parlare in modo diverso di
vicende diverse. Si comincia a rappresentare in uno stile differente, perché questi personaggi parlano come
normalmente si parla, fuori dalla cornice artificiosa della rappresentazione teatrale. Nella tradizione delle forme
drammatiche ci si doveva esprimere secondo uno stile programmaticamente distante dal parlato. Nel dramma
borghese il linguaggio è quello comune, è quello che ciascun individuo parlerebbe normalmente se si trovasse ad
affrontare la stessa situazione dei personaggi. Le vicende sono ordinarie, comuni. In "Emilia Galotti" si parla di
una storia d'amore, del desiderio irrefrenabile di un principe, del vero e proprio abuso che questo principe
compie ai danni di una ragazza borghese. La novità è che al pubblico è chiarissimo che per quanto il
corteggiamento del principe sia intriso di abuso, di violenza, sia incline ad ogni possibile forma di eccesso, in
realtà la ragazza borghese cha dà il titolo all'opera è segretamente combattuta, prova una forma di inconfessabile
attrazione nei confronti del principe. Paradossalmente proprio nei confronti del linguaggio del potere che il
principe è abituato a parlare con tanta brutale franchezza. Il vero contenuto dell'opera è il modo in cui nella
famiglia di Emilia si prova a gestire questa crisi. Il nucleo tragico dell'azione coincide con il giorno delle nozze di
Emilia che doveva sposarsi con il suo fidanzato; proprio quel giorno il principe decide di passare all'azione
perché non ha nessuna voglia di rinunciare alla ragazza e dà l'ordine al più spregiudicato dei suoi cortigiani di
organizzare qualcosa purché gliela porti, senza volerne sapere nulla, lavandosene le mani. Questo cortigiano non
si pone alcuno scrupolo e organizza una finta rapina, il corteo nuziale viene sospeso e guarda caso non viene
rubato nulla però si trova il modo di far fuori il promesso sposo di Emilia. Comincia qui il nucleo più delicato
della storia perché Emilia viene portata al cospetto del principe e noi capiamo chiaramente come la sua
condizione sia divisa, come la sua psiche sia schiacciata dal peso della tragedia che le è appena capitata ma come
cominci già ad insinuarsi nel lutto il presentimento di una possibile felicità. Si nota come Emilia non sia
completamente sorda al linguaggio della seduzione. A quel punto il finale scandalizzò il pubblico e determinò
reazioni di isteria paragonabili a quelle provocate nel 1755. La vicenda viene presa in mano dal severissimo padre
di Emilia che vuole trovare una soluzione per sottrarre la figlia da questa tragedia e la trova pensando bene di
uccidere la figlia.
Cultura Ted. 2018-03-26
Argomento: Sturm und Drang

Sturm und Drang → sono due sostantivi maschili, der sturm und der drang, sturm→tempesta, drang→. dal
punto di vista storico-culturale è un segmento molto limitato, episodio nel quadro generale della storia della
cultura tedesca, con la caratteristica di trovare la sua definizione quando il gruppo di autori intellettuali,
“sturmeriani”, ormai ha smesso di agire il concetto, la definizione nasce quando appunto il gruppo non esiste
più, viene tratta dal titolo di un’opera teatrale di uno di questi autori vicini a questo tipo di sensibilità: Klinger e il
dramma che poi viene utilizzato per dare una definizione complessiva di questa tendenza, si chiama appunto
Sturm und Drang. Non è una scuola, non è un movimento formalmente costruito da intellettuali, definizione da
posteriori, si tratta innanzitutto di una forma di sensibilità condivisa, orientamento comune di intellettuali di
provenienza differente, e condividono pur senza accordarsi formalmente su questi principi, innovativi in linea
generale nella cultura tedesca nel ‘700. Il dramma che viene utilizzato poi per ricavarne la nomenclatura,
l’etichetta per questo movimento è nel 1776→ dopo l’anno 1775 in cui ciò che noi possiamo definire lo Sturm
und Drang smette di fatto di esistere. Goethe→ il massimo autore riconosciuto tra il gruppo degli intellettuali,
di questo Sturm und Drang si trasferisce a Weimar. Molto importante, lui si trasferisce perché viene chiamato
per eseguire un incarico molto prestigioso dal sovrano del piccolo granducato del Sassonia Weimar. Il giovane
granduca sotto la guida della madre, la granduchessa Anna Amalia, questi due illuminati sovrani hanno un’idea:
visto che non è possibile porre rimedio al deficit di forza politica del loro Stato, giocano la partita su un altro
campo, possono provare a rafforzare il loro stato dal punto di vista Culturale, avvia così una sistematica politica
di attrazione di reclutamento, i più importanti intellettuali dell’epoca dal 1775 a 26 anni, si tratta nella maggior
parte dei casi di autori portatori di istanze in aperto conflitto con il regime, si tratta di autori borghesi, la genialità
di costoro è quella di creare un rapporto di sostegno finanziario a sostegno degli autori. A questi autori così
viene assicurata una sostanziale indipendenza dal punto di vista ideologico, viene garantito loro il sostegno
finanziario in cambio, e chiedono loro di associarsi alla gestione dello Stato: un’idea moderna, ma un’idea
chiaramente ispirata all’ideale platonico della repubblica dei dotti. Goethe trascorre tutta la seconda parte della
sua vita dai 26 anni 1775 sino al 1832 (morte) a Weimar alternando la cura dei propri personali interessi
intellettuali al compimento di alcune mansione come uomo di Stato al servizio del granducato: ad esempio
l’organizzazione, la cura, a gestione del teatro. [Goethe →massimo intellettuale del tempo messo a capo di un
teatro].

Lo Sturm und Drang portava con sé un segno di militanza, una concezione politica dell’attività letteraria
completamente lontana dall’ambiente della corte. Il 1775 segna una chiusura totale nell’ambito di influenza
esercitata da Goethe, per il gruppo degli intellettuali che si riconoscevano in Goethe, il passaggio al servizio di
una corte rappresenta un imperdonabile tradimento, un cambiamento. La storia è iniziata 5-6 anni prima, iniziata
in modo parallelo a quello che poi succederà una seconda volta nella vita di Goethe, complessa personalità, lui
aspirava anche ad essere uno scienziato in grado di discutere alla pari con gli scienziati del tempo, aspirava a
scrivere opere recepite come trattati di scienza a tutti gli effetti, personalità dominante, ma che in vari momenti
della sua vita si trova ad interagire con altri intellettuali con la quale stabilisce dei rapporti di collaborazione che
sono poi alla base di alcune svolte epocali. La stagione più importante che sta nel segno di questo rapporto di
collaborazione è successiva di un paio di decenni rispetto a quella sulla quale ci siamo soffermati adesso, è quella
che va sotto il nome di Classicismo, collaborazione tra Goethe e Schiller l’altro importantissimo intellettuale
dell’epoca, questa relazione era stata preceduta da un’altra relazione ugualmente feconda, che aveva orientato la
posizione del giovane Goethe ( il giovane Goethe è quello che è precedente al 1775, prima del passaggio a
Weimar) un altro rapporto di collaborazione precedente fu con Herder → anche i popoli si sviluppano secondo
una fase di giovanile vigore, poi la maturità e quando inizia a consumarsi questo vigore allora i popoli
scompaiono. Herder è un giovane intellettuale, poco più grande di Goethe, e si incontrano durante il periodo del
1770-1771 come studente, Goethe ha studiato giurisprudenza a Strasburgo (all’epoca era una città di lingua e
cultura tedesca).

Dei due intellettuali:

∙ Goethe → era l’ingegno poetico, il talento creativo, creatività estetica


∙ Herder → era l’ingegno teorico, astratteggie del linguaggio filosofico, il pensatore astrattore del
linguaggio filosofico

Questi si incaricano di fare piazza pulita di una serie di luoghi comuni, punti cardinali che avevano caratterizzato,
la tradizione estetica della generazione. Tutto il fervore rivoluzionario delle loro teorie e delle opere di Goethe si
incentra sulla priorità di un concetto fondamentale che sta al centro della teoria e della pratica estetica dello
Sturm→ NATURA tutto si gioca nel senso della priorità della natura, che diventa una sorta di principio
universale di ispirazione e un paradigma generale di comprensione del mondo. Opere fondamentali di Goethe
nel periodo dello Sturm und Drang, che sono un gruppo di poesie, di Lieder: Poesie o liriche, caratterizzate da
una forte spinta innovativa nel sistema della scrittura lirica nel ‘700 tedesco, sono un dramma storico quindi non
rappresenta un dramma borghese ma che condivide del dramma borghese tutta la spinta all’affermazione del
valore dell’individuo fuori dal sistema delle costrizioni sociali, è un dramma coerente dal punto di vista
ideologico e culturale rispetto alle tendenze recenti della forma drammatica in Germania, benché formalmente
non sia un dramma borghese,

∙ questo dramma storico si intitola → Gotz (con Umlaut) von Berlichingen, e le due altre opere
fondamentali sono:

∙ 1774 → I dolori del Giovane Werther

∙ Un’opera che si promette di compiere in un secondo momento, ma nella quale noi troviamo espressi al
massimo grado gli aspetti essenziali dello Sturm und Drang: quest’opera non è altro che Il primo stadio di
elaborazione del Faust. Questa tiene impegnato Goethe per tutta la sua vita pubblicata per la prima volta in
forma di frammento:

❖ 1768 → Prima elaborazione del Faust intitolata Urfaust (prefisso er- senso di primitività). Questa è un
paradosso di un’opera mai pubblicata e ritrovata 100 anni dopo.
❖ 1790 → pubblicazione del primo frammento del Faust.
❖ 1808 → pubblicazione della prima parte del Faust.
❖ 1832 → pubblicazione dell’opera completa (prima e seconda parte del Faust).

Queste tre pubblicazioni, erano state precedute da un lungo, intenso lavoro di elaborazione creativa sulla
materia, che aveva impegnato Goethe sin dal periodo trascorso in cui era uno studente, prima che a Strasburgo,
1768→ 19 anni appena immatricolato, questa prima redazione in cui troviamo nuclei fondamentali dell’intreccio,
rappresentati in una forma perfettamente corrispondente al gusto dello Sturm und Drang, quindi diversissima in
quanto la materia sia la stessa, dal modo in cui la stessa materia era trattata a partire dal 1790, Goethe la tiene
sempre in un cassetto, come una sorta di deposito creativo per il lavoro all’opera principale, non la pubblica,
quest’opera ricompare alla fine dell’Ottocento, l’opera fa grande scalpore, inoltre era un’opera di cui non si
sapeva nulla, l’opera è nota in una trascrizione perché il manoscritto è stato perduto, questo primo stadio
dell’opera è noto con il nome di → UR: prefisso che rappresenta il senso di primitività: Urfaust è il paradossa di
un’opera mai pubblicata dal suo autore è che è stata ritrovata dopo 100 anni, diventa poi nel giudizio
storiografico condiviso, l’opera principale dello Sturm un Drang, quella che meglio ci permette di capire i gusti di
questa corrente, insieme all’opera che invece fonda il successo di Goethe, cioè I DOLORI DEL GIOVANE
WERTHER: un’opera la cui ricezione assunse anche un carattere pratico: la gente cominciò a vestirsi come
Werter, a imitare la condotta di vita di Werter e a suicidarsi al modo di Werter. In un personaggio di finzione,
una rappresentazione così fedele di una rappresentazione di realtà, una certa condizione di vita da assumere su di
se il destino del personaggio, tanto che alcuni stati tedeschi vietarono la diffusione del Werther, la pubblicazione
di stanze, perché non solo la gente si suicidava come il personaggio, ma lasciava a mo’ di testamento spirituale
con chiarezza, segni che mandavano al fatto che il suicidio era stato compiuto per analogia con il destino del
personaggio, molti prima del suicidio si lasciavano in tasta una copia del libro.
Bisogna ora chiamare in causa il principale autore che a partire dalla metà del ‘700 lavora creativamente sul
concetto di Natura → Rousseau. Le opere di questo filosofo esercitano un’influenza incalcolabile su tutta la
cultura Europea, influenza sugli intellettuali europei. Rousseau sviluppa in due delle sue opere delle
argomentazioni che ci fa capire il concetto di natura, queste due opere tecnicamente sono due discorsi perché
discorso è uno dei termini tecnici che nella cultura del ‘700 identificano il genere letterario del saggio, cioè un
tipo di scrittura programmaticamente basato sulla finalità di chiarire alcune questioni. Discorsi legati per altro a
una circostanza particolare, anche questa tipicamente settecentesca, luoghi come le Accademie, che sono libere
associazioni intellettuali, erano solite bandire dei concorsi a premi: si stabiliva un tema e venivano invitati tramite
bandi, pubblicità, tutti gli intellettuali dell’epoca a produrre un discorso, un saggio scritto su questi temi. Tra il
1750 e 1755 l’Accademia di Digione in Francia, bandisce due concorsi su due questioni; Rousseau partecipa e
scrive questi due discorsi:

∙ 1° discorso 1751→ Discorso sulle Scienze e sulle Arti (tecnica e cultura)

∙ 2° discorso 1755→ Discorso sulle origini e le cause della disuguaglianza tra gli uomini

L’idea alla base di questi discorsi era che → gli uomini hanno vissuto per un certo tempo in una condizione di
purezza primitiva, di ingenuità non corrotta che Rousseau definisce “Stato di Natura” questa età dell’oro: nella
quale tra gli uomini vigevano relazioni di giustizia, di armonica collaborazione in vista del bene comune,
godevano di benessere perché vivevano in uno spirito di sobrietà ed erano soliti accontentarsi del minimo
indispensabile alla sopravvivenza, e non desideravano trascendere la propria naturale condizione, questo ordine
si è rotto sostiene Rousseau, quando si sono sviluppate le scienze e le arti, cioè la tecnica e la cultura hanno
permesso all’uomo sì una più raffinata conoscenza della realtà, sviluppo del pensiero più complesso, ma proprio
questa consapevolezza ha rotto quella serena condizione spontanea alla realtà, finché l’uomo non pensava era
felice, stava bene, viveva in una condizione di benessere. Rousseau non spiega come espressione di naturale
tendenza dell’uomo al bene, alla virtù e alla socievolezza, la preposizione che si associa a Rousseau, cioè l’uomo
è buono, in realtà è una forzatura del pensiero di Rousseau, perché non è che un uomo viveva in una condizione
di armonia con l’altro uomo perché fossero tutti buoni, perché tutti fossero animati dal desiderio di praticare la
virtù, l’uomo viveva in una condizione di spontanea armonia con il prossimo perché non esisteva alcun oggetto
di contesa, perché l’uomo viveva in una condizione di primitività, non vi era la tendenza all’accumulo, il
desiderio di possesso, ma tutti questi sono effetti della CIVILIZZAZIONE→ perverte la naturale inclinazione
dell’uomo, altera questo spontaneo equilibrio perché la civilizzazione pone davanti agli occhi dell’uomo,
oggetti di cui appropriarsi, genera nell’uomo il desiderio artificioso, contrario alla sua natura reale, di
migliorare, elevare la propria condizione del mondo. Finché l’uomo è lasciato in uno stato di natura l’uomo
non manifesta una tendenza al bene, semplicemente sussiste una relazione di meccanica resistenza poiché non
hanno nessun oggetto da contendere e quindi peggiorare la condizione dell’altro, manca ogni possibile oggetto
di conflitto, divisione che nascono poi con la PROPRIETA’.

Civiltà-sviluppo-progresso-trasformazione/modernizzazione

Migliorano secondo Rousseau le condizioni materiali di esistenza degli uomini ma alternano la natura dell’uomo
che di per sé considerato non nutre nessuna aspirazione a possedere più di quanto è strettamente necessario alla
sopravvivenza, questo desiderio è artificiale, non naturale indotto nell’uomo dagli artifici della civilizzazione,
strutture del progresso che identifica nella Tecnica l’ambito delle scienze e la cultura nell’ambito delle arti. A
partire da queste teorie che esercitano una influenza difficile da definire tanto è ampia, la NATURA diventa un
paradigma generale di comprensione della realtà e sul concetto di natura, gli intellettuali proiettano una
interpretazione positiva, diventa un antidoto universale a ogni patologia della condizione umana, a qualunque
male, sofferenza travagli gli esseri umani considerati come singoli individui o visti come comunità, nella
natura riposa il segreto di una originaria purezza, di una ingenuità, rappresenta una sorta di TERAPIA,
ANTIDOTO, CURA rispetto a fenomeni che questi intellettuale più o meno sempre identificano come
espressione di degenerazione: tutti i processi legati all’economia capitalistica, relazione di sfruttamento
dell’uomo per l’altro uomo. Per rompere questo sistema di relazioni di sfruttamento e ripristinare quella
originaria condizione di armonia con gli uomini e gli altri uomini è necessario dice Rousseau, ritornare alla
natura, ripristinare quello stato adesso perduto, ma che può risorgere attraverso nuove forme di organizzazione
sociale, attraverso una nuova cultura, una nuova forma di persuasione spirituale. Questo progetto di far rinascere
uno stadio preliminare dell’umanità come risposta a una crisi di senso del presente è un paradigma culturale
destinato a tornare sempre nella cultura tedesca e che rappresenta una critica del capitalismo, da destra, una
critica conservatrice al capitalismo, cioè non è una critica al capitalismo che intende correggere le degenerazione
del capitalismo creando condizioni di maggiore giustizia sociale a favore dei gruppi sociali esclusi dal capitalismo,
vittime dello sviluppo capitalistico, questa critica che è molto radicale alle degenerazioni del capitalismo perché
identifica davvero il male assoluto, questa critica non intende porre all’assetto capitalistico la rivoluzione, un
nuovo ordine aperto a includere gli sfruttati, i poveri, ma adopera come soluzione ai mali, all’ingiustizia del
capitalismo il ritorno ad uno stato antecedente alle trasformazioni capitalistiche, il ripristino di un equilibrio
premoderno pre-esistente al capitalismo, in cui le contraddizioni non esistevano, quindi è una critica al presente
con uno sguardo rivolto al passato. Differente rispetto alla critica rivoluzionaria che contesterà il presente ma
nell’ottica di un obbiettivo futuro. Si tratta di una immagina ideale le cui finalità sono di critica al presente. Non
la creazione di un ordine nuovo, ma il ripristino di un ordine precedente, chiaro che Rousseau non crede che sia
esistito veramente, sa benissimo che argomenta con immagini letterarie, questo modello per quanto storicamente
non autentico, non documentabile, gli serve come paradigma di riferimento per rappresentare criticamente il
presente, misura per graduare il termometro della civiltà. Il massimo dello sviluppo possibile viene identificato in
questo modello volontariamente artificioso perché utopico, deve sollecitare gli uomini a tornare all’altezza di
questo modello ideale.
Cultura Ted. 2018-04-09
Argomento: I dolori del giovane Werther (prima lezione)

Ci confrontiamo il nostro avvicinamento al Werther non prima però di aver concluso il discorso sul concetto di
genio dello Sturm und Drang perché Werther è un classico esempio di sensibilità geniale, geniale in senso
tecnico cioè il significato, la categoria di genio che ha nell'estetica dello Sturm und Drang. Werther è un classico
esempio di sensibilità geniale. Questo concetto richiede di essere compreso nei sui rapporti con l’altra categoria
alla base dell’estetica sturmeriana che abbiamo visto la scorsa volta nei suoi legami con la filosofia di Rousseau
cioè la natura.
Che cosa lega dal punto di vista degli autori dello Sturm und Drang queste due categorie? Il fatto che quella
ricchezza di senso che abbiamo visto proiettare sul concetto di natura ovvero l’idea che la natura esprima una
sorta di condizione ideale dell'umanità, uno stato di armonia tra l'individuo e realtà progressivamente perduto nel
corso della storia. Nel suo discorso Rousseau dice che esiste uno stato ideale che è ancora al di qua della storia,
una condizione primitiva nella quale l’uomo viveva in uno stato di armoniosa relazione con il mondo, questo
stato è andato progressivamente perduto, corrompendosi, per effetto, (dice di Rousseau i suoi due discorsi del
1751 del 1755) della natura e della cultura cioè della scienza e dell'arte, di scienza ed arte. Questa ricchezza di
senso, questa felicità aurorale non è andata perduta: sopravvive, nella coscienza, nella vita emotiva, nella energia
affettiva di alcuni individui dotati di una intuitiva capacità di intendere la forza della natura che gli sturmer
definiscono geni. Il genio, nell'estetica dello Sturm und Drang, non è altro che un individuo misteriosamente
dotato della capacità di sentire se stesso in pieno accordo, in armonica unità, senza alcuna condizione di
continuità, con la natura. Questa è una delle proposizioni cardinali alla base della cultura dello Sturm und
Drang. Il genio è uno con la natura, coincide con la natura, cioè ha la capacità di intendere intuitivamente e
quindi in modo non razionale ma attraverso un misterioso scambio di energie emotive con la natura il linguaggio
segreto della natura. Ha la capacità cioè di rievocare, di ripristinare, di far rivivere non fuori di sé ma dentro di sé
(punto fondamentale), nella propria vita emotiva, nel segreto dei propri affetti, quella iniziale condizione di unità,
di purezza primitiva, che secondo Rousseau tutta l'umanità ai primordi del suo sviluppo doveva avere. Questa
condizione è andata perduta, la storia, con l'accumulo degli strumenti di civilizzazione, ha dissolto questa
originaria unità, questa armonia primordiale che però sopravvive non sul piano collettivo, non sul piano sociale
(dove è definitivamente morta) ma sopravvive al chiuso della coscienza di pochi individui particolarmente
illuminati perché dotati di una segreta affinità con il ritmo naturale. Questa affinità è documentata da diversi dei
più importanti testi letterali dello Sturm und Drang, in particolare si può fare riferimento alle poesie del giovane
Goethe che sono tutte incentrate sulla figura di un individuo dotato di eccezionale valore, il genio appunto, le
cui capacità si possono tutto sommato ridurre alla facoltà di condividere l’energia della natura, di lasciarsi
invadere, di accogliere dentro di sé il flusso, l’energia creativa, la capacità formativa della natura e di vivere
conformemente a questa intensità, questa forza eccedente della natura. Le poesie del giovane Goethe pullulano
di rappresentazioni della natura vista in momenti di particolare scatenamento di forza e di energia. Eg. Tipica è
ad esempio la rappresentazione della natura nel giovane Goethe e più in generale all’interno dello Sturm und
Drang (e successivamente anche nel romanticismo) di fenomeni naturali estremi. La natura, nelle opere di
sturmer, non è rappresentata in una condizione di calma e di quiete, di pacifica, idillica sospensione ma è al
contrario rappresentata in una condizione di scatenamento di energie, di oltrepassamento dei limiti. Perché?
Perché proprio in questi fenomeni estremi, non comuni che superano la soglia dell'ordinario, si manifesta
l’energia creativa della natura, la superiore, l’eccedente capacità della natura di produrre forme, produrre
fenomeni, produrre senso (se interpretato in una prospettiva più filosofica). La natura è depositaria di ogni
possibile capacità creativa. Al fondo della natura alberga la massima energia creativa possibile e il genio è dotato
della misteriosa, non razionale, intuitiva capacità di intendere miracolosamente il senso di questa energia creativa
e di renderlo evidente. Come? Sia con la propria condotta, ad esempio il giovane Goethe rappresenta molti
individui che comunicano misteriosamente con modo intriso anche gli aspetti di carattere religioso, c'è
evidentemente un fondo di cultura mistica alla base di questa rappresentazione, la capacità del singolo individuo
di comunicare con il senso segreto dei fenomeni, chiama in causa evidentemente attitudini di carattere religioso.
Goethe attinge a piene mani al patrimonio figurativo della tradizione religiosa per dare forma tangibile al
concetto di genio, per incorporare il concetto di genio in una fisionomia umana e quindi soprattutto il genio
rende visibile, manifesta, lo stato di euforia creativa, irrefrenabile energia formativa come artista. Per la cultura
estetica della seconda metà del Settecento il campo privilegiato nel quale si manifesta la capacità creativa del
genio non è la vita, l’esistenza comune ma è l’arte. Il genio è innanzitutto l’artista perché questa capacità di
senso, questa energia, questa forza che intride la natura e che si manifesta con particolare visibilità nei
fenomeni estremi della natura (eg. Inondazioni, temporali violenti, nubifragi). C’è tutta una metaforica basata
sull’acqua intesa come elemento fecondante, addetto a trasportare la vita alla base della rappresentazione
letteraria della natura nello Sturm und Drang. Se succede qualcosa di accedente, che oltrepassa il limite comune
della natura, si manifesta, nelle poesie del giovane che avete quasi esclusivamente in forme legate all'acqua
(inondazioni, temprali, nubifragi). L’individuo comune teme queste manifestazioni (perché se ne sente
schiacciato, sovrastato, bere in queste manifestazioni in pericolo per la sua sopravvivenza) mentre il genio va in
cerca di queste manifestazioni. Nelle poesie di Goethe è frequente la rappresentazione dell'individuo che è in
preda un trasporto inspiegabile solca il paesaggio a tutta velocità su una carrozza sferzando i cavalli a sangue
durante il più terribile dei temporali, quando il buon senso indurrebbe a starsene tranquilli in casa davanti a un
camino. È proprio in quei momenti che l’individuo di sente un trasporto invincibile ad assorbire dentro di sé
l'energia creativa della natura, a lasciarsi invadere, a lasciarsi fecondare dalla natura. C’è un evidente sostrato di
carattere sessuale in questa rappresentazione dei rapporti tra l'individuo e il mondo, la natura che è forza
feconda per eccellenza feconda l’individuo che assume su di sé tutto il carico dell'energia creativa, si lascia
invadere. L’individuo di genio manifesta questa congenialità con l'energia profonda della natura nella vita ma
soprattutto nella creazione artistica. Questo ha delle conseguenze sul piano storico-culturale fondamentali e
rivoluzionarie perché se il fondamento del genio, se la radice della superiorità, dell’eccellenza del genio è nella
vita interiore cioè nella sua soggettività cioè nella sua unicità, nell’irripetibilità della sua vita interiore. Tenete
presente che la genialità, per questi autori, non è un fatto socializzabile, non è un fatto trasportabile fuori dal
confine stretto del singolo individuo: punto di vista dell’estetica dello Sturm und Drang o si è geni o non lo si è
cioè non si può apprendere la genialità attraverso l'esercizio di una tecnica, la genialità è una condizione
esistenziale, non è una competenza, non è un qualcosa che si possa apprendere, è uno stato, una forma una
forma dell’essere al mondo. O si è dotati preliminarmente di questa caratteristica, di questa misteriosa capacità di
intendere il linguaggio segreto della natura oppure si appartiene alla media degli esseri umani destinati a
trascorrere la loro comune mediocre esistenza cercando di volta in volta ti trovare degli appigli ai quali sostenersi
perché incapaci di trarre da sé le condizioni della propria forza, di trarre da sé l'energia necessaria ad arrivare
all'eccellenza. Se la genialità è una condizione primordiale, non socializzabile, non acquisibile attraverso
l'applicazione di un sapere, attraverso l'esercizio di una tecnica ma è una condizione istintiva, si comprende
subito che le conseguenze di questo postulato sia sul piano sociale che estetico sono incalcolabili.
Sul piano sociale dire che l’individuo trae da sé la propria forza la propria forza significa destrutturare alla radice,
delegittimare il sistema di convenzioni, di norme, di regole sociali che avevano alimentato il sistema della società
di corte.
Come funziona la vita della corte? Cosa legittima l'esistenza del singolo individuo nella corte? L’adesione a un
sistema di regole. Come si vive nel sistema di relazioni sociali proprio del cosiddetto Antico Regime (alla base di
questo discorso c'è la transizione verso l'ordinamento borghese, c'è la valorizzazione dell’individuo, c’è
l’attribuzione alla soggettività di un carattere di emancipazione, di liberazione, di rottura di un ordine avvertito
come claustrofobico, oppressivo). Ebbene, come si vive nella società dell’Antico Regime? Si vive applicando
passivamente una regola, si vive attenendosi a un cerimoniale, esercitando una norma, mettendo in atto un
rituale che è impersonale, che vale per tutti. Il carattere del cerimoniale di corte sta tutto in questo aspetto: è un
cerimoniale che richiede semplicemente di essere applicato, che è non chiama in causa la soggettività del singolo
individuo ma obbliga a mantenere la soggettività al più basso livello possibile perché ogni accento individuale,
ogni elemento soggettivo è potenzialmente portatore di un’infrazione rispetto alla severità del rituale. Il rituale
cerimoniale della vita di corte è inderogabile ed è fatto per tutti. La posizione dell'individuo nella società di corte
è legata alla sua capacità di esercitare questo rituale, di aderire a questo cerimoniale, di adeguare la propria
esistenza a quel principio generale di conformità alla regola che la cultura dell'Antico Regime, che è una cultura
quasi esclusivamente francese (e quindi francesi sono anche le categorie che anche oltre i confini della cultura
francese regolano questo tipo di concezione) va sotto il nome di “décence”. Il termine più appropriato in italiano
per questa parola è “decoro”. Nell'Antico Regime la cultura della società di corte si basa sulla capacità degli
individui di mettere a tacere i propri affetti personali e di adeguarsi al rispetto di un decoro di superficie. Ad
esempio, tipica di tutte le estetiche del classicismo francese è la manifestazione di una impassibilità a qualunque
passione. La regola fondamentale della rappresentazione dell’individuo nella cultura del classicismo del Seicento
francese è che l’individuo è sempre padrone di sé, qualunque cosa gli succeda è sempre in grado di manifestare
un totale controllo sui propri affetti. L'estetica alla base di questa concezione sta sull’idea che è un'opera d'arte
sia tanto più efficace quanto più sia in grado di suscitare nel destinatario una forma di fredda ammirazione.
L'eroe alla base del classicismo francese affronta la propria rovina, va incontro alla propria catastrofe serbando
in ogni circostanza il più inflessibile al controllo di sé, imponendo ai propri affetti una inderogabile disciplina
perché è individuo di corte, perché è abituato alle asprezze, ai pericoli, alle trappole, alle ambiguità della vita di
corte e per resistere a questi pericoli indossa la maschera di una inappuntabile correttezza formale. L'eroe di
corte per resistere a questi pericoli ha indossato la maschera di una inappuntabile correttezza formale.
L'individuo di corte è imperturbabile, l'individuo di corte mantiene i propri affetti nascosti sotto il velo di una
impenetrabile riservatezza.
Se invece lo Sturm und Drang sviluppa un'immagine dell'umanità basata sul primato della soggettività e quindi
sul primato della degli affetti, sulla variabilità, sul naturale dinamismo, sulla naturale mobilità delle passioni
perché alla base non c'è il concetto di decoro ma c'è ce il concetto di natura e la natura è evidentemente soggetta
a metamorfosi continue, è animata da una capacità creativa che non trova mai riposo che dà vita a forme sempre
nuove, a forme caratterizzate da un dinamismo continuo. Ebbene, alla base di questa rappresentazione
dell'umano c'è il rifugio nella impersonalità di un rituale, non c’è la manifestazione di un inappuntabile decoro,
c’è al contrario la manifestazione libera e spontanea delle proprie personali passioni. Questo è evidentemente un
principio che mina alla base il fondamento culturale della società di corte, principio evidentemente solidale con
quelle aspirazioni della nuova classe del terzo stato, della borghesia a trovare uno spazio di autonomia, di libertà,
di emancipazione non soggetto ai tradizionali strumenti del controllo e della repressione tipici dell’ordinamento
feudale. Imporre, affermare la cultura del soggetto significa imporre un modello radicalmente contrapposto
rispetto a quello dell'Antico Regime. Tanto l'Antico Regime funziona sul rispetto delle regole, sul rispetto di un
codice di norme di comportamento prestabilito e assolutamente irrevocabili, quanto il nuovo assetto borghese
funziona sul primato della soggettività e quindi anche su quel carattere di variabilità, di imprevedibilità, di
irripetibilità, di unicità del singolo individuo, che legittima se stesso sulla base dell'energia dei propri affetti, sulla
base della forza delle proprie passioni e non sulla base della capacità di aderire in modo conformistico a un
sistema di norme. Questa conseguenza è già rivoluzionaria ma ce n'è una che dal punto di vista degli storici della
cultura è ancora più interessante e cioè la conseguenza che questo discorso ha nel campo dell'estetica, nel campo
della teoria dell’arte. Così come nella sfera sociale l’obiettivo della valorizzazione del soggetto sono le strutture di
potere del conformismo aristocratico, nell'ambito dell'arte, nell'ambito dell'estetica, l’oggetto della polemica
diventano le norme, le regole, l’idea cioè tipica della cultura del classicismo francese di fine Seicento (che è una
cultura inseparabile dall’ambiente in corte di cui matura). Il classicismo tedesco è più mobile, più dinamico
(associato spesso al nome di Winkelmann), è un classicismo meno ingessato sul rispetto di norme prestabilite in
confronto al classicismo francese, è un classicismo già nutrito di bisogni, umori, aspettative borghesi, è un
classicismo che matura al di fuori dell’ambito della corte e quindi è privo del carattere ciecamente normativo,
repressivo e opprimente del classicismo francese. Proporre l'idea di un soggetto che ricava da se la propria
legittimazione, senza nessun bisogno di appoggi esterni, che anzi vale, è portatore di un valore tanto più intenso
quanto più riesce a costruire se stesso da sé, portando in superficie, ricavando dal fondo segreto della propria
vita affettiva le proprie migliori energie, significa, applicando questo discorso alla costruzione dell'opera d'arte,
significa che l’opera d’arte più efficace, più in grado di parlare il linguaggio di una universale umanità è
l’opera d’arte alimentata dalle passioni degli individui, è un’opera d’arte che si costruisca al di là del rispetto
di ogni norma prestabilita, un'opera d'arte che crei da sé le condizioni della propria legittimità attraverso
l'energia, la forza, l'intensità del legame con la natura. La natura è una sorta di inesauribile deposito di
creatività, basato non sulla passiva applicazione di una regola ma basato sulla spontanea, primitiva condivisione
di una comune sostanza umana. L'artista migliore è l'artista che riesce a parlare il linguaggio della natura cioè
l'artista migliore è che è in grado di versare nell'opera d’arte tutto il carico della propria energia affettiva,
indipendentemente dal rispetto delle regole. Una delle proposizioni fondamentali dello Sturm und Drang che si
ritrova in una delle lettere più importanti più importanti del Werther è che ha come oggetto il contrasto tra
regole e natura. A un certo punto Werther scrive che le regole servono tuttalpiù agli ingegni privi di spirito, ai
mediocri, che i primi di autonoma capacità creativa hanno bisogno, per creare dei prodotti plausibili, di applicare
dei codici, di applicare delle regole che hanno imparato, una tecnica che hanno interiorizzato, e sono in grado
tuttalpiù di esercitarsi in questa attività di nobile artigianato ma le loro opere sono prive di qualunque sostanza
creativa perché sono prive dell'energia, dell'intensità, del soffio vitale che è a un’opera d'arte viene conferita
esclusivamente dalla forza della natura. Applicato al campo dell'estetica, questo discorso genera delle
conseguenze radicalmente rivoluzionarie perché costituisce di fatto la premessa del culto romantico della
creatività come libera espressione dell'individuo, del tutto al di là di sapere predefiniti, di competenze
preesistenti, lo Strum und Drang supera al massimo grado possibile questo presupposto e identificherà per la
prima volta nella storia della cultura nell’artista non un concerto detentore di una tecnica, non appunto Un
artefice (parola da intendere in senso letterale ovvero individuo dotato della capacità di esercitare un sapere). Il
Romanticismo, per la prima volta, applicando questi presupposti che noi stiamo analizzando nello Sturm und
Drang vedrà nell'artista un individuo soggettivamente più forte, in grado di vivere la propria esistenza con
un'intensità superiore rispetto alla media degli esseri umani. Il Romanticismo per la prima volta identifica nel
poeta un individuo differente (non necessariamente migliore ma sicuramente differente), perché il
Romanticismo, sviluppando questi presupposti, identificherà nell’arte non l’esercizio di una tecnica ma una
capacità di comunicazione mistica, religiosa con un livello segreto dell’esistenza, un livello che normalmente
resta nascosto e che l'artista, poiché un individuo potenziato e non perché disponga di un sapere strutturato, di
competenze ma che dispone di una sensibilità e di una capacità empatica, di una affidabilità primitiva con questo
livello nascosto dell'esistenza è in grado di cogliere, appurare, portare in superficie, rendere manifesto, offrire al
consumo degli altri uomini. Il Romanticismo per la prima volta nella storia plurimillenaria dell'arte occidentale
dirà che l'artista è tale non perché sappia fare meglio delle cose rispetto agli altri ma perché sostanzialmente
diverso dagli altri uomini perché portatore come individuo di un valore aggiunto, egli vede ciò che normalmente
gli uomini non vedono. Nella concezione del Romanticismo (ma anche dello Sturm und Drang) il poeta agisce
come una sorta di sacerdote: funziona come canale di comunicazione tra mondi, tra il mondo profano (il mondo
comune dei fedeli che partecipano alla celebrazione sacra) e il mondo nascosto (il mondo religioso dove si
custodisce il senso più profondo) e la sua attività consiste nel custodire la soglia tra questi due mondi, nel
mettere in comunicazione questi due mondi, nel rappresentare tangibilmente, in modo visibile, e offrire al
consumo del fedele, attraverso l'atto materiale, corporeo della comunione, il senso, e renderlo quindi fruibile,
consumabile; l’artista nel Romanticismo svolge esattamente la stessa funzione: sta sulla soglia che separa il
mondo visibile, dal mondo comune, il mondo delle esistenze ordinarie non illuminate dal senso, dal mondo nel
quale invece alberga questa ricchezza di senso, quest'energia formativa, questa capacità creativa. L'artista è
l'unico individuo che è dotato della capacità di vedere più in là degli altri, di cogliere relazioni di senso più
profondo rispetto agli altri uomini, riesce instancabilmente a portare in superficie il senso segreto, il senso
nascosto delle cose e a offrirlo al consumo degli altri uomini rendendo tangibili i livelli di senso nascosti sotto il
velo dell’esistenza comune.
Per Rousseau lo stato primordiale era non più recuperabile perché la storia è portatrice di energia negativa, di
una tendenza inarrestabile di propulsione alla distruzione e più si va avanti più ci si allontana dallo stato iniziale,
più l'uomo è destinato a disperdersi in uno stato di inimicizia reciproca, di moralità e di corruzione, per gli
sturmer invece lo stato primordiale esiste, è tuttora operante, tuttora attivo, non come costruzione sociale, non
sul piano dell'agire collettivo ma al chiuso della spiritualità, della vita emotiva di alcuni individui potenziali, dalla
sensibilità potenziali, di alcuni individui dotati di una misteriosa capacità di ricezione nei confronti dell'energia
formativa annidata delle nell'intimo della natura. È un’energia che si rispecchia nella loro stessa vita spirituale,
nella ricchezza, nell'intensità della loro vita spirituale e prende corpo, trova una forma di espressione privilegiata
nella capacità di creare esteticamente, nella capacità formativa, nella capacità plastica. Così come l'intensità della
natura si esprime nella vivacità della forza, nell'energia soverchiante dei fenomeni naturali, così l’intensità
affettiva dell'individuo di genio si esprime di preferenza nella sua capacità di creare opere d'arte. Questa
differenza di livello è molto importante e si ritrova pari pari nella costruzione del personaggio di Werther perché
per lo Sturm und Drang l'energia che deve pervadere e che pervade l'uomo di genio è un fatto immateriale,
intangibile, è come un fluido. Infatti, Goethe nelle sue poesie giovanili ricorre a metafore afferenti all'ambito
liquido, subito acquatico all'ambito acquatico, perché questa energia non si lascia costringere, difficilmente si
lascia individuare, cogliere, è il risultato di una primitiva empatia, è difficile darne una equivalente visibile, è
difficile definire cosa sia, è un fluido, un flusso, una corrente di energia che serpeggia tra le forme dell'essere e
che l'individuo di genio ha la misteriosa capacità di intercettare è di rendere in qualche modo se non
completamente tangibile almeno di rendere intuibile attraverso le forme simboliche tipiche del linguaggio
estetico, attraverso metafore, attraverso equivalenti allusivi, attraverso figure retoriche.
Se però questo fluido, questa energia (der Sturm) trova la sua più alta forma di realizzazione nell'opera d'arte, è
evidente che c'è anche un passaggio intermedio. Perché questa energia sia davvero feconda, sprigioni tutto il
proprio potenziale di energia, tutta la propria capacità creativa, deve trovare una forma. Questo passaggio è
fondamentale per interpretare in modo corretto il personaggio di Werther dal punto di vista dell’intenzione di
Goethe perché se all’individuo di genio bastasse, per legittimarsi, soltanto intensità della propria vita emotiva,
soltanto l’energia delle proprie passioni, Werther sarebbe evidentemente un personaggio positivo, sarebbe
evidentemente un eroe che suscita l'identificazione del lettore, sarebbe un modello virtuoso. L’intensità crescente
con la quale Werther vive al massimo grado di intensificazione possibile ogni minima circostanza non soltanto
della sua relazione con Lotte, che sarebbe ancora comprensibile perché è innamorato e tutto gli sembra
assumere un una luce particolare, no, la relazione con Lotte è uno dei tanti piani nel quale si misura la capacità di
Werther di vivere a un livello di intensità quasi in porto insopportabile, parossistica. Ogni minima
manifestazione del mondo, dei fenomeni, tutto lo sconvolge, nulla non lo lascia indifferente. Il punto è
esattamente questo: Werther è animato al massimo grado di intensità affettiva, dal massimo livello possibile
di energia emotiva ma è completamente privo della capacità d’organizzare questa ricchezza di sentimento, è
completamente privo della capacità di sottoporre l’intensità del suo sentire alla minima forma di disciplina, di
organizzazione. Proprio ciò che definisce il suo valore ovvero l’intensità della sua vita emotiva è in realtà la
causa della sua fine ed è anche il segno della sua debolezza, della sua insufficienza. L’energia affettiva, per
esprimere tutto il suo potenziale, per essere davvero feconda, per valorizzare davvero l’individuo deve essere
organizzata, deve dar luogo a un’opera d’arte (riprendendo il discorso fatto in precedenza), deve trovare una
forma, l'intensità della sostanza deve condensarsi, deve coagularsi in una forma chiusa. L’intensità della vita
affettiva del genio resta infeconda, è anzi dannosa, è pericolosa, minaccia di distruggere l’individuo anziché
valorizzarlo, anziché a promuoverlo se non è in qualche modo costretta, contenuta in una che la organizzi è che
la metta nella condizione di essere feconda, di essere fruttuosa. Ciò che fa di Werther nelle intenzioni di Goethe
(Goethe intenzionalmente costruisce il personaggio di Werther caricandolo gli elementi di suggestione, di
elementi di fascinazione ) un monito per il lettore, ma è proprio che ciò che determina la fascinazione del lettore,
ciò che fa di Werther un personaggio ricco dal punto di vista emotivo è anche ciò che determina la sua rovina,
non perché gli affetti che travagliano l'anima di Werther siano di per sé aspetti negativi, anzi sono affetti
portatori di grandi fecondità solo che questa fecondità, questo potenziale, per diventare davvero operante deve
essere organizzato in una forma. Il puro e semplice trasporto emotivo (questo il problema di Werther) si ritorce
contro l’individuo sensibile se in qualche modo disciplinato attraverso l'esercizio di una struttura, se non è reso
fecondo, concretamente operante. La capacità sensitiva, l'euforia dell'individuo in grado di cogliere le sfumature,
ciò che è caratteristica la straordinaria capacità empatica di Werther sprigiona non una forza sana, positiva, di
guarigione per l’individuo, non rievoca la promozione e la valorizzazione dell’individuo ma al contrario sprigiona
un’incontrastabile potenziale anarchico, centrifugo, distruggere l’individuo, proprio ciò che lo promuove,
proprio ciò che esprime la forza, l'autenticità, l'unicità dell'individuo, laddove non abbia la capacità e la umana
maturità di riconoscere un limite e di consistere, operare dentro questo vincolo, questa forza finisce per
distruggere ogni possibile tenuta, ogni possibile consistenza dell’individuo. Per ragionare su questi aspetti del
Werther è necessario pensare a questo passaggio che è proprio della poetica di sturmer tra l'intensità con la
quale l’individuo di genio sente il mondo e la necessità che poi questa intensità si condensi in una forma. Ciò
che resta sostanza dispersa, disorganizzata, non soltanto è improduttiva, infeconda ma al contrario distruttiva
perché rinchiude l’individuo in una condizione di insuperabile autoreferenzialità. Werther è in grado, man
mano che procede in questa impraticabile autoanalisi di cui vi è racconto nelle lettere, di percepire al massimo
grado di sottigliezza possibile, le più riposte sfumature della propria vita interiore, nulla lo lascia indifferente,
anche le manifestazioni più comuni, più ordinarie di ciò che lo circonda, raggiunge una sottigliezza inimitabile
della capacità di autoanalisi e di esprimere in modo persuasivo la forza di ciò che lo muove ma diventa cieco nei
confronti degli altri virgola, diventa il più aspro persecutore dell'oggetto amato, della persona amata. Questo
carattere di insuperabile isolazionismo, di mai risolta autoreferenzialità, di egoismo affettivo del personaggio si
coglie già nella caratteristica strutturale del romanzo stesso. Questa è l'epoca del romanzo con una particolare
predilezione da parte degli autori della metà del Settecento per un sottogenere del romanzo che è molto
popolare in questa fase storica: romanzo epistolare perché la lettera è il mezzo più congeniale alla espressione
immediata del sentimento soggettivo ma anche all'analisi più raffinata possibile, la lettera e il luogo, è il
medium nel quale l'individuo espone i propri aspetti egli analizza, allo stesso tempo li sottopone a un
procedimento di carattere microscopico, che porta a vari livelli di complessità. Nel caso di Werther la
complessità è massima, è quasi insopportabile talmente alta è la precisione con la quale certe lettere Werther
riesce a cogliere le più impalpabili sfumature della propria vita emotiva. Il medium epistolare è particolarmente
congeniale alla cultura borghese del Settecento per questi aspetti, perché è un medium che si presta particolare
precisione all'espressione della soggettività e di ciò che rende caratteristica è feconda, produttiva la soggettività.
Al contrario, nel Werther, ciò che dovrebbe essere la condizione strutturale della comunicazione epistolare cioè
la reciprocità manca completamente. Nel Werther c'è un grande fantasma, un grande assente ovvero Wilhelm.
Lettere di Werther si rivolgono a un interlocutore del quale non si sa quasi nulla. Caratteristicamente, tutto ciò
che sappiamo di Wilhelm lo sappiamo attraverso occasionali incisi per lo più all’inizio delle lettere) in cui
Werther riassume il contenuto della lettera precedente che ovviamente il lettore non conosce perché lettore
sente soltanto la voce di Werther, il monologo interminabile di questo personaggio sempre impeccabilmente
chiuso su se stesso, sempre più preso dalle proprie ossessioni, delle proprie manie, ma il suo interlocutore, il
destinatario, l'altro attore, la necessaria controparte della comunicazione epistolare, orizzontale, paritaria
veramente efficace, manca completamente. Wilhelm è il grande assente del Werther. Wilhelm è nulla più che un
nome evocato da Werther quasi sempre per prenderne le distanze, a Wilhelm vengono sempre più attribuite le
posizioni di banale, di mediocre filisteo buon senso, gli appelli alla ragionevolezza che avverte, che man mano
nel romanzo sprofonda sempre più nel vortice delle proprie ossessioni, questi appelli appaiono come espressioni
di mediocrità, espressioni di banale buon senso che non ha nulla a che fare con la sublimità del tormento al quale
Werther si consegna con tale voluttà. Proprio questo tormento è la manifestazione più evidente della sua
capacità di sentire, della forza con la quale Werther è in grado di sviluppare la propria vita affettiva.
È necessario analizzare la duplicità del personaggio, sulla costitutiva ambivalenza di Werther, che poi è motivo
del suo fascino. Tutti gli elementi che costruiscono suggestivamente la capacità di attrazione di Werther, il bello
di Werther, il fascino di un personaggio così radicale, guardando l’altra faccia della medaglia, è anche il motivo
della sua fine. Proprio gli aspetti più intimamente legati alla sua capacità di sentire, nel momento in cui non
trovano la minima forma di contenimento, di struttura, di organizzazione ma restano allo stato di mera
sostanza dispersa si ribaltano contro il personaggio determinandone non soltanto la fine ma determinandone
anche il progressivo impoverimento emotivo. Man mano che il coinvolgimento nelle sfide in questa relazione
anche parzialmente patologica con Lotte si fa più stretto Werther diventa un osservatore sempre più preciso,
dettagliato in modo quasi perturbante della propria vita interiore ma perde progressivamente ogni capacità di
empatia nei confronti della donna che dice di amare.
Il romanzo, letto in una prospettiva di genere è anche una formidabile rassegna sulle forme nelle quali nel
linguaggio amoroso tipico della tradizione occidentale già da Petrarca in poi la donna non sia che è un fantasma
senza corpo nella mente dello scrittore. In Werther questo è evidente: Lotte solo occasionalmente acquisisce una
visione individuale, una voce propria; nella maggior parte delle occasioni del romanzo Lotte non è che è un
prodotto della fantasia sempre più accesa, sempre più estrema, sempre in modo più ossessivo e patologico di
Werther. Particolarmente significativo è il divario tra la sottigliezza con la quale Werther percepisce se stesso e
il vero e proprio contenuto del romanzo ma anche l’oggetto privilegiato della sua capacità emotiva e la crescente
indifferenza che sviluppa nei confronti delle reali esigenze, dei veri bisogni, del crescente imbarazzo, perché
Lotte nei suoi confronti, ad un certo punto, sotto la pressione del marito Lotte decide di impedire a Werther
l'accesso a casa sua e Werther se ne infischia e fa come gli pare ma a un certo punto gli rivolge delle parole che
davvero liquidano il personaggio alle soglie del suicidio e contengono un giudizio distruttivo, radicale sulle sue
capacità di empatia ed esprimono di fatto anche la liquidazione del personaggio, mettono in rilievo con forza
inequivocabile. Lotte è una persona che per quanto possa essere animata da buone inclinazioni, inclinazioni
generose nei suoi confronti non può offrire nulla di quello che è lei a Werther (perché è sposata). Werther invece
continua insistentemente a produrre parole, produrre metafore interminabili che devono rendere tangibilmente
conto della sua ricchezza emotiva, della sua capacità di sentimento ma che evidentemente ha perduto ogni
legame affettivo con il personaggio di Lotte.
Il romanzo viene pubblicato nel 1774 (DATA IMPORTANTE DA RICORDARE). Il romanzo è radicato non
solo biologicamente nell’epoca dello Sturm und Drang ma è collegato anche bibliograficamente nella cultura. Ha
che fare con una circostanza concreta della vita dell'autore che è nel 1772 da maggio a settembre trascorre un
periodo di praticantato una volta conclusi gli studi di giurisprudenza presso una cittadina non lontana da
Francoforte che si chiama Wetzlar. Qui conosce Charlotte Buff che presenta evidentemente delle caratteristiche
non soltanto fisionomiche ma anche biografiche e anagrafiche in comune con la Lotte del romanzo e la più
importante è che è promessa sposa a un uomo che non si chiama Albert (come nel romanzo) ma è August
Kestner. Goethe si innamora ma le cose vanno in modo così composto, civile in questo terzetto (che per molto
aspetti è simile a quello di Albert-Lotte-Werther), che non soltanto, al termine del periodo che Goethe trascorre
in questa cittadina i due si separano in ottimi rapporti ma addirittura tra loro ma continuano a scambiarsi delle
lettere per un certo tempo, un carteggio piccante perché parlano di ciò che li ha legati in questi mesi e parlano
con disinvoltura di questa situazione perché Kestner era consapevole del fatto che Goethe si fosse innamorato
della sua promessa sposa, Goethe non aveva nessuna intenzione di infilarsi in situazioni prive di uscita
dichiarandosi in modo impegnativo a Charlotte e quindi sono gli stessi attori della relazione, una volta esauritosi
l’urgenza, affrontano le cose in un’ottica quasi letteraria. È come se distaccatisi dall’impeto del legame che li
aveva uniti in quegli messi ricchi di fatti ambivalenti, acquisita quindi una maggiore distanza di prospettiva, per
raffreddare ulteriormente la temperatura di ciò che era accaduto nel corso di quel momento, prendessero queste
vicende oggetto ad una pacata rappresentazione letteraria.
Goethe nei mesi successivi prosegue normalmente la propria esistenza, dopo di che, nei primi versi del 1774, in
poche settimane di intensissimo lavoro riprende in mano tutta la vicenda e scrive il romanzo che svolge varie
funzioni nel disegno generale della letteratura tedesca.
Innanzitutto, è il primo bestseller della letteratura tedesca non soltanto per la forza della sua discussione, per
l'ampiezza della sua diffusione, lo è per la quantità di adattamenti, riprese, trascrizioni, opere liriche,
riduzioni teatrali, adattamenti cinematografica, parodie (basta accentuare di qualche grado alcuni aspetti più
evidentemente patologici del personaggio per ricavarne una parodia degli eccessi dell'attrazione amorosa, e le
parodie fioriscono già nell'immediatezza della pubblicazione del romanzo). La parodia è il segno più sicuro della
vitalità di un'opera. La parodia è alla base dei meccanismi di ricezione che determinano la trasformazione di
un’opera in un classico. Le parodie significano che è un'opera è in grado di soddisfare talmente tanti registri,
talmente tante esigenze da prestarsi anche a una inversione letteraria, un capovolgimento radicale del suo spirito.
Le parodie fioriscono già nell'immediatezza della pubblicazione del romanzo. Se da una parte fioriscono i suicidi
cioè i casi di ricezione basati sul principio di un’ingenua, elementare identificazione nel carattere del personaggio,
dall'altra parte fioriscono anche casi di ricezione più complessa, stratificata come quelli basati sul meccanismo
del comico.
L'opera è il primo bestseller della letteratura tedesca anche perché è la prima opera in lingua tedesca
diffusamente recepita fuori dai confini del mondo tedesco. È la prima opera letteraria prodotta in lingua tedesca
che dà ai contemporanei l’impressione tangibile, una chiara consapevolezza del fatto che la letteratura tedesca
può aspirare a reggere il confronto con le altre letterature europee di più consolidata tradizione.
Bisogna anche ricordare di come il Werther agisca anche all'interno della cultura italiana: il riferimento è a “Le
ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo che è un palese adattamento del Werther di Goethe nella forma
epistolare del romanzo. Questo è un esempio di come quest'opera riesce, per la prima volta in Germania, a
legittimare la letteratura tedesca come letteratura esportabile oltre gli stretti confini nazionali.
Cultura Ted. 2018-04-10
Argomento: I dolori del giovane Werther (seconda lezione)

Oggi andiamo avanti con il Werther e ci avviamo alla conclusione. Dunque, abbiamo l’aspetto biografico che è
quello che vi ho già rappresentato: la vicenda dei mesi trascorsi da Goethe presso la cittadina tedesca e l'intreccio
di questa relazione amorosa avuta non soltanto nei confronti di una ragazza che è il modello del personaggio
letterario di Lotte ma si estende al promesso sposo della ragazza, ma che assume sviluppi diversi rispetto a
quello che c'è nel romanzo. Da un carteggio nei quali Goethe, Charlotte Puff e Kestner ricostruiscono quello
che è successo cercando di localizzare ogni possibile carattere perturbante del legame che si era stabilito con loro
nel giro di quelle settimane. A questo piano se ne sovrappone un altro che è quello che spinge Goethe a scrivere
romanzo a metà tra un'opera personale e letteraria ed è questo: il profilo del personaggio si definisce a seguito di
un'altra vicenda che questa volta non riguarda direttamente Goethe ma che però fa molta impressione su
Goethe e che in generale fa molta impressione sui contemporanei cioè il suicidio (è così che si inserisce nel
romanzo il motivo del suicidio) di un giovane intellettuale molto apprezzato all'epoca con cui lo stesso Goethe
era entrato contratto (anche se non intensamente). Questo giovane intellettuale si chiamava Karl Wilhelm
Jerusalem. Ciò che è interessante, anche ciò che in particolare confluisce nel romanzo è che il suicidio di
Jerusalem si spiega sì con l’esito infelice di una relazione amorosa ma soprattutto ha che fare (è questo aspetto fu
immediatamente registrato dai contemporanei) con il tentativo da parte dello stesso Jerusalem di inserirsi
stabilmente presso una corte e di essere riconosciuto socialmente sulla base delle sue competenze intellettuali, il
suo tentativo fallisce ed è all'origine di una serie di delusioni, di frustrazioni, al termine delle quali Jerusalem
decide di porre fine alla propria esistenza. Quindi si vede come, sul motivo della relazione amorosa, sul motivo
della delusione del personaggio nei confronti di una donna amata si inserisce, grazie alla vicenda di questo
intellettuale, il piano che scorre parallelo rispetto a quello del legame sentimentale ovvero il piano della sua
collocazione sociale, il piano delle aspettative di riconoscimento sociale e il piano che ha a che fare con la
delusione di un progetto di inserimento sociale da parte del personaggio.
Quando leggerete un romanzo vedete che proprio il fallimento del tentativo di Werther di compensare la
delusione che al termine della prima parte del romanzo gli si disegna ormai con assoluta chiarezza del suo
desiderio di stare insieme al Lotte, il fallimento del desiderio di compensare questa frustrazione cercando un
impiego presso una corte, ed è il momento della parte centrale del romanzo che rappresenta il perno, l'asse con il
quale tutto procede a velocità crescente verso la catastrofica conclusione finale. Proprio il fallimento di questo
progetto determina la rovina del personaggio, è come se venisse meno ogni possibile terreno lungo il quale il
personaggio può definire se stesso in modo soddisfacente. Quindi la lettura del romanzo deve partire dalla
necessità di stabilire un rapporto tra questi due livelli che sono ugualmente importanti per la definizione del
personaggio: il livello legato alla potenza, all'energia del suo desiderio emotivo, al carattere vorticoso delle sue
rappresentazioni effettive cioè il piano amoroso, il piano del desiderio e della frustrazione, ma anche
parallelamente a questo piano quello riguardante la condizione sociale del personaggio cioè le sue relazioni
con l'ambiente sociale nel quale si trova ad operare e con le varie sfere che caratterizzano i diversi ambienti
sociali nel quale si trova a operare.
Questi ambienti sono almeno due e collocati in modo molto differente tra di loro nel romanzo: c'è l'ambiente
del villaggio di campagna nel quale si svolgono le parti principali del romanzo, nel quale è ambientata la
narrazione con Lotte e con Werther, è un ambiente che è connotato in modo parallelo rispetto al procedere della
vicenda, nel senso che nella prima parte, quando il personaggio di Werther pare protesti ripromettere una
espressamente positiva, un'esperienza di rinascita, di rigenerazione, di fiducia del futuro, di promessa, tutto è
collegato alla speranza che il rapporto con la ragazza susciti in lui il consolidamento delle sue virtù e tutto sta
sotto il segno di una grande apertura nei confronti delle prospettive che questa relazione pare schiuderli. In
questa prima fase il paesaggio naturale, il paesaggio campestre in cui si svolge la vicenda è connotato in moto
chiaramente positivo, tutto si svolge sotto il segno di una incontrastata luminosità. Il paesaggio appare immerso
in una luce idillica, tutto ciò che ha a che fare con la percezione della natura nel personaggio sta sotto un segno
incondizionatamente positivo, il personaggio percepisce stesso in una relazione in tempi interrotta continuità, di
serena unità con il paesaggio naturale e percepisce ogni minima sfumatura del paesaggio e il palazzo paesaggio
attiva il lui risposte che sono tutte nel segno dell’empatia, della finita, di una istintiva corrispondenza tra il
proprio animo e la natura. Il soggetto e la natura in questa prima fase seguono un percorso parallelo che trova
un punto simbolico di unità nel tipo di letture che Werter svolge in questa prima fase.
Che tipo di letture Werther svolge in questa prima frase? L'autore di riferimento che lo accompagna in questa
prima fase e che funge per lui come una sorta di chiave di interpretazione generale sia del paesaggio sia delle sue
relazioni con gli altri individui e sia soprattutto della vicenda amorosa è Omero: tutta la prima parte è perversa da
continui riferimenti espliciti e impliciti alla lettura di Omero, Werther utilizza Omero, che non a caso porta con
sé in una versione tascabile perché appunto è una lettura che richiede di essere svolta (per le caratteristiche del
personaggio in questa prima fase del romanzo) all'aperto, all'esterno, è una lettura che accompagna il
personaggio nella scoperta progressiva del paesaggio, nel sondaggio continuo della natura che lo circonda. C’è
una lettera nella quale Werther ringrazia Wilhelm per avergli mandato, in luogo del volume poco maneggevole
che si era portato dietro quando si era trasferito a Wahlheim, un libretto in edizione tascabile in caratteri più
piccoli che aveva il vantaggio di poterlo accompagnare ovunque. Questa è una caratteristica ripetuta nel corso
del romanzo.
Il luogo della letteratura all'interno del romanzo cioè l'identità di Werther non solo come personaggio che agisce
e che noi conosciamo per le sue condotte ma il ruolo, l'identità del personaggio come lettore è un punto
cardinale nel romanzo perché rimanda l'idea che è molto forte in generale nella letteratura della seconda metà del
Settecento che la letteratura intesa come tradizione del passato ma anche la letteratura intesa anche come
l'attività, la letteratura del presente e quindi una considerazione che si estende non soltanto alla cultura personale
degli scrittori ma anche all'effetto che gli scrittori si ripromettono di realizzare sui lettori con le proprie opere
cioè con la letteratura che loro stessi scrivono, di cui loro stessi sono autori. La letteratura in questa prima fase
della storia della cultura europea (si tratta di fatto di uno sviluppo trasversale) è intesa come una componente
dell'esistenza stessa, è intesa in un rapporto di simbiosi, di vincolo di legame inscindibile con la vita, non è intesa
come un campo separato rispetto a quello dell'esistenza pragmatica, la letteratura viene intesa in un rapporto di
corrispondenza continua e ininterrotta con il campo dell'esperienza e gli autori del passato, gli autori di
riferimento della tradizione in molte opere più importanti di questo periodo vengono presentati come una sorta
di amici, come delle guide, come dei punti di riferimento in grado di aiutare i personaggi ma anche i lettori stessi,
a maturare una più profonda conoscenza della realtà perché la letteratura viene costantemente presentata come
una chiave privilegiata di accesso alla realtà, un deposito di senso, di straordinaria energia il cui effetto non è
allontanare dalla realtà offrendo un terreno alternativo alla realtà ma al contrario avvicinare alla realtà perché la
letteratura pare in grado di offrire una chiave più raffinata di comprensione della realtà stessa. In effetti, un
punto fondamentale della definizione dell'integrità del protagonista del romanzo è la sua identità di lettore
perché Werther stabilisce questo rapporto palesemente empatico con i grandi autori di riferimento della
tradizione, non sono presentati come autori lontani ma al contrario li tratta con ostentata confidenza, attribuisce
a loro l'identità di amici con i quali si impegna in colloqui quotidiani ed è particolarmente utile notare come i
gusti di Werther come lettore si trasformino progressivamente man mano che l'azione si sviluppa dalla prima
alla seconda parte.
Tutta la prima parte sta sotto il segno della luminosità del paesaggio campestre che è dedicato tra l'altro anche
alla scelta di collocare la prima parte del romanzo a cavallo tra la primavera e l'estate ed è nel segno di Omero.
La seconda parte, la parte che viene dopo questo intermezzo centrale, la struttura del romanzo è sostanzialmente
tripartita, anche se le parti sono due: c'è la prima parte in cui tutto è all'insegna della speranza, della fiducia, del
risveglio delle energie spirituali e procede a ribasso con il rifiorire della natura, delle stagione primaverile; c'è la
parte centrale ovvero quella in cui il Werther per distrarsi, per offrire a se stesso un'alternativa rispetto al
prevedibile fallimento dei suoi desideri nei confronti di Lotte, è arrivato Albert non vi lascia alcun dubbio sul
fatto che a presto sposerà Albert e quindi lui è un caro amico, una persona molto cara ma lei ha altri progetti per
la sua esistenza. C'è questa parte centrale in cui si inserisce con grande vigore nel sistema generale del romanzo
la questione sociale perché Werther fa un esperimento di inserimento sociale, inserimento in una struttura
sociale facendosi assumere a servizio di un altro funzionario presso una delle corti. Questo esperimento fallisce
rovinosamente e di fatto introduce la seconda parte nella quale tutto cambia, nella quale sistematicamente i
segnali che sono stati seminati nella prima parte vengono ripresi uno per uno è invertiti, cambiati di senso: se la
prima parte si svolge sotto il dominio di una luminosità primaverile ed estiva, la seconda parte è invernale,
caratterizzata dal dominio di un registro notturno, la seconda parte è caratterizzata non dalla rappresentazione
della natura in uno stato di sospensione, di quiete, di pace idillica ma al contrario nella seconda parte la
rappresentazione della natura sta sotto il segno dell’eccedenza, del pericolo, di fenomeni violenti, della rottura
dell’armonia che domina la rappresentazione della natura della prima parte. L'idillio nel quale rifioriscono nella
prima parte del romanzo le energie spirituali del personaggio viene soppresso, viene fisicamente concretamente
distrutto.
Pochi giorni prima di suicidarsi Werther assiste allo spettacolo affascinante ma anche perturbante (tanto più se si
pensa che finisce in un luogo che è straordinariamente caro perché lì si erano svolti i primi incontri con Lotte)
della distruzione di una zona di quel territorio che vi era particolarmente caro a seguito di una inondazione.
Questo è particolarmente importante per una lettura equilibrata del romanzo perché si premura di riprendere
letteralmente alcuni dei segnali più incisivi disseminati lungo l'intreccio del romanzo della prima parte, riprenderli
destrutturandoli, svuotandoli, mutandone il senso, perché muta il senso complessivo della vicenda. Se nella
prima parte lo strumento di interpretazione privilegiato al quale Werther fa riferimento per tenere insieme la
percezione della natura, la relazione con Lotte, la relazione con l'ambiente è Omero, nella seconda parte l'autore
di riferimento, il testo di riferimento è un altro, che Goethe nel personaggio connota caratteristiche
completamente opposte a quelle che nella prima parte aveva proiettato, l'attore di riferimento della seconda
parte è Ossian. Ossian è un testo popolarissimo nella letteratura europea della seconda metà del Settecento ed è
all'origine di un’esplosione di una vera e propria moda che assumerà poi caratteristiche diverse nelle varie culture
nazionali e che noi per esempio nella letteratura italiana conosciamo con il termine preromanticismo ed in
particolare fra i temi dei più cari alla scrittura così detta preromantica in termini di letteratura sepolcrale. È una
tendenza variamente documentata nella letteratura europea del Settecento, l'espressione di una nuova tendenza
del gusto alimentata da una categoria sulla quale si comincia a lavorare in modo privilegiato nell’estetica della
seconda metà del Settecento e che destinata a modificare radicalmente il discorso stesso sulle arti a partire più o
meno degli anni 70 del Settecento cioè la categoria del sublime. Questa è una categoria fondamentale per capire
qualcosa di letteratura e cultura tra fine Settecento e l'inizio dell'800: il sistema delle arti, sino a questo momento
di svolta nella storia dell'estetica sta tutto nel segno della categoria opposta rispetto a quella del sublime che è
quella del bello. Questi sono termini tecnici del lessico escatologico del Settecento, i termini vengono codificati
in modo pressoché definitivo nel trattato di Burke (un importantissimo teorico inglese della seconda metà del
Settecento). Il trattato di Burke contiene osservazioni sul bello e sul sublime.
Il tipo di letteratura di cui il romanzo di Goethe è espressione ha fondamentalmente attraverso questo culto della
natura, attraverso il rifiuto del valore delle regole, ha finalmente un obiettivo polemico e cioè il classicismo.
Werther è un romanzo programmaticamente non tanto anticlassico ma anticlassicista cioè muove da principi
differenti e anzi radicalmente contrastivi nei confronti dei principi e che erano alla base del classicismo
dominante della letteratura della prima metà del Settecento. Il classicismo è dominato dall'idea che è alla base di
tutte le arti, alla base tanto della produzione di opere d'arte (quindi da lavoro degli artisti) tanto nella ricezione di
opere d'arte (quindi nella posizione del lettore ma anche dell'osservatore di un dipinto o dell'osservazione di una
statua) ci sia la categoria dominante del bello intesa come armonioso equilibrio fra tutte le parti, perfetta
corrispondenza, rispetto rigoroso, sistematico delle proporzioni tra le parti che compongono un'opera d'arte e
indipendentemente dal medium specifico dell'opera d'arte, cioè indipendentemente dal fatto che si tratti di una
poesia, di un romanzo, di un'opera d'arte. Alla base di ogni possibile classicissimo nella storia della cultura
occidentale c'è l’idea che il principio vitale dell’arte e la regola di funzionamento universale di tutta l'arte sia il
bello inteso come rispetto delle proporzioni, inteso come linearità di superficie, come armonia formale risultato
della reciproca corrispondenza tra le parti le quali, nell'assetto definitivo dell'opera, vanno a contribuire in modo
uniforme alla creazione di una tonalità compiuta, di una forma chiusa che l'animo umano percepisce in termini
di bellezza. Ciò che noi ingenuamente definiamo bello i teorici del classicismo lo spiegano su questa base: noi
definiamo bello ciò che ci appare come equilibrato, come espressione di una unità armonica cioè come
espressione di una relazione ben ponderata, di ben di ben proporzionata corrispondenza tra le parti.
Nella seconda metà del Settecento lo scenario improvvisamente cambia: comincia ad insinuarsi del panorama
perlopiù chiuso di questo punto incontrastato del bello nella grammatica delle arti una nuova forma di sensibilità
che l'escatologia del tempo e finisce sulla base della categoria del sublime. Questa è una categoria che
tradizionalmente non aveva che fare con l'estetica, era una categoria che i teorici di questo periodo applicavano
prendendola dal linguaggio della retorica tradizionale e che viene investita di senso nel momento in cui passa a
definire una nuova forma di percezione della realtà e conseguentemente una nuova forma di rappresentazione
finzionale, di rappresentazione estetica della realtà.
Che cos'è il sublime? Si può definire rovesciando il senso di tutto ciò che è stato detto a proposito del bello. Il
bello procura diletto, piacere nell'animo del destinatario dell'opera d'arte attraverso il rispetto di un rigoroso
senso di proporzioni, tendendo a creare una imperturbabile unità di superficie; il sublime procura diretto
nell'animo dello spettatore con gli strumenti contrari, cioè provocando nell'animo dello spettatore non il ben
proporzionato senso di pace associato al bello ma al contrario un incisivo, forte, energico sconvolgimento. Alla
base del funzionamento del sublime c'è l'idea che l'animo umano provi piacere non soltanto quando è
sottoposto a sollecitazioni armoniose, a una rappresentazione ordinata ma anche quando si trova di fronte a
stimoli energici, perché il puro e semplice fatto di provare un affetto intenso, indipendentemente dal fatto che
quest’affetto sia provocato da un motivo sgradevole, il puro e semplice fatto di provare un forte affetto genera
piacere, è fonte di piacere perché il mio diletto non è collegato alla gradevolezza dell'oggetto che suscita la mia
reazione, il mio diletto è generato dall'intensità della reazione: se io provo un forte sentimento,
indipendentemente dal fatto che io lo stia provando per una causa che avverto come sgradevole ovvero una
causa che avverto come pericolosa, come fonte di pericolo per la mia stessa sussistenza, il puro e semplice fatto
che la mia emotività, la mia vita affettiva sia sottoposta a una intensa sollecitazione, questa intensità mi mette in
una condizione di per sé piacevole perché io sento con vigore, con forza me stesso, sento la mia piena vitalità
nella forza della mia reazione affettiva a un certo stimolo.
E infatti cos'è sublime per i teorici del sublime? Sublimi sono per esempio i grandi fenomeni naturali, sono i
terremoti. Questa è un'epoca che dal punto di vista della storia della cultura sta sotto l'enorme impressione
suscitata dal terremoto di Lisbona che è un evento che nella percezione dei contemporanei è perfettamente
paragonabile alle conseguenze provocate dagli attentati dell'11 settembre cioè l'idea che fosse successo qualcosa
di sconvolgente, che il mondo non sarebbe più stato il mondo che era fino a prima. Il terremoto di Lisbona in
pochi minuti distrugge un'intera città provocando decine di migliaia di morti ha sugli intellettuali del tempo un
enorme impatto perché appare una contraddizione radicale rispetto all'ottimismo illuministico cioè le opere
fondamentali maturate all'interno dell'illuminismo si basano proprio sulla contrapposizione tra l'illuminismo
critico, l'illuminismo consapevole, l'illuminismo problematico che si pone il problema del male, che si prova si
pone il problema dell’esagonia e invece la banalità di un illuminismo critico, di un illuminismo piattamente
ottimistico che proclama l'idea che il mondo sia di per sé necessariamente avviato a un progressivo
perfezionamento. Alla base c'è tra le altre cose lo sconvolgimento che gli uomini del tempo fu prodotto
dall'esperienza del terremoto di Lisbona, evento che sembrò contraddire con la massima forza possibile ogni
ipotesi sul fatto che il mondo fosse fisiologicamente necessariamente avviato al bene. I terremoti vengono per
esempio inseriti tra quegli eventi in grado di colpire con la massima forma possibile l’animo umano generando,
paradossalmente, diletto, piacere, non perché il terremoto sia di fatto piacevole, ma perché l’intensità con la
quale io sono sconvolto dal pensiero o dall'esperienza del terremoto mi ponendo stato di accentuato dinamismo
che è di per sé fonte di piacere perché mi permette di sentire con accresciuta intensità la mia energia affettiva.
Questo è il paradigma alla base del sublime, è il paradigma alla base di questa nuova forma di percezione della
realtà e rappresentazione estetica della realtà.
Un testo come i canti di Ossian soddisfano in pieno le aspettative e le esigenze legate al campo del sublime e
non a caso presidiano la seconda parte del romanzo, quella in cui il paesaggio sprofonda in una luce notturna e
nel presentimento di una imminente distruzione. Questi canti di Ossian sono opera di uno scrittore inglese della
seconda metà del Settecento che si chiamava James Macpherson, il quale li presenta come l'oggetto di un casuale
ritrovamento di un manoscritto che egli stesso avrebbe effettuato. In realtà questo artificio è frequente in
letteratura, in letteratura italiana abbiamo l'esempio dei Promessi Sposi di Manzoni che vengono introdotti sulla
base di questo banale artificio. Macpherson fa lo stesso cioè dichiara di aver trovato un manoscritto risalente a
una imprecisata epoca antica ma in realtà lo fa con tale malizia e con tale abilità che in molti furono veramente
concerti se effettivamente i canti di Ossian fossero un testo seicentesco oppure se fossero da avere un testo
risalente al modello al medioevo germanico. Anche perché questa è l'epoca nella quale incomincia a prendere
forma quel tipico interesse per le forme del primitivo, per le forme aurorali, per la giovinezza, per gli stati
primordiali delle culture e che fra l'altro trova espressione in un'attività di appassionato sondaggio delle
testimonianze letterarie della prima epoca di queste culture. È il periodo in cui nasce la germanistica perché gli
intellettuali cominciano ad appassionarsi al discorso delle origini, al discorso primitivo e quindi tra le altre fonti
alle quali si rivolgono per la conoscenza delle origini dell'identità collettiva, per le origini dell'identità tedesca in
questo caso, ci sono i testi letterari della tradizione e ci sono quelli che la germanistica e questi intellettuali
chiamano Volkslieder. Das volk = popolo, das lied = canzone, canto, poesia. Volkslieder è il termine che
questi intellettuali chiamano in causa per dire il complesso di ciò che a loro appare come la etica popolare della
letteratura medievale, questi canti di Ossian si presentano come un classico esempio di Volkslieder. Dal punto
di vista tematico si tratta di poemi tutti incentrati, e quindi si capisce perché sono così congeniali alla psicologia
del personaggio di Werther nella seconda parte del romanzo, tutti incentrati sulla caducità dell'esistenza,
sull’imminenza della morte, trionfano rappresentazioni sepolcrali, si parla continuamente di concetti definitivi, di
allontanamenti irrevocabili, su tutti dei personaggi rappresentati domina il presentimento di un imminente
consumazione, di un inevitabile disfacimento. Sono rappresentazioni del tutto conformi al gusto della poesia
cosiddetta sepolcrale che è un grande fenomeno di moda nella letteratura della seconda metà del Settecento.
L'autore che si chiama sempre in causa è per questo tipo di letteratura Edward Young, giovane (contrariamente
a ciò che scriveva) ed è alla base di un gusto così popolare della letteratura.
Ricapitolando: il romanzo è costruito su una chiara struttura bipolare: la prima parte ha un certo tipo di
percezione e di rappresentazione del paesaggio nel segno di un autore congeniale a questo tipo di percezione,
questo tipo di rappresentazione cioè Omero. E, la seconda parte, dopo la svolta nella parte centrale cambia
tutto, cambia il registro di rappresentazione del paesaggio, il paesaggio sprofonda nell'opacità, nella luce
invernale, l'autore di riferimento, vicino al tono dell'umore di Werther che progressivamente inarrestabilmente
perde se stesso nella maniacale ossessione per questo amore non corrisposto, è il segno dei canti di Ossian.
Il romanzo, come abbiamo detto ieri, è accompagnato nell’immediatezza della sua pubblicazione da un tipo di
ricezione, da un tipo di lettura tutta connotata nel segno dell’identificazione tra i elettori e il carattere del
personaggio e il suo destino.
Per esprimere più chiaramente il concetto: la maggioranza dei lettori del tempo non h alcun dubbio, alcuna
perplessità sul fatto che il personaggio rappresentato sia da leggere come un eroe positivo, cioè attribuiscono a
Goethe la volontà di proporre loro questo personaggio del Werther come un modello virtuoso di identificazione
perché, i primi lettori del romanzo, conformemente a un bisogno di culturale diffuso dell'epoca del quale ci
siamo occupati già, vedono questo stato di continua affezione emotiva nel quale versa Werther come un valore
positivo cioè come una fonte di liberazione, come un momento di emancipazione dai vincoli oppressivi del
conformismo aristocratico, dalle restrizioni della società dell'antico regime. In effetti, tutta la cultura dalla metà
del Settecento tedesco sta sotto il segno di quella potente accensione di sensibilità che va sotto il nome (termine
tecnico della storiografia del Settecento tedesco) di Empfindsamkeit.
suffisso -keit è simile a -heit e ha la stessa funzione.
-keit o -heit sono suffissi che diventano straordinariamente popolari nella morfologia del tedesco nel tardo
medioevo. Nel tardo medioevo c'è un momento di grande sviluppo della lingua tedesca come effetto della
grande popolarità che in questo periodo ha la letteratura mistica: tra il 1200 e il 1400 i monasteri tedeschi
incominciano a pullulare di autori straordinariamente immaginifici, dotati di grandissima creatività non soltanto
dal punto di vista del contenuto delle loro opere ma anche dal punto di vista delle loro capacità di invenzione
linguistica. La letteratura mistica lavora evidentemente su termini astratti, ha bisogno di forzare il linguaggio
perché il linguaggio sia in grado di rimandare all'orizzonte delle cose eterne, all'orizzonte delle cose non
concrete, immateriali, non visibili. In effetti questi due suffissi restano poi nel tedesco come suffissi in grado di
rendere evidente il carattere astratto del sostantivo nel quale vengono utilizzati. -heit e -keit e sono femminili.
Quando una parola finisce in -heit o -keit siamo certi che sia femminile e l’articolo da utilizzare è die.
Il campo semantico di questa parola viene definito dalla radice. Il termine empfinden vuol dire sentire, provare
un sentimento, provare una sensazione. Empfindung è sensazione, sentimento. Un altro termine per sensazione,
più comune. È Gefühl.
-sam è un suffisso aggettivale: suffisso impiegato per la formazione degli aggettivi.
Eg. unterhalten=intrattenere; unterhaltsam=piacevole, gradevole.
Empfinden=sentire; Empfinsam=sensibile.
Empfindsamkeit=sensibilità.
Tutta la cultura del medio Settecento sta sotto il segno del di questa incontrastabile eruzione di sensibilità perché
nella sensibilità viene individuato il mezzo più sicuro per esprimere il desiderio di emanciparsi dal controllo
oppressivo, dal regime repressivo che gli uomini dell'epoca associano l'esistenza sotto l'antico regime. E allora la
letteratura tedesca di questo periodo, ma è un processo che si sviluppa parallelamente nelle principali letterature
europee tanto che si parla anche di sensibilità nella letteratura francese e il testo di riferimento assoluto per
questo tipo di costellazione e La nuova Eloisa (La nouvelle Héloise) di Rousseau, oppure di sensibility nella
letteratura inglese della metà del Settecento e in questo caso il fondatore della moda della sensibility in
Inghilterra e Samuel Richardson con i suoi romanzi incentrati su due figure femminili di Pamela e Clarissa. La
letteratura europea si popola improvvisamente di personaggi e piangenti, ci si conferma reciprocamente
instancabilmente sentimenti di amicizia, di rispetto reciproco, di gratitudine per le più stupide manifestazioni di
vincolo reciproco, ogni minima attenzione di un personaggio nei confronti dell'altro genera incontrastabili
eruzioni di gratitudine e di commozione, si piange per la delicatezza di un amico, si piange per la sfortuna di un
conoscente, si piange colmi di gratitudine per la delicatezza con cui l’innamorato si rivolge all'amata. Per noi
sembrano comprensibilmente reazioni eccessive, sopra le righe, sovradimensionate, in realtà proprio ragionando
in una prospettiva di storia della cultura noi capiamo la motivazione profonda che è alla base di questo tipo di
questo apparente eccesso di sensitività nella letteratura del Settecento: si tratta di sprigionare delle energie di
liberazione, di emancipazione dalle catene del formalismo aristocratico cioè da quel regime rigido, ingessato,
oppressivo che caratterizzava le relazioni di sfruttamento ciò che era il cosiddetto antico regime. Significa che i
lettori di questo periodo sono particolarmente predisposti a cogliere certi aspetti del romanzo cioè sono
particolarmente predisposti a leggere questo stato di crescente agitazione nel quale si trova Werther come un
valore incondizionatamente positivo cioè come la testimonianza, l'espressione della sua ricchezza affettiva, della
sua energia, di una sua incontrastabile capacità e quindi di una predisposizione positiva. Non è così dal punto di
vista di Goethe che è molto chiaro su questo in tante dichiarazioni e anche nella ristampa della seconda edizione
del romanzo che curerà pubblicherà negli anni 80 e che si precluderà di accompagnare con dei testi non del tutto
espliciti ma sufficientemente chiari quanto alle perplessità che erano state convocate in lui dai fenomeni di
ricezione che avevano accompagnato l'uscita del romanzo, questa ondata di generale commozione e di
partecipazione emotiva al destino infelice di Werther. Goethe rifiuta con nettezza l'ottica di identificazione e sarà
sempre particolarmente chiaro sul fatto che l’obiettivo del romanzo era la rappresentazione di un caso
patologico, la descrizione di una storia clinica, il caso cioè di un individuo (Werther) indiscutibilmente dotato
delle migliori attitudini possibili e che però da queste attitudini viene sviato, dall'esercizio di queste buone
disposizioni viene deviato, non tanto per l'ostilità dell'ambiente (anche se questo motivo importante del
romanzo) quanto per la mancanza di una matura cultura delle passioni. Ieri abbiamo già detto qualcosa su
questo: non siamo più nel momento di storia della cultura cioè a metà degli anni del Settecento intorno al 1750
in cui nel momento in quale il puro e semplice possesso di una cresciuta, pronunciata intensità affettiva esercita
di per sé un'azione positiva perché libera dalla repressione del regime aristocratico, siamo in un momento
successivo, siamo in un momento nel quale Goethe introduce elementi di critica, di perplessità nei confronti del
potere liberatorio delle passioni, potere liberatorio che può funzionare soltanto se gli individui non lasciano le
loro passioni a uno stato informe, puro, primordiale perché l’affettività di per sé non è garanzia di una più
potente umanità com'era ancora 25 anni prima; le passioni, gli affetti esercitano la loro capacità di liberare
l'uomo solo se vengono sottoposte a una rigorosa disciplina, se vengono organizzate dentro una forma.
Semplificando potremmo dire che tanto Werther quanto Albert rappresentano due estremi dal punto di vista
della loro fisionomia psichica: ugualmente negativi, ugualmente incompleti. Werther è solo sostanza, sostanza
traboccante, energia priva di qualunque forma di contenimento, è sostanza senza forma. Albert esattamente al
contrario è solo forma senza sostanza, Albert è stigmatizzato nella sua evidente insipienza perché ciò che ha da
offrire a Lotte è soltanto il buon senso, la pacatezza, la piatta la ragionevolezza, la mediocre comodità di una vita
stabile, di una vita regolata.
Cosa ha da offrire Werther sull'altro piatto della bilancia? Ha da offrire qualcosa che è sicuramente più
suggestivo, più affascinante, più seducente nell'ottica del sublime dalla quale siamo partiti ma che proprio perché
è completamente privo di ogni organizzazione, di ogni struttura che non può che sortire infine l'effetto della
distruzione.
La strategia perseguita da Goethe nella costruzione del romanzo ha come punto di riferimento la necessità di
trovare una mediazione, di trovare un equilibrio tra gli estremi che vengono rappresentati da due personaggi
in conflitto tra loro per il possesso della ragazza. Le passioni funzionano, sono feconde soltanto se vengono
subordinate al governo, al dominio di una disciplina formale, soltanto entro una struttura sono in grado di
liberare, di portare l'uomo a esplicitare il meglio delle proprie capacità. In mancanza di questa struttura le
passioni cioè quegli elementi che scaturiscono dal desiderio dell'uomo di liberarsi, di condurre un'esistenza più
autentica più in armonia con se stesso, se non sono sottoposte al dominio di una forma che dia loro la possibilità
di esprimersi in modo tangibile nell'esistenza dell'uomo, le passioni sortiscono un effetto soltanto distruttivo, ciò
che dovrebbe liberare l'uomo in realtà lo perde, ciò che determina la fascinazione e il carattere suggestivo e
seducente del personaggio è al tempo stesso anche il motivo della sua fine.
La necessità dell'epoca a qualche decennio di distanza dall’ Empfindsamkeit è quella di trovare una mediazione,
un’integrazione tra ragione e passioni.
Come funziona tutto questo nel romanzo al di là della formula che, quali sono i segnali che nel romanzo Goethe
dispone nell'intreccio per attirare l'attenzione sui limiti e sul carattere problematico, sulla l'insufficienza del
personaggio e per attirare l'attenzione del lettore sul fatto che il personaggio, lungi dall’esprimere una carica
liberatoria e quindi come tale degna di suscitare l'ammirazione del lettore, è in realtà prigioniero di una
irreversibile tendenza all'anarchia, al disordine, alla distruzione, alla perdita del centro quindi anche alla perdita di
se stesso. Come funziona questo nel romanzo? Se noi ci riferiamo al modo in cui Goethe lavora più o meno
implicitamente su alcune strutture culturali molto familiare al lettore del tempo e rispetto alle quali Werther
svolge un'azione chiaramente connotata in senso distruttivo. Per dirlo chiaramente a cosa ci stiamo riferendo
bisogna chiamare in causa uno dei paradigmi culturali, una delle strutture mentali più familiari alla cultura tedesca
di questi anni della seconda metà del Settecento e rispetto alla quale personaggio di Werther ma nel complesso
della logica del romanzo si svolge una funzione di sovversione, di distruzione che Goethe presenta chiaramente
sotto una luce negativa. Questa struttura fa riferimento a una delle correnti culturali dominanti nella Germania
del Settecento che si chiama pietismo. Il pietismo è un movimento religioso che si diffonde in Germania a
partire dagli ultimi 2-3 decenni del Seicento e che nel corso dei secoli poi diventa una sorta di linguaggio comune
alla base della cultura tedesca e che si può efficacemente esprimere come una sorta di riforma della riforma.
Significa che se la riforma luterana nel Cinquecento si era affermata a partire dalla critica nei confronti della
corruzione e della degenerazione della Chiesa di Roma e aveva inteso opporre alla corruzione della curia romana
e agli abusi che il nome della curia romana venivano perpetrati nelle chiese locali, il ritorno a una sorta di
originaria purezza del cristianesimo dei primordi e quindi c'è l'intenzione di Lutero in alcuni fatti universalmente
noti, in alcuni cardini della dottrina luterana e come per esempio l'idea che il singolo credente possa sulla base
della propria personale sensibilità e quindi facendo a meno della metà e della mediazione istituzionale, della
struttura, dell'apparato della Chiesa, sviluppare del tutto liberamente con piena intensità il proprio personale
rapporto con la divinità sulla base del libero esame delle scritture. Una delle cose più evidenti dei fenomeni di
rottura della riforma luterana è lo svuotamento dell'importanza della struttura ecclesiastica come forma di
mediazione tra il singolo credente e la divinità. Non c'è più bisogno dell’apparato, ciascun credente è maturo
lettore dei testi e quindi è in grado di sviluppare senza il soccorso del sacerdote le proprie convinzioni religiose, il
proprio rapporto con la divinità. Così come la riforma luterana all'inizio del Cinquecento nasce da questa
protesta nei confronti della corruzione della Chiesa, così il pietismo nasce come un movimento di riforma
all'interno del protestantesimo cioè 150 anni dopo la riforma in alcuni ambienti della cultura luterana nasce l'idea
che nella Chiesa luterana si stia sviluppando nella stessa perniciosa direzione che aveva reso necessario 150 anni
prima l'intervento riformatore di Lutero, che anche la Chiesa luterana adesso si sta trasformando in una struttura
di potere e che quindi si allontani progressivamente dalla freschezza di quello spirito innovatore e riformatore
che ne aveva segnato le origini. Allora si dà forma a questo desiderio di cambiamento, di ripristino della
freschezza originaria protestando contro l'apparato, protestando contro l'istituzione, sostituendo alla mediazione
del corpo specializzato addetto alla mediazione tra la divinità e il credente una struttura diversa, alternativa, una
struttura di base, una struttura orizzontale che è nella sua forma classica, canonica, si compone di tre individui e
che si chiama triangolo filadelfico.
Che significa letteralmente triangolo filadelfico? Triangolo costruito sull'amore fraterno.
Da chi è composto nella sua forma canonica questo triangolo? Non è che vengono abolite le chiese al posto
delle chiese vengono messi gruppi di 3 persone, sono fenomeni culturali cioè non vanno intesi secondo una
logica ristretta, i credenti cominciano a uscire dal rapporto con l'istituzione e a organizzarsi in cellule di base, in
piccole comunità che poi trovano la forma più nota e anche più influente sul piano della storia culturale in
questa struttura tripartita, in questa struttura composta da 3 individui che sono, nella forma classica di questo
triangolo, in genere, una coppia di uomo e donna cioè legati da una relazione sentimentale, il che, conferisce poi
quel carattere che originariamente è di piena innocenza per i fondatori del triangolo filadelfico ma che poi come
tutte le cose umane, esposto alle deviazioni, o il migliore amico di lui la migliore amica di lei.
Che tipo di rapporti ( ͡° ͜ʖ ͡°) si stabiliscono all'interno di questo gruppo? Si stabiliscono dei rapporti che la cultura
del tempo valorizza particolarmente perché esprimono il meglio delle attitudini umane, le migliori disposizioni
dell'uomo cioè l'amore, il legame che c’è tra loro e che è il cardine del triangolo, il lato forte del triangolo, e
l'amicizia disinteressata che lega in modo reciproco gli altri componenti. Questa struttura è così popolare nella
cultura tedesca del tempo ma anche nella vita sociale perché non è soltanto una rappresentazione, un paradigma
culturale, non è soltanto una struttura ideologica ma davvero nella società tedesca nel tempo si creano queste
cellule, si creano queste comunità che occupano in modo pervasivo la letteratura del tempo. Tutta la letteratura
tedesca della prima metà del Settecento è strapiena di vicende, rappresentazioni, che in un modo o nell'altro
fanno capo alla struttura del cosiddetto triangolo filadelfico perché in questo triangolo che non esprime il
carattere ideale, è comune a tante culture, una struttura ternaria alla base cioè di qualunque umana intuizione di
ciò che è compiuto, perfetto, questo triangolo è non solo è perfetto e compiuto dal punto di vista formale ma è
anche riempito di sostanza perché al suo interno si esplicano le più nobili disposizioni dell'umano cioè l'amore è
l'amicizia. Come si può capire è un fenomeno da leggere parallelamente rispetto a quello dell’ Empfindsamkeit
ovvero il discorso sul sentimento, sulla sul potenziale liberatorio, sul carattere di emancipazione delle passioni
che si incorpora, si incardina in una struttura sociale, per quanto rudimentale, elementare e primaria possa essere,
che proprio per questa caratteristica di essenzialità si presta poi con particolare congenialità alla rappresentazione
letteraria. Il triangolo filadelfico è, nella cultura dominante della Germania del Settecento (il pietismo), una
struttura investita di significato unicamente positivo, è la cellula di base della vita civile, della convivenza sociale,
vi trovano espressione le migliori capacità dell'uomo.
Cosa resta del triangolo filadelfico ne I Dolori del giovane Werther? C'è comunque la struttura del triangolo
filadelfico perché abbiamo tre persone che apparentemente riproducono il tipo di relazione dominante nel
triangolo filadelfico: due che stanno insieme e uno che oscilla da un estremo all’altro stabilendo relazioni
amichevoli ma in realtà l’amico è il distruttore del triangolo filadelfico. Il triangolo filadelfico viene distrutto da
Werther non tanto perché si innamora di Lotte ma perché non accetta di mettere in pratica una strategia per il
controllo di questo sentimento, per la limitazione di questo sentimento, lui non solo “non fa un passo indietro”
rispetto a questa manifestazione di sentimento ma in ogni circostanza si ritiene animato da un naturale senso di
legittimazione del possesso della realtà della ragazza, ritiene se stesso in ogni circostanza infinitamente migliore
del suo antagonista, ritiene se stesso (??? Parola tedesca scritta alla lavagna e che significa “più valoroso”).
Suffisso del comparativo di maggioranza, aggettivo che significa “valoroso”, Werther è quello che ha più valore,
è quello che vale di più ma in realtà questa sua eccedenza di valore che indubbiamente alla base della sua identità
perché è vero che Werther è dotato di caratteristiche, di attitudini, di disposizioni che fanno di lui il possessore
di una sensibilità potenziata, ma nel momento in cui non accetta di supporre queste attitudini indiscutibilmente
positive a un paziente esercizio di autocontrollo, di autodisciplina, nel momento in cui non accetta di esercitare
la minima sovranità sulla forza delle proprie passioni, da queste stesse passioni viene travolto, viene travolto lui
ma viene travolta anche la intima natura delle sue relazioni con gli altri e cioè viene travolta la base stessa della
convivenza civile, la base stessa di una ordinata, positiva umana relazione. Ciò che fa l'umanità di Werther, cioè
la sua cresciuta sensibilità, fa anche la sua inumanità perché al punto estremo del percorso di Werther c'è la
distruzione il triangolo filadelfico e cioè c'è la distruzione di tutto quello che tiene insieme, che lega, che vincola,
c'è la soppressione di ogni legame, c'è la sospensione dei vincoli elementari tra gli uomini e c'è evidentemente
un'azione distruttiva nei confronti degli altri che viene anche esplicitamente documentata ad esempio nell'ultima
lettera che Werther scrive a Lotte prima di suicidarsi in cui gli confessa nella sua incontrollabile eruzione delle
sue più estreme fantasie che più di una volta ha provato il desiderio di uccidere lei, di uccidere Albert e alla fine,
visto che non riesce a fare questo decide di prendersi una pistola e di rivolgerla contro se stesso.
Cosa è rimasto del sentimento, della capacità umanizzante dell'amore su cui Werther scrive fiumi di inchiostro
nelle lettere a Wilhelm della prima parte? È rimasta la mania, l'ossessione, è rimasta una produzione ormai
autonoma, insensata, priva di qualunque legame con la realtà, fatta di immagini che servono unicamente a dare
alimento alla sua possessione e che evidentemente non possono che condurre a un esito negativo. Da questo
punto di vista il romanzo è davvero l'esposizione di un caso patologico dal quale mettere in guardia il lettore, la
sistematica rappresentazione dei rischi delle passioni, non è l'apologia incondizionata della bellezza, della
capacità liberatoria, della capacità umanizzante delle passioni ma è la rappresentazione critica di un caso
clinico sviluppata con straordinaria precisione diagnostica, con crescente abilità chirurgica perché man mano
che Werther perde il controllo su se stesso in realtà raggiunge una straordinaria padronanza della
rappresentazione dettagliatissima delle mille sfumature del suo stato d'animo, la rappresentazione riccamente
dettagliata di un caso clinico con l'obiettivo di sollecitare il lettore a guarire dagli effetti negativi di passioni non
controllate, con l'obiettivo di sollecitare il lettore a maturare una equilibrata cultura delle passioni. È la
rappresentazione di un caso clinico con una finalità terapeutica, non a caso una delle più efficaci descrizioni del
romanzo la si trova in un antico saggio del fondatore della germanistica italiana Stanislao Mittner che in un
saggio degli anni Cinquanta in una forma destinata a suscitare grande influenza nella struttura critica del
romanzo definisce il Werther come un romanzo anti-wertheriano cioè come un romanzo che per essere
veramente compreso deve essere eletto contro il senso esplicito, contro il significato apparente, deve essere anche
il letto esercitando la massima resistenza possibile nei confronti del fascino che evidentemente un personaggio
così concepito sprigiona. Può essere compreso adeguatamente soltanto condividendo l'ottica critica, la
prospettiva analitica dalla quale il personaggio è rappresentato.
Cultura Ted. 2018-04-16
Argomento: die Weimarer Klassik = il classicismo di Weimar

Abbiamo finito col Werther e adesso cerchiamo di abbracciare, nel modo più sintetico possibile, una
costellazione che dal punto di vista cronologico è abbastanza breve ma che è straordinariamente ricca dal punto
di vista storico-culturale. Si tratta degli anni compresi tra il 1790 e il 1815. Cosa sono queste due date? Cosa si
trova in corrispondenza di queste due date sul più banale profilo di storia europea? 1790 o 1789 l'anno della
rivoluzione francese, punto fondamentale per ogni discorso sul Settecento, nel 1815 è l'anno in cui si celebra il
cosiddetto congresso di Vienna cioè l'anno in cui convenzionalmente si inaugura il periodo che nella storia
europea è definito come restaurazione, cioè il congresso di Vienna nel 1815 pone fine al periodo delle cosiddette
guerre napoleoniche che vedono la sconfitta dell'esercito francese ad opera di una coalizione incentrata perlopiù
sul primato dell'impero asburgico (di cui il fatto che il congresso di pace si generi poi a Vienna). Al termine delle
guerre napoleoniche i sovrani e i loro rappresentanti, delle potenze vincitrici, si riuniscono in questo con
l'ingresso con l'obiettivo di ripristinare lo stato, l'assetto politico istituzionale precedente, non all'arrivo di
Napoleone, all'arrivo di della rivoluzione francese, cioè al 1789. Restaurazione significa ripristino (quantomeno
questo il programma ideologico del congresso di Vienna), ripristino degli assetti politici e istituzionali
preesistenti al 1789, cioè ripristino dell'assetto che noi, come espressione convenzionale, definiamo dell'antico
regime, cioè l'assetto per rivoluzionario. Naturalmente, come potete immaginare non è possibile a distanza di
trent'anni ripristinare qualcosa che ormai già è già morto e superato, quindi nuovi assetti promossi dal congresso
di Vienna solo formalmente riprenderanno le strutture del periodo prerivoluzionario ma in realtà la geografia
politica e la cultura europea sono profondamente mutate da quando è successo negli anni precedenti e il
cammino della storia procederà poi verso l'altra data fatidica del mio 19º secolo cioè il 1848, l'anno in cui il
fermento rivoluzionario che nell'epoca della restaurazione sia andato pensando nei principali paesi europei pro
romperà in una serie di azioni concrete che globalmente noi definiamo come rivoluzioni borghesi, basate
fondamentalmente su una richiesta, ovvero quella dei diritti costituzionali, il riconoscimento dei diritti
costituzionali.
Quindi, la stanza la scansione cronologica: 1789 rivoluzione francese, 1815 fine delle guerre napoleoniche,
congresso di Vienna, inizio, con il congresso di Vienna, del periodo della restaurazione che, convenzionalmente
(è chiaro che stiamo parlando sempre di riferimenti convenzionali), convenzionalmente, si conclude questo
periodo della restaurazione nel 1848, che è l'anno delle grandi rivoluzioni in un po' tutti gli Stati che erano
soggetti alle misure approvate dal congresso di Vienna. Che succede in Germania in questo periodo di tempo?
Come ero 10ª semplificazione si può dire che alla rivoluzione francese, nel mosaico della storia della cultura
tedesca, corrisponde, per ragioni che adesso meno rozzamente prova descritta ad esporvi, il periodo cosiddetto
del classicismo. In realtà, nella storiografia della cultura tedesca vince una definizione più specifica per
distinguere questo tipo di classicismo, cioè quello degli anni 90 del Settecento dai classicismi precedenti, si parla
di classicismo di Weimar questo è classicismo che è, per ragioni che per ora terremo sospese, è una sorta di
risposta tedesca alla rivoluzione francese.
Weimarer Klassik
Weimar è il posto dove Goethe, grazie al successo del Werther, viene invitato a trasferirsi nel 1775 data che
pone convenzionalmente fine al periodo dello Sturm und Drang.
-er è un suffisso che trasforma un toponimo (ovvero un nome di località) nel suo corrispondente aggettivo. Gli
aggettivi derivati da toponimi sono indeclinabili sempre, in tutti i generi e in tutti i casi.
Klassik è un sostantivo femminile.
die Weimarer Klassik = il classicismo di Weimar
Perché Weimar? Perché a Weimar si concentra un'altra quantità di intellettuali contrariamente alle abitudini degli
altri stati tedeschi, il duca Carlo Augusto promuove questa lungimirante attività di reclutamento dei migliori
ingegni dell'epoca, classica per connotare la specificità di questo periodo della storia della cultura tedesca
distinguendola dalla specificità rispetto al classicismo precedente, che di fatto costituisce la premessa, la base, è
però da cui il classicismo variano si discosta per alcuni aspetti fondamentali, che è il classicismo di Winckelmann,
che convenzionalmente si associa al nome all'attività di questo grande archeologo, studioso dell'antico, fondatore
di tutte le tradizioni interpretative che abbiano come oggetto l'attività classica nella cultura tedesca. Per le ragioni
che seguiranno il classicismo di Weimar è una sorta di risposta tedesca alle questioni poste dalla rivoluzione
francese, mentre, per ragioni di cui parleremo tra poco, l'epoca successiva in un in un ideale percorso di storia
della cultura tedesca è il romanticismo. L'epoca del romanticismo è interpretabile come una sorta di risposta
tedesca alle questioni poste dalle guerre napoleoniche. I due movimenti storico-culturali stanno in una relazione
a volte esplicita, comunque sempre chiarissima, rispetto ai due grandi fatti della storia politica e sociale di questo
periodo: la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche che della rivoluzione francese rappresentano la
conseguenza diretta nel senso che gli eserciti francesi provano a, sulla base del riferimento e delle innovazioni,
delle innovazioni determinate in Francia dalla rivoluzione, provano a estendere il dominio, la sovranità francese,
su ampie porzioni di territorio europeo per la tradizionale situazione di debolezza in cui versa la Germania, si si
ripete la storia della guerra dei trent'anni: le principali battaglie finiscono per essere compatite sul suolo tedesco.
Comunque, gli stati tedeschi, al di là di questa circostanza contingente, per la loro strutturale debolezza, sono i
sono i primi ad essere investiti dall'onda d'urto generata dall'avanzata delle truppe napoleoniche dell'esercito
francese, il romanticismo, per alcuni punti che ora diremo, rappresenta una sorta di risposta culturale che gli
intellettuali tedeschi elaborano nei confronti della minaccia proveniente dalla Francia o, se volete ragionare in
termini più neutri, nei confronti della sfida culturale collegata all'espansione del modello francese, espansione
che naturalmente avviene grazie all'efficienza dell'esercito e grazie alla brillantezza dell'esercito francese.
Perché classicismo può essere interpretato come una sorta di corrispondente all'interno della cultura tedesca
rispetto alla rivoluzione francese? Allora, il quadro all'interno del quale muoversi non abbiamo già delineato in
una delle prime lezioni, forse la seconda: abbiamo detto che quando in Germania cominciano a diffondersi le
notizie, i resoconti provenienti dalla Francia all'indomani delle prime iniziative rivoluzionarie cioè all'indomani
del luglio 1789, la prima reazione da parte della cultura tedesca è una reazione di favorevole attenzione, non
proprio di esplicito consenso ma di notevole interesse nei confronti di queste grandi novità, delle quali di
intellettuali tedeschi comprendano immediatamente l'ampiezza, il significato profondo, l'intensità, perché è agli
intellettuali tedeschi appare chiaro che, la condizione di ritardo, di paralisi nella quale versano gli stati tedeschi
deve in qualche modo essere corretta, che qualche iniziativa è necessario prenderla, che la Germania ha
soprattutto bisogno di una drastica ondata di modernizzazione, la Germania deve in qualche modo uscire da
questa condizione di paralisi che deprime la vita sociale culturale e impedisce ogni forma di Judy di sviluppo, di
modernizzazione, lascia la Germania in una condizione di infermità, the debolezza e rilevanza nei confronti del
confronto con gli altri paesi di antica tradizione razionale come l'Inghilterra come soprattutto la Francia che,
anche per solo ragioni geografiche, è sempre un termine di confronto, una misura di riferimento per tutto
quanto accade in Germania. Di questo abbiamo abbia abbiamo parlato. Poi, in un secondo momento, a partire
dai primi dalle dai primi anni 90, dal 92, dal 93, gli anni cioè nei quali la rivoluzione francese si assume un
carattere di accentuata radicalità che è nei profili di storia dell'Europa viene riassunta sotto la definizione di
terrore (il periodo cioè che è culminata con la messa a morte della famiglia reale è con l'inizio di un sistematico
programma di stragi, che di fatto finisce per ritorcersi contro gli ispiratori stessi della rivoluzione) a partire da
questo periodo matura negli intellettuali tedeschi un atteggiamento di critica radicale, di rifiuto nei confronti
della rivoluzione.
A costoro è chiaro che, non perché la rivoluzione ha intrapreso questo percorso di radicalizzazione, i problemi
che la rivoluzione sembrava poter risolvere sono per questo diventati meno importanti, perché i problemi
sussistono tuttora, e per i per quei problemi è necessario lavorare delle proposte di soluzione. Allora, questi
autori, che se non poi fondamentalmente i due grandi autori degli ultimi anni del Settecento in Germania cioè
Goethe e Schiller. Friedrich Schiller e 10 anni più giovane e quindi in qualche modo sempre in una posizione di
the referenza e subordinazione rispetto al grande maestro. Di fatto, ciò che noi come operatori della cultura
tedesca intendiamo come classicismo, come Weimarer Klassik coincide grosso modo proprio con il periodo di
collaborazione intellettuale tra Goethe e Schiller, testimoniato fra le altre cose dall'esistenza di un carteggio, di
uno scambio di lettere, che si snoda tra il 1794, l'anno in cui il loro rapporto era comunque preesistente, di vera e
propria concreta collaborazione sotto forma di oggetti comuni, è il 1805, l'anno della morte di Schiller, che è
sempre stato di salute cagionevole e ha sempre vissuto in condizioni di grande sacrificio, spesso di emergenza
economica anche se l'amicizia con Goethe gli procura buone opportunità di guadagno, e infine con il
trasferimento aveva era ai Weimar è la è la definitiva risoluzione dei suoi problemi economici. Poi Schiller muore
appena quarantaseienne nel 1805 è la collaborazione tra i due se si interrompe e quindi a termine
convenzionalmente il periodo che si definisce classicismo di Weimar. Per molti aspetti questo classicismo di è il
risultato delle attività comuni di questi due grandi personaggi che, per un certo periodo della loro esistenza
descrivano quotidianamente lettere lunghissime nelle quali fanno fondante fondamentalmente il punto sui loro
lavori letterari, si scambiano impressioni, progettano imprese comuni, commentano, qualche volta anche
indugiando nel gusto del pettegolezzo, commentano alcuni dei fatti che accadevano nella società letteraria di
Weimar e della Germania, il complesso della loro attività alimenta questo progetto culturale che noi
comunemente intendiamo con il classicismo di Weimar. Progetto che è stato fondamentale perché
effettivamente questi due autori, proprio per la forza del loro legame con i patti del presente, con la storia sociale
politica del loro tempo, sono tutt'altro che intellettuali rinchiusi nella proverbiale torre d'avorio, sono intellettuali
nei quali il classicismo non essere solamente un paradigmi paradigma antiquario utile alla conoscenza erudita del
passato, il classicismo per loro è una strategia di concreto intende intervento culturale nel presente, è un
programma di lavoro, è un'alternativa alla soluzione politica alle questioni poste dalla storia del loro tempo.
Questo il punto fondamentale: le questioni che i rivoluzionari francesi aspiravano a risolvere con l'azione
concreta, con l'azione pratica, assaltando la pastiglia, facendo prigioniero il re, mentendo mettendo a morte la
famiglia reale poi continuando a provare a estendere lo spettro di influenza della rivoluzione oltre i confini della
Francia, seppure in una versione fortemente, radicalmente radicalizzata, gli intellettuali tedeschi provano a, non a
risolvere concretamente, ma ad adombrare un programma di soluzione delle stesse questioni sul piano culturale.
Un certo progetto di carattere culturale, di cui tra poco diremo qualcosa, rappresenta, dal punto di vista di
Goethe e Schiller, l'alternativa al metodo politico praticato dalla rivoluzione francese più congeniale alla
specificità delle rivoluzioni sociali e culturali e politiche della Germania. Goethe e Schiller dicono che quello che
in Francia è pensabile, è possibile attraverso questi metodi, cioè attraverso l'azione politica, attraverso la
condotta rivoluzionaria, in Germania non è possibile e quindi c'è bisogno di una alternativa per questi problemi
perché devono essere risolti, e quindi, dal nostro punto di vista, dicono Goethe e Schiller, la soluzione migliore
in rapporto al carattere specifico della situazione tedesca dove una rivoluzione non è più non è possibile sarebbe
finanche controproducente, la soluzione migliore è una soluzione di carattere culturale, è un programma, un
progetto dire rigenerazione degli uomini, di rinnovamento spirituale, pensate a quanto in questo periodo tutta la
mitologia basata sul ritorno indietro, sulle ripristino di una condizione iniziale che la storia avrebbe corrotto,
anche loro intendono rigenerare una condizione per tutta, uno stato di purezza aurorale e intendono farlo
attraverso l'arte (PAROLA FONDAMENTALE), attraverso l'estetica. Per loro, quello che in Germania non
sarebbe possibile realizzare con una rivoluzione comunque in generale con un programma di intervento di
carattere politico, quello che non potrebbe riuscire sul piano della prassi, può in alternativa riuscire sul piano
simbolico della cultura. All'arte per loro a, in rapporto alla specificità della situazione tedesca, la stessa possibilità
di mutare nel profondo la condizione di uomini del tempo che in Francia, i rivoluzionari, attribuiscono all'azione
politica. Perché in Germania non sia possibile una rivoluzione, l'abbiamo già detto dal punto di vista di Goethe e
Schiller. Fondamentalmente Goethe e Schiller dicono che in Germania una rivoluzione non è possibile perché
mancano gli attori fisiologicamente impegnati nella rivoluzione: manca una borghesia, mancano un ceto, uno
Stato sociale che disponga dello spazio di assicurazione necessario a questo tipo di intrapresa e manca
soprattutto la cosa tanto ovvia quanto significativa, il destino il destinatario dell'azione rivoluzionaria, lo stato. La
Germania langue in un deserto di riferimenti istituzionali per cui Goethe e Schiller, dicono che se imbastisse un
tentativo rivoluzionario, la cosa andrebbe perfino a danno dell'ulteriore peggioramento della situazione in
Germania perché è una rivoluzione che non ha un chi è che cosa contro cui indirizzarsi. I primi per fermenti, le
prime forme di organizzazioni costituzionali istituzionali vicini alla forma dello Stato per esempio si registrano in
Russia dopo il governo di Federico II. Goethe e Schiller dicono che noi abbiamo il bisogno vitale di uno Stato
prima ancora di pensare di abbattere un ostaggio per imparare piantare una società più equilibrata. Ben venga
uno stato assoluto che compia il lavoro di modernizzazione in seno al quale maturerebbero le condizioni per
l'abbattimento di quello stato ad opera di un corpo sociale che innanzitutto ha bisogno di essere consolidato, di
essere rafforzato nella sua posizione dai miglioramenti, dai fenomeni di modernizzazione permessi dalla nascita
di uno stato. Concordano con loro i più importanti intellettuali se tedeschi sulla inopportunità e sulla
impossibilità di un qualunque tentativo di rivolgimento una radicale della situazione sociale e politica in
Germania, sviluppano l'idea che quegli stessi effetti che i rivoluzionari francesi si ripromettevano dal
combattimento politico, in Germania possono essere realizzati attraverso un’azione di rinnovamento culturale,
attraverso un'azione di rinascita spirituale, possibile attraverso l'arte è il cui obiettivo (e qui scatta il riferimento
all'antico) il cui obiettivo è la ricostruzione nell'intimo dell'uomo, nello spirito dell'uomo, non ancora nelle sue
posizioni materiali di esistenza, la ricostruzione di uno stato di totalità, di armonica unione delle facoltà, di
spontanea collaborazione delle forze, uno stato di totalità destinato a permettere a tutti gli uomini (ricordate
l'incidenza della tradizione giusnaturalistica,, ricordate l'idea illuministica che sia necessario riferirsi a principi che
siano validi per tutti e non soltanto per un corpo ristretto di individui privilegiati) la condizione di totalità che
permetta a tutti gli uomini e a tutti, il libero è incondizionato sviluppo di tutte le proprie migliori attitudini, di
tutte le proprie virtuose disposizioni. Goethe e Schiller dicono che in Francia si cerca di liberare l'uomo
intervenendo sulle sue condizioni di vita materiale, modificando la società; noi dobbiamo provare, dicono
Goethe e Schiller, a liberare l'uomo intervenendo non sulle sue condizioni di vita, non su ciò che fuori dall'uomo
ma ciò che è dentro di lui, intervenendo sulla sua vita spirituale, perché, cambiamenti, trasformazioni che
interessino le condizioni di vita dell'uomo sono, per loro natura, queste trasformazioni, transitorie, hanno breve
durata, sono per i tour e, sono caduche, nel momento in cui una nuova generazione si affaccia sul palcoscenico
della storia muteranno anche le condizioni di vita. La rivoluzione, dicono Goethe e Schiller, in generale, il
combattimento politico, a questo limite insuperabile: ha un orizzonte di efficacia limitato nel tempo, non appena
mutano gli uomini che hanno usufruito di rinnovate, più giuste, più equilibrate condizioni di assistenza sociale, si
esaurisce anche l'effetto di quelle trasformazioni. Noi dobbiamo invece, dicono Goethe e Schiller, operare su ciò
che è nell'uomo non muta, su ciò che nell'uomo non è soggetto al carattere transitorio della storia,
all'accidentalità delle situazioni contingenti, dobbiamo puntare a rafforzare l'uomo ciò che costituisce la sua
sostanza permanente. Loro individuano il centro, i luoghi ideale di questa sostanza permanente nel concetto che
ricavano dalla cultura classica, è questo il collegamento con l'antico, di totalità. Tutta la cultura della seconda
metà del Settecento tedesco, indipendentemente dal tipo di classicismo, cioè indipendentemente dal modo in cui
la lettura dell'antico si riflette nella concezione dell'arte di un Winckelmann o di un Goethe o di uno Schiller,
indipendentemente da questi aspetti specifici tutti i grandi intellettuali della seconda metà del Settecento tedesco
attribuiscono all'ideale dell'uomo greco, che si tratta ovviamente di una costruzione ideologica, di una
rappresentazione culturale (loro non hanno la minima idea di come davvero era l'antichità greca ma allora non
interessa elaborare un'immagine ideale che serva come punto di riferimento per la comprensione del presente, da
cui l'idea del classicismo programmatico, militante, non puro e semplice strumento di lettura del passato ma uno
strumento posto al servizio di un programma di trasformazione profonda del presente) tutti per tutti, nella
seconda metà del settecento, finiscono per attribuire all'uomo greco, all'essenza della crescita grecità, questo
carattere di totalità cioè di piena armonia tra l'individuo e il mondo. È diffusissima la rappresentazione culturale
della Germania nella seconda metà del Settecento per cui l'uomo greco, per qualche misterioso motivo, in forza
di una spontanea congenialità con il proprio ambiente, vivesse in uno stato di armoniosa unità con le forze della
natura e in generale con l'esterno, che ci fosse, se vogliamo ragionare secondo categorie anacronistiche per i
greci ma forze più vicine alla cultura occidentale, che ci fosse una perfetta, reciproca corrispondenza tra ciò che
Rinascimento definirà poi microcosmo e macrocosmo è che il micro il microcosmo e macrocosmo si
riflettessero in una relazione di ininterrotta specularità. L'individuo greco (dire uomo greco è la stessa cosa
perché si tratta di costruzioni basate sul primato del maschile, ci sono in gioco questioni di genere molto
importanti) uomo greco appare ai grandi intellettuali di ogni possibile classicismo in Germania, come il portatore
di una misteriosa condizione di felice unità trasse e il mondo. Secondo questo paradigma l'individuo è il mondo
stanno in una relazione di perfetta corrispondenza reciproca, sono un tutt'uno quindi, per esempio, nelle opere
d'arte dei greci si esprimerebbe l'ideale di una perfetta naturalezza. Allo stesso modo in cui la natura i propri
oggetti cioè le forme del mondo dinamico, del mondo visibile, sulla base degli stessi principi greci avrebbero
creato le loro opere d'arte, cioè riferendosi a un ideale sopra storico, assoluto, universale di bellezza, universale
perché fondato su un principio di piena naturalezza e quindi incorruttibile, non atteggiar abile, non sottoponibile
ad alcuna discussione critica, ragionando così il presupposto alla base è che esista un unico ideale di bellezza che
quello radicato nella natura è che i greci avrebbero plasticamente realizzato questo ideale stabilendo quindi un
modello di eccellenza estetica non più insuperabile rispetto cui le epoche successive possono esercitare nulla più
che un'attività di imitazione. Imitazione è un termine tecnico della storia della cultura del Settecento. Questa
idea, che è alla base del classicismo di Winckelmann, quest'idea del primato dei greci, basato sull'idea che i greci
fossero misteriosamente abilitati a riflettere la natura, quest'idea e la proposizione cardinale, il principio alla base
di ogni essere espressione di cultura classicisti da, in Germania. Winckelmann, negli anni 50 del Settecento aveva
posto l'accento soprattutto sulle conseguenze in termini estetici di questi principi, incentrando il proprio
classicismo sull'idea che è venuto dopo, che ha perso questo spirito inspiegabile di congenialità che pervadeva le
forme di esiste di esistenza del greco, chi ha perso questa felice predisposizione a una creatività naturale, non
poche imitare passivamente l'esempio dei greci. Ai nostri classici, ai classici della Weimarer Klassik, sollecitati da
dagli incessanti fenomeni di modernizzazione del loro tempo, interessa invece un altro aspetto della questione: a
loro non interessa il classicismo come strumento di più raffinata conoscenza del passato, al loro interesse
classicismo come base per un rinnovamento culturale del presente, come unica possibile alternativa alla
rivoluzione politica, al cambiamento politico. Gli obiettivi che rivoluzionari francesi si ripromettono di
raggiungere attraverso il cambiamento materiale della società, gli stessi obiettivi, cioè la modernizzazione,
l'emancipazione, l'imposizione di una cultura dei diritti, i nostri autori, considerando anche soltanto Schiller, se le
aspettano da uno strumento per sua natura immateriale, impalpabile, fuori da ogni all'ambito della prassi come
l'arte. Per loro l'arte ha la capacità di far rinascere quello stato di perfetta unità tra l'individuo e il mondo, cioè
quello stato di totalità, di pieno controllo da parte dell'uomo delle proprie forze, delle proprie energie e di libero
esercizio da parte dell'uomo stesso della capacità di trasformare l'uomo sulla base di questa persuasione interiore,
secondo questa immagine culturale del classico che abbiamo appena alzato, era propria dell'uomo greco. Alla
base di tutto c'era la riflessione sull'antichità, antichità che, nella cultura tedesca è sempre l'antichità greca, il
riferimento al mondo latino è del tutto minoritario nei vari classicismo tedeschi. Ai tedeschi interessa, come su
misura reale della, l'antichità greca in particolare la grecità che convenzionalmente ci siamo ritrovati a definire
come classica cioè quella del quinto secolo avanti Cristo. Quella è la misura di ogni ideale di purezza e di
equilibrio formale della cultura tedesca. In questa immagine dell'uomo greco costoro vedono sviluppato al
massimo grado possibile questo ideale di totalità. Che cosa si intende per totalità? Si intende una condizione di
sereno dominio delle proprie forze, alimentata da una piena coincidenza tra la condizione dell'individuo e la
condizione del mondo che lo circonda, sereno dominio delle proprie forze, che porta l'uomo a disporre
integralmente se stesso, a percepire se stesso come unità indivisa, libero quindi di dispiegare in tutte le forme di il
proprio essere al mondo, le proprie migliori capacità, le proprie migliori attitudini, tutto il ventaglio delle proprie
disposizioni, senza, punto fondamentale, disperdersi, corrompersi, impoverirsi nel polo opposto rispetto a quello
della totalità. Se la totalità è libero esercizio di tutte le proprie migliori attitudini, possesso di sé in una condizione
di ideale integrità, al polo opposto c'è la divisione, la frammentazione dell'unità, è come secondo Goethe e
Schiller (in delle attuali attentissimi a quello che succede attorno a loro, acutissimi lettori delle trasformazioni
storiche del loro tempo, sono da questo punto di vista davvero degli intellettuali militanti, sono intellettuali
pervasi dal desiderio di intervenire nel profondo il loro tempo, di lasciare una traccia leggibile anche a distanza di
secoli) come per, qual è la forma opposta al sereno dominio di se stessi che proprio della totalità? La
frammentazione, la divisione. Goethe e Schiller vedono realizzate queste cose in due ambiti: nella politica, nella
vita politica, cioè nel comportamento sociale è nella economia, nel mondo del lavoro. Perché? Innanzitutto
Goethe e Schiller attribuiscono un ruolo negativo, cioè attribuiscono la capacità di rompere l'unità della totalità
umana ai campi nei quali in questo periodo, nel Settecento, si producono le più importanti trasformazioni sul
piano della vita collettiva perché nel Settecento avvengono due grandi rivoluzioni: la rivoluzione politica,
quell'arco di rivoluzioni che parte dalla rivoluzione americana e si conclude con la rivoluzione francese è una
rivoluzione nelle forme di produzione economica che noi globalmente pubblichiamo sotto la dicitura
rivoluzione industriale. In entrambi questi campi che sono i luoghi elettivi della modernizzazione a fine
settecento, Schiller individua l'azione di forze contrarie allo spirito della totalità. Sia nel cambiamento delle forme
di produzione economica, sia nella rivoluzione politica, e Schiller vedono all'opera non lo spirito della totalità ma
il suo peggior nemico, cioè lo spirito della specializzazione, lo spirito della frammentazione. L'arte, dicono
Goethe e Schiller, che per motivi che tra poco vedremo, è forza di liberazione, l'arte aggrega, l'arte collega ciò
che rischia di andare disperso, l'arte ripristina l'unità dell'uomo, l'arte ricostruisce la totalità, l'arte permette
all'uomo di sentirsi in armonia con se stesso, in armonia con il mondo, e quindi l'arte esercita una capacità
riumanizzatrice, l'arte sprigiona una forza terapeutica perché rimette insieme ciò che rischia di dividersi, fa
rinascere la totalità; il lavoro e la politica dividono, obbligano l'uomo a specializzarsi, obbligano l'uomo a
esplicitare soltanto una parte ridotta delle proprie capacità. L'economia e la politica, il lavoro è la politica,
rendono l'uomo unilaterale (PAROLA CHIAVE). L'arte ricostruisce la totalità, gli ambiti della prassi rompono
la totalità, fanno saltare i legami che l'arte in grado di ricostruire, imponendo all'uomo l'assunzione di condotte
parziali, illuminate dallo spirito disumanizzante, dal punto di vista di Goethe e Schiller, della parzialità, dello
specialissimo. Totalità contro specialissimo, unità contro parzialità, integrità contro unilateralità.
In che rapporto è l'arte con i due campi della prassi ovvero il lavoro e la politica? Politica. Dicono Goethe e
Schiller che le necessità legate alla storia della politica nella quale bisogna raggiungere il possesso di un'egemonia
nei confronti degli altri, per realizzare proprio programma, non necessariamente per i vantaggi legati
all'acquisizione del potere, ma per la fisiologica necessità che la politica pone di trovarsi in una posizione di
vantaggio rispetto ai propri competitori, si tratta di una situazione di antagonismo nella quale, anche con la più
sublime delle finalità, è comunque necessario da giacere ad alcuni codici, ad alcune regole cioè, in che cosa
questa necessità è intuitiva, danneggia quel presupposto di totalità che per Goethe e Schiller rappresenta il
contrassegno fondamentale dell'umano? Banalizzando molto: se si vuole operare con successo nella politica
bisogna necessariamente essere unilaterali cioè bisogna identificarsi senza riserve, con piena capacità di adesione
rispetto alle proprie ragioni che sono necessariamente ragioni parziali, che è fisiologicamente non abbracciano le
ragioni del mio avversario, ma anzi, necessariamente le escludono, le contraddicono, stanno in opposizione
rispetto all'altra metà della ragione. Il comportamento politico obbliga chi voglia agire con successo, cioè chi
voglia rivendicare il massimo possibile della capacità di trasformazione, obbligano costui a insistere in modo
ossessivo, parziale, sulle proprie ragioni. Si tratta di operare sempre assumendo la condotta, i gesti e linguaggio di
chi rivendica a sé stesso tutta la possibile ragione e per ciò stesso nega qualunque legittimità alla ragione
dell'avversario. La politica su si basa su questa richiesta di ragione assoluta, su questa rivendicazione di verità per
la propria posizione, siccome la verità è molta più complessa della mia personale opinione, della posizione
soggettiva di chiunque, la politica, e quindi per politica Goethe e Schiller guardano ciò che sta succedendo in
Francia, per loro è un fortissimo argomento di delegittimazione della rivoluzione come in generale del porto del
comportamento politico, ma è chiaro che l'obiettivo polemico immediato di Goethe e Schiller è la rivoluzione
francese di cui discutono non soltanto gli esiti concreti (quello che abbiamo detto che in Germania sarebbe
controproducente) ma discutono anche della struttura, del linguaggio, della legittimità in linea generale è l'azione
politica, periti fisiologici limiti legate alle forme del suo rispecchiamento, a implicare, perché Goethe e Schiller,
una necessaria forma di compressione della totalità. La politica deve, per funzionare semplificare, comprimere,
ridurre ogni possibile forma di complessità, mozzarella totalità, amputare la necessaria totalità del reale di alcune
sue parti perché possa funzionare. Se io, in quanto attore politico voglio avere ragione, non posso dare ragione
all'avversario, devo muovermi accettando la finzione ideologica che la ragione sia tutta contenuta da una parte e
che l'altra parte abbia torto, il che è una forma, se ci pensate, primitiva, quasi infantile di lettura della realtà e di
comportamento. Chi è così stupido da pensare che la ragione tutta dalla sua parte. La politica si basa su questa
che gli attori della condotta politica hanno chiaramente presente come una necessaria finzione e che però,
dicono Goethe e Schiller, ha come effetto la mortificazione, la distruzione della necessaria cultura della totalità e
quindi, alla fine, la distruzione di ogni senso di unità. La politica, è, in senso letterale, disumanizzante, dicono
Goethe e Schiller, perché vincola l'uomo all'assunzione di una posizione unilaterale e non integra, non totale ma
ostinatamente, programmaticamente parziale e quindi antiumana. Questo è un argomento potentissimo proprio
a danno di uno dei principali fenomeni di modernizzazione che interessa questo tempo, la seconda metà del
settecento. Proprio nel campo della politica la gran parte degli uomini di questo periodo paiono maturare le
premesse di una di un avanzamento dell'umano, di un riscatto dell'umano, di un'estensione dei diritti a quanti ne
erano stati tradizionalmente privi, proprio sulla politica sembrano condensarsi attese di rigenerazione, di
guarigione, di miglioramento per gli uomini del presente, ma per Schiller no, è la struttura stessa della politica a
impoverire l'umanità di chi agisce sul piano della prassi è obbliga chiunque si faccia carico delle necessità legate
alla politica, all'assunzione di una condotta parziale è quindi disumanizzante. Così viene delegittimato il primo
grande versante lungo il quale si producono le grandi trasformazioni collettive nella società europea della
seconda metà del Settecento.
Il secondo versante, la seconda grande rivoluzione che Goethe e Schiller delegittimano alla base, rivendicando
invece all'arte solo la capacità di realizzare questo questi obiettivi è l'economia, è la modernizzazione che si
pronuncia nel Settecento nell'ambito dei mezzi di produzione economica. Perché? La rivoluzione industriale è
associata al cambiamento nelle forme concrete di produzione economica, la rivoluzione industriale è collegata a
un cambio epocale di paradigma nella struttura economica dei paesi occidentali cioè ci si allontana dalla Terra
come luogo di produzione economica, come base, come fonte della ricchezza, la ricchezza la si costruisce
attivamente attraverso la produzione è la circolazione di beni, di merci, di oggetti. La rivoluzione industriale
introduce nell'economia e quindi nella cultura dei paesi europei, quel tratto di accentuato dinamismo, di
accelerazione nelle forme di condotta, dei sistemi di vita che noi associamo ad esempio a una delle grandi
rappresentazioni culturali alla base della cultura europea della di fine Settecento-iniziò Ottocento cioè quello che
ci siamo abituati a definire come lo spirito faustiano: l'idea che l'uomo sia pervaso da una spinta insopprimibile al
superamento dei propri limiti, lo spirito del capitalismo in pratica, l'idea che l'uomo abbia dentro di sé un è un
inesauribile dinamismo che si esprime, tra tutti gli altri campi nel quale la società di questo periodo lo vede
operare, si esprime nella forza, nell'che è che si esplica nei campi economici, nell'attività degli, nelle forme di
produzione di beni proprie delle forme capitalistiche e che vede, a differenza dell'economia rurale, cioè
l'economia al legate al possesso stabile della Terra e allo sfruttamento di un bene è sempre disponibile ma non
modificabile, l'economia industriale, l'economia capitalistica è collegata invece alla produzione di ciò che prima
non c'era e quindi è portatrice di un fortissimo istinto al dinamismo, al cambiamento, all'accelerazione, la spinta
che a tutti i livelli si imprime sia nelle forme di condotta privata dell'uomo sia nelle relazioni sociali a partire
dall'inizio dell'Ottocento, sta evidentemente in una relazione più stretta con i cambiamenti che si producono sul
piano dell'economia. Tutta l'Europa, tutto il mondo occidentale appare in preda a una spinta mai
precedentemente provata in queste forme, al cambiamento rapido, all'accelerazione non governabile, non
preordinato, al dinamismo. Alle merci devono essere prodotte in quantità sempre maggiori, merci sempre più
raffinate, sempre più in grado di soddisfare bisogni sempre più raffinati e soprattutto queste merci devono
viaggiare, devono spostarsi, devono circolare e quindi c'è sempre questo dinamismo che intride la vita del
continente europeo nello sviluppo delle strutture destinate a favorire lo spostamento fisico dell'uomo. Vengono
creati le i sistemi di infrastrutture stradali, nasce la ferrovia, la ferrovia diventa un canale dello spostamento di
massa, l'immaginario stesso comincia a essere riccamente popolato di rappresentazioni del movimento, delle
strutture dello spostamento. Il treno diventa, all'inizio dell'Ottocento, uno dei grandi canali della
rappresentazione letteraria, una delle forme nei quali si condensa nell'immaginario collettivo nei modi più
potenti. Questo cambiamento è legato a una forma in particolare, un luogo che noi associamo sempre alla
rivoluzione industriale e cioè la fabbrica. Come funziona IL lavoro in fabbrica? Tenete conto che Schiller e il più
lucido da questo punto di vista nel diagnosticare il carattere anche umano, se volete, con un termine destinato a
imporsi successivamente nel lessico della cultura europea, alienante, del lavoro di fabbrica, Schiller e Goethe non
conoscono la fabbrica perché in Germania i tempi di sviluppo dell'economia sono in grave ritardo rispetto a
quanto invece accade in paesi del capitalismo maturo come in Inghilterra. Goethe e Schiller danno di queste
trasformazioni una lettura di carattere culturale che però si rivela intrisa di una capacità di anticipazione del
futuro, di una lucidità, di una lungimiranza tale che le stesse analisi di Schiller, in un testo fondamentale del 1795,
che quindi si colloca cronologicamente nel cuore di questi processi, le analisi di Schiller si ritroveranno poi
integralmente, almeno nello spirito, nelle opere del filosofo che si spingerà più profondamente al sondaggio delle
contraddizioni legate allo sviluppo industriale della modernità ovvero Karl Marx, da cui poi nascerà il marxismo
e poi il comunismo, una delle correnti maggioritarie della filosofia politica del Novecento.
Qual è secondo Schiller l'aspetto disumanizzante del lavoro di fabbrica? Qual è secondo Schiller l'elemento che
nella dinamica della produzione industriale distrugge alla radice qualunque aspettativa di totalità? La procedura
stessa della catena di montaggio. Schiller non conosce, questo il carattere straordinario della sua capacità
visionaria, sulla base di quale principio è organizzata la catena di montaggio, cioè sulla base di quale principio è
organizzata la produzione industriale. Interrogativo sull'idea che singolo individuo compia all'infinito un solo
atto, un solo gesto, che tutto il suo contributo alla produzione dell'oggetto si esaurisca nell'esercizio di un'unica
mansione specializzata, che il contributo dato a un atto che nel suo complesso è un atto inventivo (perché la
costruzione di un oggetto nuovo chiama in causa tutto lo spettro di quelle migliori attitudini dell'umano,
immaginare poi costruire un oggetto deve necessariamente attingere alle migliori disposizioni dell'uomo, alla
capacità di invenzione, alla capacità di prevedere il futuro), ma se il processo di produzione nel suo complesso è
come un processo creativo, la partecipazione del singolo individuo a questo processo non ha invece nulla di
creativo ma si esaurisce nella ripetizione meccanica, di una mansione, nell'esercizio di una funzione materiale,
nell'assunzione di un compito specializzato che non sta in alcune rapporto creativo con il risultato finale
dell'insieme delle procedure che portano alla costruzione di un oggetto. Nella catena di montaggio singolo
individuo partecipa si ha un atto perché nel suo complesso è creativo ma non ha la possibilità di investire in
questo processo nulla della propria creatività, obbligato come alla ripetizione ottusa, interminabile, distruttiva dal
punto di vista delle sue migliori energia, delle sue capacità di sprigionare il meglio delle sue capacità, di una sola
mansione che in sé non ha nulla di creativo, non sta quindi in alcun rapporto con l'obiettivo finale del processo
di produzione, è che si basa l'esercizio di una singola attitudine, sulla capacità di stringere bene un bullone ad
esempio. Se l'obiettivo, se ciò che riumanizza l'uomo, ciò che guarisce l'uomo da ogni possibile corruzione e la
capacità dell'uomo di riappropriarsi della propria integrità, di far rivivere dal concerto armonico delle sue migliori
disposizioni la propria totalità, il processo alla base della produzione di un bene nel lavoro di fabbrica ed è
talmente contrario, è completamente in conflitto con lo spirito della totalità, è fonte di alienazione, cioè l'uomo
anziché riappropriarsi di se stesso, anziché stringere tutto se stesso in un’unità indivisibile, si aliena da se stesso,
diventa alieno a se stesso, estraneo a se stesso, le sue forze si disperdono in tutte le direzioni, il concerto
armonico di energia che contribuisce a formare il volto della totalità umana attraverso l'esercizio delle migliori
attitudini si disperde in una fiumana eterogenea di atti casuali, di operazioni tenute insieme esclusivamente
dall'ordinarietà, la finalità è fuori dall'uomo e non sta in alcun rapporto con ciò che dentro l'uomo. Perché invece
per Goethe e Schiller l'arte salve all'uomo? Perché l'arte, sia l'esercizio attivo dell'arte ma anche e soprattutto il
contatto con l'arte. Goethe e Schiller non pensano che tutti, per San salvarsi devono diventare artisti, non è
questo il punto, Goethe e Schiller pensano che l'accesso all'arte cioè il contatto con la dimensione del bello, il
contatto con la sfera del formato cioè il contatto con la sfera dell'estetico, la capacità di accedere in modo
consapevole e maturo agli oggetti d'arte, sia la più potente forma di ricostruzione del tessuto unitario, totale
dell'uomo che invece è destinato ad andare perduto finché l'uomo sussista esclusivamente nella sfera della prassi.
Perché, per Goethe e Schiller l'arte e la più valida alternativa se l'obiettivo è quello di rigenerare l'uomo al
cambiamento politico? Qui bisogna riferirsi a un autore, in generale ha una linea di pensiero, che nella cultura di
fine settecento, prima in Germania e poi in tutta Europa, svolge una influenza epocale, condizione in modo
universale degli uomini, da qui in poi viene registrato come il pensatore, l'intellettuale, una delle figure più
importanti del tempo e la cui azione sulle categorie alla base non solo del pensiero ma anche del puro e semplice
essere al mondo degli uomini da questo momento in poi è così profonda, così pervasiva che tutti gli uomini di
questo periodo sono tanti anni perché si tratta di Kant, anche quelli che non hanno mai letto un libro di Kant,
così come noi, anche se non leggiamo un libro di Nietzsche, siamo tutti ciani perché dopo Nietzsche non è più
stato possibile, sono passati 100 vent'anni, non è più stato possibile pensare a certi aspetti dello stare al mondo
così come vi si pensava prima di Nietzsche. È una cosa di cui bisogna essere certi, che vale per tutti: l'azione di
certi pensatori i quali non devono necessariamente spiccare per assoluta originalità (spesso si tratta di pensatori
che coagulano nelle proprie opere il sentimento diffuso delle idee che circolavano in forma latente nel sentire
comune e che poi trovano una forma di espressione particolarmente efficace e quindi pervasiva, influente nelle
grandi opere di alcuni pensato. Ci sono 2, 3 pensatori nella storia del mondo moderno nella cui ci ha noi
filosofia, volenti o nolenti, tuttora ci muoviamo, anche se non abbiamo metto le loro opere, anche se non
abbiamo mai sentito pronunciare il loro nome.
Kant è stato il massimo pensatore dell'Illuminismo europeo, il carattere illuministico del suo pensiero rimane
impresso anche nei titoli delle sue opere più importanti che, come sapete si costituiscono in una teologia più o
meno compatta di trattati che portano tutti impresso lo stesso sostantivo di "critica"(è il secolo della critica, e
nella è il secolo della discussione, è il secolo destinato a sondare le basi del sapere, non interessa più come fino
alla prima metà del settecento, ai filosofi, capire le origini del mondo, volare sull'esistenza di Dio, ai filosofi
dell''l'Illuminismo interessa 1) capire ciò che alla portata della comune esperienza di tutti gli uomini è l'ambito del
divino, l'ambito del sacro, supera questi limiti e quindi perde di qualunque interesse in questo periodo. Alla
filosofia comincia a interessare soltanto ciò che si può tangibilmente percepire nel vivo della propria esperienza
comune (il processo era cominciato naturalmente anche con il sensismo inglese di fine Seicento, con la
rivoluzione scientifica galileiana) ma è in questo periodo, nella cultura dell'Illuminismo avanzato, che queste
premesse, queste categorie diventano un paradigma ogni comprensivo di lettura del mondo e ai filosofi di questo
periodo interessa anche, non tanto vediamo del mondo, cosa noi percepiamo del mondo, come ordinato il
mondo, se c'è un Dio o non c'è un Dio, se c'è vita dopo la morte o no, interessano sempre meno questi
argomenti cominciano a interessare come noi percepiamo il mondo, quali processi cognitivi si attivano nella
mente dell'uomo, nello spirito dell'uomo a contatto con ciò che è fuori di lui cioè nell'esperienza. Critica in Kant
e soprattutto questo, non è tanto critica del mondo, non è tanto critica degli oggetti del mondo ma è critica delle
modalità di comprensione del mondo, come noi conosciamo il mondo. Le tre critiche sono: Critica della ragion
pura, Critica della ragion pratica e Critica del giudizio. Critica del giudizio è la traduzione vigente ma in realtà il
termine tecnico che Kant apporta nel titolo della terza critica è Kritik der Urteilskraft.
die Kraft dal punto di vista grammaticale è genitivo femminile e infatti in questa semplice espressione il genere
(come avviene sempre nella Zusammensetzung viene) definito dal secondo termine, quindi nonostante la prima
parte del termine die Urteilskraft sia un sostantivo neutro, è femminile.
Kraft significa forza mai in ambito filosofico diventa facoltà.
Urteilskraft è giudizio.
Kritik der Urteilskraft = Critica della facoltà di giudizio
Non è critica degli oggetti sottoposti a giudizio ma è critica delle procedure legate al giudizio cioè sempre critica
della conoscenza, critica delle strutture, delle procedure, dei meccanismi cognitivi che si accendono nell'uomo a
contatto con un oggetto e che globalmente lo definiamo come conoscenza.
Cultura Ted. 2018-04-17
Argomento:

Cosa porta Goethe e Schiller a pensare che l’arte abbia la capacità di guarire l’uomo dai mali della civilizzazione?
Punto fondamentale è il seguente: Kant ritiene che tipico della conoscenza sensibile e quindi anche dell’arte sia
un carattere che Kant stesso definisce di GRATUITA’, DISINTERESSE. Kant utilizza l’espressione
INTERESSELOSIGKEIT, mancanza di interesse. La conoscenza estetica ha per Kant un carattere di
disinteresse, non nel senso banale del termine e cioè che la conoscenza sia priva di interesse, non interessante me
nel senso un po’ più sottile per cui conoscenza sensibile alla base dell’arte è priva di una finalità concreta priva di
uno scopo specifico, priva di una destinazione materiale. Cioè la conoscenza sensibile non serve a nulla, non ha
nessuno scopo concreto, finalità determinata. Goethe e Schiller pensano che l’uomo per guarire debba liberarsi
attraverso il rifiuto di una finalità concreta di tutto ciò che mira a limitare l’ampiezza della sua umanità. Tutto ciò
che nell’ambito della prassi lega l’uomo lo vincola, restringe il campo delle sue attitudini, nell’ambito della
conoscenza sensibile si espande, si allarga, ha carattere di indefinitezza tipica dell’esperienza estetica. Il contatto
con l’arte ha un carattere di libertà, perché non è dato alcun vincolo, che avrebbe invece l’effetto di limitare lo
spettro delle facoltà dell’uomo. Questo carattere di disinteresse, ciò che Schiller nei suoi scritti riporta al concetto
di gioco, che diventa determinante per questo tipo di problemi, con quel carattere di ambivalenza semantica che
è proprio del termine Spiele nella lingua tedesca come play nella lingua inglese, questo termine significa sia gioco,
che messa in scena, rappresentazione, appartiene sia al campo della pratica ludica, sia al campo della finzione,
dell’artificio, nel senso fare attraverso l’arte. Per Schiller il GIOCO, è l’attività gratuita e disinteressata per
eccellenza. Il gioco non serve a nulla, nel gioco non bisogna produrre nulla di concreto, è un attività immateriale,
simbolica tutta incentrata sulla capacità di rappresentarsi mentalmente un mondo che non è concreto ma
perfettamente plausibile, che non è reale, ma è VERO. Non esiste concretamente, materialmente nella forma
nella quale viene elaborato per servire agli interessi convenzionali del gioco, ma è vero perché è prodotto della
immaginazione dei giocatori, esiste in una realtà che non è quella fenomenica ma nella dimensione della fantasia.
Tutto questo c’entra nel senso che nel gioco si esprime, secondo Schiller, quel potenziale liberatorio dell’arte che
ha a che fare con il carattere di pura e semplice gratuità della conoscenza sensibile. Schiller dice “quando gli
uomini percepiscono il mondo attraverso la sensibilità fanno un esperienza estetica del mondo, li si
riappropriano integralmente di se stessi e della propria unità, che invece va a perdersi soggetta a corruzione in
tutti gli altri tipi di esperienza legati alla sfera della prassi. Schiller individua in particolare la condizione ideale di
questo stato di massima libertà che si gode nel pieno della esperienza estetica attraverso una categoria che
definisce SPIELTRIEB (capacità di compiere esperienze prive di una finalità specifiche, tali da incrementare il
potenziale dell’individuo), termine utilizzato nella psicanalisi, si intende qualcosa che è presente in una
dimensione primaria dell’uomo e che ha la funzione paradossale di provenire dall’interno dell’uomo ma di
determinarlo dall’esterno, perché è espressione di una forza che per quanto intimamente umana, è in grado di
trascendere dalla libertà del soggetto e di determinarlo dall’esterno. In realtà Schiller intende con questo termine
una forma di mediazione tipicamente umana, una forma di esistenza nella quale l’uomo gode di uno stato di una
esplicita libertà, che con Kant abbiamo associato al compimento dell’esperienza estetica, e che sta a metà strada
fra due estremi della condizione umana, e dal punto di vista di Schiller corrispondono a due condizioni
egualmente patologiche perché produttrici di unilateralità, perché parziali e negative: STOFFTRIEB (materia,
istinto materiale) e FORMTRIEB (forma, istinto formale). Istinto nel senso che l’uomo è indotto a coesistere in
una di queste due categorie. Quello che ci interessa veramente capire è che sia la condizione della pura
materialità che quella della pura astrazione per Schiller sono due condizioni parziali, insufficienti, perché
chiamiamo in causa uno spettro limitato di attitudini umane. Schiller dice “se l’uomo organizza la propria vita
soltanto coerentemente con il principio della materia, concentrandola esclusivamente sull’uso delle proprie
occupazioni materiali, sarà inevitabilmente portato a sviluppare soltanto quelle attitudini del suo spirito coerenti
con questo tipo di esistenza”. E il modello Albert, una forma di esistenza priva di qualunque slancio, della
capacità di trascendere il livello meramente orizzontale dell’esperienza comune, un tipo di esistenza che mira
esclusivamente al conseguimento dell’utile individuale, una esperienza non illegittima, ma soltanto
PARZIALMENTE UMANA. Viceversa il modello Werther, è un’esistenza incentrata SOLO sullo SLANCIO,
basata sul desiderio di superare i limiti dell’esistenza materiale, ma del tutto priva della capacità di organizzare
questo impulso trascendente in una struttura che lo renda fecondo, è per Schiller un estremo uguale e contrario
all’esistenza materiale. Per Schiller l’umanità si realizza al massimo grado del suo potenziale solo nella
dimensione mediatrice, intermedia tra i due estremi e quindi la dimensione veramente sana perché
autenticamente umana del GIOCO. in Uno dei testi fondamentali che funge da vero e proprio MANIFESTO
per la costruzione del classicismo di Weimar, cioè le LETTERE SULL’EDUCAZIONE ESTETICA
DELL’UMANITA’, Schiller formula il carattere di mediazione dell’esperienza estetica associata alla pratica del
gioco con un’espressione molto famosa dice: “l’uomo è veramente uomo, soltanto quando gioca”, perché il
gioco non ha alcun obiettivo concreto, il gioco non si sviluppa secondo una logica funzionale, ha uno scopo del
tutto simbolico e quindi privo di qualunque corrispettivo materiale e interesse pragmatico. Tutto ciò che sta o
soltanto nella sfera limitata della prassi, o soltanto nella sfera ILLIMITATA dell’astrazione, porta l’uomo a
svilupparsi in modo PARZIALE, sviluppa nell’uomo un’attitudine alla UNILATERALITA’ che per Schiller
costituisce il VERO MALE del MODERNO, la vera PATOLOGIA del suo secolo, che deve essere risanata
attraverso la capacità ri-umanizzatrice dell’ARTE. Attraverso il potenziale di liberazione, di emancipazione, di
valorizzazione dell’universalmente umano Schiller mette in relazione all’esperienza estetica. Quando l’uomo
gioca, ma si potrebbe dire anche quando l’uomo fa esperienza estetica della realtà, allora è massimamente
umano, perché allora è massimamente LIBERO, perché nulla vincola o costringe dall’esterno la sua umanità, la
sua più pura umanità può svilupparsi in piena autonomia risponde soltanto a se stessa. Allora l’uomo è in grado
di riappropriarsi della propria integrità, l’uomo è il sovrano incondizionato di se stesso proprio come l’UOMO
GRECO. Quando devono passare a dare il contenuto reale di questo sistema, pervaso da uno slancio di carattere
utopico, Goethe e Schiller pensano a come questo concetto possa concretizzarsi nella costruzione di un opera
d’arte o nella produzione dell’effetto di un’opera d’arte sul destinatario, tutto questo come deve materialmente
funzionare. Innanzitutto per rendere più efficace il funzionamento di questo sistema Goethe e Schiller
distribuiscono la massima capacità possibile rispetto a questo sistema fra le arti che abbiamo a disposizione al
teatro. La cultura del classicismo di Weimar è cultura prettamente teatrale, il motivo è facilmente intuibile perché
il teatro è la forma d’arte a più diretto contatto con il proprio destinatario, è il meccanismo stesso dell’effetto
teatrale che richiede la presenza stessa nello stesso luogo e nello stesso momento del pubblico dell’opera d’arte,
davanti a infiniti occhi prende forma l’oggetto d’arte, attraverso il lavoro fisico e verbale degli attori che recitano
sul palcoscenico, che fanno nascere nell’immediatezza della relazione aperta con il pubblico, il testo teatrale
stesso, che non esiste prima della messa in scena, l’effetto del testo teatrale coincide con la sua rappresentazione.
Di qui la ragione per cui i testi fondamentali del classicismo sono OPERE TEATRALI, di qui anche l’intensità
con cui Goethe e Schiller concepiscono se stessi innanzitutto come UOMINI-TEATRO. Goethe dirige per
diversi anni il teatro di Weimar, Schiller invece, non appena il miglioramento della sua condizione economica gli
permette di dedicarsi integralmente al suo lavoro di artista, scrive quasi esclusivamente opere teatrali, e intende
se stesso come UOMO-TEATRO a tutto tondo, non si limita alla esposizione di un testo ma ritiene di essere
coinvolto direttamente in tutti gli aspetti materiali pratici della messa in scena: si occupa della scelta degli attori,
degli aspetti di contorno della rappresentazione, della disposizione delle scenografie e tutti gli altri fattori inerenti
alla materialità della rappresentazione. Da questo punto di vista davvero le opere fondamentali del classicismo
sono DRAMMI. Citandone alcuni: di Goethe IFIGENIA IN AULIDE (1787) (il manifesto di tutti questi
concetti), che in realtà è precedente rispetto alla stagione del classicismo vero e proprio, perché l’ultima
redazione del classicismo risale al soggiorno di Goethe a Roma nel 1787, ma nella cultura tedesca questo testo è
classificato come emblematico del classicismo. Mentre di Schiller possiamo chiamare in causa un’opera molto
diversa da IFIGENIA per vari motivi, innanzitutto nella struttura (IFIGENIA è un opera breve caratterizzata da
uno sviluppo chiaro e lineare, mentre l’opera di Schiller è un’opera monumentale, ciclopica, si disperde in tutte le
direzioni, illeggibile e quasi impossibile da rappresentare in modo compiuto, non a caso è una trilogia composta
da tre parti tra loro completamente indipendenti dedicata a un personaggio storico della guerra dei 30 anni che si
chiama WALLENSTEIN (1799).

Ma questa costruzione teorica così apparentemente coerente, come funziona poi nella realtà? Su questo Goethe
ma soprattutto Schiller sono coscientemente lucidi per confessare esplicitamente che su questo tipo di
costruzione grava un carattere utopico, che se pure non ne rende del tutto impossibile una realizzazione
concreta, senz’altro però lascia questa realizzazione concreta in una dimensione difficile da concretizzare, in una
dimensione vincolata da un possibile sviluppo futuro, che però gli uomini del presente con molta difficoltà
possono concretamente immaginare, il carattere tipico dell’UTOPIA, che è un efficiente via di fuga per
giustificare le insufficienze del proprio sistema o la mancanza di un ancoramento alla prassi del proprio sistema
teorico. Nel trattato SULLA POESIA INGENUA E SENTIMENTALE (1795), (che chiamiamo in causa per
mostrare il carattere utopico di questa concezione e perché serve come fonte verso il romanticismo perché esso
parte dalla stessa questione, ovvero in che posizione ci troviamo rispetto all’antico, come l’antico può aiutarci a
capire meglio la nostra condizione presente e nel caso a trasformarla? Ma pur riflettendo sulle stesse questioni e
autori, i teorici del romanticismo arrivano a conclusioni completamente diverse rispetto ai teorici del classicismo)
Schiller si pone il problema è il classico problema del suo tempo, cioè qual è il rapporto tra la cultura del
presente e i modelli dell’antichità, quali sono i punti di debolezza del presente rispetto alla cultura dell’antico e
quali sono al contrario i punti di forza. Per definire queste due condizioni (presente e passato), Schiller elabora
queste due categorie che ritroviamo anche nel titolo del trattato e cioè l’ANTICO che sta nel segno della
categoria dell’INGENUO (carattere di integrità totalmente realizzata dell’uomo greco) e il MODERNO che sta
sotto il segno della categoria del SENTIMENTALE. L’uomo greco disponeva di questa gioiosa condizione di
RISOLTA INTEGRITA’, sentiva se stesso, dice Schiller, in una relazione di piena armonia con la natura, anzi
l’uomo greco ERA NATURA, nulla nel modo in cui l’uomo greco percepiva se stesso si differenziava dal modo
in cui l’uomo greco sentiva la natura. L’uomo greco viveva nel centro di un sistema VIRTUOSO basato su
un’interrotta circolazione di senso priva di qualunque soluzione di continuità, era nel mezzo di un sistema
perfettamente funzionante. Avvertiva se stesso in una condizione di piena unità spirituale, si sentiva una cosa
sola, privo di frammentazione, si sentiva pienamente in pace con se stesso, viveva una situazione di non turbata
armonia con se stesso e si sentiva anche in pace con il mondo. Questa gioiosa condizione, dice Schiller, si
rifletteva nelle opere d’arte dei greci e siccome l’uomo greco sentiva se stesso come una parte del mondo e della
natura, nulla lo induceva a distaccarsi dal mondo e quindi le opere d’arte greche sono per Schiller una FEDELE
RAPPRESENTAZIONE del mondo e della natura. Per Schiller il carattere per eccellenza delle opere d’arte
greche (figurativa) è il fatto che tutto è rappresentato in modo OGGETTIVO, (esempio) opere di Omero
prende corpo, dice Schiller, la realtà così com’è, senza che il lettore si accorga della voce dell’autore, è un mondo
chiuso, un mondo felicemente risolto, che prende forma e si comunica al lettore nelle opere di Omero. Schiller
dice, noi non avvertiamo alcuna traccia della sensibilità personale dell’autore, della prospettiva individuale del
soggetto che ha scritto quelle opere, la personalità dell’autore scompare dietro un telo di superficie della realtà,
c’è solo la realtà. Così come le statue greche, come ha detto Winckelmann, rappresentano la forma prettamente
lineare, priva di qualunque increspatura, di qualunque discontinuità, e offrivano allo spettatore lo spettacolo di
una forma perfettamente realizzata, così il mondo che prende forma nella opere di Omero, cioè il mondo delle
opere dei poeti antichi ingenui, è un mondo senza contrasti, pacifico, perfettamente rasserenato, un’IDILLIO, in
cui tutto sta in una relazione di ARMONIA, in cui soprattutto non c’è traccia della soggettività dell’autore, che
non ha bisogno di richiamare se stesso, lui è tutt’uno con il mondo che rappresenta, non ha bisogno di
esprimere in modo esplicito la propria visione del mondo, perché nell’opera prende forma DIRETTAMENTE il
mondo. Le cose per Schiller cambiano, col passare del tempo, la poesia moderna secondo lui sta sotto il segno
del sentimentale, e starebbe esattamente all’estremo opposto. Sarebbe sparita questa felice capacità degli artisti
dir appresentare il mondo così com’è, perché gli uomini non hanno più il conforto di quella spontanea
condizione di unità con la natura, gli uomini hanno perso ogni primitiva naturalezza. Nelle opere d’arte moderne
prende forma il RIMPIANTO, la NOSTALGIA, per quella condizione perduta. Ciò che gli uomini hanno
perduto provano a ricostruire attraverso il ricordo, la rievocazione nostalgica. In queste opere d’arte non
abbiamo più il mondo così com’è, non abbiamo più la realtà rappresentata in uno stato di completa sospensione
dei conflitti, abbiamo SOLO la voce degli autori. Prende corpo non la realtà, ma il rimpianto di quella realtà.
Prende corpo lo struggimento dell’individuo che ha piena consapevolezza di quanto ha perduto come possesso
esistenziale, e aspira a ricreare quella sensazione di unità, per Schiller, sul piano dell’IDEALE, dello SPIRITO.
Le opere d’arte moderne rappresentano il SENTIMENTO dell’autore, la sua soggettività, ciò che comunemente
ci aspettiamo da un’opera d’arte, che ci faccia sentire il sentimento dell’autore inteso come la sua personale
visione della realtà. Dove c’è solo il reale abbiamo una condizione parziale, e viceversa. Ora dice Schiller,
parallelamente a questo discorso per cui ci sono due condizioni estreme che riflettono entrambe condizioni
parziali, bisognose di superamento e che a metà strada fra queste due condizioni esista un terzo stadio che ne
rappresenta una composizione dialettica alla quale bisogna tendere, fra i due estremi della poesia INGENUA e
della poesia SENTIMENTALE, Schiller inserisce l’ideale di una poesia futura, di uno stadio di mediazione tra i
due estremi (realtà-soggetto) 🡪 la visione utopica di questa poesia UTOPICA che definisce IDILLIO tutto
sbilanciato su futuro, basato sulla capacità di far rinascere lo spirito dell’antico ma in forme nuove, adeguate al
bisogno spirituale di un epoca più complessa, l’epoca moderna, in una forma ulteriormente potenziata rispetto a
quella primitiva, dalla consapevolezza della purezza dello sforzo di civiltà necessario a ripristinare questo spirito.
Quando uno è semplicemente sano, è una condizione positiva. Quando uno invece sta bene dopo essere stato
malato, nulla distingue la condizione di benessere precedente dalla condizione di benessere riacquistata dopo una
malattia. Quando uno è semplicemente sano, sta bene prima e dopo, senza disturbi. Ma cosa è cambiato? È
cambiato il sentimento di quella condizione, la percezione e il grado di consapevolezza. Una condizione di
benessere semplicemente goduta come un possesso primitivo, ingenuo, è infinitamente meno intensa dal punto
di vista della capacità di goderne, rispetto ad una salute ripristinata, riconquistata. Questa metafora serve a far
capire lo scatto che nel sistema di Schiller c’è tra l’INGENUO, caratterizzato da una piena armonia con la
natura, ma della quale non si è consapevoli perché se l’individuo è in una condizione di unità con il mondo allora
nulla li distingue dal mondo e quindi non hanno alcuna consapevolezza della loro condizione, che appare
FORTUNATA solo nella prospettiva del SENTIMENTALE, di chi ha perduto quella condizione iniziale, solo
quando si attiva il meccanismo stesso della riflessione è possibile accertare il tipo di condizione di cui si godeva
prima di possedere il meccanismo della riflessione. La riflessione segna la perdita di quello stato, di quella
armonia primitiva che secondo Schiller può rinascere, anzi rinascerà in futuro e il suo valore sarà ulteriormente
potenziato rispetto all’armonia primitiva, perché sarà corroborato questo valore dalla consapevolezza che quello
non è semplicemente uno stato del quale di gode immotivatamente, perché si è venuti al mondo muniti di quella
condizione di pura armonia, si tratta di una condizione RIATTIVATA, ripristinata di uomini che usciti al
termine di questo percorso che è un percorso di civiltà, avranno esercitato su se stessi uno sforzo auto
pedagogico, una tensione al perfezionamento tale che la loro purezza ripristinata avrà un valore infinitamente
più alto rispetto alla pura e semplice purezza primitiva.
Cosa c’entra con tutto questo il romanticismo? C’entra perché il punto di partenza è lo stesso. La questione su
cui i teorici del romanticismo riflettono è la stessa del trattato di Schiller. Schiller pensa che gli eroi omerici
siano, per quanto animati da passioni grandiose, psicologicamente elementari, psicologicamente il più rozzo
personaggio di un romanzo del settecento è di gran lunga più complesso nella sua psicologia rispetto ad un
Achille, personaggio grandioso ma ridotti dal punto di vista della loro estensione psichica. Sono dotati da grandi
passioni ma non sono a loro agio nelle ambiguità che invece pervadono la condizione del moderno. D’altro
canto, dice Schiller, moderni raffinatissimi la rappresentazione di ogni possibile sfumatura della vita spirituale ma
la grandiosità di Omero ormai è perduta. In entrambi i casi le condizioni erano parziali: gli antichi erano forti in
certi aspetti, i moderni sono forti in certi altri aspetti. Gli antichi erano deboli su tutto ciò che non riguardava la
capacità di rappresentare il mondo, i moderni sono deboli riguardo alla capacità di rappresentare il mondo, ma
sono molto forti nella capacità di rappresentare la vita interiore. Bisogna arrivare ad un superamento di queste
due polarità elaborando una terza via, una soluzione intermedia, nella quale prenda colpo il meglio di entrambe
le categorie. Questo è il disegno alla base della teoria dell’idillio, il cui intento è un idillio rinnovato, ripristinato
nel quale lo spirito dell’idillio originario sia ulteriormente potenziato dalla consapevolezza dello sforzo di civiltà
necessario per far rinascere quella condizione che è di per se perduta, ma il cui spirito può essere riattivato in
forme nuove adeguate ai più raffinati bisogni spirituali dell’uomo moderno. Schiller non si perde in dettagli sulla
configurazione di questo idillio, perché dice che non è suo compito spiegarlo ma di un’umanità futura dare
forma tangibile a questa teoria. Però il punto che marca la distanza tra i moderni e i romantici è che Schiller
ipotizza come possibile la riattivazione dello spirito dell’antichità, si proietta verso la visione di un’antichità
ripristinata come compito culturale degli uomini del futuro. Al punto finale di questo programma c’è una
conclusione, per quanto ancora vagamente intuita, Schiller si spinge ad ipotizzare che questa forma esisterà in
futuro. Il più grande teorico del romanticismo tedesco, ragiona esattamente negli stessi anni, esattamente sugli
stessi problemi, e lo fa senza sapere che Schiller stia lavorando su questi temi. Schiller rispetto a Goethe è uno
SFIGATO (HAHAHAHAH), anche perché Goethe è di 10 anni più grande, è più famoso e aveva ricavato da
questa fama anche un reddito materiale ma anche simbolico elevatissimo, perché Goethe dopo il successo del
Werther faceva la parte del nobile, del principe delle lettere tedesche, del sovrano incondizionato, il più grande
scrittore della sua epoca, già riconosciuto come tale in vita, che è una fortuna che tocca a pochissimi, un classico
vivente, rispettato e ammirato. Schiller invece lo vediamo chiaramente nelle sue lettere con Goethe, mentre
Goethe non perde mai tempo nella dettagliata esamina delle questioni, Schiller scrive pagine e pagine di dettagli
sulle situazioni, perché deve assolutamente dimostrare a Goethe che è perfettamente padrone delle questioni che
sta trattando, deve profilarsi rispetto all’amico più famoso, più sicuro di se, più stabile dal punto di vista della sua
collocazione sociale. Rispetto a Schiller però i giovani del movimento romantico sono esattamente ciò che
Schiller è rispetto a Goethe, cioè sono quelli che con una definizione tratta dalla sociologia della cultura si
definiscono i “nuovi entranti”, i nuovi attori nel campo culturale desiderosi di definire la propria posizione
opponendosi all’egemonia dei potenti. Schiller rispetto a loro è potente, è l’autore dello status quo, che per
quanto potente e spregiudicatissimo, viene in realtà percepito dai giovani della nuova generazione come un
conservatore che dev’essere messo da parte. Il caso vuole che esattamente nel periodo in cui Schiller lavora al
saggio sulla poesia ingenua e sentimentale, un giovane intellettuale, Friedrich Schlegel in una città di provincia
destinata come Weimar a diventare la capitale della cultura europea, che si chiama Jena, Schlegel si pone
esattamente la stessa questione di Schiller (è possibile ripristinare l’armonia dell’antico?), lavora ad un saggio che
si intitola “Uber das Studium der Griechische Poesie”, cercando di affermarsi con esso. Poi succede che viene
pubblicato il trattato di Schiller e lui maledice il fatto che lo ha portato a ritardare la pubblicazione del suo saggio
che trattava le stesse questioni di quelle di Schiller (non aveva speranza lo sfigato di Schlegel). Ma non sapeva
che il suo trattato conteneva ogni possibile chiave per capire le peculiarità del romanticismo. L’elemento su cui
più chiaramente si misura la distanza tra le posizioni di Schiller (classicismo) e le posizioni di Schlegel
(romanticismo). Schiller aveva detto, noi siamo molto lontani dall’antichità ma possiamo farla rinascere, anzi non
possiamo farlo noi ma possiamo porre le basi affinché l’antichità rinasca nel futuro, seppur in forma diversa.
Schlegel invece sosteneva, che l’antichità non sarebbe mai potuta rinascere, che l’antichità fosse perduta per
sempre, che loro moderni non potessero nemmeno imitare gli antichi come modello perché erano
irreparabilmente lontani dalla grecità. Lo sviluppo aveva portato i moderni in una direzione radicalmente
contraria rispetto allo spirito della grecità. Non avevano alcuna possibilità di recuperare lo spirito della grecità,
ma proprio questa era la loro forza. Proprio l’impossibilità di far rinascere un qualcosa di irreversibilmente
perduto, li obbliga per la prima volta nella storia della cultura occidentale a definirsi indipendentemente dal
rapporto con l’antico, a definirsi sulla base della consapevolezza che loro fossero qualcosa di completamente
differente nonostante tutti i loro sforzi non sarebbero mai riusciti a stringere nel loro pugno lo spirito della
grecità così come Schiller riteneva possibile se pure in un lontano futuro. Proprio questo dice però Schlegel, è il
nostro valore, proprio questo ci caratterizza, cioè noi siamo caratterizzati non dalla nostra capacità di riattivare
qualcosa che è andato perso, ma siamo definiti dall’intensità della tensione che nutriamo verso quell’ideale nella
consapevolezza che quell’ideale non sarà mai raggiunto perché se venisse raggiunto si esaurirebbe la fecondità
della nostra stirpe, si dissiperebbe l’intensità del nostro dinamismo, cioè proprio l’elemento che ci definisce. Noi
romantici dice Schlegel siamo quelli che sono in movimento, quelli che sono pervasi da un dinamismo che per
mantenersi fecondo deve necessariamente restare lontano dal suo oggetto, perché nel momento in cui
dovessimo raggiungere l’oggetto e ponessimo finalmente la mano sull’oggetto del nostro desiderio verrebbe
meno ciò che ci definisce e perderemmo la base della nostra forza, cioè il DESIDERIO, la SPINTA, la
TENSIONE, il DINAMISMO. L’antico non soltanto non può rinascere, ma NON DEVE rinascere. Da
paradigma del nostro dinamismo quell’ideale deve costantemente sfuggirci e allontanarsi man mano che noi
progrediamo, che ci illudiamo di aver fatto un passo in avanti. Schlegel dice che la condizione dell’umanità non è
di POSSESSO STATICO, ma di DINAMISMO costantemente soggetto a nuove sfide nella convinzione di chi
desidera non dolendosi della impossibilità di adempiere il desiderio, perché se il desiderio venisse realizzato,
verrebbe meno la capacità di spingersi verso questo desiderio. La parola chiave alla base di questa logica del
desiderio e di tutta la logica del romanticismo: SEHNSUCHT parola iperconnotata dal punto di vista culturale,
funziona solo in tedesco. SUCHT: DIPENDENZA. SICH SEHNEN DACH: DESIDERARE. Quindi è la
malattia del desiderio, la patologia del desiderio, è il desiderio che prescinde dall’oggetto è prende forza
AUTONOMA. E’ il desiderio che si ripiega su se stesso, perde di vista il proprio oggetto, anzi per il quale
l’oggetto del tutto irrilevante perché tutto ciò che importa al desiderante è sentire se stesso alla massima intensità
della propria capacità di desiderare. DESIDERIO DEL DESIDERIO, di mantenersi costantemente in una
condizione di intensità desiderante, solo quella condizione permette all’individuo di sentire intensamente se
stesso.
Per Schopenhauer questa è una condizione di patologia, perché in questa tendenza del desiderio a moltiplicarsi
all’infinito c’è la vera condanna dell’umano. Non è per Schopenhauer un fattore di potenziamento, ma il
desiderio non è che l’anticamera della frustrazione, perché ogni nuovo possesso è destinato a mostrare la
miseria, la meschinità della condizione umana. Nel momento in cui otteniamo l’oggetto del nostro desiderio, ci
accorgiamo che quel possesso non ci soddisfa e precipitiamo in una rinnovata condizione di desiderio e nel
momento in cui appetiamo questa condizione di desiderio ancora più gravemente noi sentiamo di desiderare il
nulla perché noi desideriamo perché costretti dalla determinazione della nostra natura che sta tutta nel segno del
concetto della VOLONTA’. La volontà è un impulso che parla dal nostro interno e noi possiamo non
controllare, ma possiamo contrastare o mettere a tacere provvisoriamente la volontà attraverso delle condotte di
vita virtuose attraverso l’astensione della volontà, come negazione del desiderio. Noi smettiamo di essere
soggetti al desiderio nel momento in cui comprendiamo a fondo la logica di un detto “Questo sei tu”, quando
cioè arriviamo a sentirci in una condizione di empatia con le sofferenze degli altri. Quando di fronte a qualcuno
che soffre non prendiamo le distanze, come ci indurrebbe a fare la volontà, ma quando diciamo a noi stessi
“questo che soffre sei tu”, quando acquisiamo la capacità di metterci al posto degli altri superiamo la nostra
volontà, ci riconosciamo uno con un altro. Questo è l’unico modo di superare la volontà.

Cultura Ted. 2018-04-23


Ci eravamo fermati sugli aspetti fondamentali del romanticismo , in particolare avevamo trovato di particolare
vantaggio leggere in parallelo il modo in cui due autori danno una soluzione diversa allo stesso problema.
I due autori sono: SHILLER E SCHLEGEL che negli anni scrivono dello stesso argomento arrivando a due
soluzioni differenti :
l’argomento è il rapporto tra antico e moderno e il modo in cui il posizionamento nei confronti dell antico
conferisca elementi di legittimazione alla posizione dell artista moderno .
(SHILLER da una soluzione che abbiamo visto l altra volta)
L altro da una soluzione completamente diversa che rappresenta il punto di partenza della concezione
romantica ; egli dice che il moderno non ha alcuna possibilità di ricreare l antico, l antico è destinato a permanere
in una sfera irraggiungibile e anche solo in termini di imitazione ma non solo questo non è un male ( il fatto che l
antico sia morto) anzi è un valore aggiunto perché rappresenta il vero elemento identitario del moderno il quale
si definirà non per la sua capacità di creare l antico in forme congeniali rispetto a forme spirituali degli uomini
del presente come aveva detto Schiller ma si definirà questo moderno per i romantici, per l energia , per la forza
nello slancio coltivato nei confronti di questo ideale che deve necessariamente restare irraggiungibile perché
soltanto se questo ideale resta irraggiungibile si conserva inalterata la forza, la fecondità di questo slancio verso l
obiettivo; l obiettivo è perduto e proprio questa consapevolezza garantisce la fecondità della tensione verso quell
obiettivo perché se mai l obiettivo venisse raggiunto, verrebbe meno la spinta e con la spinta verrebbe meno l
energia che ha sorretto l uomo nel trasporto verso quell ideale.
L ideale chiede di restare tale, di non raggiungere alcuna concretizzazione, deve spostarsi man mano che l uomo
procede verso di lui, la sua funzione consiste nell invogliare l uomo a permanere in una dimensione di costante
dinamismo e quindi questo obiettivo deve restare irragiungibile. Questa è la base del discorso shigleriano che
parte dall idea che se il grande ideale degli uomini del tempo è la reviviscenza dell antico (Shiller)sia pure in
forme nuove, questo ideale è irraggiungibile, l antico è perduto per sempre e quindi garantisce agli uomini del
presente il mantenimento di una persistente condizione di slancio che è la chiave della loro condizione.
Questa idea ha poi una serie di conseguenze sulla pratica dell arte degli autori del Romanticismo,la forma
privilegiata della scrittura romantica è per esempio il frammento; i principali scritti teorici dei romantici sono
intenzionalmente tenuti in forma di frammento cioè in una forma che è aperta, non conclusa, aperta soprattutto
all integrazione del lettore. Il carattere di non compiutezza della forma romantica sia negli scritti teorici e sia
nelle loro opere di finzione si basa sull idea che l opera realizzi interamente la propria vitalità solo nell incontro
con il lettore che in qualche modo lo risveglia.
Il principale elemento a garanzia di questa fecondità di sistema è che ogni lettore , in ogni nuova epoca sia il
portatore di istanze, di bisogni, dicapacità che non solo sfuggono alla capacità dell autore di preoordinare l
interpretazione dei lettori ma sono anche del tutto lontane rispetto alla posizione dell autore stesso perché è
chiaro che un lettore per esempio contemporaneo impiega delle aspettative che fanno capo di una dimensione
culturale lontanissima rispetto alle posizioni degli autori del romanticismo.
Prima del romanticismo prevaleva l idea che gli artisti fossero dei tecnici dotati di strumenti specifici destinati ala
creazione di opere d arti mentre nel romanticismo prende corpo per la prima volta un idea che l artista in quanto
individuo sia portatore di una più intensa sensibilità rispetto alla media degli individui, che non si limiti all
applicazione di una tecnica ma che agisca sotto impulso di una ispirazione che supera -ogni umana capacità e
mette l artista in condizioni di accedere ad un altro mondo nascosto all esperienza comune nel quale solo lui, per
le sue personali caratteristiche possiede la chiave d accesso(IDEA ROMANTICA)
Noi da un testo poetico non ci aspettiamo informazioni sul pensiero dell autore quanto sull intensità della sua
vita affettiva; l’artista è un individuo potenziato che valga soggettivamente un po' più rispetto alla media dei
comuni individui(idea sempre romantica)
L’SRTISTA FUNGE DA MEDIATORE TRA LA COMUNE ESPERIENZA VISIBILE E UNA SORTA DI
MONDO NASCOSTO, NON VISIBILE.
Discende dall idea prettamente romantica per cui l umano si esprime non in quelle forme equilibrate, teorizzate
su se stesse come nel classicismo ma al contrario nello slancio mai risolto,un dinamismo che non trova mai
riposo, discende da questa idea la predilazone degli artisti romantici della forma del frammento che richiede di
essere integrata dal intervento interpretativo del lettore.
In forma di frammento sono pubblicate le principali liriche del romanticismo, i più importanti testi teorici della
prima generazione dei romantici , il gruppo più unito nella città di Jena con la figura dominante di SHLEGEL
che rappresenta il più brillante ingegno teorico di questa prima generazione di romantici mentre nella seconda
generazione dei romantici le cose cambiano un po.

FRUHROMANTIK(primo romanticismo)-> SHLEGEL , NOVALIS- CITTà DI JENA (1798-1800, i tre anni


in cui viene pubblicato il principale organo pubblicistico del primo movimento romantico che è una rivista
molto nota che si chiama ATENEUM,rivista nella quale vengono raccolti sia gli interventi teorici di questi
autori e sia alcune opere poetiche e che si caratterizza per l onnipresenza della forma FRAMMENTO.)
I principali scritti teorici di questi autori non vengono sviluppati nella forma organica di saggi paragonati a quelli
di Shiller con una struttura ben organizzata che assecondi le testi importanti da chiarirle al lettore mentre i
teorici del romanticismo preferivano una lingua fulminante , sintetica, per la formulazione breve non chiarita
fino in fondo perché l ambiguità è un codice che dal punto di vista dei romantici è necessario a sollecitare l
integrazione interpretativa del lettore; se il lettore si trova di fronte ad un dettato perfettamente sviluppato da
parte dello scrittore, non ci sarà più nulla da aggiungere,c’è soltanto da chiarirsi le idee sulle intenzioni dell autore
e maturare un proprio. Il romanticismo invece parte dall idea che il codice di espressione deve restare aperto
perché è proprio in quegli spazi che sono lasciati aperti dalla scrittura, deve inserirsi l intelligenza del lettore nelle
fessure del testo letterario e il lettore può contribuire alla costruzione del senso, interagendo sulla base del
proprio gusto, dei propri bisogni o aspettative.
È un idea forse la più moderna fra quelle che caratterizzano il romanticismo perché è un idea che noi ritroviamo
alla base di tante espressioni di teoria della letteratura nella seconda metà del 900.
Se per il romanticismo, l energia o semplicemente l umano si esprime nella non chiusura , proprio gli autori del
primo romanticismo spicchino nel panorama della letteratura del tempo perché sono gli unici ad avere un
giudizio positivo nei confronti della rivoluzione francese.
Gli autori del classicismo tedesco(Goethe e Shiller) si esprimono con indignazione una volta superato quel
primo momento di interesse nei confronti di quelle che a loro appaiono come delle tendenze degenerative del
loro tempo , mentre Shlegel, non solo guarda con particolare attenzione alle vicende storiche della rivoluzione
francese ma assume la categoria di rivoluzione indipendentemente dal modo concreto in cui la rivoluzione stava
avvenendo in Francia,assume il concetto stesso di rivoluzione come il principio interpretativo di carattere
generale, come una chiave di comprensione privilegiata, di accesso globale alla realtà. Rivoluzione,per Shlegel,
non è soltanto una categoria della storia politica,non è solo una vicenda sociale ma è un principio generale di
comprensione della realtà, nel concetto di rivoluzione si esprime quella inesauribile fecondità che ogni forma di
trasformazione sprigiona nella vita degli uomini.
SHLEGEL teorizza che è necessario uno stato di rivoluzione permanente perché le forme devono essere
sollecitate a un cambiamento ininterrotto, tutto ciò che ha a che fare con la vita dell uomo, per essere veramente
umano deve essere disponibile ad una continua trasformazione, il senso prende corpo solo nella metamorfosi , è
fecondo solo ciò che sta per trasfromarsi, è vitale solo ciò che è in procinto di morire perché perde quella forma
e assumerne una completamente nuova.
Per i romantici il senso coincide con il dinamismo di tutto il sistema,il senso non è collocato in un unico oggetto
di relazioni che caratterizzano la vita dell uomo ma invece è plurimo , è onnipresente laddove ci sia la tensione
al cambiamento ; è la classica opposizione della filosofia antica tra essere e divenire.
Gli autori del classicismo collocano il massimo possibile del senso nella stabilità dell essere che si manifesti in
forme definite ed equilibrate mentre gli autori del romanticismo collocano la massima stabilità di senso nel
divenire, in ciò che è soggetto a trasformazioni incessanti.
Il di più di sensibilità che il poeta romantico trasferisce nella media degli uomini comuni è quella capacità di
vedere un po' più in profondità degli altri , cogliere stati di senso normalmente occulti alla media degli uomini
comuni .
I romantici ci arrivano valorizzando la categoria di rivoluzione come la forza di ogni possibile fecondità, l’essere
in quanto tale è privo di senso se non accetta di sottoporsi alla metamorfosi del divenire.
Per esempio i teorici del romanticismo che negli autori del classicismo condividono il gusto per le scienze
naturali sono grandi appassionati di chimica intesa come scienza della rottura e della composizione dei legami ,
intesa come la scienza in cui le sostanze tendono a riassemblarsi in assetti imprevedibili che hanno alla base delle
leggi persistenti ma che nelle loro visibili sono costantemente in linea ad assumere nuove forme ; la chimica ai
romantici appare la scienza che studia il dinamismo e la legge generale alla base del combinarsi delle cose tra
loro. I romantici lavorano moltissimo sui parallelismi tra l invenzione letteraria , la chimica,sulla rivista ateneum e
quindi sono molto lontani dall illuminismo anche nelle forme(non c’è nulla di più infecondo che la forma
tradizionale del trattato filosofico, per i romantici)

SPATROMANTIC(secondo romanticismo)->1805, HIDELBERG, BERLINO, ACHIM VON ARNIM E


CLEMENS BRENTANO(autori)
Il punto di passaggio tra queste due correnti ha a che fare con la grande storia sociale-politica; gli autori del
primo romanticismo, con il desiderio di trovare un principio universale di interpretazione della realtà, operano in
un orizzonte che è molto diverso da quello della seconda generazione, costoro guardano alla rivoluzione come a
un principio in linea all idea di perpetuo dinamismo che dal loro punto di vista permette all umano di esprimere
le proprie attitudini migliori ma il problema è che in quei 7-8 anni di intervallo fra il periodo di massima attività
della prima generazione e il periodo in cui si costituiscono i circoli di romantici a hidelberg è successa una costa
importante e decisiva cioè l evento epocale per la cultura tedesca di questo periodo è l invasione delle truppe
francesi e l inizio delle “guerre di coalizione”.
Succede che come primo esito della rivoluzione , una volta che la rivoluzione francese si consolidi , una volta
che anche gli assetti istituzionali francesi trovano una forma di organizzazione strutturata come esito proprio di
quelle dinamiche che hanno sconvolto gli autori del classicismo, cioè il terrore, un esplosione generalizzata di
violenza a permettere poi come esito conclusivo il raggiungimento di un assetto stabile su cui poi matura l
impresa napoleonica .
Quindi i fatti sono : RIVOLUZIONE, ACCELERAZIONE DELLA DINAMICA
RIVOLUZIONARIA,RADICALIZZAZIONE DELLA RIVOLUZIONE CHE CONDUCE POI A UNA
CHIUSURA E UN IMPOVERIMENTO O UNA REVOCA DEI PRINCIPI CHE AVEVANO ISPIRATO
IL PRIMO TEMPO DELLA RIVOLUZIONE E Ciò CHE DOVEVA CONDURRE AD UN
ALLARGAMENTO DEI DIRITTI, A UNA TRASFORMAZIONE DELLA SOCIETà NEL SENSO
DELLA PARTECIPAZIONE ALLA VITA POLITICA FINO AD ALLORA ESCLUSI, PORTA POI DI
FATTO ALL AUTORITARISMO DEL REGIME NAPOLEONICO.
È però il momento di massima forza della Francia nel confronto con le altre forze europee identificando in
napoleone il soggetto vincitore nei conflitti dell egemonia,scaturita dalla rivoluzione,la Francia ha la forza per
guardare in direzione di altri territori e proprio quello più vicino è quello della Germania a partire dalla metà
degli anni 90, gli stati tedeschi che sono deboli dal punto di vista politico-istituzionali, sono costantemente
soggetti alla minaccia di occupazione da parte dell esercito francese e nei primi anni dell 800 la Francia raggiunge
il periodo di massima forza negli equilibri geopolitici del continente europeo ed è il periodo nel quale vaste
porzione del territorio europeo sono direttamente soggette al governo francese.
Il secondo romanticismo rappresenta di fatto la reazione della cultura tedesca al periodo di egemonia della
politica francese sui territori tedeschi poiche gli stati tedeschi non sono in grado di opporre una efficace
resistenza politica -militare alla forza del modello francese e alla forza degli eserciti francesi, come sempre la
partita si sposta su un altro piano ovvero quello culturale.
L idea è che sia necessario risalire alle origini e che porta questi autori a concentrarsi su periodi della storia che a
loro appaiono come quelli più connotati dal punto di vista dell interesse nazionale perché su questi periodi meno
profondo è il senso dell altro modello culturale.
Per i teologi della cultura tedesca del secondo romanticismo assume l importanza per esempio il riferimento al
medioevo perché questo è sempre presentato nella tradizione della cultura occidentale come il periodo che
scaturisce dalla crisi dell impero romano , dal crollo della civiltà romano, dal crollo del modello non solo
culturale ma del modello di sovranità coltivalo dalla cultura latina come modello imperiale, universale e quindi
che non si basa sulle singole comunità nazionali ma proprio come sta facendo napoleone nei primi anni dell 800,
aspira a subordinare le identità locali a un modello generale e quindi valido per tutto il che è anche la base dell
efficacia del modello napoleonico e quindi possiamo definirlo l erede dell impero romano perché impone lo
stesso modello amministrativo in tutte le provincie soggette alla sua amministrazione dal sud italia al più remoto
angolo della germania dove si fosse spinto un soldato francese e questo è obiettivamente un elemento di
modernizzazione che il governo napoleonico apporta nelle provincie soggette alla sua amministrazione ed è un
modello che stabilisce una relazione di chiara continuità rispetto al suo antecendete (impero romano).
L impero napoleonico non si cura di farsi carico delle identità locali anzi percepisce le singole identità nazionali
come elementi di limitazione insomma egli voleva porre una struttura generale e lo possiamo vedere nel più
importante strumento di trasformazione che la francia napoleonica impone ai soggetti è il codice napoleoniche
che recupera alcuni principi importanti del diritto romano che non a caso diventa la bandiera degli oppositori del
regime napoleonico cioè dei nostri autori del romanticismo i quali sono interessati a opporre al dominio francese
e alla sua ideologia universalistica un modello localizzato,regionale,limitale,radicato non nei principi generali ma
nell idea di tradizione.
Diritto romano e codice napoleonico significa che indipendentemente dagli aspetti legati alla tradizione della
cultura di ogni comunità , valgono le stesse leggi; a questo tipo di modello che è un modello giuridico ma è
inanzitutto un ideale di programma di sovranità e quindi universale , gli autori del secondo romanticismo
pongono un modello il cui fondamento non è più una serie di principi generali ma è l tradizione storica coltivata
da quelle comunità.
Sono due modelli completamente diversi da loro perché se il modello francese di derivazione latina aspira a un
modello di sovranità che prescinda dalla storia delle comunità che devono essere subordinate a quel modello, i
nostri autori del secondo romanticismo valorizzano invece tutto ciò che a quel modello generale si oppone nel
segno del suo radicamento nella tradizione locale.

ALLA CODIFICAZIONE CHE è L ASSE DEL PRINCIO DELLA CULTUA GIURIDICA


NAPOLEONICA SI OPPONE L IDEA CHE LA FONTE DEL DIRITTO NON SIANO LE GRANDI
CODIFICAZIONI MA LE TRADIZIONE LOCALI, CHE VALGA Ciò CHE HA SEMPRE AVUTO
VALORE IN QUELLA COMUNITà .

QUESTO PROFESSORE VA IN UN LOOP ASSURDO !!!!

Anche in questi autori del secondo romanticismo c’è l idea che bisogna risalire a uno stato perduto solo che per
quegli autori che maturano in uno ambiente storico culturale dell illuminismo questa risalita alle fonti , questa
idea che il valore riposi in uno stato aurorale che ebba essere richiamato in vita, questo principio non ha per gli
autori dell illuminismo nessuna connnotazione nazionale, è uno stato di felice fanciulezza dell umanita che vale
per tutta l umanità nel suo complesso , tutti gli uomini devono essere sollecitati a ritornare alla fanciulezza con
gli strumenti della cultura ma non è una fanciulezza del tedesco, non sono i primordi di una comunità ma è una
sorta di mitica età dell oro che vale indifferentemente per tutti tanto che quando Herder( autore dell illuminismo
tedesco , ) quando ha cominciato a lavorare sul concetto di folxvida, pubblica proprio una raccolta di questi
ultimi che non sono solo testi afferenti all ambito della tradizione germanica ma nei folksvida proprio perché il
concetto di primitivo è privo di connotazioni nazionali , Herder include anche brani tratti dalla bibbia perché per
certe caratteristiche stilistiche del testo biblico, quei testi appaiono a lui come testimoni di uno stato di infantile
innocenza dell umanità .
Quando questi due autori del romanticismo tedesco,30 anni dopo, fanno la stessa operazione e pubblicano uno
dei testi canonici non solo del romanticismo tedesco ma di tutto il canone letterario tedesco che si intitola “DES
KNABEN WUNDERHOM= DES KNABEN(fanciullo), +WUNDER(magico)+hom(corno)= IL CORNO
MAGICO DEL FANCIULLO) Che è una raccolta di componimenti che hanno il medesimo carattere
primordiale che Herder, 30 anni prima, aveva attribuito a vari testi della cultura occidentale, tra cui anche la
bibbia,solo che i testi raccolti da Arnim e Brentano sono solo senza alcuna eccezione testi tedeschi perché
adesso nella mutata situazione storico-politica, il bisogno è quello di legittimare un disegno di cultura nazionale e
di identità solo germanica non più costruita solo su principi validi per tutta l umanità ma al contrario costruita su
paradigmi rigorosamente esclusivi, selettivi che designa una linea di demarcazione chiara fra ciò che è germanico
e ciò che non è germanico e quindi incompatibile con questo ideale di purezza già sbilanciato verso esiti
aggressivi delle relazioni tra modelli culturali e quindi cosi in questa collezione ci sono soltanto testi degni di un
regno tedesco.

L’IDEA DI BASE è LA STESSA CIOè IL RITORNO AL PRIMITIVO SOLO CHE NELLA CULTURA
ILLUMINISTICA IL PRIMITIVO NON HA ALCUNA CONNOTAZIONE DI CARATTERE
NAZIONALE, DI UNO STATO A CUI TUTTA L UMANITà Può FARE RICORSO PER RIGENERARSI,
PER RIPRENDERSI DALLA CORRUZIONE DELLA CIVILIZZAZIONE ,30 ANNI DOPO SOTTO LA
QUESTIONE DELL INVASIONE NAPOLEONICA GLI INTELLETTUALI LAVORANO NON Più A
UN IDEALE DI GENERAZIONE VALIDO PER TUTTI MA HANNO BISOGNO DI UN MODELLO
DI RINASCITA INCENTRATO SULLA COMUNITà NAZIONALE .

Lavorano quindi sulle origini della letteratura nazionale, lavorano su un modello di costruzione del potere di
gestione della sovranità radicato in principi nazionali e cosi cominciano a porre le basi di quello che sarà il tema
conduttore della cultura tedesca nell 800 cioè il bisogno di uno stato nazionale che poi avverrà nel 1871.
Cultura Ted. 2018-04-24 MATTINA
Argomento: Vormärz e Biedermeier

Sotto la pressione delle guerre napoleoniche, sotto la pressione di una questione attuale dello scenario politico
prevalgono interessi di carattere nazionale. Abbiamo visto come al centro dell'interesse ci sono due autori molto
noti che sono i fratelli Grimm. Voi pensate al carattere delle fiabe dei fratelli Grimm o al dizionario storico dei
fratelli Grimm è il primo dizionario in cui ci sono dei caratteri scientifici della cultura tedesca capirete quanto
profondo come insista a tutti i livelli già dall'attività di questi autori è il bisogno di definire una identità di
carattere nazionale. Ciò avviene nel contesto caratterizzato dalla pressione politica, la forza con la quale
l'esercito francese mette in pericolo l'esistenza stessa degli stati tedeschi, la forza dell'esercito napoleonico che è
fondamentale tra il 1803 e il 1805 si legge in modo palpabile nelle opere e nei carteggi degli altri nel senso che è
visto come un'operazione catastrofica, distruttiva, epocale ed è avvertibile il timore che l’esistenza stessa della
nazione tedesca, dello stato che in realtà non esiste, ma l'esistenza stessa dell'identità nazionale sia posta a un
pericolo gravissimo, tale è la forza con la quale l'esercito francese preme sui confini della Germania è la velocità
con la quale l'esercito napoleonico occupa porzioni crescenti del territorio tedesco. L'impresa napoleonica è
tanto energica, tanto trascinante quanto di breve durata. La data che ci interessa mettere a fuoco è il 1815. Il
1815 è l’anno che convenzionalmente segna la conclusione definitiva dell'occupazione napoleonica in Europa e
con la celebrazione del famoso congresso di Vienna inizia l'epoca della Restaurazione.
Che significa Restaurazione, cosa viene restaurato? La risposta è che il motivo del congresso di Vienna è il
ripristino ovvero la Restaurazione degli ordinamenti istituzionali preesistenti alla Rivoluzione francese,
preesistenti al 1788-1789? Il motivo del congresso di Vienna è il ripristino delle forme di governo precedenti la
Rivoluzione francese e quindi il ripristino del cosiddetto “antico regime”, il ripristino dei governi assolutisti che
erano andati in crisi con la censura del 1789 e con la Rivoluzione francese. Questo è l'obiettivo politico delle
potenze vincitrici, delle forze della coalizione (termine importante), termine utilizzato dalla storiografia di
questo periodo. È il quadro geopolitico dell’Europa durante le guerre napoleoniche caratterizzato dal conflitto
tra Francia e il sistema molto mutevole di alleanze più o meno esemplificato intorno al quadro politico che alla
fine, a seguito della rotta dell'esercito francese nell’inverno 1813 di ritorno dalla distruttiva campagna di Russia,
con la sconfitta definitiva dell'esercito francese che viene sconfitto in modo irrecuperabile dall'esercito russo,
viene battuto dalle forze della coalizione, le potenze vincitrici provano a ridefinire il quadro politico del
continente europeo. L'obiettivo politico, ciò che sta capo della parola Restaurazione è il ritorno indietro e quindi
una strategia di carattere repressivo, un carattere volto a ripristinare l'ordinamento era stato messo in crisi. Il
dominio napoleonico aveva impresso nei territori governati una tale accelerazione, era stato fonte di tale
modernizzazione, attraverso l'efficienza degli apparati burocratici, attraverso la forza degli orientamenti giuridici
legati al codice napoleonico. Queste trasformazioni nella gestione dell'area civile, seppure nella breve durata,
avevano trasformato così in profondità la vita dei popoli soggetti all'occupazione francese, che, per quanto
l'obiettivo del congresso di Vienna sia il ripristino di una condizione vecchia di trent'anni, in realtà le principali
acquisizioni, i principali elementi di modernizzazione portati dal governo francese non vengono nella sostanza
ritirati, non vengono revocati. C'è questa paradossale compresenza, questa paradossale commistione tra la
strategia politica delle potenze vincitrici che vede l'annullamento dell'intervallo napoleonico. Nei fatti però quegli
elementi di modernizzazione portati da Napoleone alla questione della vita politica degli stati sotto il suo
dominio sono convenienti, hanno conseguenze positive, anche per le potenze vincitrici, anche per le forze di
coalizione proprio perché assicurano una gestione più efficiente dello stato, a vantaggio anche delle forze che
hanno chiuso, che sono uscite vincitrici dalle guerre napoleoniche, permettono a chiunque governi una gestione
efficiente del potere.
Per quanto riguarda il nostro ambito di lavoro, per quanto riguarda gli stati tedeschi, dopo l'abolizione
dell'impero, dopo l'abolizione del primo Reich nel 1806, dopo che il primo Reich ha formalmente cessato di
esistere a seguito dell'estensione del dominio napoleonico, gli stati tedeschi, soggetti al dominio francese, erano
stati riorganizzati nella loro struttura, nel loro assetto istituzionale, sottoposti a processi di semplificazione
amministrativa e soprattutto (ricordate il titolo da cui siano siamo partiti: la condizione di ritardo, di arretratezza
degli stati tedeschi) oltre alla loro debolezza dal punto di vista politico e militare per anche di un numero
assolutamente alto (più di 400 unità statali erano venute fuori dalla pace di Vestfalia del 1648). L'azione
modernizzatrice del governo francese si esplica anche su questo punto: nel 1806 il Reich cessa di esistere ma al
posto del Reich viene posta una forma di organizzazione federale. Lo stato tedesco attuale è uno stato federale
con principi di decentramento, delocalizzazione dei poteri e delle funzioni, l'ente ovvero delle le regioni hanno
una mole di competenze che in uno stato come in Italia invece sono di competenza nazionale. Questa vocazione
federale dello stato tedesco risale alla riorganizzazione degli stati dell'est introdotta da Napoleone alla metà del
primo decennio dell’Ottocento. Gli stati tedeschi vengono ridotti di numero e vengono introdotte forme di
collegamento federale tra questi stati. Se ci fate caso è il primo embrione di uno stato nazionale che viene
introdotto a seguito delle riforme napoleoniche. Sul territorio tedesco comincia ad essere superata la nazionale
situazione di divisione e di frammentazione, di polverizzazione, di una quantità ingestibile di unità statali: il
numero di stati dopo l'abolizione del Reich viene ridotto a circa 40 unità, un incalcolabile passo in avanti
rispetto alle 400 che erano venute fuori dalla pace di Vestfalia. Tra queste unità vengono stabilite forme di
collaborazione e di interazione, di collegamento istituzionale di carattere federale, non esiste uno stato nazionale,
lo stato nazionale esisterà soltanto a partire dal 1871 ma è stato compiuto un passo in avanti decisivo verso la
fondazione dello stato nazionale, esiste una rete di collegamento di carattere federale che tiene insieme gli stati
tedeschi, in un assetto, in una struttura che si chiama Deutscher Bund parola chiave per capire quanto accade in
Germania nell'Ottocento,. Cercando un, Deutscher (desinenza – del maschile. Der Bund = la lega. Deutscher
Bund = lega tedesca, associazione tedesca, o meglio confederazione germanica.
L'impero che cessa formalmente di esistere nel 1806 ma già da un secolo e mezzo esisteva soltanto dal punto di
vista formale, lascia il posto a questa struttura federale degli stati tedeschi introdotta da Napoleone e quindi sulla
base di elementi di modernizzazione della gestione amministrativa dello stato, non viene soppresso nemmeno
con il congresso di Vienna (punto fondamentale). Questo è un apparente paradosso: il concetto congresso di
Vienna si pone l'obiettivo di annullare tutto ciò che è stato fatto da Napoleone e quindi di riportare indietro
l'orologio della storia di una trentina d'anni, cioè prima del 1789. Ciò rappresenta sicuramente la sostanza politica
del congresso ma le potenze vincitrici si rendono perfettamente conto che uno stato si lascia gestire, si lascia
amministrare in modo conforme agli interessi di chi lo amministra molto meglio con gli elementi di modernità
prodotti da Napoleone per cui la struttura federale introdotta dai francesi una decina d'anni prima non viene
toccata, resta intatta, la struttura dei Deutscher Bund. Non viene soltanto soppressa dal congresso di Vienna, gli
stati tedeschi continuano a sopravvivere nella forma introdotta da Napoleone ma, questo è il punto
fondamentale per focalizzare i progetti che caratterizzano il periodo della restaurazione in Germania, per quanto
Deutscher Bund siano formalmente indipendente, nella realtà, nella sostanza viene sottoposto al pieno controllo
politico dello stato che era uscito vincitore cioè l'impero asburgico, la monarchia austriaca.
Quindi abbiamo in Germania una struttura federale dii stati formalmente sovrani, il Deutscher Bund ma in
realtà, nell'amministrazione di questi stati non accade nulla se non per ispirazione e sotto il diretto controllo della
monarchia austriaca, dell'impero asburgico. L'impero asburgico ha il totale dominio politico di quanto accade in
Germania; la sovranità del Deutscher Bund è soltanto apparente, è soltanto formale ma i principali
provvedimenti politici e amministrativi che regolano la vita civile negli stati tedeschi vengono emanati sotto il
diretto controllo dello stato asburgico.
Che cosa caratteristica la politica dello stato asburgico nella cosiddetta epoca della restaurazione? L'epoca della
restaurazione che vede comodità di realizzazione nel periodo che noi comprendiamo tra il 1815 ovvero il
congresso di Vienna al 1848 ovvero l'anno delle cosiddette rivoluzioni di liberali che in un po' tutta l’Europa
assestano un colpo rimediabile un colpo irrimediabile alla forza del dominio asburgico. Sono fatti che ci sono
noti anche dalle nostre storie nazionali. Nel 1848 si parla dell'inizio del periodo che convenzionalmente
chiamiamo il Risorgimento che si svilupperà, per un curioso parallelismo (ma in realtà non siamo molto lontani
da ciò che accade in Germania), 10 anni prima nello stato tedesco, alla nascita dello stato nazionale, nel 1861.
Perché ciò che noi sappiamo del nostro risorgimento possiamo facilmente adattarlo anche a quanto accade in
Germania? Cosa siamo abituati a pensare del dominio asburgico nelle province italiane soggette al controllo
dell'impero austriaco, al cosiddetto lombardoveneto? Che dominavano elementi di forte restrizione, di controllo
claustrofobico, di eliminazione repressiva delle libertà di associazione, di espressione e l'attività degli intellettuali,
l'attività degli uomini politici era soggetta a forme di drastica eliminazione, di occhialuto controllo, per esempio
l'attività degli intellettuali fosse rigorosamente disciplinata e soggetta a limitazioni che noi probabilmente
riconduciamo sotto una parola chiave che è quella che sta in testa tutto ciò che riguarda la vita culturale in
Germania e non solo in Italia tra il 1815 e il 1848 cioè censura. Se c'è un dato che tiene insieme l'attività del
governo asburgico in tutti i territori soggetti alla sua amministrazione è l'imposizione di un severissimo
sistema di misure repressive destinate a controllare e limitare le libertà fondamentali dei popoli soggetti al
dominio asburgico che per esempio, per quanto riguarda l'attività degli intellettuali, prende corpo, questa volontà
di controllo, di limitazione e di repressione, in un articolato sistema di provvedimenti di censura.

Ricapitoliamo:
1815: fine del regime napoleonico e inizio dell'epoca della restaurazione col congresso di Vienna. Bisogna
restaurare le condizioni politiche preesistenti alla Rivoluzione francese, bisogna richiamare in vita l'ordinamento
assolutistico superato prima della rivoluzione e poi dal regime napoleonico. Questo obiettivo viene temperato
dall'oggettivo vantaggio apportato dall'amministrazione degli stati, dalle riforme napoleoniche, che non vengono
ritirate, gli apparati di governo che Napoleone aveva imposto agli stati tedeschi, ai Deutscher Bund; questo
prodotto del federalismo tedesco viene confermato nella sua forma solo che il Deutscher Bund Viene
sottoposto al pieno controllo politico del governo austriaco, che, ispira, impone, controlla, tutti i principali
provvedimenti destinati a regolare la vita civile del Deutscher Bund fino al 1848.
Qual è la logica di questi provvedimenti? Il controllo, la vicinanza, la repressione, la limitazione delle libertà
fondamentali, dei principali diritti, la libertà di associazione, la libertà di espressione politica, cioè tutte le libertà
che il governo austriaco percepisce come fonti di pericolo per la forza del suo dominio. È chiaro che il governo
austriaco si sente fragile, si sente sottoposto a spinte, a elementi di contestazione. (Pensate solo all’enorme
estensione territoriale dell'impero e a tutte le difficoltà connesse alla sua realizzazione, alla sua gestione, ricordate
quali saranno le cause che porteranno alla definitiva consumazione del governo austriaco ovvero l'esplosione
delle delimitazioni nazionali nei paesi dell’Europa orientale). Il governo austriaco è sì una formidabile macchina
di amministrazione territoriale caratterizzata da straordinaria efficienza e di grande modernità anche per
l'intelligenza con la quale la monarchia asburgica è riuscita come viene dimostrato fino ad adesso a Vienna ad
assimilare gli aspetti di vantaggio collegati ad altre forme di governo e di non aver eliminato il Deutscher Bund
Ma nella seconda metà dell'Ottocento cederà sotto il peso delle rivendicazioni nazionali che attengono alla
periferia del suo impero, nei Balcani, poi nell’Italia settentrionale e che porteranno al crollo di una costruzione
così ampia ma così difficile da gestire dal punto di vista politico e amministrativo. Siamo però una in una fase tra
il 1815 al 1848, in cui l'impero asburgico era relativamente forte e questa forza, questa solidità, passa tra l'altro
attraverso l’imposizione di un complesso e articolato sistema di provvedimenti, di limitazione, di controllo e di
repressione, di censura dell’attività politica e dell'attività culturale. Si chiama in causa in quest'ambito un
pacchetto di provvedimenti legislativi approvati nel 1821 pochi anni dopo il congresso di Vienna che
contengono una serie di norme drasticamente repressive nei confronti dell'attività degli intellettuali, norme note
con il termine complessivo di Karlsbader Beschlüße. La prima parola è un aggettivo formato da un toponimo.
La città di Karlsbad è quella in cui furono firmati questi prvvedimenti, con l'aggiunta del suo del suffisso -er dal
toponimo si ricava l'aggettivo Karlsbader. Beschlüße morfologicamente è un plurale e la parola. In tedesco da
questo di vista un po' come l'inglese: c'è un verbo di base e poi se ci mettete preposizioni copisti modificano
radicalmente il significato. Beschlüße = provvedimento solitamente di carattere legislativo. È vero che si può
usare in modo indifferenziato ma semanticamente è connotato nell'ambito legislativo e politico. Karlsbader
Beschlüße = Provvedimenti di Karlsbad
I Karlsbader Beschlüße formalmente sono emanati dal governo del Deutscher Bund ma in realtà è la volontà
politica del governo asburgico che impone questi provvedimenti tutte le province soggette al suo dominio, sono
un sistema di leggi destinate a limitare l'attività delle associazioni culturali, l'attività delle associazioni politiche,
l'attività degli intellettuali, degli scrittori. Vengono stabilite delle severissime restrizioni all'attività
dell'insegnamento nelle università, cosa che determinerà l'allontanamento dalla cattedra di un ampio numero di
docenti di posizioni liberali, viene posto un limite molto severo all'attività delle cosiddette corporazioni
studentesche che dal punto di vista del governo austriaco rappresentavano delle associazioni intrise di umori
nazionali, di umori liberali e quindi contrarie al dominio asburgico.
Burschenschaften = corporazioni studentesche, che in alcuni casi sopravvivono ancora anche se non hanno più
significato politico e civile che avevano nell'Ottocento, queste corporazioni studentesche sono un luogo di
riunione e di organizzazione d studenti in posizioni nazionale e quindi antiaustriache.
In questa fase della storia tedesca gli austriaci, la monarchia asburgica sono gli occupanti, sono i dominatori,
sono i detentori di un potere assoluto che modo i corpi sociali e gli stati tedeschi respingono. Negli stati
tedeschi, nei Deutscher Bund Si verificano è esattamente gli stessi processi di organizzazione internazionale che
caratterizzano il nostro risorgimento. Non vi fate ingannare dal fatto che parlassero tutti tedesco. L'impero
asburgico viene giustamente vissuto come il detentore di un potere di occupazione e nella società tedesca
cominciano a maturare umori e una delle prime forme di organizzazione contrarie al potere asburgico.
Le corporazioni studentesche, queste libere associazioni di studenti sono tra i luoghi nei quali vi è la più
intensa elaborazione di forme di rivolta nei confronti del potere asburgico. Le attività di queste associazioni
vengono ampiamente sottoposte a severissime limitazioni e a forme di restrizione e di controllo a seguito di
questi asburgici.
Per quanto riguarda l'attività degli intellettuali, per quanto riguarda l'attività degli scrittori, vengono stabilite
misure di censura di ogni forma di pubblicazione all'interno degli stati tedeschi e questa misura viene
articolata secondo due modalità, fondamentalmente: i libri possono essere sottoposti a una censura preventiva
oppure possono essere soggetti a forme di censura una volta che è stata già disposta la pubblicazione, cioè i libri
possono essere bloccati prima ancora di arrivare sul mercato editoriale e quindi si parla di censura preventiva
oppure possono essere fatti pubblicare soggetti a censura soltanto dopo la loro pubblicazione. La censura può
riguardare la totalità del libro che può essere anche semplicemente ritirato dal mercato, del quale può essere
impedita la pubblicazione, può riguardare parti del libro che le autorità preposte all'adozione di questi
provvedimenti dovessero ritenere contrarie ai principi del governo austriaco e quindi portatrici di posizioni
liberali o degli interessi del governo.
Si stabiliva tra le altre cose che la censura preventiva quindi controllare prima ancora di essere esplicitati,
dovessero essere sottoposti a censura preventiva tutte le pubblicazioni inferiori alle 300 pagine, perché? Quindi
tutti i libri superiori alle 300 pagine dovevano essere sottoposti a censura solo dopo la pubblicazione, sotto le
300 pagine la censura preventiva cioè non lo si fa uscire, lo si porta alla commissione di censura e la
commissione di censura stabilisce che può uscire oppure che ne può uscire metà o che alcune pagine devono
essere eliminate, per tutti i testi invece il formato superiore alle 300 pagine e i (provvedimenti di censura)
stabilivano che potessero essere pubblicati ma che dovessero essere sottoposti a censura solo dopo la
pubblicazione.
Qual è la ragione per fare una cosa del genere? Dal punto di vista dei censori dell'impero asburgico era l'idea che
i testi superiori alle 300 pagine non li avrebbe letti nessuno e quindi non avrebbe avuto senso perdere tempo
davanti a testi così lunghi. Anche i testi sovversivi, anche i testi più pericolosi per il governo austriaco, in più di
300 pagine, non sono comunque di per sé pericolosi perché a nessuno verrebbe mai in mente di mettersi a
leggere un libro di 300 pagine. Ma gli intellettuali di cui stiamo parlando non erano stupidi, si infilarono
immediatamente in questa fessura lasciata libera dai provvedimenti di censura e cominciano a uscire i primi libri
stampati in corte assolutamente elevati, con tre o quattro righe per pagina, tanto da raggiungere il formato
superiore alle 300 pagine in modo da non essere sottoposti a censura preventiva. Gli autori intrisi di umori anche
austriaci erano quelli più impegnati dal punto di vista dei diritti civili, autori che in questa parte della storia della
cultura tedesca cominciano ad assumere posizioni di impegno politico, a occupare posizioni militanti, di
impegno politico e sociale. In questa fase nasce di fatto la figura tipica della cultura moderna dell'intellettuale
militante, è nella cultura tedesca il prototipo di intellettuale animato da una concezione politica della propria
attività, intellettuale animato ovvero dall'idea che la cultura, la letteratura, l'arte, non soltanto portano a una
comprensione più profonda della realtà, delle relazioni di sfruttamento che caratterizzano la realtà politica
ma che l'arte, la letteratura alla cultura debbano sollecitare anche a un cambiamento di idea della realtà, a
una trasformazione attiva di quella realtà. Gli intellettuali cominciano, almeno alcuni degli intellettuali, a
organizzare la loro attività in questo senso ovvero sollecitando direttamente il pubblico, i loro lettori, non
soltanto ad acquisire consapevolezza più matura, più raffinata profonda dei processi che caratterizzano la realtà
sociale politica del loro tempo, ma cominciano anche intendere la letteratura come uno strumento destinato alla
trasformazione attiva, al cambiamento reale della situazione sociale, nel caso specifico dei nostri autori, al
sovvertimento dei regimi illiberali, assolutistici che gli era limitavano la libertà dei popoli e il godimento dei diritti
sociali, delimitavano la vita democratica.
Dunque, per quanto riguarda la storia della cultura tedesca l'epoca della restaurazione corrisponde di fatto alla
censura, alla limitazione della realtà, alla restrizione. Gli intellettuali, di fronte a questa situazione, in questo
contesto caratterizzato da una forte limitazione della loro attività, assumono varie condotte, prendono varie
decisioni. Questo condotte sono riferibili sostanzialmente a due modelli. Cosa fanno gli intellettuali che per la
censura? Ricordate che i Deutscher Bund Ci sono dal 1815 al 1848, l'epoca della Restaurazione, il governo
austriaco, la limitazione della libertà, la censura, le censure. Tenete conto che si dicono così tanto nel corso di
questo trentennio della Restaurazione a metà degli anni Trenta, agli intellettuali impegnati dal punto di vista
politico non resta altra alternativa che in esilio, che lascia degli stati tedeschi. Heine è uno degli intellettuali
tedeschi più bersagliati dai provvedimenti censura, proprio per la radicalità delle sue posizioni e molto presto,
all'inizio degli anni Trenta, dopo il successo intenso delle sue prime pubblicazioni, Heine era del 1797 e all'inizio
degli anni 80 lascia la Germania e si trasferisce definitivamente a Parigi. Questa è un po' una scelta, un po' una
necessità, e riguarda tanti dei più importanti intellettuali tedeschi del periodo come, ad esempio a uno scrittore di
opere tradizionali ma che è fondamentale per capire quanto accade in Germania e in Europa nell'Ottocento
ovvero Karl Marx, Marx è uno dei degli autori più indirettamente colpiti dai provvedimenti repressivi del
governo ed è costretto all'esilio a Londra cioè il luogo nel quale ha la possibilità di studiare direttamente la
profondità delle trasformazioni in generale e del capitalismo e scriverà insieme a Friedrich Engels opere e poi
ispireranno moltissimo la cultura occidentale dell’Ottocento e del Novecento.
Gli intellettuali, di fronte alla pervasività delle misure repressive adottate dai governi assolutistici assumono due
atteggiamenti:
1. come nel caso di Heine, decidono di porre la loro attività al servizio della politica e quindi imprimono nei
propri scritti, l’impronta stessa dell'identità di intellettuali, una segnatura politica, un carattere politico, un tema di
militanza che dichiarato, esplicito, fanno della propria attività uno strumento di trasformazione sociale, uno
strumento destinato a sollecitare il pubblico al cambiamento attivo delle posizioni politiche del tempo. Nasce la
figura così popolana anche della letteratura del Novecento dell'intellettuale militante per cui la letteratura è
uno strumento destinato al cambiamento sociale;
2. l'attuazione che gli intellettuali, spaventati dall'estremità delle misure repressive, scoraggiati dalla violenza
esercitata dal potere politico nei loro confronti, stabiliscono di disinteressarsi della sfera pubblica, di astenersi da
qualunque pronunciamento esplicito nei confronti della situazione politica del loro tempo e seguono quindi la
via del disimpegno, dell'astensione.

Tutta la cultura di lingua tedesca dell'epoca della Restaurazione può in fondo essere vista sulla base di questi due
possibili atteggiamenti, di questi due possibili forme di comportamento. Abbiamo autori e scrittori impegnati
politicamente che denunciano instancabilmente le condizioni repressive imposte dai governi assolutistici, alla vita
dei popoli, alla libertà di associazione, ai danni della libertà di espressione, gli intellettuali che pongono la
letteratura servizio di un programma di cambiamento sociale, intellettuali rivoluzionari, oppure ci sono degli
intellettuali programmaticamente disinteressati nei confronti della realtà sociale politica del loro tempo,
intellettuali, scrittori che si astengono dal trattare ogni tema passibile di implicazioni politiche e che si dedicano
di preferenza a temi attinenti all'ambito della vita dell'individuo, della vita domestica, cantano le gioie del
focolare, cantano le gioie del piacere di un'esistenza protetta, appartata, protetta soprattutto dalla violenza del
potere politico, cantano la soddisfazione che si ricava dalla ristrettezza di una vita familiare, cantano la bellezza
della relazione tra individuo e natura cioè pongono la loro letteratura in un ambito estraneo a quello della vita
pubblica: la natura, il focolare domestico, la famiglia, una dimensione ristretta, privata, la testa dall'impresa
dall'invasione del potere pubblico oppure la natura, gli spazi aperti, i condannati dello stato tedesco, la bellezza
chiaramente intrisa di umori romantici del bosco tedesco.
Questi due atteggiamenti, queste due possibili condizioni, politica o non politica, impegno o disimpegno, spazio
pubblico spazio o privato, fanno capo alle due principali correnti che esauriscono di fatto il quadro della
letteratura tedesca nell'epoca della restaurazione. Gli autori della restaurazione sono pubblicabili sotto la voce:
Vormärz e Biedermeier.
Sotto la categoria Vormärz convenzionalmente si raccolgono intellettuali militanti, intellettuali che accettano il
confronto diretto con le questioni politiche sociali poste da loro tempo, accettando naturalmente anche il rischio
perché in questo schieramento non ritroviamo intellettuali soggetti a provvedimenti di restrizione, intellettuali
costretti all'esilio. Una cosa fondamentale perché è fonte di continua produzione, queste categorie: Vormärz e
Biedermeier. Non si riferiscono a movimenti organizzati, a gruppi strutturati, non esiste un'associazione di
intellettuali che si chiama Vormärz non esiste un gruppo di persone che si incontrano in una in uno scantinato
ogni luoghi tipici dei congiurati che si chiamano così e che si identificano con questa parola, così come non
esiste un gruppo di persone che vanno in giro per le campagne a dire che è bello noi siamo i Biedermeier. Non
sono delle categorie di teorizzazione, sono delle categorie storiografiche di uso comune nella storia della cultura
tedesca e come tutte le categorie di teorizzazione hanno qualcosa di vero ma sono evidentemente destinate
anche a esemplificare, a fornire un quadro parziale della realtà, funzionano bene perché sono ampie e
permettono di dar conto di una vasta pluralità di fenomeni ma è chiaro che, nella letteratura di questo periodo ci
saranno anche autori inconciliabili con quanto abitualmente si dice Vormärz e Biedermeier oppure autori che
hanno un tratto vicino al cuore è uno che permette di avvicinare al Biedermeier e così via. Quindi due
avvertenze: innanzitutto non si tratta di movimenti, due esercitata una forma di sana diffidenza nei confronti di
queste categorie di teorizzazione storiografiche tenendo conto che nel che del fatto che sono porte irrinunciabili,
non si può fare storia della cultura senza avere in mente queste categorie ma tenendo a mente che ci sono anche
altri settori di storia della cultura che restano scoperti, anche quelli più efficaci anche con le più efficace sublime
categoria di teorizzazione.
Allora cosa si intende per Vormärz e Biedermeier?
Ho cominciamo dicendo che queste categorie non vengono adottate dagli scrittori per definire se stessi ma solo
categorie messe a punto in un momento successivo dalla storiografia è nel caso del Vormärz e la cosa è evidente
perché Vormärz significa prima di marzo. Prima di quale marzo? Prima del marzo 1848 cioè il momento in
cui anche in Germania, anche lei alzando un vengono recepite le azioni rivoluzionarie che avevano cominciato a
diffondersi dall’istanza un gruppo ristretto, ma organizzato di persone perlopiù prive di un'idea chiara di come si
possa condurre con successo un'azione rivoluzionaria perché erano intellettuali, per definizione non proprio a
loro agio con la spregiudicatezza necessaria nel campo dell'azione politica, provano a portare avanti un'azione
rivoluzionaria, di carattere liberale, non è una rivoluzione che abbia come obiettivo l'estensione dei diritti
fondamentali ai proletari, al popolo degli svantaggiati, agli ultimi, agli umili e con più di cinquant'anni di ritardo
un sostanziale analogo della rivoluzione francese cioè un movimento di ispirazione liberale destinato a
estendere lo spazio di azione politica della borghesia, non è una rivoluzione del popolo, non è una rivoluzione
di massa, è una rivoluzione, con una parte abbastanza ristretta, una rivoluzione borghese. Il termine quello che
borghese è quello utilizza correntemente nella storiografia di questo periodo, è una rivoluzione liberale con
l'obiettivo di sollecitare i governi assolutistici al riconoscimento di alcune libertà che si definiscono
costituzionali perché, come anche in Italia, il testo principale dei movimenti del 1848 è l'approvazione di una
costituzione più ampia e che ammetteva uno spettro di diritti e libertà più ampio rispetto a quello già prima del
1848 ovvero lo Statuto Albertino, libertà che in ogni caso non erano affatto alla risoluzione di questioni sociali,
non mirano a migliorare le condizioni di esistenza degli ultimi ma mirano a rafforzare le posizioni di un corpo
sociale molto importante ma ristretto come la borghesia e di quella storia più o meno a partire dalla metà del
Settecento. La Germania viaggia con un mezzo secolo di ritardo rispetto alla Francia. Anche la Germania ha la
sua rivoluzione, è una rivoluzione fallimentare e di brevissima durata, che si concretizza nella costruzione di un
parlamento nella città di Francoforte, nella Paulskirche ovvero nella chiesa di San Paolo di Francoforte che
diventa così uno dei luoghi chiave della memoria collettiva della Germania. Dopo pochi mesi di infruttuosa
attività questo parlamento viene facilmente sciolto per iniziativa del governo austriaco, la rivoluzione stessa ha
una base troppo limitata, troppo esile per aspirare a una trasformazione duratura degli equilibri politici in
Germania, l'esperimento rivoluzionario fallisce dopo poco più di una non so. Di fatto si è innescata una
dinamica che porterà vent'anni dopo alla costruzione dello stato nazionale alla fine del dominio austriaco.
Vormärz = prima di marzo. È ovvio che una denominazione del genere non possono essersela data intellettuali
attivi nell'epoca della restaurazione, loro non sapevano che sarebbe stata una rivoluzione che sarebbe durata solo
il mese di marzo del 1848, quando negli anni Venti e Trenta erano soggetti a provvedimenti di censura e che
avevano dato un carattere di impronta militante alla loro attività intellettuali del tempo. È una classica categoria
di teorizzazione formulata a posteriori, in un secondo momento per conferire un carattere unitario, un carattere
globale, in modo retrospettivo a tanti fenomeni e tendenze verificatesi in un momento precedente. La categoria
di Vormärz comprende tutti gli intellettuali che, soggetti all'aspetto delle condizioni dominanti all'epoca della
restaurazione non sfuggono il confronto aperto con queste situazioni ma le tematizzano esplicitamente e nel
caso di autori più radicali quanto alla loro posizione politica, provano a fare della letteratura uno strumento
attivo di questa persuasione del pubblico, di solito sollecitazione al cambiamento attivo di quelle condizioni di
oppressione e di sfruttamento. I nomi che si fanno sempre in questa galassia sono due, forse più importanti
autori tedeschi dell'Ottocento, uno è Heinrich Heine, l’altro è un autore dimenticato per qualche decennio e poi
potentissimamente ricordato a partire dall'inizio del Novecento e che viene vissuto come un autore
rivoluzionario davvero arrabbiato della letteratura tedesca, geniale e giovanissimo, che alla sua due opere teatrali
destinate a essere di influenza incalcolabile nella letteratura tedesca del Novecento che si chiama Georg Büchner.
L'espressionismo tedesco nel periodo dei primi anni del Novecento è Georg Büchner era il precursore come un
autore che ottant'anni prima scriveva nelle forme e nello stile che poi gli espressionisti avrebbero coltivato in un
contesto completamente diverso e per Büchner l'impegno politico e l'attività letteraria sono assolutamente
inseparabili. La prima pubblicazione che trovate nelle piccole libricino che comprende le opere complete di
perché molto molto giovane è un manifesto politico, è un testo non concepito come un testo letterario ma come
un manifesto, distribuito come tale, fatto circolare clandestinamente, destinato alla promozione della condizione
sociale dei contadini (questa è una parola chiave) perché Büchner è forse uno dei è forse l'unico autore tra i
tanti dei grandi della letteratura tedesca dell'Ottocento che non abbia come destinatario della propria concezione
politica la borghesia ma gli ultimi, il popolo, i contadini dell’Assia, una regione della Germania, la regione di
Francoforte. Questo testo ha carattere agitatorio, un carattere di sollecitazione all'azione rivoluzionaria e
contiene uno slogan che poi verrà costantemente ripreso dalla politica tedesca del Novecento e che sarà
particolarmente presente durante gli anni del movimento del 1968 che suona in questo modo: „Friede den
Hütten, Krieg den Palästen!”
Friede = pace, den Hütten = verbo al dativo plurale, die Hütten = la capanna. Friede den Hütten = pace alle
capanne, Krieg den Palästen = guerra ai palazzi.
„Friede den Hütten, Krieg den Palästen!” = “Pace alle capanne, guerra ai palazzi!”
È evidentemente un motto politico, uno slogan destinato a sollecitare con enfasi, solennità, al cambiamento, alla
trasformazione, all'azione anche violenta, è un'espressione molto famosa che diventa una delle grandi frasi della
cultura tedesca che si ritrova in un testo che è esplicitamente concepito non come un testo letterario ma come
un volantino politico, è un testo inteso a motivare, la felicità degli ultimi a trasformare e a lavorare direttamente
al miglioramento delle proprie condizioni. Heine non ha le posizioni così radicali ed estreme di Büchner, che è
stato Büchner un letterato è davvero al servizio dei reietti, degli ultimi della società.
Tutto quello che ho detto per caratterizzare la posizione dei due autori abitualmente complessa nel leader
Vormärz cioè la prevalenza dell'interesse politico non vale per gli autori del Biedermeier, vale esattamente il
contrario.
Innanzitutto, cerchiamo di capire che cosa significa letteralmente Biedermeier. Il termine si trova difficilmente
nel dizionario perché non è una parola corrente ma è una categoria di teorizzazione culturale formulata per
identificare una tendenza comune, un tratto generale in vari ambiti della storia della cultura; non è questa, in
particolare, una categoria che vale solo per la letteratura, anzi, si parla comunemente Biedermeier nell'ambito
della storia del gusto con particolare riferimento alla tecnica del carré domestici in quel periodo, si parla di gusto
Biedermeier nei mobili prodotti alla metà dell'Ottocento, in tutta Europa si dice che è dominata dal gusto
Biedermeier, le case, le abitazioni private sono spesso arredate secondo i canoni del gusto Biedermeier e questo
dà una prima informazione di come Biedermeier non ha nulla a che fare con la politica ma ha a che fare con gli
spazi chiusi, gli spazi protetti, in spazi domestici, infatti familiari. È innanzitutto una categoria che identifica
una tendenza complessiva del gusto alla metà dell'ottocento che vale anche nell'ambito storico-letterario per dar
conto di alcune tendenze.
Biedermeier è un composto costituito da due componenti. Bieder è un aggettivo un po' arcaico che significa
puro, candido, onesto, semanticamente c'è una sfumatura di eccessiva ingenuità, un candore spinto fino alle
soglie dell'insipienza, della stupidità. Bieder è colui che fisiologicamente incapace di malizia perché è anche
stupido, non perché sia stata straordinariamente virtuoso ma perché non ci arriva, è limitato, è una persona
buona per incapacità di essere cattivo, per incapacità di essere diverso, non è una persona buona per profonde
condizioni interiori ma è uno stupido.
Meier è il cognome più diffuso in Germania scritto in tante possibili varianti grafiche, lo trovate scritto in vari
modi, le vocali si possono trovare in varie con combinazioni, diffuso con un particolare prevalenza nella
Germania meridionale, dal punto di vista diatopico il cognome Meier è prevalentemente collocato nella
Germania meridionale e quindi nei territori più vicini tradizionalmente dal punto di vista culturale e ideologico al
dominio austriaco. La categoria di Biedermeier ha una sfumatura di critica, di lieve disprezzo nei confronti degli
autori. Il Biedermeier tende a mettere in rilievo l'opportunismo del disimpegno politico, i vantaggi legati al rifiuto
di esporsi al rischio di porsi di fronte al tema sociale, tema politico. Biedermeier culturalmente quel concetto che
in Italia si intende con espressione uomo medio, un uomo qualunque, Biedermeier è un po' il signor Rossi.
L'orizzonte principale di riferimento di questi autori è l'individuo medio, e ciò che con un'altra estensione
connotata questa volta più politicamente e culturalmente noi chiamiamo maggioranza silenziosa cioè quelle
masse di individui che anziché porsi ai pericoli del confronto diretto con la violenza del potere, con la
pressione e le restrizioni della politica preferiscono approcciarsi alla sfera limitata ma protetta, sicura, nella
esistenza domestica.
Autori che tradizionalmente vengono riportati alla sfera del Biedermeier sono ad esempio due: sono non a caso
autori meridionali, l’austriaco Stifter, lo svizzero Gotthelf ma che appartengono al disegno complessivo della
letteratura tedesca ovvero alla letteratura in lingua tedesca.
Adalbert Stifter è forse il più grande romanziere della letteratura tedesca.
Jeremias Gotthelf. Era un pastore luterano, un uomo di chiesa svizzero, autore di uno dei testi chiave della
letteratura horror di lingua tedesca ovvero “Il ragno nero” (Die schwarze Spinne), un testo breve di un'ottantina
di pagine.
Nelle opere più importanti di Stifter che sono perlopiù romanzi bellissimi ma noiosissimi, sono vicende
programmaticamente limitate all'ambito domestico, in vicende intenzionalmente prive di qualunque esplicito
significato politico, delle quali viene complessivamente descritto il vantaggio che qualunque uomo ricaverebbe,
che tutta la società ricaverebbe, se ciascuno con l'espressione del filosofo Pascal, che l'unica virtù dell'uomo è
starsene rinchiuso nella sua stanza e se tutti restassero disciplinatamente chiusi nella loro stanza il mondo
sarebbe più felice.
Trovate in questo sicuramente unico della filosofia che è alla base del Biedermeier nella filosofia di
Schopenhauer che la filosofia della rinuncia, dell'attenzione, che vede la chiave della felicità nella depressione
della propria volontà.
Cultura Ted. 2018-04-24 POMERIGGIO
Argomento: Il viaggio in Italia di Goethe e di Heine

Ci eravamo lasciati con questa divisione, con queste due categorie che ci servono inquadrare nella linea generale i
processi culturali nel periodo della restaurazione. Vormärz e Biedermeier. Abbiamo detto qualcosa di carattere
generale sulle due correnti, mi raccomando ancora una volta di non considerarle come dei movimenti
organizzati, dei gruppi strutturati bensì come delle tendenze. Abbiamo nominato gli autori principali di entrambe
queste correnti: abbiamo nominato Heine e Büchner per il Vormärz; abbiamo nominato Stifter e Gotthelf per il
Biedermeier. Abbiamo detto che ciò che li differenzia fondamentalmente è il loro atteggiamento nei confronti
del contesto sociale e politico del tempo.
Che cosa caratterizza questo contesto sociale e politico? L'onnipresenza di un controllo stretto e repressivo
esercitato dai detentori del potere politico cioè l'impero asburgico sulla la vita associativa, la vita politica e la vita
culturale.
Come si esplicita questo controllo? Attraverso dei provvedimenti legislativi, attraverso delle azioni repressive, la
parola chiave per questo genere di questioni è la parola censura, l'epoca della Restaurazione è l’epoca della
censura. Ci siamo persino spinti a nominare un corpo concreto di provvedimenti emanati sotto la dicitura di
Karlsbader Beschlüße della prima metà degli anni Venti. Abbiamo detto che gli autori del Vormärz e quelli del
Biedermeier si differenziano fondamentalmente per questo: registrano diversamente a queste condizioni.
Gli autori del Biedermeier ritengono preferibile operare in una dimensione protetta, nascosta, posta al riparo dal
lucro della politica. I loro temi sono la soddisfazione che si ricava da un'esistenza ovattata, dell'esistenza
confortata dall'assenza di grandi passioni. E i loro temi sono quindi tutto ciò che ha a che fare con il livello
privato, domestico, dell'esistenza umana.
Tutt'altro l'ambito nel quale operano gli autori del Vormärz: per loro la letteratura si pone come una forza
dotata della capacità di interferire con grandi temi che presidiano lo spazio pubblico. Per loro l'arte e la
letteratura in particolare è dotata non solo della capacità di avviare il pubblico a capire meglio la sostanza
delle relazioni più vere che pervadono l'ambiente sociale in cui il pubblico stesso opere opera. la letteratura si
dota della capacità di proporre dei cambiamenti materiali.
Siamo arrivati a questo punto. Adesso parliamo di Heine. Heine è, per consenso generale, il più significativo
degli autori del Vormärz. Dunque, noi ci troviamo a questa altezza in una fase di grandi cambiamenti nella storia
della cultura tedesca e lo capiamo anche solo da un segnale apparentemente banale: se ci fate caso la nozione
stessa di Vormärz, la categoria storiografica che viene utilizzata per il racconto di questi cambiamenti,
rappresenta una novità assoluta nel sistema delle categorie di periodizzazione con le quali ci siamo portati fino a
questo punto. Noi abbiamo parlato di illuminismo (Aufklärung), abbiamo parlato di Romanticismo, abbiamo
parlato di Romantik, abbiamo parlato di Sturm und Drang, abbiamo cioè sempre adottato delle categorie che
originariamente fanno capo a categorie filosofiche, concetti estetici, paradigmi della storia del pensiero. Per la
prima volta con i Vormärz noi abbiamo indicato un segmento di storia culturale, un periodo di storia culturale
definito esplicitamente sulla base di un fatto attinente alla storia sociale e politica. Tutte le categorie adoperate
per i periodi precedenti hanno a che fare con concetti di carattere filosofico, con categorie tratte del linguaggio
dell'estetica, abbiamo parlato del Romanticismo per esempio, o con categorie evidentemente filosofiche come
nel caso di Aufklärung.
Aufklärung = Illuminismo il significato letterale della parola viene contro il nucleo semantico è lo stesso:
aufgehen vuol dire rischiarare, illuminare, portare la luce. Il termine è perfettamente parallelo rispetto a quello
italiano di illuminismo.
La categoria di Aufklärung faceva capo all’idea del pensiero che avevano questi autori, sia cioè che le tenebre di
un passato immerso nella superstizione, nell'abuso, nella mancanza di diritti potessero finalmente essere spazzate
via dall'azione rischiaratrice delle nuove categorie di pensiero. Quindi tutta l'epoca definita sulla base di una
categoria filosofica. Con i Vormärz noi abbiamo per la prima volta il caso di un'epoca definita non sulla base di
un concetto astratto ma con la categoria radicata nella concretezza della storia sociale e politica di questo
periodo. Vormärz, chiama in causa, con questo riferimento così diretto, i fatti del marzo 1848. È il primo caso
della storia della cultura tedesca in cui fin dalla intonazione, fin dalla denominazione di un periodo storico-
culturale si pone esplicitamente l'accento sul legame strettissimo, necessario, insolubile che c’è tra questo stesso
periodo di storia della cultura e il più vasto ambito della storia sociale e politica del tempo. In effetti, l'autore del
quale dobbiamo dire qualcosa è chiaramente animato dalla consapevolezza di trovarsi in un'epoca
completamente nuova rispetto al precedente passato. Una delle più celebri affermazioni di Heine, che tra le altre
capacità aveva il dono di formulare le cose in modo particolarmente coinciso e pregnante, tutto il thesaurus della
cultura tedesca pullula di frasi tratte dalle opere di Heine. E.g. Una che forse conoscete viene utilizzata in
tantissimi contesti è quel giudizio per cui “fin dove si cominciano a bruciare libri prima poi si finirà anche a
bruciare gli uomini”. Questa frase non ha a che fare con il momento storico in cui nel modo più grave e incisivo
si è proceduto a bruciare libri cioè il nazismo ma risale a un'opera teatrale giovanile di Heine. Questa frase è stata
formulata in tutt'altro contesto ma è parsa così significativa, così intensamente espressiva da potersi adattare a
tanti altri ambiti della storia politica e sociale e quindi è una formazione particolarmente popolare, che si tende
spesso a usare.
Una frase che ci interessa particolarmente a questo proposito con lo scopo di cogliere il livello di elevata
consapevolezza di Heine circa l'idea che si entrando in un'epoca rivoluzionaria completamente nuova, un'epoca
destinata a opporre una profonda cesura rispetto alle tendenze dominanti delle appena precedenti è il giudizio di
Heine per cui: “con la morte di Goethe (1832) in Germania sarebbe definitivamente conclusa quella che Heine
definisce: la Kunstperiode. Kunst = Arte, Periode = Periodo, Kunstperiode = Periodo estetico. Il problema
della lingua tedesca è che il termine è femminile in tedesco ma il suo esatto equivalente in italiano spesso è
maschile infatti non si dice la fine del Kunstperiode ma la fine della Kunstperiode perché è buona regola
adattare il genere al sostantivo tedesco quando lo si trasporta in un contesto italiano. Le parole tedesche,
quando trasportate in una lingua non tedesca mantengono il genere di provenienza e quindi la Kunstperiode.
Heine dice che con la morte di Goethe si è aperta un'epoca nuova cioè l'epoca segnata dalla fine della
Kunstperiode che noi possiamo accettabilmente tradurre come “periodo estetico”. Significa che Heine, sotto
questa dicitura di Kunstperiode raggruppa globalmente, complessivamente tutti i movimenti letterari dell'epoca
precedente, anche movimenti caratterizzati da posizioni tra loro conflittuali, opposte, inconciliabili come
classicismo e romanticismo, perché dalla sua prospettiva, dal suo punto di vista ciò che separa il classicismo e il
romanticismo è in realtà meno significativo di ciò che li unisce, se valutati secondo i criteri, secondo i parametri
che Heine impiega a proposito della letteratura cioè, per quanto classicismo è romanticismo divergessero sul
piano di questioni estetiche e di poetica, dal suo punto di vista, cioè dal punto di vista di chi intende farsi
portatore di una concezione radicalmente rinnovata della letteratura, tanto il classicismo, quanto il romanticismo
erano accomunati dal loro carattere estetico cioè erano accomunati dall’dea che la letteratura debba avere come
finalità innanzitutto la bellezza formale, senza puntare, come invece intende fare Heine, dicendo che da qui
comincia un periodo completamente nuovo, senza puntare al cambiamento della società. Dal punto di vista di
Heine tutto ciò che viene prima del Vormärz è accomunato da un'intenzione fondamentalmente conservatrice,
da un'intenzione repressiva, dal fatto di investire tutte le proprie energie nell'aspetto estetico, nel lato formale
dell'attività artistica, disinteressandosi completamente della capacità della letteratura di contribuire attivamente al
progredimento della società. Noi sappiamo tutto questo è eccessivo, noi sappiamo che questo è un giudizio
ingeneroso nei confronti per esempio del classicismo ma questo non è importante adesso, è importante
sottolineare come Heine fosse portatore di un istinto al rinnovamento totale delle strutture di produzione
letteraria del suo tempo tale da fargli comprendere tutti insieme movimenti anche aspramente divertenti tra loro
come classicismo e romanticismo sotto il segno di un giudizio conservatore, di un atteggiamento repressivo.
Heine liquida in blocco tutto ciò che viene prima di lui perché dal suo punto di vista questi movimenti sarebbero
compromessi, sarebbero inficiati dalla loro incapacità di prevedere un uso sociale per l'arte e per la letteratura.
Heine è nato nel 1797 quindi è anche anagraficamente di una generazione diversa rispetto agli ultimi autori del
quale ci siamo occupati. Nasce quando i giovani autori del romanticismo cominciano a pubblicare e questo
spirito di rinnovamento profondo, questa protesta nei confronti dei movimenti letterari che avevano dominato
sul fronte dei primi decenni dell'Ottocento, si manifesta immediatamente nella prima pubblicazione di Heine che
getta le basi della sua grande notorietà. Si tratta di una raccolta di liriche che si chiama Buch der Lieder ovvero
Libro dei canti del 1827. Sono testi poetici che formalmente riprendono la scrittura del genere prediletto dagli
autori romantici i quali avevano, accanto ai saggi teorici (di cui abbiamo parlato nella lezione di ieri) avevano
scritto soprattutto testi lirici, poesie, la prosa ha nel romanticismo un'importanza decisamente minoritaria
rispetto al valore della lirica come strumento elettivo per l’effusione della soggettività del poeta, secondo
quell'idea sulla quale ci siamo spesso trattenuti per cui nel romanticismo l'accento cade soprattutto sulle capacità
individuali del poeta di sentire potenziato e di esprimere in modo più intenso rispetto a quanto sia così possibile
alla media degli uomini. Questo obiettivo, secondo il romanticismo era massimamente perseguibile attraverso il
genere della lirica. Il romanzo è meno interessante per gli autori del romanticismo. Heine quindi si riallaccia dal
punto di vista formale al genere tipicamente romantico, al genere immediatamente riconoscibile come afferente
a una tradizione illustre, al genere pervaso di prestigio per l'importanza che aveva assunto nella scrittura
romantica ma i contenuti di queste liriche sono tutti bilanciati nella direzione di una parodia della poesia
romantica. Il gesto della ripresa formale viene svuotato di senso e drasticamente invertito attraverso il contenuto
con cui queste forme vengono riempite. Si tratta nella massima parte dei casi di rappresentazioni parossistiche,
parodistiche dell’eccesso di sensibilità che sarebbe proprio del poeta romantico. Sono testi che dal punto di vista
del contenuto mirano a dare una rappresentazione satirica degli stereotipi, dei luoghi comuni della scrittura
romantica, sono adattamenti, riscritture della poesia romantica palesemente pervaso da uno spirito di protesta
nei confronti dello spirito di quelle scritture. L’intenzione satirica del Buch der Lieder viene immediatamente
recepita dai contemporanei, accanto alle riserve che questa pubblicazione suscita nel pubblico più conservatore,
il Buch der Lieder genera anche il consenso entusiastico della nuova generazione che sente di avere a
disposizione l'autore disposto a parlare nel nome di tutti, l'autore disposto a dare forma a un sentimento
condiviso.
Qual è questo sentimento condiviso, questo è il clima generazionale? La protesta nei confronti dell'oppressione,
del dominio, del controllo, della censura (parola chiave) che gravano sulla vita civile in Germania nel periodo
della Restaurazione. Heine è l’autore che da voce al diffuso sentimento della sua generazione che aspira a
scrollarsi di dosso questa cappa claustrofobica che grava sulla vita collettiva in seguito all’asprezza, alla durezza
delle misure repressive messe in atto dal governo asburgico e dal sistema del deutschland Bund.
Pubblicato il Buch der Lieder, Heine si mette al lavoro per l'opera della quale parleremo. Quindi, a seguito di
alcuni viaggi compiuti in varie parti del continente europeo, Heine cominciò a pubblicare sistematicamente
resoconti di questi viaggi in quattro volumi complessivamente, che appaiono tra il 1826 (e quindi il primo è
pubblicato parallelamente rispetto al Buch der Lieder) e il 1831, 4 volumi che appaiono sotto intitolazione
complessiva di Reisebilder. È un composto formato da due parole facilissime, Reise = viaggio, das Bild =
immagini e quindi “immagini di viaggio”; in Italia nella traduzione corrente, viene chiamato “Impressioni di
viaggio” che è una scelta sapiente perché attira subito l'attenzione su una caratteristica fondamentale del testo di
cui si era cominciato a parlare stamattina cioè il contenuto soggettivo della rappresentazione del viaggio.
Difficilmente si potrebbe utilizzare il testo di Heine come guida turistica per accompagnare viaggiatori nelle
località nominate da Heine. Il viaggio non conta tanto per i luoghi visitati, conta per il riflesso che le esperienze
tratte dal viaggio, i luoghi, le conoscenze, l'intreccio di relazioni umane producono nella sensibilità del
viaggiatore, nell'animo del viaggiatore, nella sua psiche. Le impressioni di viaggio non sono il resoconto neutrale
di un itinerario compiuto per finalità di carattere culturale secondo la tradizione alla quale adesso dedicheremo
qualche parola. I Reisebilder sono resoconti non dell'oggetto del viaggio, non del contenuto del viaggio, ma del
modo in cui l'esperienza del viaggio ha modificato la sensibilità, la psiche del viaggiatore. Ciò che il viaggiatore
vede, le relazioni che intreccia contano molto meno rispetto al riflesso che queste esperienze depositano nella
sua psiche, riflesso che trova espressione nel gusto evidentissimo di Heine per la libera associazione, per la
variazione, per l'allusione. La prosa di Heine non ha nulla a che fare con i classici moderni della letteratura di
viaggio, la prosa di Heine corrisponde al ritmo variabile, attivo, imprevedibile dei pensieri che l'esperienza del
viaggio suscita nella sua sensibilità.
Perché faccio riferimento all'esistenza di modelli rispetto ai quali Heine intende marcare con la massima
chiarezza possibile la propria distanza? Viene detto che questa operazione per esempio è palesemente perseguita
con grande successo nel caso del Der Lieder, dove un modello dotato di prestigio consolidato viene soltanto
formalmente assimilato, la ripresa del modello romantico è soltanto una mossa strategica destinata a svuotare di
senso quel modello, a ristrutturarlo nel modo più radicale possibile, a mostrarne la consunzione, a mostrare che
quel modello è ormai inutile e sopravvive soltanto di in forma di reperto, di involucro, di residuo non più
utilizzabile completamente svuotato di senso. Lo stesso tipo di relazione, lo stesso tipo di decostruzione dei
modelli avviene nel caso dei Reisebilder, avviene nel caso della scrittura di viaggio di Heine.
Noi ci occupiamo solo di una piccola parte dei Reisebilder. I Reisebilder comprendono quattro volumi di
dimensioni variabili, ciascuno di questi volumi ospita un certo numero di libri cioè un certo numero di parti; nei
libri compresi in questi quattro volumi, ambientati in Germania, Francia, altri in Inghilterra, ci sono tre libri che
sono ambientati in Italia, che hanno a che fare con un viaggio che effettivamente anche compie in Italia in
questi anni. Allora quindi innanzitutto non è che i Reisebilder sono composti da quattro volumi e che tre di
questi volumi parlano dell’Italia come spesso mi sento dire all'esame. I Reisebilder sono composti da quattro
volumi, ciascuno di questi volumi è a sua volta composto da un certo numero variabile di libri (una decina in
tutto), tre di questi libri hanno come oggetto il viaggio in Italia. Questi libri si intitolano:
1. Il primo dei tre libri italiani compresi nel Reisebilder: Reise von München nach Genua (Viaggio da Monaco
a Genova);
2. Il secondo, del quale ci occuperemo: Die Bäder von Lucca (I bagni di Lucca);
3. Il terzo: Die Stadt Lucca.
Abbiamo detto che Haine trae una strategia di decostruzione dei modelli per dimostrare l'inutilizzabilità, riduce i
modelli a un puro contenitore vuoto.
Qual è il modello al quale Heine non può non guardare, al quale qualunque autore in questo periodo non
potrebbe non guardare, indipendentemente dalle sue finalità, se si pone a scrivere di un viaggio in Italia? Il
modello è il viaggio in Italia di Goethe. Goethe era stato in Italia tra il 1786 e il 1788, era stato un sacco di
tempo, aveva sviluppato un percorso eccentrico rispetto alla tradizione del viaggio in Italia, il quale,
normalmente, non si estendeva, il viaggio in Italia prima di Goethe, se non per poche eccezioni, al sud Italia.
Nella tradizione del viaggio in Italia fino a Goethe i viaggiatori erano soliti fermarsi a Roma e lì piantarsi,
tracciare una linea orizzontale, sotto non si andava perché erano incivili, al sud la gente viveva in condizioni di
barbarie, dove non appena si mette un piede in fallo si viene spogliati di tutto, se si ha la fortuna di ritornare salvi
con la vita o comunque non c'è nulla di interessante da visitare, che bisogno c'è, ci si ferma a Roma e ci si
riempie gli occhi dei resti dell'epoca classica, della grandiosità delle chiese barocche di Roma, Roma è più che
sufficiente per legittimare il viaggio. Le cose però iniziarono a cambiare nella percezione, nella rappresentazione
dell’Italia nella cultura tedesca. Tenete conto che la rappresentazione dell’Italia nella cultura tedesca costituisce
un vastissimo capitolo della storia della cultura tedesca, questo discorso corso si potrebbe tutto legittimamente
fare soltanto concentrandosi sul modo in cui nella cultura tedesca è rappresentata l’Italia e sono rappresentati gli
italiani. L’Italia e gli italiani, nel profilo del disegno generale della cultura tedesca assumono un sacco di funzioni
cruciali, un sacco di funzioni rilevantissime che cambiano a seconda del contesto generale delle relazioni tra Italia
e Germania ma il mito dell’Italia, l’Italia come costruzione culturale, in tanti momenti della storia della cultura
tedesca assumono importanza decisiva, per lo più in funzione di contrasto rispetto alle carente che gli autori
tedeschi avvertano nella propria realtà, nella propria cultura, nel proprio passaggio, L’Italia funge spesso da
alternativa, da antidoto al provincialismo tedesco, al filisteismo tedesco, dall’Italia ci si ripromette in tanti
momenti di storia della cultura tedesca un'esperienza di rigenerazione, di guarigione, di apertura determinata
fondamentalmente da due elementi che sono gli stessi che Goethe cerca nel proprio viaggio in Italia:
1. la sopravvivenza della cultura classica perché i tedeschi non avevano la cultura classica che ha l’Italia,
dovevano arrivare in Italia per guardarla davvero, se non volevano accontentarsi delle riproduzioni grafiche. Che
cosa sarebbe il classicismo senza l'esperienza diretta e concreta, tangibile dell’interesse per l'antichità? Sarebbe
limitato alle riproduzioni grafiche dei capolavori dell'antichità. Non è un caso che nella cultura tedesco il
neoclassicismo nasce come il viaggio che Winkelmann fa in Italia perché sente che i materiali che ha a
disposizione non gli bastano più, gli trasmettono una conoscenza incompleta, parziale, probabilmente neanche
autentica e quindi falsa dello spirito della grecità quindi ha bisogno di venire a vedere, ha bisogno di lavorare con
gli archeologi impegnati nelle campagne di scavo che si stanno diffondendo ovunque nei grandi centri
archeologici dell’Italia meridionale. Goethe ha la stessa necessità, ha bisogno di venire in Italia per alimentare,
per corroborare il suo classicismo con la conoscenza diretta, con l'impressione visiva delle opere figurative
dell'arte classica.
2. Poi, nella cultura tedesca, l’esperienza dell’Italia è associata ad un altro stereotipo chiaro che però come tutti
gli stereotipi è fondato su un dato reale, su un dato di fatto cioè rigenerante per i tedeschi è l’Italia e anche il
contatto con la natura, con il paesaggio italiano, con la luminosità del paesaggio meridionale. Non si tratta
soltanto di un'esperienza fisica, di un'esperienza sensibile; l'esperienza sensibile nell'intensità cromatica del
paesaggio meridionale si condensa poi in una costruzione culturale, in un mito, il mito del paesaggio
meridionale nel quale sopravvivrebbero le divinità esiliate dal triste e nebbioso paesaggio settentrionale, il
paesaggio meridionale è invaso da una luce origine rigenerante, nella quale gli uomini godono di una felice
condizione primitiva, aurorale, un luogo nel quale è possibile aspettarsi una rigenerazione la radicale, una ripresa
di vitalità. Pensate all'importanza che il mito del sud ha nel pensiero in uno dei massimi filosofi della nostra
tradizione occidentale cioè Friedrich Nietzsche in cui l'immagine del sud è di per sé portatrice di una capacità di
guarigione, di redenzione, il paesaggio meridiano si qualifica nel suo pensiero come portatore di ogni possibile
vitalità, è il luogo nel quale è possibile al soggetto abbracciare globalmente la totalità dell'esistenza, e, come
suona una delle più incisive formulazioni nell'opera Così parlò Zarathustra, "dire sì alla vita". Il paesaggio
meridiano è il luogo elettivo del vitalismo nietzschiano, è il luogo nel quale soggetto ha la capacità non solo di
sentirsi vivo ma di sentirsi in una situazione di piena corrispondenza, di pieno accordo con tutto ciò che lo
circonda. E se ci pensate, è di nuovo, sotto altre forme, lo stesso desiderio che avevano Goethe e Schiller
quando avevano patteggiato il ritorno a una condizione di totalità che loro attribuivano, in un’altra forma di
costrizione culturale, all'uomo greco.
Goethe viene in Italia inseguendo queste rappresentazioni mentali, aspettandosi un'esperienza di rinascita, di
rigenerazione a contatto con i resti dell’arte antica, dell’arte greca. Il classicismo tedesco, quando pensa alla
cultura antica pensa quasi sempre alla cultura greca e alla cultura del periodo classico, anche se poi molti di questi
autori non si rendono conto di avere a che fare con copie delle opere d'arte del periodo classico. Lo stesso
Winkelmann ha un'idea parziale della grecità perché senza esserne consapevole si trova a sviluppare i propri
concetti su quelle che in realtà erano copie di età ellenistica o di età romana, Winkelmann non sa che le statue
greche erano in origine colorante e quindi venendole bianche attribuisce al colore bianco un significato estetico
specifico del colore bianco, con la capacità del bianco di occultare i contrasti, di pareggiare le superfici, di
stendere sulle superfici un velo di uniformità e quindi ciò contribuisce all'idea di mariana tipicamente
winkelmaniana che la capacità del classico sia quella di armonizzare i contratti e di risolvere ogni elemento di
contraddizione, di assorbire ogni aspetto della materia nella linearità di una perfetta costruzione di superficie. Se
Winkelmann avesse saputo che in realtà le statue erano colorate, probabilmente certi accenti sarebbero caduti in
modo diverso.
Goethe viene in Italia nel 1786 e 1788 per inseguire questo ideale di rigenerazione, il viaggio in Italia, già
all'epoca di Goethe ha assunto questo carattere di esperienza culturale ad ampio raggio che non aveva alle origini
della tradizione del viaggio in Italia. La pratica del viaggio in Italia nasce nel tardo Cinquecento senza essere
motivato da un interesse particolare nei confronti delle specificità dell’Italia, nasce come esperienza di passaggio
all’età adulta che i giovani delle grandi famiglie aristocratiche europea (richiedeva il possesso di grandi
disponibilità di denaro) compivano una sorta di preparazione ai compiti di agli obblighi che li avrebbero attesi al
loro ritorno. Il viaggio in Italia tra Cinquecento e Seicento non ha una particolare connotazione culturale, è
solamente un rito di transizione dalla spensieratezza giovanile al rigore degli obblighi che a questi giovani
sarebbero stati posti al ritorno in patria. Da questo punto di vista il concetto di viaggio di formazione, fino al
Settecento, non ancora la connotazione culturale che poi assume. Quando assume questa connotazione, perché
diventa da essere un'esperienza di élite, riservata a un nucleo ristrettissimo di privilegiati, quando divenne invece
l'esperienza di carattere culturale ricercata più che da persone ricche dagli intellettuali? Con l'apertura delle grandi
campagne archeologiche all'inizio del Settecento, con l'apertura dei cantieri archeologici che tuttora visitiamo,
perché sull'immagine dell’Italia si imprime con profondità crescente il legame di continuità con la tradizione
classica. Chi vuole avere una rappresentazione tangibile, un'immagine viva e concreta del classico, dell'età greco e
latina ma soprattutto dei greci, deve venire in Italia perché stanno cominciando a venir fuori i resti delle statue
del periodo classico, stanno cominciando a venir fuori le testimonianze dell'esistenza materiale degli antichi, ci si
può fare un'idea non libresca, non astratta ma materiale, concreta, tangibile, si può vedere con i propri occhi
come vivevano i greci e latini, come creavano forme i greci e i latini. Da essere un'esperienza eminentemente
esistenziale, riservata a una ristrettissima élite di privilegiati, all'inizio del Settecento, il viaggio in Italia diventa
un'esperienza di carattere culturale il cui valore formativo viene assimilato, viene assorbito soprattutto dagli
intellettuali. Gli intellettuali di questo periodo sono sempre più di estrazione borghese quindi hanno una
connotazione sociale del viaggio che muta, si sposta dai giovani rampolli delle più importanti famiglie
aristocratiche, vediamo che in Italia iniziano ad arrivare flussi di in viaggiatori borghesi, scrittori intellettuali,
magari a seguito, come precettori, alle dipendenze di ricchi aristocratici che in cambio della loro esistenza gli
sovvenzionano il viaggio e gli danno di che vivere. E.g. È il caso del viaggio in Italia di Herder, che compie il
viaggio un anno dopo Goethe e, non disponendo dei mezzi di Goethe, viene a seguito della famiglia regnante
del ducato di Sassonia, è molto frustrato durante la sua permanenza in Italia per le condizioni nel quale gli tocca
fare questo viaggio, non ha la minima idea di farlo, c'è la moglie che gli manca e vorrebbe tornare a Weimar a
giocare con i figli. Perché? Perché non godeva del proprio tempo, altrimenti si sarebbe divertito, perché il suo
viaggio avveniva alle dipendenze di un mecenate che in cambio richiedeva il compimento di prestazioni
intellettuali, non era libero come Goethe. Invece Goethe era così libero che può permettersi di compiere questo
viaggio, di partire per il viaggio nella notte tra il 3 e il 4 settembre del 1786 senza avvertire nessuno. Di fatto si
sottrae al contatto con il gruppo in compagnia del quale si trovava nella città di Fasward (??) sotto il nome falso,
con un'identità fittizia, intraprende il viaggio da solo sviluppandolo lungo una rotta inconsueta per la tradizione
del viaggio in Italia perché è vero che il giudizio dei confronti dell’Italia meridionale si avviava ad essere
superato, proprio per il desiderio che molti nutrivano di spingersi almeno sino alla Campania per visitare gli scavi
archeologici di quelle località però pochissimi si erano spinti fino alla Sicilia. La Sicilia aveva la fama di posto
meraviglioso dal punto di vista paesaggistico ma troppo arretrato e pericoloso per venirsi a perdere da quelle
parti. Goethe è sicuramente il primo grande intellettuale tedesco che si spinge così a sud. Dopo un primo lungo
soggiorno trascorso a Roma si sosta a Napoli, dopo un mese e mezzo trascorso a Napoli prende una nave per la
Sicilia e va da Palermo a Castellammare, scende verso Castelvetrano e poi risale verso Catania e Taormina e
riparte poi per Napoli. Un altro lungo soggiorno a Roma e poi molto malvolentieri deve ritornare in Germania.
Goethe torna nel 1788 ma non scrive nulla di questo viaggio.
Siamo partiti da una constatazione: chi scrive un viaggio in Italia come fa Heine alla fine degli anni Venti
dell'Ottocento deve misurarsi, per raccoglierlo o per respingerlo, con un modello straordinariamente influente,
ma al ritorno dal viaggio Goethe non pubblica un solo libro delle esperienze pure per lui fondamentali,
rivoluzionarie, fatte in questi due anni trascorsi in Italia. Tenete conto del fatto che nel corso del viaggio aveva
raccolto una enorme quantità di materiali e documenti che sarebbero serviti a costruire a posteriori il viaggio
fatto. Quotidianamente Goethe inviava lettere ai suoi amici di Weimar, periodicamente scriveva relazioni
appannaggio del duca Karl August che avevano lo scopo anche soltanto di far vedere che non era in Italia a
perdere tempo (visto che era pur sempre un ministro della corte di Karlo August). Goethe aveva bisogno del
consenso di Karl August anche non era stato formalmente obbligato a farlo, aveva bisogno del consenso di Karl
August a starsene lì il tempo che voleva.
Perché mette insieme grandi quantità di materiali circa il viaggio in Italia ma non pubblica nulla? L'opera
Italienische Reise (Viaggio in Italia) e che è destinata a influenzare nel modo più pervasivo possibile, a creare
addirittura una certa immagine dell’Italia nella cultura tedesca, appare in realtà soltanto trent'anni dopo la
conclusione del viaggio ed è scritta non tanto sulla base di un ricordo individuale (erano passati trent’anni)
quanto rielaborando gli iscritti dei materiali, delle lettere, dei diari che Goethe aveva collezionato durante il
viaggio.

Perché si decide a pubblicare quest'opera a trent'anni di distanza dai fatti che vengono descritti?

IL LIBRO DI MERKERER VA USATO A SOSTEGNO DI QUANT DEL PROGRAMMA è STATO


FATTO A LEZIONE. CIò CHE C’è SUL MERKERER MA NNO è STATO AFFRONTANTO A
LEZIONE NON VA STUDIATO. Ciò CHE C’è SUL PROGRAMMA MA HE NNO è STATO
AFFRONTATO A LEZIONE NNO VA STUDIATO.

Perché Goethe nel 1807 arriva all'idea di pubblicare i viaggi in Italia? Perché gli serve per costruire un'immagine
dell’Italia contrapposta, antitetica rispetto all'immagine dell’Italia che stava prendendo corpo all'interno del
movimento letterario a cui Goethe in questo periodo si oppone con il massimo rigore possibile. Il romanticismo
aveva elaborato un'immagine dell’Italia tutta connotata in senso religioso, conformemente agli interessi del
romanticismo, tutta sbilanciata nei confronti della direzione di una certa immagine mistica dell’Italia, ambientata
chiaramente nelle epoche maggiormente pervase da una connotazione di questo tipo. L'immagine dell’Italia
sviluppata dagli autori del romanticismo è un’Italia cattolica di epoca medievale, il paese delle grandi cattedrali, il
paese percorso da figure di santi, mistici, eremiti, oppure il paese punteggiato dalla magnificenza delle chiese
barocche. È un paese privo degli aspetti ai quali Goethe era più sensibile cioè i resti dell'epoca classica, la
linearità formale delle statue greche, la visibilità, la purezza, la trasparenza del paesaggio meridionale. Era
un’Italia mistica, un’Italia religiosa, un’’Italia avvolta da fumi d'incenso, la più vicina possibile al gusto romantico
e siccome, Goethe ormai è rimasto solo (Schiller è molto dalle da dieci anni), e scivola sempre più ai margini del
campo letterario tedesco, viene venerato come grande classico vivente ma dietro la venerazione si cela sempre il
disinteresse, in genere il venerato non viene mai veramente ascoltato, Goethe veniva sì venerato come
monumento vivente ma la sua influenza reale nei confronti del capo letterario nel quale operava diventava
sempre meno significativa, si rimpiccioliva sempre di più. Con un viaggio in Italia tenta un'ultima sortita: prova a
contrapporre all'immagine dell’Italia sviluppata dai romantici un'immagine completamente alternativa, del tutto
opposta, tutta basata sul riferimento al mondo antico e di fatto l'operazione, seppure non ferma l'avanzata del
movimento romantico che resta, almeno fino alla metà del degli anni 20, il movimento maggioritario nel campo
letterario tedesco, riesce nella misura in cui stabilisce definitivamente, codifica in modo insuperabile immagine
corrente dell’Italia nella cultura tedesca. Anche a livello di cultura di massa la popolarità dell’Italia presso il
pubblico mediamente colto tedesco è sempre associata a Goethe. Non c'è alcun tedesco che nel momento in cui
viene in Italia nel pianificare il proprio viaggio non s'immagini come un novello Goethe pronto a rigenerarsi a
contatto con la vitalità di cui dovrebbe essere intrisa l’Italia soprattutto meridionale. Noi siamo sempre dal punto
di vista dei tedeschi quegli individui animati da una vivacità che si esprime anche nell'incontrollata gestualità della
quale siamo pervasi, siamo sempre abbandonati al gioco delle nostre passioni e naturalmente, nelle accezioni più
degradate di questa rappresentazione culturale, siamo quelli che godono come in una nuova età dell’oro ai
tavolini del bar, nelle piazze dei paesi del sole che ci rende superflua la fatica del vivere per cercare fonti di
sostentamento perché abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno quindi passiamo la nostra giornata a bere
caffè e a giocare a carte. Sul piano delle rappresentazioni di massa e quindi sul piano delle rappresentazioni a
basso indice di focalizzazione, l'immagine media dell’Italia meridionale in Germania è questa, così come ne
siamo responsabili di stereotipi nei confronti dei tedeschi. Sono stereotipi, sono ovviamente stereotipi, il termine
tecnico per questo genere di cose è rappresentazioni immagologiche, rappresentazioni codificate che operano
sul piano della cultura di massa, delle quali Goethe non è responsabile, però la diffusione così capillare, la
popolarità del testo di Goethe contribuisce alla fissazione di queste immagini. Quando Heine in pensa a
pubblicare viaggio in Italia sono passati dieci anni dalla pubblicazione dell’opera di Goethe però l'opera di
Goethe ha subito riscosso tale popolarità da diventare un canone della rappresentazione dell’Italia nella cultura
tedesca. Ricordo che la rappresentazione dell’Italia di Goethe sta nel segno di due elementi: la natura e quindi
il paesaggio meridiano, il sogno del sud come fantasia di rigenerazione e di guarigione dalla tristezza e dal
grigiore, grigiore innanzitutto intellettuale data la ristrettezza e dal filisteismo della vita sociale così come Goethe
la percepisce in Germania e il rapporto che Goethe vede come vivente, Goethe ci vede davvero come nuovi
greci, ci vede davvero come magno-greci, ha davvero la tentazione di avere a che fare con i pronipoti, cosa che
noi sicuramente stiamo ma per lui la cosa è particolarmente significativa perché su quel tipo di rappresentazioni
lui stava lavorando in quel periodo. Se la sua ambizione è ricreare quella felice condizione aurea dell'uomo greco
bisogna sicuramente vedere come questo spirito originario si incarna nei pronipoti di quegli uomini felici. La
rappresentazione dell’Italia di Goethe sta nel segno di questi due termini e quindi le conseguenze le potete
facilmente cavare da soli. Heine ha bisogno di ribaltare questa immagine dell’Italia, Heine ha bisogno di
vedere altre cose, Heine ha bisogno di un modello alternativo rispetto a quello goethiano. In effetti, non soltanto
Heine taglia completamente fuori dal proprio itinerario di viaggio nella sua rappresentazione letteraria le
zone più connotate nel senso del paesaggio e nel senso del rapporto con la grecità. Heine si ferma in Toscana, la
rappresentazione del viaggio si ferma in Toscana e non comprende l’Italia meridionale, si ferma in una zona
non così lontana per alcuni aspetti della Germania stessa dalla quale proviene e comunque non così
incomparabilmente lontana da quella che sarebbe stata quella dell’Italia meridionale. Soprattutto, a parte questa è
una circostanza contingente, quello che più conta è che a Heine dell’Italia interessano altri aspetti rispetto a
quelli valorizzati da Goethe: conformemente all'idea di Heine che la letteratura sia uno strumento al servizio del
cambiamento sociale, a Heine dell’Italia interessano gli italiani, interessa la vita sociale dell’Italia, interessano i
costumi, le pratiche sociali, la vita civile, interessa come viene gestito il potere, interessano gli italiani che invece,
per i motivi che abbiamo già detto, erano i grandi assenti nel viaggio di Goethe. Il primo italiano di cui viene
fatto il nome nel viaggio in Italia di Goethe, il primo individuo in carne ed ossa in un viaggio che altrimenti
sembra fatto in condizioni di totale cecità nei confronti degli esseri umani, degli italiani, Goethe lo nomina a
Napoli; è stato nell’Italia settentrionale, è stato a Roma, a Napoli ci imbattiamo nel viaggio in Italia, dopo
centinaia di pagine, nel primo individuo completamente qualificato come tale, non a caso un grande intellettuale,
uno dei grandi filosofi dell'illuminismo napoletano che Gaetano Filangieri. È chiaro che Goethe voleva avere a
che fare solo con persone della sua altezza. A Heine invece interessano le concrete produzioni di vita del popolo
italiano. Perché? Non soltanto perché questo tema è più vicino alla sua concezione di letteratura, c'è anche
un’aspetto di carattere strategico, c'è una motivazione che ha a che fare non soltanto con gli aspetti generali
della sua concezione di letteratura ma anche con aspetti specifici della sua identità, della sua attività di letterato.
Ricordate cosa abbiamo detto a proposito del contesto nel quale doveva operare Heine in Germania? Chiusura,
limitazioni, proibizioni, divieti di pubblicazione. Heine per esempio è uno degli intellettuali che personalmente è
oggetto di un provvedimento censura nel 1835, quando Heine sarà già da tempo nell'esilio parigino. Ci sarà nel
1835 un provvedimento che lo colpirà emanando il divieto di pubblicazione di alcuni autori (facendone nome e
cognome nel provvedimento stesso) in un atto di una gravità estrema, questi autori non possono più pubblicare
un libro, uno di questi sarà Heine che però si era già messo al riparo da questi provvedimenti perché era andato
a vivere a Parigi. E allora, in una situazione del genere, parlare della vita civile dell’Italia, rappresentare gli aspetti
materiali legati alla vita sociale degli italiani significa, per il lettore accorto, per il lettore capaci di capire, (i lettori
di Heine certamente lo erano), per il lettore in possesso delle necessarie informazioni per codificare il senso
nascosto della scrittura di Heine, significa parlare in modo cifrato della Germania, stigmatizzare i problemi
sociali dell’Italia, identificare le condizioni che contribuiscono all'arretratezza civile degli italiani, perché questa è
la diagnosi che Heine fa dell’Italia, di un paese arretrato, attardato, un paese compromesso nel suo sviluppo
sociale dal potere di alcuni soggetti, di alcune istituzioni responsabili del ritardo sociale dell’Italia e cioè
l'aristocrazia, la nobiltà ma soprattutto la Chiesa cattolica che è oggetto di un'enorme quantità di
rappresentazioni satiriche da parte di Heine. Indicare le cause del ritardo civile degli italiani significa, per i
lettori capaci di leggere fra le righe, indicare le cause del ritardo civile della Germania. Heine parla dell’Italia
perché non può parlare esplicitamente la Germania ma al lettore tedesco di Heine è del tutto chiaro nel
momento in cui Heine prende di mira gli abusi della nobiltà italiana, prende di mira il ritardo di sviluppo, il
ritardo di consapevolezza civile della borghesia italiana, che Heine stia parlando dell'arretratezza
dell'aristocrazia tedesca, della situazione di ristagno e di paralisi nella quale langue la borghesia tedesca. Parlare
dell’Italia, parlare della società italiana, da un lato soddisfa il requisito, la richiesta di senso che Heine pone
alla letteratura cioè che parli delle condizioni reali dell'individuo in carne ed ossa, dall'altro costituisce un
formidabile strumento per esprimersi in modo cifrato e quindi senza il corredo di reticenze alle quali sarebbe
stato obbligato se avesse parlato della Germania, di esprimersi sulla situazione tedesca. Tutto ciò che Heine
imputa alla società italiana in termini di ritardo e di ristagno, di mancato sviluppo, di arretratezza, può
essere interamente adattato alla situazione tedesca, è una strategia per parlare liberamente di ciò che più
interessa. In fondo cosa dovrebbe importare a Heine della situazione italiana? È chiaro che la situazione italiana
serve da filtro per parlare in modo nascosto, filtrato, occulto, non sufficientemente chiaro di ciò che più sta a
cuore ovvero parlare della situazione sociale della Germania.
Concludo dicendo che se il modello che Heine respinge è quello goethiano, sia nei contenuti che abbiamo detto
sia nelle forme, perché il viaggio in Italia di Goethe è tutto basato sulla neutralità del narratore, il narratore
scompare dietro la bellezza della natura, il viaggio in Italia di Goethe è un viaggio che nella costruzione del
racconto è quasi del tutto impersonale perché ciò che conta non è la posizione soggettiva del narratore-
viaggiatore, ciò che conta è l'incisività di ciò che si dispone davanti agli occhi, ciò che conta è la forza visuale
dell'esperienza, in primo piano stanno gli oggetti del paesaggio, in primo piano stanno le opere d’arte. Una
conferma viene dal fatto che Goethe non parla minimamente delle relazioni sociali che pure avrà intrecciato nel
corso di due anni. È noto che Goethe, non c'era posto nel quale andasse dove non fosse circondato da persone,
era un uomo straordinariamente socievole e felice. Quando costruisce quel testo la sua posizione personale, la
sua prospettiva individuale sparisce perché il primo piano c'è l'impatto, la forza, l’energia, l'incisività con cui
quegli oggetti si imprimono sul suo occhio. La prosa del viaggio in Italia di Goethe è perfettamente paragonabile
a una cinepresa che si sposta a velocità uniforme sul paesaggio e azzera la posizione di chi ha in mano la
cinepresa. Noi vediamo solo il paesaggio e non sappiamo nulla di chi c'è dietro quella telecamera. In Heine
invece il racconto è tutto basato sull'umore, finanche sul capriccio, sullo stato d'animo del viaggiatore per cui il
l'esperienza concreta delle cose viste, dei paesaggi sperimentati, delle persone incontrate, passa decisamente in
secondo piano rispetto al riflesso che queste esperienze hanno prodotto nella psiche del viaggiatore. In primo
piano c'è la sua sensibilità, la sua disponibilità interagire nel modo più efficace possibile con tutto ciò che accade,
il modello non è più quello goethiano, il modello è quello del cosiddetto viaggio sentimentale che probabilmente
conoscete da altre culture, il modello più famoso è quello dell'opera intitolata “Viaggio sentimentale” o
“Sentimental journey” di un autore eccentrico, anticlassico, inclassificabile dal punto di vista dell'appartenenza a
un genere o movimento letterario in particolare cioè il grande autore inglese della seconda metà del Settecento
ovvero Laurence Sterne, in cui vedete che il viaggio è veramente soltanto un pretesto occasionale, non porta
nulla delle esperienze realmente fatte durante il viaggio, non porta nulla delle cose viste, degli oggetti incontrati
durante l'esperienza del viaggio, conta l'esperienza del viaggio come motore per l'accensione della capacità
associativa della fantasia e dell'immaginazione di chi compie il viaggio. Il viaggio è solo un pretesto, al centro
della rappresentazione del viaggio del modello del sentimental journey, del viaggio sentimentale, c'è la risposta
del viaggiatore agli stimoli provenienti dall'esterno e questa risposta viene perlopiù organizzata secondo modalità
bizzarre, capricciose, basate sul piacere dell'associazione, dell'improvvisa accensione di idee, il racconto del
viaggio in Sterne non segue una logica coordinata, razionale, la conoscenza del paesaggio non è che l'innesco del
gusto del narratore di associare a quella esperienza iniziale una catena potenzialmente illimitata di pensieri, di
immaginazioni, di associazioni. Heine ha formulato una definizione per questa forma di costruzione del
racconto basato sul piacere, sul piacere combinatorio, sulla capacità di associare nel modo più libero,
anarchico, disordinato capriccioso i dati dell'esperienza reale, ha definito questa tecnica di costruzione:
Zusammengewürfelte.
Zusammengewürfelte. Der Lap = lo straccio. Un insieme di stracci, un'opera fatta di stracci, un composto di
stracci. C'è un'espressione corrente molto simile in inglese: patchwork cioè un composto eterogeneo formato da
componenti diversi. Non soltanto i componenti sono diversi ma sono anche Zusammengewürfelte. Zusammen
= insieme, würfelte = lanciare i dadi cioè è un'opera risultato del montaggio di parti eterogenee messi insieme a
caso, non secondo un disegno prestabilito, non secondo una logica riconoscibile ma secondo il capriccio del
momento, obbedendo all'ispirazione dell'istante, per puro capriccio, per puro gusto della variazione.
Zusammengewürfelte = lanciare i dadi a caso. Lappenwerk è il risultato del montaggio di parti eterogenee, che
non devono stare necessariamente insieme e queste parti sono anche Zusammengewürfelte cioè sono gettate a
caso.
Che cosa legittima questa procedura? Qual è l'unico elemento di stabilità in questa combinazione imprevedibile
di elementi disordinati? La personalità di chi li tiene insieme, la sensibilità del soggetto narratore. In Goethe tutto
è sbilanciato sull'esterno, sulla realtà sull'oggetto della rappresentazione, in Heine è tutto sbilanciato sulla
prospettiva di chi rappresenta, sul suo gusto, tutte tenute insieme secondo un unico principio: il piacere che il
narratore prova nel tenere insieme materiali eterogenei e nel montarli secondo l'esigenza del momento.
Cultura Ted. 2018-05-14
Argomento: i Bagni di Lucca

C'è un motivo per cui ad Heine interessa l'Italia fuori dalla prospettiva che caratterizzava il viaggio in Italia di
Goethe perché riferimento all'Italia gli serve per potersi esprimere in modo sufficientemente differenziato sulla
questione tedesca in modo da sfuggire alle limitazioni della censura che in questo periodo, fine degli anni Venti,
esercita una grossa funzione di freno, di blocco, di ostacolo nei confronti della libertà civile in generale e in
particolare nella la libertà di espressione. Però rispetto al modello italiano di Goethe, Heine si differenzia non
soltanto per i temi, (per Goethe solo natura e arte cioè paesaggio meridionale e sopravvivenza dell'arte classica in
Italia, mentre a Heine interessano le condizioni di esistenza del popolo italiano interessa la società italiana
soprattutto dal punto di vista dei suoi aspetti di arretratezza di mancato sviluppo ma rispetto al modello di
Goethe, quello di Heine si differenzia per le scelte stilistiche. Un aspetto che marca con grande chiarezza la
differenza rispetto al modello goethiano è che in Heine c'è un tasso di finzionalità e invenzione molto più
elevato che in Goethe, in cui al centro del rapporto del viaggio italiano c’è fondamentalmente la capacità del
viaggiatore di lasciarsi formare dalla forza delle esperienze fatte, di lasciarsi educare dallo spettacolo naturale e
dalla conoscenza delle opere d'arte dell'antichità, quello di Goethe era grande esperimento su se stesso, è uno
sforzo costante, crescente, mai interrotto di quasi due anni di autoeducazione, è un'esperienza che riguarda
fondamentalmente il singolo individuo, il viaggiatore che si lascia plasmare, si lascia formare dall'incontro con
una dimensione completamente nuova e quindi fondamentalmente i due poli che sono alla base sono lui stesso
che si rappresenta nella verità delle esperienze fatte e rassicura costantemente il lettore sul fatto che non sta
inventando nulla, quelle esperienze le ha fatte davvero e all'altro polo del viaggiatore l'oggetto della sua visione,
l'oggetto della sua percezione finisce per escludere altri individui e quando parla di altri individui lo fa in modo
stereotipato. Goethe parla di se stesso e dice che si interessa quindi del paesaggio italiano e dell'arte, non c'è
spazio per nient'altro perché sono questi due poli che permettono a Goethe di sviluppare il racconto del viaggio
come una grande esperienza di autoformazione l'individuo che supera i limiti della sua condizione precedente al
viaggio e attraverso l'incontro con una dimensione nuova, ascende a una dimensione nuova della sua vita
interiore. Goethe è chiarissimo sul fatto che il viaggio in Italia indipendentemente dalla forza dell'esperienza,
infatti è un'esperienza solitaria, è l'esperienza che lo coinvolge in prima persona, è rigenerazione personale.
Heine invece più che il proprio personale interesse, è il rapporto diretto sensibile tangibile con alcuni livelli
materiali dell'esperienza del viaggio e della condizione di dell'italianità il racconto del viaggio ha un tasso di
invenzione livello di funzionalità molto più elevato che in Goethe dove invece è praticamente assente. i Bagni di
Lucca sono in minima parte il referto delle esperienze di viaggio effettivamente compiute dall'autore sono
perlopiù una storia di finzione con personaggi che afferiscono palesemente ad una sfera letteraria romanzesca
non sono personaggi rispetto ai quali Heine si sforza di accumulare testimonianze circa la loro effettiva realtà, la
verità di quello che racconta. Ad Heine non interessa la verità documentaria del viaggio, Heine opera secondo la
prospettiva di quel modello settecentesco di letteratura di viaggio che abbiamo definito Viaggio Sentimentale.
Non gli interessa assicurare il lettore riguardo la singolare realtà effettiva di ciò che racconta, gli interessa
utilizzare gli oggetti, le persone, le esperienze maturate dal viaggio in Italia come pretesti per il libero sviluppo
della propria capacità di immaginazione. Questo significa che i Bagni di Lucca, il secondo dei tre libri, di fatto si
attestano come livello intermedio tra il resoconto realistico del viaggio e la finzione vera e propria. I personaggi
hanno sicuramente dei modelli reali che la filologia heiniana ha ricostruito nei loro dettagli biografici ma sono
evidentemente prima di tutto dei personaggi di finzione, dei personaggi romanzeschi. Il primo individuo
completamente irriconoscibile nel viaggio in Italia di Goethe è un famoso filosofo del 700, è un individuo reale
nel quale lettore può riconoscere immediatamente la effettiva esistenza. Ciò non toglie però che attraverso il
carattere di questi personaggi, attraverso le vicende che caratterizzano questi personaggi, Heine intenda
palesemente sviluppare un discorso che ha a che fare con la storia. Sono personaggi di finzione, ma anche al
colmo della loro finzionalità non viene meno la loro capacità di cogliere aspetti reali della società del tempo,
secondo l'obiettivo fondamentale che Heine persegue. Sempre che alla base della sua concezione lui guida il
lettore a una comprensione più profonda della situazione sociale e delle relazioni che si sviluppano tra gli uomini
della società reale dell'epoca in cui Heine scrive. Mi riferisco in particolare ai due personaggi principali dei Bagni
di Lucca, che presentano un interesse ulteriore perché sono descritti come tedeschi e questo è particolarmente
significativo tenendo conto della quantità di riducenze alle quali Heine era tenuto per parlare liberamente dalla
Germania senza essere censurato. Questi personaggi sono due tedeschi in Italia, cioè il marchese di Gumpel, che
è il protagonista dei Bagni di Lucca. E’ un nome volutamente costruito stigmatizzando un personaggio
grottesco. Già nel nome nel titolo nobiliare è chiaramente satirico, e l'effetto satirico del personaggio viene
potenziato dal fatto che il personaggio non è mai da solo ma è accompagnato dal servitore secondo le tipiche
modalità della nobiltà per cui il personaggio principale è sempre accompagnato e rispecchiato in modo distorto
dal personaggio di condizione più umile, in una posizione servile rispetto al personaggio principale che ha la
funzione di scoprire gli aspetti ridicoli e di stigmatizzare in modo chiaramente riconoscibile in aspetti grotteschi
del loro padrone. È la tipica funzione del racconto della commedia settecentesca la cui origine deriva dalla
commedia popolare. L'accompagnatore, il personaggio che ha la funzione di attirare l'attenzione del lettore sugli
aspetti grotteschi e comici del Marchese di Gumpel si chiama Giacinto. E’ evidente la ascendenza letteraria di
questa coppia comica, cioè quella di Don Chisciotte e Sancho Panza, romanzo di Cervantes. Il marchese
Gumpelino non è effettivamente un Marchese, è un ricco speculatore, un imprenditore che nel clima di crescita
economica degli anni 20 ha accumulato, grazie a delle avventurose fortunate speculazioni, una grande fortuna, ed
è quello che si definisce un Parvenue (arricchito), un personaggio che in circostanze torbide, non del tutto chiare
e in tempi molto rapidi ha messo insieme una grande fortuna è diventato molto ricco grazie a fortunate
speculazioni intercettate in circostanze fortunate e ha messo insieme in poco tempo una grande quantità di
denaro. Tipico della convinzione del Parvenue è il divario tra la forza economica e la debolezza della sua
condizione sociale e culturale. Il Parvenue è si ricchissimo e sì straordinariamente forte dal punto di vista
finanziario, ma è costantemente avvelenato dalla sensazione che alla sua forza economica non corrisponda un
prestigio sociale. È molto ricco ma non gode di ciò che la sociologia della cultura definisce capitale simbolico, ha
un elevata quantità di capitale finanziario ma la sua condizione sociale è precaria, non è stabile, non è solida, ha
fatto fortuna in troppo poco tempo per essere credibile dal punto di vista della legittimazione sociale, gli altri lo
guardano con disprezzo e con sospetto. E’ ricco perché ha saputo approfittare di circostanze particolarmente
favorevoli, ma parallelamente al suo capitale finanziario non ha avuto lo stesso capitale simbolico, è privo cioè di
tutti quei contrassegni immateriali simbolici destinati a legittimarlo dal punto di vista sociale. E’ solo ricco ma
non viene riconosciuto in alcuna forma di prestigio, meno che mai dal punto di vista culturale. E’ ricco ma
debole e instabile, non può contare su un riconoscimento universale nè può contare sulla approvazione generale
è soltanto ricco. E allora che fa? Cerca di mettere insieme dei segni, il capitale simbolico destinato ad accrescere
il livello della sua legittimazione sociale. Gli altri vedono chiaramente che si tratta di un personaggio la cui forza
economica non sta in alcun rapporto con altri aspetti della sua personalità e quindi il contesto in quale opera e
l'ambiente non gli riconosce un grado elevato di legittimazione sociale e allora cerca di conquistarsi da se questa
legittimazione ma lo fa in un modo che non è in rapporto con la sua vera identità: fa un viaggio in Italia perché
nei codici della società del tempo, nei codici della cultura del Settecento il viaggio in Italia è una esperienza
destinata accrescere il prestigio culturale di chi compie questa esperienza. Il viaggio in Italia è un'esperienza
destinata ad aumentare il capitale simbolico di chi lo compie. Sono cambiate le categorie alla base del viaggio in
Italia del 700, il viaggio in Italia non è più un esperienza a vantaggio esclusivo delle famiglie aristocratiche, il
viaggio in Italia è diventato un'esperienza di maturazione per gli intellettuali quali vengono nei luoghi nei quali
sono certi di poter trovare delle fonti ancora operanti, delle testimonianze riconoscibili del periodo classico. È
evidente che questo obiettivo non gli importa minimamente, fa il viaggio in Italia perché la società del suo
tempo attribuisce al viaggio in Italia una elevata capacità simbolica perché chi fa il viaggio in Italia, chi compie il
viaggio in Italia si legittima come intellettuale. C'è una scena in cui due appaiono in una impegnati in un'attività a
prima vista incomprensibile cioè Gumpelino ha ordinato a Giacinto di disseminare il pavimento di strani segni
incomprensibili e quando il narratore gli chiede di cosa si tratta c'è Giacinto che dice ‘’questo disgraziato del mio
padrone mi sta obbligando a leggere e imparare degli schemi metrici, a imparare gli schemi metrici della poesia
classica ma a me non me ne importa niente della poesia classica solo che il mio padrone Gumpelino ritiene che
sia al giorno d'oggi necessario conoscere queste cose per essere prestigiosi presi sul serio in società.’’. Heine
stigmatizza l'uso strumentale della cultura del prestigio associato alla cultura, da una certa classe sociale. Questo è
il punto su cui i rappresentanti della vicenda, leggera e apparentemente priva di qualsiasi implicazione in realtà,
rappresenta in trasparenza alcuni fenomeni propri della situazione della Germania di questo tempo pur senza
rappresentarli direttamente. Il suo viaggio in Italia è un'esperienza dalla quale spiritualmente è lontanissimo ma
di cui ha bisogno per potersi elevare ad un ad un titolo nobiliare. Solo che le esperienze italiane non stanno in
alcuna relazione con la propria identità, costituiscono un abito superficiale, un involucro destinato a occultare il
vuoto spirituale del personaggio, destinato a mascherare la condizione di insignificanza spirituale che caratterizza
il personaggio nella sua identità reale, è un travestimento che Gumpelino indossa per mascherare il suo deficit
identitario, per accreditarsi come un individuo dotato di alcune caratteristiche di forza, di prestigio e di
eccellenza necessarie a incrementare la sua legittimazione sociale. Attraverso la rappresentazione di questo
personaggio, e attraverso soprattutto la stigmatizzazione attraverso il ridicolo che cade su questo personaggio, il
rapporto con Giacinto Heine sta stigmatizzando un fenomeno di grande portata della società tedesca destinato a
determinare la storia del 700, cioè il progressivo distacco all'interno della stessa classe sociale della borghesia tra
un segmento della borghesia tutto volto all'accumulo al profitto al investimento capitalistico e successo sociale,
ovvero la borghesia industriale che porrà le basi dello sviluppo economico e industriale della Germania a partire
dalla metà dell'800 con la massima intensità con la nascita del Secondo Reich nel 1971 e sull'altro versante in
posizione sempre più critica rispetto a questi sviluppi la cosiddetta borghesia intellettuale, die
Bildungsburgertum. A partire dagli anni 20 dell'800 quello che era stato un rapporto sociale compatto che
abbiamo visto prima nel Settecento, comincia a scindersi, si creano le condizioni per il progressivo superamento
di quella condizione di mancato sviluppo di arretratezza sociale della Germania, si creano le condizioni perché
una parte della borghesia possa incrementare i propri profitti attraverso lo sviluppo dell'impresa capitalistica.
Questo sviluppo però, questi fenomeni di modernizzazione della Germania e l'industrializzazione vengono
accompagnati da una considerazione da parte degli intellettuali, provenienti dalla stessa classe sociale industriale,
sempre più critica, sempre più negativa. La borghesia intellettuale sviluppa nel corso dell'800 giudizi sempre più
radicalmente negativi nei confronti dei grandi fenomeni di modernizzazione che interessano la società tedesca
nel suo complesso, intellettuali tedeschi globalmente considerati pur provenendo nella massima parte dei casi
dalla stessa classe sociale che sta svolgendo questa attività di modernizzazione della Germania, l'atteggiamento di
ostinato rifiuto, di esuberante inimicizia, di classica condanna nei confronti di questi fenomeni è
quell’orientamento tipico della cultura tedesca a partire dalla prima metà dell'800 che si definisce Kulturkritisch
o Zivilisationkritisch, atteggiamento di condanna nei confronti della modernità. Tutto ciò che caratterizza e
accompagna lo sviluppo industriale della Germania e le trasformazioni sociali legate a questi sviluppi, processi
sociali che accompagnano queste dinamiche, vengono respinte in toto, vengono giudicate queste trasformazioni
come espressione di perdita culturale, come espressioni di corruzione e di impoverimento spirituale.

Una società che ancora alla fine del 700 presentava un rapporto sostanzialmente omogeneo si inasprisce per i
fenomeni di modernizzazione e comincia a percorrere due vie separate, si scindono due correnti: una borghesia
sostanzialmente disinteressata, e una borghesia indifferente dal punto di vista culturale con l'obiettivo pratico di
migliorare la propria condizione economica e sociale di accumulare quantità di crescente denaro e incrementare
una logica capitalistica dei propri profitti e che si congeda dalle grandi categorie dell'illuminismo settecentesco.
Ciò che conta è investire la massima parte delle proprie energie per migliorare le proprie condizioni e di
accumulare denaro. Al contrario c'è una borghesia intellettuale che si vede sempre più ai margini di queste
dinamiche, capisce di poter sempre meno influenzare la sfera sociale e come reazione alla progressiva perdita di
peso alla progressiva perdita di influenza assume nei confronti dei fenomeni sociali della propria epoca una
posizione di condanna, una posizione di rifiuto tipica del Bildungsburgertum. Gli intellettuali anche nel 700
avevano ritenuto possibile orientare i processi sociali, condizionare gli altri processi di trasformazione politica ed
economica, ma a partire dagli anni 20 dell'800, quando questi processi cominciano a compiersi davvero e
porteranno quindi alla nascita del Secondo Reich, gli intellettuali cominciano a fare conto col fatto che questi
processi seguono una logica indifferente dalla loro influenza di guidare e di orientare di condizionare questi
processi, cominciano ad accorgersi chiaramente del fatto che possono operare in un ambito simbolico e non
materiale perché tutto ciò che accade nella prassi non è orientabile, non si presta a essere guidato dagli
intellettuali. Gli intellettuali possono suggerire delle ipotesi più complesse di modernizzazione ma ciò che accade
veramente nella società, le trasformazioni materiali, seguono un percorso indipendente dagli schemi dei modelli
delle visioni degli intellettuali. Noi abbiamo nell’asprezza con la quale Heine mette in ridicolo Gumpelino è
un'espressione molto chiara del divario che comincia a formarsi a questa altezza della cultura tedesca tra la
borghesia intellettuale e la borghesia capitalistica, gli attori del Movimento Sociale che sono dei grandi industriali.
Heine stigmatizza Gumpelino come un personaggio privo di reale legittimazione sociale, un personaggio
apparentemente ricco e forte dal punto di vista finanziario, ma privo d'identità perché sostanzialmente per Heine
l'identità, la dimensione dell'essere umano ha che fare con la sfera identitaria e non con la quantità di beni in
possesso degli individui. Heine aveva liquidato tutti gli intellettuali della generazione precedente come dei
sognatori privi di impatto con la realtà, ma in realtà ha molto più in comune con loro nella sua pretesa che gli
intellettuali siano una specie di depositari della massima dignità umana possibile sul piano dello spirito perché il
possesso materiale insiste ad una dimensione bassa ad una dimensione primitiva rispetto alla sfera del possesso
spirituale. Parallelamente alla ridicolizzazione di Gumpelino nei Bagni di Lucca, Heine si esprime in termini
analoghi dal punto di vista della sicurezza poetica della crudeltà satirica nei confronti di una persona reale e
l'intellettuale è molto famoso della Germania degli anni 20 dell'800 e dell'oggetto dell'ultimo capitolo dei Bagni
di Lucca (la cui estensione corrisponde quasi all'estensione complessiva dei primi 12 capitoli dei Bagni di Lucca
che sono da questo punto di vista asimmetrici). Quest'ultimo capitolo è incentrato su uno degli episodi più
famosi e famigerati nella storia della cultura tedesca dell'800 nel quale Heine si dedica alla sistematica distruzione
di un poeta letterato, tuttora discretamente conosciuto soprattutto per certe liriche che sono entrate nella vita
tedesca dell'800, che si chiama August Von Platen. L'ultimo capitolo è una resa dei conti di questo August.
Heine ricorre a un argomento destinato, soprattutto per come si è cresciuta la sensibilità su questi aspetti dalla
seconda metà del Novecento, all’omosessualità. Questo capito è costellato di allusioni maliziose a questo
aspetto della personalità di August anche se ad Heine non interessa mettere in luce questo aspetto privato del
suo avversario ma interessa mettere in rilievo il valore sintomatico del personaggio, significato simbolico di
Platen prima ancora di colpirlo come individuo dotato di determinate caratteristiche. Heine intende prendere di
mira attraverso la discussione satirica, quella tendenza generale della società europea tedesca in particolare, più
che il caso singolo che gli interessa molto relativamente, ad Heine interessa mettere in luce una tendenza
generale della sua epoca. Resa dei conti con Platen sono preceduti da episodi che s'incentrano principalmente su
uno scambio di colpi che si incentravano sugli attacchi di Platen ad Heine, su un altro aspetto che nella società
dell'800 faceva di Heine una persona assai vulnerabile: era un ebreo convertito fondamentalmente per ricavarne
un vantaggio personale ovvero per annullare la situazione di svantaggio collegata all'identità ebraica. E’
stigmatizzato prima per le sue condizioni della nascita, ovvero il fatto che sia ebreo e secondo per la sua
condizione politica. Emarginato ed espulso, è un intellettuale che porta costantemente lo stigma della sua
diversità a tutti i livelli della sua esistenza. Heine si era convertito e lo aveva fatto ammettendo che questa
conversione era un provvedimento strategico effettuato per limitare i danni dell'antisemitismo dell'Europa
dell'800 legati all'identità ebraica. Su questi aspetti Platen aveva mosso nei suoi confronti delle accuse e anche
nei confronti di un altro scrittore vicino a Heine dal punto di vista culturale. Heine nel capitolo finale dei Bagni
di Lucca reagisce con una mossa uguale e contraria riversando su Platen tutti gli stereotipi collegati alla
stigmatizzazione dell'omosessualità, un'accusa che per i pregiudizi della cultura del tempo era tale da equilibrare i
danni legati alla condizione di ebreo. Ci sono delle pagine bellissime di una delle più grandi intellettuali del 900,
Hannah Arendt sui grandi concetti stigmatizzati della cultura europea, si è espressa nella cultura europea sugli
aspetti di contraddizione e sulle ubiquità mai superate come l’essere ebreo o omosessuale che sono condizioni
che hanno sempre esposto l’individuo ad una privazione di diritti. L’efficacia della scrittura di Heine è comunque
indubbia. Platen è significativo di una certa tendenza.

Gumpelino è invaghito di un'italiana solo che questa donna è guardata a vista dai suoi parenti e ha un
gelosissimo fratello che si incarica di custodire la purezza della sorella, impedendole di incontrarsi con
Gumpelino. Gumpelino disperato e tristissimo, in particolare perché questa donna il giorno dopo partirà e
quindi questa sera non riesce ad incontrarlo, perché avevano una piccola speranza di incontrarsi ma il fratello se
ne è accorto e quindi l'ha chiusa in casa. Arriva il delegato dell'autore, il narrante e dice ‘’Ma dai non ti
preoccupare non stare così male conosco io un metodo sicuro che guarisce ogni sofferenza, fatti una bella purga
e vedrai come guarderai il mondo in modi diversi e di questa donna non ti importerà nulla’’, e Gumpelino dice
fantastica idea, perché non ci ho pensato prima’’. Solo che nei minuti che trascorrono tra l'inizio di
quest'operazione è l’inizio dell'effetto di quest'operazione, un cameriere porta notizia che proprio in quella sera
invece la donna è riuscita a liberarsi e che quindi potevano incontrarsi immediatamente presso il luogo
concordato. Potete immaginare la disperazione di Gumpelino che non può seguire l'invito della donna, quindi
completa l'effetto del clistere e si rinchiude precipitosamente in bagno. Non trovando un mezzo per pulirsi dagli
effetti di quest'operazione, prende il primo libro che trova, strappando le pagine di alcune poesie di Platen e lo
utilizza. Questa è la situazione in cui il narratore comincia a distaccarsi dalla situazione iniziale e quindi a
riversare tutto su Platen, utilizzando l'argomento dell'omosessualità come facile strumento di delegittimazione
dell'avversario che ha a che fare con il valore sintomatico che Heine attribuisce a Platen, perfettamente parallelo
rispetto a quello che era stato attribuito a Gumpelino. Anche Gumpelino è sistematizzato ma prima ancora di
essere stigmatizzato, viene stigmatizzato come caso emblematico, come esponente di una tendenza di carattere
generale, stigmatizzato non tanto per quello che fa in prima persona persona, ma perchè quello che fa in prima
persona corrisponde ad un fenomeno di portata generale nella società di un tempo: la divaricazione tra due
diverse segmenti della borghesia destinate a trovarsi in una situazione di conflitto crescente. Qual è il valore
sintomatico di Platen? E’ un autore tra i più significativi del secondo Romanticismo, scrive liriche con gusto
notturno, fiabesco e un lessico fortemente spiritualizzato, secondo le consuetudini proprie del secondo
Romanticismo e quindi già solo per questo era tale da suscitare la diffidenza e il disprezzo di Heine. Heine dice
che Platen dal punto di vista della scrittura e delle sue competenze stilistiche della sua abilità formale, è un autore
irreprensibile, privo di aspetti discutibili, un autore contro il quale non si può dire nulla perchè oggettivamente
scrive bene. Solo che, dice Heine, alla base di questa bella scrittura non c'è alcun profondo contenuto spirituale:
Platen, dice Heine, è un artigiano straordinariamente abile nella versificazione e nel mestiere della scrittura ma le
sue poesie non sono che una vuota esercitazione retorica, le sue poesie sono testi meramente calligrafici
perfettamente equilibrati dal punto di vista formale ma sono in realtà privi di qualunque contenuto spirituale.
Platen è straordinariamente abile dal punto di vista tecnico ma è un autore vuoto privo di contenuto reale non
ha cioè alcuna autentica ispirazione, è soltanto straordinariamente abile dal punto di vista tecnico, sa comporre
testi perfetti nell'ottica della loro configurazione formale, ma questi testi sono un velo disteso sulla nullità
sull'inconsistenza del loro contenuto. E perché allora, dice Heine, un autore privo di spiritualità si ostina a
scrivere opere pur essendo così chiaramente privo di ispirazione realmente profonda? Si ostina a scrivere opere
e poesie e pubblica in modo instancabile perché sente che la classe sociale nella quale appartiene e la classe della
aristocrazia rurale, una nobiltà intermedia feudale non solidissima dal punto di vista della sua collocazione
sociale, che per quanto possa contare ancora per ricchezza e privilegi, è visibilmente destinata ad impoverirsi ad
uscire dalla storia. Per Platen, dice Heine, scrivere poesie è per opporre alla perdita di forze sociali della sua
classe, una forma di compensazione del prestigio dal punto di vista materiale, la legittimazione che sente di
perdere dal punto di vista della sua collocazione sociale perché appartiene ad una classe destinata ad essere
travolta dalla modernità. Platen cerca di surrogare, di compensare, affermandosi come poeta. E’ la stessa identica
cosa che era stata rimproverata a Gumpelino, un uso strumentale della cultura pur non nutrendo alcuna reale
vocazione, dice Heine, nei confronti della propria dignità poetica, pur non essendo dotato di alcuna autentica
ispirazione, Platen si ostina a scrivere per accreditarsi come intellettuale, nel porre rimedio attraverso questo alla
perdita di peso della sua classe sociale. Più sente venir meno le basi della propria legittimazione sociale, più sente
l’indebolirsi l'ancoramento della propria classe sociale, più ricorre ad attività alternative, a fonti alternative di
legittimazione, cerca di recuperare di compensare il deficit di legittimazione che investe la sua classe dal punto di
vista della collocazione sociale nella Germania del tempo, dal punto di vista intellettuale culturale fa la stessa
cosa che faceva Gumpelino. Gumpelino era di finzione, lui era reale ma sono due personaggi che sentono di
trovarsi in una crisi di senso, che sentono di essere investiti da un deficit identitario e da una mancanza di
legittimazione. Perché sente che la società di cui fa parte la piccola aristocrazia di campagna è sì sufficientemente
forte per non temere di trovarsi nell'indigenza, ma non così forte da non essere globalmente travolta dalle
trasformazioni radicali che investiranno la Germania nei decenni successivi. E’ una classe dove i singoli
esponenti sono persone privilegiate, ma come classe nel suo complesso è una classe destinata ad uscire dallo
scenario della storia, è una classe destinata a non esercitare alcuna influenza sulle trasformazioni che già stanno
investendo la società tedesca, una classe perdente destinata a ritrovarsi ai margini e a soffrire una perdita
d'influenza. Platen è consapevole di appartenere a questa classe ma vuole recuperare su un altro piano, sul piano
simbolico, sul piano immateriale, sul piano del trattare simbolico cerca di recuperare su questo piano quello che
ha perso sul piano del capitale reale. I due personaggi partono da posizioni opposte: Gumpelino alto grado di
capitale reale e minimo grado di capitale simbolico, e Platen minimo grado di capitale reale, cerca di
compensarlo qualificandosi come poeta. I giudizi di Heine non hanno scalfito la posizione di Platen nella
letteratura tedesca perché ciò che interessa non è il metro di giudizio di Heine su Platen, ciò che interessa del
capitolo conclusivo di Bagni di Lucca è il fatto che argomentando a proposito di Platen, Heine impegna un caso
esemplare, attribuisce a Platen un valore importante sintomatico di un'intera classe sociale, in cui prova a
compensare deficit sociali incrementando il proprio capitale simbolico 🡪 l'uso strumentale della cultura.
Cultura Ted. 2018-05-15 MATTINA
Argomento:

Nel 700 e 800 la borghesia inizia il suo accrescimento del potere materiale, cominciando cosi ad avere spazi piu
estesi e azione politica che favoriscono le attività economiche e controllate e sviluppate dalla borghesia e viene
meno cosi quell’unita che nel 700 era rimasta inalterata tra gli intellettuali e la loro classe sociale. Difatti gli
intellettuali tedeschi del 700 in poi sono solo borghesi e appoggiano cosi il destino materiale della borghesia, le
richieste di spazi piu ampi di azione politica della loro classe sociale. Quest’unità viene però meno a partire dagli
anni 20-30 dell’800. La borghesia assume un doppio volto, dal quale si distaccano due segmenti, due strade
separate e non conciliabili: gli intellettuali che fino alla fine di 700 avevano introdotto elementi culturali,
paradigmi mentali utili a sostenere le imprese politiche della borghesia e che poi passano però sul fronte di
contestazione e di critica su ciò che accade sul piano sociale economico della loro epoca; mentre, la borghesia
che puo realmente dedicarsi alle attività per cui è predisposta, si distacca dai modelli culturali che ancora fino al
700 ne avevano sostenuto la scesa e concentra tutte le sue energie sull’obbiettivo economico per la crescita delle
attività, dei profitti ( e dunque la borghesia capitalistica), si distacca da quei modelli di ragione illuministica, la
fiducia in uno sviluppo delle esigenze non soltanto dei privilegiati, ma anche dei meno abbienti e dei loro valori
umani, indipendentemente dalla loro identità sociale. Questi ideali perdono però la loro funzione propulsiva nel
corso dell’800, la borghesia industriale si concentra in modo sempre piu netto sul perseguimento dei propri
obbiettivi materiali, ovvero quelli che nel 1871 conducono alla costruzione del 2 Reich, il recupero di quel
ritardo dello sviluppo economico che aveva caratterizzato la situazione economica in tutto il 700.

1815-1848: EPOCA DELLA RESTAURAZIONE

Il 1848 è l’anno in cui vengono avviate azioni di protesta nei confronti dei governi assolutistici, vengono
avanzate richieste per l’estensione dei diritti e riconoscimento delle libertà costituzionali. Il 1848 è l’ultimo
momento in Germania in cui gli intellettuali provano ad esercitare un’influenza diretta sulla situazione politica
del loro tempo; la rivoluzione del 1848 è di breve durata a causa dei suoi fondamenti biologici e l’impossibilità di
azione materiale e dunque brevemente fallisce e questo fallimento per la Germania ha un’importanza
fondamentale, in quanto è l’ultimo momento in cui gli intellettuali si illudono di poter esercitare un’influenza
diretta sulle vicende sociali e politiche del loro tempo. Tale rivoluzione del 1848 è sostenuta in modo esplicito
dai maggiori intellettuali dell’epoca che vedono una possibilità di partecipazione diretta alla politica in accordo
con la concezione politica militante della letteratura dell’arte che aveva caratterizzato gli autori del Vormerz. Per
Heine stesso la letteratura è uno strumento destinato a trasformare completamente la realtà, a risolvere gli aspetti
di inequità che abitano la vita di quel tempo.

Gli intellettuali del 1848 in Germania si rinchiudono nella proverbiale “torre d’avorio”, elusi dal mancato
adempimento delle loro aspettative e speranze si ritirano dalla partecipazione attività sociale del loro tempo.
E’importante sottolineare la differenza del Wiedermaier(1815-1848) gli intellettuali si astenevano dalla presa di
posizione, dalla vita sociale e politica del loro tempo, e poiché farlo sarebbe stato pericoloso visto le misure
censorie che gravavano sull’attività degli intellettuali limitandone fortemente il lavoro, loro preferivano ripiegarsi
su temi privi di implicazioni politica. La strada intrapresa degli intellettuali del 1848 è diversa, in quanto costoro
assumono una posizione critica, di contestazione nei confronti dei sviluppi delle vicende sociali e politiche. Fino
al 1848 gli intellettuali avevano collaborato con le richieste politiche, partecipando in modo solidale ai destini e
interessi della loro classe. Solo dopo il fallimento della rivoluzione gli intellettuali assumano una protezione di
rifiuto nei confronti delle vicende sociali borghesi.

1848 è il momento in cui gli intellettuali smettono globalmente di partecipare alla vita sociale e intendono la loro
posizione come per lo piu destinata all’esercizio di una critica nei confronti della società. E’ un paradigma che
vale per tutto il 900, anche l’intellettuale della società del tempo del capitalismo avanzato critica, puntando il dito
contro gli aspetti di inequità contro le ingiustizie, suggerisce modelli alternativi. Il fallimento della rivoluzione
segna il crollo di tutte le speranze nutrite nei 100 anni precedenti, da questo momento in poi anziche contribuire
attivamente al destino della loro classe sociale, diventano i piu feroci critici di quello che la borghesia
industriale/capitalista realizza sul piano materiale, critici del progresso.

1848(fallimento della rivoluzione borghese)-1871: NASCITA DEL 2 REICH


A partire dalla metà dell’800 questo si può ritenere il piu grande evento nella storia della cultura tedesca, che
caratterizza tutta la storia dell’Occidente nel corso dell’800. Nel momento successivo rispetto al 1848, nell’altro
momento fondamentale per la storia della Germania, nel 1871, poco piu di 20 anni dopo la posizione degli
intellettuali rispetto alle vicende sociali del tempo si è completamente complicata;

in quest’anno gli intellettuali sono completamente in posizione di contestazione.

A seguito di alcune circostanze di natura materiale e che dunque non hanno nulla a che fare con i modelli
culturali elaborati dagli intellettuali si arriva alla fondazione del primo stato nazionale nella storia dei territori
tedeschi del cosiddetto Deutches Kaiser Reich, che nella storiografia italiana si traduce con la dicitura 2 Reich.
Questo 2 Reich , 18 Gennaio 1871, Salone degli specchi del palazzo reale di Versailles; Versailles perché
l’unificazione della Germania è immediatamente preceduta da due guerre che impegnano il piu importante degli
stati tedeschi, cioe la Prussia, forza necessaria per avviare il processo di unificazione, per catalizzare gli altri stati
tedeschi impegnandoli nell’unificazione, che negli anni precedenti al 1871 vince due guerre fondamentali nel
1866, la guerra con l’Austria (battaglia di Konnesberg), 1870-1871 vince la guerra franco-prussiana, che
confluiscono alla Germania una vittoria epocale nella battaglia di Sedann, questa vittoria conduce nel gennaio
successivo (18 gennaio 1871) due conseguenze: un trattato di pace con la Francia di brevissima durata, dato il
continuo risorgere di conflitti tra Francia e Germania sino alla prima e seconda guerra mondiale, ma soprattutto
la costituzione dello stato tedesco. Il luogo in cui avviene (il palazzo reale di Versailles) ha un forte significato
simbolico, in quanto la Prussia lancia un forte segnale al mondo occidentale, proclamando forza del territorio
tedesco dato appunto l’atto del firmare la costituzione dello stato tedesco nel cuore della potenza nemica. La
potenza del nuovo stato, si ricorda che si basa su strutture culturali di vecchissima data, che risalivano alla
tradizione settecentesca, la Germania giovane nazione la piu giovane tra gli stati, dotata di una giovane potenza,
ancora fresca in modo da imporre la sovranità su tutti gli altri stati che poi nel 900 porterà al 3 Reich, che
eserciterà questa presunta legittimità sugli altri stati provocando svariate morti di milioni di persone, per
soddisfare questa sedicente legittimità di esercitare il dominio sugli altri.

Questo processo di unificazione è il risultato si della grande potenza che era la Prussia, ma anche di capitali
finanziari messi a disposizione dal capitalismo tedesco. La Prussia non dispone quindi unicamente della forza
militare necessaria per abbattere gli stati piu potenti dello scacchiere geopolitico europeo (Austria e Francia), ma
dispone anche del denaro, di capitali da intraprendere un’impresa colossale come la fondazione dello stato
tedesco. Da questo scenario, da questo sistema di relazioni e di cause, gli intellettuali sono completamente
spariti. La nascita dello stato non ha nulla a che fare con la generosa attività di elaborazione degli intellettuali, ma
è esclusivamente il frutto di cause materiali che hanno a che fare col potere, dell’egemonia, della sovranità di uno
stato che ha la capacità di riunire gli altri stati e formarne un assetto principale. La forza di questo esercito si basa
anche e soprattutto sulla forza dell’economia, di capitali messi a disposizione dal capitalismo prussiano, che dalla
nascita dello stato può ricavare un ulteriore incremento dei propri profitti, un miglioramento delle condizioni
necessarie allo svolgimento delle proprie attività.

1871(2 Reich, 1 stato unitario)-1914(scoppio della prima guerra mondiale):ETA’ GUGLIELMINA

Questo periodo è caratterizzato da un lungo regno da parte del successore del primo imperatore tedesco,
Guglielmo II che nel 1888 dopo un breve inter regno da parte di un imperatore irreversibilmente malato,
Guglielmo II prende il potere, viene nominato re e lo mantiene sino alla conclusione della 1° guerra mondiale.

Il 1888 viene considerato l’anno dei tre imperatori: muore il primo re, muore il secondo re l’imperatore malato e
prende potere Gugliemo II che resta in periodo per parecchio tempo e incide profondamente sulla situazione
culturale politica sociale della Germania, appunto si può definire sotto il segno di questo personaggio, come età
guglielmina (Wilelminishe Zeit) che si conclude nel 1918 a seguito della sconfitta della Germania nella 1° guerra
mondiale. La sconfitta della Germania provocherà delle conseguenze di risarcimenti di carattere economico, ma
la conseguenza maggiore è l’abdicazione e l’esilio del re Guglielmo II che muteranno la forma di governo, l
assetto costituzionale passerà dalla monarchia al fragile assetto repubblicano con la nascita della repubblica di
Weimar (DIVERSO DAL CLASSICISMO DI WEIMAR), sino al 1933, quando prenderà piede il regime
nazista. In questo momento di profonda cristi politica e culturale, i costituenti della Repubblica si rivolgono al
modello della cultura classica, al classismo di Weimar, che appare come riferimento culturale. Col venir meno di
sostegni materiali, la Germania si rivolge a cio che appariva come riferimento stabile, solido, duraturo. La
Repubblica di Weimar si chiama cosi perche la costituzione viene emanata nella città di Weimar, ma tale
repubblica ha breve durata ed è indebolita da fragilità strutturali e in tal mondo non riesce per permettere un
efficace governo di uno stato, termina poi nel 30 Gennaio del 1933. Data capitale, che prima aveva visto un
forte indebolimento dello stato tedesco e un continuo aumento dei consensi per i partiti di destra. Tale
debolezza viene poi in quello stesso anno (1933) superata con l’affidamento delle responsabilità politiche al
partito di maggioranza ovvero il partito nazionale socialista del nuovo cancelliere Adolf Hitler.

1933-1945:2° GUERRA MONDIALE E PARTITO NAZISTA

Periodo storico sebbene breve, intensamente dominato da eventi come la 2° guerra mondiale, l’ascesa di Hitler,
la Shoah (il genocidio proclamato dal governo nazista). Per tale periodo non esiste una definizione storiografica,
ma nella storiografia italiana viene accettata la suggestiva etichetta DODICENNIO NERO, ma con una
singolare confusione cromatica tra storia italiana e tedesca, in quanto il colore delle divise naziste non è il nero
(colore delle divise fasciste), ma il marrone (colore sempre associato a sensazioni di pericolo per i tedeschi).

Tutte queste trasformazioni avvengono ad un ritmo accelerato, superiore rispetto a quanto accade negli altri stati
che avevano incominciato molto prima il loro sviluppo economico, che avevano potuto distendere i fenomeni di
modernizzazione in un tempo piu ampio. Il fatto che la Germania in poco tempo recuperi in breve periodo di
tempo un lungo ritardo accumulato nei decenni, conferisce a queste trasformazioni un carattere di
esasperazione, di violenza, che li rende di fatto insostenibili per una larga parte della popolazione, un trauma
sociale e politico, in quanto in poco tempo cambia radicalmente lo stato sociale, con un ritmo innaturalmente
rapido. A partire dalla metà degli anni 70 si sviluppano e si consolidano, ad un ritmo accelerato, ma in particolare
nel cuore industriale della Germania, strutture industriali moderne all’altezza dello sviluppo tecnologico prive di
una struttura urbana che collochi le masse di lavoratori che convergono entro queste strutture. La struttura
portante dell’industria tedesca è noto con il termine “bacino della Ruhr”. Piccoli villaggi vengono potenziati per
ospitare questa enorme quantità di lavoratori.

La conseguenza di tutto ciò è la trasformazione radicale del tessuto economico del paese, non soltanto perche si
passa da una economia incentrata sull’agricoltura ad un’economia di tipo industriale, ma anche perche gli operai
impiegati nelle industrie provengono dalla campagna e che prima della svolta industriale della Germania avevano
costituito l’ossatura dell’economia della Germania. L’azione di enormi masse che vedono improvvisamente
mutare il proprio destino e devono rapidamente adattarsi a questi nuovi ritmi e necessità e tutto ciò determina
una trasformazione profonda nella composizione sociale del paese. Lo svuotamento delle campagne e la nascita
di un’enorme quantità di centri urbani, determina anche un cambiamento traumatico nella cultura del paese.
Conseguenza fondamentale è una fortissima polarizzazione della società tedesca che si divide in un gruppo
ristrettissimo di industriali che controllano la massima parte la forma di produzione economica e una enorme
quantità di masse sfruttate, costrette a modificare le proprie abitudini, i propri ritmi di vita, sottoposti a regimi di
sfruttamento disumano di un sistema industriale non regolato, privi di qualunque potere nell’esercizio del loro
lavoro, caratterizzato dalla continua ricerca del massimo profitto possibile. Nasce cosi la classe del proletariato
urbano, masse di ingenti privi di tutto ai quali viene messo a disposizione unicamente il necessario per lavorare,
contribuendo all’accumulo del profitto capitalistico che va a vantaggio di un piccolissimo gruppo di privilegiati.
E’ questa la ferita piu profondo impressa nella Germania dell’età guglielmina. Questa epoca va anche sotto il
nome Grunder Zeit (GRUNDER=fondatori; “l’epoca della fondazione).

L’età guglielmina sta sotto il segno di due grandi correnti:

-PRIMA META’ DELL’OTTOCENTO, tendenza comune europea di lunga durata, IL REALISMO (uno dei
grandi autori è Heine stesso). Il Realismo è una costellazione enormemente ampia e per identificarlo meglio (to
be continued..)
Cultura Ted. 2018-05-15 POMERIGGIO
Argomento:

È una definizione usata per definire il periodo della grande modernizzazione verso cui gli intellettuali reagiscono
con critica e negazione. La posizione degli intellettuali in questo frangente non si esprime con l'astensione dalla
partecipazione alla vita politica ma si esprime con l'assunzione di un giudizio di critica realtà nei confronti delle
espressioni del moderno. La circostanza è alla base di un tipico paradosso della cultura tedesca cioè quando
all'inizio del Novecento proprio in Germania prenderanno piede movimenti letterari e culturali a una
trasformazione rivoluzionaria delle tecniche espressive (l'espressionismo) e proprio gli intellettuali e scrittori più
radicali dal punto di vista delle scelte linguistiche e delle soluzioni espressive delle forme stilistiche gli artisti che
noi siamo soliti associare a quel rinnovamento profondo che avviene nel campo dell'estetica a inizio del 900,
proprio costoro saranno sul piano ideologico (cioè quando dall'ambito delle estetica si sposteranno all'ambito
della storia quando si esprimeranno sulle trasformazioni del loro tempo) saranno dal punto di vista ideologico
dei conservatori con un giudizio radicalmente distruttivo nei confronti delle espressioni del moderno perché il
moderno nell'ambito della società della storia apparirà loro quasi sempre una contestazione di inciviltà di
mancato progresso, di corruzione perciò ciò che è moderno nell'ambito dell'estetica è quasi sempre
accompagnato da posizioni regressive conservatrici sul piano ideologico.

Abbiamo detto fondamentalmente che ci sono due movimenti realismo e naturalismo. Il realismo in realtà
rappresenta una singola frazione cronologicamente definita all'interno di un più ampio bacino delle correnti
realistiche e coincide con un po' tutta la letteratura dell'800 in tutta Europa, ad esempio il realismo in Francia che
occupa tutto il secolo. Con le vicende relative alla nascita dello stato e alla modernizzazione della Germania il
realismo tedesco entra in una fase nuova assumendo un carattere ulteriore, che ritiene che non si parla più in
modo differenziato di realismo si parla in realtà di realismo Borghese. Ciò che caratterizza gli autori del realismo
Borghese è la loro posizione nei confronti della modernizzazione della Germania è che riservano i loro giudizi
critici la condanna del moderno. Tutto ciò nei romanzi del realismo non viene espresso attraverso una
rappresentazione diretta obiettiva di questi cambiamenti sociali, non c'è un resoconto lineare e dettagliato.
Vengono rappresentate vicende attinenti all'ambito della grande storia ma essi vengono espressi attraverso la
rappresentazione di vicende private, di qui il termine borghese, non che vengono rappresentati i personaggi
afferenti alla classe Borghese perché le vicende presentate nei romanzi del realismo non sono ambientate nella
sfera della borghesia o nella sfera economica ma i grandi temi della storia presente sono comunque rappresentati
in modo riconoscibile al lettore, solo che sono rappresentati in modo immediato allusivo simbolico attraverso la
traccia che questi fatti della grande storia collettiva lasciano nella psiche degli uomini nella loro vita individuale.
Il giudizio di questi autori non lo cogliamo attraverso la rappresentazione diretta di questi cambiamenti, non si
parla mai in romanzi del realismo di fatti attinenti alla sfera politica, ad esempio non si rappresenta direttamente
la nascita dello Stato non si parla esplicitamente di politica ma si rappresentano vicende di individui
apparentemente lontani dallo scenario della grande storia, solo che è evidente che il modo di pensare il modo di
agire le scelte condotte il sistema delle relazioni di questi individui implicati sono palesemente influenzati dei
grandi cambiamenti in atto sul piano della storia collettiva. Propria del realismo, la rappresentazione della storia
collettiva non in termini espliciti ma attraverso il riflesso che questi processi e queste trasformazioni lasciano
nella vita privata degli individui. Il romanzo più importante del realismo Borghese in Germania è Effi Briest,
1895. Contiene un giudizio chiarissimo trasparente sulle vicende legate alla vita dello Stato, legate alla
modernizzazione della Germania, giudizio di segno prevalentemente critico, solo che queste costellazioni e la
sfera pubblica non vengono esplicitamente rappresentate perché se lo si considera sul piano dell'intreccio questo
non è che un banale romanzo dedicato alla nascita e al fallimento di un matrimonio che si basava su fondamento
troppo fragile per reggere alle prove a cui l'esistenza sottopone prima o poi tutti quanti. In 300 pagine non si
parla d'altro che del prodursi inizialmente di grandi speranze e grandi aspettative da parte della protagonista e
poi un progressivo e celere consumarsi di queste illusioni di fronte e alla prosa banale della vita quotidiana. Una
storia di tradimenti scoperta a qualche anno di distanza dal marito, la protagonista inserita in un sistema così
fortemente maschilista come quello della Germania nel fine 800 è un tipico destino da reietta stigmatizzata dalla
disapprovazione e dell'ostilità. Che cosa questa storia ha in comune con le grandi questioni? Apparentemente
nulla se non fosse che in certi momenti chiave della storia i personaggi assumono le loro decisioni perché anche
non essendone consapevoli il loro modo di pensare, il loro modo di agire, il loro modo di stare al mondo e di
costruire relazioni reciproche è chiaramente influenzato dalle strutture mentali e culturali dominanti nel loro
ambiente e già questo contiene un giudizio palesemente negativo perché rappresenta individui non liberi che
senza averne avere il minimo sospetto prendono decisioni, agiscono, avviano rapporti gli uni con gli altri
applicando passivamente i paradigmi mentali egemoni del loro tempo. Sono convinti di agire in piena libertà,
sono convinti di essere del tutto autonomi nelle loro scelte ma in realtà si trovano senza rendersene conto ad
applicare passivamente i codici culturali dominanti nell'epoca nella quale si trovano a operare cioè la Germania
Guglielmina. Effi che viene data in sposa a 16 anni dai genitori in una costellazione tra l'altro abbastanza
bizzarra, perché la madre trova il modo di farla sposare con un suo vecchio corteggiatore (della madre) molto
più grande di lei, di brillante carriera ma non innamorato di Effi, ma lo fa solo per completare a una certa età il
quadro della sua rispettabilità sociale, ovvero prendersi una moglie che viene da una buona famiglia. Cosa che
effettivamente accade, peccato che manchi il fondamento sentimentale in questo amore che non tarda a
sgretolarsi anche per effetto della giovane età di Effi. Effi però è convinta di essere innamorata di lui, si trova ad
essere vittima delle aspettative che la sua famiglia proietta su di lei, perché la famiglia appartiene ad una classe
sociale (come Gumpelino) a una piccola aristocrazia rurale che sente chiaramente cadere il terreno su cui mette
piede, nel clima della modernizzazione della Germania. In questo periodo sente chiaramente di avviarsi ai
margini della storia e di scivolare in una posizione di crescente insignificanza sul piano sociale e allora la famiglia
prova a riscattare questa fragilità nella sua collocazione sociale, impegnando la figlia in un matrimonio
conveniente. Effi si trova ad applicare passivamente un codice culturale che prevedeva che il matrimonio non
avesse nulla a che fare con le aspettative affettive ma fosse sostanzialmente una operazione destinata a garantire
a chi la compie stabilità sociale e sicurezza economica senza essere minimamente consapevole di questo
ingranaggio. Il romanzo mostra come queste strutture mentali siano talmente pervasivi, esercitano un'influenza
così profonda sul destino dell'individuo da non essere nemmeno riconoscibili, cioè sono ovunque pervadono in
modo incisivo e intensissimo la vita degli individui e anche la vita degli individui che per la loro collocazione
sociale. In fondo la famiglia Briest non la nessun problema economico si tratta palesemente di individui avviati
ad assumere una posizione marginale sul piano del sistema delle forze della società di un tempo, ma sono
comunque individui colti e a loro agio con grandi questioni della cultura del tempo (si discute vivacemente di
arte e scoperte scientifiche), ma sono privi degli strumenti per riconoscere il condizionamento delle loro azioni
eppure questi codici sono così pervasivi da esercitare il pieno dominio sulla capacità decisionale di questi
individui. Effi viene sacrificata dalle aspettative di promozione sociale. Quando a distanza di tanti anni viene
fuori la storia di questo antico tradimento non consumato, (secondo la tradizione della letteratura di fine 800 in
cui si fantastica tradimenti molto più di quanto si è disposti a coglierli), quando a 7 anni di distanza per una
sfortunata coincidenza il marito viene a conoscenza di questo vaneggiato tradimento, a cui Effi aveva ceduto
anni prima, il primo pensiero del marito è quello di sorvolare per il bene del matrimonio (anche perché perché
alla fine erano venute fuori queste lettere che testimoniavano che il tradimento si basava più su una fantasia).
Oltretutto il marito ha la consapevolezza abbastanza chiara del fatto che il loro non era un matrimonio felice e
che Effi aveva sacrificato le sue aspettative dedicando tutta se stessa a questo matrimonio così disuguale. Però è
turbato da quello che ha scoperto decide di andare un suo amico, raccontargli la storia e chiedergli un consiglio.
Questo suo amico è del tutto d'accordo con lui, essendo un uomo disincantato gli dice: ‘’ma si lascia perdere ma
stai scherzando adesso devi avvelenarti l'esistenza per una storia che non ha lasciato nessuna conseguenza che si
è svolta in un passato così lontano, conta il presente’’ ,gli dice l’amico, ‘’Anzi potresti perfino prendere spunto da
questa scoperta perché magari proprio la scoperta di quando la tua moglie non era felice del matrimonio
potrebbe spingervi a bilanciare il vostro matrimonio etc.’’. Gli fa un discorso di pieno consenso e lui gli da
ragione, ma poiché è andato a raccontagli questa storia, anche se lui è sicuramente la persona più discreta, il puro
e semplice fatto però che lui abbia raccontato a un altro individuo questa storia rende questa storia non più
privata la rende pubblica, del tutto indipendentemente dalla tua personale discrezione, la rende pubblica e
dunque mi obbliga ad agire nel modo in cui la società si aspetta che io agisca. In una circostanza del genere,
marito che scopre il tradimento, come deve agire secondo le prescrizioni del codice morale d'onore per cui
contano più le convinzioni individuali?Per la letteratura tedesca di fine 800 è una questione bruciante perché la
società tedesca di fine 800 è intrisa di militarismo prussiano, uno spirito tutto teso a dare l'immagine virile della
società nella quale i diritti delle donne sono delle trascurabili questioni marginali. Domina il codice d'onore per
cui gli individui di carattere maschile debbano sobbalzare appena abbiano la più lontana sensazione che qualche
zona del loro umore possa essere messa a rischio dal mancato rispetto dall'offesa di altri individui sempre di
sesso maschile. Quindi cosa fa il marito con questa straordinaria motivazione? Deve corrispondere ad
un'aspettativa, deve subordinare se stesso e la propria libertà individuale ad un codice culturale. Fontane non
rappresenta direttamente l'ostilità del tempo, ne rappresenta i codici culturali tanto pervasivi a cui anche gli
individui potenzialmente liberi anche gli individui per se stessi dotati della capacità di decidere in piena
autonomia il proprio destino finiscono per subordinarsi. Fontane non rappresenta direttamente gli avvenimenti
sociali, ma ne rappresenta il risvolto culturale, rappresenta il modo in cui le grandi dinamiche e la vita sociale
incidono sulla vita individuale e spirituale dei personaggi rappresentati in un modo mediato e allusivo ma
straordinariamente potente, di rappresentare la forza dei cambiamenti sociali perché rappresenta questi
cambiamenti come così violenti e così profondamente incisivi da impossessarsi del libero arbitrio. Tutti gli
individui di Fontane non sono liberi perché si ritrovano alla fine ad applicare in modo del tutto passivo anche
quando non ne hanno il minimo sospetto, circa una circostanza del genere, le strutture mentali egemoni nella
società.
Il naturalismo persegue la strategia inversa per cui si rappresentano direttamente le grandi questioni sociali. Lo
fa sviluppando delle strategie di rappresentazione letteraria completamente diverse rispetto al realismo
prediligendo non a caso un genere letterario, quale il dramma adatto a rappresentare in modo più immediato ed
esplicito, visivamente percepibile da parte degli spettatori, l'intreccio. Il teatro presuppone la presenza viva
diretta immediata del destinatario, il testo teatrale sprigiona la propria capacità di senso nella rappresentazione
diretta nel teatro. I naturalisti prediligono la forma drammatica convinti così di poter più facilmente raggiungere
il proprio scopo di comunicare in modo rapido il loro punto di vista sulle questioni sociali del tempo agli
spettatori, convinti così anche di poter esercitare un'influenza sugli spettatori perché evidentemente un testo
teatrale agisce in modo più veloce e più diretto su proprio destinatario rispetto a un romanzo che magari
contiene aspetti più profondi ma influenza in un arco di tempo più lungo e richiede forme di interpretazioni più
profonde. I naturalisti proprio perché intendono prendere posizioni in modo militante, sulle questioni del loro
tempo non ricorrono alla mediazione di vicende private domestiche che apparentemente non hanno nessun
legame diretto con i grandi questioni sociali del tempo e dall'altro cercano di farlo mettendo in scena queste
vicende attraverso un medium nel quale si ripromettono un'influenza diretta e più forte sul pubblico al quale
intendono rivolgersi. Nominiamo un'opera canonica naturalista ovvero I Tessitori, 1892 di Hauptmann in cui si
parla di operai. È un riferimento trasparente alla società Guglielmina e allo sviluppo industriale. A masse di
operai sottopagati costretti a vivere in condizioni disumane in dormitori vicino alle fabbriche affinché il
meccanismo capitalistico della Germania venga costantemente alimentato. Masse di operai sfruttati e sottopagati,
trasferiti frettolosamente dalle campagne che vengono abbandonate, proprio perché sono cambiate le tecniche di
produzione economica. La vicenda che alla base del dramma di Hauptmann in realtà non è una vicenda
contemporanea rispetto al periodo di composizione della rappresentazione dell'opera. Hauptmann prende
spunto da una rivolta di operai della Slesia avvenuta negli anni 40 dell'800. Ma allo spettatore dell'epoca è
assolutamente evidente che pur con il pretesto di rappresentare la vicenda lontana, in realtà Hauptmann sta
mettendo in scena i conflitti sociali del presente. Non è un caso che l'opera susciti grande scandalo e venga
accusata di immoralità, per il modo in cui viene rappresentata la condizione di questi operai. Suscita grande
scandalo perché ci si aspetta una rappresentazione non così viva o così retorica della miseria nella quale
riversano questi operai in un’epoca in cui nascono i sindacati, nascono i partiti, nella quale sono presenti grandi
conflitti sociali, epoca nella quale si conferma l'orientamento conservatore nella società. A metà degli anni 80 il
partito socialdemocratico, ovvero il partito di riferimento degli operai e delle Industrie, viene vietato a qualunque
attività. Il naturalismo persegue una strategia di rappresentazione letteraria molto diversa dal realismo. Tipica del
naturalismo si ostina da questo punto di vista alle tecniche di rappresentazione letteraria in uso del naturalismo
francese. Tutti i naturalismi derivano dal naturalismo francese, fondamentalmente movimento letterario francese
elaborato pensato e sviluppato concretamente da alcuni grandi autori francesi curiosamente romanzieri.
Aderendo ad alcuni dei principi formulati da grandi teorici del naturalismo francese anche il naturalismo tedesco
ritiene possibile all'arte della letteratura particolare dare una rappresentazione oggettiva, fotografica e
perfettamente mimetica della realtà, una rappresentazione condotta cioè con un termine tipico ad un grado Zero
di mediazione tra il testo e il narratore. Ciò significa che non esiste nelle aspettative del naturalismo alcuna
mediazione soggettiva da parte dell'autore rispetto all'oggetto della rappresentazione dell'area, che l'oggetto della
rappresentazione letteraria è riportato nella finzione letteraria esattamente così come un'immagine fotografica.
Questa aspettativa di fedeltà mimetica della letteratura dell'arte rispetto all'oggetto della rappresentazione, questa
idea che la presentazione finzionale possieda un contenuto di verità misurabile non sull'efficacia stilistica della
rappresentazione, ma sulla riconoscibilità dell'oggetto rispetto la sua rappresentazione finzionale, i naturalisti la
formulano in un principio che è diventato particolarmente famoso, che si deve ai principali teorici della
naturalismo in Germania che sono: Johannes Schlaf e Arno Holz. Ritengono di poter esprimere i compiti
propri dell'arte secondo la prospettiva naturalistica, con una formula matematica, visto che la loro idea che il
mondo sia sostanzialmente riportabile in relazioni scientifiche, che si possa quantificare in modo esatto e che
questa quantificazione possa essere trasportata nel linguaggio dell'arte. Il naturalismo è influenzato dalla
principale corrente filosofica del periodo: il positivismo a seguito del grande sviluppo delle tecnologie delle
scienze che caratterizza tutto il mondo occidentale della seconda metà dell'800, matura l'idea che il mondo possa
essere espresso attraverso relazioni di carattere quantitativo e numerico, che tutto possa essere esattamente
misurato e riportato a relazioni stabili costanti e precise tra i componenti della realtà. C'è questa ondata di
entusiasmo per la capacità della scienza di prendere la ragione della complessità del mondo e anche costoro
aderendo a questo clima di positivismo nei confronti della scienza elaborano una legge para matematica per i
compiti dell'arte cioè: kunst = natur – x dove kunst è l’arte, natur la natura e x = coefficiente di soggettività
implicito in ogni operazione di rappresentazione. Obiettivo dell'arte è ridurre il più possibile quella X cioè l'arte
corrisponde alla natura. Per natura essi non intendono l'ambito delle forme naturali (non sono le montagne e gli
alberi), ma significa la realtà, la realtà fenomenica, la realtà esistente tutto ciò che esiste, la realtà modificata in
ragione del punto di vista di chi rappresenta quella realtà. (anche L'obiettivo della fotocamera che si frappone tra
l'occhio è la realtà implica una certa soggettività). Ma comunque anche se la rappresentazione della realtà non è
mediata da un oggetto tecnico, è comunque filtrato dal mio personale punto di vista. Il punto di vista dipende
anche dalla cultura personale di una persona quindi il vedere non è mai un'azione neutra, Ma dipende anche da
altri fattori come ad esempio la cultura. Il naturalismo nutre una fiducia che noi possiamo sicuramente a definire
ingenua nell'arte, di rappresentare in modo mimetico la realtà ma anche la fiducia conforme al clima di
entusiasmo di scoperta esercitato da queste grandi novità tecniche che sembrano includere degli orizzonti ancora
più ampi nella percezione dell'uomo nella presa della rappresentazione della realtà. Posto che quella X neanche il
più entusiasta dei naturalisti ritiene disposto ad azzerare completamente, X sarà comunque sempre un valore
diverso da zero. Un autore naturalistico tende a contenere il più possibile il valore di quella X cioè a far
coincidere con il massimo grado di fedeltà possibile kunst & Natur intesa come realtà fenomenica. Se Kunst
fosse uguale a Natur allora l'equazione rimarrebbe uguale, ma questa sarebbe un'utopia di una rappresentazione
totalmente fedele alla realtà. Poiché quella X non si può cancellare, allora dovrebbe avere il minimo rilievo
possibile in modo che in ogni atto di rappresentazione letteraria secondo il naturalismo la prospettiva individuale
di chi rappresenta cioè dell'autore sia è il più possibile minimizzata, quasi irriconoscibile. Questo sul piano delle
strategie di rappresentazione letteraria. Possiamo fare l'esempio di Hauptmann: die Weber, L'opera
fondamentale nel teatro del naturalismo. Quale fosse la posizione di Hauptmann nella rappresentazione di una
vicenda del genere è chiara: già la scelta di rappresentare una rivolta condotta contro la classe dei proletari da un
gruppo di miserabili, implica una simpatia nei confronti di questo gruppo, che pur vivendo in condizioni di
assoluta miseria, pur essendo sottoposti forme di sfruttamento che spesso rispondono ad alcuni esempi di
sadismo di imprenditori. C'è tutta una classe intermedia che è al servizio dei grandi capitalisti e che hanno a che
fare direttamente con le maestranze e che spesso provano il miserabile divertimento nella vessazione gratuita
degli operai, divertendosi nell'esercizio di un sadico gusto di persecuzione ai danni di questi individui. La
prospettiva nella quale queste vicende vengono rappresentate è chiaramente una prospettiva solidale con la
condizione di questi miserabili, solo che Hauptmann in realtà rappresenta questi conflitti, la situazione sociale
del proprio tempo, come una situazione la cui negatività (su cui non c'è nulla da dire) è ulteriormente alimentata
e resa tragica dal fatto che questa situazione in realtà è del tutto immodificabile. Se Heine aveva
entusiasticamente confidato della capacità della letteratura di trasformare, di sollecitare negli uomini il desiderio
di trasformare la realtà, di modificare gli aspetti più aspri della società, Hauptmann ha completamente superato
questa aspettativa. La situazione è caratterizzata da una logica di sfruttamento dell'uomo sull' altro uomo, e
questa situazione non è modificabile non è trasformabile, corrisponde questa situazione nella concezione teatrale
di Hauptmann al ruolo che nella tragedia greca nel teatro classico svolge il destino. Il destino dell'uomo nella
società moderna è lo sfruttamento, perché una condizione fondamentale per l'esercizio dello sfruttamento è che
gli sfruttati vengano portati con inganno e con la propaganda con il loro mantenimento in una situazione di
incultura, vengano portati a considerare questa condizione, la loro povertà, la loro miseria, loro sfruttamento
come una condizione naturale e quindi legittima e quindi non revocabile e non trasformabile. Gli sfruttati nel
dramma di Hauptmann sono i primi a ritenere che la loro condizione in fondo rispecchi un ordine superiore
delle cose e che come tale quindi non possa essere minimamente modificato e sia il loro destino. Gli operai più
consapevoli dal punto di vista della loro condizione provano a innescare una rivolta contro i padroni, provano a
indurre i loro colleghi a ribellarsi a questo stato di cose, ma finiscono per scontrarsi con lo scetticismo, l’inazione
e la passività da parte degli altri operai quali sono segretamente convinti che sia quella la loro naturale
collocazione nel mondo. Lo sfruttamento prima ancora della classe sociale è una condizione mentale, è un
codice culturale. La disponibilità allo sfruttamento da parte degli operai è la condizione fondamentale
dell'esercizio dello sfruttamento ai loro danni. Hauptmann identifica alcune strutture mentali, alcuni problemi
culturali come quelli alla base di questa disponibilità degli sfruttati a intendere la propria condizione di sfruttati
come una condizione di destino immutabile ad esempio l'influenza della religione. La rivolta fallisce perché a
un certo punto il più anziano degli operai, rispettato da tutti prende la parola e con un paio di espressioni ricorda
a tutti che se si trovano in quella condizione in fondo è perché quella condizione espressione della volontà
Divina e che comunque ci sarà in un altro mondo, in un mondo più giusto, non su questa terra un risarcimento
per le sofferenze subite in questa vita. L’argomento religioso si dimostra da questo punto di vista un imbattibile
strumento di ulteriore subordinazione ai danni degli operai, una confusa aspettativa che appare in un orizzonte
futuro nel quale anzi le sofferenze saranno una sorta di biglietto d'accesso a una vita migliore. Accanto
all'influenza della religione a Hauptmann vede tutta la vita sociale nel segno di una delle grandi strutture
filosofiche dei grandi sistemi filosofici che esercita un'enorme influenza sul naturalismo C'è un'espressione
particolare del positivismo cioè il darwinismo. Anche questa è una delle grandi rivoluzioni mentali della seconda
metà dell'800. Darwin è un geniale scienziato che nella seconda metà dell'Ottocento arrivò a formulare una
teoria generale sulla evoluzione delle specie basata su un concetto fondamentale cioè sulla capacità di
adattamento delle specie. E’ questo poi il tramite alla lettura di queste idee sul piano sociale dei naturalisti a ciò
che si può definire Resistenza biologica: questo è un punto fondamentale, il casuale possesso di certe
caratteristiche particolarmente favorevoli sul piano adattativo permette a certi individui all'interno di una specie
di sopravvivere e di superare positivamente una certa sfida adattativa assumendo quindi una posizione
maggioritaria dominante prevalente all'interno della loro specie in modo che di generazione in generazione quel
singolo tratto che ha permesso a quegli individui di adattarsi realizzi un tratto comune alla specie nel suo
complesso. Cosa ha che fare questo con la rappresentazione di conflitti sociali nel naturalismo? Ha a che fare
con un punto che interessa moltissimo per capire la portata della rivoluzione teatrale portata da Hauptmann che
poi Brecht finisce, modificandone alcuni punti. Il punto fondamentale che Hauptmann ricava dal darwinismo è
l'indifferenza e l'insignificanza dell'individuo rispetto alla specie perché come nel sistema di Darwin a
determinare la salvezza di un certo individuo non è il fatto che il singolo individuo, il singolo esponente di una
specie sia portatore di una certa caratteristica, ma che tutto il gruppo all'interno della specie risponda di quella
caratteristica perché se c'è un unico individuo, un gruppo molto ristretto di individui dotati della capacità di
raggiungere (ad esempio) il ramo più alto, questo sarà comunque destinato a soccombere se sarà numericamente
troppo debole per sopravvivere. Così nel teatro di Hauptmann la determinazione, la capacità di determinazione e
il libero arbitrio del singolo individuo non conta nulla rispetto al destino della classe sociale nella quale si trova
ad operare. Questo motivo, applicato alle condizioni del teatro, applicato alla logica del teatro naturalista, si
oppone radicalmente a uno dei principi fondamentali del teatro nella tragedia greca e poi negli adattamenti della
tragedia greca nella concezione aristotelica del teatro alla quale Brecht si oppone. L'individuo nella sua libertà
nella sua azione, nelle sue scelte, le sue decisioni, nella sua condotta si esprime la sua caparbietà di determinare se
stesso, solo che è nel sistema dei rapporti propri della tragedia greca il destino è sempre più forte e quindi il
personaggio tragico è obbligato a soccombere. L'eroe tragico è tale perché è portatore di una insopprimibile
libertà, il suo spirito di libertà si esprime anche nel modo in cui affronta la propria rovina anche nel modo in cui
affronta la propria catastrofe la superiorità spirituale del personaggio tragico nella tragedia greca sta nel fatto che
costui conserva intatta la propria libertà e il proprio spirito di indipendenza anche di fronte alla catastrofe se non
può concretamente esercitare la propria libertà, la libertà resta comunque la sua determinazione, ma non è libero
materialmente perché soccombe il destino, ma è libero spiritualmente. Nel teatro di Hauptmann nessuno è più
libero, i personaggi tragici non contano come singoli individui, i personaggi tragici sono esponenti della loro
classe sociale e condividono il destino della loro classe sociale. Non hanno la minima autonomia che possa
portarli a discostarsi dal destino comune a tutta la loro classe sociale. Al centro del discorso drammatico non c'è
più l'individuo secondo i canoni tradizionali, ma c'è una classe sociale e l'individuo è una marionetta. Questa è
una rivoluzione grandissima della tragedia da parte di Hauptmann.

Cultura Ted. 2018-05-29


Argomento:
2000 anni prima poetica di Aristotele per la cultura teatrale in Occidente.
Aristotele degno del suo maestro Platone, non attribuisce un pensiero particolare all'arte. Platone si era espresso
in termini distruttivi nei confronti dell'arte depravandola a "copia di una copia", perché l'esperienza della vita
comune non dispone di uno statuto di realtà dato che per Platone l'unico livello dell'essere ad avere una realtà
esistenziale sono le idee forme che precedono gli aspetti reali, costituiscono un modello di assoluta
perfezione, non sono visibili o tangibili perché fluttuano in una dimensione separata rispetto a quella comune
che Platone definisce IPERURANIO. In questa dimensione separata e da queste idee, prendono corpo gli
oggetti reali, prende corpo l'ambito dell'esistenza comune che si muove su un livello di verità inferiore, limitato
rispetto alle idee. Per Platone l'arte o qualunque forma di rappresentazione artistica è quindi una doppia
menzogna gli oggetti non sono che una copia dell'unica vera realtà, cioè le idee. La rappresentazione artistica
della realtà, di qualcosa che rappresenta qualcos'altro è una menzogna di doppio livello livello di verità
minimo. L'arte è una copia di una copia, quindi non è portatrice di verità, è agente di immoralità nella vita
dell'uomo, lo distrae dall'obiettivo fondamentale, cioè l'intuizione della verità. Secondo Platone l'uomo è l'unico
che ha competenza nelle idee, di speculazione libera di una dimensione astratta. I filosofi sono gli unici in grado
di spingersi sino all'intuizione delle idee, alla conoscenza della verità. Gli artisti, invece, praticano una forma di
illusione, di non conoscenza che ha l'effetto di allontanare dalla conoscenza della verità. Diversamente per
Aristotele, il quale si spinge per la prima volta a ritenere che l'arte sia portatrice di una conoscenza che è
possibile conseguire attraverso l'arte: il tipo di conoscenza è di carattere sensibile, cioè possibile attraverso la
percezione sensoriale (sensazioni, affetti). Per la conoscenza astratta non si ha bisogno del corpo ma della
ragione. A partire dalle idee di Aristotele prende corpo tutto il sistema dell'estetica nella cultura Occidentale
(umanesimo, intorno al 1400-1500), in cui la poetica di Aristotele diventa uno dei testi chiave per la
comprensione e lo studio della cultura antica e si iniziano ad individuare dei principi che svolgono una vera e
propria funzione normativa. Non ci si limita a studiarla ma si ricavano delle regole, norme. Tutta la storia dal
'500 all'800 inoltrato sta nel segno delle cosiddette poetiche normative (norme vincolanti)  le 3 unità
aristoteliche. Quello di Aristotele non è un trattato di arte in generale, ma in particolare della tragedia (con errori,
incertezze, ambiguità tipico della trascrizione medievale). Aristotele
parte da un'affermazione "l'arte è imitazione della natura". Come l'artista deve rappresentare la realtà nelle forme
simboliche dell'arte? L'artista non deve rappresentare la natura (la materia naturale), ma l'arte deve rappresentare
al modo della natura, secondo le procedure adottate dalla natura nel proprio lavoro formativo a ciò che noi
definiamo vivente, nella sfera del bios (vita organica). Aristotele parte da una sostanziale analogia fra gli oggetti
artificiali dell'arte e gli oggetti naturali l'artista deve applicare gli stessi principi della natura. Alla base di tutta la
sfera della formatività, cioè del dare forme visibili e percepibili, è presente lo stesso dinamismo, la stessa legge.
Qual è la procedura? il principio della selezione. La natura operando in modo creativo e formativo, ricava una
materia inanimata e informe, procede selezionando progressivamente (dalla quantità iniziale infinita) soltanto
una certa quantità di forme finite e concrete che alla percezione dell'uomo si presentano dotate di carattere di
necessità, cioè di fronte al risultato finale questi oggetti si imprimono nella nostra struttura cognitiva in modo
tale da generare il convincimento della forma che non può che avere quel determinato aspetto che
effettivamente ha. I nostri processi cognitivi funzionano sulla base degli stessi principi della natura, i quali ci
permettono di riconoscere l'oggetto come manifestazione necessaria (es. un albero non può che avere quella
forma). LA PAROLA CHIAVE E' FORMA.
Individuando nella quantità illimitata una sola forma, cioè quella del processo finale che noi siamo obbligati a
riconoscere come necessaria, unica possibile. Si hanno delle conseguenze con l'artista  il poeta parte da una
materia senza specificazione (fabula, storia da lineare) dal livello della fabula al livello dell'intreccio, dando una
forma precisa, selezionando da un solo sviluppo possibile (ciò è valido anche per gli scultori ecc). Brecht
riprenderà queste idee e le rovescerà, infatti si parla di teatro anti-aristotelico. L'effetto teatrale è il modo in cui
l'autore di un testo teatrale predispone le condizioni per ottenere una certa reazione nello spettatore  per
Aristotele il poeta tragico deve costruire il testo della rappresentazione in modo da ottenere un certo effetto
sullo spettatore. Il poeta tragico deve sviluppare l'azione secondo un principio di logica linearità, successione
progressiva. L'azione deve svilupparsi secondo un criterio di evidente coerenza in modo da presentarsi agli occhi
dello spettatore come espressione di necessità. Il poeta deve attenersi al principio di selezione analogamente alla
natura. Nulla deve distrarre lo spettatore da questa linea.
Aristotele dice che l'azione teatrale deve avere un inizio, un compiuto e una fine. L'azione deve compiersi
attraverso una legge di successione armoniosa, ordinata, ininterrotta, progressiva, alimentata da quanto è
accaduto nel momento precedente e già pronta a porre le basi di quanto accadrà nel momento immediatamente
successivo. Ogni dramma è comprensibile soltanto come un anello di una catena complessa, nessun elemento
del dramma deve potersi spiegare da solo, deve prendere posizione autonoma. Tutto si deve svolgere come in un
ingranaggio. Aristotele dice che il teatro non è imitazioni di caratteri, ma imitazione di azioni  il personaggio
deve rendersi riconoscibile al pubblico non sulla base di caratteristiche predeterminate, ma attraverso le azioni
che compie nel dramma (attraverso la sua condotta). Nel mondo drammatico non è ammissibile nessun salto in
cui l'azione deve costruirsi secondo una successione logica che deve tendere alla conclusione che coincide con la
rovina dell'eroe.  lo schema deve essere rispettato. Tutto ciò che accade nella rappresentazione teatrale è
dotato di uno statuto di realtà esattamente quanto la realtà dello spettatore  idea di illusione della realtà per cui
ciò che viene rappresentato sul palcoscenico non è finzione ma è una realtà reale (nulla deve distrarre lo
spettatore da quest'idea). Una seconda realtà indistinguibile dalla prima  il teatro è in una dimensione separata.
Lo spettatore non ne deve essere consapevole, deve rendersi permeabile sul piano affettivo il concetto di
percezione sensoriale iniziale. La finalità del poeta tragico è la produzione di passioni grafiche alle quali lo
spettatore deve consegnarsi, deve credere, deve sospendere la ragione. Se funziona, produce nell'animo dello
spettatore due tipi di passioni: terrore e compassione. Seguiti da una sensazione di contenimento degli aspetti
esterni di queste passioni, vi è il rasserenamento finale lo spettatore non deve andar via turbato, ma pronto
per affrontare le abitudini della polis, della vita. Prova compassione di fronte alla rovina dell'eroe e
successivamente da questo sentimento iniziale comincia a provare timore per se stesso, timore all'idea di poter
essere lui a sua volta vittima di un destino terribile. L'amore di sé è la forza più vigorosa, la passione più potente.
Secondo Aristotele questo è fonte di piacere perché ci si sente fortemente vivi. Questo turbamento deve placarsi
e alla conclusione porta alla CATARSI l'obiettivo del teatro. Ed è la neutralizzazione di quelle passioni. Le 3
unità aristoteliche, o meglio pseudoaristoteliche, perché non espresse da Aristotele, ma elaborate studiando la
sua poetica sono:
1. unità di tempo (che prescrive che la tragedia si svolga in un arco di tempo uniforme e continuo, per
convenzione tra l'alba e il tramonto nella stessa giornata)
2. unità di luogo (la storia si svolge in un solo luogo)
3. unità d'azione (prescrive che tutto ciò che accade sia in una riconoscibile relazione con il destino del
personaggio, quindi nel dramma non sono ammesse vicende parallele. Tutto deve tendere verso la linea centrale.
Completamente rivoluzionario è il teatro di Shakespeare.
La rottura della poetica aristotelica che avviene nei primi decenni del 900 nella cultura tedesca è attribuita
all'attività di Bertolt Brecht tutto ciò che abbiamo detto, lui lo ribalta. Per Brecht conta la totale vigilanza dello
spettatore, controllo critico. Lo spettatore deve essere consapevole che ciò che accade è una finzione, non è la
realtà l'ipotesi di realtà, un discorso della realtà, un'interpretazione della realtà è la conseguenza dei
comportamenti dell'uomo. La logica aristotelica viene invertita completamente.
Cultura Ted.. 2018-05-31
Argomento:
È necessario che il poeta tragico, dice Aristotele, organizzi la costruzione del dramma in modo coerente rispetto
alla necessità che tutto sembri vero e reale, organizzando tutti i costituenti dell'azione drammatica in modo che
davanti agli occhi dello spettatore si insedino delle strutture lineari e coerenti, che proceda senza alcuna
deviazione verso la conclusione, tutto ciò a vantaggio di mantenimento di un principio di illusione che funziona
esattamente nei termini che abbiamo detto. Lo spettatore deve credere alla verità dei fatti rappresentati, deve
credere di essere dinanzi ad una realtà dotata del medesimo Statuto di verità della realtà comune, della realtà
ordinaria. La parola chiave è: illusione. Brecht destruttura e mette in discussione e rovescia questo presupposto
arrivando a teorizzare che invece, in un teatro che realizzi la finalità di rendere lo spettatore più sensibile nei
confronti del carattere di sfruttamento delle relazioni di potere che caratterizzano la realtà comune, è necessario
che lo spettatore non creda alla realtà dell'azione rappresentata, e che il contesto teatrale concorra a produrre
nella psiche dello spettatore non quella illusione che era al centro del sistema aristotelico ma produca, come il
termine tecnico adoperato da Brecht, straniamento. Il termine tedesco è più accurato per descrivere questa
sensazione ( straniamento non è che è una traduzione necessariamente imperfetta ), è VERFREMDUNG.
FREMD = STRANIERO, ESTRANEO. RENDERE ESTRANEO, ALIENARE, RENDERE NON
FAMILIARE.
Nel punto centrale della teoria teatrale di Brecht c’è che attraverso il meccanismo di costruzione della dell'azione
teatrale e attraverso i meccanismi di rappresentazione del testo, cioè di recitazione e attraverso il lavoro degli
attori, nell'ambito dello spettatore devono prodursi una sensazione non di familiarità rispetto a quanto viene
rappresentato, ma di distanza. Lo spettatore deve essere messo nelle condizioni di prendere le distanze, quindi
non di aderire empaticamente a quanto viene rappresentato ma di distaccarsene criticamente, di fare un passo
indietro. Lo spettatore deve essere messo nelle condizioni di uscire da quella struttura chiusa, da quell’involucro
dominato dall’illusione che lo tiene prigioniero, lo subordina; lo spettatore deve essere messo in condizione di
riflettere liberamente e di esercitare una piena vigilanza critica, un ininterrotto controllo razionale su quanto
viene rappresentato. Brecht ritiene che il teatro di impostazione aristotelica stia tutto nel segno di una categoria
che è affine ovviamente all'illusione, che Brecht definisce EINFÜHLEN. FUHLEN = SENTIRE. SENTIRSI
UNO (con qualcos’altro). Il termine corrente in italiano è IDENTIFICAZIONE. Significa METTERSI NEI
PANNI DI.
Secondo Brecht il teatro aristotelico, il teatro di impostazione aristotelica cioè la concezione di estetica teatrale
che ha dominato l'occidente per almeno 1000 anni, sta tutta nel segno dei meccanismi identificativi che secondo
Brecht che agiscono almeno in due grandi livelli nella costruzione dell’effetto teatrale. Come funziona
l'identificazione? Un aspetto del problema lo abbiamo già sviscerato in tutti i modi possibili, abbiamo detto per
Aristotele poiché il meccanismo teatrale produca il giusto effetto, innanzitutto è lo spettatore che deve
identificarsi con il destino dei personaggi e in particolare con il destino dell'eroe tragico. Per Aristotele la
macchina teatrale deve funzionare in modo che l'animo dello spettatore si generi con alcune passioni, una di
queste si basa proprio sulla piena identificazione, sull'attivazione di una risposta sintonica empatica tra lo
spettatore e il destino del personaggio principale. Lo spettatore deve essere messo nelle condizioni di avvertire
su di sé tutto il peso del rovinoso destino che avvolge l'esistenza del personaggio principale. Lo spettatore deve
provare compassione, ovviamente per Aristotele non si tratta di un sentimento che afferisce alla sfera del
religioso ma si tratta di un vero e proprio riflesso primario, un meccanismo di risposta antropologica al veder
soffrire un simile, veder soffrire un altro essere umano, secondo Aristotele l'amore di se ( che è l'amore più
importante alla base dell' antropologia aristotelica ) trova una forma di compensazione, di equilibrio, di
contenimento nell'amore per gli altri che però va inteso come un banale riflesso meccanico, come l'attivazione di
un meccanismo antropologico di base che non richiede appunto l'innesco di una riflessione particolarmente
complessa. Vedo il mio vicino soffrire? Qualche corda della mia psiche si attiva di riflesso, per puro e semplice
contagio affettivo e allora io mi sento IN UNO, mi identifico. Non è un meccanismo razionale, è un
meccanismo primario, un riflesso elementare per Aristotele. Brecht riconosce con piena lucidità quanto questo
meccanismo sia centrale nella concezione del dramma di derivazione aristotelica, tanto da indurlo a
ricomprendere tutta la sfera del teatro aristotelico sotto il primato di questo affetto. Per Brecht tutto il teatro di
impostazione aristotelica sta nel segno della identificazione, di ciò che definisce la Einfühlung. Questa funziona a
due livelli: il primo riguarda la posizione dello spettatore nei confronti dell'eroe, secondo quel meccanismo di
empatia. La terminologia tecnica su questi problemi viene sviluppata nella cultura tedesca con particolare
intensità nel corso del XVIII secolo, il secolo teatrale per la Germania in cui si scrivono tantissime opere teatrali,
si elaborano tante teorie sulle funzioni e sul significato sulle potenzialità civili e sociali della rappresentazione
teatrale. Il 700 focalizza in particolare come per definire la categoria della compassione il termine MITLEID,
parola chiave nel lessico dell'estetica teatrale tedesca. Il sentimento di compassione che Aristotele aveva
teorizzato come la risposta affettiva alla quale lo spettatore dello spettatore della tragedia deve essere sollecitato,
il Settecento tedesco la intende nei termini di MITLEID. anche qui è facile leggere il significato del termine.
MIT = CON. LEID = DOLORE. SOFFRIRE CON. COMPASSIONE. SOFFRIRE INSIEME. Nel lessico
dell'estetica teatrale in Germania appartiene a 700 tutta la sfera della compassione e viene espressa con questo
termine, che diventa una categoria decisiva e onnipresente, di come si debba ottenere questo MITLEID, della
sua funzione civile, di come l'uomo si migliora quando a rispondere emotivamente e con particolare intensità alle
rovine che travolgono l'esistenza del suo prossimo. Da questo punto di vista l’altra categoria che Aristotele pone
a fondamento dell’effetto drammatico, cioè il terrore, ha un'importanza nettamente minore rispetto al Mitleid.
Grande obiettivo della drammaturgia settecentesca, per cui nel teatro del 700 in Germania si piange tantissimo,
c’è l’immagine stereotipata dello spettatore col fazzoletto in mano (nelle prime lezioni si era parlato
dell’EMPFINDSAMKEIT, tendenza a lavorare sullo sviluppo della sensibilità, che è un dato culturale alla base
di tutta la cultura del 700 in tutta Europa ), da questo punto di vista il terrore è la produzione, la sollecitazione
di una risposta emotiva di questo tipo che ha un'importanza decisamente Inferiore nel teatro tedesco del 700. È
il MITLEID l'aspetto principale della drammaturgia tedesca nel corso del XVIII secolo. Il terrore tende a
mobilitare ogni possibile corsa affettiva nell'animo dello spettatore nel segno della compassione. Lo spettatore
deve sentirsi affine e vicino, deve sentire come dentro di sé un sentimento di empatia nei confronti di un vicino
in difficoltà. Il termine adoperato per il terrore è FURCHT. Termine femminile, die Furcht. Affine al verbo
“temere”, “avere paura”.
FURCHT E MITLEID SONO LE DUE CATEGORIE, I DUE TERMINI CHE IL SETTECENTO USA
PER TRADURRE IN MODO CORRENTE LE DUE CATEGORIE ARISTOTELICHE DI
COMPASSIONE E TERRORE. I termini sono Eleos per la compassione e Trómos per il terrore. Di queste
categorie delinea una concezione dell'aspetto tragico basata sul meccanismo di identificazione, Einfühlung
secondo il termine che usa Brecht che poi diventa di uso comune. Brecht è ha una concezione del teatro per cui
il teatro non deve rappresentare la realtà così com'è, ma deve invece portare lo spettatore a sentire la realtà come
trasformabile come revocabile, nello spettatore deve nascere la consapevolezza che la realtà di fronte alla quale
posto non è l'espressione di un ordine di natura come tale non derogabile e non più modificabile, secondo
Brecht lo spettatore deve essere portato a intendere la realtà come espressione di circostanze storiche, di cause
contingenti, di fattori materiali e che come tali non riflettono un ordine di natura ma sono l'espressione della
condotta umana e possono quindi, come tali, essere anche trasformabili e modificabili. Perché nello spettatore si
riproduca questa consapevolezza che è di tipo finale, per avere tale effetto nello spettatore, Brecht sostituisce la
logica Einfühlung, la logica dell'identificazione, con la logica della VERFREMFUNG. Queste due logiche
concorrenti e antagoniste funzionano a due livelli: la più lunga riguarda la capacità dello spettatore di identificarsi
nel destino dell'eroe, ma anche la piena identificazione tra l'attore e il ruolo che interpreta. Tanto la Einfühlung
quanto la Verfremdung riguardano sia l'effetto complessivo della rappresentazione teatrale, cioè: lo spettatore
devono identificarsi con il destino dell'eroe? Se sì è Einfühlung, se no Verfremdung, ma entrambe hanno a che
fare anche con la tecnica della rappresentazione teatrale. Non si tratta solo di ciò che succede nell'animo dello
spettatore, ma anche il modo in cui la rappresentazione viene costruita e cioè chiamano in causa soprattutto il
lavoro dell'attore, la relazione che si stabilisce tra l'attore e il personaggio che interpreta. Per Brecht la
Verfremdung funziona innanzitutto come una tecnica, non viene lasciata al puro e semplice talento dell'attore
ma, dice Brecht, che è innanzitutto un uomo di teatro che lavora alla messa in scena delle proprie opere e,
nell'ultima parte della sua vita, è il direttore di un teatro e crea una tecnica codificata e organizzata e che come
tale può essere insegnata e appresa dagli attori. Dal secondo dopoguerra tutto l'ambito della recitazione in
Occidente sta nel segno di questa grandissima polemica: Qual è il modello migliore, il modello più efficace? Un
bravo attore è quello che sparisce dietro il ruolo che interpreta, o è quello che invece rende visibile una frattura
tra sé stesso e il personaggio? È quello che mette di fronte allo spettatore non il volto omogeneo del
personaggio ma entrambe le identità del personaggio ovvero del personaggio dell'attore che interpreta? Questi
due modelli sono in un rapporto di grande concorrenza nell'industria cinematografica e del mondo teatrale
all'indomani della Seconda Guerra Mondiale tutta la scuola del cinema hollywoodiano funziona per esempio
sulla base del modello di identificazione del cinema degli anni 50. L’attore hollywoodiano è quello capace di
annullare la propria personalità per conferire più energia al personaggio, per esempio, Marlon Brando. Tutti i
recensori apprezzavano la sua capacità di dare un volto a personaggi diversi e annullare se stesso, di
neutralizzare la propria identità individuale e lasciar emergere ogni volta il personaggio e scomparire senza alcun
residuo di identità soggettiva. Questo è l'unico metodo di recitazione hollywoodiano nel secondo dopoguerra e
che viene impartito in tutte le grandi scuole di recitazione americane. A fondamento di queste scuole c’erano i
principi messi a punto nella prima metà del 900 da uno dei grandi teorici teatro, Stanislavskij. Il metodo
Stanislavskij richiede la capacità di annullare la propria identità personale e di dar volto in modo ogni volta più
plausibile a personaggi sempre diversi. Al metodo Stanislavskij della piena identificazione tra la persona
dell'attore il personaggio si oppone quello brechtiano; Brecht non lavora solo come scrittore come autore di testi
teatrali, lui è innanzitutto un autore che si impegna concretamente degli aspetti materiali e pratici, è anche
direttore di teatro e cura personalmente l'allestimento delle proprie opere.
EINFUHLUNG CONTRO VERFREMDUNG: funzionano su due livelli, disciplinano sia l’effetto
complessivo della composizione teatrale, cioè cosa deve provare l’attore - identificazione o distanza? E
disciplinano anche il ruolo dell’attore, cosa deve fare l’attore? Deve fondersi col suo personaggio o deve restare
distinto dal suo personaggio? Brecht coerentemente con quanto detto sulla concezione politica e di teatro visto
che vive in un'epoca straordinariamente delicata e piena di conflitti ( le sue date sono 1898 e 1956, quindi il
periodo della sua vita intellettuale coincide con gli anni del nazismo ), Brecht è uno dei tanti scrittori tedeschi
che si posizioni in maniera evidentemente contraria rispetto alla politica culturale. Con l’inizio del regime nazista
( 1933 - 1945 ), ed è costretto a lasciare la Germania, è costretto all'esilio. All'indomani della presa del potere da
parte del partito nazista le tappe dell'esilio di Brecht sono molto varie - i luoghi in cui era più massiccia la
presenza di intellettuali tedeschi erano la Francia e i paesi scandinavi. Quando però nell'estate del 1939 diventa
chiaro che sta per scoppiare la guerra e comincia anche a serpeggiare la consapevolezza del fatto che almeno
nelle prime fasi della guerra la Germania disporrà di una forza incontrastabile da parte degli stati europei con
cui andrà in guerra e che quindi, verosimilmente, l'esercito tedesco sarà in grado con facilità di invadere anche
porzioni del territorio europeo, come effettivamente accadrà, gli intellettuali che durante l'esilio erano rimasti in
Europa ( la maggior parte ), finiscono nel continente americano tra Stati Uniti, Canada ed America meridionale.
Gli intellettuali che erano rimasti in Europa e continuavano a risiedere in Francia Danimarca e Svezia si
pongono il problema di fare il passo che gli altri avevano già fatto precedentemente. Brecht in questo periodo
dell'estate nel 1939 si trova ancora in Danimarca ed è lì che scrive l'opera Mutter Courage und ihre Kinder
( Madre Courage e i suoi figli ), e lui come tanti altri si trova appunto con la necessità di abbandonare
precipitosamente il continente europeo e lo fa attraverso vicende particolarmente complesse con un percorso
lunghissimo e pieno di disagi - una sua collaboratrice muore nel corso di questi spostamenti fortunosi attraverso
i paesi in guerra, ma finalmente riesce a raggiungere gli Stati Uniti. Qui condivide Il destino della gran parte
degli scrittori tedeschi in esilio, a parte di poche eccezioni come gli autori già ampiamente famosi prima
dell'esilio ( come ad esempio Thomas Mann ), la gran parte degli scrittori tedeschi in esilio sono costretti a
riorganizzare completamente la propria attività in un contesto che per quanto non sia apertamente ostile, però
sono costretti a reinventarsi completamente nell'ambito delle loro attività soprattutto prima circostanza, che è
quella alla quale forse meno si pensa che però, essendo di carattere intellettuale, incide profondamente sulle
condizioni dello scrittore, è la lingua. Dovevano imparare la lingua straniera così bene da essere plausibile anche
come scrittori. La lingua è una attitudine profondissimamente ancorata nella sua identità di intellettuale e delle
sue capacità creative. Per Brecht si aggiunge a questi problemi un ulteriore problema, e diventa insostenibile
all'indomani della guerra - molti intellettuali ritornano alla fine della Seconda guerra mondiale, fanno varie scelte
in base alla loro posizione. Thomas Mann deciderà di NON tornare in Germania, si trasferisce in Svizzera,
poiché in Germania al termine della guerra succede un’altra cosa che mescolerà nuovamente le carte, cioè il
paese viene diviso in due stati completamente autonomi e ciascuno dei quali inserito nella sfera di influenza delle
due grandi potenze che, finché si trattava di sconfiggere il regime hitleriano, avevano collaborato, ma che
all'indomani della Seconda Guerra Mondiale iniziano a combattere tra loro: la cosiddetta Guerra Fredda. È una
guerra diplomatica e politica, che divide il mondo in due sfere: una sotto il controllo dell'Unione Sovietica, con il
modello economico di tipo socialista; e una invece sotto il controllo degli Stati Uniti, con modello economico di
tipo capitalistico.
Quando Brecht, all'indomani della guerra, rimane negli Stati Uniti, le cose lì vanno ancora peggio perché è
comunista e negli Stati Uniti, all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, c’è una diffidenza molto profonda nei
confronti degli ideali comunisti, c’è un’attiva persecuzione e contrasto dell'attività di intellettuali e funzionari
sospetti di sostenere il comunismo, che va sotto il nome di maccartismo, perché queste leggi vengono riunite in
un pacchetto di misure presentate dal senatore McCarthy. Per maccartismo si intende quell’ondata di grande
sentimento e quell’insieme di misure legislative che negli Stati Uniti, tra la fine degli anni 40 e l'inizio degli anni
50, colpiscono chiunque sia anche solo lontanamente sospettabile di simpatia per l'Unione Sovietica, cioè l'altro
blocco. Brecht è colpito ovviamente dal maccartismo e decide che gli Stati Uniti non sono quella terra promessa
della Libertà che tutti avevano creduto. Il clima si sta profondamente modificando anche negli Stati Uniti, il
mondo sta per entrare in una nuova epoca di conflitto e di tensione, perciò Brecht torna in Europa. Siamo nel
1949, anno in cui si decide cosa fare della Germania; la guerra era finita nel 1945 e la Germania era distrutta. Le
infrastrutture, le città, anche quelle più grandi come Berlino, sono completamente rase al suolo. Tutte le
infrastrutture e le strade sono completamente azzerate. Quel periodo che nella storiografia della lingua tedesca
viene definito STUNDE NULL, ORA ZERO, periodo in cui tutto deve essere ricostruito e rifondato, sia
materialmente perché le città sono ridotte in macerie, sia perché decine di migliaia di soldati tedeschi sono
ancora prigionieri all'estero e non se ne sa nulla e gli ultimi torneranno a metà degli anni 50, e quindi
moralmente. E’ stata falciata un'intera generazione, non solo materialmente perché serve ricostruire, ma anche
ricostruire moralmente, non soltanto per la catastrofe della sconfitta della guerra, ma anche perché la Germania
è nell'opinione comune il paese che ha promosso la Seconda Guerra Mondiale, la politica di sistematica
distruzione di ampie fasce di popolazione di tutta Europa; il tedesco, la lingua tedesca nell'opinione comune per
decenni ( e ancora oggi ) è ovviamente legata ai crimini della Seconda guerra mondiale, al nazismo, ai crimini di
occupazione militare di ampie porzioni di territorio europeo ( inclusa l'Italia ), al genocidio, alla Shoah,
all'edificazione dei campi di sterminio e all’uccisione di svariati milioni di individui incompatibili con alcuni
principi della concezione del mondo del nazismo. Per 4 anni, tra il 45 e il 49, in Germania non succede nulla, i
tedeschi sono presi con i conti minimi per la sopravvivenza, ma soprattutto le potenze vincitrici della Seconda
Guerra Mondiale ( che sono quattro: Stati Uniti, Unione sovietica, Francia ed Inghilterra, le cosiddette alleate )
trattano su come e su quale forma di assetto dare al continente europeo e in particolare su cosa fare di uno Stato
ridotto ai minimi termini come la Germania. Queste trattative sono la parte fondamentale del della Guerra
Fredda, perché Stati Uniti e Unione Sovietica, che sono stati alleati nella Seconda Guerra Mondiale, e sono
evidentemente gli stati più forti cominciano a rompere il trattato di pace tra gli “alleati” e a contrastarsi con
grande asprezza. Il mondo è spesso, tra la fine degli anni 40 e l’inizio degli anni 50, sull'orlo di una terza guerra
mondiale, in cui questa volta la Germania non avrebbe avuto responsabilità ma sarebbe nel caso scoppiata tra
Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Alla fine del 1949 le due potenze si mettono d'accordo su questa soluzione di
compromesso. Per quanto riguarda la Germania: ne fanno due stati, dividono in due con una matita sulla carta
geografica e si traccia una linea di confine che va dalla periferia di Amburgo fino alla Sassonia, ai confini con la
Baviera. La parte orientale, la Repubblica Democratica Tedesca, Deutsche Demokratische Republik, e la
assegnano al controllo politico dell'Unione Sovietica. La parte occidentale che chiamiamo Repubblica Federale
Tedesca, Bundesrepublik Deutschland, nome che poi la Germania conserva all'indomani della riunificazione del
1989: è più grande poiché va diviso in tre per le Tre Potenze occidentali ovvero Francia Inghilterra e Stati Uniti,
e si pongono le basi per un’economia di mercato di tipo capitalistico, come con l’indirizzo ideologico del in cui
questa stato inserito. Mentre, nella DDR, sottoposta alla diretta influenza dell'Unione Sovietica, si sviluppa
un’economia di tipo Socialista.
Siccome Brecht è possessore di principi, quando torna in Europa decide di stabilirsi nella parte orientale ( era
comunista ) e qui, siccome era un intellettuale riconosciuto e accreditato, in particolare per l’influenza esercitata
dal modello della sua VERFREMDUNG che si estendeva sempre di più nella cultura occidentale ( negli anni 50
il teatro guarda con grande interesse ai principi dell’estetica brechtiana ), gli viene attribuita una funzione
importante, e diventa una sorta di intellettuale ufficiale nel nuovo stato, che ha l'interesse nel reclutare
intellettuali e accreditarsi come uno stato forte sul piano del sostegno di essi perché in questa vocazione si
vedeva anche la migliore risposta possibile agli anni della dittatura nazista, e lo Stato Socialista cerca di puntare
molto sul prestigio dei propri intellettuali. È una lotta non soltanto a livelli economici, ma anche per i livelli
ideologici, si tratta di concorrere anche su questo piano: chi agli intellettuali migliori? Chi sono gli intellettuali più
influenti, quelli che si identificano con il modello sovietico o occidentale? Quelli che si sentono socialisti o
capitalisti? C'è una fortissima concorrenza anche sul piano culturale in questo periodo, tra la fine degli anni 40 e
l'inizio degli anni 50, ma a Brecht viene assegnata ( non è un ruolo formalizzato, ma si guarda a lui come uno
degli intellettuali più brillanti del nuovo stato ), la direzione di un teatro di avanguardia che viene costruito
apposta per lui, che deve funzionare come una sorta di fiore all'occhiello dello Stato Socialista ( è ancora in
funzione a Berlino, e si chiama BERLINER ENSEMBLE ).
Brecht smette di far scrivere nuovi testi per il teatro e si dedica quasi esclusivamente alla formazione di attori per
il proprio teatro ( quindi alla diffusione del proprio metodo di recitazione ), fonda una vera e propria scuola, che
esercita un’influenza di lunga durata sulla storia del teatro tedesco; tantissimi attori, anche molto popolari in
Germania sono passati dalla scuola del BERLINER ENSEMBLE. Si dedica alla messa in scena, alla
rappresentazione di opere proprie scritte in passato, perché non scrive più di molto significanti negli anni 50, o
di grandi classici della storia del teatro riletti, rivisti e rappresentati secondo i principi fondamentali della sua
concezione di teatro. E’ un esperimento importantissimo di reinterpretazione della tradizione sulla base di
principi spesso completamente contrastanti con i principi che erano stati alla base della produzione di quei testi,
grandi testi del canone vengono riletti ( soprattutto le tragedie greche ), ma Brecht lavora moltissimo sulla base
anche di Shakespeare, avendo con lui un terreno comune essendo Shakespeare la grande anomalia, il grande
sovvertitore del classicismo aristotelico con 400 anni di anticipo rispetto al teatro brechtiano. Si dedica alla messa
in scena, alla lettura complessiva e alla reinterpretazione complessiva della storia teatrale sulla base delle sue
teorie.

Teniamo fisse le due categorie: Einfühlung e Verfremdung. La prima: io spettatore mi identifico nel senso
dell'azione, io attore devo identificarmi con il personaggio che interpreto. Viceversa, nel teatro di Brecht, io non
devo identificarmi affettivamente con il destino dell'eroe, che è messo nelle condizioni di mantenere per tutta la
durata della rappresentazione drammatica una convinzione di piena lucidità, di ininterrotta vigilanza critica e
deve poter pensare poter riflettere sul carattere di non verità dell’azione rappresentata. La costruzione
drammatica deve continuamente attirare la mia attenzione sul fatto che non mi trovo davanti a una realtà
pienamente sovrapponibile alla realtà comune, ma mi trovo davanti a una costruzione intenzionale, ad
un'operazione ad un atto artificiale, ad una messa in scena. Non devo essere messo nelle condizioni di cedere di
fronte all'inganno virgola all'illusione della rappresentazione drammatica ma deve essermi sempre chiaro, non
devo mai perdere il controllo sul fatto che quella che prende forma davanti a me è una messa in scena, una
costruzione artificiale, un atto arbitrario di rappresentazione. Cioè lo spettatore deve mantenere una posizione di
distanza ( altra parola chiave ), in quanto spettatore rispetto a quanto accade sul palco, e la stessa distanza deve
sussistere anche fra la persona dell'attore e il ruolo che sta interpretando. Lo straniamento deve operare come
una sorta di superficie di divisione tra me e spettatore e il contenuto dell'azione rappresentata e fra la persona
dell'attore e il ruolo rappresentato dall'attore. L'attore deve agire sulla scena in modo che sia sempre chiaro che
sta recitando una parte, in modo che per lo spettatore sia possibile distinguere con la massima trasparenza
possibile la persona dell'attore dall'individuo che viene interpretato. Brecht sviluppa da questi principi che sono
chiaramente teorici, una vera e propria tecnica di rappresentazione teatrale di costruzione del ruolo e di messa in
scena dello spettacolo drammatico. Per poter capire immediatamente come funziona questa tecnica,
bisognerebbe guardare con i propri occhi un attore di stampo brechtiano. Il complesso di queste tecniche, il
sistema di questi effetti, Brecht lo definisce VERFREMDUNGS EFFEKTE, trovato anche come V-EFFEKTE
( FAU EFFEKTE ), che comprendono una serie molto ampia di espedienti per cui secondo Brecht l'attore
dovrebbe In ogni momento della sua prestazione l'impressione di star citando qualcosa, non dovrebbe dare
l'impressione di stare incorporando il ruolo confondendosi integralmente, assumendo integralmente una nuova
identità, dovrebbe in ogni momento della sua prestazione scenica dare con chiarezza l'impressione di star
ricostruendo a memoria lì sul momento un'altra identità, ponendo sempre con molta chiarezza ed evidenzia la
frattura fra se stesso che compie il lavoro di recitare, e il ruolo che viene recitato, attraverso una serie di
espedienti che Brecht poi codifica, mette a punto e perfeziona nella prassi del lavoro teatrale. Tutte queste
eviazioni rispetto alla norma del teatro aristotelico configurano un nuovo modello di teatro che globalmente
Brecht definisce ( è l'espressione più nota che si può utilizzare per dar conto del teatro di Brecht ) teatro epico,
Episches Theater. Perché Brecht definisce il proprio teatro epico? Quante volte abbiamo insistito sul fatto che il
modo drammatico si caratterizza per alcuni elementi strutturali, materiali, mediali che sono completamente
differenti rispetto alle caratteristiche strutturali, formali e materiali degli altri due modi di rappresentazione
letteraria cioè quello lirico e appunto quello epico, la parola “epico” in questo campo non ha niente a che fare
con quello che per esempio è il poema epico, ma è una definizione di carattere generale per la modalità
narrativa, ogni forma di rappresentazione funzionale, finzionale che si basi sul l'atto del narrare. In un testo
teatrale in modalità aristotelica non c'è nessuno a narrare, perché la narrazione si basa sulla distanza tra il
contenuto dell'azione narrata e la voce del narratore, la narrazione presuppone non la produzione immediata di
una azione ma presuppone il racconto, cioè che ci sia una voce che noi definiamo narratore che ha visto, ha
preso ed è venuto a conoscenza di certe cose. Questo è già il primo elemento di distanza, queste cose nel mondo
epico sono già successe, sono successe altrove e sono successe a distanza di tempo e di spazio sufficiente perché
un altro le abbia viste e le abbia incorporate e le abbia elaborate per noi. Noi lettori siamo nel punto finale di
questa procedura, molto lontano da noi sono successi dei fatti, in posizione intermedia tra quei fatti e noi c’è il
narratore, che assume l’incarico di raccontarci quei fatti. Questa è la struttura di base del modello narrativo, noi
non vediamo il contenuto della rappresentazione letteraria prendere forma nell’immediatezza di una relazione di
presenza, e davanti a noi il contenuto prende forma attraverso la mediazione di un soggetto che noi chiamiamo
narratore ed è la voce del racconto. Non è la persona dell'autore, THOMAS MANN è un autore che ha scritto
tanti romanzi, GOETHE è un autore e ha scritto tanti romanzi - l’autore è sempre lo stesso ( è un personaggio
realmente vissuto ), ma il NARRATORE cambia ogni volta da romanzo a romanzo, da racconto a racconto,
perché il narratore non ha una carta d’identità, non è quindi una persona vera ma è una finzione e una funzione,
una istanza fittizia, è lo spirito della narrazione, la voce del racconto, è la prospettiva dalla quale prende corpo
l’azione di quel testo e che vale soltanto finché c’è quel testo. Il narratore cambia ogni volta che c’è un nuovo
testo Spesso, nello stesso testo ci sono più narratori diversi, la voce del racconto cambia. Questa è la forma
tipica della narrazione, cioè dell'epica. L'obiettivo è costruire una distanza fra il livello dell'azione e la posizione
del lettore, interporre delle pareti, delle superfici di mediazione, il teatro aristotelico invece funziona in senso
opposto: per Aristotele perché il teatro funzioni ho bisogno di sentirmi sullo stesso piano sentimentale, tutto
deve tendere a portarmi vicino e non ad allontanarmi come aveva detto il modo epico; tutto per Aristotele deve
favorire la mia capacità di sentirmi prossimo a quello che accade, la mia capacità di empatia la mia capacità di
sentirmi uno, la mia capacità di provare identificazione. Se si tratta di destrutturare questa costruzione bisogna
intensificare gli aspetti di distanza, lo spettatore deve in Brecht sentire il senso della distanza, perché sono la
distanza lo spazio necessario alla riflessione critica, alla vigilanza attiva su quello che accade, solo nella distanza,
nella quiete degli affetti, nel silenzio delle passioni si può riflettere razionalmente. Qui Brecht chiama in causa il
sistema delle convenzioni e delle forme di organizzazione dei testi letterari che tendono al modo epico cioè al
modo della distanza - per Brecht l'attore deve dare l'impressione allo spettatore che non è Amleto, ma che sta
raccontando Amleto, così si costruisce la distanza tra la persona dell'attore e il ruolo che interpreta. L'attore deve
dare l'impressione di non essere lui Amleto, ma di aver sentito la storia di un certo Amleto e di raccontarla
adesso nella forma della rappresentazione teatrale. Il teatro epico significa appunto questo: teatro organizzato in
modo da sottolineare gli aspetti di distanza, di mediazione; tutto il teatro di Brecht funziona nel segno di questa
commissione, di questo intreccio continuo tra modalità di tipo drammatico ( sono pur sempre testi teatrali,
altrimenti avrebbe direttamente scritto romanzi e racconti ), e contaminare queste modalità continuamente con
inserzioni di tipo EPICO. Non c’è niente di più comune nel teatro di Brecht che un attore esca dal proprio
ruolo, si rivolga direttamente al pubblico ( rottura della quarta parete. PIRANDELLO è il nostro Brecht, i due
sistemi teatrali si sviluppano negli stessi anni e si intrecciano anche ), capita nel teatro di Brecht che l’attore
smetta di essere Amleto e dica, per esempio “Scusate, ma per i prossimi cinque minuti smetterò di essere
Amleto”, cosa impensabile nel teatro di stampo aristotelico. L’attore interagisce direttamente col pubblico,
chiede loro pareri sulle azioni appena svolte, si confronta. Lo spettatore viene attivamente coinvolto nei
meccanismi di produzione nel senso, mentre invece nel teatro aristotelico è costretto ad una azione passiva, di
mero esecutore della volontà dell'autore che ha pieno controllo dell'intera dinamica della rappresentazione
teatrale ed è completamente responsabile della funzione dell'effetto che prevede che lo spettatore rimanga tutto
il tempo della rappresentazione in una posizione di subordinazione, consegnato al fascino indiscutibile, alla
suggestione mistica dell’atto della rappresentazione teatrale.

MUTTER COURAGE.
1939, nell’estate di questo anno Brecht riprende una materia Che peraltro aveva già sviluppato negli anni
precedenti senza spingersi mai oltre e scrive quest'opera destinata a diventare una delle opere del canone del
teatro del 900. la scrive in condizioni di gravi difficoltà, in poche settimane di lavoro molto intenso, tra la fine
dell'estate è l'inizio dell'autunno in Danimarca. L'opera è ambientata in un epoca che è la guerra dei trent'anni
( 1618 - 1648 ). perché a Brecht interessa la guerra dei 30 anni? Perché gli serve rappresentare delle evidenti
affinità con la situazione politica e sociale del presente. La guerra dei 30 anni rappresenta uno dei periodi più bui
della storia della Germania per la gravità delle distruzioni del territorio, perché la Germania si trova nella fase di
più acuta debolezza dal punto di vista politico ed esce distrutta non soltanto sul piano economico e territoriale,
ma la pace di Westfalia sancisce anche un lungo periodo di irrilevanza politica per i fragili stati tedeschi nel
sistema complessivo delle relazioni geopolitiche in Europa. Per Brecht un parallelo con l’epoca della guerra dei
30 anni, dovrebbe immediatamente innescare nel lettore una sensazione di allarme nei confronti della gravità dei
pericoli legati alla situazione sociale, politica e ormai anche militare del presente. Per Brecht l’ambientazione
seicentesca non è che un modo per parlare del presente, della guerra ormai imminente. L’opera viene
successivamente rappresentata, nel 1941, in uno dei pochi posti in cui era consentito durante la guerra, cioè in
un paese neutrale: in Svizzera, a Zurigo. Nessuno però capisce l’obiettivo dell’opera di Brecht. Seppure
rappresentata da attori di altissimo livello, viene sottoposta ad un fraintendimento radicale sulle intenzioni che
Brecht aveva realmente. “Madre Coraggio” è un’espressione alquanto comune ( soprattutto negli anni 70,
quando si moriva di eroina ), ed ha un’accezione particolarmente positiva. L’eroina in quel periodo era fonte di
grande allarme sociale, perché era una droga facile da reperire, da somministrare e capitava spesso che la cronaca
nera si occupasse di casi di morti anche a “catena” ( colpa magari di una partita di droga particolarmente
alterata ). In queste situazioni succedeva spesso che si formassero dei comitati di madri di ragazzi
tossicodipendenti, che facessero delle azioni volte a portare all’attenzione di tutti la gravità di questo pericolo
oppure, per esempio, che andassero a denunciare i propri figli e che quindi ne causassero l’arresto o il ricovero in
strutture di cura. I giornalisti iniziarono a intitolare queste madri, come “Madri Coraggio”. Nel linguaggio
comune questa espressione ha una connotazione quasi esclusivamente positiva, l’idea che alla base del concetto
di Madre Coraggio ci sia una madre che pur di salvare i propri figli sacrifica tutto: posizione sociale, se stessa, e la
propria vita. Questa definizione deriva proprio dal primo fraintendimento del senso dell’opera di Brecht.
“Coraggio” è una traduzione del tutto arbitraria, perché “Courage” vuol dire sì coraggio, ma non ha a che fare
col carattere morale del personaggio ma deriva da un personaggio molto popolare nella cultura del Seicento,
perché tutta l’opera di Brecht pullula di allusioni alla cultura e alla letteratura del Seicento, cioè del barocco, un
genere letterario straordinariamente popolare in quel periodo, il romanzo picaresco. In molti di questi romanzi
del Seicento è presente il personaggio di un’avventuriera, di una donna senza scrupoli che spesso si dedica a
varie attività come furto, prostituzione, imbrogli, assume identità diverse, che trae vantaggio dalle relazioni con i
potenti della sua epoca ma che in realtà non è altro che una spregiudicata avventuriera priva di un qualunque
reale ancoramento nella società. Questo è un personaggio diffuso, uno stereotipo nel romanzo picaresco che si
chiama Courage. Brecht che riprende moltissimo le cose dalla letteratura del Seicento, assimila anche questo
personaggio e ne riprende tutti gli aspetti di ambivalenza, contraddizione e ambiguità morale, perché il
personaggio brechtiano di Mutter Courage è esattamente questo: non è un personaggio positivo, non è la
leonessa che difende i propri figli fino alle estreme conseguenze, ma il tragico destino proprio dei suoi figli è
determinato più o meno indirettamente proprio dalle scelte della madre, perché, qual era la sua più
preoccupazione principale? Brecht vuole trattare come metafora dell’atteggiamento dominante della società
europea alla vigilia della guerra, e tutto riporta appunto alla Danimarca, perciò il luogo in cui è stata scritta
l’opera ha una grande importanza. Madre Coraggio, pur essendo sufficientemente lucida e intelligente, da
arrivare a capire la logica che è alla base della guerra, cioè che la guerra viene propagandata da chi la promuove e
da chi ha interesse ad alimentarla come un’attività di liberazione, di emancipazione delle masse, di orgogliosa
affermazione del sentimento nazionale. Ma la funzione propagandistica occultava la vera ambizione della guerra,
che per Brecht è sempre una finalità di tipo capitalistico, cioè serve a moltiplicare i profitti delle classi egemoni
che dal sistema di attività legate alla guerra possono soltanto ripromettersi un esplosione dei propri guadagni,
una moltiplicazione dei propri profitti.

Chi è Mutter Courage? Mutter Courage nella guerra dei trent’anni si adopera e si esaurisce in un segmento più
limitato, non copre dal punto di vista cronologico tutti e trenta gli anni di guerra ma solo la prima metà. E’ una
vivandiera, ha un carretto che trascina lungo gli scenari di guerra ed è un personaggio esplicitamente, del tutto
amorale. A lei non interessa nulla del destino delle persone con cui ha a che fare, delle sofferenze delle
popolazioni, tutto questo non la riguarda, lei teorizza che l’unica cosa che le interessa è sopravvivere e anche
arricchirsi. La guerra è sempre una fase di rimescolamento delle posizioni sociali, è possibile per esempio
arricchirsi, poiché la guerra è un motore di dinamismo sociale che permette rapide avanzate dal punto di vista
sociale. I personaggi infatti sono spregiudicati, naturalmente avidi, avventurieri e prosperano perché si creano le
posizioni per svolgere le attività che altrimenti non sarebbero lecite e sarebbero perseguite. Mutter Courage è
esattamente un personaggio di questo calibro. Percorre gli scenari di guerra dietro il suo carretto, cercando in
ogni circostanza di trarre profitto da ciò che sta accadendo, benché ( punto fondamentale ) le sia assolutamente
chiaro il carattere di sfruttamento della guerra, che gli argomenti adoperati a difesa della guerra sono argomenti
strumentali, funzionali ad alimentare il desiderio di guadagno di quanti dalla guerra possono augurarsi soltanto
un aumento dei propri profitti. Mutter Courage non è un individuo ridotto a livello del puro e semplice desiderio
animale di sopravvivere e star bene, lei è una persona che pur avendo una lucida e distinta consapevolezza del
carattere della guerra, sostiene di poter mantenere da quel carattere la distanza sufficiente ad uscirne non
compromessa dal punto di vista morire e anzi ad acquisire vantaggi personali, ad arricchirsi, ma in realtà proprio
con questo atteggiamento contribuisce alla macchina disumana della distruzione. Il fatto che lei si spinga ad una
lucida comprensione del carattere della guerra esprime anche un’aggravante, perché certo le masse di diseredati,
di soldati instupiditi e mandati come carne da macello al fronte non hanno nessuna alternativa, sono privi della
capacità di reagire, Mutter Courage invece viene intenzionalmente presentata da Brecht come dotata da una
raffinata capacità di intendere gli avvenimenti che avvengono attorno a lei quindi è ancora più colpevole perché,
pur avendo chiaro il carattere reale della guerra, da il proprio attivo contributo, si fa rotella del meccanismo
generale, partecipa all’incremento di questa macchina distruttiva. Il problema è che per i primi spettatori
dell’opera, questi aspetti rimangono occulti, recepiscono anzi un personaggio, in base anche alla relazione con i
suoi figli, che in una situazione di grave pericolo difende in ogni circostanza la vita dei propri figli - che in realtà
muoiono. Nessuno arriva ad intendere quale sia la logica globale he governa questo tipo di costruzione del testo
di Brecht. All’indomani della guerra Brecht provvede ad una riscrittura del testo e mette in rilievo alcune parti,
conferisce ulteriore chiarezza alle parti destinate a mettere in relazione la morte dei figli con alcune condotte di
Mutter Courage. Una scena non presente nella prima stesura è che la morte di uno dei figli, ovvero che uno dei
suoi figli venga reclutato e quindi venga mandato in guerra, avvenga dopo che Mutter Courage viene attirata e
finisce in una lunga trattativa per il prezzo di alcune merci, portandola quindi a distrarsi e allentare la custodia sul
figlio, del quale lei sapeva bene che non vedeva l’ora di andare in guerra, e che quindi fino ad un certo punto
riesce a tenere con sé, ma poi si lascia coinvolgere in una trattativa condotta ad arte da questi reclutatori quali
avevano capito bene il punto debole di mutter courage, cioè l’avidità e il guadagno, e nel trattare una cifra
sempre più alta, l’altro reclutatore approfittando di un momento di distrazione, porta con sé il figlio, facile preda
della propaganda di guerra poiché infervorato sull’amor di patria su cui gli argomenti della propaganda bellica
hanno già fatto una presa. Oppure una delle scene più chiare da questo punto di vista è la scena finale, molto
importante perché Brecht non si limita a fornire con il personaggio di Mutter Courage un modello negativo,
( qui si è interrotto e ha detto che continua dopo ok )
La Danimarca appartiene nei mesi in cui Brecht scrive l’opera a quei paesi che, nonostante sia chiaro quello che
sta per succedere ( 1 settembre 1939 le truppe tedesche invadono la Polonia e mettono a ferro e fuoco la città di
Danzica ), perché chiunque abbia gli occhi per vedere sapeva che dopo poche settimane sarebbe successa quella
catastrofe. Nelle opinioni pubbliche di molti paesi, paesi con una ramificata tradizione civile, un’antica
consuetudine di neutralità ( come i paesi scandinavi ), ma nell’opinione pubblica si tematizza apertamente la
possibilità di restare neutrali rispetto allo scoppio della guerra, e si argomenta chiaramente a favore
dell’opportunità di aspettare qualche settimana, vedere cosa succedere e poi scendere in campo di chi
verosimilmente potrebbe vincere ( la Germania emergerà come vincente nelle prime settimane ), per poter poi
dividere il bottino militare. E’ esattamente lo stesso comportamento che Brecht stigmatizza nel personaggio di
Mutter Courage, questo atteggiamento di furbo attendismo, l’illusione che ci si possa davvero chiamar fuori in
una situazione di tale emergenza, alimentato non solo dal fatto che si voglia restare per un po’ a guardare ma
che, anzi, questo stesso atteggiamento possa portare ad una convenienza personale, ad un vantaggio.
Stigmatizzando la condotta di Mutter Courage, Brecht stigmatizza anche il furbo attendismo dei governi, dei
paesi delle opinioni pubbliche che si cullavano nell’illusione che la guerra non li avrebbe direttamente riguardati
e che avrebbero potuto passare le prime settimane di guerra in una condizione di attesa passiva, una condizione
di neutralità in attesa di comprendere la piega che gli avvenimenti avrebbero preso e quindi di portare soccorso
al vincitore per ottenere un frammento dei guadagni del vincitore. E’ esattamente lo stesso atteggiamento di
Mutter Courage che trascorre lungo tutti i possibili scenari di guerra trascinandosi dietro il suo carretto, al quale,
al carretto e al gesto di trascinarlo indifferente a tutto ciò che accade intorno a sé Brecht attribuisce una funzione
simbolica afferente alla sfera dei V-EFFEKTE, cioè collega il trascinare il carretto una EPISCHE GESTE
( gesto epico ), perché attraverso la ripetizione eterna, ottusa dell’uguale, Brecht stabilisce un rimando alla
persuasione cinica di Mutter Courage che nulla possa cambiare, nulla possa essere trasformato e che quindi al
singolo convenga cercare un margine, uno spazio per incrementare il proprio guadagno. Il gesto del lento,
passivo trascinamento di questo carretto è per Brecht una forma simbolica che deve attirare l’attenzione dello
spettatore sulla concezione del mondo di Mutter Courage, che non riesce a vedere oltre l’orizzonte segnato da
una linea incisa sulla terra dalle ruote del proprio carretto, e trascina passivamente e senza la possibilità di
guardare oltre questo limitatissimo orizzonte la propria merce. C’è quindi una relazione di inscindibile unità con
la sfera del proprio possesso materiale; può perdere tutto, perde figli uno dopo l’altro, ma non il proprio
carretto.
La scena finale: Mutter Courage ha due figli maschi e una figlia femmina, il primo figlio maschio è quel
FESSACCHIOTTO descritto prima, che muore in guerra. Il secondo invece ha una storia diversa, diffida da
tutto ciò che abbia a che fare con il valore, l’affermazione della propria virilità ma muore anche lui, benché
avesse trovato una posizione in cui questi aspetti fossero apprezzati e che gli permettevano di sopravvivere
dignitosamente durante il corso della guerra, viene cioè messo a guardia di una cassa di un reggimento, ma una
serie di vicende, continui spostamenti di fronte comuni negli scenari di guerra, ne determinano la morte. Resta la
figlia, che si chiama Kattrin, coerentemente anche con il carattere aristotelico del teatro di Brecht, è muta. Lo
diviene dopo un oltraggio non precisato ( probabilmente una violenza sessuale, patita durante la guerra ), e può
quindi solo gesticolare. Affida l’espressione di sé all’attività del corpo, gestuale, coerentemente quindi con il
rilievo che ha la dimensione dell’organico, la dimensione del corpo e del gesto ha nel teatro brechtiano un
elemento di rottura del logocentrismo del teatro aristotelico, nel quale tutto funziona attraverso le relazioni che
si stabiliscono con il dialogo tra i personaggi. Brecht prova a spostare l’accento, la direzione dell’umano, Brecht
prova a realizzare il significato simbolico della capacità espressiva del corpo, della sfera organica, e tutto in
reazione al logocentrismo aristotelico. Questa persona muta, ferita, reietta, oltraggiata assume, con assoluta
chiarezza, il ruolo di eroe positivo, di riferimento positivo. In Brecht tutto deve tendere a permettere allo
spettatore di pensare, però c’è anche nel teatro di Brecht una forte componente didattica. Lo spettatore non può
proprio pensare quello che vuole, non è lasciato libero di pensare, oppure arrivare a pensare qualcosa di
contrario all’ispirazione politica umanistica del dramma, non è che alla fine lo spettatore siccome è “libero” ne
deve uscire nazista (...). E’ una libertà condizionata, che deve esercitarsi all’interno di un perimetro. In questa
direzione vanno tutti gli accorgimenti che fanno capo a quella sfera di carattere didattico del teatro brechtiano
che è molto marcata, tra cui per esempio un personaggio palesemente connotato in termini positivi, che deve
fungere da punto di riferimento, da aggancio al quale lo spettatore deve potersi agganciare per non restare
completamente abbandonato a se stesso, per non restare completamente privo di riferimenti. C’è il modello
negativo, e il modello positivo, Kattrin. Nella scena finale, Mutter Courage e la figlia sono già rimaste sole, i due
figli maschi sono morti, e si trovano a pernottare in una masseria di contadini. Qui, vengono sorpresi nella notte
da un’incursione di una pattuglia dell’esercito cattolico, che ha avuto una soffiata ed è venuto a sapere che
proprio da quella masseria parte un sentiero che permette di raggiungere, sfuggendo al controllo delle sentinelle,
la città di Halle, una roccaforte del protestantesimo in Germania, era una delle città più frequentemente al centro
delle campagne militari durante la guerra dei 30 anni. Questa pattuglia quindi comincia a minacciare
pesantemente questi contadini, chiedendo di essere condotti lungo questo percorso perché, una volta arrivati in
città, avrebbero potuto aprire la strada all’esercito ed Halle sarebbe stata messa a ferro e fuoco. La prima
reazione di questi contadini è: mai, piuttosto ammazzateci, ma noi non ammazziamo i nostri confratelli. Ma il
soldato cattolico gli dice di non volerli ammazzare, di essere venuti in pace, e che gli avrebbero però ammazzato
il bestiame. I contadini si ribellano, perché “il bestiame no”, e anche qui Brecht stigmatizza il comportamento
dei contadini come quello di Mutter Courage, perché conta di più la merce che la loro stessa vita. Di fronte a
questa minaccia, per loro molto più grave, uno dei contadini si presta di buon grado a condurli al sentiero. A
questo punto, Kattrin, che non può parlare, compie un altro gesto epico e munita di oggetti rumorosi, sale su
una torretta della masseria inizia a fare un sacco di rumore. Viene intimorata di scendere, e con un colpo d’arma
la fanno fuori. Ma la città è salva grazie all’eroismo di Kattrin. Cos’ha fatto Kattrin, nella logica non della guerra
dei 30 anni, ma nella logica del presente in cui Brecht scrive l’opera? Ha compiuto un atto di resistenza attiva alla
guerra, rimettendoci la vita. Funge da riferimento positivo, da modello di condotta virtuosa di fronte alla
estremità del pericolo, rispetto all’antieroe rappresentato da Mutter Courage. Questo è per richiamare un aspetto
del teatro di Brecht, cioè la sua componente di carattere didattico.
“Ma questi Verfremdungs Effekte dove sono?” Com’è possibile mettere in relazione il testo con quanto detto
sulle caratteristiche generali del teatro di Brecht? Ovviamente, si può fare fino ad un certo punto, perché manca
il modo in cui questi effetti si materializzano concretamente, ci manca la rappresentazione. Per quanto riguarda
invece il testo, gli effetti di straniamento, le deviazioni chiave rispetto alla regola aristotelica si trovano nella
struttura del dramma, che non ha nulla in comune con quella aristotelica, non sono i cinque atti in cui una sola
vicenda viene progressivamente sviluppata in modo coerente e secondo passaggi logici perfettamente ricostruiti,
ma sono delle scene. Sono delle scene auto concluse, la scena successiva non ricomincia nel punto in cui era
terminata la scena precedente, ma sono una vicenda “chiusa”, cioè sono delle scene con evidente carattere
narrativo, cioè epico. Ogni scena, oltretutto, è introdotta da una più o meno lunga didascalia che non ha la
funzione che non ha la funzione che normalmente le didascalie hanno nel teatro tradizionale, ovvero descrivere
la scena, contribuire materialmente alla realizzazione di quello spazio in modo che sia creduto vero. Nel teatro
aristotelico, una didascalia crea coerenza con l’azione. Queste didascalie non hanno questa finalità in Brecht ma,
spesso attraverso azioni simboliche, attraverso il linguaggio formulare, allusivo e non immediatamente chiaro,
forniscono al lettore degli elementi di prima interpretazione della vicenda. Nella vicenda aristotelica lo spettatore
non deve sapere nulla, perché deve abbracciare il destino dell’eroe amplificando le proprie capacità affettive. In
Mutter Courage, un tipico effetto di straniamento brechtiano, l’azione vera è propria è introdotta dalla lettura di
questi testi che mettono lo spettatore sulla strada giusta, gli forniscono dei primi elementi di interpretazione di
quanto accadrà, distraggono lo spettatore dal seguire con spirito di empatia quanto sta per accadere perché lo
spettatore ha già un’idea, un’opinione, e farà quindi avanti e dietro i due piani e si distrarrà, cosa importante per
la riflessione. Un altro mezzo di straniamento tipico di Brecht, in Mutter Courage, è il canto. ( Brecht è
famosissimo per le sue collaborazioni con i musicisti, poiché le sue opere contengono parti musicali molto
ampie ) In Mutter Courage ci sono tante canzoni, che sono poi diventate di uso comune nella Germania del 900.
L’opera teatrale non si può cantare, il personaggio smette di agire e dice “adesso canto”. Il canto sposta l’attività
dell’attore su un altro livello, rompe la compattezza della superficie, nel teatro aristotelico l’attore recita, non si
ferma per cantare. E’ un mezzo tipicamente antidrammatico, evidentemente epico.

THE END.

Potrebbero piacerti anche