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SAPER STARE AL MONDO

Barbara Balconi
INTRODUZIONE
Qual è il mandato della scuola oggi? Quali competenze occorre promuovere per formare i cittadini
di oggi e di domani? C’è sempre coerenza tra i valori di cittadinanza che dichiariamo e le pratiche
didattiche che mettiamo in atto? In che modo è conciliabile l’ambiguità tra il formare cittadini liberi,
responsabili, dotati di un pensiero critico e autonomo e la necessità di far rispettare le regole
dell’istituzione scolastica? L’obiettivo di questo lavoro è andare al di là delle numerose dichiarazioni
d’intenti o di singoli progetti circoscritti che dilagano nelle scuole di oggi e di fornire strumenti per
attivare un’analisi costante delle pratiche didattiche agite quotidianamente e di valutarne le
implicazioni sulla promozione di cittadinanza attiva. Oggi, in una società attraversata da profonde e
continue trasformazioni, la definizione del termine “cittadinanza” e l’esercizio critico sulle pratiche
didattiche di educazione alla cittadinanza rappresentano questioni salienti, che ogni insegnante
dovrebbe accogliere nel proprio sguardo professionale. Si intende mostrare come la promozione
della cittadinanza richieda di conoscere la scuola come un ambiente che svolge la questione
“primaria” di dar senso, coerenza, praticabilità e consapevolezza ai saperi dei bambini. Tale funzione
diviene possibile solo se si attua il passaggio verso una scuola che offra forme di conoscenza più
responsabili, in cui le discipline sono intese come strategie di costruzione del sapere, in grado di
offrire chiavi di lettura non univoche ai problemi, ma aperte e innovative.

PARTE 1: L’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA NELLA STORIA E NELLA CONTEMPORANEITA’


CAP. 1: EDUCARE ALLA CITTADINANZA NELLA STORIA DELLA PEDAGOGIA

Ogni epoca forma le persone in riferimento a un proprio modello di cittadino, che risponde a ideali
in grado di garantire il funzionamento di una determinata società. Si può così sostenere che i modelli
educativi cambiano al variare delle esigenze della società. Società e educazione hanno sempre
intrattenuto un rapporto di interdipendenza: l’accesso all’istruzione e il tipo di educazione impartita
corrispondono alle diverse idee di Stato e cittadino.
1. BENE INDIVIDUALE E BENE COLLETTIVO: LA TENSIONE FONDATIVA DELL’EDUCAZIONE ALLA
CITTADINANZA OCCIDENTALE
La prospettiva storiografica di Franco Cambi consente di individuare nel pensiero greco le tracce più
significative del rapporto tra cittadinanza e educazione. E’ nell’antichità che l’Occidente elabora
alcune delle sue strutture educative più profonde e che permangono centrali al giorno d’oggi:
identità della famiglia, organizzazione dello stato, istituzione scolastica, miti educativi, riti di
passaggio, importanza della vita quotidiana nel percorso formativo del cittadino.
Tre sono gli aspetti fondativi per l’educazione antica nel mondo occidentale: nascita della scuola,
teorizzazione dell’idea di paideia e la figura del pedagogo. Nell’antichità greca si pongono le basi
affinchè la scuola sia concepita come istituzione collocata al centro della vita sociale. Si passa dalle
scuole libere e statali, al collegio, fino ad arrivare alla scuola. Con questa compare anche la figura
del padagogo, accompagnatore di fanciulli. Inizialmente il pedagogo era un servo anziano, che
conduceva a scuola il proprio padrone; nell’antica Roma era un precettore a cui era affidata
l’istruzione linguistica dei fanciulli.
Con i sofisti e Socrate si afferma la paideia, diretta allo sviluppo di un’identità culturale, sociale e
spirituale. Nel mondo greco diviene il fine dell’educazione, ideale di perfezione morale, culturale e
civica. Da tale concezione politica e sociale della natura dell’uomo discende l’idea di un’educazione
unica e uguale per tutti, pubblica, perché la realizzazione del cittadino corrisponde a quella dello
Stato.
La riflessione di Platone e Aristotele attorno ai temi di democrazia e cittadinanza risulta ancora oggi
punto di riferimento per inquadrare questioni etico-morali e per orientare la definizione delle
caratteristiche del buon cittadino, cioè di colui che in modo virtuoso si mette a servizio della
comunità. Si parla di “miracolo greco” per sottolineare l’importanza che il pensiero greco ha imposto
all’organizzazione, in ambito sociale e politico, delle società occidentali. Le tre direzioni di tale
influenza sono: laicizzazione della cultura che porta all’abbandono delle pratiche magiche ed
esoteriche, centralità della ragione diretta all’individuazione della verità e razionalizzazione intesa
come logos.
Socrate muove in direzione di una radicalizzazione del rapporto dell’individuo con il potere politico
e religioso della polis. La formazione umana è per lui maieutica e trova strutturazione a partire dal
dialogo che si compie con il maestro che solleva dubbi per la successiva formalizzazione di idee
universali. Questo modello agisce su tutta la pedagogia occidentale successiva.
Platone: l’uomo virtuoso e giusto è colui che pur pensando a sé, presta attenzione all’altro. Elabora
una delle prime teorizzazioni di giustizia come la necessità di mantenere un equilibrio tra benessere
personale e collettivo.

Aristotele, partendo dal pensiero di Platone, elabora una concezione di giustizia di tipo realistico,
che non assume come riferimento una forma perfetta e ideale, ma quella migliore tra quelle
esistenti. Definisce il concetto di giustizia distributiva: distribuzione di beni e oneri a tutti i membri
della società.
2. IL PERIODO MEDIOEVALE: IL CITTADINO TRA CHIESA, BOTTEGA E NASCITA DELL’UNIVERSITA’

Nel periodo medioevale, con l’avvento del cristianesimo, si ha un nuovo modello di uomo e cittadino
egualitario, solidale, le cui virtù sono umiltà, castità e povertà. La Chiesa diventa la principale agenzia
educativa.
Anno Mille: mutamento cruciale con lo sviluppo del commercio→si afferma una società comunale
e urbana che crea le condizioni per una nuova educazione del cittadino, ora legata al lavoro:
l’apprendistato a bottega o nei campi forniva una formazione tecnico-professionale e dei valori
etico-civili.
Nel basso Medioevo nascono le prime università, in Europa e in Italia, che diventano luogo di
trasmissione della cultura riconosciuta. Lezione: prima lettura dei testi (lectio), seguiva una
spiegazione e interpretazione funzionali alla quaestio (problema che dà luogo alla disputa). Il
maestro articolava una conclusione. Si trasforma il mondo del lavoro: richiede competenze
specializzate e coinvolge individui legati da conoscenze e interessi comuni→ nascono le
corporazioni.
3. LA RIVOLUZIONE PEDAGOCICA DELLA MODERNITA’: UN DIFFICILE EQUILIBRIO TRA LIBERTA’
INDIVIDUALE E CONTROLLO SOCIALE
Con l’epoca della modernità (tra scoperta dell’America e Rivoluzione francese) si assiste a una
rivoluzione pedagogica che ridefinisce l’ambito dell’educazione civica. E’ definita “età delle
rivoluzioni” poiché dà il via a processi di emancipazione sociale che portano alla legittimazione delle
differenze e all’elaborazione di diritti universali dell’uomo, tra cui la libertà dell’individuo nella
società. Nasce un sistema sociale che fa perno sull’individuo, si ha un nuovo ideale di cittadino la cui
identità è costruita dal ruolo lavorativo e dall’adesione ai valori della società. Acquisiscono ruolo
centrale le scuole, esercito, ospedali, prigioni, manicomi dove diventa marcato il controllo e la
conformazione sociale. La scuola ha la funzione di trasmissione di un’ideologia legata alla
conservazione e al rispetto dell’ordine sociale. La formazione scientifica e analiticamente
organizzata crea figure professionali competenti in relazione alle diverse esigenze del nuovo sistema
economico e lavorativo. Si assiste a un processo di legittimazione delle differenze sociali e culturali
che conferisce identità al popolo.

Nasce la pedagogia come scienza e come campo di sapere sulla formazione umana→ pedagogia
sociale. Comenio: universalizzazione dell’educazione= proposta educativa rivolta all’intera
popolazione, senza differenze di sesso e ceto sociale, elabora strategie per istruire simultaneamente
tutti gli scolati di un’intera classe.

Hobbes: l’incapacità dell’individuo di raggiungere forme di convivenza pacifiche in grado di


preservare la società da conflitti e di garantire la sicurezza dei cittadini lo conduce a attribuire un
ruolo decisivo a un potere centrale (Stato) che limiti, attraverso continua sorveglianza, i
comportamenti ritenuti pericolosi. La conservazione della vita diventa il bene primario da difendere
a scapito del bene collettivo. E’ la politica che svolge la funzione di preservare la convivenza civile
che deve avvenire con l’esercizio di un continuo terrore e controllo. Il principio della libertà
individuale a cui appellarsi nel reclamare i diritti dell’uomo, in opposizione ai controlli
dell’organizzazione sociale, diviene il criterio della formazione dell’individuo. Da qui nasce la spinta
alla promozione della libertà della cultura scolastica, la libertà d’insegnamento, libertà dell’allievo,
che caratterizzano l’epoca moderna. Queste antinomie sono riconfigurate nel pensiero di Rousseau.
Delinea due direzioni: quella sviluppata nel Contratto Sociale, diretta al governo della comunità e
quella dell’Emilio, individualistica e libertaria.
Lo sviluppo del concetto di cittadinanza è uno degli aspetti salienti del mondo moderno. La
configurazione moderna della cittadinanza è elaborata da Locke. E’ stabilita una stretta relazione tra
cittadinanza e proprietà e si mettono in evidenza le libertà del cittadino anche nei confronti del
sovrano e delle sue leggi.
4. L’ETA’ CONTEMPORANEA: L’EDUCAZIONE TRA IDEOLOGIA E POLITICA

Cambi fa coincidere con la Rivoluzione francese la nascita convenzionale dell’età contemporanea


che corrisponde all’epoca dei processi di industrializzazione in Occidente e dello sviluppo dei diritti
delle masse e della democrazia. Età dei diritti, dell’uomo, del cittadino, dei bambini, della donna,
del lavoratore, delle minoranze, era della democrazia, sviluppo del cittadino-borghese che,
possedendo autonomia, opinioni e bene, diviene soggetto politico con pieni diritti.
Nell’ 800 e nel 900 l’educazione diviene il baricentro della vita sociale, le tensioni rivoluzionarie e le
trasformazioni dell’industrializzazione promuovono un’attribuzione di valore al pensiero
pedagogico e all’educazione e uno sviluppo della pedagogia come disciplina, in cui si è posto al
centro la funzione politica della pedagogia (la politica progetta programma e interventi
sull’educazione, sull’istruzione e sulla formazione di massa; nel fascismo, nel nazismo e nello
stalinismo, la pedagogia è divenuta la longa manus della politica nella società) e il suo collocarsi
all’interno della società, rispetto alla quale agisce come sintesi di prospettive e di valori. La scuola,
statalizzata e resa obbligatoria si è caratterizzata per le finalità socio-politiche; il tempo libero,
gestito da associazioni statali, è sempre più infiltrato di finalità collettive e obiettivi sociali.
Carattere che attraversa la contemporaneità riguarda il rinnovamento dell’istituzione scolastica in
un’ottica di funzionalizzazione nei confronti della società industriale, democratica e di massa. Si
sono rinnovati programmi e modelli culturali per una società produttiva, pluralistica e aperta. La
scuola obbligatoria, pubblica e statale si colloca nella società con ruolo decisivo: gratuità e obbligo
di frequenza per tutti i cittadini è connesso al proposito di contribuire alla definizione di cittadino
moderno (cittadino perché parte di uno stato, del quale riconosce le leggi, contribuisce alla sua
difesa e perpetua la sua prosperità).
Il sapere pedagogico, in età contemporanea, ha subito modifiche: si è emancipato rispetto alla
metafisica, si è articolato in relazione a una serie di saperi scientifici, psicologia, sociologia e
antropologia.
L’800 è stato, da un lato, il secolo del trionfo della borghesia e, dall’altro, ha portato con sé del
socialismo-comunismo. Secolo caratterizzato da forti tensioni di classe che hanno investito le
ideologie, la politica e l’intera cultura e vita sociale. Ciò ha prodotto un’affermazione dell’educazione
e della pedagogia come ambiti decisivi per l’esercizio del controllo sociale e del potere e quindi per
la progettazione politica. Già in Pestalozzi si può cogliere lo stretto collegamento tra pedagogia e
società. La disciplina e il lavoro e la formazione dell’uomo sono visti come esercizio della libertà e
della partecipazione alla vita collettiva, economica e sociale. La scuola, per Pestalozzi, è di tutti e per
tutti. È una scuola che forma insieme l’uomo e il cittadino e che risponde ai bisogni sociali.

5. IL 900: L’ESPERIENZA DELL’ATTIVISMO E LA SCUOLA COME LAB. DI DEMOCRAZIA


L’esperienza che ha caratterizzato di più lo sviluppo dell’educazione alla cittadinanza nel corso del
XX secolo è quella della pedagogia attiva. La scuola del secondo 900 si è aperta alle masse e si è
posta come istituzione centrale delle società democratiche. L’attivismo è stato un movimento
internazionale che ha avuto larga influenza sulle pratiche quotidiane dell’educazione, teorizzando
un rovesciamento dell’educazione in direzione del protagonismo e della centralità del bambino nei
processi di apprendimento. Il fanciullo è attivo e libero da vincoli, l’apprendimento deve avvenire a
contatto con l’ambiente esterno, promuovere le attività corporee e manipolatorie, l’attività
intellettuale non è mai scissa dall’attività pratica.
Rosa e Carolina Agazzi: fautrici di un metodo innovatore per la scuola materna che valorizza la
propensione all’attività dei bambini e il senso di collaborazione.
Giuseppina Pizzigoni: scuola “Rinnovata”, favorisce l’apertura della scuola nei confronti degli stimoli
e delle proposte del mondo esterno.
Dewey: ruolo fondamentale alla riflessione politica che ruota attorno al principio della democrazia,
cioè la forma più avanzata della società industriale di massa, costruita attraverso l’opera
dell’educazione scolastica. Idea di riconfigurare la scuola nella sua organizzazione strutturale e di
concepirla come un laboratorio. Fondamentale favorire lo sviluppo dell’opinione pubblica, che
permette di creare quella grande comunità capace di autoregolarsi attraverso il controllo collettivo
dell’intelligenza promossa al centro della vita sociale. La scuola deve procedere unitamente al
progresso sociale, diventando una comunità in miniatura all’interno della quale fare esperienze. La
scuola di costituisce di laboratori in grado di collegare le attività scolastiche alle attività produttive
e familiari e capace di creare motivazioni più concrete rispetto ai contenuti di apprendimento. La
scuola deve promuovere nella società un incremento progressivo di democrazia, cioè di capacità di
partecipare da protagonisti alla vita sociale, sviluppando e promuovendo quelle competenze che
consentono di dialogare con gli altri e di collaborare a fini comuni. Si ritiene che la scuola debba
seguire il metodo della scienza, che è basta sulla libera indagine e la verifica intersoggetiva dei
risultati e dunque reca in sé i valori della democrazia. Le scuole-laboratorio pongono al centro il
bambino e i suoi interessi, legandoli alla vita sociale e all’ambiente umano e produttivo che lo
circonda. Il maestro è chiamato a partecipare alla scelta di finalità didattiche, dei metodi di
insegnamento e dei materiali della scuola.
6. IL SECONDO 900: L’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA NELLA PRATICA SCOLASTICA
QUOTIDIANA
Il movimento delle scuole attive in Europa si incarna in personaggi come Freinet. Le relazioni umane
vengono mediate dallo stare insieme in modo cooperativo tramite un’idea di lavoro teso a
emancipare la persona e favorire una responsabilizzazione a livello sociale. La scuola è un cantiere
in cui il lavoro si svolge con collaborazione e impegno. Importante garantire l’eguaglianza delle
opportunità di fronte all’istruzione e promuovere percorsi di emancipazione dell’alunno dell’alunno
facendolo diventare un essere pensante e un cittadino attivo, consapevole dei propri compiti e dei
propri spazi di autonomia. Nell’esperienza italiana questa eredità è stata raccolta dal Movimento di
cooperazione educative (MCE): la scuola deve diffondere cultura disinteressata, priva di interessi di
singole fazioni della società e deve creare profili professionali per formare professionisti esperti nei
diversi ambiti della produzione. La scuola deve allenare al suo interno all’esercizio della democrazia,
diffondendo pratiche di discussione e di dialogo, di confronto collettivo. Tra gli esponenti di MCE vi
è Mario Lodi, maestro attivo politicamente e culturalmente, assume nel suo pensiero pedagogico
alcune tecniche teorizzate da Freinet. I bambini attraverso esperienze dirette e autentiche
sperimentano il protagonismo della loro formazione. La democrazia entra in classe: disposizione
spazi, responsabilizzazione bambini, rispetto di regole che rendono possibile l’esercizio della libertà.
I bambini portano il loro mondo dentro la scuola e lo condividono. Don Milani: scuola alternativa
che non perde nessuno. Impegno dello stato di dedicarsi al prossimo. Non possono essere insegnati
concetti teorici fini a se stessi. La scuola deve partire dai bisogni dei bambini. Bruno Ciari: inserisce
la sperimentazione del tempo pieno. Il progetto pedagogico e il tema della partecipazione sono
molto intrecciati e il punto di contatto risiede nell’autogestione o gestione comunitaria. La scuola
deve rispondere a un’opera di promozione sociale il cui presupposto è l’intreccio tra uguaglianza e
spirito cooperativo; deve trovare un dialogo continuo con il tessuto sociale: genitori, cittadini, lavori
e comunità devono essere coinvolti al fianco degli insegnanti. Freire: per tutta la vita cerca di
valorizzare la cultura locale dei suoi alunni e di mostrare il ruolo formativo che tale cultura riveste
nella formazione. Nel dialogo si ha lo scambio formativo tra insegnante e alunno.
CAP.2: EDUCARE ALLA CITTADINANZA: IL DIBATTITO CONTEMPORANEO

Il termine cittadinanza è uno dei nodi salienti del dibattito attuale nelle scienze umane. L’avvento
delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione se, da un lato, hanno dato luogo a
un positivo incremento delle possibilità di arricchimento sociale, dall’altro hanno portato a crescenti
occasioni di confronti e scontri fra persone con un diverso background etnico, linguistico e culturale.
Audigier afferma che la radicalità dei cambiamenti in atto ha indotto la ricerca pedagogico-didattica
a ripensare il ruolo della scuola a partire da una profonda messa in discussione del significato e delle
finalità di educare alla cittadinanza.
Santerini evidenza la caratterizzazione polisemica del termine cittadinanza: 1. Status di
appartenenza in cui si considerano diritti e doveri correlati all’essere cittadini; 2. Concezione ideale
di cittadinanza come modello valoriale a cui tendere per progettare una convivenza umana più
solidale e inclusiva.
Audigier individua 3 aspetti che qualificano lo statuto di cittadinanza all’interno dei sistemi
democratici: 1. Appartenenza come dimensione affettiva che consente lo sviluppo di legami
intergenerazionali tra cittadini e promuove senso di solidarietà tra i cittadini. 2. Collettività che può
essere locale o dello stato, che fonda un’appartenenza nazionale. 3. Diritto alla partecipazione alla
gestione del potere, sia in forma diretta, sia mediante strumenti di rappresentanza.
In una società democratica il cittadino è una persona titolare di diritti (il primo è quello di stabilire
la legge) e doveri (il primo è quello di rispettarla, esercitando la propria libertà).
1. STUDI POLITICO-GIURIDICI E CITTADINANZA: QUALE RAPPORTO?
E’ utile porre l’attenzione sulla tradizione degli studi giuridico-politici e sull’elaborazione del
rapporto tra il concetto di cittadinanza e l’attribuzione di diritti civili, politici, sociali all’individuo di
uno Stato. Tale concezione si afferma tra i secoli XVII-XVIII con il riconoscimento dei diritti di libertà
individuali (di pensiero, religione, proprietà) e nel corso del XX sec. Si rafforza con la piena
formalizzazione dei diritti politici (diritto di voto) e sociali (diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute).
E’ possibile individuare tre generazioni di diritti umani.
1) Diritti BLU: diritti civili e politici volti a garantire le libertà individuali (manifestazione del
pensiero, confessione religiosa e ideologica, autodeterminazione, voto). Essi trovano le
prime formalizzazioni nella Carta dei Diritti degli Stati Uniti e nella Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino. Sono basati su un principio di protezione delle libertà individuali
nei confronti delle azioni arbitrarie dello Stato e si riferiscono anche al diritto ad un giusto
processo o al diritto alla libertà dalla tortura.
2) Diritti ROSSI: di ambito economico, sociale e culturale (diritto al lavoro, all’istruzione, alla
salute, all’assistenza). Soddisfazione dei bisogni dell’individuo, aspetti dell’esistenza
necessari a garantire uguali condizioni di sviluppo della persona. Sono stati prevalentemente
riconosciuti negli anni successivi alla 2 guerra mondiale.
3) TERZA GENERAZIONE: trovano elaborazione in risposta alle sfide della globalizzazione nei
decenni finali del secolo scorso (diritto alla pace, di partecipazione al patrimonio culturale,
allo sviluppo economico e sociale). Diritti verdi: diritto all’acqua potabile, a un ambiente
salubre, al controllo delle risorse naturali, all’equilibrio ecologico); testimoniamo conquiste
per lo sviluppo sostenibile del pianeta.
4) Se ne aggiunge una quarta che fa seguito ai recenti sviluppi della ricerca scientifica in campo
genetico, bioetico e delle nuove tecnologie della comunicazione, diritto alla morte assistita,
di proprietà intellettuale, alla tutela della riservatezza alla protezione dei dati personali.
Le ultime due generazioni dischiudono elementi di problematicità, tra cui il principio per il quale
ogni diritto deve corrispondere, da un lato, il dovere di uno Stato nazionale di garantirne le
condizioni necessarie ad un effettivo esercizio e, dall’altro, la presenza di un soggetto istituzionale
in grado di tutelarne l’applicabilità; condizioni che difficilmente trovano realizzazione nel caso dei
diritti di più recente formalizzazione.
Definizione di cittadinanza di Marshall: fascio di diritti in espansione. Il processo di evoluzione
storica in relazione alla successione delle 4 generazioni di diritti può essere letto anche nei termini
di un progressivo riconoscimento di diritti all’individuo secondo una linea di tendenza egalitaria. Lo
schema di Marshall consente di individuare una tripartizione del concetto e delle pratiche di
cittadinanza nel corso dell’evoluzione storica e di distinguere al suo interno una dimensione civile,
politica e sociale: alla cittadinanza civile (esercizio di libertà individuali: diritto di pensiero,
confessione religiosa e ideologica e di proprietà), segue la cittadinanza politica, propria di uno Stato
liberale e costituzionale che garantisce la partecipazione nell’esercizio del potere alle classi sociali
storicamente subalterne e la cittadinanza sociale che si riferisce alle condizioni per garantire il
benessere economico, culturale e sociale dell’individuo (diritto all’istruzione, alla redistribuzione del
reddito da parte dello Stato, all’assistenza, alla copertura dei bisogni essenziali). Tutte e 3 le tipologie
intrattengono un legame profondo con le pratiche didattiche messe in atto a scuola e costituiscono
dei principi organizzatori dei processi di insegnamento e apprendimento: rispetto ai diritti civili, ci si
potrebbe chiedere quali libertà (pensiero, parola, proprietà) sono effettivamente esercitate dai
bambini e dagli insegnanti a scuola. Diritti politici sono davvero esercitati all’interno della scuola o
sono destinati ad un eventuale esercizio solo quando gli studenti diventano adulti? Diritti sociali:
occorre chiedersi come vengono stabilite le regole della convivenza tra insegnanti e bambini.
2. DIRITTI E CITTADINANZA ATTIVA
Molti studiosi pongono l’attenzione alla dimensione attiva della cittadinanza, come esercizio di
diritti e partecipazione alla/e comunità di appartenenza, finalizzata alla messa in pratica di
competenze che rendano efficace l’agire cittadino. Moro: la cultura alla cittadinanza attiva può
essere definita come un insieme di comportamenti tesi al protagonismo sociale, volto alla
riappropriazione al potere di influenzare le scelte rispetto alle decisioni che riguardano la propria
qualità della vita e si manifesta come istanza di partecipazione del cittadino verso le strutture che
regolano servizi di pubblica utilità. Mette in relazione il fenomeno della crescita della partecipazione
civica con il progressivo calo di partecipazione al voto e sottolinea come per rendere operativa tale
prospettiva democratica sia necessaria un’azione dell’amministrazione pubblica che gestisca in
modo consapevole le potenzialità e risorse del territorio.
Saraceno: evidenzia la complessità intrinseca del costrutto di cittadinanza attiva data dall’intreccio
di diverse dimensioni. Da un lato le dimensioni soggettive (aspetti emotivo, affettivi, cognitivi) e
oggettive (livelli giuridico, politici, sociali, culturali e morali); dall’altro le dimensioni di genere ed
età. Occorre promuovere infatti una cittadinanza che tenga conto dei percorsi di vita complessi
perché più esposti alla vulnerabilità di mercati del lavoro flessibili e perché multidimensionali e con
differenti esigenze manifestate nelle diverse tappe di vita.
Dal punto di vista culturale e pedagogico la cittadinanza globale e democratica sono una sfida
possibile. La cittadinanza globale è il livello di appartenenza che supera la dimensione locale e
nazionale, in vista di un unico sistema-mondo che presuppone in ogni persona la coesistenza di una
pluralità di identità e una molteplicità di appartenenze (familiare, sociale, etnica, religiosa, culturale,
professionale): il cittadino globale è colui il quale esercita i suoi diritti in quanto cittadino di uno
stato ma anche e soprattutto come persona. La cittadinanza democratica attribuisce a ogni persona
la libertà di occuparsi della comunità attraverso l’affermazione dei propri diritti ma anche di quelli
altrui. Cittadinanza flessibile: tensione tra locale e globale da parte di chi vuole mantenere una
doppia cittadinanza. In relazione ai cambiamenti tecnologici si è fatto riferimento al concetto di
cittadinanza virtuale o digitale.

Questi riferimenti fanno riflettere sull’ambiguità di tale concetto che contribuisce ad ampliare gli
elementi di discordanza delle pratiche educative connesse alla sua promozione. Difficoltoso è il
raccordo tra il piano ideale cui si è fatto finora riferimento e quello proprio della pratica educativa
e didattica che caratterizzano la vita di tutti i giorni della scuola. Audigier situa tali tensioni al centro
della riflessione sull’educazione alla cittadinanza; la scuola è il luogo formalmente deputato a
formare i cittadini e a promuovere i valori della democrazia, ma la scuola stessa non è una
democrazia, insegnanti e alunni, adulti e bambini hanno ruoli e funzioni diverse, innanzitutto
rispetto alla dimensione e alla distribuzione del potere. Queste contraddizioni impongono
all’educazione alla cittadinanza e alla scuola come istituzione educativa, la necessità di perseguire
un principio di coerenza tra le scelte e le modalità di azione degli adulti e i valori di cittadinanza cui
si dichiara di aderire. Tale principio di coerenza è da riferirsi sia ai singoli elementi che entrano in
gioco nella costruzione del contratto didattico (tempi, spazi, modalità di discussione e valutazione),
sia all’ambito più esteso relativo alla definizione del curricolo (rapporto tra i traguardi competenza
dichiarati dall’insegnante e le metodologie didattiche messe in atto). E’ l’effettiva messa in opera di
tale principio di coerenza in ogni azione del processo di insegnamento-apprendimento che consente
alle contraddizioni che caratterizzano l’educazione alla cittadinanza di agire come risorse generative
in grado di favorire una continua interrogazione rispetto alle direzioni e alle intenzioni che orientano
le pratiche scolastiche di tutti i giorni e alla possibilità che offrono agli alunni di fare realmente
pratica di esperienze di cittadinanza.
3. IL RAPPORTO EURYDICE 2012
Tale indagine si occupa di monitorare l’implementazione delle competenze chiave nei sistemi
educativi europei. Sostenere lo sviluppo di tali competenze garantisce che l’apprendimento e
l’insegnamento continuino a riflettere i bisogni delle persone e della società, rafforzando il legame
tra dentro e fuori la scuola. Competenze chiave= quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione
e lo sviluppo personale, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Tra le competenze
chiave presenti nelle Raccomandazioni parlamentari compaiono le competenze sociali e civiche che
consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa,
alla vita in società sempre più diversificate. La competenza civica dota le persone degli strumenti
per partecipare alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture sociopolitiche.
L’obiettivo del rapporto è quello di presentare i risultati di alcune delle sfide che i Paesi europei
stanno affrontando nell’implementazione del metodo basato sulle competenze chiave e di
individuare le aree problematiche e gli ostacoli comuni. L’analisi condotta consente di individuare 4
sfide che devono essere affrontate.
1) Verso un approccio più strategico nella promozione delle competenze degli studenti: i paesi
europei hanno adottato diversi approcci per sostenere lo sviluppo delle competenze chiave,
diversi paesi e regioni hanno previsto strategie nazionali. In assenza di strategie nazionali,
quasi tutti i Paesi prevedono iniziative coordinate per promuovere specifiche competenze
chiave. Si osservano iniziative su larga scala per la lingua materna e le scienze, mentre sono
meno frequenti per le altre competenze chiave. Una strategia o un piano di azione
contenente politiche o obiettivi di miglioramento, insieme a un calendario delle scadenze,
potrebbe aiutare a stimolare lo sforzo e a determinare i cambiamenti necessari. Potrebbe
anche permettere una serie di azioni (riforma del curricolo, formazione degli insegnanti,
sostegno per gli studenti con scarsi risultati) da attuare nell’intero sistema educativo.
2) Ulteriore sostegno richiesto per lo sviluppo delle competenze trasversali: uso delle
tecnologie, imprenditorialità e ed. civica sono ampiamente integrate nel curricolo a livello
primario e secondario. Esse possono essere insegnante come materia a sé stante, come
parte di un curricolo o di un’area di apprendimento più ampia o proposte durante tutta la
durata del curricolo scolastico. Si evidenzia come la valutazione possa avere un ruolo
importante nel migliorare le qualità delle competenze acquisite a scuola. Una maggiore
attenzione per una migliore integrazione delle competenze trasversali in tutti i tipi di
valutazione potrebbe contribuire a rafforzare la coerenza del processo di apprendimento ed
evidenziare la pari importanza riconosciuta a tutte le competenze chiave.
3) Affrontare gli scarsi risultati nelle competenze di base (lingua materna, matematica e
scienze): la maggior parte dei Paesi europei prevede un orientamento nazionale per aiutare
gli insegnanti a gestire le difficoltà degli studenti nelle competenze di base. Le misure per
affrontare il problema degli scarsi risultati devono essere globali, devono prendere in conto
una serie di fattori interni ed esterni alla scuola e devono essere tempestive. E’ importante
che gli insegnanti abbiano le competenze necessarie per saper trattare con studenti con una
serie di abilità e livelli di interesse diversi. Gli insegnanti devono saper selezionare e usare
metodi e strategie adeguate per gestire l’argomento, il tipo di studente e il contesto di
insegnamento.
4) Aumentare la motivazione degli studenti a studiare matematica, scienze e tecnologia e
incoraggiare le scelte di carriere in questi ambiti: le indagini confermano il collegamento tra
motivazione, attitudine, fiducia in se stessi, da una parte, e i risultati e la scelta della carriera
dall’altra. La motivazione a studiare matematica e scienze non è importante solo per andare
bene a scuola, ma è necessaria perché gli studenti scelgano carriere fondamentali per la
competitività delle nostre economie. In diversi Paesi europei le organizzazioni economiche
hanno espresso la loro preoccupazione per la mancanza di competenze in ambiti relativi a
matematica, scienze e tecnologia. Ciò ha un’incidenza anche sulla disponibilità di insegnanti
qualificati di matematica e scienze a livello secondario. Misure adottate: sostenere metodi
di insegnamento che migliorano la partecipazione, organizzare campagne di
sensibilizzazione, adottare misure specifiche a livello superiore, ampliare l’offerta e
migliorare la qualità dell’orientamento. Le iniziative nazionali per aumentare la motivazione
degli studenti a studiare matematica e scienze spesso comprendono singoli progetti
incentrati su attività extra curricolari ma non sono comuni le iniziative su larga scala che
coprono tutti i livelli scolastici.
4. LA SCUOLA COME SPAZIO PUBBLICO
Fino a 2 generazione fa i bambini apprendevano dai loro genitori e dagli adulti intorno,
dall’osservazione dei comportamenti si acquisivano abilità, competenze e schemi d’azione che
recano in sé i tratti di una certa idea di stare al mondo come persona e come cittadino. Queste
forme di apprendimento sono ancora fortemente presenti nelle società non industrializzate, ma
anche in quelle più avanzate. La scuola deve allargare il suo orizzonte in direzione di un’educazione
allo stare al mondo, come ricordano le Indicazioni nazionali. Il bambino necessita di adulti che
l’aiutino a consolidare competenze, capacità e abilità che gli permettano di vivere nella propria
comunità costruendo saperi e pratiche. Nella nostra società, invece, si è cercato sempre di più di
divedere il mondo adulto da quello dell’infanzia a causa della necessità di sistematizzazione dei
servizi sociali, educativi e sanitari, avvenuta mediamente una suddivisione per età anagrafica. Anche
il sistema di istruzione usa un medesimo criterio anagrafico per stabilire i gradi di sviluppo cognitivo
e esperienziale del bambino contribuendo a concepire i bambini per quello che ancora non sono o
per quello che diventeranno. La scuola deve diventare un luogo e un’istituzione preposta a dare
senso alla varietà di esperienze di bambini e adolescenti, al fine di ridurne la frammentazione e il
carattere episodico. La scuola di configura come il primo ambiente preposto al dovere formativo,
esercitato mediante una funzione di raccordo del sapere formale promosso a scuola con il sapere
informale, costruito nelle esperienze extra scolastiche. La scuola è un’agenzia educativa in grado di
raggiungere tutti indipendentemente dalle proprie origini e dai propri valori, questo carattere di
universalità sancisce il diritto all’educazione di ciascuno e afferma la responsabilità e il dovere della
società di allestire le condizioni per la piena realizzazione della persona come cittadino. La scuola è
il luogo deputato a far agire le pratiche di cittadinanza e a contribuire in questo modo alla continua
costruzione della collettività nazione, europea e mondiale. Appartenenza e reciprocità sono due poli
del concetto di cittadinanza: il polo dell’appartenenza attribuisce all’identità del luogo e sancisce la
preesistenza della comunità, il polo della reciprocità fa riferimento al carattere relazionale
dell’individuo e a un’idea di comunità che si costituisce a partire da tali relazioni. Il patto di
reciprocità tra diritti e doveri deve essere compreso, costruito e legittimato; il polo
dell’appartenenza favorisce la condivisione di valori appartenenti a generazioni diverse. I legami
culturali sono in questo modo mantenuti vivi. La scuola come spazio pubblico è un prodotto delle
pratiche sociali di chi lo vive e non solo un’istituzione vincolata a regole e principi codificati nel
passato. E’ uno spazio pubblico che si fonda sulla condivisione di un patto tra persone diverse per
origine sociale, religione e provenienza culturale. E’ un laboratorio dove vivere, sperimentare ruoli
e identità individuali e collettive, realizzare esperienze di convivenza civica e di costruzione delle
norme e dei valori che regolano i diritti e i doveri della comunità, in classe come nel mondo extra
scolastico. La scuola è comunità educante in grado di generare una diffusa convivialità relazionale,
intessuta di linguaggi emotivi e affettivi e capace di promuovere la condivisione di valori che
contribuiscono a definire l’identità della comunità. E’ comunità di apprendimento che consente di
individuare una zona di sviluppo prossimale multiplo poiché costituita da soggetti diversi, allievi o
docenti, con differenti ruoli, compiti e competenze. E’ orientata alla costruzione dell’identità di un
cittadino, che dalla scuola si sposta alla vita quotidiana. La scuola deve favorire una positiva
costruzione di relazioni con il mondo, in modo da rendere il cittadino erede consapevole di una
storia di cui comprende il presente, riconosce il rapporto con il passato e di cui si sente un
protagonista attivo per la costruzione del futuro.
PARTE 2: QUALE DIDATTICA PER PROMUOVERE LE COMPETENZE DI CITTADINANZA A SCUOLA?
CAP.3: EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E PRIMARIA: QUALI
DISPOSITIVI DIDATTICI?
L’educazione alla cittadinanza responsabile è collegata ai valori civili: democrazia, garanzia dei diritti
umani, eguaglianza e partecipazione, coesione, solidarietà, giustizia sociale. Educare alla
cittadinanza non può prescindere dal fare scuola nel territorio e comporta l’assunzione di uno
sguardo educativo caratterizzato da un’ottica di sviluppo sostenibile e durevole, capace di affrontare
i temi delle relazioni tra natura e attività umane, delle risorse e della produzione, del consumo e
della solidarietà tra cittadini. Cosa si intende per educazione alla cittadinanza quando ci si addentra
nella quotidianità della vita scolastica? Si prenderanno in esame i concetti di curriculum implicito,
habitus dell’insegnante e dispositivo didattico. Si proverà a capire se si può parlare di didattica per
la cittadinanza.
Dewey: tra i compiti principali degli insegnanti c’è quello di suscitare il desiderio di imparare,
immergere gli alunni in esperienze significative che sappiano far nascere la curiosità verso ciò che
non conoscono, assumendo atteggiamento di ricerca verso il mondo. Educare alla cittadinanza non
può coincidere con un apprendimento basato su conoscenze noziosistiche ma è fondamentale
predisporre esperienze che permettano agli allievi di sperimentare il significato di “vivere da
cittadini”. L’educazione alla cittadinanza deve essere realizzata facendone graduale esperienza:
l’insegnante a scuola crea le condizioni (attraverso la progettazione didattica) per il passaggio del
bambino da uno spazio d’azione privato (casa) a uno spazio d’azione pubblico in cui si trova a
condividere i luoghi con altre persone, a concertare regole, a intraprendere collettivamente
decisioni. Ogni insegnante riferisce a uno o più modelli pedagogici, a conoscenze esplicite che ha
appreso studiando, a concezioni implicite maturate con la pratica; tutte possono convivere in
maniera contradditoria nella pratica educativa anche se l’insegnante dichiara di concordare con una
teoria educativa. Occorre quindi mettere in atto una formazione democratica come atteggiamento
generale che si verifica in ogni momento della vita scolastica.
1. PROGETTARE I DISPOSITIVI DIDATTICI: IL RUOLO DELL’HABITUS PROFESSIONALE E DEL
CURRICOLO IMPLICITO

La formazione degli insegnanti ha come scopo principale quello di sviluppare l’abitudine a


interrogarsi e riflettere sui contenuti da trasmettere e sulle strategie didattiche per farlo, di far
affiorare i modelli e gli schemi di comportamento che costituiscono il proprio stile d’insegnamento.
Il concetto di habitus consente di mettere a fuoco tali modelli e ruoli che influenzano le scelte
dell’insegnante. Nell’ambito degli studi sul pensiero dell’insegnante il concetto di habitus è stato
ridefinito all’interno di prospettive teoriche che hanno messo in evidenza il ruolo della conoscenza
tacita, dei comportamenti e delle credenze, della filosofia educativa nell’influenzare le scelte
didattiche. La ricerca dell’ultimo ventennio si è focalizzata sulla funzione dell’habitus di selezione
dei comportamenti che l’insegnante agisce nella pratica quotidiana. L’habitus guida le scelte in base
all’applicazione di schemi di azione incarnati dall’insegnante, cioè appartenenti alla conoscenza
azionale che trova origine nei modelli impliciti sviluppati durante la propria storia professionale e
nelle esperienze vissute da studente. Divenire consapevole di tali modelli significa, per l’insegnante
che vuole interrogare la propria pratica di educazione alla cittadinanza, elaborare uno sguardo
riflessivo.
Nell’intenzionalità del docente agiscono saperi, discorsi e dimensioni che lo conducono a elaborare
schemi d’azione che agiscono a un sapere profondo dell’azione didattica. Queste componenti
influenzano la qualità della progettazione didattica ed anche la disposizione organizzativa, le finalità
e gli obiettivi determinando la materialità educativa (contesto materiale, relazionale e valoriale) in
cui trova realizzazione l’azione didattica. La materialità educativa può essere indagata con il
curricolo implicito dell’azione (impliciti pedagogici sottesi alle pratiche educative messe in atto
dall’insegnante= habitus, spazi, tempi, aspetti organizzativi, finalità della scuola come istituzione.
Insieme delle componenti dell’azione formativa non oggetto di una progettualità dichiarata).
Curricolo esplicito= scelte intenzionali del docente. Il curricolo nascosto è ravvisabile ad esempio in
pratiche che richiedono delle procedure rapide e poco dispersive (mettersi in fila) o in quelle relative
all’accettazione dell’autorità (valutazione). Esso è quindi determinato dall’insieme di richieste
comportamentali implicite che regolano l’interazione in classe degli insegnanti con gli studenti e
l’acquisizione degli atteggiamenti appropriati da assumere nei confronti degli uni e degli altri. Risulta
interessante verificare quanto le dimensioni nascoste dell’azione formativa intrattengono un
rapporto di coerenza con gli obiettivi che l’insegnante ha posto e con le scelte didattiche compiute.
Foucault propone una definizione di dispositivo che fa riferimento a un insieme in cui sono
interconnesse una dimensione esplicita (saperi) e una implicita (condizioni pratiche e materiali).
Secondo Massa i dispositivi sono guidati da un principio di autoregolazione, funzionale ad
armonizzare le diverse variabile durante la progettazione e l’azione formativa. Il concetto di
dispositivo consente di mettere a fuoco la funzione di anticipazione e simulazione operata
dall’insegnante nella gestione degli elementi imprevisti dell’azione didattica. Damiano: la peculiarità
didattica del dispositivo sta nel direzionare le azioni dei soggetti ed è influenzata dalle concezioni
del docente, dalle metodologie utilizzate e dalle strategie scelte in funzione di certi obiettivi. Calvani:
con il termine dispositivo non si fa riferimento a strumentazioni fisiche, ma anche a apparati
culturali, concettuali e normativi. E’ un programma d’azione, una strategia didattica, una griglia di
lavoro. SI basa su ipotesi relative all’apprendimento. Immerso nel dispositivo, lo studente mette in
gioco i propri saperi e li fa dialogare con quelli dell’insegnante; il prodotto finale sarà risultante da
una mediazione che non è possibile programmare in anticipo. In sintesi, il dispositivo è un sistema
spaziale e temporale, predisposto dal docente per favorire la mediazione tra saperi e un incontro
proficuo tra la scuola e il mondo in cui essa è situata. Svolge azione di mediazione tra gli elementi
prospettati dal docente e quelli realizzati dallo studente e dal docente stesso.
Esempio: L’ubbidienza è una virtù per costruire la scuola, gli alunni perciò devono essere sottomessi
ai docenti e devono vedere in loro i propri genitori. Su due secondi ci sono 6 bambini ubbidienti per
ogni class. Quanti sono i bambini ubbidienti in tutte e due le classi?
Si intersecano diverse dimensioni del dispositivo: alcune di ordine educativo (ubbidienza, analogia
insegnanti e genitori) e alcune riferite ai contenuti disciplinari (operazione). Il legame tra le due è
inconsistente. Gli effetti didattici e educativi di un dispositivo risultano dalla sua configurazione
complessiva. Accanto alla difficoltà nel ricostruire il senso e le intenzioni della richiesta, è ancora più
inquietante il modello educativo che traspare nella 1 parte e che si pone in contraddizione con i
valori di educazione alla cittadinanza. Diventa cruciale indagare il fattore della coerenza tra le
dimensioni del dispositivo e tra l’azione agita dal dispositivo stesso e l’azione dichiarata
dall’insegnante.
2. INDAGARE LE COERENZE: COSTRUIRE CONSAPEVOLEZZA DAI GESTI DELLA PRATICA
DIDATTICA
Aspetti di incoerenza tra la componente materiale del dispositivo (mezzi, spazi, modalità
comunicative) e la componente immateriale (intenzionalità del docente).
L’agire didattico è dispositivo nella misura in cui fa riferimento a un’azione che risulta da un sistema
interconnesso di elementi materiali e immateriali rivolti a una finalità formativa. Il raggiungimento
di tale finalità dipende dal grado di coerenza tra gli elementi interni al sistema e dal grado di
congruenza tra l’azione intenzionale del docente e l’azione esercitata dalle altre componenti del
dispositivo. E’ opportuno interrogarsi sulle modalità con cui gli elementi materiali del dispositivo
interferisco con le finalità di educazione alla cittadinanza perseguite dal docente. Quale insegnante
sarebbe pronto a contestare i valori di cittadinanza posti alla base delle società democratiche? Quale
sarebbe in disaccordo con le finalità di perseguire l’educazione alla cittadinanza delle indicazioni?
Pochi. Si possono però rintracciare diversi elementi di discontinuità tra il piano valoriale
dell’educazione alla cittadinanza e l’azione didattica del docente. Se la dimensione dell’agito del
dispositivo didattico non è mai neutra, allora ogni singolo elemento del contesto scolastico
contribuisce a determinare la qualità della pratica didattica e a definire le condizioni di possibilità
entro cui l’esercizio della cittadinanza attiva può trovare realizzazione. L’insegnante è educatore di
futuri cittadini. E’ un percorso professionale che richiede la mobilitazione di tre dimensioni: 1.
Epistemologica che da riferimento alla struttura delle discipline; 2. Gestionale che cura le relazioni
nella classe; 3. Riflessiva come capacità di prendere le distanze dalla propria pratica per valutarne
le coerenze tra il dichiarato e l’agito.
E’ difficoltoso riconoscere il significato di ogni gesto compiuto o cogliere il fatto che ogni decisione
può essere contraria al progetto che si vuole perseguire in classe. La difficoltà risiede
nell’individuazione delle connessioni profonde tra le dimensioni del dispositivo didattico: fra aspetti
relativi alla classe e sfera dell’apprendimento; fra la scelta di una metodologia didattica e il modello
educativo che si propone; fra e modalità e gli strumenti valutativi utilizzati e gli obiettivi proposti.
Quando parliamo di collaborazione in classe e chiediamo ai bambini di aiutarsi, occorre interrogarci
sui valori che veicolano le richieste didattiche che facciamo: siamo certi che il modello comunicativo
che adottiamo per mostrare apprezzamento nei confronti dei prodotti dei bambini non generi
competizione? Quando proponiamo il lavoro di gruppo, non sempre creiamo situazioni dove i
bambini possano sperimentare un confronto e dialogo, ma una divisione del lavoro fra bambini,
dove il più capace assembla i pezzi. Esso assume significato quando la risoluzione del problema non
è risolvibile da un singolo studente e richiede il contributo di soggetti diversi. La consegna deve
essere aperta e multi dimensionale, deve avere senso per i bambini.
Considerare l’educazione alla cittadinanza attraverso la categoria di dispositivo didattico, significa
mettere in luce i fattori di coerenza o contraddizione interna che caratterizzano il progetto
formativo e il modello didattico a livello sia dell’istituzione scolastica sia dell’intenzionalità
dell’insegnante.
3. LO SPAZIO DIDATTICO METAFORA DELLE RELAZIONI DENTRO E FUORI DALL’AULA
Ogni evento educativo è situato in uno spazio. Ogni spazio educativo esprime i valori, significati e le
identità di chi lo organizza e dunque ne rende visibili le rappresentazioni, implicite ed esplicite, di
bambino, insegnante e del processo di insegnamento-apprendimento. Si considererà l’azione
esercitata dalla dimensione dello spazio nella promozione dei valori di cittadinanza.
Gli spazi e l’ambiente danno evidenza dei rapporti gerarchici tra i soggetti della relazione educativa
e delle corrispondenti modalità educative. La disposizione degli arredi e la gestione degli spazi sono
indicatori del modello pedagogico-didattico adottato, in quanto influiscono sulle possibilità di
interazione tra bambini e tra bambini e insegnante.
Disposizione dei banchi: occupano grano parte dello spazio e assumono diverse configurazioni che
rivelano impliciti didattici. Condizionano le interazioni tra i soggetti e influenzano lo spazio d’azione
dei movimenti, rendendoli agevoli o faticosi.
L’aula è lo spazio più abitato dai bambini, ma non vanno dimenticati mensa, laboratori, cortile che
la ricerca pedagogico-didattica considera unitariamente in un approccio che intende la scuola come
un insieme di micro ambienti.
In Italia: nei servizi 0-6 la progettazione degli spazi, in ragione della centralità della dimensione
corporea, ha raggiunto grandi conquiste, mentre la scuola primaria fatica ad avviare processi di
miglioramento.
Anni 90, Rutter e Mortimer: 15mila ore di registrazione. Individuano nella disposizione degli spazi e
dei materiali e nel grado di coinvolgimento dei bambini due variabili nell’influenzare la qualità
dell’azione didattica a scuola. I due fattori sembrano trascendere l’intenzionalità dell’insegnante che
si trovano a operare in spazi su cui non possono intervenire. Si presenta la contraddizione tra i valori
di cittadinanza e la limitazione strutturale delle scuole, che ne impediscono la promozione.
Affinchè lo spazio-aula possa promuovere un abitare coerente con i valori di educazione alla
cittadinanza , deve rispondere ad alcune caratteristiche che possono essere contrastanti: l’aula, per
essere accogliente e inclusiva, dovrà presentare elementi di analogia con la casa (per rafforzare la
sicurezza e la costruzione identitaria del bambino →allestimento di un luogo nella classe con giochi
o altri materiali portati da casa); al contrario, deve essere in grado di manifestare una discontinuità
esperienziale con tali ambienti, così da costruire un luogo pubblico alternativo allo spazio privato
(per realizzare esperienze alternative e complementari a quelle famigliari in grado di promuovere lo
sviluppo di competenze diversificate e l’elaborazione di un pensiero a partire dal confronto con i
compagni). Quanto vissuto a scuola è il primo tassello della sperimentazione dell’appartenenza a un
luogo pubblico in grado di tutelare una dimensione privata. La progettazione dell’aula risponde a
una funzione sociale che organizza le interazioni che avvengono all’interno dell’aula e che rimanda
alla necessità di stabilire regole condivise per vivere tale spazio.
3.1. Lo spazio della classe
Lodi: Intreccia diversi elementi del dispositivo didattico: organizzazione relazione, materiale e il
sistema dei processi di insegnamento-apprendimento. Il bambino deve avere spazio per agire, per
esplorare e essere protagonista attivo. La cattedra, centro del potere dell’insegnante tradizionale,
viene spostata in corridoio. Il docente abita lo spazio con i bambini, sedendosi accanto a loro,
necessita solo di una sedia per porsi alla loro altezza. Promozione di una discussione circolare. Due
concetti importanti: 1. Adeguamento fisico alla statura dei bambini= processo di avvicinamento allo
stile di pensiero dei bambini e non di abbassamento del docente. 2.Idea di multifunzionalità →
spazio mobile, adattabile nei contesti più rigidamente strutturati e che agisce sulla qualità dei
processi di insegnamento apprendimento.
Il contratto didattico sotteso alla progettazione degli spazi prevede un carattere di flessibilità: i
bambini possono essere protagonisti del cambiamento. I bambini rivelano il loro modo di abitare lo
spazio, raccontando i loro giochi e rivelando il loro senso di appartenenza, da cui diventa possibile
sperimentare la condivisione del bene pubblico e favorire il riconoscimento di questa dimensione
comune.
Far abitare spazi poco controllati dall’adulto è funzionale alla sperimentazione dell’autonomia e
dell’autoregolazione. Il corridoio è una soluzione praticabile per introdurre delle modifiche rispetto
all’inadeguatezza degli spazi della scuola; permette di mettere alla prova l’ansia istituzionalizzata
del docente in relazione alla preoccupazione per l’incolumità fisica dei bambini.
L’esperienza della partecipazione democratica, attraverso la conquista dell’autonomia dei bambini,
non è realizzabile senza rischi: far sperimentare sicurezza agli alunni significa allestire delle
condizioni didattiche che consentano loro di agire senza che l’adulto si sostituisca a loro e senza che
intervenga per limitarne lo spazio d’azione ma facendo in modo che l’insegnante metta in atto la
partecipazione guidata. L’autonomia e la scoperta sono due principi pedagogici che assumono
rilievo nelle pratiche di educazione alla cittadinanza, se letti in continuità con la progettazione degli
spazi.

3.2. Progettare gli spazi per l’apprendimento: la documentazione e la scelta dei materiali
didattici.
Il senso di appartenenza e la spinta all’esplorazione possono essere incoraggiati anche dalla
presenza del lavoro dei bambini negli spazi comuni e nell’aula, che portino le tracce dei percorsi
didattici. Possono poi risultare utili come sostegno all’apprendimento e alla memorizzazione: hanno
un ruolo di riferimento visivo e una funzione documentativa delle esperienze di apprendimento
(favorisce la ricostruzione della traiettoria conoscitiva dei bambini mostrandone l’evoluzione). Un
ambiente così racconta la vita della classe, le scoperte e conquiste, trasmette l’idea che il bambino
abita e non sta in classe, si sente rassicurato e stimolato a nuove esperienze. Lo spazio deve essere
organizzato in modo che i materiali e gli strumenti siano accessibili a tutti e disposti con ordine.
L’insegnante deve progettare spazi che offrano materiali riferibili a diversi stimoli cognitivi e culturali
e che necessitino di diverse modalità di interazione. Le idee della partecipazione alla progettazione
dello spazio dell’aula e dell’accessibilità del materiale rivelano l’apertura di un campo di
sperimentazione di esperienza di cittadinanza che i bambini possono vivere a scuola divenendo
promotori responsabili di un cambiamento dello spazio abitato. L’aula deve presentarsi come uno
spazio trasformabile, in grado di prendere forma in funzione degli obiettivi e delle attività che il
docente progetta. Se l’obiettivo è che lo sguardo degli alunni converga sull’insegnante e che venga
disincentivato lo scambio tra pari → banchi in file. Per scoraggiare copiature e chiacchiere→ singole
unità. Ferro di cavallo→ situazione intermedia: rende possibile contatto visivo ma l’interazione è
possibile con compagni vicini. Isole→ cooperazione e interazioni gruppali.
3.3. Progettare il momento della mensa: sperimentare le regole dello spazio pubblico
Si pensi a come l’autonomia può essere promossa o ostacolata in uno spazio come la mesa. Che
modello di ed. alla cittadinanza veicolano frasi come “adesso si sta in silenzio per tutto il primo”? I
comportamenti legati al cibo sono un momento significativo di passaggio e trasmissione delle norme
culturali e hanno subito cambiamenti nel corso della storia. La modalità di organizzazione della
mensa è una routine didattica che veicola un messaggio rispetto al rapporto col cibo. Il momento
del pasto può essere costruito o nei termini di un’esperienza individuale, caratterizzata da
preoccupazione di ordine igienico-nutrizionista, o come un’esperienza di piacere e riconoscimento
dei propri bisogni, conviviale che favorisce confronti e scambi. La partecipazione alla mensa comune
è il primo segno di appartenenza al gruppo. Mangiare= scambio sociale, ospitalità, festeggiamento.
Spetta agli adulti predisporre lo spazio del pranzo in modo che la tavola sia un momento piacevole
e sereno di scambio, terreno di apprendimento di pratiche e rituali. Un primo elemento da
considerare circa il rapporto con il cibo è quello di coinvolgere i bambini nella preparazione del
pranzo: familiarizzare con i cibi e favorire rapporto conoscitivo di carattere sensoriale, esperienza
della consistenza, colore, sapore. E’ impo che i bambini si sentano partecipi dei preparativi della
tavola e dei pasti: fare cameriere, distribuire pane e frutta e acqua. La cura della tavola e le azioni
nel momento del pasto sono un modo per comunicare accoglienza. Il momento del pasto è
un’esperienza di condivisione ricca di valenze affettive, psicologiche e relazionali in cui si
condividono idee, storie di vita, abitudini familiari→ momento di intimità, dialogo, vicinanza a
scuola tra bambini e maestra (es: per contenere un bambino che manifestava comportamenti di
disturbo verso i compagni una maestra si siede vicino a lui e chiacchiera creando un rapporto di
fiducia e confidenza per cui lui si sente importante).
Nella ritualità conviviale il significato dei gesti è intriso di regole che servono a delimitare il campo
d’azione e a rendere partecipi i bambini di queste regole, non spiegandole a parole, ma
immergendoli nell’esperienza del mangiare insieme e preparare la tavola. Importanza di
sensibilizzare i bambini al tema dei consumi, rifiuti, riciclo a parte dalle considerazioni fatte durante
la mensa.
L’esperienza della mensa è un’occasione cruciale di apprendimento e di educazione alla
cittadinanza: rendere i bambini partecipi di come si sentono durante il pranzo, progettare gli spazi
e le routine, riflettere sulle esperienze conviviali, permette di promuovere le abilità comunicative,
lo spirito di iniziativa e l’autonomia degli studenti.
4. LA GESTIONE DEL TEMPO
Nella vita quotidiana della classe, ogni docente scandisce la giornata degli alunni in base al
curriculum implicito. Come si gestisce il tempo rimanda a scelte quotidiane che dicono molto del
ruolo dell’insegnante, dell’idea di bambino e di cittadino che si vuole promuovere. Il tempo è lo
spazio in cui le proposte del docente si vengono a saldare con le risposte/azioni degli alunni. Il tempo
scolastico è un tempo scandito in cui le azioni devono trovare necessariamente realizzazione. Spetta
però al docente la scelta di far coincidere l’attività prevista con quello del tempo-lezione,
prevedendo nel caso la possibilità di dilatarlo oltre i confini. La classe è l’ambiente in cui si
sperimenta un tempo comune, ma è necessario trovare spazi di pausa e privacy in cui lasciare
decantare le esperienze. Il tempo dovrebbe essere un elemento flessibile della vita scolastica, la sua
scansione invece è spesso rigida, piegata all’esigenza di dover finire il programma. Se il tempo viene
scandito solo dall’insegnante, diventa difficile costruire il senso di autonomia e responsabilità
indispensabile per l’ed. alla cittadinanza. Il singolo studente e il gruppo possono decidere come
gestire il tempo a disposizione, pur all’interno di vincoli negoziati con il docente. Per permettere
questo uso autonomo del tempo, le attività devono avere dei tempi abb. distesi, nel rispetto di quelli
personali e sociali. All’insegnante è richiesti di abbandonare la sensazione che il tempo non sia mai
abbastanza e assumere la consapevolezza che l’utilizzo del tempo deve essere partecipato e speso
per uno scopo comune. Allestire l’ambiente quotidiano da un punto di vista progettuale significa
costruire condizioni temporali che favoriscono lo sviluppo di interazioni tra bambini e
materiali/situazioni didattiche/insegnante. Questi aspetti organizzativi sono la cornice all’interno
della quale trovano accadimento gli avvenimenti educativi e sono quel contesto di riferimento che,
se progettato in modo troppo strutturato, non è in grado di affrontare gli insoliti imprevisti che
l’azione didattica pone di continuo.
4.1. Le routine come luogo codificato di apprendimento e condivisione
Routine= i soggetti in via di sviluppo hanno bisogno di agire in ambito di abitudini rassicuranti,
nell’infanzia e nella primaria. Esse, imponendo un’organizzazione strutturata a spazio e tempo,
codificano gesti e parole, regolano la vita collettiva e ne definiscono lo spazio possibile d’azione.
Sono una delle forme più antiche di mediazione tra emozioni, relazioni e obiettivi educativi e
culturali che una società e una scuola di impongono. Il sistema delle routine permette di creare una
prefigurazione della scansione della giornata: il bimbo non si sente in balia delle decisioni altrui, ma
riconosce una serie di eventi che trovano aggancio con l’esperienza già vissuta. Si garantisce la
possibilità di vivere le situazioni scolastiche con una declinazione soggettiva, fondamentale per la
promozione della partecipazione e per lo sviluppo del senso di appartenenza. Avere sicurezze,
sentirsi a proprio agio, replicare gesti quotidiani rendono emotivamente ed educativamente
piacevole il tempo della scuola. In mancanza di rituali istituiti dal docente, sono i bambini a crearne
nuovi: aumenteranno le volte in cui si alzano a temperare, a prendere i fazzoletti, producendo
scompiglio e disordine. Per sentirsi cittadini della classe e del mondo gli studenti devono avere
tempo a disposizione per parlare ed essere ascoltati, per contribuire al lavoro di tutti con le proprie
capacità e i propri ritmi, per sbagliare ed essere aiutati a capire il valore formativo dei propri errori.
Condizioni non semplici da realizzare perché fanno riferimento alla necessità di far affiorare e
comprendere l’azione esercitata dall’habitus dell’insegnante e dal curriculum implicito
nell’influenzare i gesti quasi automatici di tutti i giorni e alla definizione e distribuzione dei ruoli nella
classe.

5. IL CONTRATTO DIDATTICO E LA COMUNICAZIONE IN CLASSE


Due dimensioni caratterizzano l’azione didattica: relazionale e contenutistica. Per comprendere
un’azione didattica è necessario considerarla in quanto si svolge all’interno di una relazione ternaria:
sapere, insegnante, alunni. Gli attori (insegnanti e alunni) giocano dei ruoli e i saperi coinvolti sono
gli oggetti della comunicazione. Questo sistema di regole implicite è stato chiamato da Brousseau
contratto didattico= insieme dei comportamenti dell’insegnante attesi dall’alunno e insieme dei
comportamenti dell’alunno attesi dall’insegnante. E’ il luogo immateriale attraverso cui si struttura
l’autenticità dei gesti dell’insegnante e il riconoscimento del valore degli studenti.
A partire dagli anni 80, nella ricerca di Vezzani e Tartarotti, sulle cause del malessere dei ragazzi a
scuola, si evidenziava che i principali fattori segnalati dagli intervistati erano la mancanza di
relazione coi docenti, l’inefficacia della loro comunicazione e l’eccessiva distanza della scuola
rispetto alla vita quotidiana. Il compito della scuola è contribuire a creare un ambiente culturale e
uno spazio mentale che possa essere percepito come una cornice di senso rispetto alle forme di
disagio che i bambini esprimono a scuola. Pensando alla scuola con l’obiettivo di educare il cittadino,
diventa fondamentale sottoporre a critica il ruolo che il docente ha all’interno del contratto
didattico e analizzarlo per individuare elementi di incoerenza con il modello di società democratica
e partecipativa che si vuole promuovere. Nel modello tradizionale (trasmissivo), l’aspettativa degli
alunni rispetto ai docenti è che essi insegnino le loro materie corrispondenti ai libri di testo e
pongano domande sui contenuti trasmessi. Secondo un approccio di segno opposto, gli studenti
sono chiamati anche alla progettazione delle attività (anche la progettazione della realizzazione di
un semplice cartellone può essere indice di una gestione particolare del contratto didattico→ il
cartellone diventa un mediatore didattico che conduce i bambini a trovare strategie condivise e la
sua presenza sulle pareti della classe recherà testimonianza delle scelte adottate e dei processi
cognitivi).
Sono molti gli aspetti che influenzano la comunicazione dell’insegnante con gli studenti: personalità,
convinzioni relative al proprio ruolo di docente, rappresentazioni dei bambini. Padronanza della
disciplina. Ci sono diversi stili comunicativi: dominanti, ostili, autoritari – democratici, amichevoli,
dialogici. Essi hanno un notevole impatto sugli studenti (motivazione intrinseca allo studio,
partecipazione in classe, uso di strategie autoregolative). Gli insegnanti hanno una scarsa
consapevolezza dell’impatto sugli studenti del proprio stile comunicativo e tendono a valutarsi in
modo maggiormente positivo rispetto alle valutazioni fornite dagli studenti. Gran parte dei messaggi
che si trasmettono nelle aule non passano tramite parole, ma tramite corpo. Il fattore di maggiore
criticità sta nella discordanza che a volte si crea tra ciò che si intende comunicare e ciò che si
comunica coi gesti, espressioni, voce e contatto visivo. Questa discordanza tra il livello del discorso
esplicito (verbale) e implicito (non verbale) può generare un tipo di comunicazione che Bateson
chiama a doppio legame: un individuo si trova di fronte a due informazioni tra loro in contraddizione
e si trova impossibilitato a decidere a quale dei due livelli accettare come valido.
5.1. Le domande, di chi?
Le domande sono uno degli elementi più importanti per analizzare una scena educativa; occupano
una porzione considerevole dei discorsi in aula; sono un indice tangibile della gestione del potere
del docente. L’educazione alla cittadinanza e la formazione di cittadini attivi e consapevoli accresce
la necessità di esaminare le modalità e le tipologie di domande che hanno luogo in classe. Chi pone
le domande? Vengono rilanciate o ignorate? Diventano la base della progettazione dell’insegnante?
Il primato della domanda sulla risposta sta nel considerare gli alunni come co-autori del processo di
insegnamento-apprendimento. Le domande non hanno solo a che fare con il contenuto che
veicolano, il loro valore dipende strettamente dal modo e dalla tonalità emotiva con cui vengono
formulate. Lezioni monologo→ domande dell’insegnante di tipo retorico, il docente conosce già la
risposta. Tripletta comunicativa→ il docente fa la domanda, l’alunno risponde e il docente verifica
la correttezza della risposta e giudica la preparazione dell’alunno. In questi casi anche le domande
che possono presentare elementi di apertura vengono percepite dagli alunni come interrogazioni
destinate a essere valutate e non attivano delle risposte significative.
Ci sono casi in cui il messaggio implicito veicolato dagli interventi dell’insegnante è quello di
rispondere alle domande seguendo la traccia già predisposta dall’insegnante stesso e che non
ammette alcuna ipotesi o soluzione discordante.
Modello di lezione dialogata: il docente pone delle domande genuine volte alla comprensione
dell’argomento e alla promozione della riflessione degli allievi. Le domande sono anche degli alunni.
Il docente è disposto a cambiare in itinere il piano di lavoro per lasciare spazio alle richieste degli
alunni. Le domande dei docenti vengono percepite come reali richieste di riflessione.
Nella conversazione riportata (p.84) l’insegnante pone un quesito reale e i bambini si attivano per
rispondere. L’insegnante interviene all’inizio con una domanda incipit per lasciare poi spazio allo
scambio comunicativo tra pari che è caratterizzato dalla presenza di domande poste dagli studenti.
Il docente controlla la classe favorendo un autentico trafficare sulle idee, tollerando incertezze e
relatività delle risposte e accettando la divergenza degli interventi. Assegnare i turni di parola,
decidere il tempo da concedere per le risposte, stabilire se le domande sono rivolte a uno solo degli
alunni o all’intero gruppo, sono decisioni che influenzano il clima e le relazioni della classe. Il clima
deve essere non giudicante per permettere una libera investigazione degli studenti. Il docente può
partire dalle domande che gli studenti spontaneamente fanno: valorizzandole, analizzandole,
rilanciandole al gruppo e di renderle oggetto di discussione. Questo permette ai bambini di sentirsi
parte del processo di apprendimento collettivo.
Diversi studi sottolineano che la frequenza delle domande degli studenti aumenta quando la
conversazione è relativa a ambiti discorsivi familiari agli allievi, contenuti di cui hanno avuto
esperienza diretta. L’insegnante è quindi chiamato a sollecitare l’intervento degli alunni facendo
riferimento alla loro esperienza. Una modalità efficace per raccogliere i quesiti e dare ordine
all’elaborazione di risposte può essere quella di costruire un angolo delle domande: un luogo,
quaderno, fogli, scatola dove i bambini possono registrare le loro domande e provare a formulare
risposte sui quesiti dei compagni.

Il concetto di contratto didattico consente di spiegare come in una situazione didattica l’accesso a
un compito da parte dell’alunno avvenga mediante una sua interpretazione delle domande poste,
delle informazioni fornite e degli obblighi imposti. Gli studenti si possono comportare in modo
differente all’interno dello stesso contratto didattico: alcuni alunni appaiono meno condizionati
dalle regole e si permettono di agire in autonomia; altri non possono fare a meno di seguire le regole
condivise. Questa diversa reattività dal differente ruolo assunto nella classe, dallo status: gli alunni
più competenti si adattano meno meccanicamente alle regole del contratto didattico, si prendono
maggiori libertà; quelli meno competenti, di fronte all’impossibilità di dare risposte corrette, si
trovano costretti a seguire le regole imposte dall’insegnante.
Il lavoro tra pari aumenta il grado di coinvolgimento affettivo, l’impegno personale e rende possibile
la sperimentazione di modalità discorsive che favoriscono un apprendimento significativo. Nella
gestione dell’interazione didattica finalizzata a sviluppare processi cognitivi significativi, una
funzione fondamentale è rivestita dal feedback che costituisce una delle strategie più efficaci per la
promozione dell’apprendimento. Accanto al feedback dell’insegnante è importante considerare la
risposta dell’allievo.
Sono queste pratiche, rispondenti a un certo contratto didattico, che consentono ai bambini di
sentirsi o no parte della classe, agire o no come cittadini attivi della classe. Philosophy for children:
prospettiva che si basa sulla possibilità di affrontare con i bambini discussioni che presentano una
reale problematicità rispetto a situazioni di vita ordinarie. Nasce negli anni 70 negli Stati Uniti con il
proposito di sviluppare un progetto didattico che promuova le competenze necessarie per la
costruzione di una società democratica. E’ in grado di attivare un processo di co-costruzione della
conoscenza che promuova l’attivazione di un pensiero di più alto livello che si qualifica per il
carattere aperto a soluzioni multiple, complesso, che si autoregolamenta e corregge, che comporta
incertezza e trova ordine nel caos dei dati e delle informazioni. Per poter mettere in atto un siffatto
pensiero, assume un ruolo centrale la dimensione sociale dell’apprendimento.

Cardine imprescindibile della didattica per la cittadinanza: la definizione delle regole della vita
comune e il grado di condivisione con cui sono elaborate nel contesto classe.
6. COSTRUIRE REGOLE COMUNI: VERSO LA’UTONOMIA E LA RESPONSABILITA’ NELLA
GESTIONE DELLA VITA SCOLASTICA
Quando il modello ed. è centrati sul controllo del docente, questo fattore si estende su tutti gli spazi
abitabili della scuola e connota l’esperienza scolastica dell’alunno come un obbligo in cui conviene
pensare solo a se stessi e al proprio benessere. In che modo il docente può costruire un equilibrio
tra gestione e promozione dell’autonomia, senza generare disorientamento nel gruppo e
impedendo che regni nella classe la legge del più forte e l’assenza del rispetto reciproco?
(episodio pag. 89): in un primo momento anche l’adulto, di fronte alla situazione di trasgressione, è
preso dallo sconforto. Decide però di prendere tempo per distaccarsi dalla situazione e creare una
cornice non giudicante. Si produce nella classe uno spazio protetto dedicato al confronto su un fatto
che riguarda il benessere di tutti i bambini. L’insegnante valorizza, per la risoluzione del problema,
una strategia proposta da un bambino e che arriva da esperienze extrascolastiche. Il bambino
colpevole ammette quindi di avere sbagliato e anche di fronte a questa ammissione l’insegnante
rilancia a una possibilità condivisa per trovare il modio per rimediare. Si pensi quali processi avrebbe
attivato e quali competenze avrebbe promosso l’insegnante scegliendo di illustrare ai bambini i
principi per cui l’azione compiuta è da ritenersi scorretta e decidendo in autonomia la modalità con
cui trovare il colpevole. E’ vero che tale approccio condiviso è difficile da realizzare in ognuno delle
diverse situazioni che hanno luogo in classe e a scuola, per questioni di tempo e rispetto del
contratto didattico.
Una condizione coerente con l’dea di ed. alla cittadinanza è quella di creare situazioni che
promuovano l’appartenenza al luogo e al gruppo. Il docente come progettista del contesto è
chiamato a allestire le condizioni che possono guidare le azioni autonome dei bambini. Le situazioni
e le attività didattiche proposte ai bambini devono essere adeguatamente strutturate con regole di
movimento chiare e riconoscibili, fluide e flessibili per permettere a ogni bambino di agire
autonomamente e di trovare una sua collocazione nel gruppo. Si tratta di trovare un punto di
equilibrio in modo che le regole definite e negoziate con gli alunni agiscano da struttura di
contenimento e di indirizzo e che però consentano margini di deviazione e sperimentazione. Le
regole in educazione sono un contenuto del lavoro e una condizione costitutiva. Le norme
permettono l’interazione, facendo mediare il proprio punto di vista con quello altrui. Le regole
definiscono una distinzione tra logica privata (all’insegna dell’individualismo) e logica comune
(orientata alla condivisione). L’esigenza e l’esperienza di regole viene sperimentata dai bambini
specialmente in contesti non formali (mensa, cortile, bagni) attraverso un processo di negoziazione
continuo. Visalberghi sostiene che la sperimentazione informale di regola accade in particolar modo
nei momenti di gioco (il bambino conosce, sperimenta e accetta, per potervisi partecipare, le regole
condivise). L’azione di scaffolding del docente fa in modo che la costruzione delle regole di
convivenza venga percepita come condizione che agevola lo stare insieme.
Traverso e Usai individuano 4 modelli di stili educativi: autoritario, permissivo, autorevole e
trascurante. Quello autorevole cerca di controllare il bambino valorizzandone l’autonomia e la
capacità di adattarsi alle richieste dell’ambiente, con un atteggiamento che influisce sullo sviluppo
dell’autoregolazione del soggetto in formazione. Lo stile autoritario enfatizza il rispetto delle regole
e l’obbedienza, alimentando dei bassi livelli di regolazione comportamentale.
Testo pag. 93: far sperimentare ai bambini cosa significa la difficoltà di far rispettare i turni di parola
in una discussione, la frustrazione di non essere ascoltati, il doversi mettere d’accordo su qlcs che li
riguarda molto da vicino come la vita della classe è un’esperienza che mette in gioco il valore della
responsabilità. Tutto ciò richiede un percorso graduale e la creazione di un’abitudine che necessita
di tempo per potere essere pratica e una progettualità da parte dell’insegnante, che ha un ruolo di
allestimento delle condizioni, di monitoraggio costante per comprendere le difficoltà incontrate, le
dinamiche attivate, i miglioramenti da introdurre.

Testo pag. 94: i bambini elaborano le regole focalizzando l’attenzione su una prima comprensione
dell’organizzazione che concerne gli spetti più facilmente osservabili e vicini alla loro esperienza.
Concordare con i bambini le regole per abitare uno spazio significa considerarli soggetti attivamente
partecipi alla vita che si svolge al suo interno. Può diventare interessante dare visibilità al punto di
vista dei bambini rispetto al tema delle regole per far emergere vincoli impliciti, mai formalizzati.
Classe come microsocietà. Un’altra modalità di condivisone delle regole è quella di considerare gli
alunni come testimoni privilegiati e provare a domandare loro le condizioni che li fanno stare bene
in un determinato spazio comune. La regola diviene la condizione necessaria per co abitare la scuola.

Testo pag. 96: partire dal disagio o dal benessere dei bambini significa favorire quel riconoscimento
del loro modo di stare in classe e costruire uno spazio affinchè queste azioni possano essere
analizzate, L’insegnante si pone come obiettivo educativo quello di investire sulla costruzione di uno
spazio comunicativo-relazionale che comprende vissuti, emozioni e che è in grado di accogliere la
dimensione del conflitto (tra pari, esistenziale generato dal confronto tra sé e la realtà, con la scuola
e gli insegnanti). La dimensione conflittuale è una categoria fondamentale dell’ed. alla cittadinanza
attiva, è il primo passo per comprendere gli elementi di tensione che innervano la società. Il conflitto
diventa didatticamente autentico solo se emerge da esperienze e scambi dialogici dotati di senso
per gli studenti. Il docente deve creare le condizioni affinchè gli alunni si percepiscano come membri
di una comunità di ricerca, cioè quando confrontano le loro idee con quelle dei compagni a partire
da un problema comune. Lo scambio, il confronto e il conflitto sono pratiche finalizzate a individuare
azioni volte al miglioramento del proprio contesto, come riportato nelle Indicazioni Nazionali.
CAP.4: IL DISPOSITIVO DI VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI: QUALE DIALOGO CON
L’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA?
“Se adesso non la smetti ti metto 5”, “Ti do 5 in geo perché hai mostrato comportamenti provocatori
nei confronti degli insegnanti”, “Ti abbasso il voto perché non ti sei abbastanza impegnato e avresti
potuto fare di più”. → visione di valutazione estremamente giudicante e che rimandando a una
funzione punitiva. Viene naturale interrogarsi sul rapporto che un tale approccio valutativo
intrattiene con la promozione delle competenze di cittadinanza.
La valutazione è molto implicata nel processo di formazione del senso di cittadinanza. Sono molti gli
autori che mettono in rilievo la correlazione tra le modalità di valutazione dell’insegnante e il senso
di auto efficacia dello studente, come fra il giudizio che l’insegnante ha del bambino e la
propensione di quest’ultimo verso le relazioni con l’adulto e con i pari, fra lo status del bambino
attribuito dalla valutazione e il livello di gradimento del bambino nel gruppo classe. Importante
anche il legame tra il tipo di valutazione e i processi cognitivi, sociali e relazionali nei bambini. La
valutazione da elemento sgradevole, temuto, potrebbe configurarsi come elemento su cui
interrogarsi, fare scelte, progettare, assumendo consapevolezza delle sue potenzialità, rischi e
possibilità di fare educazione. Come può avvenire la partecipazione degli alunni a questo momento?
L’obiettivo ultimo della valutazione, ma il più affermato, è quello istituzionale-burocratico: per
promuovere o bocciare. Quale concezione di scuola e di comunità si costruisce lo studente abituato
a questi atteggiamenti valutativi giudicanti e pregiudicanti? “Ha raggiunto gli obiettivi della
programmazione finora proposti. Si impegna nel lavoro collettivo e individuale. Dimostra buon
interesse nelle attività proposte”. Cosa pensa un bambino leggendo questo giudizio relativo al
lavoro condotto lungo l’intero anno scolastico? Esso veicola una concezione spersonalizzata e
spersonalizzante della valutazione, lontana dal promuovere un’idea di studente consapevole del
proprio percorso d’apprendimento. Tale percezione avrà un’influenza sui comportamenti che il
bambino sarà in grado di agire a scuola e fuori, come cittadino. Stabilire relazione basate
sull’apertura e sul rispetto fornisce agli studenti delle opportunità di far pratica con uno stile di vita
democratico e consente di esercitare situazioni di autonomia. Un clima di classe accogliente e non
giudicante e l’incoraggiamento della libera espressione di opinioni, risultano essere correlati con lo
sviluppo di conoscenze civiche degli studenti. Se non si aiuta l’alunno a costruirsi un’immagine di
bambino competente, difficilmente egli si percepirà come un potenziale autore di cambiamenti
positivi per sé e per gli altri nella società.
Altro aspetto da problematizzare del rapporto tra pratiche di valutazione e promozione di
competenze di cittadinanza è la primazia del docente riguardo l’atto valutativo. Spesso si rileva una
dimensione di controllo del soggetto valutante sul soggetto valutato; la valutazione viene percepita
dagli alunni come espressione del dovere-potere attribuito al docente dall’istituzione, molti arrivano
a considerarsi meritevoli solo in relazione ai risultati scolastici.
Vannini sottolinea come sia la carenza di strumenti teorici e metodologici a disposizione dei docenti
sul tema della valutazione a generare comportamenti non sempre consapevoli. Sono frequenti gli
arroccamenti su posizioni valutative tradizionali che si rifanno a vecchi modelli basati sul prodotto
e sulla prestazione, incapaci di restituire la complessità del processo di insegnamento-
apprendimento (valutazione volta allo scopo di creare competizione nel gruppo classe, valutazione
per mantenere la disciplina→ pratiche in contraddizione con il modello di cittadinanza).

Non si può negare però che una delle finalità della valutazione è la misurazione dei risultati. I dati
ottenuti tramite la misurazione non possono costruire una valutazione, ma necessitano di un lavoro
interpretativo. La valutazione deve rivolgersi all’intera azione formativa e i risultati finali ne
costituiscono solo una parte. Una buona valutazione dovrà abbia aspetti quantitativi e strumenti
qualitativi.

Se la finalità della scuola è quella di trasmettere alle giovani generazioni gli strumenti per garantirsi
il loro futuro e quello del mondo, la valutazione ha una triplice funzione: educativa (ruolo di guida
dei comportamenti che un alunno mette in atto nella costruzione della propria identità), didattica
(elaborazione di feedback sul percorso condotto dall’insegnante insieme agli alunni con
monitoraggio del processo di ins-appr), relazionale ( comunicazione delle aspettative del docente
nei confronti degli studenti, che ha importanti ricadute sulla costruzione del clima di classe). Per
realizzare tutto ciò il docente deve condividere parte del suo potere con lo studente. La valutazione
formatrice offre agli allievi la possibilità di appropriarsi dei criteri di valutazione, associandoli a una
serie di procedure da seguire, attraverso un’anticipazione e una pianificazione delle diverse attività
che permettono di raggiungere gli obiettivi fissati. Il docente è chiamato a interrogarsi sul tipo di
contratto didattico che costruisce con la sua classe e sul ruolo che riveste la valutazione: è chiamato
a considerare il grado di coerenza tra il modello di cittadinanza che vuole promuovere e il tipo di
valutazione realizzata).
1. PARTECIPARE AL PROCESSO DI VALUTAZIONE: SPERIMENTARSI COME CITTADINI
La costruzione di un principio di autonomia può essere promosso o ostacolato anche dalle pratiche
valutative del docente. Un bambino che impara a organizzare il proprio lavoro per preparare un
compito, che apprende a individuare le proprie difficoltà e a elaborare strategie, è un bambino che
costruendo competenze spendibili anche in situazioni extrascolastiche. Il docente nel processo di
sperimentazione di pratiche di cittadinanza è mediatore e facilitatore: ha la responsabilità di creare
le condizioni di per il passaggio di tali pratiche dallo spazio privato allo spazio pubblico in cui il
bambino si trova a concertare regole, intraprendere collettivamente decisioni e valutarne le
ricadute. La condivisione del progetto e dei criteri di valutazione significa favorire l’autovalutazione
del prodotto ottenuto. Es: gli alunni elaborano 3 diverse tipologie di errore: di distrazione, veri e
propri e gravissimi. Riflettendo con i bambini si promuove un atteggiamento consapevole rispetto
al significato formativo dell’errore.
Pedagogia dell’errore: riconosce gli aspetti di difficoltà, i momenti di impasse o singoli elementi
problematici come una risorsa fondamentale per la costruzione di un apprendimento significativo.
L’errore è uno strumento per la costruzione del sapere: il costante interrogarsi sulla sua genesi
consente la formulazione di percorsi di risoluzione. L’insegnante deve garantire che l’errore sia
utilizzato come una risorsa→ atteggiamento no giudicante, punitivo, permissivo e indifferente. In
una prospettiva socio-costruttivista il bambino sperimenta la costruzione della conoscenza
attraverso esperienze e situazioni problema. Occorre mettere il bambino nelle condizioni di
elaborare domande in modo da poter verificare o falsificare le ipotesi al fine di costruire conoscenza.
Nella logica socio-costruttivista viene scelta come unità di analisi la valutazione di processo per
esaminare le strategie cognitive, le abilità e le conoscenze che sono mobilitate per lo sviluppo di
competenze.
Mariani definisce il processo valutativo con 3 aggettivi: autentico (orientato alla costruzione di senso
per l’alunno), trasparente (applicato a prove concrete rispetto alle quali l’insegnate si preoccupa di
esplicitare obiettivi e criteri), condiviso (prevede una comunicazione chiara dell’oggetto e delle
modalità di valutazione).
Valutazione formativa: pur senza abbandonare i voti numerici, si viene a comporre un’articolazione
del sistema valutativo di tipo qualitativo, che attribuisce all’insegnante un ruolo di interpretazione
della documentazione raccolta e che conduce l’alunno a un continuo ripensamento del percorso di
apprendimento realizzato, individuale e di gruppo, finalizzato a comprendere le scelte compiute e
gli effetti che esse hanno generato. Permette di allestire esperienza di promozione dello spirito
critico.
2. IL RUOLO DELLA DOCUMENTAZIONE NELLA VALUTAZIONE: OSSERVARE, MONITORARE,
RIFLETTERE
Le indicazioni ministeriali stabiliscono che al docente compete la cura della documentazione, come
processo che produce tracce, memoria e riflessione, negli adulti e nei bambini, rendendo visibili le
modalità e i percorsi di formazione. La documentazione diventa il terreno di lavoro che consente di
allestire le condizioni per la partecipazione degli allievi all’interno del processo di insegnamento-
apprendimento.
Il docente deve avvalersi di una valutazione alternativa: un processo complesso di monitoraggio del
percorso didattico realizzato e dell’insieme dei diversi percorsi di apprendimento degli alunni.
Strumenti possono essere il protocollo osservativo e la trascrizione di discussioni. L’osservazione
sistematica consente all’insegnante di individuare informazioni, identificare comportamenti,
certificare competenze che non emergerebbero con l’utilizzo di strumenti di valutazione ripetitivi e
costruiti per specifici obiettivi. Mentre i bambini giocano durante l’intervallo sarà possibile osservare
le loro competenze nel trovare mediazioni o gestire i conflitti, ma anche considerare la loro capacità
di compiere scelte logiche o creative. In mensa potrà essere valutata la loro capacità di prendersi
cura del contesto, la propensione ai rapporti sociali o la sensibilità alle tematiche ambientali. Nel
lavoro di gruppo si potrà osservare la capacità di creare un clima collaborativo o di giungere a scelte
condivise; di trovare soluzioni a problemi complessi e individuare le strategie di cooperazione. Il
lavoro di gruppo si presta con efficacia all’autovalutazione degli alunni nel caso in cui l’insegnante
sceglie di adottare strumenti di valutazione qualitativa come il colloquio, la conversazione con i
bambini o il focus group.
Testo pag. 109: le domande della tirocinante costituiscono il supporto per il gruppo per effettuare
un monitoraggio del lavoro. A partire dall’analisi di situazioni di conflitto e di esclusione, si chiede ai
bambini di indicare le strategie risolutive adottate per risolvere la questione. Attraverso
l’osservazione dei bambini durante l’attività e dall’analisi della loro discussione è possibile
monitorare le capacità di mediazione del singolo nel gruppo, ma anche l’approccio e la gestione del
conflitto tra pari. E’ possibile osservare il processo di co-adattamento tra bambino e
ambiente/pari/comunità, che può rivelare alcuni aspetti delle potenzialità sociali del singolo e la sua
capacità di interpretare le intenzioni e gli schemi relazionali presenti nel gruppo. Lo sperimentare
situazioni di collettività, dove ogni membro del gruppo è chiamato ad esprimersi al fine di formulare
una decisione che possa essere poi condivisa da tutti, costituisce un terreno dove sperimentare
partecipazione e appartenenza a una comunità che si configura come comunità di ricerca,
riconoscendo limiti e risorse del singolo e del gruppo. Le capacità di adattarsi alle situazioni mutevoli
della società, costituiscono un elemento fondamentale per la realizzazione di se stessi, per
contribuire al mantenimento di una coesione sociale e di una convivenza democratica. Le
dimensioni emotiva, affettiva e comportamentale dei soggetti sono oggi ritenute fondamentali per
creare quel ponte che collega le conoscenze alla vita reale e che attiva la dimensione partecipativa
alla cittadinanza. La partecipazione dei bambini alla produzione della documentazione e alla sua
analisi riveste un’ulteriore valenza socio-educativa: quella di promuovere una maggiore sensibilità
alla cura di ciò che succede al gruppo, monitorandone le difficoltà, ma anche il piacere di
constatarne prodotti, risultati e avanzamenti.
3. EDUCARE ALLA CITTADINANZA: VALUTARE, AUTO-VALUTARE, CO-VALUTARE

La qualità delle relazioni tra docente e alunno e tra pari influenza la percezione della scuola come
ambiente democratico. Un docente che crea spazi di dialogo focalizzati sulla tematica valutativa è
disposto a condividere parte del suo potere con la classe, che può essere intesa come comunità di
pratiche e di ricerca. Va superata la valutazione rilegata a una dimensione privatistica, poiché incide
sulla motivazione dell’alunno nei confronti dello studio. Un approccio alla valutazione che prevede
una riflessione condivisa fa sì che la responsabilità del processo valutativo venga distribuita
all’interno del gruppo.
Testo pag. 112: un insegnante aveva mostrato forti perplessità dopo l’introduzione del voto nel
2008, in quanto riteneva che il re-inserimento di questa pratica fosse incoerente con il modello
partecipativo e democratico. Decide di attivare un confronto con i bambini rispetto a tale
cambiamento: l’oggetto di discussione è il significato del verbo valutare. Dalla conversazione si
individuano 5 caratteristiche dell’atto valutativo: 1. dimensione privatistica della valutazione
(relazione soggettiva tra l’autore di una determinata zione e l’azione stessa); 2. Dimensione
dell’adeguatezza dei criteri selezionati (maestra che valuta se il lavoro che ha assegnato è giusto,
valutazione come verifica dell’adeguatezza di un prodotto ai criteri di correttezza); 3. Dimensione
del risultato/processo (se io faccio una foto, dopo valuto se è venuta mossa o no, valutare la
processualità a partire dall’esito osservabile); 4. Elemento della fallibilità degli strumenti (efficacia
delle tipologie di valutazione adottate, valutazione come processo dinamico che necessita di
continua riflessione e riformulazione degli strumenti); 5. Dimensione della personificazione
dell’oggetto valutato (la maestra ti corregge i compiti, emerge la connotazione psicologica con cui è
percepito l’atto valutativo e la problematicità di disgiungere nella definizione dell’oggetto di
valutazione tra prodotto e autore del prodotto). Emerge una fitta rete di dimensioni personali
implicate nel processo valutativo, necessitano di essere riconosciute per poter procedere in
direzione di una pratica valutativa che sia co-costruita con efficacia e che preveda una distribuzione
di responsabilità tra insegnanti e bambini.
Occorre stabilire dei criteri capaci di esprimere con chiarezza valutazioni fondate e attendibili in
modo da delineare la giusta correlazione tra giudizio valutativo e prestazione. La comunicazione dei
criteri di valutazione e l’implicazione personale degli allievi nella pratica valutativa mostra benefici
a livello didattico e emotivo. La partecipazione dello studente consente di portare lo sguardo
valutativo oltre la semplice prestazione finale e di considerare le numerose dimensioni che sono
implicate nel processo che influenzano l’apprendimento: strategie di risoluzione, consapevolezza
rispetto ai criteri stabiliti, aspetti personali e psicologici, valore formativo dell’errore. E’ possibile
rilevare come lo schema di criteri co-costruito sia spesso utilizzato dai bambini come traccia di
anticipazione e pianificazione della prova stessa. Ogni individuo è messo nelle condizioni di
monitorare quanto appreso e valutare la struttura e l’efficacia dei propri processi di apprendimento.
Il concetto di comunità di ricerca consente di concepire gli orizzonti temporali del processo
valutativo in termini estesi e processuali con l’idea di mettere a fuoco una traiettoria di sviluppo
proiettata al futuro degli apprendimenti dell’alunno. Nuova funzione della valutazione:
empowerment del singolo allievo e del gruppo= acquisizione crescente di consapevolezza e
conseguente capacità di autodeterminazione.
Il più alto grado di partecipazione al processo valutativo può avvenire all’interno delle pratiche di
autovalutazione mediante la condivisione di un patto tra allievo e docente. Questa prospettiva
permette agli allievi di fare esperienza di uno sguardo valutativo orientato a costruire un bilancio
dell’intero percorso di apprendimento. L’allievo si costruire così un’immagine di soggetto in
apprendimento che possiede un certo stile cognitivo, delle potenzialità e dei limiti→ indicazioni
nazionali: imparare a imparare.
Insegnante:” un lavoro sull’autovalutazione è importante perché aiuta i bambini a diventare
consapevoli di chi sono, favorendo la costruzione di una propria identità, sostenendo la
comprensione di ciascuno del proprio funzionamento”. La valutazione condivisa e trasparente si
lega all’ide di responsabilità e autonomia, di costruzione di un’identità pensante in grado di
imparare come imparare.
4. VERSO UNA VALUTAZIONE AUTENTICA

L’autonomia nella risoluzione dei problemi e la capacità di costruire scelte consapevoli nel rispetto
delle diverse opinioni sono aspetti che caratterizzano alcune delle esperienze di cittadinanza che gli
alunni esperiscono nella scuola. Tali circostanze richiedono ai bambini: autonomia nell’utilizzare le
proprie abilità per prendere una decisione, elaborazione di strategie di risoluzione di un problema,
monitoraggio e riprogettazione del processo di apprendimento. Ragionare nei termini di
promozione di queste competenze significa concepire la valutazione in maniera autentica.
Golderberg: ci sono due strategie nella risoluzione di un compito: 1. strategia veridittiva (VDM)=
individuare una soluzione di fronte a un problema che ne prevede una sola e vera, pone di fronte a
due o più soluzioni. 2. Strategia adattiva (ADM)= operare nei confronti di un problema una ricerca
della soluzione maggiormente efficace tra una serie di opzioni. Il 90% dei compiti di scuola
richiedono di attivare strategie accostabili a VDM, ma il 90% dei compiti nella vita e nella professione
chiedono di ricorrere a strategie ADM. Quindi le esperienze di vita chiedono l’adozione di strategie
che la scuola non consente di sviluppare.
Strutturare una valutazione autentica significa considerare non solo l’oggetto di valutazione, ma
anche il tipo di strategie richieste per giungere alla soluzione. L’insegnante deve porre attenzione a
quei compiti l’apprendimento e il saper stare al mondo e che riescono a mettere in connessione il
mondo della scuola con quello fuori. Una prospettiva di valutazione autentica intende dimostrare
non solo ciò che uno studente sa, ma ciò che uno studente sa fare con ciò che sa.
Winnings: condizioni per cui un compito può essere definito autentico:
-realistico (riflette il modo nel quale l’abilità dovrebbe essere usata nel mondo reale) -interattivo (si
svolge in gruppo) -richiede giudizio e innovazione -chiede di costruire la disciplina (impadronirsi
delle procedura proprie della disciplina) -replica o simula contesti vari (lavoro, vita civile, vita
personale) -sollecita l’impiego di un repertorio di conoscenze e di abilità per negoziare altri compiti
complessi -la conoscenza deve essere usata in modo creativo -focalizzare l’apprendimento
attraverso il ciclo di performance feedback/revisione/performance -sfidante -ha come esito un
prodotto che è il risultato dell’azione dell’allievo su un contenuto. Permette inoltre al soggetto di
accostarvisi in relazione alle proprie attitudini, strategie e stili cognitivi che caratterizzano il suo
processo di apprendimento.
I compiti autentici fanno riferimento a diverse metodologie didattiche: esercitazioni, simulazioni,
project work, problem solving, studio sui casi. Fanno parte delle normali attività di apprendimento.
Esempio 1: una tirocinante ha chiesto agli alunni di ripensare, riprogettare il momento della mensa,
frustrante e poco aggregante. La comunità di ricerca sperimentata dai bambini si è spinta oltre la
classe, interpellando gli alunni delle diverse classi e raggiungendo il dirigente scolastico. Gli studenti
hanno poi prodotto un resoconto dell’attività con il proposito di pubblicarlo per il giornale di zona.
Esempio 2: classe 5, i bambini hanno ragionato sulla tematica dell’accoglienza e dell’inclusione.
Tutoring tra pari. Gli studenti di 5 e i neo-arrivati hanno discusso sul tema della cura e delle relazioni
all’interno della comunità. L’attenzione si è poi spostata sul rapporto tra gli apprendimenti elaborati
dai bambini dall’esperienza di tutoring e le ricadute che queste competenze sociali potevano avere
sul territorio. Si è evinto che lo status di cittadino non può essere trasferito in maniera automatica
a un bambino e raccordato subito con le competenze messe in atto a scuola; tale status trova
realizzazione nel graduale attuarsi di esperienze che raccordano i vissuti scolastici con la realtà che
il bambino vive fuori dalla scuola. L’insegnate orienta un progressivo trasferimento di sguardo
rispetto al ruolo del bambino all’interno della scuola verso la comunità: dal riconoscimento degli
apprendimenti sviluppati nel ricoprire il ruolo di tutor nei confronti dei bambini della classe 1 al
riconoscimento di un ruolo di soggetto attivo all’interno della propria comunità.
Inoltre, utilizzano gli strumenti della valutazione qualitativa (protocolli e griglie osservative, analisi
di conversazioni, analisi dei prodotti), nel percorso sulla mensa è stato possibile valutare la
competenza linguistica dei bambini nell’esercizio dei diversi registri di linguaggio, in una dimensione
funzionale di comunicazione: messaggio scritto per il dirigente scolastico e realizzazione dell’articolo
pubblicato sul giornale.
5. INDAGINI NAZIONALI E INTERNAZIONALI SULLA VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE DI
CITTADINANZA

Alcuni riferimenti in ambito nazionale sono le ricerche condotte sulle competenze linguistiche come
necessarie all’esercizio di cittadinanza e sull’ed. civica, fino ad arrivare ai più recenti percorsi di
ricerca coordinati da Losito (2011). Losito evidenzia come il fatto di porsi il problema della
valutazione delle competenze di cittadinanza richieda di adottare una logica per la quale la
valutazione è un’attività sistematica, organizzata e continuativa di valutazione. Inoltre, dovrebbe
essere sempre sollecitata l’autovalutazione da parte dello studente. Identifica come fattori
fondamentali per la riflessione sulla valutazione delle competenze di cittadinanza l’organizzazione
della scuola e la gestione della partecipazione al suo interno (docenti, alunni, genitori) e la qualità
della didattica.

Ambito internazionale:
1)IEA: vanta la 1 indagine comparativa sulla civic education nei primi anni 70 e ha coinvolto 30mila
studenti di diversi paesi europei tra 10 e 14 anni. L’Italia ha partecipando con bambini di 5
elementare e 3 media/1 superiore.

Anni 70: il contesto di esercizio della cittadinanza subisce trasformazioni così profonde sul piano
sociale, politico, economico, culturale, giuridico e etico, da rendere inappropriati i significati
tradizionali di cittadinanza e inadeguata la formazione per l’esercizio di essa. Mentre la natura e la
complessità dei fenomeni sociali esige una sempre più estesa partecipazione civica delle nuove
generazioni, si assiste a un progressivo indebolimento del loro interesse verso la vita pubblica e
politica. E’ progressivamente cresciuta l’attenzione dei responsabili delle politiche educative allo
sviluppo di politiche volte alla formazione di cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri
e capaci di partecipare attivamente alla vita democratica. Alla scuola si domandava di sviluppare un
profilo culturale più elevato che contemplasse le conoscenze per l’esercizio dei diritti e dei doveri e
la capacità di interpretazione dei fenomeni sociali, di autonomia di giudizio, di interazione con gli
altri, di dialogo nelle situazioni conflittuali, di responsabilità nelle scelte.

2)CIVED: indagini in due fasi, 24 paesi. 1 fase (1994-96): ogni paese partecipante ha condotto uno
studio nazionale seguendo le domande guida. 2 fase (1997-99): pubblicazione dei risultati.
Ulteriori trasformazioni del tessuto sociale e nuove sfide poste dalla società democratica inducono
l’assemblea generale dalle IEA a lanciare
3)ICCS 2009: raccoglie dati aggiornati utili ai Paesi per migliorare le politiche e le pratiche in questo
settore dell’istruzione. Indaga sul ruolo dell’istruzione scolastica nel preparare i giovani a svolgere il
ruolo di cittadini attivi nelle società democratiche. Si elabora un modello di valutazione basato
sull’idea che l’interiorizzazione dei valori civici sia il risultato del sistema complesso di relazioni
sociali che gli studenti sviluppano nella loro vita a scuola e nella comunità sociale e politica. Alla
formazione della cittadinanza concorrono più dimensioni: conoscenze specifiche, affettivo
comportamentale, autonomia di giudizio, impegno e partecipazione alla vita democratica. Trovano
spazio accanto alle conoscenze civiche i fattori di contesto che influiscono sul rendimento scolastico
e sulla formazione di un profilo culturale adeguato ad assumere il ruolo di cittadino: percezioni,
convinzioni, comportamenti atteggiamenti degli studenti nei confronti di temi e problematiche.
4)CIDREE: la maggioranza dei Paesi partecipanti non ha ancora sviluppato una logica di base chiara
e specifica per valutare l’apprendimento in materia di cittadinanza.
5)ICCS 2016: permetterà di monitorare le conoscenze e la comprensione di concetti e problematiche
nell’ambito dell’ed. civica e alla cittadinanza da parte degli studenti, oltre che le loro opinioni,
attitudini e comportamenti.
CAP.5: CITTADINANZA E FORMAZIONE DI COMPETENZE A SCUOLA: APPRENDERE DAL PROPRIO
CONTESTO DI VITA
1. IMPARARE A SCUOLA PER “SAPER STARE AL MONDO”

Il mandato della scuola è educare, sin da bambini, al saper stare al mondo. Diviene prioritario
interrogarsi su quale cittadino si stia formando tramite gli apprendimenti scolastici e quale sia l’idea
di cittadino per il mondo che abbiamo in mente. Diventare cittadini e acquisire competenze di
cittadinanza esigono un consapevole processo educativo. La scuola avrebbe il compito di formare
ogni persona perché possa essere cittadino in possesso degli strumenti e delle capacità per
comprendere il mondo che lo circonda e per prendervi parte. La scuola dell’infanzia e la scuola
primaria avviano processi di alfabetizzazione formali e trasversali ai diversi sistemi simbolico-
culturali che permettano la costruzione di una padronanza dei linguaggi fondamentali e di una
capacità per comunicare. Grazie a questa padronanza ciascuno può arrivare a comprendere il
mondo e ad affrontare le sfide cui sono chiamate le nostre storie individuali e collettive. La
conoscenza e l’abilità nell’uso dei linguaggi consentono di agire e decidere ponderando, imparando
l’arte della critica. La scuola ha almeno due funzioni fondamentali per lo sviluppo della costruzione
del cittadino: cognitiva e culturale. La funzione cognitiva si esplica con l’ausilio di artefatti simbolici,
categorie di classificazione che accompagnano la conoscenza del mondo e promuovendone
un’interpretazione critica. La funzione culturale fornisce mappe di interpretazione della realtà tante
quante sono le culture e le sottoculture umane. Avere una funzione culturale fa della scuola un
luogo in cui si apprendono i modelli e i sistemi di interpretazione differenziati della realtà. Lo scopo
principale della scuola può essere delineato come la promozione dello sviluppo delle capacità degli
allievi di conoscere, analizzare e interpretare i propri ambienti di vita, il territorio e il tessuto sociale
circostante, la capacità di agire e contribuire al miglioramento del mondo. Al fine di formare un
cittadino in grado di interpretare la realtà e il mondo con spirito critico e di prendere decisioni
consapevoli, non è pensabili riferirsi a una scuola volta alla sola trasmissione di conoscenze
disciplinari e di studio; bensì l’esercizio di astrazione che allena la mente alla creativa
ricomprensione delle esperienze. Tale dimensione segnerebbe il passaggio da un sapere più
scolastico a un sapere reale. L’innovazione scolastica diviene una ricerca di continuità tra quello che
si impara dentro e fuori la scuola.
Insegnamento concepito come muro (netta separazione tra tutto quello che accade dentro e quello
che succede fuori dalla scuola, logica lineare, supremazia del docente, il sapere scolastico segue la
progressione dei contenuti e la sistematicità dei curricoli).

Insegnamento concepito come ponte (comunicazione continua tra scuola e mondo, circolare,
centrata sullo studente, esperienze significative per chi apprende, la conoscenza muove da contesti
reali e ritorna su di essi, relazione tra teoria e pratica).
Il tema dell’apertura della scuola al mono e dell’ingresso del mondo nella scuola richiama il dibattito
sulla formazione di competenze, intese come capacità di mobilitare le conoscenze e le abilità
acquisite per affrontare e provare a risolvere i problemi che la vita quotidiana pone di fronte a ogni
individuo.
Il costrutto di competenza rappresenta uno dei cambiamenti più significativi della scuola. Il concetto
è stato assunto con accezioni diverse, che danno luogo a una molteplicità di significati.
2. QUALE IDEA DI COMPETENZA? UN COSTRUTTO POLISEMICO
Negli anni 70 il costrutto di competenza veniva indagato mettendo a fuoco i comportamenti
osservali degli studenti e l’attenzione era sulle performance. Allo scopo di controllare gli esiti del
percorso didattico e migliorarlo si è giunti a un’impostazione basata sulla formulazione degli
obiettivi finali, che dovevano essere espressi in termini di comportamenti osservabili e misurabili.
La competenza era vista come prestazione identificata da un comportamento o da una sequenza di
comportamenti che dimostrava il possesso di una certa abilità. Questa definizione presenta dei
punti critici: la possibilità di osservare un comportamento si ha solo nel caso di abilità di natura
operativa; completa assenza della dimensione sociale e relazionale in questa definizione.
A questa idea di competenza sono stati mossi rilievi critici fin dai primi anni 80: il 1 evidenzia la
distinzione tra competenza e prestazione, il 2 vuole collegare l’idea di competenza all’azione. Si
impone la considerazione della differenza tra l’ideale di performance come comportamento
isolabile e osservabile e l’idea di competenza che non è mai definibile isolatamente. Questa
precisazione nasce dalla riflessione di Chomsky che in ambito linguistico sostiene che la competenza
non sia osservabile né misurabile. La competenza è quindi una disposizione interna del soggetto. La
prestazione è la capacità dimostrata dal sistema in azione, osservabile dal comportamento
dimostrato in una specifica circostanza.
Negli anni 90 si sono succedute diverse proposte che ancoravano l’idea di competenza al concetto
piagetiano di “schema operativo”. Se la competenza è qlcs di più e di diverso da un singolo
comportamento, la si può pensare come una struttura invariante che sottosta a un’operazione o
un’azione, compiute da un soggetto. Parlare di competenza come schema operativo significa
accogliere la critica cognitivista all’idea di competenza come comportamento osservabile e aprire
una visione più ampia, che considera la competenza come un fattore basilare della vita quotidiana,
strutturalmente implicato in ogni azione e in ogni procedura di apprendimento.
Perrenoud estende il concetto rilevando che una competenza è qlcs di più di un semplice schema:
distingue tra la sommatoria di una serie di schemi d’azione che può essere il frutto di una didattica
tradizionale basta sull’accumulo di conoscenze e abilità, e l’orchestrazione di schemi, che invece
comporta una dimensione di consapevolezza e maturità maggiore. Il costrutto di competenza rende
il quadro di riferimento maggiormente complesso riferendosi a nuove dimensioni quali:

• Risorse di tipo cognitivo (conoscenze e abilità)


• Risorse di tipo euristico (capacità di individuare una questione e rappresentarla al fine di
risolverla)
• Capacità strategiche (capacità di progettare proposte di monitoraggio di soluzioni proposte)
• Valori e percezioni del soggetto.

Pellerey evidenzia la pluri-prospetticità del concetto, definendolo come capacità di far fronte a un
compito o a un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse
interne, cognitive, affettive e volitive e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e
fecondo.
Castoldi e Martini utilizzano, per definire il concetto di competenza, l’immagine dell’anfiteatro. Ogni
settore è diviso in fasce: più superficiali in corrispondenza delle fasce più lontane dall’arena e più
profondi in corrispondenza di quelle vicine ad essa. Un 1 settore: spazio cognitivo che va
dall’acquisizione di semplici nozioni al possesso e alla capacità di attivazione flessibile di dispositivi
vari di pensiero (spiegazioni, interpretazioni, riflessioni). Un 2 settore e lo spazio del fare:
acquisizione di singole abilità, elaborazione di schemi procedurali conosciuti, sviluppo di capacità
complesse. 3 settore: spazio del gestirsi, controllo delle emozioni e dei pensieri, atteggiamenti,
comportamenti. 4 settore: motivazione intrinseca e estrinseca.
3. COMPETENZE CHIAVE DI CITTADINANZA E DIDATTICA: QUESTIONI APERTE
Quello che viene richiesto al mondo della scuola è un ripensamento della struttura del processo di
insegnamento-apprendimento. Occorre sradicarsi dall’idea di valutazione di una singola
prestazione, poiché non sarebbe sufficiente per certificare la presenza o l’assenza di competenza.
Vertecchi: le competenze non sono di per sé un contenuto dell’attività della scuola, anche se tale
attività è apprezzabile solo a condizione che conduca all’acquisizione di competenze.
Già all’interno del progetto DeSeCo (Definition and Selection of Competencies) promosso dall’OCSE
nel 2003, lo scopo è stato quello di individuare un insieme di competenze chiave trasversali alle
discipline e ai saperi scolastici, funzionali all’inserimento attivo nella vita adulta. Vengono descritti
tre piani: sapere, sapere fare e sapere essere. Il progetto DeSeCo ha condotto all’individuazione di
3 categorie di competenze di base:

• Uso interrativo di strumenti (capacità di utilizzare il linguaggio, simboli, testi diversi;


utilizzare le conoscenze e le informazioni; utilizzare tecnologie digitali).
• Interazione all’interno di gruppi eterogenei (capacità di porsi in relazione agli altri, di
cooperare, di affrontare e risolvere conflitti).
• Agire in modo autonomo (capacità di agire all’interno di un contesto ampio e differenziato,
di costruire e realizzare progetti individuali e di riconoscere e sostenere i propri diritti,
interessi, bisogni e limiti).
Le competenze di base si caratterizzano a tutti gli effetti come competenze di cittadinanza,
indispensabili per ciascun cittadino affinchè possa inserirsi in moto attivo e consapevole nella vita
sociale e possa sostenere e far valere al suo interno i propri diritti, nella consapevolezza dei propri
bisogni e limiti.
Molte delle competenze si sovrappongono e sono correlate tra loro: aspetti essenziali a un ambito
favoriscono la competenza in un altro. La competenza nelle abilità fondamentali del linguaggio, della
lettura, della scrittura e del calcolo e nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione è una
pietra angolare per l’apprendimento e il fatto di imparare a imparare è utile per tutte le attività di
apprendimento. La Raccomandazione europea individua un’area specifica delle competenze sociali
e civiche: includono competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano tutte le
forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo
alla vita sociale e lavorativa, alla vita in società sempre più diversificate. La competenza civica dota
le persone degli strumenti per partecipare alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle
strutture sociopolitiche e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica. Come nelle altre
competenze, in quelle sociali e civiche sono individuabili: dimensione cognitiva (conoscenze),
dimensione metacognitiva (consapevolezza del tipo di strategie e di abilità messe in atto in funzione
dei problemi da risolvere), dimensione affettivo-motivazionale. E’ presente anche una dimensione
di tipo valoriale, che fa riferimento ai principi fondamentali dei diritti dell’uomo e della democrazia
pluralista e al sistema di valori che a tali principi si ispirano.

PISA (Programme for International Student Assessment) si propone di valutare il livello di


competenza degli studenti quindicenni in 3 aree: lettura, matematica e scienze. Le competenze
rilevate in PISA sono considerate strumenti indispensabili a ogni cittadino per partecipare
attivamente alla vita sociale, per realizzare un progetto di vita personale e lavorativo, per contribuire
allo sviluppo della società in cui vive.
Da un punto di vista della progettazione e dell’azione didattica sostenere il costrutto di competenze
della cittadinanza vuol dire farsi carico di un processo di acquisizione e di conquista di autonomia,
indipendenza e creatività. Si tratta di una costruzione progressiva delle competenze di cittadinanza,
come possono essere consolidate e sviluppate, allo stesso modo possono essere soggette a
involuzioni e passi indietro. Sono presenti all’interno del costrutto questioni aperte che pongono
alcuni interrogativi:

• Specializzazione vs integralità: che tipo di sapere alimenta la competenza? Competenza


come sapere pratico o come sapere integrato, teorico e pratico e insieme?
• Disciplinarità vs interdisciplinarità: il sapere della competenza presenta tratti spiccatamente
disciplinari o è necessariamente interdisciplinare?
• Contestualità vs trasferibilità: se è vero che la competenza si esplica sempre in un contesto,
è altrettanto vero che ci si aspetta che una competenza acquisita sia trasferibile anche ai
contesti extrascolastici. Alcune ricerche e tentativi in questo senso hanno dato esiti negativi,
lasciando pensare che la competenza resti legata e ancorata al contesto in cui è stata
assegnata e appresa.
• Insegnabilità vs non insegnabilità: se si ha una visione analitica della competenza, fatta di
elementi che si compongono e generano livelli successivi di competenze di base specifiche,
allora si tende a prevedere un’insegnabilità delle competenze. Al contrario un approccio
olistico procede per intrecci tra esperienze, relazioni, interpretazioni e azioni che fanno
pensare più a una conquista del soggetto che a una conseguenza dell’azione deliberata
dall’insegnante.
• Valutabilità vs non valutabilità: come è possibile individuare la presenza di una competenza?
Da un lato si è ripetuto più volte che un singolo comportamento non può essere considerato
come indicatore di competenza, dall’altro è comunque necessario, per potere valutare,
oggettivare in qualche modo la competenza.

L’alunno svolge un ruolo attivo e di rielaborazione delle conoscenze, sviluppando abitudini e


disposizioni mentali; il docente garantisce la mediazione tra saperi e la cura degli aspetti emotivo-
affettivi e motivazionali di ciascun allievo e del gruppo, il contesto di vita (comunità scolastica e
ambiente circostante) è sia mediatore di apprendimenti informali sia il contenuto delle esperienze
culturali umane in cui costruire strumenti concettuali e maturare valori. Sul piano valutativo,
diventano importanti un confronto e una complementarietà tra il punto di vista oggettivo
(rilevazione di risultati attraverso prove standard), il punto di vista soggettivo (inferenza dei processi
a partire da atteggiamenti e comportamenti, autoriflessione e autovalutazione da parte degli allievi)
e il punto di vista intersoggettivo (confronto tra percezione e autovalutazione da parte dell’allievo,
valutazione dell’insegnante, oltre che il confronto tra i punti di vista degli insegnanti). La logica di
una didattica per competenze richiede di considerare la scuola come ambiente che svolge la
funzione primaria di dare senso, coerenza, praticabilità ai saperi e alle esperienze che si dispensano
agli studenti.

4. APPRENDIMENTO “DISTRIBUITO” E “CONTESTUALE”: TRANSAZIONI DI SAPERI E CAPACITA’


DENTRO E FUORI LA SCUOLA
Strumenti, attività e individui in cui l’azione è situata si inseriranno in un’azione distribuita: la
cognizione diventa un processo che prende forma nell’interazione sociale e contestuale perché
qualsiasi azione compiamo richiede il collegamento a informazioni e concetti distribuiti altrove.
L’oggetto di studio diventa il modo in cui le persone raccolgono e rielaborano le informazioni
necessarie e come si raccordano fra loro mettendo in atto processi di collaborazione allo scopo di
portare a termine compiti e attività. Il costrutto di transazione ecologica (=trasferibilità) di
Brofenbrenner ci consente di guardare alla relazione tra l’individuo e i suoi contesti di sviluppo,
macro, micro, meso ed esosistemici, dal punto di vista dell’interconnessione tra sistemi non solo
nelle caratteristiche strutturali, ma da quello delle percezioni soggettive. I passaggi da un contesto
all’altro sono favoriti quando:

• Vi è coerenza tra le aspettative sul singolo individuo da parte dei diversi sistemi di vita;
• Vi è coerenza fra quanto dichiarato dagli adulti educatori che progettano e guidano questi
contesti e il loro agito;
• Sono previsti strumenti e strategie di sostegno per i soggetti che affrontano passaggi da un
contesto all’altro.
Esempio: progetto sull’accoglienza di bambini di 1, da un mese entrati nella nuova scuola primaria,
da parte di bambini di 5. L’adulto ha predisposto un contesto che consente agli alunni di 1 di
sperimentare una duplice accoglienza, quella dell’adulto che allestisce la scena e quella dei pari che
praticano un’accoglienza sul palco. Questo progetto consente al bambino di 5-6 anni di vivere la
transazione ecologica attraverso un accompagnamento che si realizza come esperienza. Gli alunni
di 5 sperimentano un decentramento cognitivo ed emotivo per potere porsi in ascolto dei bisogni
dell’altro e provano in che cosa concretamente possa tradursi il senso di responsabilità nei confronti
di un compagno più piccolo.
La finalità più generale dal punto di vista degli inseganti è che i bambini si percepiscano come parte
attiva di un’organizzazione che attribuisce loro un ruolo fondamentale. Dal punto di vista
dell’educazione alla cittadinanza si tratta di allestire contesti per l’appartenenza, in cui mettere in
atto le premesse cognitive, ma anche affettive, del sentirsi parte di qlcs che unisce e include. I
contesti sono strutturati in modo da promuovere la fiducia negli adulti da parte degli studenti e la
loro stessa autonomia. Sarà l’apertura al mondo, al contesto di cui la scuola fa parte che permette
ai bambini di accedere alla conoscenza e alla cultura e li spinge a cominciare a farsi partecipi della
cura di quello stesso contesto, sentendosi sempre più responsabili di quello che succede intorno a
loro. Il mondo e il contesto in cui il bambino cresce diventano il testo su cui ci si prepara alla vita:
ciò avviene in una determinata situazione, il modo in cui ci si muove, si parla, ci si relaziona
dipendono da come sono stati predisposti e tessuti i fili della vita quotidiana anche a scuola. Lo stare
a scuola standoci bene significa praticare l’ascolto non solo pensandolo come principio regolatore
degli interventi educativi, ma attraverso un modello che pratica accoglienza, accogliendo gli studenti
come persone che portano saperi oltre a una propria storia e scegliendo questioni socialmente vice
come oggetto di studio e di apprendimento.
Eseempio: uscita nel quartiere di piccoli gruppi di bambini di 3, esplorazione multisensoriale. Il
materiale raccolto è stato utilizzato per la creazione di un plastico dell’isolato della scuola. I bambini
sono stati coinvolti sin dalla progettazione dell’uscita (motivi, scopi, senso). L’aver concordato il
compito con i bambini, ha avuto come effetto positivo un’attenzione maggiormente focalizzata. Una
consegna è stata quella di preparare brevi interviste rivolte a persone che abitano il quartiere per
indagare chi ci vive e ci lavora.
I luoghi della didattica sono molteplici, irriducibili all’interno delle mura scolastiche. Alberto Manzi
già più di 40 anni fa sosteneva che non può che esserci soluzione di continuità fra scuola e
extrascuola: l’aula scolastica è punto di riferimento protetto nel quale si struttura il lavoro di
insegnamento e apprendimento, l’esperienza educativa nelle sue forme più vive e suggestive si
dispiega fuori dalla scuola, sul territorio vicino e lontano. Il mondo è il testo, la classe è il luogo in
cui si progetta, si riflette anche per dare una nuova forma al sapere dell’esperienza, si studia il
mondo con i linguaggi dei saperi e dalle prospettive disciplinari. L’aula può essere trasformata in un
laboratorio vivente in continua evoluzione, accogliendo reperti, semi e piante da trapiantare,
prodotti di cui studiare la decomposizione, raccolta differenziata, presa di corrente adatta
all’incubatrice o all’acquario o allargando il raggio di azione della vita quotidiana scolastica al
giardino o all’orto della scuola. Dentro e fuori la scuola è anche il mondo della cultura e il mondo
sociale.
Fenomeni sociali come le guerre, le condizioni di ricchezze o povertà, lo statuto di cittadino o di
profugo hanno a che fare con il rapporto tra uomo e natura e con concetti quali sostenibilità ed
economia sostenibile e durevole e con alcuni valori, quali pace e solidarietà. Esempio: come un
gruppo di bambini tra 8 e 9 anni si rappresenta i migranti. La scuola dei bambini è accanto ad un
centro di prima accoglienza. A partire da una discussione nata dall’osservazione del quadro di Mirò
“La bagnante” i bambini sono sollecitati dall’insegnante a interrogarsi sulle rappresentazioni che
questa veicola e sul loro immaginario su un fenomeno tanto complesso quanto pervasivo
nell’esperienza diretta delle città, quello dei migranti.

Ragionare su situazioni di attualità consente ai bambini di ricontestualizzare le notizie sentite al


telegiornale o che hanno sentito a scuola. Questa operazione richiede una riflessione sulla tematica,
che va molto ben oltre la semplice acquisizione di un sapere. Il docente allestisce un contesto dove
poter sviluppare con i bambini una questione socialmente viva stimolando con domande guida
l’esplicitazione di conoscenza o la formulazione di un pensiero. E’ in questa età che si sviluppano i
primi stereotipi e il ragionamento ancora immaturo se non educato è portato a inferire da
informazioni imprecise. Nella scuola dei bambini si può dare avvio a forme di riflessione
argomentata che diano luogo a un habitus predisposto a interrogarsi prima di trovare rassicuranti
certezze, un’attitudine ad approfondire, a non smettere di fare domande. La sfida per
un’educazione alla cittadinanza è la scelta dei fenomeni da studiare, è essenziali che siano problemi
sociali e autentici.
5. FORMARSI AL PENSIERO CRITICO
5.1. Il dibattito pedagogico sul pensiero critico
Dewey: in Democrazia ed educazione propone un’educazione strutturata sul ruolo del pensiero
riflessivo nei processi di insegnamento. La distinzione tra pensiero ordinario e pensiero riflessivo è
centrale: il pensiero riflessivo è quel pensiero consapevole delle sue cause e delle sue conseguenze.
Bloom: merito di aver posto il pensiero critico come uno dei principali obiettivi delle azioni e dei
sistemi educativi. Recenti studi sul campo canadese hanno individuati una possibile articolazione
del tema in oggetto proponendo 3 prospettive educative riguardanti il pensiero critico:

• Pensiero critico come prodotto: tecnica per controllare l’ambiente secondo standard
predefiniti; la critica è un mezzo per raggiungere scopi a volte inesplorati;
• Pensiero critico come pratica: il suo sviluppo avviene attraverso la comprensione
dell’ambiente, ogni giustificazione e ogni interpretazione sono accettate senza essere
interrogate;
• Pensiero critico come prassi: il suo sviluppo avviene attraverso lo sviluppo di una conoscenza
critica che porta all’emancipazione e all’autonomia della persona e delle comunità.
Ennis: pensiero critico= pensiero razionale e riflessivo focalizzato a decidere cosa pensare e fare e
individua le caratteristiche del pensatore critico: giudica la credibilità delle fonti, indentifica
conclusioni e ragioni, giudica la qualità di un argomento, sviluppa e difende una posizione su un
tema, pone domande adeguate per chiarire temi controversi, pianifica esperimenti, definisce la
terminologia in modo appropriato al contesto, ha una mente aperta, cerca di essere ben informato,
tira delle conclusioni ma con cautela.
Elder: riprende il quadro di Ennis. Pensiero critico= modo di pensare in cui il pensatore migliora la
qualità del suo pensiero conoscendo le strutture del pensiero e imponendo su di esse delle norme
intellettuali. Un pensatore critico: solleva problemi vitali, formulandoli chiaramente; raccoglie e
valuta informazioni pertinenti; pensa con una mente aperta; comunica efficacemente con gli altri
per trovare soluzioni a problemi complessi. Il pensiero critico è autodiretto, autodisciplinato,
autocontrollato e autocorrettivo.
Lipman: pensiero critico= pensiero che facilita il giudizio perché fa ricorso ai criteri, è auto-correttivo
ed è sensibile verso il contesto. Essendo un pensiero attendibile si fonda su criteri riconoscibili e
valutabili che permettono di produrre affermazioni, opinioni e decisioni ben fondate, in grado di
essere sostenute da chi la compie e di essere criticati mostrandone lacune e fragilità.
Paul ed Elder: hanno individuato categorie di pensiero a cui hanno associato domande che
potrebbero essere utilizzate sia per stimolare il pensiero critico sia per valutare la sua
manifestazione:

• Chiarezza→ potresti illustrare quello che intendi?


• Accuratezza→ come possiamo provarlo?
• Precisione→ potresti fornirmi maggiori dettagli?
• Rilevanza→ come questo si collega al problema?
• Profondità→ quali fattori rendono difficile questo problema?
• Ampiezza→ dovremmo considerarlo da un altro punto di vista?
• Logica→ quello che dici è in accordo con le evidenze?
• Importanza→ quale tra questi fattori è il più importante?
• Equità→ ho tenuto in considerazione gli altri punti di vista?

La capacità di spiegare il proprio pensare e agire permette di sviluppare l’autonomia della persona,
che può così vivere la propria vita in modo consapevole e responsabile, prendendo decisioni che
partono da valutazioni e ragionamenti ponderati.

Tra il 1998 e il 2002, Marie-France Daniel e colleghi hanno svolto una ricerca con l’obiettivo di
investigare la manifestazione del pensiero critico nei bambini tra i 10 e 12 anni durante i momenti
di confronto in matematica. (3 gruppi di studenti in Messico, 3 in Quebec e 2 in Australia). La ricerca
si fonda sull’idea che lo sviluppo del pensiero avvenga attraverso un processo di ricerca sociale,
caratterizzato dalla discussione tra coetanei. Il dialogo è la forma di scambio che permette la
formazione di un pensiero critico in quanto consente agli individui di confrontarsi, esprimere
opinioni, che devono essere supportate da ragioni, e permette di valutare gli argomenti trattati da
diversi punti di vista e di sviluppare una consapevolezza di quanto affermato e pensato, di cosa e
come si pensa. La ricerca canadese rivela però che uno scambio interessante e intelligente non è
necessariamente dialogico e che ogni dialogo non è necessariamente critico. La ricerca evidenzia 3
tipologie di scambio:

• Scambi monologici: gli studenti formulano interventi indipendenti gli uni dagli altri, cercando
di fornire subito una risposta definitiva e giusta. Non sono basati sulla giustificazione delle
proprie opinioni.
• Scambi aneddotici: gli studenti parlano in modo non strutturato di situazioni personali. Non
sono inseriti in un processo di ricerca, non giustificano i propri punti di vista e le loro opinioni
sono presentate come delle conclusioni.
• Scambi dialogici: gli studenti cominciano a formare una comunità di ricerca, confrontano le
loro idee con quelle dei compagni a partire da un problema comune da risolvere.

In uno scambio dialogico non è sempre necessariamente implicato un pensiero critico.

• Dialogo non critico: non vi è interesse nei confronti di quanto pensato e affermato dagli altri.
• Dialogo quasi critico: interesse nei confronti di quanto detto dagli altri membri del gruppo,
le cui affermazioni, pensieri, idee, vengono ascoltate per poi esprimere critiche e il proprio
parere. L’altro non viene influenzato da tali critiche.
• Dialogo critico: i partecipanti non solo migliorano il proprio punto di vista e la prospettiva
del gruppo, ma li modificano. L’interdipendenza tra gli studenti è esplicita, la ricerca è
focalizzata verso la costruzione di significato. La critica è ricercata come strumento per far
progredire la comprensione. Gli studenti giustificano il loro parere in modo coerente e
originale.
3 livelli di competenze che devono essere perseguite perché il cittadino sappia far fronte alle sfide
della contemporaneità: 1. Orientato allo sviluppo di una cittadinanza riflessiva 2. Cittadinanza
vissuta 3. Cittadinanza deliberativa attraverso lo sviluppo di atteggiamenti di impegno e assunzione
di responsabilità.

5.2. Dialoghi e competenze di cittadinanza: esperienze di educazione al pensiero critico


Nella ricerca condotta da Daniel e collaboratori è stata individuata un’evoluzione del pensiero critico
in termini di ricerca di senso. Si passa da una ricerca di significato personale a una ricerca di
significato condivisa.

1 esempio (pag. 156): tema dell’ed. alla cittadinanza che richiama la dimensione di appartenenza a
una comunità. Si chiede ai bambini quando non si sentono di appartenere ad un gruppo. Poi si
chiede quali comportamenti possono essere agiti per non far sentire escluso un compagno. Può
essere definito responsabile quel tipo di pensiero che sottende il rispetto, il riconoscimento e
l’accettazione dell’azione così come mostrano gli interventi dei bambini per costruire
un’appartenenza al gruppo. Il pensiero metacognitivo si riferisce alla capacità di pensare sul
pensiero, sulle credenze, sulle prospettive e avere un controllo consapevole su esse. E’ un pensiero
che rende consapevoli di come le conoscenze e i processi cognitivi vengono utilizzati per formulare
nuove conoscenze, di quali strategie vengono adottate e di quali atti mentali si esplicano all’interno
dello scambio con gli altri.
2 esempio (pag. 158): classe 3, discussione sulle discussioni. E’ visibile lo sviluppo di una
consapevolezza riguardante le finalità che la discussione può assumere nella pratica scolastica
quotidiana. Sono diversi i bambini che riferiscono di parlare di questa pratica con la mamma. Si
pongono quindi le basi, grazie al tipo di didattica agita in aula e alla documentazione raccolta, per
realizzare quel dialogo fondamentale tra dentro e fuori la classe che accompagna il transfert di
competenze di cittadinanza che non viene acquisito spontaneamente dal bambino, ma è frutto di
un accompagnamento consapevole dell’insegnante.
Il tentativo ora è quello di capire come il pensiero creativo possa realizzarsi nella pratica scolastica
a livelli differenti. Il primo livello mostra un avvio di sviluppo di pensiero creativo, nonostante gli
scambi siano di tipo dialogico, non sono caratterizzabili criticamente, in quanto vi è un ascolto di
quanto espresso dall’altro, senza tuttavia esservi una vera e propria valutazione e confronto al fine
di giungere a un obiettivo comune.

Esempio 3 (pag.159): ognuno esprime come la pensa senza giustificare la propria affermazione.
Esempio 4 (pag. 161): discussione su cosa sono i problemi. Può essere interessante ragionare con i
bambini su cosa si intende per problema. Nel tentativo di capire se si trovano di fronte a dei
problemi, gli studenti vanno a ricercare, all’interno del proprio bagaglio di conoscenze, le occasioni
in cui questo termine viene utilizzato e lo ricollegano ai problemi che svolgono durante le ore di
matematica.
5.3. Orientare alla democrazia deliberativa
Il senso dell’ed. alla cittadinanza non si esaurisce nella costruzione di un senso critico, ma nelle
opportunità formative di sperimentare la deliberazione, cioè la prassi democratiche che produce
decisioni per la collettività e per il bene comune. Le condizioni per costruire deliberazione devono
essere create e non basta allestire momenti di confronto per farlo.
Esempio (pag. 162): la tirocinante ha proposto ai bambini una discussione su quali fossero gli
elementi naturali e antropici del paesaggio. Non sono giunti a un accordo condiviso dal gruppo.

Il docente che si assume il mandato di stimolare il pensiero autonomo e critico deve essere disposto
a modificare il suo piano di lavoro per dare spazio alle domande degli allievi e alla discussione ed
essere in grado di predisporre esperienze che implichino un’azione dello studente. In questo caso,
in cui una classe non ha mostrato accordo circa una definizione, il docente progetta un’esperienza
come l’uscita nel quartiere per far sì che siano i bambini stessi ad attivarsi per cercare le risposte
alle domande sospese.
La dimensione deliberativa connette pensiero e azione, quindi non partirà dalle conoscenze per
arrivare all’agire, bensì verrà organizzata intorno alla decisione. Un curricolo di questo tipo presenta
la specificità di essere deliberation-based, fondato cioè sulle scelte discusse attorno a problemi etici
comuni.
Esempio (pag. 163): scuola spagnola, produzione di un bene comune. E’ richiesto alle classi 3 e 4 di
ideare un progetto del giardino con arredi esterni. I genitori hanno presentato alle classi coinvolte
nel progetto alcune richieste sulle caratteristiche del giardino. I bambini sono stati distribuiti in
gruppi eterogenei e hanno osservato il giardino della scuola con modalità diverse. Costruzione della
prima bozza del progetto, sottoposta la confronto con genitori. Il progetto migliore è stato preso a
modello.
La comunicazione assume un’importanza centrale non solo in quanto strumento di espressione di
idee e affermazione di opinioni, ma in quanto strumento, da un lato, di strutturazione,
organizzazione e messa in forma del pensiero stesso, e dall’altro, di confronto, dialogo con gli altri.
E’ solo attraverso questo tipo di negoziazione che, nella prassi democratica, si formulano decisioni
volte alla produzione di un bene comune. I bambini in queste situazioni hanno l’occasione di
esercitare competenze di tipo decisionale e partecipativo.
Esempio (pag. 165): esplorazione del fenomeno delle migrazioni attuali. La scuola ha nel quartiere
un centro di prima accoglienza. La classe, ragionando su cosa si intende per accoglienza verso
persone in difficoltà, prima elabora come strategia quella di dare dei soldi. Poi si fa strada l’idea che
l’accoglienza può concretizzarsi in un incontro. Lo scopo degli insegnanti è quello di guidare quel
processo di circolarità progettuale che va dalla conoscenza alla riflessione, fino a giungere all’azione
consapevole, un’azione sociale per la comunità.
Per la realizzazione di una cittadinanza deliberativa, una cittadinanza che non sia mera
rivendicazione di diritti, ma che comprenda anche le fasi della scelta fra posizioni e valori diversi, è
dunque imprescindibile un’educazione al discorso che sviluppi atteggiamenti dialogici e competenze
linguistiche specifiche. Sarà funzionale lo sviluppo di alcune abilità finalizzate alla capacità di
lavorare in gruppo, di assumere e discutere i problemi, di negoziare le possibili soluzioni, di prendere
iniziative. Al fine di promuovere esperienze di democrazia deliberativa sarà necessario promuovere
negli allievi:

• Competenza del sapere comunicare: abilità di ascolto, parafrasare l’intervento dell’altro,


fare domande di approfondimento, abilità di risposta efficace.
• Competenza di gestione e distribuzione della leadership: distinguere compiti e ruoli nel
gruppo, pianificazione e progettazione, definire il problema, chiarire gli obiettivi di lavoro,
stabilire scaletta di priorità.
• Competenza di gestione dei conflitti: abilità di riconoscimento e controllo delle proprie e
altrui emozioni, identificare il terreno comune per possibili soluzioni, accettare le differenze.
• Competenza di risoluzione di problemi: definire il problema, favorire la generazione di idee
e la scelta delle più efficaci, criticare le idee e non le persone, essere consapevoli negli errori,
effettuare correzioni e autocorrezioni, raggiungere un accordo.
• Competenza di elaborazione di decisioni e azioni: pianificazione, azione, monitoraggio e
valutazione.
La costruzione di una coesione sociale è una priorità se si vuole pensare a un modello di società più
solidaristico, che si costruisca attorno a un progetto di ridistribuzione più equa delle risorse e delle
opportunità. Allora la politica ritrova la sua funzione primaria e autentica e un’ed. alla politica
diventa il modo per innestare i progetti di vita dei giovani nel tessuto della comunità, per realizzare
una società diversa, più egualitaria, solidale, cooperativa, sensibile alle opportunità di realizzazione
di tutti. La prima condizione perché si possa partecipare è che siano rimossi gli ostacoli che lo
impediscono e che si creino le condizioni perché la partecipazione sia effettiva, produttiva,
autentica. Questo obiettivo si ottiene sviluppando quelle competenze cognitive, di socialità, di
strategia la cui mancanza inibisce o rende puramente formale ogni tipo di partecipazione.
SCHEDA DI APPROFONDIMENTO 1: LE RACCOMANDAZIONI DEL PARLAMENTO 2006 E IL DECRETO
N. 122 DEL 2007

Vi è un largo movimento che sottolinea quanto sia rilevante il ruolo dell’istruzione nel sostenere la
democrazia all’interno delle società (indagini IEA). L’Europa ha risposto ai mutamenti culturali,
economici e sociali e alle nuove richieste che hanno investito il pianeta con l’elaborazione di
strategie politiche finalizzate al miglioramento dei sistemi di formazione. La sessione del Consiglio
europeo a Lisbona nel 2000 ha elaborato il noto Quadro di riferimento delle competenze chiave che
definisce le competenze di base dei cittadini delle democrazie europee e le competenze chiave per
l’apprendimento permanente.
1.Comunicazione nella madrelingua: esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e
opinioni in forma sia orale che scritta e interagire adeguatamente sul piano linguistico in vari
contesti.

2.Comunicazione nelle lingue straniere: in più al punto precedente richiede abilità come mediazione
e comprensione interculturale.
3.Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia: sviluppare e applicare il
pensiero matematico per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane. La competenza in
campo scientifico si riferisce alla capacità e alla disponibilità a usare l’insieme delle conoscenze e
delle metodologie possedute per spiegare il mondo che ci circonda. La competenza in campo
tecnologico è considerata l’applicazione di tale conoscenza e metodologia per dare risposta ai
desideri o bisogni avvertiti dagli esseri umani.
4.Competenza digitale: sapere utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della
società dell’informazione.
5.Imparare a imparare: perseverare nell’apprendimento, organizzare il proprio apprendimento
anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni. Consapevolezza del proprio
processo di apprendimento e dei propri bisogni.

6.Competenze sociali e civiche: competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano


tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e
costruttivo alla vita sociale e lavorativa, alla vita in società sempre più diversificate, risolvere conflitti
ove sia necessario. La competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare appieno
alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture sociopolitici e all’impegno a una
partecipazione attiva e democratica.
7.Senso di iniziativa e imprenditorialità: capacità di una persona di tradurre le idee in azione.
Assunzione di rischi, capacità di pianificare e gestire progetti per raggiungere obiettivi.
8.Consapevolezza ed espressione culturale: consapevolezza dell’importanza dell’espressione
creativa di idee, esperienze ed emozioni in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione.
Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo
personale, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e la preoccupazione. Si riferiscono a tre aspetti
fondamentali della vita di ciascuna persona: alla realizzazione e alla crescita personale (capitale
culturale), alla cittadinanza attiva e all’integrazione (capitale sociale), alla capacità di inserimento
professionale (capitale umano).
Già nel 2002 il Consiglio d’Europa lavora al progetto di educazione alla cittadinanza democratica.
Nel 2005, lancia l’ Anno europeo della cittadinanza attraverso l’educazione con il proposito di
mettere in rilievo il ruolo strategico delle istituzioni scolastiche e formative nell’ed. alla cittadinanza.
Nel 2007-2013: Europa per i cittadini che intente creare le condizioni per realizzare esperienze di
cittadinanza attiva nella società civile. Nel 2007 è stato pubblicato il Consenso europeo sull’ed. allo
sviluppo. In questo testo viene fornito il primo quadro strategico, piano di iniziative di
sensibilizzazione ed educazione volte a promuovere l’informazione e la comprensione di problemi
legati allo sviluppo globale.
Nel contesto nazionale le indicazioni contenute nella Raccomandazione del Parlamento europeo
(2006) vengono recepite nel Regolamento sull’obbligo di istruzione nel quale si afferma che i saperi
e le competenze per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione sono riferiti a 4 assi culturali (dei
linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico, storico-sociale). Seguono la seguente declinazione:

• Imparare a imparare
• Progettare: elaborare e realizzare progetti riguardanti lo sviluppo delle proprie attività di
studio e di lavoro
• Comunicare o comprendere messaggi
• Collaborare e partecipare
• Agire in modo autonomo e responsabile
• Individuare collegamenti e relazioni
• Acquisire e interpretare l’informazione
Tuttavia le indicazioni fornite nei documenti non sempre si sono tramutate nella costruzione di
processi virtuosi di integrazione e delle tematiche di educazione alla cittadinanza globale nei sistemi
di istruzione formale e informale.
CAP.6: VERSO UN CURRICOLO TRANSNAZIONALE DI EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA: PRIMI
RISULTATI DEL PROGETTO STEP

L’ed. alla cittadinanza è un’esperienza formativa che mira alla costruzione di un progetto
democratico, perseguibile solo attraverso apprendimenti diffusi che avvengono dentro e fuori dalle
mura scolastiche, a partire dalle azioni didattiche e progettuali del docente. La fase di acquisizione
di conoscenze diviene solo preparatoria all’es. del senso critico, funzionale alla soluzione di
problemi, alla trasformazione degli schemi interpretativi e al cambiamento delle proprie prospettive
di significato. Bambino= persona da educare all’assunzione di responsabilità nei confronti di sé e
delle proprie comunità di appartenenza, del patrimonio culturale e ambientale. Dal punto di vista
didattico, tale processo implica metodologie di apprendimento esperienziale che seguano un livello
di complessità crescente, volto all’acquisizione di consapevolezza delle cause e delle conseguenze
dei propri atti. Si segna il passaggio da un riferimento esclusivo al sapere a un saper essere.
Concezione pedagogica che conduce l’esperienza di ciascuno a sviluppare atteggiamenti e
comportamenti rispettosi all’interno di una collettività e che invita educatori e insegnanti a
individuare pratiche adeguate a tale scopo. La riflessione sui concetti dell’ed. alla cittadinanza
democratica è una dimensione dell’azione.
1. L’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA NELLE INDICAZIONI NAZIONALI 2012
Analizzando il documento, si possono individuare tre accezioni di ed. alla cittadinanza:
1. Come conoscenza dei principi costituzionali
2. Come esercizio di competenza
3. come pratica di cittadinanza attiva.
Secondo le Indicazioni il primo tassello che permette al bambino di agire da cittadino ha a che fare
con l’apprendimento dei suoi diritti e doveri e dei sistemi all’interno dei quali può esercitare questa
funzione. Diventa oggetto del processo di insegnamento per la scuola del primo ciclo la prima
conoscenza della Costituzione della Repubblica italiana. Sembrerebbe che il documento intenda
rimanere ancorato a un’impostazione contenutistica e trasmissiva. Un richiamo alla scuola come
istituzione che educa alla cittadinanza comincia a emergere quando si afferma che queste
conoscenze possono contribuire a dare un valore più largo e consapevole alla partecipazione alla
vita della scuola intesa come comunità che funziona sulla base di regole condivise. Possiamo
riscontrare che il documento, anche in questa prima parte ancora fortemente contenutistica,
evidenzia come tale conoscenza contribuisca a dare una maggiore consapevolezza della
partecipazione alla vita della scuola stessa, intesa come comunità che funziona sulla base di regole
condivise. E’ solo nell’ambito del secondo livello si pensa alla cittadinanza come pratica di
cittadinanza attiva e come competenze da acquisire. Si legge che l’ed. alla cittadinanza viene
promossa attraverso esperienze significative che consentano di apprendere il concreto prendersi
cura di se stessi, degli altri e dell’ambiente e che favoriscano forme di cooperazione e di solidarietà.
Cittadinanza come competenza che si acquisisce attraverso l’esercizio del diritto alla parola,
possibile attraverso la padronanza della lingua madre, consente di esprimersi, produrre pensiero
critico riflessivo, di svolgere un ruolo attivo nella comunità, partecipano a scambi, confronti,
dialoghi, negoziazione di significati condivisi nel rispetto degli altri. La lingua madre non viene
definita solo come strumento di comunicazione, ma anche di accesso ai saperi, alla cultura. La terza
accezione descritta propone un’ed. alla cittadinanza come pratica di cittadinanza attiva. L’idea
proposta è quella di far vivere ai bambini esperienze significative, volte alla costruzione del senso di
legalità e allo sviluppo di un’etica della responsabilità. E’ sottesa l’idea che la scuola possa costituire
un banco di prova dove sperimentare esperienze di cittadinanza che possano essere poi trasferite
all’esterno.
Si possono tratteggiare 3 linee di sviluppo possibili alla cittadinanza: l’ed. alla convivenza sociale,
l’ed. allo sviluppo sostenibile e al patrimonio, sviluppo del pensiero critico. L’ed. alla cittadinanza
nel testo è declinata nei termini di ed. al territorio, all’ambiente e allo sviluppo, richiamando il senso
di responsabilità verso il patrimonio culturale, artistico, storico, ambientale. Emerge l’importanza di
diffondere la consapevolezza della responsabilità che ognuno ha nei confronti del futuro
dell’umanità. Questo può avvenire attraverso la conoscenza dei problemi del mondo, delle questioni
socialmente vive che diventano l’occasione per ragionare criticamente e porre le basi per
l’acquisizione di una consapevolezza nelle scelte che caratterizza un cittadino responsabile.
La scuola è il luogo che deve formare lo studente non solo come cittadino di domani, ma che
promuove il suo sviluppo già da subito in qualità di cittadino di oggi, facendolo sentire appartenente
a un contesto, a un ambiente, a una storia, che possano sostenerlo in un protagonismo attivo nel
presente.

E’ stata condotta un’analisi quantitativa delle parole che potessero essere indice delle tre linee di
sviluppo (ed. alla convivenza sociale: società e cittadinanza, ed. allo sviluppo sostenibile: ambiente
e sostenibilità, ed. al patrimonio: patrimonio e territorio). → pag. 178.
Per quanto riguarda la convivenza civile, è presente un richiamo alle competenze di cui necessita il
soggetto in apprendimento per poterla agire: tra le competenze trasversali attese quelle sociali e
civiche includono competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme
di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla
vita sociale e lavorativo in società sempre più diversificate. Per quanto riguarda l’ed. allo sviluppo
sostenibile l’ambiente viene nominato come elemento di cui prendersi cura, come condizione per
praticare esperienze significative di cittadinanza, nei termini di adesione consapevole a valori e una
pratica di convivenza civile. All’interno dei traguardi delle competenze al termine della primaria, in
scienze, viene prevista l’assunzione di atteggiamenti di cura verso l’ambiente scolastico e di rispetto
e apprezzamento del valore dell’ambiente sociale e naturale. E’ presente un riferimento alla
trasformazione dell’ambiente, in un’ottica sostenibile, promuovendo nei bambini atteggiamenti che
preparino e sostengano interventi trasformativi dell’ambiente attraverso un uso consapevole delle
risorse. Il territorio viene valorizzato come risorsa per l’apprendimento e ne viene esplicitato per i
docenti l’utilizzo flessibile e aperto degli spazi, inserendo il processo di insegnamento-
apprendimento in una dimensione che investe il dentro e fuori la scuola. Se si considera la linea di
sviluppo relativa all’ed. al patrimonio, l’es. attivo di cittadinanza nominato nel documento viene
prefigurato attraverso azioni di cura e miglioramento, come salvaguardia, recupero e conservazione
del patrimonio. Nei traguardi di competenza viene richiesta la capacità di proporre soluzioni idonee
al proprio contesto di vita, individuando problemi relativi alla tutela e valorizzazione del patrimonio
culturale e naturale. La storia gioca un ruolo importante.
Per quanto riguarda la trasversalità delle discipline di indica come le competenze per l’ed. della
cittadinanza attiva siano promosse continuamente nell’ambito di tutte le attività di apprendimento,
utilizzando e finalizzando i contributi che ciascuna disciplina può offrire. Non si tratta di un’ed. alla
cittadinanza che può essere ridotta entro i confini di una disciplina da insegnare, ma di un’ed. che si
può promuovere attraverso la costruzione di percorsi che avvengono dentro e fuori la scuola, nel
territorio, nella mensa, nella città, nella classe, in palestra e nel quartiere, che rendano possibile lo
sperimentare un apprendimento attraverso esperienze significative e autentiche della
partecipazione. La modalità suggerita nel documento per promuovere le competenze di
cittadinanza è la didattica laboratoriale, poiché il lab. è la modalità di lavoro maggiormente in grado
di incoraggiare la ricerca e la progettualità, coinvolgendo gli alunni nel pensare, realizzare, valutare
attività vissute.
2. VERSO UN CURRICOLO TRANSNAZIONALE DI CITTADINANZA?

L’ed. alla cittadinanza implica confrontarsi sulla costruzione di contesti che siano coerenti con i valori
di una società democratica e che consentano agli studenti l’esercizio dei propri diritti e doveri, non
in quanto futuri cittadini, ma in quanto già ora cittadini soggetti di diritti e doveri. Diventa
importante porsi la domanda rispetto a quale curricolo disciplinare possa essere funzionale per
promuovere la competenza dello stare al mondo. A livello europeo e internazionale sono 3 gli
approcci adottati:
1) Ed. alla cittadinanza come materia separata
2) Integrato: diverse discipline concorrono a costruire le conoscenze e le competenze relative
all’ed. alla cittadinanza.
3) La scuola nel suo complesso, in modo trasversale, ha il compito di educare alla cittadinanza
(orientamento di questo testo).
Ciascuno di questi presenti aspetti di forza e di debolezza.
In Italia, nonostante quanto dichiarato nelle Indic. Naz.rispetto all’intento della scuola di ragionare
in ottica interdisciplinare, i docenti sono portati ad individuare competenze specifiche riferibili a
singole discipline, perdendo il rapporto fra discipline e costruzione delle competenze chiave. Studi
recenti sulle rappresentazioni che gli insegnanti hanno della cittadinanza attiva rivelano l’idea che
questa non richieda conoscenze e competenze di tipo curricolare, ma che riguardi più generali e
generiche sensibilità personali e civiche. Questo approccio trasmette ai bambini la percezione che
le questioni sociali, ambientali e territoriali non siano collegate con quanto si studia a scuola; questa
visione fa allargare lo iato fra mondo scolastico e extrascolastico.

Con “approccio interdisciplinare” di Frabboni, l’interdisciplinarietà si pratica quando un


argomento/tema disciplinare riceve un apporto di conoscenza da altre materie. L’autore descrive 3
diversi approcci interdisciplinari:

• Trasversalità lineare: un tema/argomento di una materia curricolare si sviluppa grazie al


contributo offerto da discipline affini.
• Trasversalità composita: tema/argomento di una materia curricolare o extracurricolare si
sviluppa grazie all’approfondimento logico o metodologico di altre materie affini e non.
• Trasversalità strutturale: tema/argomento extracurricolare si sviluppa con l’apporto
dell’intero sistema disciplinare.
Costruire competenze di cittadinanza richiede un livello di collaborazione e integrazione tra diversi
insegnamenti (e tra insegnanti), che è ancora tutto da costruire nella nostra scuola. La scuola
dovrebbe caratterizzarsi come ambiente di apprendimento aperto e democratico. Le discipline
devono essere considerate come strumenti culturali per comprendere e affrontare la realtà sociale.
Promuovere cittadinanza richiede di considerare la scuola come ambiente che svolge la funzione
primaria di dar senso, coerenza, praticabilità, consapevolezza ai saperi dei bambini. Questo è
possibile solo se si attua il passaggio da un’idea di scuola che offre forme di sapere ricettivo-
riproduttivo a un’offerta di forme di sapere più responsabile, in cui le discipline siano intese come
modalità storicamente determinate di costruzione del sapere, in grado di offrire chiavi di lettura dei
problemi non univoche o rigide, ma innovative e produttive.

Un curricolo per la cittadinanza dovrebbe poggiare le basi su alcuni orientamenti di fondo:


1) Pensare all’ed. alla cittadinanza come a un progetto politico che investe globalmente la
scuola assolvendo al mandato di formare cittadini e di far sperimentare laboratori dove
vivere insieme in uno spazio pubblico. Le azioni finalizzate a questo scopo si fondano su
strumenti di ricerca per l’accordo tra i differenti punti di vista, comunità, culture, confessioni
religiose. Si tratta di proteggere e incoraggiare l’esercizio dei diritti della costituzione e dei
cittadini, in particolare il diritto alla parola a scuola.
2) L’idea di interdisciplinarietà con cui educare i bambini a una forma mentis abituata a vedere
il globale, l’interconnessione, il complesso, a partire dalla consapevolezza che il sapere,
prodotto della conoscenza, è uno perché uno è il mondo e che la divisione in campi,
discipline, settori è un artificio umano, utile per approfondire la conoscenza settoriale, la
quale deve retroagire individuando le connessioni col tutto e consentendo una visione
globale. Per risponde alle domande, bisogna mettere in connessione le discipline affinchè
ciascuna di esse porti una risposta complementare alle altre.
3) L’integrazione fra cultura umanistica e cultura scientifica. Quest’ultima approfondisce i
propri campi di indagine, formula teorie, ma solo in unità con la prima può produrre una
riflessione sulla condizione dell’uomo, può cercare di dare risposte ai suoi interrogativi
esistenziali.
4) Il passaggio da saperi a competenze: le conoscenze sulla realtà culturale e sociale passano
dall’analisi delle cause e delle conseguenze dell’intervento dell’essere umano sull’ambiente
in una prospettiva tecnologica, per risolvere i problemi ambientali.
5) Passare dal sapere al saper essere: la finalità educativa dei saperi mira alla formazione di un
atteggiamento responsabile verso gli altri. Un atteggiamento costruttivo permette di
comprendere il senso delle regole nell’esercizio della cittadinanza, ma anche delle cause e
delle conseguenze dell’intervento dell’uomo sulla natura.
6) Dare valore alle cose. L’ed. consente di dare valore alle cose, di prendere coscienza della
propria partecipazione alla vita della scuola come comunità, di promuovere un’azione di
trasformazione dell’ambiente e di gestire il conflitto tra interessi individuali e bene collettivo.
7) Pensare all’alunno come soggetto protagonista, osservazione diretta degli allievi e analisi
delle questioni socialmente vive al fine di stimolare una presa di coscienza di un’azione di
cittadinanza.
All’interno del curricolo le tematiche centrali da approfondire:

1) Vivere insieme come ed. alla partecipazione democratica: compito della scuola è educare la
capacità degli alunni di adattarsi alle situazioni mutevoli della società, per contribuire al
mantenimento della coesione sociale e della convivenza democratica. L’ed alla dimensione
affettiva, emotiva e comportamentale dei soggetti è impo per creare il ponte necessario a
collegare le conoscenze alla vita reale e attivare la dimensione partecipativa e emancipativa
della cittadinanza.
2) Il territorio come sistema plurale. Il territorio deve essere analizzato nelle sue caratteristiche
fisiche, umane, sociali con i suoi fenomeni locali e globali. Alcuni saperi conducono a scoprire
la diversità del territorio attraverso le tracce del passato. L’obiettivo è vedere il territorio
come teatro di interazione tra la comunità umana e l’ambiente con un impatto sull’identità
stessa di questa comunità in quanto scenario di produzione di cultura.
3) Il patrimonio come insieme complesso da conoscere e proteggere. Se la conoscenza del
patrimonio si radica del locale, l’ed. al patrimonio rinvia a una cultura generale. L’ed al
patrimonio è percepita come protezione e conservazione.
2.1. Il paesaggio come fonte di ed. alla cittadinanza
Per ragionare sulla relazione tra interdisciplinarietà e ed. alla cittadinanza: progetto di ed. al
paesaggio, classe prima scuola primaria.
In un’epoca in cui si sente parlare di degrado ambientale, di mancanza di legame con il territorio e
di tutela del patrimonio paesaggistico, diventa fondamentale riflettere sulla molteplicità di risorse
che il paesaggio può offrire. Il viversi come attori nel paesaggio per i bambini può essere considerato
un esercizio di cittadinanza e di presa di coscienza delle azioni che si possono agire nel territorio. A
cavallo tra natura e cultura, contemplazione e azione, materia e pensiero, il paesaggio si propone
per essere calato nell’insegnamento di diverse discipline scolastiche.
Italiano: racconto orale delle proprie sensazioni ed emozioni suscitate da paesaggi differenti. Far
emergere i propri stati d’animo e condividerli col gruppo. Scrittura: si può percorrere la strada
dall’immagine alla scrittura o viceversa con la rappresentazione grafica del paesaggio descritto da
altre persone o da letterati. Creare storie, reali o fantastiche, in cui inserire vari elementi di uno o
più paesaggi.
Storia: educare l’alunno al riconoscimento degli elementi significativi del passato del suo ambiente
di vita, esplorando le tracce storiche presenti nel territorio.
Matematica: Il paesaggio presenta aspetti quantitativi (effettuare conteggi e frequenze di alcuni
elementi caratteristici del paesaggio, misurare dimensioni e distanze, costruire modelli e
rappresentazioni), si presta allo studio della geometria.

Scienze: esplorazione del paesaggio tramite approccio senso percettivo.


Arte e immagine: produrre varie tipologie di testi visivi e rielaborare le immagini con varie tecniche
espressive. L’alunno osserva, esplora e descrive e legge le immagini. Elabora produzioni personali e
autentiche per esprimere sensazioni ed emozioni; sperimenta strumenti e tecniche diverse per
realizzare prodotti grafici, plastici, pittorici e multimediali.

Musica: esplorazione sonora del paesaggio, prestando attenzione ai suoni e rumori dell’ambiente,
effettuare passeggiate d’ascolto o itinerari sonori.
Diventa necessaria l’esperienza diretta: per conoscere un paesaggio è fondamentale uscire dalle
mura scolastiche ed estendere i propri confini.
Percorso: partendo dall’esplorazione della personale idea di paesaggio dei bambini, si è passati
all’osservazione del giardino della scuola per arrivare a progettare un’uscita nel quartiere. L’idea di
paesaggio dei bambini è stata indagata attraverso disegni e scritture spontanee. Sono state svolte
delle interviste al fine di esplorare vissuti e sensazioni legati alla propria idea di paesaggio. In tutti
questi casi è stato dato spazio alla fantasia, al ricordo e alla riproduzione di paesaggi, lasciando ai
bambini il tempo per far emergere tutte le loro conoscenze ed esperienze, vere o verosimili.
Successivamente l’attenzione si è spostata sul giardino della scuola chiedendo ai bambini di
realizzare un disegno en plein aire con la penna. I disegni in bianco e nero sono stati arricchiti dalla
sovrapposizione di fogli di carta da lucido, dove i bambini hanno disegnato il giardino in una giornata
fredda e una calda. Dopo aver assemblato i tre fogli, si è ragionato sui cambiamenti del paesaggio
prima attraverso i loro lucidi e anche attraverso le fotografie poi. In piccoli gruppi i bambini sono
usciti sul territorio attorno alla scuola effettuando un’esplorazione multisensoriale documentata.
Alcuni bambini a turno hanno anche scattato foto mentre altri hanno realizzato video. Si può notare
come i bambini sono ricettivi e sensibili agli elementi fuori posto, come le moto sul marciapiede, i
rifiuti ingombranti, le sigarette per terra, le scritte sui muri. Sono molto sensibili a ciò che è giusto o
sbagliato e dalle loro parole emerge l’influenza degli adulti di riferimento. Il paesaggio di città è
stato anche esplorato nella storia, attraverso il confronto tra foto. Questo ha permesso di
problematizzare le ragioni che hanno portato le modifiche avvenute. Le osservazioni condotte sul
territorio e i materiali raccolti sono stati utili per l’attività successiva, la creazione del plastico del
quartiere della scuola.
E’ possibile educare al paesaggio ma anche attraverso il paesaggio, promuovendo da un lato una
riflessione scientifica, ma anche l’attitudine a esprimere il proprio vissuto. Conoscere e riconoscere
le funzioni dei vari spazi e le loro connessioni, gli interventi positivi e negativi dell’uomo e progettare
soluzioni, significa permettere ai bambini di fare pratica di cittadinanza attiva.
2.2. Un nuovo paradigma per l’ed. alimentare
Il momento del pranzo è uno dei più complessi e interessanti dal punto di vista educativo, perché
racchiude una molteplicità di significati interni ed esterni rispetto al mondo scolastico:

• Il cibo è sin dalla nascita nutrimento affettivo e relazionale.


• La routine dei pasti svolge un ruolo di primo ordine nella costruzione dell’identità e
nell’accrescimento dell’autostima: a tavola nascono i primi conflitti tra genitore e figlio e il
no del bambino costituisce la prima affermazione della propria personalità.
• Lo svolgimento del pasto riflette la qualità delle relazioni tra i commensali e il ruolo sociale
di ciascun commensale evidenziando asimmetrie e parità.
• La condivisione del cibo a tavola è una pratica socio-culturale a cui i bambini si socializzano
prima di tutto in famiglio e contribuisce allo sviluppo del bambino. Tramite l’adozione di
strutture del pasto particolari s segnalano i confini tra l’intimità familiare e ciò che da essa
rimane esclusa.
• Si può parlare di cibo come linguaggio che segna l’appartenenza o meno al gruppo in virtù
della conoscenza dei significati in gioco. La partecipazione alla mensa è il primo segno di
appartenenza al gruppo.
Poiché la scuola educhi al vivere sociale democratico, contribuendo a formare bambini alla
cittadinanza attiva, è necessario che i bambini si approprino di questa routine quotidiana, attraverso
percorsi di conoscenza e riflessione finalizzati all’autonomia personale e alla condivisione sociale.
Se l’obiettivo è migliorare la qualità della vita quotidiana a scuola e rendere più autonomi i bambini
facendoli partecipi delle scelte di vita comune, si rende necessaria una progettazione comune del
momento del pasto, che coinvolga tutti gli attori (scuola, servizio di ristorazione, insegnanti,
bambini, genitori) nel riparare insieme, e migliorare questo momento.
Classe quinta, percorso di ed. alimentare, la classe ha operato una profonda riflessione sul momento
del pasto, realizzando un pranzo speciale. Dalla riflessione interna alla classe sono emerse alcune
problematiche legate al momento della mensa: rumore, non divertimento dopo aver consumato il
pranzo, ambiente poco curato. Sono state individuate diverse soluzioni possibili per migliorare la
qualità di questo momento della vita quotidiana a scuola. Queste sono state sottoposte e vagliate
dall’intera scuola, attraverso un sondaggio che ha permesso di ricevere un feedback sociale. La
conclusione del progetto è stata la pubblicazione di un articolo sul mensile ZonaNove di Milano con
l’intento di informare, sensibilizzare e proporre cambiamenti a Milano Ristorazione e alla scuola.
Questo percorso ha permesso alla classe di interrogare conoscenze e concetti appartenenti a
diverse discipline; si sono dovuti cimentare con il lessico e la struttura testuale propria dello stile
giornalistico o con l’uso di tabelle per la raccolta di dati statistici e di istogrammi per la loro
rappresentazione grafica. Il progetto ha permesso poi agli alunni di configurarsi come attivi
ricercatori e promotori di idee.
Dewey definisce questo tipo di esperienze come attività intelligenti, cioè attività concrete di
progettazione e realizzazione, guidate dall’attenzione riflessiva, cioè da uno sforzo consapevole di
concentrazione che nasce dalla rilevanza di significato di un problema che determina la ricerca di
strumenti e strategie risolutive. L’allestimento della mensa speciale è stato realizzato dai bambini
con molto impegno e il coinvolgimento delle altre classi è stato un forte stimolo per i bambini nel
sentirsi più responsabili del momento del pranzo. Durante le attività, i bambini hanno collegato con
naturalezza le esperienze con preconoscenze disciplinari, come la prospettiva zenitale, gli
ideogrammi cinesi. I bambini si sono spinti a utilizzare sistemi simbolici e concetti mutuati dalle
discipline persino senza averle ancora studiate, come i concetti geometrici di volume/capacità e
diametro, il lessico e la struttura testuale propria dello stile giornalistico, l’uso di tabelle per la
raccolta dei dati statistici e di istogrammi per la loro rappresentazione grafica. Tutto ciò è stato
molto naturale nel corso del progetto perché gli strumenti rispondevano a un bisogno del gruppo.
SCHEDA DI APPROFONDIMENTO 2: EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA E INTEGRAZIONE CON
CURRICOLI SCOLASTICI
Per indagare il rapporto tra educazione alla cittadinanza e curricoli dei sistemi formativi, è utile
considerare le politiche adottate dai singoli Stati nazionali. E’ possibile riferirsi all’analisi riportata in
uno dei Quaderni di Eurydice, dove vengono prese in esame le differenti scelte adottate da alcuni
stati occidentali nell’integrare la promozione della cittadinanza all’interno dei curricoli scolastici.
Sono considerati i curricoli europei, la partecipazione alla governance della scuola da parte di
studenti e genitori, il coinvolgimento degli studenti nella vita civica, la valutazione dell’offerta di
educazione alla cittadinanza e dei risultati degli studenti, i supporti agli insegnanti e ai capi di
istituto. E’ possibile individuare tre approcci principali:

1. Disciplinare: ed. alla cittadinanza nei termini dell’insegnamento specifico di una materia.
Sono circa 20 i Paesi membri che adottano tale politica.
2. Integrato: alcune discipline, prevalentemente di area storico-sociale, concorrono a costruire
le conoscenze e le competenze relative all’ed. alla cittadinanza (Svezia).
3. Trasversale: la scuola ha il compito di educare alla cittadinanza, in una dimensione
interdisciplinare. L’Italia rientra in questa sezione: nell’ambito dell’area interdisciplinare
“Cittadinanza e Costituzione”, tutti gli insegnanti devono includere obiettivi legati alla
cittadinanza e alla Costituzione nell’insegnamento della loro materia o area tematica.
Devono realizzare progetti didattici mirati all’approfondimento della conoscenza della
Costituzione italiana da parte degli alunni e allo sviluppo dei valori della cittadinanza attiva.
L’ambiente scolastico è chiamato a caratterizzarsi come contesto democratico di apprendimento in
cui gli studenti sono considerati non come futuri cittadini, che la scuola deve preparare all’esercizio
dei diritti e dei doveri in vista del loro esercizio nell’età adulta, ma come cittadini a tutti gli effetti,
titolari diritti e dover che sono chiamati a sperimentare quotidianamente nella vita scolastica.
Il primo insegnamento legato all’ed. alla cittadinanza in Italia inizia nel 1958, durante il mandato di
Aldo Moro come ministro dell’istruzione, con l’introduzione in quelle che allora erano definite
scuole medie e superiori di dure ore al mese obbligatorie di educazione civica, affidate
all’insegnante di storia prive di valutazione. Poi, nel 1979 si si introduce lo studio della Costituzione
per gli studenti del terzo anno delle scuole medie. Nel 1985 è istituito dal ministro Franca Francucci
l’insegnamento di educazione alla convivenza democratica. Nel 1996 si istituisce l’insegnamento di
ed. civica e cultura costituzionale. Nel 2004 (ministro Moratti) il nome varia in ed. alla convivenza
civile e l’insegnamento riguarda: ed. alla cittadinanza, ed stradale, ambientale, alla salute,
alimentare e all’affettività. Nel 2007 (Fioroni) educazione alla cittadinanza attiva e nel 2008
(Gelmini) cittadinanza e costituzione.

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