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Alfred Percy Sinnett

DUBBHISMO ESOTERICO

Edizioni Teosofiche Italiane


Indice

Presentazione
Prefazione alla prima edizione inglese

I. I MAESTRI ESOTERICI
Il. LA COSTITUZIONE DELL’UOMO
III. LA CATENA PLANETARIA
IV. I PERIODI DEL MONDO
V. DEVACHAN
VI. KAMALOKA
VII. LA CORRENTE UMANA
VIII. IL PROGRESSO DELL’UMANITÀ
IX. BUDDHA
X. IL NIRVANA
XI. L’UNIVERSO
XII. RIVISTA DELLA DOTTRINA

Nota sulla traslitterazione


Presentazione
L’opera di Alfred Percy Sinnett, Il Buddhismo Esoterico o Positivismo Indiano,
rappresenta qualcosa di fondamentale importanza per la comprensione dei contenuti che
caratterizzarono il rifiorire del pensiero teosofico nell’ultimo quarto di secolo
dell’Ottocento. Sinnett infatti fu destinatario di una considerevole serie di lettere,
scrittegli dai Mahatma che ispirarono la nascita della Società Teosofica nel 1875 e che
furono poi raccolte nel volume Le Lettere dei Mahatma ad A. P. Sinnett, i cui contenuti
andrebbero costantemente tenuti presenti durante la lettura della presente opera.
C’è stato dunque un rapporto diretto fra l’autore del libro e le autorevoli fonti del
pensiero teosofico moderno, fonti che vengono spesso richiamate da Sinnett ed anche per
questo il volume è da inserire a pieno titolo fra i Classici della Teosofia.
Questo non significa peraltro che la Teosofia possa essere identificata tout court come
Buddhismo esoterico, ma certamente quest’ultimo, l’antica tradizione indiana non
dualista (Advaita Vedanta) e la Gnosi contengono tracce fondamentali di quell’ “Antica
Saggezza” di cui parlano i fondatori della Società Teosofica ed Helena Petrovna
Blavatsky in particolare.
C’è una vera e propria chiave di lettura che costituisce un aspetto fondamentale di tutte le
principali opere della tradizione teosofica moderna; si tratta del fatto che la Vita viene
considerata come un quid profondamente unitario, animato da leggi evolutive e di
equilibrio che vedono una relazione integrata e non ontologicamente separata fra spirito e
materia. La presenza del primo in ogni livello e grado della seconda schiude la possibilità
di una comprensione profonda di tutti i processi vitali e di tutti i percorsi che l’essenza
umana compie sulla strada della piena consapevolezza.
Solo se si tiene conto di ciò si può comprendere come la concezione teosofica relativa
all’evoluzione dell’individuo e delle razze non vada interpretata in chiave esistenziale o
storico-sociologica, ma vada vista, attraverso lo spazio ed il tempo, in stretta relazione
con quella che potremmo chiamare la dimensione del “Continuo Infinito Presente”.
Ed appare allora del tutto naturale non solo che i regni della natura e le differenze che
caratterizzano l’umanità rappresentino il percorso di ciascuno verso il tutto, ma anche che
il principio della Fratellanza Universale senza distinzioni diventi paradigma e pietra
miliare di qualsiasi percorso umano ed individuale verso la consapevolezza.
In ambito teosofico non c’è vera spiritualità senza Fratellanza, perché la vera
comprensione della Vita porta al superamento fra il soggetto e l’oggetto, fra ciò che
appare fuori di noi e quello che invece è in noi, fra l’Osservatore e l’Osservato.
Si comprende allora perché nella settima edizione del suo libro Sinnett si sentì di dover
riaffermare: “Questa teoria riconosce l’evoluzione dell’anima umana come un processo
continuo per se stesso, sebbene sia in parte effettuato per mezzo di una numerosa serie di
forme separate “.
Ma chi era in realtà Alfred Percy Sinnett (1840-l92l)? Sinnett era un noto giornalista
inglese, che fu capo redattore di alcuni importanti periodici quali il ‘‘DailyPress’’di Hong
Kong, “TheStandard”di Londra e “The Pioneer” di Allahabad.
Quando H. P. Blavatsky ed il col. H. S. Olcott si stabilirono in India nel 1879 vennero
accolti con grande interesse e la curiosità che suscitarono spinse Sinnett a volerli
intervistare. Ne nacquero una durevole amicizia ed un successivo importante ruolo di
Sinnett nella Società Teosofica, di cui fu Vice Presidente dal 1895 al 1907.
Da H, P. Blavatsky e H. S. Olcott, Sinnett apprese che i veri promotori della Società
Teosofica erano i Mahatma, Maestri spirituali della Grande Fratellanza Bianca
transhimalayana. Sinnett espresse il desiderio di entrare in corrispondenza con loro per
poter avere informazioni sulla filosofia occulta. Due di questi Mahatma, che si firmavano
rispettivamente K. H. (Koot-Hoomi) e M. (Morya) accolsero la sua richiesta e si resero
disponibili a rispondere ai quesiti che lui avrebbe posto.
Le risposte dei Mahatma sono contenute in 128 lettere fatte pervenire a Sinnett nell’arco
di quattro anni, dall’ottobre 1880 al settembre 1884, Alcuni studiosi disinformati hanno
messo e mettono in dubbio l’esistenza di queste lettere, che invece il ricercatore, con
metodo scientifico, può tranquillamente consultare in originale presso il British Museum
a Londra, dove sono conservate.
Nel 1881, due anni prima di pubblicare Il Buddhismo Esoterico, Sinnett dà alle stampe
presso l’editore Trubner & Co di Londra Il Mondo Occulto, opera che lo fa conoscere in
numerosi Paesi e che ha avuto anche il merito di attrarre positive attenzioni sulla Società
Teosofica e sul suo lavoro.
Nel 1883, alla sua uscita anche Il Buddhismo Esoterico o Positivismo Indiano ottiene un
grande successo, che durerà nel tempo, con numerose edizioni e una ricca serie di
traduzioni. Successivamente alla prima uscita del libro, Sinnett integrò il testo con alcune
annotazioni inserite alla fine di ciascun capitolo, che comparvero nelle edizioni seguenti.
La prima edizione del libro in italiano è del 1900, a cura della Società Teosofica Italiana,
che continuerà a ristamparlo anche successivamente.
Nella sua presentazione dell’edizione del Centenario, nel 1983, Edoardo Bratina ricorda
che il Mahatma K.H. in una delle sue lettere a Sinnett affermò: “Malgrado alcuni
impercettibili errori ed omissioni, il vostro Buddhismo Esoterico è l’unica esatta
esposizione, per quanto incompleta, della nostra dottrina occulta. Non avete commesso
alcun errore cardinale o fondamentale e qualunque cosa vi sarà data d’ora in poi non
colliderà con una singola frase del vostro libro, anzi al contrario, spiegherà ogni
apparente contraddizione”.
Anche H. P. Blavatsky sottolineò l’importanza del lavoro di Sinnett, che precedette la
pubblicazione de La Dottrina Segreta di 5 anni, scrivendogli il 6 gennaio 1886 da
Wurzburg: “L’estrema lucidità del Buddhismo Esoterico sarà indicata (ne La Dottrina
Segreta), come pure dimostrate esatte le sue dottrine”.
La Blavatsky ne La Dottrina Segreta cita l’opera di Sinnett ben 62 volte. come fonte
genuina d’informazione, pur dissentendo talora su alcuni punti marginali e criticandone il
titolo, in quanto suscettibile di errata interpretazione nell’identificare il contenuto
dell’opera con la filosofia buddhista; per Madame Blavatsky la dottrina esposta nel libro
di Sinnett non rappresenta il buddhismo come viene comunemente inteso, ma è correlata
con il suo significato etimologico di “illuminazione” avrebbe potuto essere titolata
“CristianesimoEsoterico”, “EbraismoEsoterico” o “Induismo Esoterico”, in quanto
espone la dottrina sottintesa in tutte le religioni.
Il breve excursus sopra esposto rende ragione dell’importanza dell’opera di Alfred Percy
Sinnett ed è dunque con particolare gioia che presentiamo questa nuova edizione 2007 de
Il Buddhismo Esoterico o Positivismo Indiano.
Si tratta infatti di una edizione basata su una nuova ed integrale traduzione,
amorevolmente curata da Fabrizio Ferretti e da Luca Manini, cui ha un particolare e
sentito ringraziamento.
Ed un grazie va pure al gruppo di amici che ha seguito la preparazione e la stampa del
libro; grazie dunque a Patrizia Moschin Calvi, Enrico Sempi, Sergio Ferro e Ivana
Dissegna.
Per quanto riguarda i termini in sanscrito si è adottato il consueto sistema di trascrizione
che caratterizza i libri di Edizioni Teosofiche Italiane (si veda in proposito la scheda
illustrativa a pago 169). Per la trascrizione di altre parole in lingue orientali si è pure
cercata la massima accuratezza.
Va da sé che il Lettore che dovesse riscontrare qualche inesattezza è invitato a segnalarla
e di ciò gli saremo davvero grati.
Un’ultima informazione riguarda le note al testo, che contengono ciascuna l’indicazione
di distinzione fra quelle (rare) inserite dall’autore e quelle invece dei curatori dell’opera.
La lettura attenta de Il Buddhismo Esoterico è ancor oggi fonte di riflessione e di
conoscenza, a dimostrazione della straordinaria attualità del pensiero teosofico.
Naturalmente il contenuto non è da trasformare in qualcosa di dogmatico; rappresenta
piuttosto un importante materiale di studio, sperimentazione e verifica. E in taluni
passaggi e riferimenti va tenuto conto anche del periodo storico in cui l’opera fu scritta.
La coscienza dell’individuo non trascolora in consapevolezza attraverso un sapere
mnemonico ed accademico, ma grazie ad un lavoro interiore in grado di creare un vero e
proprio ponte tra intuizione e realtà, fra sentire interiore e vita quotidiana, fra la
dimensione del tempo e l’eternità.

dr. Antonio Girardi Segretario Generale della Società Teosofica Italiana


Vicenza, 8 maggio 2007
Prefazione alla prima edizione inglese
Gli insegnamenti contenuti in questo libro gettano un fascio di luce su tutte le questioni
relative alla dottrina buddhista esoterica che ha reso molto perplesso fino ad oggi chi si è
occupato di questa religione, e offrono al mondo, per la prima volta, una chiave pratica
per comprendere il significato di quasi tutto l’antico simbolismo religioso. Inoltre la
dottrina esoterica, se compresa esattamente, non mancherà di attirare l’attenzione di tutti i
pensatori seri. I suoi principi non ci sono stati presentati come l’invenzione di un
riformatore o di un profeta e la sua testimonianza non è basata su scritture più o meno
sacre. Le sue teorie sulla Natura sono il risultato di lavori costanti eseguiti da tantissimi
ricercatori specializzati, grazie ad un potere di percezione molto superiore a quello
posseduto dall’umanità ordinaria. Nel corso delle epoche le conoscenze così accumulate
sull’origine del mondo, dell’uomo e del destino ultimo della nostra razza, della natura
degli altri mondi e degli stati di esistenza che differiscono dalla nostra vita presente,
indagati ed esaminati in ogni loro punto, verificati in ogni direzione e costantemente sotto
esame, sono stati considerati dai loro custodi come la verità assoluta delle cose spirituali,
il vero stato delle cose che riguarda le vaste regioni di attività della vita e che si trova
pure oltre il dominio di questa esistenza terrena.
La filosofia europea, sia che riguardi la religione o la pura metafisica, è stata abituata per
così lungo tempo ad un senso di insicurezza nelle speculazioni che oltrepassano i limiti
della sperimentazione fisica, da far sì che l’assoluta verità delle cose spirituali non fosse
quasi più riconosciuta dai pensatori assennati come oggetto razionale di ricerca. In Asia
invece si sono acquisite differenti abitudini di pensiero.
La dottrina segreta, che in larga misura è in grado di esporre, viene considerata non solo
dai suoi sostenitori, ma anche da un vasto numero di persone che non si aspettavano di
conoscere nulla di più del semplice fatto che tale dottrina esiste, come una miniera di
conoscenza attendibile da cui tutte le religioni e filosofie hanno derivato ciò che
posseggono di verità, e con cui ogni religione deve coincidere se afferma di essere
un’espressione della verità.
È un’affermazione audace, ma mi arrischio ad esporre la spiegazione che segue come
qualcosa di immensamente importante per il mondo, perché credo che tale affermazione
possa essere convalidata.
Non dico che nell’ambito di questo volume possa essere comprovata l’autenticità della
dottrina esoterica. Tale prova non può essere data da alcun processo di argomentazione,
ma solo attraverso lo sviluppo, in ogni ricercatore, delle facoltà richieste per la diretta
osservazione della Natura lungo le linee indicate. La sua conclusione prima facie
potrebbe essere determinata dalla misura in cui le opinioni sulla Natura che stanno per
essere svelate possono essere intellettualmente accettate, e dalle ragioni esistenti che
portano ad avere fede nei poteri di osservazione di coloro ai quali tali poteri sono stati
comunicati.
Si può supporre che la grandezza dell’affermazione in difesa della dottrina esoterica
sollevi la presente esposizione dalla regione della ricerca alla quale il suo titolo si
riferisce, ricerca che riguarda il vero significato interiore di quella specifica e definita
religione chiamata buddhismo. Il fatto è, tuttavia, che il buddhismo esoterico, anche se
per nulla separato dalle associazioni buddhiste di tipo exoterico, non deve essere
concepito come costitutivo di un mero imperium in imperio, cioè una scuola centrale di
cultura nel vortice del mondo buddhista. Mano a mano che il buddhismo si ritrae nei
recessi interiori della sua fede, si vedrà che questi si fondono nei recessi interiori di altre
fedi. Le concezioni cosmiche e la conoscenza della Natura sulle quali il buddhismo non si
basa semplicemente ma che costituiscono il buddhismo esoterico, costituiscono
ugualmente il brahmanesimo esoterico. E la dottrina esoterica viene così vista dagli
appartenenti “illuminati” a tutti i credi (nel senso buddhista), come la verità assoluta che
concerne la Natura, l’Uomo, l’origine dell’Universo, e i destini verso i quali tendono i
suoi abitanti. Allo stesso tempo, il buddhismo exoterico è rimasto in strettissima unione
con la dottrina esoterica più di qualsiasi altra religione popolare. Un’esposizione della
conoscenza interiore, rivolta ai lettori inglesi dei nostri giorni, sarà associata in modo
inscindibile con le linee familiari dell’insegnamento buddhista. Di certo tale esposizione
darà a questi lettori un significato vivente di cui loro sembrano privi, ma proprio per
questo motivo la dottrina esoterica può essere studiata più convenientemente nel suo
aspetto buddhista. Un aspetto, inoltre, che ha fortemente segnato questo insegnamento dal
tempo di Gautama Buddha è che il colore buddhista ha permeato solo ora la sua intera
sostanza, sebbene l’essenza della dottrina risalga ad una ben più remota antichità. Ciò che
sto per divulgare al lettore è il buddhismo esoterico, e per gli studiosi europei che si
avvicinano per la prima volta ogni altra designazione sarebbe inappropriata.
L’affermazione che debbo fare deve essere considerata in tutta la sua interezza prima che
il lettore sia in grado di capire perché gli iniziati nella dottrina esoterica considerano di
grandezza sorprendente la concessione che interessa la presente rivelazione delle linee
generali di questa dottrina. Una spiegazione potrebbe trarre origine dall’ estrema sacralità
che è sempre stata collegata dai loro antichi custodi alle verità vitali insite nella Natura.
Fino ad ora questa sacralità ha sempre ordinato il loro occultamento agli occhi del gregge
profano. E dato che questa politica dell’occultamento (una tradizione di età
immemorabili) è stata ora messa da parte e il nuovo inizio è stato segnato dalla comparsa
di questo volume, ciò sarà visto con sorpresa e rammarico da un vasto numero di
discepoli iniziati. L’apertura alla critica, che può talvolta essere goffa e irriverente, di
dottrine che sono state considerate fino ad oggi troppo imponenti perché se ne potesse
parlare liberamente se non in circostanze solenni adatte, sembrerà a loro una terribile
profanazione dei grandi misteri. Dal punto di vista europeo, sarebbe irragionevole
aspettarsi che questo libro possa essere esente dall’usuale trattazione violenta delle nuove
idee. Le convinzioni speciali o luoghi comuni bigotti possono talvolta rendere tale
trattazione nel presente caso particolarmente avversa. Ma tutto ciò, sebbene sia evidente
agli esponenti europei della dottrina come me, sembrerà doloroso e disgustoso ai suoi
primi rappresentanti regolari. Essi si appelleranno rassegnati alla saggezza della regola un
tempo onorata secondo la quale, nel vecchio sistema simbolico, si proibiva agli iniziati di
gettare le perle ai porci.
Credo che non sia stato permesso alla regola di agire contro coloro che sono lontani
dall’essere iniziati, nel senso occulto del termine, ma che probabilmente lo saranno per
mezzo della pura forza della cultura moderna, adatta per apprezzare la concessione fatta.
Una parte delle informazioni contenute in questo volume è stata divulgata a frammenti,
negli ultimi diciotto mesi, nel Theosophist, rivista mensile che si pubblicava a Bombay e
ora a Madras, dai dirigenti della Società Teosofica. Siccome quasi tutti gli articoli a cui si
è fatto riferimento li ho scritti io, non ho esitato a trarne alcune parti nel presente volume,
quando l’ho ritenuto necessario. Un certo vantaggio si è avuto mostrando così come i
frammenti presentati per primi all’attenzione del pubblico si inseriscano naturalmente nei
posti giusti del “mosaico” quasi finito.
Fino ad oggi il sistema o dottrina, rivelato nelle sue linee principali, è stato custodito così
gelosamente che nessuna ricerca letteraria, anche se estesa a tutta l’India, avrebbe potuto
portare alla luce alcun frammento. È stato infine divulgato al mondo per grazia di coloro
che fino ad oggi l’avevano custodito. Nessuno avrebbe potuto estorcere il più piccolo
accenno se loro non avessero voluto. È solo dopo una lettura della presente esposizione
che la loro posizione, riguardo le presenti aperture o la passata reticenza, potrà essere
criticata e persino compresa. Le opinioni sulla Natura ora esposte sono del tutto nuove ai
pensatori europei; la politica degli esperti nella conoscenza esoterica, che è cresciuta in
intimità con queste opinioni, deve essere considerata in relazione ai principi peculiari
della dottrina stessa. Per quanto riguarda le circostanze nelle quali queste rivelazioni sono
state anticipate per la prima volta nel Theosophist, ed ora completate ed ampliate come i
miei lettori vedranno, è sufficiente dire per il momento che la Società Teosofica deve la
sua fondazione a certe persone, con cui sono in contatto, che sono tra i custodi della
scienza esoterica, ed attraverso le quali posseggo ora il materiale di cui tratto nel presente
volume. Le informazioni divulgate infine a beneficio di chi è maturo per riceverle sono
state destinate per essere comunicate al mondo tramite la Società Teosofica fin dalla sua
fondazione, e circostanze successive hanno soltanto segnalato me stesso come agente
attraverso cui questa comunicazione può essere effettuata convenientemente.
A questo punto, lasciatemi aggiungere che io non mi considero il solo esponente della
verità esoterica per il mondo esterno. Per quanto riguarda la conoscenza filosofica, questi
insegnamenti sono il risultato finale delle relazioni con il mondo esterno stabilite dai
custodi della verità esoterica, attraverso di me. Ed è solo considerando le opere e le
intenzioni di quei Maestri esoterici che hanno scelto di operare attraverso di me che posso
avere una certa conoscenza. Ma anche se in modi differenti, alcuni altri autori si sono
impegnati ad esporre le stesse verità che i Maestri mi hanno commissionato di divulgare
per il bene del mondo e in accordo con un grande piano del quale questo volume è una
parte. Un libro notevole, pubblicato un paio d’anni, fa La Via perfetta, può essere
specialmente menzionato dato che mostra come sentieri differenti possono condurre alla
stessa meta. Le ispirazioni interiori de La Via perfetta mi sembrano identiche alla
filosofia che io ho appreso. I simboli nei quali queste ispirazioni sono velate, secondo me,
sono responsabili di sviare lo studioso; ma questa è una naturale conseguenza delle
circostanze in cui l’ispirazione interiore è stata ricevuta. Molto più importanti e
interessanti per me delle discrepanze tra gli insegnamenti de La Via perfetta e i miei,
sono le analogie che si possono rintracciare nelle chiare spiegazioni scientifiche che mi
sono state trasmesse sul piano dell’intelletto fisico e le idee che costituiscono la base di
quelle comunicate su un sistema del tutto differente agli autori del libro che ho citato.
Queste identità sono di gran lunga più vicine ad essere il risultato sia di coincidenze che
di speculazioni parallele.
Probabilmente oggi la grande attività di semplici e comuni speculazioni letterarie su
problemi che stanno oltre il campo della conoscenza fisica può anche essere in qualche
modo provocata da questa tendenza da parte dei grandi custodi della verità esoterica,
della quale il mio stesso libro è una manifestazione, e il volume che ho citato
probabilmente ne è un’altra. Trovo, ad esempio, nella recente pubblicazione di M.
Adolphe d’Assier, Essai sur l’Humanité Posthume, qualche riflessione sul destino dei più
alti principi umani dopo la morte, pregna di un sorprendente sapore di vera conoscenza
occulta. Ancora, l’entusiasmo adesso mostrato nella ricerca psichica, da parte di uomini
distinti, seri e colti, che dirigono a Londra la società che si occupa di quei temi è, secondo
me, l’ovvia conseguenza dei loro sforzi che va di pari passo con quelli di coloro di cui mi
sono occupato più nell’immediato (sapendo che le aspirazioni spirituali del mondo sono
influenzate tacitamente da coloro che agiscono in questo campo della Natura).
Non mi resta che rinunciare, per quel che riguarda il trattato che segue, ad ogni eccessiva
pretesa di utilizzare un linguaggio appropriato. Una più lunga familiarità con il
complesso e vasto schema della cosmogonia rivelata suggerirà, senza dubbio, dei
miglioramenti nella scelta dei vocaboli utilizzati per esporla. Due anni fa, né io né altro
europeo vivente conoscevamo l’alfabeto della scienza, o di altro argomento del genere,
che viene esposta qui per la prima volta in una forma scientifica: la scienza delle Cause
Spirituali e dei loro Effetti, della Coscienza super fisica, dell’Evoluzione Cosmica. E
sebbene, come ho già spiegato, siano state divulgate al mondo idee celate in modo più o
meno imbarazzante per quel che riguarda la simbologia mistica, non è mai stato fatto
alcun tentativo, da parte dei Maestri esoterici, di presentare la dottrina nella sua purezza
più astratta. Nello stendere queste righe ho dovuto coniare frasi e suggerire termini
inglesi che equivalessero all’idea che mi si presentava alla mente. Sono convinto di aver
fatto del mio meglio, in tutti questi casi, per trovare le frasi più giuste e le parole più
espressive. Per esempio, all’inizio dell’argomento ci siamo imbattuti nella necessità di
dare dei nomi ai vari elementi o attributi di cui è composto l’intero essere umano.
Elemento sarebbe stato un termine impossibile da usare, tenendo conto della confusione
che avrebbe ingenerato a causa dell’uso che se ne fa in altri contesti; il meno detestabile
mi è sembrato essere principio, sebbene ad un orecchio allenato alle sottigliezze
dell’espressione metafisica questa parola suonerà insoddisfacente in qualche
applicazione. Pertanto, con il passare del tempo, la nomenclatura occidentale della
dottrina esoterica si potrà, con una certa probabilità, sviluppare rispetto a quello che ho
costruito provvisoriamente. La nomenclatura orientale è di gran lunga più elaborata, ma il
sanscrito metafisico è un ostacolo notevole per il traduttore; e la colpa non è del sanscrito,
mi assicurano i miei amici indiani, ma dellinguaggio nel quale viene loro richiesto di
tradurre l’idea sanscrita. Infine troviamo che, con l’aiuto di un piccolo prestito dalla più
familiare lingua greca, l’inglese può dimostrarsi più ricettivo nei confronti della nuova
dottrina (o almeno della dottrina primitiva, come è stata di nuovo rivelata), di quanto si
sia ritenuto possibile in oriente.
I
I MAESTRI ESOTERICI

Le informazioni contenute in queste pagine non sono state tratte da miei studi personali.
Porto ai lettori una conoscenza che ho ottenuto più dal favore che dal lavoro. Questa
conoscenza non perderà di valore; anzi mi sento di dire che, sebbene l’abbia ottenuta con
facilità, essa ha un valore ben più grande dei risultati che avrei potuto raggiungere
mediante metodi ordinari di ricerca, anche se avessi posseduto, sviluppata al più alto
grado, la sapienza orientale.
Chiunque si sia interessato alla letteratura indiana, o meglio ancora, chi in India abbia
parlato di filosofia con indiani colti, si convincerà ben presto che alcuni uomini
attualmente viventi in oriente sono dotati di conoscenze sulle più alte questioni
filosofiche, scientifiche e relative alla vera conoscenza delle cose spirituali che non si
trovano riportate in alcun libro. In occidente l’idea del segreto applicata alla scienza è
talmente rifiutata dal senso comune che il primo movimento dei pensatori occidentali è
quello di negare l’esistenza di qualcosa che non condividono. Ma durante il mio
soggiorno in India parecchie circostanze mi hanno permesso d’affermare che quanto sto
per rivelare è del tutto fondato. Sono stato inoltre privilegiato al punto da ricevere una
quantità considerevole d’insegnamenti su questa conoscenza segreta sulla quale i filosofi
orientali hanno meditato; le istruzioni che finora venivano impartite agli studiosi scelti li
preparavano a trasferirsi nel campo della segretezza. I loro insegnanti erano più che paghi
del fatto che tutti gli altri postulanti fossero lasciati nel dubbio che non ci fosse nulla di
importante da imparare.
Anch’io ho dovuto vincere l’antipatia che sentivo contro il modo tradizionale di vedere
degli indiani per ciò che riguarda la conoscenza. Sono giunto tuttavia a comprendere di
quale importanza fosse l’antica conoscenza orientale. E se scusabile è considerare acerba
l’uva, quando non si può arrivare a coglierla, sarebbe follia il persistere in questa
opinione quando un amico sufficientemente alto ti mette il grappolo in mano e tu lo trovi
dolce.
Per ragioni che si comprenderanno in seguito, i numerosi insegnamenti tenuti fino ad ora
segreti mi sono stati impartiti non solo con il metodo ordinario, ma con lo scopo preciso
che, a mia volta, li avrei diffusi al mondo.
Senza questa luce di antica saggezza segreta orientale è impossibile anche per i sapienti
più seri, benché aiutati da pubblicazioni in inglese o in sanscrito, comprendere alcunché
delle dottrine esoteriche o del vero significato delle religioni dell’India. Questa asserzione
non vuole essere un rimprovero nei confronti di quegli autori preparati e coraggiosi che
hanno studiato le religioni orientali in genere, e il buddhismo in particolare, sotto
l’aspetto exoterico. Il buddhismo, più di qualunque altra religione, ha sempre vissuto dai
primi tempi della sua fondazione un’ esistenza duplice. Il vero significato interno della
sua dottrina è stato sempre inaccessibile ad ogni studioso non iniziato, mentre gli
insegnamenti esterni hanno presentato al popolo un codice di lezioni morali e una
letteratura simbolica, velata, che accenna all’esistenza di una conoscenza più profonda.
La conoscenza segreta risale, in realtà, ad un’epoca molto anteriore al passaggio sulla
terra di Gautama Buddha. La filosofia braminica, in epoche anteriori al Buddha,
incarnava la stessa dottrina che potrebbe essere oggi definita buddhismo esoterico. Le sue
linee essenziali erano state offuscate, la sua forma scientifica parzialmente confusa, ma il
corpus della conoscenza era già in possesso di pochi eletti prima del Buddha. Il Buddha,
tuttavia, si assunse il compito di riesaminare e di rivivificare la scienza esoterica nel
cerchio interno degli iniziati e, contemporaneamente, i codici morali del mondo esterno. I
mezzi usati per compiere questa riforma restarono del tutto incompresi e di ciò non
sarebbe neppure comprensibile una spiegazione senza altri chiarimenti forniti da un sunto
della scienza esoterica stessa.
Dal tempo del Buddha fino ad oggi, questa scienza esoterica è stata custodita come
un’eredità preziosa appartenente esclusivamente agli iniziati regolari, membri di
associazioni organizzate in modo misterioso. Questi membri, per quanto riguarda il
buddhismo, sono gli Arahat, o meglio Arhat nella letteratura buddhista. Essi sono gli
iniziati che percorrono il quarto sentiero della santità, secondo l’espressione usata negli
scritti esoterici buddhisti. Rhys Davids1 riferendosi a molti autorevoli testi sanscriti dice:
“Si potrebbero riempire pagine intere di preghiere estatiche, colme di timore, che
arricchivano fino all’eccesso gli scritti buddhisti su questa condizione della mente, il
frutto del quarto sentiero, la condizione d’un Arhat, d’un uomo cioè che ha raggiunto la
perfezione secondo la fede buddhista”. Moltiplicando le citazioni di questi testi sanscriti
aggiunge: “Per colui che è arrivato alla fine del sentiero e ha superato il dolore, che ha
saputo rendersi perfettamente libero, che ha respinto ogni ostacolo, per colui per il quale
non esistono più né ansia, né dolore ... Per questi uomini non c’è più rinascita ... e godono
del Nirvana ... Il loro vecchio karma si è esaurito e non ne producono più; i loro cuori
sono liberi e ogni desiderio di vita futura è spento .. , e poiché in loro non nasce alcuna
nuova brama, i saggi si estinguono come una lampada”. Queste frasi, e molte altre
ancora, non danno al lettore occidentale altro che un’idea del tutto falsa di quel che è
realmente un Arhat, della vita che conduce sulla terra e di ciò che può ottenere. Ma il
chiarimento di questo punto può essere per il momento posticipato. Sceglierò alcuni altri
passi presi da trattati esoterici, per far ben comprendere quello che generalmente sia un
Arhat.
Rhys Davids, parlando di Jiìiina e di Samiidhi, ossia della credenza di poter acquisire
facoltà e poteri soprannaturali per mezzo di un intenso lavoro interiore, prosegue così:
“Per quanto ne so, un simile esempio non è stato visto in alcuno, né in un membro
dell’ordine o in un bramino ascetico. Solo un Buddha li ha posseduti sempre. Se gli
Arhat, in quanto tali, possano compiere i miracoli in questione o se un semplice
mendicante, gli Arhat o solamente gli Asekhas [Adepti, N. d. c.] possano ottenerli, al
momento lo ignoro”. Nelle fonti di informazione fin qui riportate, poche cose sono
veramente chiare. Ora vorrei tentare di dimostrare che la letteratura buddhista abbonda di
allusioni che si riferiscono alla grandezza e alla potenza degli Arhat. Una maggiore
conoscenza di ciò che li riguarda ci fornirà le spiegazioni desiderate.
Arthur Lillie, in Buddha e buddhismo primitivo2 ci dice: “L’asceta doveva possedere sei
facoltà soprannaturali prima di poter ottenere il grado di Arhat. Nei Sutra è fatta

                                                        
1 THOMAS WILLIAM RHYS DAVIDS (12.05.1843-27.12.1922). professore di Pali all’Università di Londra, fra il 1882 ed il 1904,
fondò la Pali Text Society. Fra i suoi scritti più significativi pubblicati su The Joumal oJ the Royal Asiatic Society, The Sects oJ the
Buddhists (1891) e Asoka and the Buddha relics (1901) (N. d. c.).
2 Il testo di Arthur Lillie citato è stato recentemente (2000) ripubblicato in India, a Delhi, a cura dell’Asian Educational Service. Oltre
ai 13 capitoli, il libro è accompagnato da un glossario  
costantemente allusione a queste sei facoltà soprannaturali senz ‘altra spiegazione […]
L’uomo ha un corpo composto di quattro elementi […] In questo corpo transitorio è
incatenata la sua intelligenza. L’asceta, sentendosi confuso, dirige la sua mente verso la
creazione del Manas. Egli si rappresenta, col pensiero, un altro corpo creato da questo
corpo materiale, un corpo avente una forma, membra e organi. Questo corpo è in
relazione a quello materiale come la spada con il fodero o come un serpente che esce dal
cesto in cui è (N. d. c.). chiuso. L’asceta, purificato e perfetto, comincia allora a mettere
in opera le sue facoltà soprannaturali. Egli può attraversare tutti gli ostacoli materiali,
muri, terrapieni, ecc., può proiettare il fantasma del suo corpo in parecchie direzioni e
contemporaneamente ... può lasciare la terra e raggiungere il cielo di Brahma stesso ...
Egli può udire le armonie dei mondi invisibili così distintamente come ode i suoni del
mondo fenomenico e anzi di più. Per il potere di Manas può leggere i più segreti pensieri
altrui e specificarne la personalità”. E seguono altri esempi. Lillie non intuì, però, in
modo sufficientemente accurato, la natura della verità che sta dietro questa popolare
versione dei fatti. Ma è inutile accumulare citazioni per dimostrare che, nel mondo
buddhista, il potere degli Arhat e la loro visione interiore nei mondi spirituali sono
sempre state oggetto del più profondo rispetto, nonostante gli Arhat stessi non siano mai
stati troppo disposti a divulgare descrizioni scientifiche o esperienze autobiografiche dei
sei poteri sovrannaturali.
Prima di procedere, troverei interessante trascrivere alcune frasi tratte dall’opera del Dott.
Oldenberg3, intitolata Buddha: vita, dottrina e suo ordine, tradotta da Hoey [1881 N .d.c.].
Si legge: “La proverbiale filosofia buddhista attribuisce, in numerosi passi, il
raggiungimento del Nirvana ai santi che ancora calpestano la terra. Il discepolo che si è
liberato di ogni cupidigia e di ogni desiderio e che si è arricchito in sapienza, ha meritato
qui sulla terra la liberazione dalla morte e il riposo, il Nirvana, lo Stato Eterno. Colui che
è scampato al labirinto del Sarhsara, colui che ha compiuto felicemente la sua traversata e
ha raggiunto la riva, completamente assorbito, senza ostacoli e senza dubbi, colui che s’è
liberato da solo dai legami terreni ed è finalmente entrato in Nirvana, quello io chiamo
vero bramino. Se il santo volesse in quel momento porre fine allo stato del suo essere, lo
potrebbe ancora: ma generalmente sta fermo, e persevera fino a che la Natura abbia
raggiunto il suo scopo. Tutti loro devono ripetere queste parole che si pongono sulle
labbra di uno dei più eminenti discepoli del Buddha: lo non desidero la morte e non
desidero la vita; attendo tranquillamente che suoni la mia ora come un servitore che
attende con calma la sua ricompensa”.
Continuando le citazioni si ripeterebbero, in diverse forme, tutti i concetti exoterici
relativi agli Arhat. L’Arhat possiede un aspetto duplice, così come ogni fatto o pensiero
del buddhismo: il primo, quello sotto il quale si presenta al mondo esterno e il secondo,
quello speciale, sotto il quale egli vive, agisce ed è realmente. Secondo l’idea popolare,
l’Arhat è un santo che attende la sua ricompensa spirituale, una ricompensa tale che la
gente comune non è in grado di comprendere: l’Arhat è un produttore di miracoli che egli
opera per mezzo di agenti soprannaturali. L’Arhat è in realtà il custode meritevole ed
esperto della più alta e della più profonda filosofia dell’unica religione fondamentale che

                                                        
3 HERMANN OLDENBERG (1854‐1920), docente universitario di lndologia a Wiel (1898) e poi a Gottingen (1908). Numerose 
le opere tese ad approfondire e a far conoscere il buddhismo e l'antica tradizione induista (N. d. c.).  

 
Buddha rivivificò e rivide; l’Arhatè uno studente della scienza naturale che abbraccia la
parte più avanzata e più sublime della conoscenza umana e che non si ferma ai misteri
dello spirito, ma comprende anche la costituzione fisica del globo.
Arhat è vocabolo buddhista. Quello però che è più familiare nell’India, dove gli attributi
dell’adeptato non sono necessariamente legati alla professione della religione buddhista,
è il vocabolo Mahatma. L’India è piena di storie di Mahatma. Si dà spesso il nome di sri
ai Mahatma primitivi, ma generalmente i due nomi sri e Mahatma si usano
indifferentemente e ho udito personalmente applicare il titolo di sri a uomini tuttora
viventi. Tutti gli attributi degli Arhat, menzionati nella letteratura buddhista, vengono
egualmente accordati dalla letteratura indiana ai Mahatma con uguale riverenza; e questo
volume si potrebbe tranquillamente riempire di traduzioni di libri in vernacolo che
narrano le imprese miracolose di alcuni di loro, che la storia e la tradizione conoscono per
nome.
In realtà gli Arhat e i Mahatma sono gli stessi uomini. A questo livello di perfezione
spirituale la conoscenza suprema della dottrina esoterica annulla tutte le distinzioni
originali di setta. Qualunque sia il nome che viene dato a questi Illuminati [in italiano nel
testo, N.d.c.], loro saranno sempre gli adepti della conoscenza occulta, adepti dei quali si
parla talvolta nell’India anche sotto il titolo di fratelli e custodi della scienza spirituale,
che venne loro trasmessa dai predecessori.
Ogni ricerca che si faccia per avere una spiegazione sistematica della loro dottrina o della
loro scienza, sia nella letteratura antica che nella moderna, riuscirebbe perfettamente
vana. Una buona parte di questa scienza si trova negli scritti occulti ma vi è esposta assai
oscuramente e così pochissime di queste opere possono essere di qualche utilità al lettore
che si occupa di questi argomenti, a meno che egli non abbia acquisito da se stesso una
certa conoscenza non solo di tipo letterario. È dunque grazie ad un’istruzione diretta,
accordatami da uno di loro, che oggi posso dare un saggio dell’insegnamento dei
Mahatma e nella stessa maniera ho potuto procurarmi notizie su questa grande
corporazione alla quale oggi appartengono molti fra essi, ed i più elevati.
Sulla superficie del globo ci sono occultisti di vari gradi di evoluzione e persino società
occulte che hanno molto in comune con la società guida, oggi stabilitasi in Tibet. Ma
tutte le mie ricerche su questo soggetto mi hanno portato a credere che la ‘‘Fratellanza
tibetana” sia, senza confronto, la più elevata delle associazioni occulte e che come tale sia
riconosciuta da tutte le altre, degne esse stesse di essere considerate come realmente
“illuminate” nel significato occulto del termine. In India ci sono, in verità, molti mistici
isolati che si istruiscono da sé e non hanno alcun rapporto con le associazioni occulte.
Molti di loro vi diranno di aver raggiunto la vetta più alta dell’illuminazione spirituale,
più dei Fratelli del Tibet o di qualsiasi altra persona. Ma l’esame di queste affermazioni,
in tutti i casi in cui mi sono imbattuto, porterebbe un osservatore imparziale, ma
sufficientemente qualificato (in base alla propria evoluzione personale) ad esprimere un
giudizio sull’illuminazione occulta, alla conclusione che esse sono del tutto infondate.
Conosco, per esempio, un indiano educato in Europa, un personaggio di un certo rilievo
sociale e governativo, di grandissimo carattere e che gode di un rispetto inusuale da parte
degli altri europei che lavorano con lui; quest’uomo considera i Fratelli del Tibet al
secondo posto nel mondo dell’illuminazione spirituale. Il primo posto, secondo lui, è
occupato da una persona, ora non più su questa terra (in vita il suo personale maestro
occulto), che egli asserisce con risolutezza essere la reincarnazione dell’Essere Supremo.
I sensi interiori del mio amico sono stati a tal punto risvegliati da questo Maestro, che le
visioni del suo stato d’estasi, nel quale può cadere a piacimento, sono la sola regione
spirituale nella quale egli può trovare interesse. Convinto sin dall’inizio che l’Essere
Supremo sia stato il suo istruttore personale e che continui ancora nello stato soggettivo,
egli si trova ad essere naturalmente inattaccabile dalle indicazioni che le sue impressioni
possano essere distorte per effetto della ragione del suo sviluppo psicologico mal diretto.
Ancora, i fedeli che ho incontrato per caso in India e che costruiscono una concezione
della Natura, dell’universo e di Dio interamente su basi metafisiche, e che hanno
sviluppato questi sistemi grazie alla semplice forza del pensiero trascendente,
prenderanno come base un sistema definito di filosofia e lo amplieranno a tal punto come
solo un metafisico orientale potrà immaginare. Essi conquistano quei discepoli che
implicitamente ripongono fede in loro e che frequentano la loro piccola scuola che
prospera per un po’ di tempo; ma la filosofia speculativa di tal genere è per la mente più
un passatempo che una reale conoscenza. Tali Maestri, in confronto agli adepti
organizzati della più elevata fratellanza, sono come barche a remi in confronto ai
transatlantici, utili mezzi di trasporto sul lago o sul fiume natale, ma costruiti in modo
non sufficientemente solido per poter tentare un viaggio intorno al mondo oltreoceano.
Scendendo sempre più in basso nella scala, troviamo in India una moltitudine di yogi o di
fachiri in tutti i gradi di sviluppo individuale, dal più basso a quello invece tipico di
uomini le cui facoltà e poteri” enormi devono solo essere verificati e messi alla prova per
distruggere l’incredulità del più ostinato rappresentante del moderno scetticismo
occidentale. I ricercatori distratti confondono facilmente queste persone con i grandi
adepti dei quali possono aver sentito parlare.
Per quanto riguarda i veri adepti, comunque, non posso ora azzardare alcuna spiegazione
di ciò che sia l’Associazione degli Adepti o Iniziati Tibetani, soprattutto per quel che
riguarda le più alte autorità dirigenti. Quegli stessi Mahatma, dei quali il lettore che
voglia pazientemente seguirmi fino alla fine potrà farsi un’idea adeguata, sono
subordinati anch’essi gerarchicamente ad un capo supremo. Ma per il momento
occupiamoci delle prime condizioni per l’addestramento occulto che possono venire
comprese più facilmente.
Il livello di elevazione che costituisce un uomo che il mondo esterno chiama Mahatma o
‘‘Fratello’’, si raggiunge dopo un noviziato lungo e difficile e dopo essersi assoggettati
alle prove più severe e terribili. Si possono trovare individui che hanno passato venti e
anche trent’anni di vita in modo irreprensibile, lavorando sempre con eguale fervore per
arrivare allo scopo che si sono prefissati e tuttavia non sono che ai primi gradi del
discepolato e guardano ancora alle vette dell’adeptato che si trova molto al di sopra di
loro. Qualunque sia l’età nella quale un uomo o un giovane si dedichi alla carriera
occulta, egli vi si dedica, giova il rammentarlo, per tutta la sua vita e senza alcuna riserva.
Il compito che intraprende è di sviluppare in se stesso una quantità di facoltà e di
caratteristiche che nella comune specie umana si trovano nello stato latente, a tal punto da
far sospettare della loro esistenza e da negare la possibilità stessa del loro sviluppo.
Queste facoltà, queste caratteristiche, devono essere sviluppate dallo stesso chela con
poco e, forse, con nessuno aiuto e senza la direzione del suo maestro. “L’Adepto - dice
un aforisma occulto - diviene, e non si fa”. Ciò sarà più chiaro se prendiamo ad esempio
un esercizio fisico abbastanza comune. Un uomo, che abbia il libero esercizio delle
proprie membra, può nuotare: tuttavia, se abbandonate chi non sa nuotare in un’acqua
profonda, questi dopo aver lottato per alcuni istanti finirà per annegare. Le regole del
nuoto non sono un mistero, ma se il nuotatore, eseguendo i movimenti richiesti, non ha
piena fiducia che essi producano il risultato desiderato, il risultato non si produrrà. In
questo caso si tratta di forze puramente meccaniche, ma lo stesso principio si attua in
relazione a forze più sottili. La fiducia in sé sostiene il neofita dell’occultismo molto più
di quanto non si immagini. Quanti lettori occidentali rimarrebbero totalmente increduli se
si dicesse loro di certi risultati che il chela occultista deve compiere al primo grado della
sua scuola, con la sola forza della fiducia; e tuttavia molti di questi occidentali sentono
continuamente parlare nelle loro chiese delle certezze bibliche sul potere della fede, ma
queste parole entrano nelle loro orecchie come il vento e non vi lasciano traccia alcuna.
Il grande scopo, il fine supremo dell’adeptato è il compimento dello sviluppo spirituale,
la cui natura è velata e nascosta dalle formule comuni del linguaggio exoterico. Che
l’adepto cerchi di unire l’anima a Dio, e che egli raggiunga in tal modo il Nirvana, è una
frase che non ha un senso definito per il lettore comune e questi, quanto più ne esaminerà
con l’aiuto dei libri e dei metodi ordinari il significato, tanto meno comprenderà la natura
del progresso ottenuto o della condizione desiderata. Sarà necessario trattare innanzi tutto
la concezione esoterica della Natura e l’origine e il destino dell’Uomo, che differiscono
profondamente dai concetti teologici, prima che possa diventare chiara una spiegazione
del fine che l’adepto si pone. Ma prima di ogni altra cosa dobbiamo dissuadere il lettore
che si sia creato un’idea falsa dell’obiettivo che attrae verso l’adeptato. Lo sviluppo di
quelle facoltà spirituali, il cui accrescimento è legato ai più alti obiettivi della vita
occulta, man mano che progredisce reca una quantità di conoscenza che è in rapporto con
le leggi fisiche della Natura, leggi che generalmente non sono comprese. Questa
conoscenza posseduta dall’adepto e fino ad un certo grado dal discepolo sin dai primi
suoi passi nella carriera occulta, e l’arte di manipolare certe forze oscure della natura in
virtù della suddetta conoscenza, investono adepto e discepolo di poteri veramente
straordinari. L’applicazione di questi poteri nella vita quotidiana produce risultati che
appaiono miracolosi e, per il comune mortale, la loro acquisizione è cosa talmente
meravigliosa da immaginarsi che l’adepto, lavorando per acquisire la conoscenza, ha per
obiettivo d’ottenere quegli stessi poteri. Sarebbe come dire di un grande patriota della
storia militare che avesse come scopo della sua carriera militare quello di indossare
un’uniforme sgargiante per destare l’ammirazione delle infermiere.
Il metodo orientale di coltivare la conoscenza è da sempre diametralmente opposto al
metodo seguito in occidente, dopo lo sviluppo della scienza moderna. Mentre l’occidente
si dedica alle investigazioni nel campo della natura quanto più pubblicamente è possibile,
mentre discute apertamente di ogni scoperta e mentre ciascun fatto acquisito circola
ovunque per il beneficio di tutti, l’Asia invece studia il più segretamente possibile e
custodisce con gelosa cura le conquiste della scienza. Non voglio biasimare qui o
difendere questi metodi; quel che ora interessa è di sapere che il metodo orientale si è
oggi allentato, per quanto mi riguarda in prima persona ed è con il pieno consenso dei
miei Maestri che oggi, come già ho detto, posso abbandonarmi alla mia inclinazione
occidentale, comunicando ciò che ho appreso a tutti coloro che vorranno riceverlo. Si
vedrà in seguito come questo allontanamento dalle regole occulte, che si manifesta nelle
concessioni suddette, rientri nell’intero schema della filosofia occulta. Tuttavia
l’anticamera di questa filosofia è stata, in certo modo, sempre aperta a tutti. Si è diffusa
nel mondo, anche se in modo vago, l’idea che qualche metodo di studio seguito qua e là
da certi uomini potesse condurre all’acquisizione della più alta conoscenza in misura
maggiore di tutti gli insegnamenti contenuti nei libri e propagati dalle religioni
istituzionalizzate. L’oriente, come si è detto, è sempre stato più che vagamente
impressionato da questa credenza; eppure anche in occidente l’insieme della letteratura
simbolica, che comprende alchimia, astrologia e misticismo, ha portato qualche frutto
convincendo menti ricettive e predisposte che dietro a tutto il miscuglio di spiegazioni
superficiali e prive di senso si trovavano celate delle grandi verità. Per queste persone tale
studio bizzarro ha rivelato talvolta dei passaggi nascosti che conducono ai più eccelsi
reami dell’illuminazione. Ma fino ad ora, in tutti questi casi, in accordo con le regole di
quelle scuole, il neofita fin dai primi passi nella regione dei misteri era legato da
giuramenti solenni, e si impegnava a mantenere il segreto più inviolabile su tutto ciò che
si riferiva alla sua ammissione e ai suoi progressi futuri. In Asia, analogamente, il chela o
allievo in occultismo diventava tale dopo aver cessato di essere un semplice testimone
per conto di altri sulla realtà della conoscenza occulta.
Da quando mi occupo di questi argomenti, mi meraviglio davvero di vedere quanto
grande sia il numero di questi chela. Nulla tuttavia si può immaginare di più improbabile
quanto la rivelazione non autorizzata degli insegnamenti impartiti ad un chela a persone
estranee; ed è così che la grande scuola di filosofia esoterica può nascondere, con tanto
successo, il suo ritiro dal mondo.
In un altro libro, Il Mondo Occulto, ho riferito della successione di eventi che mi hanno
portato a incontrare uomini tanto dotati e profondamente istruiti e dai quali ho avuto gli
insegnamenti che qui riporto. Non ho pertanto bisogno di ripetere in questa sede il
racconto. Adesso sono pronto a trattare in modo nuovo questi argomenti. L’esistenza
degli adepti occulti e l’importanza delle facoltà da essi acquisite possono stabilirsi in due
modi:
1. per evidenza esterna, ovvero per testimonianza di persone meritevoli di fede, per le
quali le enormi facoltà sviluppate dagli adepti valgono più di una congettura sulla realtà
di questa conoscenza e di questi poteri.
2. presentando a tutti una parte abbastanza considerevole di tale conoscenza, affinché
possa essere trasmessa una certezza intrinseca del suo valore.
Il mio primo libro soddisfaceva il punto uno di questa dimostrazione, e per soddisfare il
secondo ho intrapreso l’arduo compito di pubblicare il presente.

Annotazione
Quanto più avanziamo nello studio dell’occultismo, tanto più elevate diventano le nostre
idee circa i Mahatma. La comprensione completa del modo in cui queste persone si
differenziano dall’umanità comune non può essere acquisita solamente con mezzi
intellettuali. Ci sono aspetti nella natura degli adepti che hanno a che fare con lo sviluppo
straordinario dei più alti principi dell’uomo, che non può realizzarsi per mezzo dei
principi inferiori. Ma siccome la semplicità dei primi concetti non permette di
raggiungere il vero livello dei fatti, si crea così una curiosa complicazione del problema.
La prima idea che noi ci facciamo di un adepto che ha acquisito il potere di penetrare gli
elevatissimi segreti della natura spirituale è modellata su quella di uno scienziato molto
dotato. Siamo portati a pensare che egli, una volta diventato adepto, debba comportarsi
sempre come tale e cioè come un essere umano molto elevato che debba far uso
necessariamente, in tutte le circostanze della sua vita, degli attributi che appartengono ad
un Mahatma. Ma come sopra si è detto, mentre noi ci inganneremmo certamente volendo
giudicare con esattezza le sue caratteristiche di Mahatma, incorreremmo con uguale
facilità nell’estremo opposto pensandolo come uomo comune e saremmo sempre più
perplessi a mano a mano che acquisissimo una parziale familiarità con le qualità del
mondo occulto. Precisamente, considerato che gli attributi più elevati di un adepto
appartengono ai principi della natura umana, che trascendono totalmente i limiti
dell’esistenza fisica, l’adepto o Mahatma può essere tale in tutta l’estensione del termine
quando egli è, come suol dirsi, fuori del corpo o, per lo meno, posto da sforzi speciali
della sua volontà in uno stato anormale. Quando non è chiamato a fare questi sforzi, o ad
andare oltre i limiti del suo carcere corporeo, è più somigliante ad un uomo comune di
quanto la sua esperienza in qualche suo aspetto potrebbe far credere ai suoi discepoli.
Una giusta comprensione di questo stato di cose spiega l’apparente contraddizione nella
quale è posto il discepolo d’occultismo nei confronti di ciò che il maestro stesso gli
esporrà di frequente. I Mahatma, per esempio, insistono nell’affermare che essi non sono
infallibili, che sono uomini al pari di noi, forse con una cognizione delle leggi naturali
alquanto più vasta di quella che il resto dei mortali possiede, ma che sono anch’essi
capaci di sbagliare, sia negli affari pratici della vita, sia nell’opinione che si possono
formare sul carattere degli altri uomini e delle capacità di coloro che si presentano
candidati allo sviluppo occulto. Ma come potranno conciliarsi tali affermazioni con il
principio fondamentale di ogni ricerca occulta che comanda al neofita di porre la sua fede
nell’insegnamento e nella direzione del suo maestro in modo assoluto e senza riserva? La
soluzione dell’apparente paradosso sta appunto nello stato di cose sopra descritto.
L’adepto può essere un uomo capace talvolta di sbagliare nella gestione degli affari
mondani, come un uomo di grande ingegno è soggetto a fare sbagli nella sua vita
quotidiana, errori che le persone d’ingegno comune non commetterebbero mai; d’altro
canto, non appena l’adepto comincia a trattare dei misteri più alti della scienza spirituale,
agisce in virtù dei suoi attributi di adepto e a riguardo di questi attributi è riconosciuto
incapace di sbagliare.
Questa considerazione ci fa comprendere che la purezza degli insegnamenti derivati da
questa fonte e che hanno ispirato il presente libro, si trova totalmente al di sopra della
portata di quei piccoli eventi che nel progresso della nostra esperienza parrebbero
richiedere una revisione di quella entusiastica fiducia nella suprema saggezza degli
adepti, che generalmente suscitano i primi passi che si muovono nello studio dell’occulto.
Ma questo entusiasmo e questo rispetto non diminuiranno certamente in un chela occulto
quando comprenderà meglio il mondo nel quale sta entrando. L’uomo che in uno dei suoi
aspetti è Mahatma, piuttosto che essere privato del suo diritto al rispetto, può essere
considerato nei limiti delle emozioni umane poiché, nella sua vita, egli non è tanto più al
di sopra del comune sentimento umano, quanto alcune delle sue esperienze nirvaniche
potrebbero far credere.
Se terremo sempre presente che un adepto è veramente e solamente un adepto quando
esercita le sue funzioni di adepto, e che quando le esercita può, sotto l’aspetto spirituale,
innalzarsi a quella che nei limiti del nostro sistema solare si intende effettivamente per
onniscienza, allora non potremo fare quegli errori, ai quali la complessità dell’argomento
può indurci.
Le difficoltà che si riferiscono alla natura dell’adepto e che sono qui esposte, non si
renderanno perfettamente comprensibili se non dopo avere letto alcuni capitoli di questo
libro; ma queste difficoltà hanno una tale importanza sulle ricerche dirette a comprendere
quello che realmente sia l’adeptato, che può essere conveniente il discuterle qui ed ora.
La natura duplice del Mahatma è così ben stabilita e completa, che una parte della sua
influenza o del suo potere sui piani più elevati della natura può essere effettivamente
usata da coloro che si trovano in rapporti psichici particolari con lui, senza che l’Uomo
Mahatma abbia coscienza della sottrazione che gli viene fatta in quel momento. In questo
modo risulta semplice per noi discutere sulla possibilità che il rapporto fra Mahatma
Spirituale e Mahatma Uomo possa talvolta essere di quella natura che nella letteratura
esoterica è chiamata “adombramento”, piuttosto che incarnazione nel senso stretto della
parola.
Un’altra complicazione si origina dal fatto che ogni Mahatma non è veramente un Ego
umano in uno stato di esaltazione eccezionale, ma appartiene, per così dire, a un settore
speciale del gran regno della Natura. Ogni adepto deve appartenere all’uno o all’altro dei
sette grandi tipi dell’adeptato; e’sebbene si possa quasi con certezza desumere che ci
sono corrispondenze fra quei vari tipi d’adeptato e i sette principi dell’uomo, mi astengo
tuttavia dal tentare un completo chiarimento di questa ipotesi. Basterà applicare l’idea a
quel tanto che noi vagamente conosciamo dell’organizzazione occulta nei suoi ordini
superiori. Per molto tempo si è affermato, negli scritti esoterici, che esistono cinque
grandi Chohan o Mahatma superiori, che presiedono a tutto il sodalizio degli adepti.
Mentre scrivevo il precedente capitolo, pensavo che un Capo supremo, e in un piano
differente, esercitasse l’autorità sopra questi cinque Chohan; ora però credo che questo
personaggio possa considerarsi piuttosto come un sesto Chohan, o capo del sesto tipo di
Mahatma; e questo pensiero ci porta subito alla deduzione ulteriore che ci debba essere
un settimo Chohan, onde completare le corrispondenze che si osservano ovunque. Ma
come il settimo principio nella Natura o nell’uomo è un concetto della specie più astratta,
che non può essere afferrato dall’intelligenza e che si può soltanto descrivere con frasi
incerte e di nessun significato metafisico, così possiamo essere ben certi che
un’immaginazione non disciplinata non può avvicinarsi al concetto di un settimo Chohan.
Anche questi prenderà senza dubbio parte a ciò che può chiamarsi ordine superiore della
natura spirituale; ed io credo che questo personaggio esista, e che si manifesti
occasionalmente a qualcuno degli altri Mahatma. Ma fare congetture sulla sua personalità
non serve a nulla, se non a dare consistenza all’idea sopra accennata, secondo la quale i
Mahatma possono essere compresi, nel loro vero aspetto, non solamente come uomini
eccezionali che hanno raggiunto un grado altissimo di esaltazione spirituale ma anche
come fenomeni naturali necessari senza i quali non si può immaginare che l’evoluzione
dell ‘umanità possa progredire.
II
LA COSTITUZIONE DELL'UOMO

Un esame della cosmogonia, così come è compresa dalla scienza occulta, deve precedere
ogni tentativo di spiegare i mezzi attraverso i quali se ne è acquisita la conoscenza. I
metodi delle ricerche esoteriche sono la conseguenza di fatti naturali, che non dipendono
affatto dalla scienza esoterica stessa. Questi fatti naturali riguardano soltanto lo sviluppo
precoce delle facoltà degli adepti in occultismo, facoltà che non sono ancora sviluppate
nella maggior parte dell’umanità; e queste facoltà, a loro volta, permettono a chi le
possiede di esplorare i segreti della natura e di verificare le dottrine esoteriche e il loro
grande disegno. Il vero studente di occultismo deve, innanzi tutto, lavorare allo sviluppo
di queste facoltà e applicarle in seguito all’osservazione della natura. Ma per gli studiosi
europei, che non si occupano che della percezione intellettuale dei fatti naturali, è
necessaria dapprima un’esposizione delle teorie sulla Natura e tale esposizione deve
precedere qualunque considerazione sui sensi interiori che la ricerca occulta impiega.
D’altra parte l’esame della cosmogonia, come è compresa dalla scienza occulta, potrà
solo essere adattato scientificamente all’intelletto del lettore occidentale. Se vogliamo
cominciare dal principio, dovremo sforzarci di comprendere lo stato dell’universo prima
dell’inizio dell’evoluzione. Questo soggetto non è del tutto ignoto agli studiosi di
esoterismo; così, nel corso di questo breve trattato, procureremo di dare un saggio delle
opinioni degli occultisti sui primi processi attraverso cui la materia cosmica evolve. Ma
un’esposizione di questi primi processi ci obbliga ad occuparci prima di tutto della
costituzione spirituale dell’uomo, la quale non può essere compresa senza alcune
spiegazioni preliminari.
Nella costituzione dell’uomo sono riconosciuti dalla scienza esoterica sette principi
distinti. La classificazione differisce talmente da quella che è familiare agli occidentali,
che mi si domanderà certamente su quale fondamento si appoggi l’occultismo, per
giungere ad una conclusione così inattesa. Una volta considerate le particolarità inerenti
al soggetto che vado a trattare, particolarità che saranno comprese più tardi, devo
chiedere al lettore di ricevere, e ciò solo momentaneamente, s’intende, questa scienza
orientale con metodo orientale. I sistemi orientale e occidentale di divulgare la
conoscenza sono antitetici. L’occidente stimola e incoraggia l’istinto polemico del
discente ad ogni passo; e il discente è incoraggiato a mettere tutto in discussione, col
divieto di accettare senza dimostrazione qualsiasi affermazione scientifica. Pari passu,
non appena il discente acquisisce la conoscenza, deve imparare in che modo quella
conoscenza sia stata acquisita, e viene sensibilizzato a sentire che una certa conoscenza
vale la pena di essere acquisita soltanto se è possibile provarla coi fatti. In oriente si
agisce in modo completamente diverso con gli allievi. Non che si disdegni di provare gli
insegnamenti che si impartiscono alla maniera occidentale, ma la prova che si dà è di un
genere del tutto differente. L’oriente rende capace l’allievo di studiare la Natura e di
verificare da se stesso gli insegnamenti impartiti facendolo penetrare in quelle regioni
dove la filosofia occidentale può solo accedere tramite speculazioni e teorie.
Nell’insegnamento occulto non si discute nulla, ma si dice ai discepoli: "Questo è un
fatto, e questo è un altro fatto; eccovi la chiave della conoscenza, andate e osservate da
voi stessi". In questo modo l’insegnamento ottenuto per sé è, al tempo stesso,
insegnamento ricevuto per parola di un altro. Insegnamento e prova non vanno alla pari,
ma si susseguono con ordine ben regolato. Un’ulteriore conseguenza di questo metodo è
che la filosofia orientale impiega quel sistema che per buone ragioni è stato scartato
dall’occidente come incompatibile con la nostra attuale linea di sviluppo intellettuale,
ovvero il ragionare dal generale al particolare.
Questo metodo si oppone inoltre allo scopo che la scienza occidentale generalmente si
prefigge, ma credo che chi mi seguirà nella presente indagine riconoscerà che il sistema
di ragionamento dal particolare al generale non è qui applicabile. Non si può, in questo
campo, comprendere il dettaglio se non dopo aver preso una cognizione generica di tutto
l’insieme del piano. E anche questo compito non è facile, data la povertà della nostra
lingua. Soffermarsi in ogni punto dell’esposizione per collegare ciò che di separato può
essere disponibile, per dar prova di ogni affermazione, sarebbe addirittura impossibile e si
abuserebbe della pazienza del lettore, che non potrebbe farsi un’idea esatta degli
insegnamenti della scienza esoterica, che invece è quello a cui mira la mia opera.
Questa riflessione potrebbe suggerire un nuovo punto di vista sui sistemi di ragionamento
platonici e aristotelici, avendo questi un’intima connessione con i nostri temi. Il metodo
di Platone, approssimativamente considerato come ragionamento dall’universale al
particolare, non gode più il favore del nostro pubblico che dà tutta la preferenza al
metodo di Aristotele, esattamente opposto. Platone era però in difficoltà nel tentativo di
difendere il suo metodo. Ci sono ragioni per credere che la sua familiarità con la scienza
esoterica abbia ispirato il suo sistema e che, essendo iniziato alle scienze occulte, fosse
sottoposto a restrizioni che gli impedivano certe giustificazioni. Nessuno può studiare ciò
che di scienza occulta questo volume contiene, senza guardare a Platone o almeno a
qualche intelligente epitome del suo sistema di pensiero e trovarne delle corrispondenze.
I più alti principi che costituiscono l’uomo non sono sviluppati pienamente nell’uomo
contemporaneo; ma l’uomo completamente sviluppato o perfetto possiederà gli elementi
che seguono. Per facilitare l’applicazione di queste spiegazioni agli scritti ordinari
buddhisti, i nomi sanscriti di questi principi sono stati tradotti.

1. Il corpo Rupa
2. La vitalità Prana o Jiva
3. Il corpo astrale Lingasarira
4. L’anima animale Kamarupa
5. L’anima umana Manas
6. L’anima spirituale Buddhi
7. Lo spirito Atman

In questo quadro i principi trascendenti sono messi nella seconda parte della lista e
sembrano così apparentemente meno importanti, cosa contro la quale dovremo stare in
guardia, se cerchiamo di comprenderne il vero significato. Certamente sarebbe
impossibile anche per il professore più esperto in scienze occulte mostrare questi principi
separati e distinti nello stesso modo in cui gli elementi fisici di un corpo solido possono
essere separati tramite procedimenti analitici. Gli elementi di un corpo fisico stanno tutti
sullo stesso piano materiale, ma gli elementi dell’uomo stanno su differenti piani. I gas
più sottili, entrando in una certa quantità nella composizione chimica del corpo umano,
devono anch’essi essere posti sul livello più basso della materia. Il secondo principio,
unendosi alla materia grossolana, denominata inorganica, anche se dovrebbe essere
chiamata inerte, trasforma questa in materia organica e ciò è già qualche cosa di
interamente differente dai più sottili stati di materia posti in basso nella scala. Il secondo
principio, allora, è qualcosa che possiamo veramente considerare materiale? Questa
domanda ci porterebbe troppo lontano e in sottili discussioni metafisiche finalizzate a
sapere se forza e materia siano cose identiche o diverse. Basterà per il momento
rispondere che la scienza occulta le considera identiche e che non contempla in Natura
principi interamente immateriali. In questo modo, benché nessun concetto dell’universo,
del destino dell’uomo e di tutta la Natura sia più elevato, sul piano spirituale, di quelli che
ha messo a fuoco la scienza occulta, quest’ultima resta immune dall’errore logico che
attribuisce risultati materiali a cause immateriali. La dottrina esoterica si pone così
veramente come l’anello mancante tra materialismo e spiritualità.
La spiegazione del mistero sta interamente in un fatto ben noto agli occultisti e cioè che
la materia esiste in altri stati a fianco di quelli che sono normalmente conosciuti dai
cinque sensi.
Il secondo principio dell’uomo, la vitalità, consiste così di materia intesa come forza, e la
sua affinità con la materia grossolana è tale da non poter essere separato da una massa o
da una sua particella, senza che si precipiti a combinarsi con altra massa o con altra
particella. Quando il corpo di un uomo muore, con l’abbandono dei suoi principi più
elevati che lo avevano reso una realtà vivente, il secondo principio o principio di vita,
non più unità in se stesso, è tuttavia ancora aderente alle particelle del corpo che si
decompone, e si attacca ad altri organismi a cui questo processo di decomposizione dà
vita. Seppellite il corpo, e Jiva si attaccherà ai vegetali che nasceranno intorno o alle
forme animali più basse che si sviluppano dalla sua propria sostanza. Bruciate il corpo, e
Jiva l’indistruttibile prenderà istantaneamente il volo verso il corpo del pianeta, da cui
venne tratto in origine ed entrerà in nuove combinazioni conformi alle sue affinità.
Il terzo principio, il corpo astrale, o Lingasanrira è il doppio eterico del corpo fisico, il
suo disegno originale. Il corpo astrale guida Jiva nel suo lavoro sulle molecole fisiche e
ne costruisce la forma che poi queste assumeranno. Essendo il corpo astrale animato dai
più alti principi, la sua unità non può essere preservata che dall’unione dell’intero gruppo.
Alla morte il corpo astrale si separa dal corpo fisico in breve tempo, e in talune
condizioni anomale può anche rendersi visibile temporaneamente ai viventi. In tali
condizioni esso è sempre considerato come il fantasma della persona morta. Qualche
volta le apparizioni spettrali possono prodursi in altri modi, ma qui il terzo principio,
quando si manifesta come fenomeno visibile, non è che un aggregato di molecole senza
più vita, né coscienza. E questo spettro non può dirsi un Essere, analogamente a quello
che possiamo affermare di una forma umana o animale disegnata in aria da un
raggruppamento di nubi. Il Lingasanrira non abbandona mai il corpo se non alla morte, e
anche allora se ne discosta di poco. Quando appare come l’ombra di un morto, il che
avviene di rado, non può essere visto che presso il luogo dove il corpo giace. Nei casi
speciali di medianità spirituale può anche uscire dal corpo fisico, ma per un tempo assai
breve, ed essere visibile accanto a questo; ma in questi casi la vita del medium corre serio
pericolo. Alterando involontariamente le condizioni che hanno permesso al Lingasanrira
di lasciare il corpo fisico, il suo ritorno potrebbe essere impossibile; il secondo principio
cesserà di animare questo corpo e sopraggiungerà la morte.
In questi ultimi anni, durante i quali qualche barlume di scienza occulta ha cominciato a
diffondersi nel mondo, l’espressione corpo astrale si è applicata ad una forma umana
nella quale i più alti principi sono perfettamente attivi. Questa forma ha la facoltà di
allontanarsi dal proprio corpo fisico, proiettata coscientemente e con esatta intenzione ad
una certa distanza da un adepto vivente, o anche incoscientemente da ognuno al momento
della morte, tramite l’applicazione accidentale di determinate forze mentali dirette verso i
principi liberi. Corpo astrale non è propriamente l’espressione che si dovrebbe usare in
questo caso, ma siccome non vi è alcun inconveniente pratico ad impiegarla,
continueremo a servirci di questo termine in entrambi i significati. Non c’è il rischio di
confondere; ma se vogliamo essere precisi, il Lingasanrira, o terzo principio, è il corpo
astrale e questo non può essere il veicolo dei più alti principi.
I tre principi inferiori sono, come vedremo in seguito, specificamente di natura terrena e
destinati a morire, anche se le molecole che formano questa entità sono indistruttibili e
completamente eliminate dall’uomo alla sua morte.
Il quarto principio è il primo fra quelli che appartengono alla natura superiore dell’uomo.
Il termine sancrito Kamarupa, che si traduce sovente con corpo del desiderio, sembra
espressione tanto grossolana quanto inesatta. Una traduzione letterale che avesse riguardo
non solo del significato ma anche della parola in sé, chiamerebbe il Kamarupa veicolo
della volontà, sebbene il nome di anima animale, dato precedentemente a questo
principio, converrebbe forse meglio.
In The Theosophist dell’ottobre 1881, ove apparvero i primi cenni sulla costituzione
settenaria dell’uomo, il quinto principio portava il nome di anima animale, nome che gli
fu dato in opposizione al sesto, l’anima spirituale; e sebbene tale definizione fosse ben
attinente, sminuiva in certo modo il quinto, che è il principio essenziale dell’uomo.
Benché l’umanità, quando la si paragoni allo spirito, sia di natura animale, è molto più
elevata della creazione animale propriamente detta. Introducendo pertanto un nuovo
termine per designare il quinto principio, saremmo in grado di dare all’ anima animale il
posto che le spetta. Questo adattamento non deve però interferire con un reale
riconoscimento del modo in cui il quarto principio si pone come desiderio o volontà
secondo il termine sanscrito. Il Kamarupa è l’anima animale, il più elevato principio
sviluppato sul piano dell’animalità, suscettibile di evoluzione in qualche cosa
d’infinitamente più elevato per mezzo della sua unione con il quinto principio che
nell’uomo si sta perfezionando. L’anima animale, che tiene tuttora nell’uomo un posto
così rilevante, è la sede dei desideri animali e la potente forza che opera spesso da
padrona assoluta dell’essere umano elevandolo o degradandolo, ed è capace di
influenzare il quinto principio sul quale può agire per il proprio controllo e sviluppo.
Il quinto principio, l’anima umana o Manas (come è definito in sanscrito in uno dei suoi
aspetti), è la sede della ragione e della memoria. Una parte di questo principio, animata
dal quarto, è la forma realmente proiettata da un adepto quando questi appare in quello
che noi chiamiamo impropriamente il suo corpo astrale.
L’anima umana, il quinto principio, è sviluppata solo parzialmente nella maggior parte
dell’umanità. Questo fatto relativo all’imperfetto sviluppo del Manas come anche dei
principi superiori è molto importante. Non possiamo formarci un concetto esatto del vero
posto che l’uomo occupa in questo momento in Natura, finché commetteremo l’errore di
crederlo giunto alla vetta massima della sua evoluzione. Una delle conseguenze più gravi
di questo errore è che ci impedisce di fare anticipazioni sui secoli futuri che ci aspettano,
non permettendoci di calcolare razionalmente quale avvenire possa esser riservato alla
specie umana, cosa che invece la dottrina esoterica cerca di spiegarci.
Non essendo ancora completamente sviluppato il quinto principio, il sesto si trova
ovviamente allo stato embrionale. Quest’idea è stata espressa in differenti modi in recenti
previsioni della grande dottrina. Secondo gli uni, noi non possediamo affatto il sesto
principio, non avendone che il solo germe. Secondo altri, il sesto principio non è "in" noi,
ma si libra "sopra" di noi; è qualcosa cui devono condurci le più nobili aspirazioni della
nostra natura. Si è detto ancora: ogni cosa, cioè animali, vegetali, minerali, e non soltanto
l’uomo, ha i suoi sette principi e il più elevato fra essi, il settimo, percorre il filo infinito
della vita che si snoda lungo tutto il cammino evolutivo e unisce in una successione
determinata le innumerevoli incarnazioni di quella Vita Una che forma una serie
completa. Sono questi, in fondo, modi diversi per esprimere la stessa idea; riunendoli,
possiamo estrarne l’essenza, e comprendere meglio la dottrina del sesto principio,
Seguendo l’ordine logico che ci ha suggerito l’applicazione del termine di anima animale
al quarto principio e di anima umana al quinto, il sesto può essere chiamato Anima
Spirituale e il settimo Spirito. Sotto un altro aspetto si può dire che il sesto principio sia il
veicolo del settimo e in modo generico che, a partire dal quarto, ciascuno dei più alti
principi sia il veicolo di ciò che nella filosofia buddhista si chiama Vita Una o Spirito, In
accordo con questo punto di vista, la Vita Una è ciò che rende perfetti, avendo come
propria dimora i vari veicoli. Nell’animale la Vita Una si concentra nel Kamarupa,
Nell’uomo comincia a penetrare il quinto principio; nell’uomo perfetto penetra il sesto e
quando penetrerà il settimo, l’uomo non sarà più uomo, perché questi raggiungerà una
condizione di esistenza “superiore”.
Quest’ultima idea ha una grande importanza perché ci impedisce di considerare i quattro
principi superiori come un fascio nel quale le differenti parti sarebbero legate fra loro e
non avrebbero un’individualità propria se non al momento in cui fossero lasciate libere.
Né l’anima animale né l’anima spirituale da sole posseggono una loro individualità, e
d’altro canto il quinto principio non potrebbe separarsi dagli altri in modo da preservare
la propria individualità e lasciare inconsci entrambi i principi abbandonati. È stato già
detto che persino i principi più elevati sono materiali, cioè di costituzione molecolare,
sebbene le molecole che li compongono siano di una sostanza di ordine talmente più
elevato che i sensi fisici non la possono distinguere. Così i principi sono separabili e lo
stesso sesto principio può essere immaginato diviso dal suo vicino inferiore, il quinto. Ma
in quello stato di separazione e nello stato attuale di sviluppo della specie umana, il sesto
principio o anima spirituale può reincarnarsi e sviluppare un nuovo quinto principio per
contatto con un organismo umano; in questo caso il quinto principio influenzerà e
diventerà un tutt’uno con il quarto, e via degradando. E questo quinto principio, che non
può stare da solo, è la personalità dell’uomo, e la sua parte migliore in unione al sesto
costituirà la sua individualità imperitura attraverso le vite successive.
Le cause e le attrazioni sotto la cui influenza i principi si dividono e il modo in cui la
coscienza dell’uomo è in relazione con queste, saranno discussi più avanti. Nel frattempo,
per essere compresi meglio, dobbiamo occuparci dei processi dell’evoluzione, in virtù dei
quali si sono sviluppati i principi dell’uomo.

Annotazione
Qualche obiezione fu sollevata contro il metodo con il quale è stata presentata al lettore
in questo libro la dottrina esoterica, definendo quel metodo materialista. Dubito che possa
esservene un altro più adatto a far sì che le idee si fissino bene e facilitino la traduzione
secondo il metodo idealista, quando queste saranno state completamente afferrate. Si
potrà discutere meglio sui principi più elevati come tanti stati differenti dell’Ego, quando
gli attributi di questi stati saranno considerati separatamente come principi sottoposti
all’evoluzione. Ma ora può essere utile soffermarci un momento sul modo di considerare
la costituzione umana, secondo il quale la coscienza dell’entità migra successivamente
attraverso i vari stadi di sviluppo rappresentati dai differenti principi.
Talvolta nell’insegnamento occulto si afferma che nel più alto sviluppo, sul quale noi
dobbiamo soffermarci per ora, quello di Mahatma perfetto, la coscienza dell’Ego ha
acquisito il potere di risiedere completamente nel sesto principio. Sarebbe però sbagliato
supporre che il Mahatma abbia del tutto abbandonato, come fodere inutili, i principi
quarto e quinto, nei quali la sua coscienza aveva dimorato in periodi più remoti della sua
evoluzione. L’entità che fu dapprima il quarto e il quinto principio è divenuta adesso
differente nei suoi attributi e separata totalmente da certe tendenze o abitudini: essa è
perciò un sesto principio. Questo cambiamento può essere descritto in termini più
generici come un’emancipazione della natura dell’adepto dai legami del suo Io inferiore,
dai desideri dell’ordinaria vita terrena e persino dalle limitazioni che gli affetti
producono; e questo perché l’Ego, che è perfettamente cosciente nel suo sesto principio,
ha realizzato l’unità di tutti gli Ego dell’umanità sul piano superiore, e non può più essere
vincolato da legami empatici per l’uno più che per l’altro. L’adepto è giunto ad amare
l’umanità come una totalità, amore che trascende quello di i\1iiyii owero dell’illusione
che fa credere ad uno stato separato delle creature umane verso l’essere limitato dei piani
inferiori dell’evoluzione. L’adepto non ha perso i suoi principi quarto e quinto, anche
quando questi hanno raggiunto lo stato di Mahatma; precisamente come l’anima animale
del regno inferiore, raggiungendo lo stato umano, è sbocciata nel quinto principio. Questa
considerazione ci aiuta a comprendere in modo più accurato il passaggio dei comuni
esseri umani attraverso la lunga serie delle incarnazioni del piano umano. Stabilitasi una
volta su questo piano di esistenza, la coscienza dell’uomo primitivo gradatamente
comprende in se stessa gli attributi del quinto principio. Dapprima l’Ego rimane un centro
d’attività intellettuale che agisce principalmente in forza degli impulsi e desideri del
quarto stadio dell’evoluzione. Talvolta lampi di intelligenza superiore lo rischiarano al
suo inizio, e l’uomo più intellettuale va a mano a mano acquisendo il pieno possesso di
tutto questo. Gli impulsi della ragione umana si affermano sempre più. La mente
rinvigorita diviene la forza predominante della sua esistenza. La coscienza è trasferita nel
quinto principio, oscillando tra le tendenze della natura inferiore e quelle della natura
superiore per lungo tempo (ossia per vasti periodi di evoluzione e per molte centinaia di
vite) e così gradualmente purifica ed esalta il suo Ego. In tutto questo succedersi di età,
l’Ego resta un’Unità -empre uguale d’aspetto e il suo sesto principio rappresenta una
potenzialità che si attiverà nel suo sviluppo finale. Riguardo al settimo principio, questo è
il vero Inconoscibile, la causa suprema che esamina e rivede ogni cosa, la stessa per un
uomo come per tutti gli uomini, la stessa per il regno umano come per l’animale, per il
piano fisico come per quello astrale, per il piano devachanico come per quello nirvanico
dell’esistenza. Nessun uomo possiede da solo un settimo principio nel significato più
elevato del termine; ma ogni uomo è adombrato nello stesso inesplicabile modo dal
settimo principio del Cosmo.
Come potrà tutto ciò armonizzarsi con quanto si asserisce nel precedente capitolo, cioè
che i principi sono in un certo modo separabili, e che il sesto può persino essere
immaginato distaccantesi dal quinto principio inferiore a formare un quinto principio
nuovo, per mezzo della reincarnazione a contatto di un organismo umano? Non esiste
incompatibilità nella sostanza di questi due modi di vedere. Il settimo principio è uno e
indivisibile in tutta la Natura, ma attraverso di esso persiste un misterioso impulso vitale,
che costituisce il filo tramite il quale successive esistenze possono essere collegate l’una
all’altra. Tale impulso vitale non ha termine nel supposto caso straordinario in cui un
Ego, proiettato da esso e sviluppato sopra esso fino ad un certo punto, cada fuori della sua
azione e termini d’essere un tutto completo. Non sta a me dogmatizzare su ciò che
avviene in tal caso, ma mi sembra chiaro che l’incarnazione susseguente dello spirito
lungo questa linea d’impulso debba appartenere alla stessa serie di quella che ebbe luogo
in origine e così, nel trattare materialisticamente questo argomento, si può affermare, per
quanto le parole anche le più accurate possano esprimere, che il sesto principio dell’entità
caduta si separa in tal caso dal quinto originale, e va a reincarnarsi per proprio conto.
Non è però necessario occuparci molto di questi processi anomali. Il problema che
dobbiamo prima d’ogni altro risolvere è l’evoluzione normale; e se la considerazione
fatta sui sette principi è, a mio parere, il metodo più istruttivo con il quale il problema
possa essere trattato, giova anche rammentare che l’Ego è un’unità che progredisce
attraverso varie sfere o stadi di esistenza, soggetta a cambiamenti, ad accrescimenti e a
purificazioni nel corso della sua evoluzione, e che è una coscienza che risiede ora in
questo e ora in quell’attributo potenziale di un’ entità umana.
III
LA CATENA PLANETARIA

Benché la scienza occulta sia la più spirituale tra tutte le scienze, nel suo viaggio
attraverso le leggi della Natura mostra il più esauriente sistema evolutivo che la mente
umana possa concepire. La teoria darwiniana dell’evoluzione è semplicemente una
scoperta indipendente di una porzione, disgraziatamente ben piccola, di una verità
naturale di estensione assai più vasta. Gli occultisti possono ora spiegare il processo
evolutivo senza essere obbligati a degradare i più elevati principi dell’uomo. La dottrina
esoterica non tiene obbligatoriamente separate scienza e religione. Le sue teorie sulla
fisicità e sulla spiritualità non solo sono conciliabili fra di loro, ma sono anche
intimamente unite insieme e interdipendenti. Il primo fatto che la scienza occulta ci fa
notare riguardo all’origine dell’uomo su questo globo aiuterà l’immaginazione a chiarire
alcune difficoltà dell’idea dell’evoluzione che ci è familiare. L’evoluzione umana non ha
avuto origine soltanto su questo pianeta. È un risultato al quale hanno contribuito
parecchi mondi esistenti in condizioni diverse di sviluppo materiale e spirituale. Se
questa affermazione fosse proposta a semplice titolo di congettura, si raccomanderebbe
per se stessa agli spiriti razionali. E questo perché c’è una manifesta irrazionalità nel
luogo comune secondo il quale l’esistenza dell’uomo è divisa in un inizio materiale, che
dura sessanta o settant’anni, e il resto spirituale che dura per l’eternità. L’irrazionalità
diventa assurdità nel dire e nel credere che le azioni compiute, le colpe commesse nei
sessanta anni circa di una vita inconsapevole sono permessi dalla giustizia perfetta di una
saggia Provvidenza che definisce la condizione della vita ultraterrena che dura in eterno.
E non è meno stravagante il supporre che, a parte ogni questione di giustizia, la vita
nell’aldilà sia esonerata dalla legge dei cambiamenti, del progresso e dello sviluppo che
ogni analogia della Natura mostra percorrendo tutte le varie esistenze dell’universo.
Esclusa l’idea di una vita uniforme, senza modificazioni e senza progresso, una volta
ammesso il concetto di cambiamento e di progresso in quella vita, dovremo ammettere
pure l’idea di una varietà che è compatibile soltanto con l’ipotesi che esista un progresso
attraverso mondi successivi. E questa, come è già stato detto, non è un’ipotesi per la
scienza occulta, ma un fatto certo e verificato che non solleva fra gli occultisti né dubbi
né contraddizioni.
La vita e i processi evolutivi di questo pianeta, che è formato da qualcosa di più di una
massa inerte di materia caotica, sono legati alla vita e ai processi evolutivi di parecchi
altri pianeti.
Supponiamo che non ci sia uno scopo nello schema di questa unione planetaria a cui
apparteniamo. L’immaginazione umana, una volta lasciata libera, è capace di andare
molto lontano. Capito il concetto secondo il quale la terra non è che un semplice anello di
una poderosa catena di mondi, non se ne deve concludere con la nostra abituale prontezza
che il cielo stellato sia l’eredità dell’umanità; una tale credenza ci condurrebbe a un serio
malinteso. La Natura non può portare a compimento sopra un solo globo il piano con il
quale l’umanità è stata richiamata dal caos, ma questi processi richiedono un numero
definito e limitato di globi. Separati, per quanto riguarda la materia grossolana e pensante
di cui sono formati, i mondi sono strettamente uniti da correnti e da forze sottili, la cui
ragione d’essere non ha bisogno di essere troppo congetturata dal momento che si
ammette l’esistenza di qualche legame, di forze o di mezzi eterici, la cui unione a tutti i
corpi celesti visibili viene dimostrata dal semplice fatto che essi sono visibili. È lungo
queste correnti sottili che gli elementi vitali passano da mondo a mondo.
Ma questo fatto, comunque, sarà il responsabile di certe distorsioni che hanno come fine
quello di adattare alcune abitudini mentali preconcette. Alcuni lettori potrebbero
immaginare che l’anima, sopravvivendo al corpo, sia attratta dalle correnti di quel mondo
a cui è legata per affinità. Il processo reale è più metodico. Il sistema dei mondi è un
circuito che tutte le entità spirituali individuali devono percorrere: quel passaggio
costituisce l’Evoluzione dell’Uomo. Bisogna essere consapevoli che l’evoluzione
dell’uomo è un processo ancora in atto e senza dubbio ancora incompleto. Gli scritti
darwiniani hanno insegnato che il mondo moderno ha avuto la scimmia come
progenitore, ma il semplice concetto della speculazione occidentale ha raramente
permesso agli evoluzionisti di guardare in altre direzioni e di riconoscere la possibilità
che i nostri ultimi discendenti penseranno dell’uomo attuale ciò che noi pensiamo del
nostro sgradevole progenitore. Ma i due fatti appena dichiarati sono collegati. Il punto più
elevato dell’evoluzione sarà raggiunto dal nostro progredire successivamente attraverso i
mondi del nostro sistema planetario ed è in una forma sempre superiore che torneremo e
ritorneremo ancora su questa terra. Ma queste sono prospettive inconcepibili per il nostro
pensiero.
Si comprenderà facilmente che la catena dei mondi cui appartiene la nostra terra non è
formata da globi adatti esattamente o approssimativamente alle condizioni dell’esistenza
materiale alla quale noi siamo destinati. Non ci sarebbe alcun senso in una catena
organizzata di mondi tutti uguali, e sarebbero tutti amalgamati in uno solo. In realtà i
mondi a cui siamo collegati sono molto dissimili fra loro e non semplicemente nel loro
aspetto esterno; quel che li distingue in modo più caratteristico è la proporzione nella
quale spirito e materia vi sono combinati. La terra presenta, nella sua interezza, una
combinazione tutto sommato equilibrata di spirito e materia. Non si deve però dedurre
che la sua posizione sulla scala dell’evoluzione sia elevata; al contrario, il nostro pianeta
occupa uno dei gradi più bassi. I mondi che occupano i gradi più elevati sono quelli nei
quali lo spirito predomina largamente. C’è ancora un altro mondo attaccato alla catena,
ma che non ne fa parte, nel quale la materia si impone in modo assai più deciso che sulla
terra, ma ne riparleremo in seguito.
Può sembrare ragionevole a prima vista che i mondi superiori, che l’uomo dovrà abitare
durante il suo percorso evolutivo, diventino sempre più spirituali nella loro costituzione,
mentre la vita si separa sempre più dalla materialità grossolana. Inoltre, uno sguardo
immaginativo verso quei mondi che potremmo invece chiamare inferiori ma che
possiamo definire in modo meno accurato come mondi precedenti, suggerirebbe che
questi mondi dovrebbero essere dominati dalla materia più che la stessa terra. Ma il fatto
è esattamente opposto - e deve essere così, riflettendoci - e si sostanzia in una catena di
mondi senza fine attorno alla quale si muove il processo evolutivo. Se quel processo
fosse semplicemente un cammino senza ritorno, si potrebbe supporre con ragione che,
partiti dalla materialità pressochè assoluta, si arrivi alla spiritualità quasi assoluta. Ma la
Natura procede sempre secondo linee curve e non si avventura mai su strade lungo le
quali le sia impossibile retrocedere.
Il primo come l’ultimo dei mondi evoluti, poiché la catena si è sviluppata per gradi,
quello più arretrato come il più avanzato, sono entrambi i più immateriali, i più eterei
dell’intera serie. E ciò è in completo accordo con il fatto che il mondo futuro più
avanzato non è una regione dove qualcosa finisce ma il punto da cui si tornerà al mondo
più arretrato, come il mese di dicembre ci porterà di nuovo al mese di gennaio. Non è in
un momento di apice evolutivo e come per effetto di una catastrofe, che la monade
individuale cade nello stato da cui, lentamente, ha iniziato il suo movimento ascensionale
milioni di anni prima, stato che, per ragioni che vedremo presto, deve considerarsi il
mondo giunto al punto più elevato dell’arco ascendente, ovvero il primo punto sull’arco
discendente nel senso del più basso e perciò, dal punto di vista evolutivo, non c’è discesa
alcuna ma ancora ascesa e progresso. Poiché la monade o entità spirituale che ha
compiuto l’intero percorso del ciclo evolutivo, in qualcuno dei molti stadi di sviluppo nei
quali le varie esistenze possono essere raggruppate intorno a noi, inizia il suo successivo
ciclo allo stadio vicino più elevato, ed è così che il progresso si compie passando dal
mondo Z e ritornando al mondo A. La scala della perfezione spirituale è costantemente
ascendente. Così, se confrontiamo il sistema dei mondi con un sistema di torri in una
pianura, torri ognuna con molti piani che simboleggiano la scala della perfezione, la
monade spirituale compie un progresso a spirale in senso circolare attorno alle serie,
passando attraverso ogni torre, e ogni volta ad un livello più alto del precedente.
È per non aver capito questa idea che la speculazione, preoccupata solo dell’ evoluzione
fisica, si trova costan temente ostacolata. Sta cercando anelli mancanti in un mondo in cui
ora non si possono trovare, poiché vennero formati per uno scopo temporaneo, che
scomparve quando esso venne raggiunto. L’uomo, dicono i darwinisti, una volta era una
scimmia. Ciò è vero, ma la scimmia che conoscono i darwinisti non diverrà mai un uomo;
ossia la forma della scimmia attuale non si modificherà di generazione in generazione al
punto che la sua coda scompaia, le mani diventino piedi e così via. La scienza moderna
riconosce bene che seppure possano rintracciarsi cambiamenti di forma, che sono
altrettanti progressi, nei limiti di una stessa specie, le modificazioni da specie a specie
possono solo essere dedotte; e per spiegarli si limita a presupporre lunghi e incalcolabili
intervalli di tempo e l’estinzione completa delle forme intermedie. Questa estinzione
delle prime forme, o forme intermedie, non fu mai posta in dubbio per nessuno dei regni
della Natura: minerale, vegetale, animale, umano. Pur tuttavia la scienza ordinaria, con i
mezzi di cui dispone, non può che congetturare sul fatto, senza conoscere le condizioni
che lo hanno reso inevitabile ed impediscono il ripresentarsi di queste forme intermedie.
È lo schema a spirale del progresso accompagnato dall’impulso della vita che sviluppa i
differenti regni della Natura, che ci spiega come possano essere osservate le lacune nella
serie delle forme animate che attualmente popolano la terra. I contorni di una vite, che
sono realmente sopra un piano inclinato uniforme, sembrano una successione di scalini,
se la osserviamo sulla linea parallela al suo asse. Le monadi spirituali, che stanno
compiendo la ronda attorno alla nostra catena planetaria sul piano animale, passano in
altri mondi della stessa catena quando hanno compiuto il giro delle loro incarnazioni
animali sul nostro mondo. Quando col tempo loro torneranno quaggiù, esse saranno già
pronte per l’incarnazione umana, e non c’è necessità ora per l’evoluzione delle forme
animali in forme umane: queste stanno già aspettando il loro inquilino spirituale. Ma se
torniamo indietro nel tempo, giungeremo ad un periodo in cui nessuna forma umana era
pronta a svilupparsi sulla terra. Quando le monadi spirituali attraversavano i primi e più
bassi gradi del livello umano, iniziando così la ronda, la loro spinta evolutiva in un
mondo dove non esistevano che forme animali provocò lo sviluppo delle più alte di
queste nella forma richiesta, ovvero l’anello mancante.
Da un certo punto di vista si può sostenere che questa spiegazione si accorda con le
conclusioni degli evoluzionisti darwiniani, per quel che si riferisce allo sviluppo e alla
scomparsa degli anelli mancanti. I materialisti potranno rispondere: “Noi non abbiamo
alcun bisogno di esprimere un “opinione sulle tendenze che possono avere le specie a
svilupparsi; diciamo solamente che le specie si sviluppano in forme più alte per mezzo di
questi anelli mancanti, e che questi anelli scompaiono; e voi dite la stessa cosa”. Tuttavia
deve farsi una distinzione tra le due teorie. Il processo naturale di evoluzione, che ha
luogo attualmente per opera delle influenze locali e per la selezione sessuale, non può
essere considerato come in grado di produrre queste forme intermedie e ciò perché è
inevitabile che forme intermedie siano di natura temporanea e destinate a morire. In altro
modo, il mondo sarebbe pieno di anelli mancanti di ogni specie; tipi animali che tentano
di salire i gradini che li separano dalla condizione umana e forme umane mescolate con
indescrivibile confusione a forme animali. L’impulso che dà origine ad un’evoluzione
d’organismi più elevati si produce, come fu detto, per una specie di movimento subitaneo
delle monadi spirituali che percorrono la ronda in uno stato adatto alla nuova forma che
devono animare. Questi impulsi vitali superiori rompono la crisalide della forma più
vecchia sul pianeta che andranno ad occupare e faranno fiorire qualcosa di più elevato.
Le nuove forme, dopo essersi moltiplicate per millenni, entrano in una rinnovata fase di
crescita, e con relativa rapidità si elevano dagli stati intermedi alle forme superiori e poi,
a loro volta, si moltiplicano con la forza e la rapidità delle giovani vite, trovandosi in
condizione di offrire un corpo materiale a tutte le entità spirituali che stanno compiendo
la ronda su questo stadio o piano d’esistenza; le forme intermedie, non avendo più
ragione d’esistere, si diradano e scompaiono.
Così si attua l'evoluzione a spirale rispetto al suo impulso essenziale attraverso i mondi.
Nel merito della spiegazione di questa teoria, abbiamo parzialmente anticipato
l’affermazione di un altro fatto di primaria importanza e che ci viene in aiuto nel
correggere visioni del sistema-mondo al quale apparteniamo. Ovvero il flusso di vita,
l’onda dell’esistenza, l’impulso spirituale, chiamatelo come più vi piace, passa o si
manifesta di pianeta in pianeta per spinte, per sbalzi, e non per scorrimento continuo e
regolare. Allo scopo momentaneo di illustrare la teoria in modo semplice, possiamo
paragonare il processo ad un sistema di vasche, come se ne vedono talvolta allo sbocco
d’una sorgente di piccolo efflusso: queste vasche, incassate nella superficie del suolo,
sono collegate fra loro da canaletti. L’acqua, sgorgando dalla sorgente, scorre nel primo
canaletto che la conduce alla vasca A. Questa si riempie, e l’eccesso dell’acqua entra
allora nel secondo canaletto, che, a sua volta, la conduce alla vasca B, la quale,
riempitasi, ne riversa il sopravanzo nella vasca C e la riempie: e così di seguito. Questa
immagine è certamente molto grossolana e materiale ma in sostanza può aiutarci a
comprendere il processo evolutivo della vita sulla catena dei mondi come quello al quale
siamo attaccati e di conseguenza l’evoluzione dei mondi stessi. Il processo che continua
non implica la preesistenza di una catena di globi sui quali la Natura crea la vita, ma è un
processo nel quale l’evoluzione di ciascun globo è il risultato di evoluzioni precedenti e
la conseguenza di impulsi emanati dai mondi suoi predecessori nella sovrabbondanza del
loro sviluppo. Ora è necessario trattare di questa caratteristica del processo descritto, ma
per iniziare bisogna tornare ancora indietro, scendere di nuovo con l’immaginazione ad
un periodo, nell’evoluzione del nostro sistema, molto antecedente rispetto a ciò che il
presente argomento permette, ovvero l’evoluzione dell’uomo. Non appena inizieremo a
parlare degli inizi dei mondi, dovremo trattare con fenomeni che hanno avuto ben poco a
che fare con la vita come noi la comprendiamo, e perciò, si può supporre, anche poco con
gli impulsi vitali. Ma andiamo per gradi.
Prima dell’essere umano prodotto dall’impulso vitale, esistevano le semplici forme
animali e prima di queste le forme vegetali, dato che alcune di queste indubbiamente
avevano preceduto la comparsa delle prime forme animali sul pianeta. Poi, prima
dell’organizzazione vegetale, c’era quella minerale: persino i minerali sono prodotti dalla
Natura, e anch’essi sono il risultato dell’evoluzione di un qualche cosa prima di loro,
poiché così deve essere per ogni manifestazione della Natura fino a dove, nella vastissima
serie di manifestazioni, la mente può arrivare viaggiando a ritroso fino all’inizio non
manifestato di tutte le cose. Ma lasciamo per il momento tali questioni di pura metafisica,
e contentiamoci di dimostrare che possiamo, anzi dobbiamo ragionevolmente concepire,
se abbiamo ben compreso questo studio, quel vero impulso di vita che ha dato origine alle
forme minerali, impulso del medesimo genere di quello che trasformò una razza di
scimmie in una razza di uomini primitivi. In verità la scienza occulta, nelle sue analisi
esaustive, può tornare indietro nel tempo anche molto al di là del periodo nel quale il
minerale iniziò ad esistere come tale. Nel processo di sviluppo dei mondi dalla nebulosa
infuocata, la Natura inizia con qualcosa di precedente ai minerali, con le forze elementali
che giacciono sotto i fenomeni naturali, oggi visibili e percettibili dai sensi dell’uomo.
Ma questo argomento ci porterebbe troppo lontano. Ritorniamo al momento in cui il
primo mondo della serie, il globo A così come lo chiamiamo, non era altro che un
insieme di forme minerali. Ora bisogna ricordare che il globo A lo abbiamo già descritto
in uno stato molto più etereo, molto più dominato dallo spirito, molto più distante dallo
stato materiale del globo sul quale siamo attualmente occupati a fare esperienze
personali; non dobbiamo quindi essere troppo esigenti quando chiediamo al lettore di
pensare a quello stato di cose, il punto di partenza, come ad un semplice ammasso di
forme minerali. Le forme minerali possono essere tali nel senso di non appartenenza alle
forme più alte degli organismi vegetali, e tuttavia queste forme minerali dovevano essere
molto eteree e immateriali, secondo il senso che diamo al termine materia, e composte di
una sostanza di qualità sottile e fine, nella quale l’altro polo o caratteristica della natura,
lo Spirito, predominava largamente. Il minerale che stiamo tentando di ritrarre non era,
per così dire, che il fantasma del minerale attuale, senza dubbio composto dai cristalli più
duri, meravigliosi e ben rifiniti che possono essere esibiti nelle vetrinette mineralogiche.
In queste spirali più basse dell’evoluzione che ora stiamo trattando, come anche in quelle
più elevate, c’è un progredire continuo da mondo a mondo, il grande punto a cui stiamo
mirando. C’è un progresso verso il basso, per così dire, nel finito, nella materialità e
consistenza; e poi, ancora, c’è un progresso verso l’alto nella spiritualità come
complemento con il finito che la materia o la materialità, in primo luogo, ha reso
possibile. Si chiarirà che il processo di evoluzione nei suoi stadi più elevati, per quel che
riguarda l’uomo, è guidato esattamente nello stesso modo. Attraverso tutti questi stadi,
infatti, si vedrà che un processo della Natura ne caratterizza un altro, e che il grande è la
ripetizione del piccolo su larga scala.
È chiaro, da ciò che abbiamo detto in precedenza allo scopo di spiegare il progresso degli
organismi sul globo A, che il regno minerale non si evolverà più nel regno vegetale sul
globo A finché questi non riceva un impulso dall’esterno, come la terra che è stata in
grado di evolvere un uomo da una scimmia quando questa ricevette lo stesso impulso
esterno. Ma ora converrà tornare indietro e considerare l’impulso che opera sul globo A
all’inizio della costituzione del sistema.
Allo scopo di poter procedere con maggior agio da un periodo di molto posteriore di
quello ora abbandonato, abbiamo già compiuto un percorso così indietro nel tempo che
un’ulteriore recessione cambierebbe l’intero carattere di questa esposizione. Dobbiamo
fermarci spesso qua e là, e per ora sarà meglio considerare come postulati gli impulsi
della vita dietro il globo A. Dovremmo ora trattare, in modo alquanto superficiale, il
vastissimo periodo tra l’epoca minerale sul globo A e l’epoca dell’uomo, per poi ritornare
al problema principale. Ciò che è stato già detto facilita una trattazione superficiale del
presente processo evolutivo. Il pieno sviluppo dell’epoca minerale sul globo A prepara la
strada allo sviluppo vegetale, e non appena questo inizia, l’impulso di vita minerale
trapassa nel globo B. Poi, quando lo sviluppo vegetale sul globo A è completato, e inizia
lo sviluppo animale, l’impulso di vita vegetale trapassa nel globo B e l’impulso minerale
nel globo C. Quindi, finalmente, si ha l’impulso di vita umano sul globo A.
Si rende ora necessario guardarsi da un fraintendimento che potrebbe sorgere. Come già
descritto in modo approssimativo, il processo potrebbe trasmettere l’idea che nel
momento in cui la vita umana cominciò in A, l’impulso minerale stava iniziando in D, e
che oltre ci fosse il caos. Ciò è ben lontano dal vero per due ragioni: primo, lo ripetiamo,
vi sono processi di evoluzione che precedono l’evoluzione minerale e così un’onda di
evoluzione, anzi parecchie onde di evoluzione precedono l’onda dell’evoluzione minerale
nel suo avanzare attraverso le sfere. Ma esiste un fatto sul quale dobbiamo
particolarmente soffermarci; questo fatto ha una tale influenza nel corso degli eventi che,
una volta ben compreso, ci dimostra che l’impulso di vita ha percorso parecchie volte la
catena planetaria prima dell’inizio dell’impulso umano sul globo A.
Il fatto è questo: ogni regno di evoluzione, vegetale, animale eccetera, è diviso in
parecchi strati disposti a spirale. Le monadi spirituali (gli atomi individuali di questo
impulso gigantesco di vita di cui abbiamo tanto parlato) non possono completare la loro
esistenza minerale sul globo A e completarla poi sul globo B. Passano parecchie volte
girando intorno l’intero ciclo come minerali e ancora parecchie volte come vegetali e poi
animali. Ci asterremo di proposito per ora dallo scendere in particolari; risulta invece più
conveniente fissare le linee essenziali dello schema in termini generici ma i particolari in
relazione a questi processi di Natura sono ora stati dati al mondo dagli adepti occulti
(crediamo per la prima volta nella storia), molto succintamente nell’esposizione, ma
sufficientemente accennati per chiunque voglia riflettere.
Ritorniamo adesso all’uomo primitivo che inizia la sua esistenza sul globo A, ove tutte le
cose sono come le ombre di quelle corrispondenti in questo mondo. L’uomo sta iniziando
la sua lunga discesa nella materia. L’impulso vitale passa di ronda in ronda e le razze
umane vengono stabilite in differenti gradi di perfezione su tutti i pianeti. Ma le ronde (o
giri) sono assai più complicate nel loro disegno di quanto queste righe possano far
supporre, se la cosa si fermasse qui. Il processo di ogni monade non si limita ad un
semplice passaggio da un mondo ad un altro. Nei limiti di ciascun mondo, ogni volta che
vi arriva, alla monade spetta un complicato processo evolutivo. Prima di arrivare ad un
certo grado di perfezione, è necessario che la monade si incarni in razze successive di
uomini e deve anche incarnarsi diverse volte in ciascuna grande razza4. Questo ci spiega
le immense differenze intellettuali e morali che esistono fra gli uomini e le differenze non
meno grandi di benessere e di felicità in senso ampio che appaiono in genere così
misteriose.
Tutto ciò che ha un principio definito, ha anche un termine. Come abbiamo mostrato che
il processo evolutivo descritto iniziò quando certi impulsi cominciarono la loro opera,
così può essere affermato che loro stanno tendendo verso uno scopo conclusivo; ma
questo scopo è ancora lontano. L’uomo che noi conosciamo sulla terra è alla metà del
cammino del processo evolutivo, cui deve il suo sviluppo presente. Egli sarà più grande,
prima che il destino del nostro sistema sia compiuto, di quanto egli è ora più grande
dell’anello mancante. E tale evoluzione sarà compiuta su questa terra mentre, in altri
mondi di altre serie ascendenti, ci saranno ancora altri picchi più elevati di perfezione da
raggiungere. È assolutamente impossibile, per coloro che non hanno alcuna nozione dei
misteri dell’occultismo, di immaginare il tipo di vita che condurrà l’uomo, prima che
venga toccato lo zenit della grande ronda. Ma si è già fatto abbastanza nello stendere le
linee essenziali presentate ora al lettore, senza tentare di far previsioni su ciò di cui
avranno bisogno le esistenze a venire, la cui evoluzione verrà raggiunta attraverso gli
enormi abissi del futuro.

Annotazione
Nel capitolo precedente si trova un’espressione che mal s’accorda con le idee più chiare
che mi sono potuto formare sull’argomento dopo aver scritto questo libro. In quel
capitolo si dice che “le monadi spirituali - gli atomi individuali di quell'immenso impulso
vitale di cui tanto si è parlato - non completano la loro esistenza minerale sopra il globo
A, né sopra il globo B, e così di seguito. Esse passano parecchie volte attorno all'intero
circolo come minerali, parecchie volte come vegetali, ecc”. Penso di aver adoperato
quest’espressione, perché lo scopo principale che avevo era quello di rendere chiaro il
modo con il quale l’entità umana si è gradatamente sviluppata dai processi della Natura
che hanno avuto origine nei suoi regni più bassi. Ma, per la verità, con ricerche ulteriori
mi è stato chiaro che nel vasto processo in cui l’evoluzione dell’umanità rappresenta lo
scopo supremo verso il quale tende ogni cosa, la discesa dello spirito nella materia non
produce la differenziazione delle individualità se non in quel punto più avanzato
dell’evoluzione contemplato nel passaggio sopraccennato. Nei mondi minerali, sui quali
le forme della vita vegetale e animale non si sono ancora stabilite, non c’è la monade
individuale e spirituale, ma si può trovare un’unità inconcepibile, anche se ipotetica, negli
impulsi vitali destinati a dare inizio alle catene planetarie che in seguito si organizzeranno
sempre più. Come in un’annotazione precedente abbiamo ammesso l’unità di questi
impulsi nel caso di un Ego umano pervertito, che nella sua interezza esce dalla corrente
evolutiva in cui era stato inserito, così possiamo ammettere la stessa unità di impulsi nei
primi momenti di esistenza della catena planetaria. Ma questa non può essere che
un’ipotesi protettiva e noi ci riserviamo di investigare più tardi questo mistero che adesso
non abbiamo bisogno di approfondire. Per un apprezzamento generale del soggetto è
meglio considerare la prima infusione, per così dire, dello spirito nella materia, come
causa produttrice di una manifestazione omogenea.
                                                        
4
Si veda sul tema delle razze quanto affermato nella presentazione del volume a pag. 8 (N. d. c.).
 
Le forme specifiche del regno minerale, come i cristalli e le rocce differenziate, non sono
che apparenze che assumono forme parzialmente individualizzate per un certo tempo
nella massa fusa del globo; sono forme che vengono a gettarsi nella sostanza generale di
questo cosmo in formazione, ma non sono ancora individualità vere e proprie.
L’individualità non ha principio neppure nel regno vegetale. Il vegetale nella natura fisica
dà origine alla materia organica, e prepara la via allo sviluppo del regno animale. È in
questo regno animale, e soltanto nei suoi ordini più elevati, che appare per la prima volta
la vera individualità. Quando meditiamo sul passaggio del grande impulso vitale attorno
alla catena planetaria, e a livello dell’incarnazione animale, allora è giustificabile il
parlare di monadi spirituali che viaggiano attorno alla catena come una pluralità di unità e
alle quali la parola “esse” può giustamente applicarsi. Non è evidentemente con
l’intenzione di incoraggiare uno studio profondo dell’evoluzione che gli adepti, autori
della dottrina spiegata in questo volume, hanno divulgato il tema della catena planetaria.
Finché l’umanità se ne interesserà, il periodo durante il quale questa terra resterà
occupata dalla nostra razza sarà abbastanza lungo per assorbire tutta la nostra energia
speculativa. La grandezza del processo evolutivo, che deve essere compiuto in questo
stesso periodo, è più che bastante per provare, fino all’ultimo, le capacità di
un’immaginazione comune. Sarà però molto vantaggioso per gli studiosi della dottrina
occulta capire, una volta per sempre, la pluralità dei mondi del nostro sistema, le loro
intime relazioni e la reciproca loro dipendenza, prima di concentrare l’attenzione
sull’evoluzione di questo solo pianeta. E questo perché l’evoluzione di un pianeta, sotto
parecchi aspetti, segue un andamento, lo dimostreremo fra breve, che ha una somiglianza
analogica con l’andamento dominante dell’intera catena dei pianeti cui appartiene. Gli
scritti più antichi e più ermetici della scienza occulta si riferiscono talvolta a stadi
successivi di un mondo come se fossero rappresentati successivi mondi, o viceversa.
Nasce così una confusione nella mente del lettore il quale finisce con l’adottare, fra le
varie interpretazioni di quel linguaggio oscuro, quella che meglio si armonizza con la
propria inclinazione nei confronti di quel linguaggio. L’oscurità cesserà, se ammetteremo
che negli attuali eventi naturali si verificano entrambi i generi di cambiamento. Ciascun
pianeta, mentre è abitato dall’umanità, percorre metamorfosi assai importanti e nette; e
l’effetto di tali metamorfosi può essere visto in ogni caso come equivalente al rinnovarsi
del mondo stesso. Se però il gruppo di tali cambiamenti viene trattato come un tutto
unico, questo gruppo formerà un cambiamento d’ordine più elevato. I diversi mondi della
catena sono realtà oggettive e non simboli di cambiamenti di un solo mondo variabile.
Parecchie osservazioni su questo soggetto saranno spiegate alla fine di un altro capitolo.
IV
I PERIODI DEL MONDO

La dottrina occulta ci fornisce una spiegazione profonda per quel che riguarda lo sviluppo
dell’uomo sulla terra. Le linee essenziali del disegno sono le stesse del piano ben più
grande che comprende l’intera catena dei mondi. I dettagli interiori di questo mondo,
riguardo le sue unità costitutive, sono gli stessi dell’organismo più grande del quale
questo stesso mondo è un’unità. Ovvero, lo sviluppo dell’umanità su questa terra si
compie per mezzo di onde successive di sviluppo che corrispondono ai mondi che si
susseguono nella catena planetaria. La grande onda della vita umana (è bene ricordarlo
poiché è già iniziata) si diffonde con rapidità intorno all’intero cerchio dei mondi in onde
successive. Si può parlare di queste crescite primarie dell’umanità come di giri o di
ronde. Non dimentichiamo che le unità individuali, che costituiscono a loro volta
ciascuna ronda, sono identiche per quanto riguarda i loro principi più elevati e cioè le
individualità sulla terra durante la prima ronda tornano di nuovo indietro dopo aver
completato il loro viaggio attorno all’intera serie di mondi o globi, costituendo la seconda
ronda e via di seguito. Ciò non vuol dire che quando un’individualità arriva su un pianeta,
durante il corso di una ronda, lo tocchi semplicemente e passi subito sul successivo.
Prima di passare avanti, questa individualità deve trasmigrare attraverso una serie di
razze diverse sopra un medesimo pianeta. Questo fatto suggerisce le linee della struttura
che si svilupperà ora nella mente del lettore e mostra l’analogia del disegno su un mondo
in relazione all’intera serie a cui abbiamo già rivolto la nostra attenzione. Come lo
schema completo della Natura al quale apparteniamo è il risultato di una serie di ronde
che passano attraverso tutti i mondi, così lo sviluppo dell’umanità su ogni mondo è il
risultato di una serie di razze che si sono sviluppate entro i limiti di ogni mondo.
È giunto ora il momento di chiarire l’azione di questa legge venendo alle reali figure che
hanno a che fare con l’evoluzione della nostra dottrina. All’inizio sarebbe prematuro, ma
non appena l’idea di un sistema di mondi concatenati e di un’evoluzione di vita su
ognuno di questi, tramite una serie di rinascite, sia stata sufficientemente assimilata, il
successivo esame delle leggi in opera sarà facilitato enormemente facendo riferimento
preciso al reale numero di mondi, di ronde e di razze richieste affinché si realizzi l’intero
fine del sistema. E ciò perché la durata totale del sistema è di sicuro limitata nel tempo,
così come lo è la vita di ogni singolo uomo. Probabilmente non limitato a un numero
preciso di anni in modo irrevocabile, ma tutto ciò che ha un inizio si incammina verso
una fine. Come la vita di un uomo, lasciando da parte le accidentalità che ne abbreviano
la durata, giunge ad un termine, così la vita di un sistema di mondi giunge ad una
conclusione. I periodi di tempo incommensurabili, compresi nella vita di un sistema di
mondi, generalmente spaventano e turbano l’immaginazione, ma possiamo tuttavia
misurarli con sufficiente esattezza; essi sono divisibili in sottoperiodi di lunghezze
differenti e questi sono in numero ben definito.
Da quale istinto profetico Shakespeare abbia tratto ispirazione quando scelse il sette come
il numero che meglio si adattava alla sua fantastica classificazione dell’età dell’uomo è
una questione sulla quale non ci soffermeremo, ma è certo che non avrebbe potuto fare
scelta più felice. L’evoluzione delle razze umane si divide in periodi di settenni, e il
numero attuale dei mondi oggettivi che costituiscono il nostro sistema, di cui la terra fa
parte, è ancora sette. Non dimentichiamo che gli studiosi di occultismo riconoscono per
certo questo fatto, come i fisici sanno che lo spettro solare consta di sette colori e la scala
musicale di sette note. Ci sono sette regni nella natura, e non tre, come li ha classificati a
torto la scienza moderna. L’uomo appartiene ad un regno interamente distinto dal regno
animale che comprende anche esseri giunti ad uno stato di organizzazione più elevato di
quanto si possa immaginare e inoltre, al disotto del regno minerale esistono altri tre regni
che la scienza occidentale ignora completamente; ma non insisteremo ora su questo
argomento. Menzioniamo il fatto soltanto per dimostrare la regolarità della legge
settenaria in Natura.
Tornando a parlare del regno umano, dobbiamo perciò affermare che questo si evolve in
una serie di ronde (progressioni intorno alla serie dei mondi o globi) e che ne sono
necessarie sette affinché si compiano i destini del nostro sistema. La ronda della quale
attualmente noi facciamo parte è la quarta. Questo punto è della massima importanza
nella comprensione esatta di questi concetti, perché ogni ronda è deputata in particolar
modo a prevalere su uno dei sette principi dell’uomo e in ordine regolarmente
ascendente.
Un’unità individuale, arrivando per la prima volta su un pianeta durante il corso di una
ronda, deve lavorare attraverso sette razze prima di passare sul pianeta vicino e ciascuna
di queste razze rimane sulla terra per un tempo considerevole. Le nostre speculazioni
antiquate sul tempo e l’eternità, proposte dai nebulosi sistemi religiosi occidentali, hanno
apportato una curiosa abitudine mentale in relazione ai problemi riguardanti la vera
durata di tali periodi. Possiamo parlare facilmente di eternità e non essere scioccati da
poche migliaia di anni; però, dal momento che gli anni vengono conteggiati direttamente
e con estrema precisione in gruppi situati in certe regioni del pensiero, i teologi
occidentali, in modo illogico, sono propensi a considerare tale computo privo di senso.
Ora, noi che viviamo nel presente su questa terra e facciamo parte della maggioranza
dell’umanità (casi eccezionali saranno discussi più tardi), apparteniamo alla quinta razza
della nostra presente quarta ronda e l’evoluzione di questa razza è iniziata circa un
milione di anni fa. Considerato il fatto che la presente cosmogonia non afferma l’eternità,
sarà pronto il lettore a fare previsioni di milioni di anni e pensarle come durate
considerevoli?
Ognuna delle sette razze, che devono compiere successivamente una ronda (ovvero che si
evolveranno sulla terra in successione durante il loro lavoro tramite la grande onda
dell’umanità che gira intorno alla catena planetaria), viene a sua volta suddivisa. Se fosse
altrimenti, le esistenze attive di ogni unità umana sarebbero poche e lontane nel tempo
l’una dall’altra. All’interno di ciascuna razza ci sono sette sottorazze, e in ogni sottorazza
sette rami. Parlando semplicemente, ogni monade individuale deve passare, durante la
sua presenza sulla terra, per tutte queste razze ogni volta che giunge su una ronda di
progresso attraverso il sistema planetario. Se ci riflettiamo sopra, questa necessità non
dovrebbe atterrire la mente tanto quanto un’ipotesi che preveda meno incarnazioni. E
questo perché, per quante vite ogni monade individuale possa attraversare sulla terra
durante una ronda, qualunque sia il numero delle vite, questa monade non può progredire
se non quando giungerà il tempo in cui la progressione della ronda la spingerà in avanti.
Dal calcolo che abbiamo già fatto si vede facilmente che il tempo trascorso dall’unità
individuale nella vita fisica non è che una piccola frazione del tempo che intercorre fra il
suo arrivo sulla terra e la partenza per il pianeta successivo. La maggior parte di questo
tempo, secondo il nostro metodo di computare, passa dunque in quelle condizioni di
esistenza soggettiva che appartengono al mondo degli effetti o terra spirituale annessa alla
terra fisica, sulla quale trascorre la nostra esistenza oggettiva.
La natura dell’esistenza sulla terra spirituale va considerata pari passu alla natura di
quella passata sulla terra fisica e trattata nella numerazione fatta prima dell’incarnazione
delle razze. Non dobbiamo dimenticare che, fra ognuna delle esistenze fisiche, l’unità
individuale trascorre un periodo di esistenza nel corrispondente mondo spirituale. E
questo perché le condizioni di quella esistenza spirituale sono determinate dall’uso che è
stato fatto delle opportunità che le furono presentate nella precedente esistenza fisica e
per questa ragione nel mondo spirituale è spesso chiamato, negli scritti occulti, mondo
degli effetti, e la terra stessa il corrispondente mondo delle cause.
Ovviamente ciò che passa dopo un’incarnazione dal mondo delle cause al mondo degli
effetti è l’unità o monade spirituale; però anche la personalità appena dissolta passa nel
mondo degli effetti in misura dipendente dalle caratteristiche di tale personalità e dall’uso
che si seppe fare delle opportunità in vita. Il tempo che si deve trascorrere nel mondo
degli effetti (essendo in ogni caso enormemente più lungo della vita che ha preparato la
strada per l’esistenza nell’altro mondo) corrisponde all’aldilà o al paradiso della teologia
comune. La visione ristretta delle religioni ordinarie non ha potuto concepire altro che
una sola vita spirituale e le sue conseguenze nella vita futura. La teologia concepisce una
sola vita che inizia nel mondo fisico, seguita da un’esistenza spirituale senza fine. E
attraverso gli elementi della scienza occulta si è visto che queste due esistenze non sono
altro che una piccola parte del corso delle esperienze dell’entità nella sua appartenenza ad
una branca di razza, che è una delle sette appartenenti a una sottorazza, a sua volta una
delle sette appartenenti a una razza madre, ed essa è una delle sette che abitano la terra
con una delle sette onde di ronda di umanità che debbano abitarla a turno prima che il suo
compito in Natura sia terminato: tale molecola microscopica dell’intera struttura è ciò che
il teologo comune considera più dell’intero e che perciò suppone comprendere l’eternità.
Il lettore deve essere messo in guardia da una conclusione alla quale le spiegazioni sopra
riportate potrebbero condurlo, nonostante queste siano il più possibile accurate, ma non
ancora abbastanza. Non riuscirà ad ottenere il numero esatto di vite che l’entità spirituale
deve condurre su questa terra nel corso di una ronda, se non elevando il sette alla terza
potenza. Se una sola fosse l’esistenza da condurre in ciascuna sottorazza, il numero totale
delle esistenze sarebbe di 343. Ma ogni vita discende nell’oggettività almeno due volte in
ciascuna sottorazza; ogni monade, in altre parole, si incarna due volte in ogni sottorazza.
Inoltre, esiste una curiosa legge ciclica che agisce aumentando il numero delle
incarnazioni oltre le 686. Ciascuna sottorazza ha una certa vitalità oltre il suo culmine
evolutivo, che la porta ad emettere un ramo di razza addizionale e poi un ulteriore ramo si
sviluppa al termine della sotto razza al momento della sua estinzione. L’intera onda della
vita umana trascorre attraverso tutte queste razze e il risultato è che un normale numero
di incarnazioni per ogni monade si aggira intorno alle 800. Entro limiti relativamente
ristretti, si tratta di un numero variabile e più avanti se ne potranno considerare le
implicazioni.
La legge metodica, che sospinge ciascuna entità umana individuale attraverso il vasto
processo dell’evoluzione così abbozzato, non è incompatibile con la possibilità di cadere
in destini anormali o nella distruzione che minaccia le entità personali di chi coltiva
affinità poco nobili. La distribuzione dei sette principi al momento della morte lo
dimostra abbastanza chiaramente, ma vista alla luce delle prossime spiegazioni
sull’evoluzione, la situazione potrà essere compresa meglio. L’entità permanente è quella
che vive tutta la serie delle esistenze e non solo attraverso le razze che appartengono alla
ronda attuale sulla terra, ma anche attraverso quelle di altre ronde e altri mondi. Parlando
chiaramente, anche se in un futuro inconcepibilmente lontano se misurato in anni, l’entità
potrà recuperare a tempo debito una memoria di tutte queste vite che nel passato ai nostri
occhi sembreranno giorni. Ma la scoria astrale, abbandonata ad ogni passaggio nel mondo
degli effetti, ha di per sé un’esistenza più o meno dipendente e distinta da quella
spirituale da cui si è appena separata.
La storia naturale di questo residuo astrale è un problema del più grande interesse e della
più alta importanza, ma per dare un sunto metodico di tutto l’argomento dobbiamo per
prima cosa occuparci di comprendere il destino del più elevato e durevole Ego spirituale
ed è inoltre necessario trattare dello sviluppo delle razze oggettive.
La scienza esoterica, benché si interessi principalmente di fenomeni che sono ritenuti
generalmente come appartenenti al dominio religioso, non sarebbe quel vasto sistema
così completo e degno di fede, quale realmente è, se fallisse nel riportare tutti i fatti
concernenti la vita terrena in un sistema armonico con le sue idee. Questa scienza non
sarebbe stata capace di trovare e di accertare il modo in cui la razza umana si è evoluta
attraverso gli eoni del tempo e le serie di pianeti, se non fosse stata anche nella posizione
di accertare il modo in cui l’onda di umanità che stiamo considerando si sia sviluppata
sulla terra, dato che una domanda include l’altra. Le facoltà, in breve, che rendono capaci
gli adepti di leggere i misteri di altri mondi e di altri stati di esistenza, sono uguali al
tentativo di viaggiare indietro lungo la corrente di vita di questo globo. Ne segue che
mentre la breve registrazione di poche migliaia di anni costituisce ciò che tratta la
cosiddetta storia universale, la storia della terra che forma un settore della conoscenza
esoterica risale agli eventi della quarta razza che precedette la nostra e a quelli della terza
che precedette la quarta. In verità la conoscenza esoterica può andare ancora più indietro
nel tempo, ma la seconda e la prima razza non svilupparono nulla che si possa chiamare
civiltà e perciò di queste si può dire ben poco. La terza e la quarta razza invece hanno
creato civiltà, per quanto strano possa sembrare al lettore il parlare di civiltà sulla terra
molti milioni di anni fa.
Ci si chiederà: dove si trovano le tracce di questa civiltà? Come potrà la civiltà
contemporanea europea scomparire ed essere ignorata completamente dai futuri abitanti
della terra? Come possiamo allora concepire l’idea che ogni civiltà simile alla nostra
possa essere scomparsa senza lasciare di sé alcun ricordo?
La risposta sta nei movimenti regolari della vita planetaria, che si modella pari passu
sulla vita dei suoi abitanti. I periodi delle grandi razze radicali sono separati da
convulsioni terribili della Natura e da grandi cambiamenti geologici. L’Europa non
esisteva allo stato di continente nel periodo in cui fioriva la quarta razza. Il continente sul
quale viveva la quarta razza non esisteva al tempo della terza e nessuno dei continenti che
costituivano i grandi vortici di civiltà di queste due razze esiste ora. Si succedettero sette
grandi cataclismi continentali durante l’attività sulla terra dell’onda di vita umana nel
periodo di una ronda. Ogni razza, a una certa ora, a un dato momento, viene arrestata
bruscamente sul suo percorso, e alcuni sopravvissuti restano sparsi qua e là nel mondo, e
non nei luoghi nativi in cui la razza si era sviluppata; questi poi, mostrando una tendenza
alla decadenza, ripiombano nella barbarie più o meno rapidamente.
La patria della quarta razza, che precedette immediatamente la nostra, fu quel continente
di cui la stessa letteratura exoterica ha serbato qualche ricordo, ovvero l'Atlantide
scomparsa. Ma la grande isola di cui Platone racconta la distruzione non era che l’ultimo
frammento di questo vasto continente. "Nell'eocene - mi è stato detto - persino nella sua
prima parte, durante il grande ciclo della quarta razza umana, gli atlantidei si trovavano
all'apogèo della loro grandezza e il grande continente, il padre di quasi tutti i continenti
attuali, mostrava già i primi sintomi di affondamento, un processo che avvenne 11.446
anni fa, quando sprofondò la sua ultima isola rimasta, che possiamo tradurre con una
certa accuratezza in Poseidonia.
"Lemuria, (un continente primitivo che si estendeva dal sud dell'India attraverso l'oceano
Indiano, era connessa ad Atlantide poiché l'Africa non esisteva ancora) non deve essere
confusa con Atlantide, come l'America non può confondersi con l'Europa. Entrambi
questi continenti si inabissarono sommersi dalle acque con tutta la loro altissima civiltà
e i loro dei; un Periodo di settecento mila anni separa le due catastrofi quando Lemuria,
continente della terza razza, toccava l'apice della sua gloria e vedeva la sua fine proprio
nella prima parte dell'Eocene. Si possono osservare gli ultimi rappresentanti di quella
grande nazione in qualche aborigeno a testa piatta della nostra Australia “.
L’autore di un recente libro su Atlantide sbaglia nel popolare l’India e l’Egitto di coloni
di quel continente, ma lo vedremo in seguito.
''Perché i vostri geologi - chiede il mio Mahatma - pensano che sotto i continenti che
hanno esplorato e scandagliato, e nelle cui profondità credono di avere scoperto tutti i
segreti dell 'Eocene, non si rendono conto che potrebbero esservi nascosti altri continenti
ancora più antichi tuttora geologicamente inesplorati e che un giorno potrebbero
rovesciare tutte le attuali teorie? Perché non ammettono che i nostri attuali continenti,
come Lemuria e Atlantide, sono già stati parecchie volte sommersi e sono poi riemersi,
portando ogni volta nuovi gruppi di umanità e di civiltà? Perché dunque si esita ad
ammettere che al prossimo grande cambiamento geologico o al prossimo cataclisma
(poiché è necessario che dal principio alla fine di una ronda si passi per una successione
di cataclismi periodici) i nostri continenti, analizzati così bene dai geologi, saranno
ricoperti ancora dall 'oceano, mentre Lemuria e Atlantide ne emergeranno di nuovo?
"Naturalmente la quarta razza ebbe il suo periodo di altissima civiltà". (La lettera dalla
quale cito mi è stata scritta in risposta ad alcuni miei quesiti). "La civiltà greca, la
romana, e anche quella egizia non possono paragonarsi a quella della terza razza; gli
uomini della seconda razza, se non furono selvaggi, non possono tuttavia chiamarsi
civilizzati".
"I greci e i romani erano piccole sottorazze e gli egiziani una parte della nostra stessa
razza caucasica. Guardate l'Egitto e l'India: ambedue raggiunsero la più alta civiltà, e
ciò che è più importante, il più alto sapere, ma poi decaddero. L'Egitto, come sottorazza
distinta, scomparve completamente e gli attuali suoi copti non sono altro che un resto
ibrido; l'India, una delle branche più nobili della razza madre, oggi altro non è che una
mescolanza di un gran numero di sottorazze che stanno lottando perché essa riprenda un
giorno il suo posto nella storia. Tutto ciò non proietta che un debole barlume sull'Egitto
di dodicimila anni fa, quando, avendo già toccato la sommità del suo ciclo migliaia di
anni prima, l'India s'avviava alla decadenza".
"I caldei erano al culmine del sapere occulto ben prima di quell 'epoca che voi conoscete
sotto il nome di età del bronzo. Noi affermiamo per certo (ma quali garanzie si possono
dare al mondo che la ragione sta dalla nostra parte?) che civiltà assai più grandi di
questa attuale sono già esistite e decadute. Non è sufficiente dire, come fa qualcuno dei
vostri scrittori moderni, che sono esistite civiltà prima della fondazione di Atene e di
Roma. Noi affermiamo che una serie di civiltà è esistita sia prima che dopo la
glaciazione su tutti i punti del globo, che ha raggiunto un apice di gloria e che poi è
scomparsa. Da poco tempo si sono riscoperte le tracce di una civiltà assira e fenicia. E
ora queste hanno aperto una nuova pagina della storia dell'umanità; tuttavia fino a che
punto queste civiltà siano lontane da noi a confronto di altre più antiche ancora, come la
loro storia, è un processo lento da accettare. Le ricerche archeologiche hanno
dimostrato sufficientemente che la memoria dell'uomo corre ben più indietro di quanto la
storia accetti e le memorie sacre di nazioni un tempo potenti, conservate dai loro
successori, valgono la pena di essere prese in seria considerazione.
Il parlare di civiltà fiorenti in epoche pre-glaciali sembra non solo impossibile ma
insensato, tanto al geologo più preparato quanto al volgo più profano. Cosa si potrebbe
rispondere alla nostra affermazione che i cinesi, i veri cinesi dell'interno (e non l'ibrida
mescolanza della quarta e della quinta razza che ora occupa il trono), gli aborigeni che
appartengono, nelle loro nazionalità disunite, interamente al più elevato e ultimo ramo
della quarta razza, raggiunsero il loro più alto grado di civiltà quando la quinta razza
era comparsa in Asia? Qual era questo momento? Calcoliamo. Il gruppo d'isole scoperto
da Nordenskiold5, a bordo della Vega, fu trovato letteralmente coperto di resti fossili di
cavalli, montoni e buoi mescolati alla rinfusa con gigantesche ossa di elefanti, di
mammuth, di rinoceronti, e di altri mostri appartenenti ad un'epoca quando, secondo la
scienza ufficiale, l'uomo non aveva fatto ancora la sua comparsa sulla terra. Come è
possibile che cavalli e pecore siano stati ritrovati insieme agli enormi animali
antidiluviani?
La regione nella quale oggi regna un inverno eterno e che l'uomo, il Più delicato fra gli
animali, non può pensare di abitare, godeva allora non solo d'una temperatura troPicale
(fatto sul quale gli scienziati convengono), ma anche di una delle più antiche civiltà della
quarta razza, i cui resti più elevati si possono rintracciare nel cinese decaduto, mentre
quelli più bassi sono mescolati irrimediabilmente (Per lo scienziato profano) ai resti
della terza razza. Ti ho detto prima che i popoli più elevati sPiritualmente presenti ora
sulla terra, appartengono alla prima sottorazza della quinta razza madre e sono gli
asiatici ariani; la razza più sviluppata per intelletto fisico è l'ultima sottorazza della
quinta, voi stessi, i conquistatori bianchi. La maggioranza della popolazione appartiene
alla settima sottorazza della quarta razza madre, i sovramenzionati cinesi e le loro
diramazioni (malese, mongola, tibetana, giavanese ecc. ecc.), con resti di altre sottorazze
della quarta e della settima sottorazza della terza".
"Tutta questa umanità è la discendente in linea diretta di nazioni altamente civilizzate
delle quali non sono sopravvissuti nomi e memoria alcuna, eccetto in qualche libro come
nel Popol Vuh6, il libro sacro dei guatemaltechi e in pochi altri sconosciuti alla scienza".
Mi sono chiesto se ci sia stato un motivo che giustifichi la velocità con cui il genere
umano è progredito negli ultimi duemila anni, se lo paragoniamo alla condizione
relativamente statica dei popoli della quarta ronda fino all’inizio del progresso moderno.
                                                        
5 ADOLF ERIK NORDENSKIOLD (Helsinki 1832 - Lund [Svezia] 1901), esploratore, geografo e geologo (N. d. c.).
6 Il POPOL VUH ("Libro delle Comunità'') è una raccolta di miti e leggende dei vari gruppi etnici che abitarono l

 
a terra Quichè, uno dei grandi regni maya in Guatemala (N. d. c.).
Tale questione ha stimolato le delucidazioni di cui sopra e anche i commenti che seguono
riguardo alla recente velocità del progresso umano.
"La quarta ronda termina un ciclo molto importante. Ogni ronda, ogni razza, e ogni
sottorazza, hanno i loro grandi e piccoli cicli su ogni pianeta su cui passa l'umanità. La
nostra umanità della quarta ronda ha il suo grande ciclo e così le sue razze e sottorazze.
La velocità del progresso umano è dovuta a un doppio effetto del primo ciclo (l'inizio del
suo corso discendente) e del secondo (il piccolo ciclo della vostra sottorazza) che sta
raggiungendo l'apice. Ricordati che, sebbene appartenenti alla quinta razza, voi non
siete che membri di una sottorazza occidentale. Malgrado tutti i vostri sforzi, quella che
voi chiamate civiltà resta strettamente confinata al vostro continente e alle sue
diramazioni in America. Irradiandosi tutt'intorno, la sua luce illusoria può sembrare
lanciare i suoi raggi più lontano che nella realtà dei fatt. Non c'è quella velocità in Cina,
e del Giappone non puoi fame che una caricatura.
"Uno studente di occultismo non dovrebbe parlare dello stato stagnante del popolo della
quarta ronda, poiché la storia, fino all'inizio del progresso moderno, non sa nulla di
quella condizione presso gli altri popoli non occidentali. Cosa sapete, per citare un
esempio, di ciò che era l'America prima della conquista spagnola? Meno di due secoli
prima dell'arrivo di Fernando Cortez, lo stesso slancio di progresso che si verifica
presso di voi si manifestava fra i popoli del Messico e del Perù. Le loro sottorazze
giunsero quasi a completo annientamento causa loro stesse. Potremmo parlare soltanto
dello stato stagnante in cui, secondo la legge di sviluppo, di maturità e di decadenza che
regola mondi e popoli, cadono razze e sottorazze durante il loro periodo di transizione. È
questa condizione che la vostra storia universale conosce, ma rimane superbamente
ignorante delle condizioni in cui persino l'India visse dieci secoli fa. Le vostre sottorazze
raggiungeranno ben presto il vertice dei loro cicli rispettivi e la storia non sa andare più
indietro del periodo di decadenza di poche altre che appartenevano alla precedente
quarta razza”.
Ho domandato a quale epoca appartenesse Atlantide, e se il cataclisma che distrusse
questo continente fosse un semplice movimento geologico che giunse al momento giusto
per servire allo sviluppo delle razze, e in relazione con un periodo di oscurazione dei
pianeti. La risposta fu questa: "Al miocene. Ogni cosa avviene nel momento giusto e nel
posto giusto nell'evoluzione delle ronde. Se fosse altrimenti, il migliore dei veggenti non
potrebbe calcolare il momento preciso in cui avverranno questi cataclismi, grandi e
piccoli. Tutto quello che un adepto potrebbe fare, sarebbe di calcolare un tempo
approssimativo, mentre ora gli eventi che provocano grandi cambiamenti geologici
possono essere previsti con la certezza matematica con la quale si prevedono un'eclissi e
altre rivoluzioni stellari. Lo sprofondamento di Atlantide, gruppo di continenti e isole,
cominciò durante il periodo miocenico, come si va già verificando lo sprofondamento
graduale di alcuni punti dei vostri continenti attuali, e culminò prima nella scomparsa
finale del continente più vasto, evento che coincise con l'affiorare delle Alpi, e poi nella
sparizione delle sue isole più belle menzionate da Platone. I sacerdoti egiziani di Sais
raccontavano alloro antenato Solone che Atlantide, ossia l'ultima grande isola rimasta,
affondò novemila anni avanti il loro tempo. E quella non era una data di fantasia, poiché
quei sacerdoti avevano conservato i loro documenti con grande cura per millenni. E poi,
come ho già detto, essi si riferivano solo a Poseidonia, e non avrebbero rivelato
nemmeno al grande legislatore greco la loro cronologia segreta. E siccome nessuna
prova geologica smentisce l'esistenza di questo antico continente, anzi una quantità di
fatti evidenti si presenta ad affermarlo, così la scienza ha finito con l'accettare l'esistenza
del grande continente e del gruppo di isole che ne dipendevano: e la Verità provenne
ancora una volta da una “favola”.
"L'approssimarsi di ogni periodo di oscuramento è sempre segnalato da cataclismi di
fuoco o d'acqua. Ma a parte questo, ogni razza madre deve essere, per così dire, divisa in
due e con violenza, dall'uno o dall'altro di questi elementi. Raggiunto così l'apice dello
sviluppo e della gloria, gli atlantidei, o quarta razza, furono distrutti dall'acqua; si
trovano ora soltanto i loro residui decaduti e ciononostante le loro sottorazze ebbero
ugualmente una fase di gloria e di grandezza. Quello che essi sono oggi, lo sarete un
giorno anche voi poiché la legge dei cicli è una e immutabile. Quando la vostra razza, la
quinta, avrà raggiunto lo zenit della sua intellettualità fisica e avrà sviluppato la sua
civiltà al più alto grado (non si deve dimenticare la differenza che esiste fra civiltà
materiale e civiltà spirituale) incapace allora di avanzare nel suo proprio ciclo, vedrà i
suoi progressi arrestarsi bruscamente nel male assoluto da uno di quei cambiamenti
causati da cataclismi (analogamente ai suoi predecessori, i lemuri e gli atlantidei, gli
uomini della terza e della quarta razza, furono arrestati nei loro progressi per lo stesso
motivo) la sua civiltà distrutta e tutte le sottorazze di quella razza discenderanno i loro
rispettivi cicli dopo un periodo di gloria e di sapienza.
Osservate gli antichi greci e romani, discendenti dagli atlantidei (i moderni
appartengono alla quinta razza): osservate quanto breve fu il loro periodo di gloria e di
fama, per il fatto che essi appartenevano alle sottorazze delle sette ramificazioni della
razza madre. Nessuna razza madre, con le sue branche e ramificazioni può, in virtù della
legge che regola la vita, abusare delle prerogative della razza o sottorazza che seguirà e
tanto meno violare la conoscenza e i poteri in serbo per i suoi successori".
Il progresso nel male assoluto, che soltanto i cataclismi possono arrestare, comincia a
manifestarsi con l’acquisizione, per mezzo di ricerche puramente intellettuali e di comuni
esperimenti scientifici, di quei poteri sulla Natura che possiede l’adepto anche oggi, e
dallo sviluppo prematuro di facoltà più elevate di quelle che noi impieghiamo
abitualmente. Ho parlato un poco di questi poteri in un precedente capitolo, quando
cercavo di descrivere i nostri Maestri esoterici, ma la loro descrizione approfondita mi
porterebbe a una lunga digressione sui fenomeni occulti. Sarà sufficiente dire che questi
poteri possono essere pericolosi per la società presa nel suo insieme, ed essere la causa
dei più svariati crimini, se posseduti da persone incapaci di considerarli come un dovere
sacro. Ora, alcuni di questi poteri sono semplicemente l’applicazione pratica di certe
forze oscure della Natura; forze che gli studi scientifici nel corso ordinario del loro
progresso potranno scoprire. Presso gli atlantidei questo progresso era stato compiuto. I
loro scienziati avevano appreso i segreti della disintegrazione e reintegrazione della
materia, che pochi spiritualisti soltanto riconoscono ancora come possibile. Sapevano
inoltre comandare gli elementali, per mezzo dei quali potevano ottenere questi e altri
fenomeni portentosi. Ecco perché tali poteri non devono mai cadere nelle mani di colui
che vorrà utilizzarli solo per fini egoistici o malvagi; perché non solo possono provocare
dei disordini sociali, ma anche per chi li detiene, che si evolve spiritualmente in senso
malefico, divengono causa certa di rovina inevitabile su questa terra. Ed è così: quando
l’intelletto fisico, non difeso da un’elevata moralità, corre verso le proprie regioni di
avanzamento spirituale, è allora che la legge naturale provvede per la propria violenta
repressione. Tutto ciò diverrà più chiaro e sarà meglio compreso, quando tratteremo dei
destini generali verso i quali si sta avviando la specie umana.
E così stato chiarito il principio cui sottostanno le varie razze dell’uomo e il loro
sviluppo; razze che sono controllate nel loro insieme da una legge ciclica, anche se
individualmente possono esercitare il libero arbitrio che innegabilmente posseggono. Per
coloro i quali non abbracciarono con il pensiero che un breve momento dei secoli
trascorsi, tramandati dalla storia, il corso degli eventi non mostrerà per essi il carattere
ciclico ma piuttosto un progresso lineare (che si muove continuamente in crescente
sviluppo a diverse velocità) sollecitato talora dall’intervento di un uomo di genio e da
fortunate circostanze, talora ritardato da una guerra, da qualche fanatismo religioso, o da
un lungo periodo di sterilità intellettuale. Siccome la visione esoterica della questione,
rafforzata da ampie osservazioni che la scienza occulta è capace di fare, ha una tendenza
opposta, mi sembra corretto per corroborare l’affermazione, esporre l’opinione di un
illustre autore, che non ebbe mai rapporto con il mondo occulto ma che, per
l’osservazione dei più piccoli fatti conservati negli annali storici, è arrivato a concludere
in favore della teoria dei cicli.

Nella sua Storia dello sviluppo intellettuale in Europa il dr. ].W. Draper7 si esprime come
segue: “Noi siamo, come spesso si dice, il risultato delle circostanze. In questa
espressione si può trovare una più alta idea filosofica ... Se prendiamo questa idea giusta
per punto di partenza, possiamo quindi considerare il corso di questi eventi,
riconoscendo il principio che agisce sugli avvenimenti che vediamo svolgersi dinanzi a
noi, espandendosi e sviluppandosi. E allora si vede che le cose di cui abbiamo parlato, in
realtà erano forzate dagli autori a seconda della necessità del tempo. Ma in verità
dovrebbero essere considerate come la presentazione di certe fasi della vita che le
nazioni, presto o tardi, assumono nel loro sviluppo. Per l'individuo, come ben sappiamo,
la tranquillità nell'azione e la serietà nella condotta appartengono al periodo della
maturità, completamente diverso da quello della giovinezza balda e spensierata che a
volte può essere interrotto da dispiaceri domestici, da perdite di denaro, da alterazioni
della salute. Allora noi attribuiamo abbastanza correttamente l'avvenuta trasformazione
del carattere alle disgrazie incorse, ma non ci inganniamo se supponiamo che il
cambiamento non sarebbe avvenuto in assenza di questi avvenimenti. Corre un destino
inesorabile che collega fra loro tutte queste vicissitudini".
“ ... Fra la vita di un individuo e quella di una nazione corre la più perfetta analogia.
L'individuo, sotto certi rapporti e in una data misura, può essere l'artefice della sua
buona e della sua cattiva fortuna, della sua felicità o della sua infelicità, del bene o del
male; ma benché sia libero, fino a un dato punto, di cedere o di resistere secondo le sue
inclinazioni, benché possa, in modo relativo, determinare le sue scelte, egli è nondimeno
trattenuto dal fato inesorabile che, per quanto lo riguarda, lo porta nel mondo
involontariamente e lo schiaccia in un cammino definito, i cui stadi sono assolutamente
invariabili (infanzia, adolescenza, età matura, vecchiaia) con tutte le loro azioni e
passioni caratteristiche e che lo tolgono dalla scena al momento giusto, in molti casi
contro la sua volontà.

                                                        
7
3·]. W. DRAPER (1811-1882), intellettuale ed erudito (N. d. c.).
 
Così è anche con le nazioni; il libero arbitrio è solo un'apparenza esteriore che copre e
nasconde la predeterminazione. Possiamo avere un certo controllo sugli avvenimenti
della vita ma nessuno sulle leggi del progresso. Una legge geometrica applica alle
nazioni l'equazione della curva che devono percorrere. E nessun mortale può toccarla”.
V
DEVACHAN

Sarebbe stato impossibile descrivere gli stati per i quali passano i principi superiori
dell’uomo dopo la sua morte, senza avere prima mostrato le linee principali percorse
durante il suo processo evolutivo. Benché questo mio compito non sia stato esaurito,
procederò comunque a considerare i destini naturali di ciascun Ego umano nell’intervallo
che separa la fine di una vita oggettiva e il principio di un’altra. All’inizio di
quest’ultima, il karma della vita oggettiva precedente determina la condizione di vita nel
quale rinascerà. Questa dottrina del karma è uno dei punti più interessanti della filosofia
buddhista. Non è mai stato un segreto, anche se per mancanza di una giusta comprensione
nelle sue parti più strettamente connesse alla filosofia esoterica, spesso è stata fraintesa.
Karma è un’espressione collettiva che si applica a un gruppo complesso di affinità buone
o cattive generate dall’essere umano durante la sua vita, il carattere delle quali s’imprime
in ciascuna molecola del suo quinto principio attraverso tutti i periodi che separano la
morte dalla vita oggettiva alla sua rinascita nella nuova vita. Come si afferma talvolta, la
dottrina sembra pretendere di essere la nozione di un’autorità spirituale superiore, che
riassuma le azioni della vita dell’uomo al suo termine, prendendo in considerazione le sue
buone azioni e quelle cattive, giudicandolo sull’intero aspetto del caso. Ma quando
avremo compreso il modo in cui si dividono i principi umani dopo la morte,
comprenderemo più facilmente il modo con il quale opera il karma e anche il grande
tema che vedremo ora, la condizione spirituale dell’uomo immediatamente dopo la
morte.
Al momento della morte i tre principi inferiori, cioè il corpo, la vitalità fisica, e il corpo
astrale sono abbandonati in modo definitivo da ciò che veramente e realmente costituisce
l’Uomo. I quattro principi superiori passano nel mondo immediatamente superiore al
nostro. Superiore, si intende, in spiritualità e non spazialmente sopra il nostro ma in esso
e di esso, ovvero il piano astrale, o Kamaloka per usare un termine sanscrito. In questo
luogo si opera un’altra divisione fra le due diadi che i quattro principi più elevati
racchiudono. La spiegazione data per quel che riguarda i principi più elevati già
sviluppati, mostrerà che questa idea del processo, inteso come una naturale separazione
meccanica, è un modo molto superficiale di trattare l’argomento e deve essere modificato
nella mente del lettore alla luce di ciò che è già stato detto. Può anche essere descritto
come una verifica di quanto si sia sviluppato il quinto principio. Facendo riferimento
all’idea precedente, dobbiamo pensare che il sesto e il settimo principio, da un lato
trascinino il quinto, cioè l’anima umana, in una direzione; mentre il quarto la attrae dal
lato opposto verso la terra. Il quinto principio è un’ entità assai complessa, separabile in
elementi inferiori e superiori. Nella lotta che si stabilisce fra questi principi, che furono i
suoi compagni di viaggio sulla terra, ciò che è migliore, più puro, più elevato e più
spirituale si attacca al sesto principio, mentre gli istinti più bassi, gli impulsi più terreni, e
i ricordi aderiscono al quarto principio che spesso si divide in due. La parte più bassa,
associandosi al quarto principio, vaga nell’atmosfera terrestre, mentre gli elementi
migliori, quelli cioé che in realtà formavano l’Ego della personalità che ha lasciato la
terra, l’individualità, quelli che formavano nell’Essere lo stato di coscienza, seguono il
sesto e il settimo principio e sono trasportati da questi ultimi in una condizione spirituale,
la natura della quale ci proponiamo di studiare.
Il nome che gli europei usano abitualmente per descrivere questa condizione spirituale
produce errori e malintesi: impiegheremo pertanto il nome orientale per designare il
luogo, o meglio lo stato, nel quale passano i principi più elevati della natura umana dopo
la morte. Questo è ulteriormente necessario perché, sebbene il Devachan della filosofia
buddhista si accordi in alcuni punti con la moderna idea che hanno oggi gli occidentali
sul Cielo, in altri punti se ne diversifica troppo, specialmente in alcuni che sono della
massima importanza. Per prima cosa, ciò che sopravvive in Devachan non è soltanto la
monade individuale: questa monade sopravvive a tutti i cambiamenti dell’intero schema
evolutivo e passa da corpo a corpo e da pianeta a pianeta, perché sopravvive in Devachan
la personalità autocosciente propria dell’uomo ma con qualche limitazione che
indicheremo in seguito. La personalità che là sopravvive consiste soprattutto dei più alti
sentimenti, emozioni e aspirazioni come anche dei gusti più elevati quali furono su questa
terra: in una parola, è l’essenza della precedente personalità autocosciente.
Sulla questione della personalità e dell’individualità varrebbe la pena di leggere ciò che
scrisse il colonnello Olcott nel suo Catechismo Buddhista, perché lo scrisse con
l’approvazione di Sumangala, gran Scerdote di Sripada e Galle8 ma anche perché egli
ricevette direttamente le istruzioni dal suo adepto guru, le parole del quale avranno un
peso notevole per lo studente d’occultismo.
Ecco pertanto quel che dice il colonnello Olcott nella sua appendice: "Dopo aver
riflettuto, ho sostituito personalità con individualità come scritto nella prima edizione. Le
successive apparizioni su uno o molti altri pianeti, o discese in generazione delle parti
(Skanda) coerenti con il desiderio di un certo essere, sono una successione di
personalità. In ogni nascita la personalità differisce dalla precedente o dalla successiva.
Il karma, il deus ex machina, si nasconde (noi diciamo si riflette) oggi nella personalità
di un saggio, domani in quella di un artigiano, e così di seguito per tutta la durata della
catena delle nascite. Ma sebbene le personalità si muovano sempre, l'unica linea della
vita lungo la quale esse si dispongono scorre ininterrotta.
È sempre quella linea particolare, e mai un 'altra. È dunque individuale, un'ondulazione
individuale vitale che ha avuto inizio nel Nirvana o lato soggettivo della Natura, come le
vibrazioni della luce o del calore che si producono attraverso l'etere e che hanno origine
dalla loro sorgente dinamica. È questa vibrazione che attraversa da parte a parte il lato
oggettivo della Natura sotto l'impulso del karma e la direzione formatrice di Tanha9 che
tende, attraverso numerosi cambiamenti ciclici, a ritornare al Nirvana. Rhys Davids
chiama carattere o agente questa vibrazione che passa di personalità in personalità
lungo la catena individuale. Dal momento che il carattere non è una semplice astrazione
metafisica ma la somma di proprie qualità mentali e di inclinazioni morali, questo non
aiuterà a sfatare ciò che Mr. Rhys Davids definisce l’espediente disperato di un mistero,
se consideriamo l'onda di vita come individualità e ognuna delle sue serie di
manifestazioni natali come personalità separate?
La negazione dell'anima affermata dal Buddha (vedi Sarpyutta, Nikaya, Sutta-pitaka), si
applica alla credenza erratra di una personalità trasmissibile indipendente; di un'entità

                                                        
8 Il VEN. H. SUMANGAlA, uno dei massimi esponenti della tradizione buddhista Theravada nell'isola di Ceylon fu  
vieepresidente della S. T. dal 1880 al 1888 (N. d. c.). 
9 TNHA: il termine, che letteralmente vuoI dire "sete", nei testi buddhisti esprime sovente l'idea del desiderio  
autoeentrato (N. d. c.). 
che passa invariata di nascita in nascita, o che si muove verso un luogo o uno stato dove,
in quanto entità perfetta, dovrà gioire o soffrire in eterno. Ciò che il Buddha mostra è
che la coscienza dell' “lo sono lo”, riguardo alla sua permanenza, è logicamente
impossibile, poiché i suoi elementi costituenti variano costantemente e l’Io di una nascita
differisce dall’1o di ogni altra. Tutto ciò che ho trovato nel buddhismo si accorda con la
teoria di una grduale evoluzione dell'uomo verso la perfezione, in altri termini verso la
condizione di Buddha attraverso esperienze di nascite innumerevoli. E la coscienza di
quella persona che alla fine di una data catena di esistenze raggiunge la buddhità, o che
riesce a raggiungere il quarto grado del “Dhyana”, o autoevoluzione mistica, possiede
uno stato di coscienza tale che, in una delle nascite precedenti all'ultima, potrà
contemplare tutte le sue vite trascorse. Nell’atakattahavannana, così ben tradotto dallo
stesso Davids, ricorre continuamente un'espressione che penso renda bene l'idea, cioé:
“Allora il benedetto manifestò un evento nascosto dal cambiamento della nascita” o “che
era stato nascosto da ...”.
Il buddhismo primitivo parlava in termini assai chiari del “gran libro” dell'Akasa, e
anche della capacità potenziale dell'uomo di poter leggere queste pagine del passato,
una volta giunto al grado di vera illuminazione individuale".
Se lo stato devachanico è incompatibile con le sensazioni e i gusti puramente sensuali
dell’ultima personalità, non ne segue necessariamente che nulla sia preservabile in quello
stato all’infuori dei pensieri e dei sentimenti che hanno un rapporto diretto con la
religione o con la filosofia spirituale. Al contrario tutte le fasi superiori, persino le
emozioni più sensuali, hanno anch’ esse una sfera appropriata di sviluppo nel Devachan.
Prendiamo ad esempio l’anima di un uomo che durante la sua vita terrena fu appassionato
di musica. Nel Devachan egli andrà in estasi per le sensazioni che la musica produce.
Una persona la cui felicità più grande è stata interamente incentrata sull’affetto, nel
Devachan non perderà nessuno di coloro che ha amato. Ma ci si chiederà come può mai
accadere ciò, se gli esseri amati non sono degni del Devachan? Non importa. Per la
persona che li ha amati essi lo raggiungeranno. Non è necessario soffermarsi
ulteriormente. Il Devachan è uno stato soggettivo. Sembrerà chiaro come il tavolo e le
sedie che abbiamo intorno. Quello che importa comprendere bene per lo studioso di
occultismo è che le sedie e il tavolo e l’intero scenario oggettivo del mondo altro non
sono che illusioni transitorie e irreali. Come le cose del mondo sono reali per noi, così lo
sono quelle del Devachan per chi ci entra.
Da ciò consegue che lo stato soggettivo di isolamento del Devachan, come forse è stato
compreso prima, non è un isolamento nel senso in cui questa parola è intesa sul piano
dell’ esistenza fisica; al contrario vuol dire essere insieme a tutto ciò che la vera anima
desidera: persone, cose o conoscenze.
Dopo pazienti considerazioni sulla funzione che esercita il Devachan in Natura, si
comprenderà perfettamente che lo stato d’isolamento soggettivo di ciascuna anima umana
è la sola condizione che faccia sì che ogni cosa venga descritta come esistenza spirituale
felice dopo la morte per la maggior parte dell’umanità, e come il Devachan sia la più
pura e del tutto felice condizione per chi lo raggiunge. Ora il Devachan è lo stato della
felicità pura, mentre l'Avitchi è lo stato opposto.
Il Devachan non è lo stesso per il buono o per l’indifferente, ma non è una vita di
responsabilità e perciò non c’è posto per la sofferenza più che in Avitchi ci sia posto per
la gioia o il pentimento. È una vita di effetti e non di cause; non è l’ora del lavoro
produttivo, ma l’ora in cui si riscuote la retribuzione. È dunque impossibile, in quella
vita, conoscere ciò che succede sulla terra. Durante la formazione di tale consapevolezza
non ci sarà vera felicità possibile in quello stato dopo la morte. Un cielo che fosse come
una torre d’osservazione dalla quale si potessero vedere le miserie della terra sarebbe, e a
ragione, il luogo della sofferenza più acuta e terribile per gli abitanti migliori di questo
cielo, più empatici e meno egoisti. Se li immaginassimo con una portata di empatia
talmente limitata da non preoccuparsi della sofferenza che investe persone defunte, anche
non direttamente attaccate a loro, questi dovrebbero attraversare un periodo di attesa
estremamente infelice, prima che i sopravvissuti raggiungano la fine di un’altra lunga e
faticosa esistenza quaggiù. Anche questa ipotesi verrà col tempo viziata rendendo il Cielo
un luogo molto penoso per gli occupanti che furono disinteressati ed empatici, la cui
angoscia riflessa continuerà così per conto della razza afflitta dell’umanità in generale,
anche dopo che la loro affinità personale sia stata recuperata con il passare del tempo.
L’unica soluzione a questo dilemma sta nella supposizione che il cielo non sia ancora
aperto agli affari, per così dire, e che tutti coloro che hanno vissuto, da Adamo in giù,
stiano ancora giacendo in una sorta di trance simile alla morte, aspettando la resurrezione
alla fine del mondo. Questa ipotesi ha le sue difficoltà, ma in questo momento stiamo
affrontando l’armonia scientifica del buddhismo esoterico, non le teorie di altri credi.
I lettori, comunque, che possano ammettere che vedere l’intera vita terrena dal cielo
renda impossibile la felicità in quella regione, potrebbero ancora dubitare che la vera
felicità sia possibile nello stato di monotono isolamento ora descritto. L’obiezione non
può derivare che da un’immaginazione che non sa elevarsi al di sopra di ciò che la
circonda al presente. La monotonia, tanto per cominciare. Nessuno si potrà lamentare di
aver sperimentato la monotonia durante uno di quei momenti in vita nei quali tutto è
immensa gioia. La maggior parte delle persone si renderà conto di aver avuto qualche
momento felice, se guarda indietro per fare questo paragone; prenda quindi anche uno
solo di questi momenti, troppo brevi per essere sospettati di monotonia, e immagini le
proprie sensazioni immensamente prolungate senza alcun evento esterno che indichi il
trascorrere del tempo. Non c’è posto, in queste condizioni, per concepire il senso di
stanchezza. La sensazione invariabile di intensa gioia non prosegue in eterno ma per
periodi di tempo molto lunghi finché l’impulso si esaurisce, perché le cause che l’hanno
prodotta non sono loro stesse infinite. Non si deve nemmeno pensare che non ci siano
cambiamenti di occupazione per l’anima in Devachan ovvero che ogni attimo di
emozione terrena sia scelto per la perpetuazione esclusiva. "Esistono - dice un altissimo
Maestro - due campi di manifestazione causali: l'oggettivo e il soggettivo. Le energie più
grossolane, quelle cioè che operano solo nella condizione materiale più densa, si
manifestano oggettivamente nella successiva vita fisica, non essendo il loro risultato
altro che la nuova personalità di ognuna delle nascite che strutturano al loro interno il
grande ciclo dell'individualità che si evolve. Soltanto le attività morali e spirituali
trovano la loro sfera di effetti nel Devachan. E non potendo il pensiero e
l'immaginazione essere contenuti entro alcun limite, come si potrà mai credere che nello
stato di Devachan possa trovarsi la monotonia ?”.
Sono pochi coloro le cui vite furono così prive di sentimenti, di amore, o di una
predilezione più o meno intensa per una data linea di pensiero, da non essere idonei ad un
periodo proporzionato di esperienza devachanica oltre la loro vita terrena. Un uomo, per
esempio, che sia stato in vita un grande filosofo, ma al tempo stesso egoista e cattivo, in
una nuova incarnazione potrà avere un’intelligenza più grande ancora ma la personalità
che avrà assunto sarà più infelice dal punto di vista morale perché in questa nuova
incarnazione dovrà raccogliere i frutti del karma generato dalla personalità precedente e
la cui natura fu inevitabilmente condizionata dalle tendenze preponderanti di quell’essere
nella precedente nascita, quindi il periodo intermedio tra le due incarnazioni fisiche non
può essere, in una legge di Natura quanto mai adeguata, se non uno iato di
inconsapevolezza.
Non può esserci tanto spazio oscuro come promesso, o quantomeno lasciato intendere,
dalla teologia cristiana protestante, per le anime dipartite, che tra morte e resurrezione
devono stare sospese nello spazio, in catalessi mentale, aspettando il Giorno del Giudizio.
Essendo le cause prodotte da energie mentali e spirituali assai più importanti e più grandi
di quelle create da energie fisiche, gli effetti prodotti sia in bene che in male saranno
necessariamente proporzionati alle cause che li hanno generati.
Le vite su questa terra, o su altri pianeti, non potendo essere il luogo ove tali effetti
spirituali si possano manifestare, e dato che ogni lavoratore ha diritto a raccogliere la
propria messe, devono espandersi o in Devachan o in Avitchi.
Bacone, per esempio, che un poeta definì l’ "uomo più brillante, più saggio, e più
spregevole", può tornare nella sua prossima incarnazione sotto le spoglie del più avido
usuraio e con qualità intellettuali straordinarie. Ma per quanto grandi queste siano non
potranno mai fornire un campo adatto allo sviluppo di quella linea di pensiero tracciata
dal fondatore della filosofia moderna durante la sua precedente vita terrena e non
potranno ottenere tutto il dovuto. Al contrario, l’astuto procuratore legale, il corrotto
Ministro della Giustizia, l’amico ingrato, l’amorale Lord cancelliere, illusi dal loro
karma, potranno trovare un nuovo terreno congeniale nel corpo di un usuraio, e rinascere
come nuovi nhylock. Dove se ne andrà allora Bacone, questo pensatore impareggiabile,
per il quale la ricerca filosofica dei più profondi problemi della natura fu il primo e
l’ultimo amore? Ove andrà questo gigante intellettuale della sua razza, quando resterà
privo della sua sostanza più bassa? E gli effetti di un’intelligenza così meravigliosa
dovranno ridursi a nulla? No di certo. Quelle qualità morali e spirituali troveranno un
luogo adatto in cui le loro energie potranno espandersi, e questo luogo sarà il Devachan.
Da qui, tutti i grandi piani di riforme morali, di ricerche intellettuali nei principi astratti
della Natura, tutte le aspirazioni divine e spirituali che avevano riempito la parte più
brillante della sua vita, troveranno i loro frutti in Devachan; e l’entità astratta, conosciuta
nella precedente incarnazione come Francis Bacon, e che potrebbe essere un miserabile
usuraio nell’incarnazione seguente, la sua propria creazione, il suo Frankenstein, il figlio
del suo karma, sarà nel frattempo occupata in questo mondo interiore, e anche nella sua
preparazione, a godere degli effetti delle meravigliose e benefiche cause spirituali
seminate in vita. Vivrà un’esistenza puramente e spiritualmente consapevole, un sogno
lucido, fino a quando il karma sarà ormai soddisfatto, le onde di forza avranno raggiunto
il margine del bacino subciclico, e l’essere si muoverà verso la sua prossima area di
cause, in questo mondo o in un altro, secondo il proprio livello evolutivo ... Perciò in
Devachan c’è un continuo cambio di occupazione. È per questa ragione che la vita-sogno
è solo il coronamento, il tempo del raccolto, di quei semi psichici gettati dall’albero
dell’esistenza fisica nei nostri momenti di sogno e speranza, lampi di beatitudine e di
gioia, soffocati in un terreno sociale ingrato, che sboccia nell’alba rosata del Devachan e
che matura sotto il suo cielo sempre fruttifico. Se l’uomo provasse anche un solo unico
momento di esperienza ideale, non potrebbe essere uguale, come erroneamente si
suppone, al prolungamento indefinito di quell’ unico momento. Quella sola nota, vibrata
dalla lira della vita, formerebbe la nota chiave dello stato soggettivo dell’essere, e
darebbe come risultato innumerevoli toni armonici e semi toni di fantasmagoria psichica.
E là tutte le speranze, le aspirazioni, i sogni irrealizzati si realizzerebbero pienamente e i
sogni dell’oggettivo diventerebbero la realtà dell’esistenza soggettiva. E là, dietro il velo
di Maya, l’iniziato che ha imparato il grande segreto di come penetrare a fondo nei
Misteri dell’Essere, ne percepisce le apparenze nebbiose e illusorie. Come l’esistenza
fisica accumula intensità dall’infanzia alla giovinezza per poi diminuire d’energia dalla
vecchiaia fino alla morte, così la vita-sogno del Devachan ha pure i suoi periodi di vita
corrispondenti. Al fiorire della vita psichica succede il suo punto culminante; quindi per
un graduale esaurimento di forze, si passa in una letargia cosciente, semi-inconsapevole,
l’oblio e poi non la morte, ma la nascita in un’altra personalità e il risveglio dell’azione
che quotidianamente produce una serie di cause che daranno i loro effetti in un altro
periodo di Devachan.
"Questa non è una realtà, ma un semplice sogno - qualcuno obietterà l'anima così lavata
in una sensazione di gioia illusoria, che non ha realtà, viene ingannata dalla Natura, e
dovrà subire un terribile trauma nel momento in cui si renderà conto del proprio errore".
Eppure non è così. Il risveglio nel Devachan consiste nella rinascita ad altra vita
oggettiva; ma allora le acque del Lete sono già state bevute. E nemmeno esiste
l’isolamento dell’anima, poiché l’anima in Devachan non ne ha coscienza e né ci potrà
mai essere la possibilità di separarsi dalle sue anime compagne prescelte. Queste anime
amiche non hanno nulla in comune con i compagni terreni, che ci seguono pochi
momenti e poi ci abbandonano, quantunque sia grande il nostro desiderio di averli presso
di noi. L’amore, la forza creatrice, ha posto la loro immagine vivente dinanzi all’anima
personale che desidera la loro presenza e quest’immagine non se ne andrà mai.
Per rispondere a tutte le obiezioni, preferiamo cedere di nuovo la parola al mio Maestro:
"Tutti coloro che muovono queste obiezioni presuppongono un'incongruenza, una
relazione di entità in Devachan che si applica soltanto alle reciproche relazioni
dell'esistenza fisica! Due anime fra di loro in armonia, entrambe disincarnate,
risentiranno delle sensazioni devachaniche che sono loro proprie, condividendo con
l'altra anima quella grande beatitudine soggettiva. E questa sarà per l'una e per l'altra
così reale, come se la provassero sulla terra. Tuttavia, non esiste fra loro un'unione nel
senso personale o corporeo della parola. Mentre questa ultima specie di relazione
personale, nel nostro stato terreno è la sola che possiamo riconoscere come vera, non
può esistere nel Devachan, né come realtà, né come illusione; un corpo fisico o anche un
Mayavi-Rupa10 rimane invisibile ai sensi spirituali tanto quanto ai sensi fisici di coloro
che lo hanno amato sulla terra. Così, anche se una delle due anime compartecipi fosse
stata viva e consapevole di quella relazione nel suo stato di veglia, ogni rapporto con
quest'anima sarebbe nel Devachan ancora un'assoluta realtà. E quale altra vera armonia
ci potrebbe essere in più di quella puramente ideale sopra descritta, tra due entità
soggettive che non sono materiali quanto eterica è l'ombra-corporea di MayaviRupa? Il
dire che l'uno viene così ingannato dalla Natura e il chiamarlo “sensazione di gioia
illusoria irreale” è palesare che si è assolutamente incapaci di comprendere le

                                                        
10 MAYÀVI‐RDPA è la forma iIIusoria o corpo che riveste il nostro pensiero (N. d. c.). 
condizioni di vita e i modi di esistere al di fuori della nostra esistenza materiale. Perciò,
come si può fare in questo nostro mondo la stessa distinzione che in Devachan, e cioè al
di fuori delle condizioni di vita terrena, tra ciò che noi definiamo una realtà e una
finzione o contraffazione artificiale della stessa? Lo stesso principio non si può applicare
alle due condizioni. È concepibile che ciò che noi definiamo realtà nel nostro stato fisico
incarnato esista anche nelle medesime condizioni come realtà per un'entità disincarnata?
Sulla terra l'uomo è una diade, nel senso che è fatto di materia e spirito; da ciò deriva la
distinzione che la nostra mente opera naturalmente separando le sue sensazioni fisiche
dalle sue percezioni spirituali, una distinzione tra vero e finzione. Sebbene in questa vita
i due gruppi di facoltà cerchino costantemente di equilibrarsi, nondimeno accade che
l'uno dei due, predominando, chiami finzione o illusione ciò che l'altro percepisce come
reale. Ma nel Devachan il nostro Ego non è più nello stato di dualità sopra citato, ed è
diventato un 'entità mentale e spirituale. Ciò che nella vita era per lui un 'illusione, un
sogno, un prodotto della sua immaginazione, nella nuova condizione di esistenza diviene
la sola possibile realtà. Sicché il pretendere che le realtà devachaniche siano della stessa
natura delle realtà terrene, è pretendere un'assurdità, un sofisma mostruoso, un'idea
eminentemente antifilosofica. Il reale è ciò che si prova de facto: “La realtà di un fatto è
provata dalla sua effettuabilità” e siccome è impossibile il supporre che esista alcunché
di artificiale o di falso nello stato devachanico, così sarà conseguenza logica il
concludere che in questa condizione tutte le cose siano nel loro stato più vero e più reale.
Perciò, che il sesto principio, l'anima superiore, adombri i cinque principi inferiori
durante la vita terrena, o che sia diviso dai principi grossolani dalla dissoluzione del
corpo, egli rimane sempre Arupa e non è confinato in un luogo dove possa avere intorno
solo percezioni limitate. Pertanto, sia esso dentro o fuori dal suo corpo mortale, è
sempre distinto e libero da limitazioni: e se definiamo le sue esperienze devachaniche
“inganni della Natura”, allora non ci sarà mai permesso di chiamare “realtà” alcuno di
quei sentimenti astratti e puri che appartengono interamente alla nostra anima più
elevata, e da cui sono riflessi e assimilati; per esempio, una percezione ideale della
bellezza, di una perfetta filantropia, di un amore, e ancora e sempre di tutte le sensazioni
spirituali più pure, che riempiono il nostro essere di gioie immense o di atroci dolori".
Dobbiamo rammentarci che nel Deuachan, secondo il sistema descritto, c’è una varietà
infinita di benessere, che si applica esattamente alle infinite gradazioni di merito della
specie umana. Se il "prossimo mondo" fosse davvero il cielo oggettivo di cui ci parlano i
teologi, non ci sarebbero che ingiustizie ed errori senza fine. La gente, tanto per
cominciare, vi è ammessa o ne è esclusa e la diversità dei favori accordati agli ospiti
fortunati di questo privilegiato soggiorno non corrisponde alla differenza che passa fra i
meriti così diversi in questa vita. Il vero cielo della nostra terra si adegua ai bisogni e ai
meriti di ogni nuovo venuto con precisione infallibile. Il cielo che ogni individualità ha
saputo raggiungere è adattato alle sue capacità, che devono servirgli per fruirne le gioie e
non semplicemente riguardo alla durata dello stato beato, che è determinata dalle cause
generate durante la vita oggettiva, ma anche nei confronti dell’intensità e della grandezza
delle emozioni che costituiscono questo stato beato. È una creazione tutta sua, delle sue
aspirazioni e delle sue facoltà. Il dire di più su questo soggetto non sarebbe compreso da
coloro che non sono iniziati; però le poche linee scritte sinora sono sufficienti a far
comprendere con quanta precisione questo stato soggettivo prenda il suo posto nell’intero
schema dell’evoluzione.
"Il Devachan - per riprendere la mia citazione - è ovviamente uno stato, non un luogo, al
pari di Avitchi, sua antitesi, che bisogna però guardarsi bene dal confondere con
l’inferno”.
La filosofia buddhista esoterica ammette tre loka principali chiamati:
1. Kamaloka, 2. Rupaloka, 3. Arupaloka, che nella loro traduzione letterale significano:
1. il mondo delle passioni e dei desideri ardenti non soddisfatti sulla terra: è il mondo di
quei residui che sono detti "involucri", delle vittime di morte violenta, degli elementari e
dei suicidi.
2. il mondo delle forme, ossia un mondo di ombre più spirituali, che hanno forma e
oggettività ma non sostanza.
3. il mondo senza forme, incorporeo, abitato da coloro che non hanno né corpo, né forma
e né colore nel senso che noi mortali diamo a questi termini.
Queste sono le tre sfere di spiritualità ascendente, nelle quali i numerosi gruppi delle
Entità soggettive e semi soggettive trovano la loro attrazione. E tutte queste entità,
fuorché i suicidi, e i morti di morte violenta, a seconda delle diverse loro attrazioni e
poteri, vanno in Deuachan o in Avitchi, i due stati che formano le numerose suddivisioni
di Rupa e di Arupa; vale a dire che questi stati variano non solo nel grado o nei diversi
modi d’essere dell’entità soggettiva, per quel che riguarda la forma, il colore ecc.; ma
sono composti di un’infinità di tali stati, nella loro progressiva spiritualità e intensità
d’emozioni; dallo stato più basso di Rupa a quello più alto e più esaltato di Arupaloka. Lo
studioso deve tenere ben a mente che personalità è sinonimo di restrizione; e più egoiste
e più ristrette sono le idee di una persona, tanto più essa aderirà alle sfere più basse
dell’esistenza e più lungamente rimarrà sul piano della relazione sociale egoista.
Essendo il Devachan una semplice condizione di felicità soggettiva, determinata in durata
e in intensità dai meriti e dal grado di spiritualità dell’ultima vita terrena, non è là che ha
luogo il pagamento dei debiti contratti per le cattive azioni. Ma la Natura non si mostra
paga nel limitarsi a transigere sulle colpe commesse in modo semplice e leggero, né
condanna a pene eterne coloro che furono colpevoli per un istante, come un padrone
indolente e noncurante che non sa agire con bontà e al tempo stesso con fermezza e
giustizia nei confronti dei suoi domestici. Il karma del male potrà essere grande o
piccolo, ma si compirà a suo tempo con altrettanta precisione del karma del bene. Il
campo della sua azione non può essere nel Devachan, ma in una rinascita successiva o in
Avitchi, uno stato che si raggiunge solo in casi eccezionali e da nature eccezionali. In altri
termini, mentre i comuni uomini peccatori mieteranno il frutto delle loro cattive azioni in
una reincarnazione seguente, i delinquenti eccezionali, i maestri del male, hanno per
prospettiva l’Avitchi, cioè una condizione di miserie soggettive che è perfettamente
l’opposto del Devachan.
Avitchi è lo stato della più ideale spiritualità del male, è un qualche cosa che rassomiglia
allo stato di Lucifero così bene descritto da Milton11. Tuttavia, come il lettore avrà capito,
non sono tanti coloro che possono raggiungerlo. E se ci si chiede se il Devachan sia lo
stato per il quale passano quasi tutti gli uomini, buoni, cattivi, indifferenti, dove i fini
dell’armonia e dell’equilibrio vengono vanificati e la legge di retribuzione, di giustizia
imparziale e implacabile si trova pienamente soddisfatta dalla rarità comparativa, se non

                                                        
11 . Il riferimento è aJohn Milton (Londra, 9 dicembre 1608 ‐ 8 novembre 1674), uno dei maggiori scrittori e poeti inglesi, 
autore nel 1667 del celebre Paradise Las! (Paradiso Perduto) (N. d. c.). 
per l’assenza di una sua propria antitesi, si risponderà che non è così. "Il male è il figlio
oscuro della terra (la materia) e il bene è il glorioso figlio del cielo" dicono i filosofi
cinesi. Ne risulta che per la maggior parte dei colpevoli il luogo di punizione è la terra,
luogo in cui nacquero, suolo sul quale crebbero. Sulla terra il male è relativo, più
apparente che reale; e non è cosa di tutti i giorni il trovar tra la folla un essere che
raggiunga l’eminente ma fatale grandezza di un Satana.
Generalmente, la rinascita all’ esistenza oggettiva è l’avvenimento che il karma del male
attende pazientemente per andare allora irresistibilmente ad affermarsi di nuovo. Ma
neppure il karma del bene si esaurisce in Devachan, lasciando l’infelice monade a
ricostruirsi una nuova coscienza senza il minimo elemento proveniente dall’ultima
personalità. La rinascita porterà l’impronta dei meriti e dei demeriti della vita precedente,
ma l’esistenza nel Devachan non sarà che un dolce sonno, una notte pacifica piena di
sogni vividi, più reali e di una vivacità ben maggiore di quelli che facciamo mentre dura
la nostra esistenza materiale; ed è una notte che dura secoli.
Si comprenderà da quanto sopra che lo stato devachanico è soltanto una delle condizioni
di esistenza che vanno a formare l’essere spirituale nella nostra vita terrena. Gli
osservatori dei fenomeni spiritici non sarebbero così perplessi, come lo sono tuttora, se ci
fosse stato solo lo stato devachanico da trattare. Una volta in Devachan è ben difficile, se
non impossibile, comunicare con i suoi abitanti assorbiti totalmente nelle loro sensazioni,
e che non conservano più il minimo ricordo della terra, lasciata ben lontana da essi, né
degli amici che vi sono rimasti. Che se ne siano già andati o che ancora vivano sulla terra,
se il legame di affetto è stato sufficientemente forte, l’abitatore terreno proverà le stesse
gioie piene di dolcezza e di innocenza che prova l’abitatore del Devachan. Benché queste
visioni siano rare e a senso unico, tuttavia è possibile a persone viventi avere una qualche
idea del Devachan; ma gli Esseri che vengono osservati dal chiaroveggente terreno non
hanno coscienza di essere l’oggetto delle sue osservazioni. Lo spirito del chiaroveggente
ascende in Devachan in queste rare visioni, e così viene soggiogato dalle vivide illusioni
di quella esistenza. Ha l’impressione che gli spiriti, con cui è in legame devachanico di
simpatia, siano discesi in terra, mentre è il contrario; infatti è lo spirito del veggente che
si è elevato al Devachan. La stessa cosa avviene in molte comunicazioni spiritiche
oggettive. La maggior parte di queste sono vere, quando i medium sensitivi sono puri ed
elevati, sebbene sia molto difficile per il medium non iniziato formare nel suo cervello
un’idea esatta e corretta di quel che vede e sente. Allo stesso modo, alcuni dei fenomeni
denominati psicografici (sebbene rari) sono reali. Lo spirito del medium sensitivo viene
pervaso, per così dire, dall’aura dello spirito del Devachan, e diventa per alcuni minuti la
personalità stessa di questo spirito e scrive come scriveva lo spirito quando era in terra;
parla e pensa come l’altro pensava e parlava. I due spiriti diventano uno solo e, se durante
la produzione del fenomeno lo spirito dell’uno domina su quello dell’altro, il carattere
della personalità che prende il sopravvento risulterà completo in tutte le minute
particolarità della manifestazione. Così, si può occasionalmente osservare che ciò che
viene definito rapporto non è altro che una semplice identità di vibrazione molecolare fra
la parte strale del medium in carne e ossa e la parte astrale della personalità disincarnata.
Come è già stato detto e come è naturale pensare, esiste una grande varietà di stati nel
Devachan e ogni personalità cade precisamente nello stato a lei più affine. Di lì, poi,
dovrà uscire per rientrare nel mondo delle cause, sulla terra o altrove, quando sarà tempo
di rinascere. Questo processo, con le affinità buone o cattive sopravvissute, l’insieme
delle quali si chiama generalmente karma e generate nella vita precedente, potrà essere
visto realizzare niente meno che una spiegazione del problema che è sempre stato creduto
insolubile, cioè le in eguaglianze della vita. Le situazioni di vita nelle quali rientriamo
sono le conseguenze dell’uso che abbiamo saputo fare del nostro ultimo bagaglio di
condizioni. Queste non impediscono la formazione di un nuovo karma buono o cattivo,
qualunque esse siano, poiché il karma sarà sempre la risultante dell’uso che sapremo fare
di esse. Da quanto è stato detto, non deve neppure dedursi che ogni avvenimento della
vita attuale, il quale ci rechi gioia o dolore, sia il risultato del karma vecchio. Molti di
questi avvenimenti possono essere la conseguenza immediata di azioni compiute nella
vita a cui appartengono, essendo la Natura meglio disposta a pagare in contanti, per così
dire, quello che giudica inutile scrivere nei suoi libri. Ma la grande disuguaglianza della
vita, per quel che riguarda il punto di partenza da cui ogni uomo prende le mosse, è la
conseguenza manifesta del vecchio karma, le infinite varietà del quale mantengono
sempre un costante apporto di reclute per tutte le varietà della condizione umana.
Nemmeno si deve credere che alla morte l’Ego reale si trovi libero in un istante dalla vita
terrena e dai suoi legami e che si lanci nella condizione di Devachan. Quando la divisione
o la purificazione del quinto principio dalle attrazioni in lotta del quarto e del sesto
principio, è stata compiuta in Kamaloka, l'Ego reale entra in un periodo di gestazione
inconscia.
Ho già detto del modo in cui la vita devachanica è essa stessa un processo che comprende
sviluppo, maturità e vecchiaia; ma le analogie terrene sono anche più strette. Esiste uno
stato prenatale all’ingresso della vita spirituale, analogo allo stato fisico incosciente
dell’ingresso nella vita oggettiva. Questo periodo di gestazione può, secondo i diversi
casi, avere una durata molto differente; da pochi istanti, a enormi periodi di tempo.
L’anima o quinto principio, quando l’uomo muore, diviene incosciente e perde ogni
ricordo interno o esterno. Che la sua permanenza in Kamaloka duri per anni, per mesi,
settimane, giorni, ore, minuti, che la morte dell’individuo sia violenta o naturale, che lo
sorprenda in gioventù o in vecchiaia e che l'Ego sia buono, cattivo, o indifferente, la
coscienza lo abbandona in quel momento estremo così istantaneamente, come la fiamma
di una candela abbandona il lucignolo che si spegne in un soffio. Quando la vita si è
ritirata dall’ultima particella del cervello fisico, le facoltà di percezione scompaiono per
sempre da questo Ego, e i suoi poteri spirituali di cognizione e di libera scelta restano per
il momento annientati, come gli altri. Il Mayavirupa del defunto può esser lanciato di
nuovo nell’oggettività, come nel caso delle apparizioni post mortem ma, a meno che il
corpo astrale non venga proiettato da un desiderio cosciente e intenso lanciato dal
cervello morente al fine di essere visto o di apparire a qualcuno, questa apparizione è
semplicemente automatica. Il ridestarsi della coscienza in Kamaloka è, in base a ciò che è
stato detto, un fenomeno che dipende interamente dalle caratteristiche dei principi che
escono incoscientemente dal corpo che muore. Questo processo può in alcuni casi, non
desiderabili, restare quasi completamente incosciente o, in altri casi, completamente
annientato a causa del rapido passaggio nello stato di gestazione, che conduce al
Devachan. Questo stato di gestazione varia nella durata in proporzione al grado di
spiritualità dell’Ego e il Devachan tiene conto di questo tempo nel resto del periodo tra la
morte e la rinascita seguente. Questo intero periodo è naturalmente di maggiore o di
minor durata a seconda delle persone ma, in ogni caso, il parlare di rinascita prima che
siano trascorsi per lo meno millecinquecento anni è cosa quasi impossibile mentre il
soggiorno nel Devachan, durante il quale deve essere pareggiato un ricchissimo karma, si
dice talvolta estendersi a enormi periodi di tempo.
VI
KAMALOKA

Ciò che si è detto sul destino dei più alti principi umani al momento della morte facilita
considerevolmente la comprensione delle circostanze nelle quali si trova il resto inferiore
di questi principi dopo che l’Ego reale è passato nello stato devachanico, o in quello stato
d’incoscienza che costituisce il periodo preparatorio corrispondente allo stato di
gestazione fisica. La sfera nella quale questi principi restano per un po’ di tempo è
conosciuta dalla scienza occulta con il nome di Kamaloka, la regione del desiderio; che
non è la regione nella quale l’intensità del desiderio si sviluppa in un modo anormale,
paragonata al semplice desiderio che ci lega alla vita terrena. La definizione di "regione
del desiderio" deriva dal fatto che è la sfera nella quale può sopravvivere quella
sensazione del desiderio che è una parte della vita terrena.
Dopo tutto quello che si è detto sul Devachan è ovvio che una gran parte dei ricordi che
s’accumulano attorno all’Ego umano durante la vita risulta incompatibile, per sua natura,
con la pura esistenza soggettiva nella quale passa l’Ego durevole, reale e spirituale. Ma
questi ricordi non si estinguono e non si annientano necessariamente, bensì restano
all’interno di certe molecole di principi più sottili (ma non i più sottili) che abbandonano
il corpo al momento della sua morte. E così come la dissoluzione separa dal corpo ciò che
impropriamente chiamiamo anima, così produce anche una nuova separazione tra gli
elementi che costituiscono l’anima. Una parte del quinto principio, o anima umana, che è
per sua natura assimilabile al sesto principio, l’anima spirituale, o che quanto meno
gravita attorno a questa, passa con il germe di quell’anima divina alle regioni superiori o
allo stato di Devachan, nel quale rimane separata quasi completamente dalle attrazioni
terrene e l’anima, a seconda del proprio progresso spirituale, sebbene presenti alcune
affinità con le aspirazioni spirituali di questa terra, può talvolta attrarle a sé. Ma l'anima
animale o quarto principio (l’elemento di volontà e desiderio, per associarlo all’esistenza
oggettiva) non possiede attrazioni superiori, e non si discosta dalla terra più delle
particelle del corpo rinchiuse nella tomba. Ma non è certamente una tomba che può
trattenere questo quarto principio. Esso non è spirituale per sua natura e per le sue affinità
e neppure è fisico per sua natura ma lo è per le sue affinità. Ecco il motivo per il quale
questo resta sottoposto alle attrazioni fisiche locali della terra nella stessa sua atmosfera
o, per meglio dire, in Kamaloka, dato che non sono i gas atmosferici a dover essere presi
qui in considerazione. E con il quarto principio rimane inevitabilmente una parte
considerevole (parte nondimeno variabile nella sua grandezza relativa) che
sfortunatamente riguarda molti esseri umani. L’ordinario e composito essere umano
esibisce un’abbondanza considerevole di attributi, cioè sensazioni ardenti, desideri
violenti, azioni di ogni specie e reminiscenze del passato che, anche se non hanno
riguardato una vita così ardente come forse le grandi aspirazioni, nonostante ciò
appartengono essenzialmente alla vita fisica, che è destinata a morire. Questi rimangono
indietro abbinati al quarto principio che è completamente di natura terrena mortale, si
disperdono, si affievoliscono, o vengono assorbiti nei rispettivi principi universali ai quali
appartengono proprio come il corpo viene assorbito dalla terra con il passare del tempo,
più o meno rapidamente in proporzione alla tenacia della sostanza. Dov’è dunque la
coscienza dell’individuo che è morto o dissolto? Nel Devachan, senza dubbio; ma si
presenta una difficoltà alla mente di chi non è allenato nello studio delle scienze occulte,
ovvero che un’apparenza di coscienza resta attaccata fortemente alla porzione astrale, il
quarto principio, unito ad una parte del quinto che rimane indietro in Kamaloka. La
coscienza individuale, ci si può chiedere, non può risiedere al tempo stesso in due luoghi
diversi. Innanzi tutto, ciò può essere vero fino ad un certo punto. Come ognuno potrà
convincersi, è un errore definire coscienza (secondo l’idea che noi siamo soliti attribuire a
questa parola) ciò che rimane attaccato all’involucro astrale. Tuttavia si può riconoscere
una sembianza spuria in quell’involucro, che non ha alcuna connessione con la coscienza
vera, che continua a crescere in forza e vitalità nella sfera spirituale. Non c’è possibilità
da parte dell’involucro di prendere e di assimilare nuove idee e iniziare nuovi progressi
sulla base di queste. Ma nell’involucro è presente un residuo di impulsi volitivi che
agivano su di esso durante la vita. Il quarto principio non è la volontà, ma lo strumento
per mezzo del quale la volontà si manifesta, e gli impulsi emessi durante la vita terrena
dai principi superiori possono continuare il loro corso e produrre risultati pressochè
indistinguibili dall’osservatore poco attento, da quelli prodotti in vita dall’unione intima
dei quattro principi. Il quarto principio è il ricettacolo o piuttosto il veicolo in vita di
questo stato di coscienza essenzialmente mortale, che non può adattarsi alle condizioni di
un’esistenza permanente; ma la coscienza, anche dei principi inferiori, durante la vita, è
molto differente da questa coscienza passeggera e incerta, che continua a trasparire in
essi, quando ciò che è realmente vita li ha abbandonati, ossia ciò che li adombra o che dà
loro vita con l’infusione dello spirito. Il linguaggio umano non rende, in una volta, tutte le
sfaccettature dei vari aspetti di un’idea più di quanto un disegno piano possa mostrare un
oggetto solido. A prima vista, disegni differenti dello stesso oggetto preso da diverse
angolazioni possono rendere l’oggetto pressochè irriconoscibile ma nel momento in cui
vengono tutti fissati nella mente, le loro diversità si armonizzeranno. E così succede con
quegli attributi sottili dei principi invisibili dell’uomo (nessun trattato può far di più che
discutere i diversi principi separatamente). I vari punti di vista suggeriti devono
miscelarsi nella mente del lettore prima che la comprensione completa corrisponda alla
realtà della Natura.
Nel corso della vita il quarto principio è la sede della volontà e del desiderio, ma non è la
volontà; e affinché esso possa essere l’agente di questa elevatissima funzione della vita,
della volontà nel suo potere sublime, deve vivere in unione con lo spirito adombrante, la
Vita Una. Come già detto, i nomi sanscriti dati ai principi superiori indicano che questi
principi sono i veicoli di questa Vita Una, completamente diversa dall’organizzazione
molecolare divisibile degli altri principi. La Vita Una non è un principio molecolare
separabile, è l’unione di tutte le influenze dello spirito; però in verità l’idea è troppo
sottile per poter essere espressa con il nostro linguaggio, forse per lo stesso intelletto. La
sua manifestazione nel caso presente, comunque, è abbastanza evidente. Qualunque sia
stata la forza di volontà manifestata dal quarto principio quando era in vita, questa forza
non può durare a lungo dopo la morte. Però, in certe condizioni anomale, questo principio
può recuperare parzialmente la vita per un dato tempo; e questo spiega, anche se non
tutti, un buon numero dei fenomeni di medianità spiritica. L’ "elementare" (che viene
denominato involucro astrale nei primi scritti occulti) è suscettibile di essere
galvanizzato dalla corrente fluidica del medium per un certo tempo in uno stato di
coscienza e di vita che rassomiglia alla prima condizione di una persona che, portata in
una strana stanza in uno stato di insensibilità durante una malattia, si risveglia debole,
confusa, guardandosi intorno in una sorta di sconcerto, carpendo impressioni e udendo
voci che le parlano e a cui risponde in modo vago. Un tale stato di coscienza non è
associabile ad alcuna nozione di passato e di avvenire. È una coscienza automatica
derivata dal medium. Un medium, rammentiamolo bene, è una persona i cui principi sono
uniti in modo fiacco e suscettibili di essere presi a prestito da altri esseri, o da principi
fluttuanti che sono attratti da qualcuno di questi o da qualche loro parte. Cosa avverrà
pertanto, quando un involucro astrale è attratto verso una persona con tali caratteristiche?
Supponiamo che l’involucro sia il residuo di una persona morta con un desiderio violento
e non soddisfatto, desiderio di un ordine sempre inferiore, ma interamente relativo ad
affari terreni; un desiderio, ad esempio, di comunicare ad un vivente un fatto qualunque.
Certamente l’involucro non si aggirerà in Kamaloka con un intento cosciente, intelligente
e persistente di comunicare quel fatto; ma tra gli altri, l’impulso volitivo di farlo è stato
infuso nel quarto principio e, mentre le molecole di quel principio mentre rimangono
associate, anche per molti anni, richiedono ancora soltanto una parziale galvanizzazione
nella vita per diventare operative nella direzione dell’impulso originale. L’involucro
giunge a contatto con un medium (non tanto dissimile per natura dalla persona morta da
rendere il rapporto impossibile), e qualcosa del quinto principio del medium si associa al
quarto principio vagante e attiva l’impulso originale. Così la quantità di intelligenza e di
coscienza che è necessaria per guidare il quarto principio nell ‘uso dei mezzi a portata di
mano che occorrono alla sua comunicazione, quali sarebbero una lavagna, una matita, un
tavolo su cui esprimersi tramite colpetti, è tratta dal medium e allora il messaggio
trasmesso può essere quello che la persona morente ordinò di dare al suo quarto
principio, per così dire, ma che l’involucro non fece fino a quando non ebbe i mezzi
opportuni per trasmetterlo. Si può obbiettare che la produzione di uno scritto sopra una
lavagna ben chiusa, che i colpi battuti su un tavolo senza l’uso delle nocche o di una
bacchetta, siano essi stessi un fatto meraviglioso e che palesa una conoscenza profonda
dell’intelligenza comunicativa di quei poteri in Natura di cui nella vita fisica non
sappiamo nulla. Ma l’involucro fa parte del mondo astrale, della regione stessa di tali
poteri. Una manifestazione fenomenica è il suo modo d’agire naturale. Non è intenzionale
il produrre fenomeni meravigliosi con l’uso di poteri acquisiti in una sfera più alta
d’esistenza, più di quanto siamo consci delle forze tramite le quali l’impulso volitivo è
trasmissibile ai nervi o ai muscoli.
Ma, si può obbiettare, l’ "intelligenza comunicativa" nella seduta spiritica, compie dei
fatti fini a se stessi, al solo scopo di esibire i poteri che possiede sulle forze della natura.
Il lettore dovrà però rammentarsi che la scienza occulta è ben lontana dall’asserire che
tutti i fenomeni spiritici si debbano inserire in una stessa categoria di agenti. In questo
trattato abbiamo sfiorato appena il tema degli Elementali, di questi esseri semintelligenti
della luce astrale, che appartengono ad un regno della natura completamente diverso dal
nostro. È impossibile, nel momento attuale, dilungarci sui loro attributi, per la semplice
ragione che la conoscenza degli Elementali, e soprattutto del modo in cui agiscono, è
tenuta scrupolosamente segreta dagli adepti dell’occultismo. Possedere tale conoscenza
significa maneggiare il potere, e il motivo di tanta segretezza dietro cui la scienza occulta
si trincera, ruota attorno al pericolo di conferire poteri a persone che non hanno dato,
prima di tutto, garanzie morali della loro affidabilità, sottoponendosi all’addestramento
degli iniziati. È con il comando sugli Elementali, che si producono sul piano fisico alcuni
dei fatti più straordinari dell’adeptato; ed è per gli atti spontanei e capricciosi di questi
Elementali che possono prodursi i fenomeni materiali più grandi durante alcune sedute
spiritiche. Lo stesso accade per i fachiri dell’India, e per gli yogi della classe inferiore che
hanno il potere di produrre risultati fenomenici. Per mezzo di certe pratiche, residuo di
insegnamenti occulti ereditati, probabilmente arrivano a possedere un briciolo della
scienza occulta. Ma essi non conoscono necessariamente l’azione delle forze che
impiegano, più di quanto, ad esempio, un impiegato al telegrafo, al quale è stato
insegnato come miscelare gli ingredienti per ottenere il liquido della batteria galvanica,
conosca le teorie scientifiche dell’elettricità. Costui può eseguire il solo aspetto che gli è
stato insegnato e così per lo yogi inferiore che ha influenza su certi elementali e può
operare certi prodigi.
Tornando a considerare gli involucri ex umani in Kamaloka, si potrebbe obbiettare
ancora che il loro comportamento nelle sedute spiritiche non sia giustificato dalla teoria
secondo la quale essi abbiano ricevuto un messaggio dal loro ultimo padrone vivente e
che debbano servirsi del medium presente per poterlo trasmettere. All’infuori dei
fenomeni che possono attribuirsi alle burle degli elementali, riscontriamo talvolta
nell’elementare, o involucro astrale, una tale continuità di intelligenza, da far ritenere che
là vi sia ben altro che la sopravvivenza degli impulsi della vita precedente. Nulla c’è di
più vero: ma con le parti del quinto principio del medium trasmesse nell’involucro, il
quarto principio è ancora una volta uno strumento nelle mani di un maestro. Quando una
buona quantità delle energie del quinto principio di un medium, caduto in trance,
vengono trasmesse al guscio vagante, il risultato è un accettabile risveglio della coscienza
nell’involucro, che durerà per un certo tempo. Ma qual’ è la natura di questa coscienza?
Essa è una luce riflessa, e nulla di più. La memoria e le facoltà percettive sono due cose
differenti. Un pazzo può ricordare con chiarezza alcune fasi della sua vita passata, ma
sarà incapace di percepire qualsiasi cosa nella sua vera luce, poiché la parte più elevata
del suo Manas o quinto principio, e il sesto principio o Buddhi, non hanno più alcuna
azione su di lui, avendolo abbandonato. Se un animale, per esempio un cane, potesse
spiegarci tutto ciò che sente, ci farebbe comprendere che la sua memoria, in diretta
relazione alla sua personalità canina, è altrettanto viva quanto quella del suo padrone; e
nondimeno questo istinto e questa memoria non possono definirsi facoltà percettive.
Una volta che l’involucro astrale è entrato nell’aura di un medium, questi percepirà
abbastanza chiaramente qualunque cosa, sia per mezzo dei principi presi a prestito dal
medium stesso, sia attraverso organi con i quali si trova in corrispondenza magnetica, ma
non oltrepasserà mai le facoltà percettive del medium o delle altre persone che fanno
parte del cerchio. Da ciò derivano le risposte razionali e spesso assai intelligenti che si
ottengono; da ciò dipende anche l’invariabile e completo oblio di tutto quello che il
medium non conosce, o che non conoscono le altre persone presenti, o non trovato nei
ricordi inferiori della sua ultima personalità, galvanizzata di nuovo dalle influenze a cui
sottostà. L’involucro astrale di un uomo deceduto di morte naturale, che è stato in vita un
sapiente dotato della più alta intelligenza, ma sprovvisto di ogni spiritualità, persiste più
lungamente di quelli dal temperamento più debole e venendogli in aiuto l’ombra della sua
memoria potrà lasciare, attraverso oratori in stato di trance, discorsi non disprezzabili.
Ma le sue parole si riferiranno sempre ad argomenti che lui aveva meditato in vita e
nessuna parola da lui pronunciata sarà un avanzamento nella conoscenza.
Si comprende come un involucro, attratto dalla corrente medianica ed entrato in rapporto
con il quinto principio del medium, non è per nulla sicuro di essere animato da una
coscienza (anche se di altissimo livello) identica alla personalità del defunto da cui si
sono separati i principi superiori. È come riflettere una differente personalità, afferrata
dalle impressioni della mente del medium. In questa personalità rimarrà e risponderà per
un certo periodo di tempo, poi qualche nuova corrente di pensiero, portata nelle menti
delle persone presenti, troverà la sua eco nelle impressioni fuggevoli degli elementari e il
suo senso di identità inizierà a vacillare; per un po’ ondeggerà su due o tre supposizioni e
finirà per uscire del tutto per un certo periodo di tempo. Il guscio che sta ancora
dormendo nella luce astrale può essere mandato inconsciamente in pochi momenti
dall’altra parte della terra.
Oltre all’elementare ordinario o al guscio già descritto, il Kamaloka è la dimora di
un’altra classe di entità astrali, che devono essere prese in considerazione se vogliamo
comprendere le diverse condizioni nelle quali le creature umane possono passare da una
vita all’altra. Noi ci siamo occupati fino a qui dei casi normali, dei casi cioè nei quali
l’uomo muore di morte naturale. Ma una morte anomala porta a conseguenze anomali.
Nel caso di suicidio, nel caso di morte violenta per un incidente improvviso, i risultati
differiscono ampiamente da quelli che seguono la morte naturale. Un’attenta
considerazione di questi casi deve mostrare, infatti, in un mondo retto da regole e leggi,
da affinità che producono i loro effetti in quel modo deliberato che è quello preferito
dalla Natura, che il caso di una morte violenta nel momento in cui i principi si trovano
strettamente uniti, e pronti a stare insieme altri venti, quaranta o sessant’anni, quanto
sarebbe il resto di questa esistenza, deve essere sicuramente qualcosa di diverso dal caso
di una persona che, per un processo naturale di decadimento, si trova, quando la
macchina si ferma, già pronta e separata nei suoi vari principi, ognuno dei quali si
appresta a percorrere la sua strada. La Natura, sempre fertile nelle analogie, ci illustra
quest’idea con l’esempio del frutto maturo e del frutto acerbo; dal primo si può estrarre il
nocciolo facilmente e in modo così netto come la mano dal guanto, mentre dal secondo
bisogna strapparlo con forza, e metà della polpa resterà aderente al nocciolo stesso.
L’identico fatto accade nei casi di morte improvvisa accidentale e nei casi di suicidio, nei
quali il nocciolo deve essere estratto da frutti acerbi. Non discuteremo qui della
responsabilità morale che può comportare un atto suicida. Probabilmente, nella
maggioranza dei casi, tale responsabilità si associa a questo, ma è una questione di karma
che seguirà la persona interessata nella rinascita successiva, come ogni altro karma, e non
ha nulla a che fare con le difficoltà immediate che quella persona può trovare nell’atto di
provocarsi la morte. Che una persona s’uccida, o trovi una morte prematura nel
compimento eroico del suo dovere, o muoia vittima di un accidente imprevisto, le
difficoltà sono manifestamente le stesse.
Come regola generale, quando una persona muore, il lungo conto del karma si chiude, e
ciò equivale a dire che la complicata congerie delle affinità generate durante la vita nel
primo principio durevole, cioé nel quinto, non può più aumentare. Il bilancio, per così
dire, viene fatto successivamente, quando giunge il momento della successiva nascita
oggettiva o, in altre parole, le affinità a lungo assopite in Devachan, a causa dell’assenza
di un campo d’azione, si affermeranno di nuovo appena verranno a contatto con
un’esistenza fisica. Ma il quinto principio, nel quale queste affinità si sono sviluppate, nel
caso di una persona che muoia prematuramente non può essere separato dal principio
terreno, il quarto. Perciò l'Elementare che si trova in Kamaloka, nel momento della
propria violenta espulsione dal corpo, non è un semplice involucro astrale ma è la
persona stessa in tutta la sua integrità, a parte il corpo fisico. Nel vero senso della parola,
questa persona non è morta per niente.
Certamente gli elementari di questa specie possono entrare in effettiva comunicazione
nelle sedute spiritiche a loro detrimento, poiché, a causa della completezza della loro
costituzione astrale possono disgraziatamente generare ancora karma per spegnere la sete
di vivere alla sorgente malsana della medianità. I godimenti che cercheranno questi
elementari, se nell’ultima loro esistenza furono del genere più materiale e più sensuale,
saranno di un tipo la cui soddisfazione, nel loro stato disincarnato, può essere considerata
dannosa per il loro karma ancor più di quanto sarebbe avvenuto se fossero stati in vita. In
tali casi, facilis est descensus12, tolti alla vita nella piena vigoria delle passioni terrene
che li uniscono tuttora alle scene familiari, questi elementari vengono attratti
dall’opportunità che i medium offrono loro per la gratificazione di tali passioni per mezzo
di un’altra persona. Divengono i succubi e gli incubi di cui parlava il medioevo: demoni
assetati e affamati che provocano le loro vittime a delinquere. Scrissi l’anno scorso su
questo soggetto un breve saggio, dal quale riporto alcune delle frasi già note e apparse in
The Theosophist, con una nota, di cui a ragione mi fido. Il tono era il seguente: "La
varietà che offre lo stato delle anime dopo la morte è più grande, se ciò è possibile, della
varietà delle esistenze umane su questa terra. Le vittime di un incidente non sono
necessariamente condannate a errare nell'atmosfera terrestre, ma solo quelle che cadono
nella corrente di attrazione della terra e che furono colte improvvisamente dalla morte
nel parossismo della passione più brutale, l'egoismo, e che non volsero mai un pensiero
al benessere altrui. Queste personalità colte dalla morte nel momento della
soddisfazione, reale o immaginaria, di qualche passione ardente delle loro vite, con il
desiderio ancora insoddisfatto persino dopo una piena realizzazione, non potranno mai
passare oltre l'attrazione terrena ad aspettare l'ora della liberazione in un 'ignoranza
felice e in un completo oblio. I suicidi, ai quali si applica ciò che è stato detto a proposito
del bisogno che alcuni elementari provano di spingere altri al delitto, sono quelli che
commettono l'atto, in conseguenza di un crimine commesso per sfuggire alle sanzioni
della legge umana o al proprio rimorso. Le leggi della Natura non si violano
impunemente e la relazione causale fra azione e risultato si manifesta pienamente nel
mondo degli effetti, il Kamaloka, che è il luogo dove tutto ciò che ha prodotto il male,
trova la sua punizione adeguata e in così tanti modi da richiedere un volume per essere
anche superficialmente descritti".
"Coloro che attendono la liberazione in una felice ignoranza e in un perfetto oblio sono
ovviamente quelli che, vittime di incidenti, hanno generato sulla terra affinità pure ed
elevate e dopo la morte si trovano al sicuro da qualsiasi attrazione e come, vivendo,
avrebbero saputo stare lontani dal delitto, così le correnti medianiche non giungono ora
a tentarli".
Occupiamoci adesso di entità di altra specie, che occasionalmente si trovano in
Kamaloka. Abbiamo seguito gli alti principi delle persone appena morte, osservando la
separazione fra la scoria astrale e la parte spirituale e durevole. Questa parte durevole
spirituale può essere di natura santa o satanica e nel primo caso passa nel Devachan, nel
secondo in Avitchi. Abbiamo esaminato la natura dell’involucro dell’elementare
abbandonato, involucro che poteva conservare, per un certo tempo, una fallace

                                                        
12 Facile è la discesa (T. d. c.). 
rassomiglianza con un’altra entità vera. Ci siamo soffermati anche sui casi eccezionali di
esseri reali, dotati di quattro principi nel Kamaloka, i quali sono le vittime di incidenti o
di suicidi. Ma che cosa accade ad una personalità che non possegga un briciolo di
spiritualità, alcuna traccia di affinità spirituale nel suo quinto principio, buona o cattiva
che sia? Chiaramente, in questo caso, avverrà che il sesto principio non troverà nulla cui
unirsi; ovvero, tale personalità ha già perso il suo sesto principio anche prima che la
morte sopraggiunga. Ma il Kamaloka non è per questa personalità una sfera di esistenza
più di quanto lo sia il mondo soggettivo; il Kamaloka può essere abitato in modo
permanente dagli esseri astrali, dagli elementali; ma per gli esseri umani non può che
essere un’anticamera per il passaggio ad altri stati. Nel caso che ora trattiamo, la
personalità che sopravvive è attratta prontamente nella corrente dei suoi destini futuri; e
questi non hanno nulla a che fare con l’atmosfera terrestre o con il Devachan ma sono in
relazione all’ "ottava sfera", menzionata in antichi scritti esoterici. Sarebbe stato
incomprensibile per il lettore comune capire che cos’è l’ "ottava" sfera, ma siccome
abbiamo spiegato la costituzione settuplice del nostro sistema planetario, il significato ne
sarà abbastanza chiaro. Le sfere da percorrersi per compiere l’evoluzione ciclica sono
sette ma ce n’è una, l’ottava, che è in connessione con la nostra terra, e la nostra terra è,
ricordiamolo, il punto di svolta nella catena ciclica; l’ottava sfera è dunque al di fuori del
circuito, un cul de sac dal quale si può veramente dire che nessuno ritorni.
Si comprenderà facilmente che la sola sfera collegata alla nostra catena planetaria, che è
più bassa della nostra sfera nella scala dove lo spirito sta al vertice e la materia alla base,
sarà così meno visibile a occhio nudo e agli strumenti di ottica, di quanto lo sia la nostra
terra medesima. E siccome i doveri che questa sfera deve compiere nel nostro sistema
planetario riguardano specialmente la nostra terra, l’enigma dell’ottava sfera è stato
risolto, così come si è chiarito il luogo celeste dove questa può essere cercata. Comunque
le condizioni di esistenza su questa sfera sono un argomento sul quale gli adepti sono
molto riservati nelle loro comunicazioni con gli allievi non iniziati, e per quanto concerne
tali condizioni non ho, per il momento, altre informazioni da dare.
Si può affermare con certezza che una così completa degradazione della personalità, tale
da fari a piombare nell’attrazione di questa ottava sfera, dopo la morte, è un fatto
estremamente raro. Nella grande maggioranza delle vite c’è sempre qualcosa che i
principi più alti possono attrarre a se stessi, qualcosa che salva dall’intera distruzione
questa pagina di vita appena trascorsa, e si deve anche qui rammentare che i ricordi
dell’esistenza trascorsa in Devachan, per quan to vividi e protratti nel tempo, non
riflettono che episodi della vita che hanno prodotto un’elevata sorta di felicità che solo il
Devachan è abilitato a conoscere: in questo stato elevato tutte le particolarità spettanti a
questa parte migliore dell’esistenza possono interamente tornarci alla memoria con
dovizia di particolari. Questo ricordo completo viene raggiunto soltanto dall’individualità
sulla soglia di uno stato spirituale anche più elevato di quello di Devachan, stato che
potremo raggiungere con il progredire dei cicli evolutivi. Ognuna delle lunghe serie di
vite che dovremo attraversare prima d’arrivare in porto, sarà come le pagine di un libro
che il possessore può sfogliare a ritroso a proprio piacimento, anche se molte di tali
pagine sembreranno al lettore decisamente noiose e spesso non attinenti. Infine è su
questo risveglio di ricordi, che concerne tutte le personalità a lungo dimenticate, che è
fondata la dottrina della Resurrezione. Ma ci manca il tempo per districare gli enigmi
simbolici che influiscono sugli insegnamenti che stiamo presentando al lettore. Varrebbe
la pena di tenerli come impegno per una trattazione successiva; nel frattempo, tornando
alla descrizione dei fatti come stanno, si può mostrare che giunta l’ora della Resurrezione
finale non si troverà alcuna pagina interamente infamante in questi annali perché, anche
se ogni individualità spirituale, durante il suo passaggio attraverso questo mondo, si trova
associata a personalità così perverse e disperatamente degradate da essere completamente
attratte dal vortice più basso, in quella individualità spirituale non si rintraccerà nulla di
tutto ciò. Quelle pagine saranno cancellate dal libro, per così dire. E al termine della lotta
l’entità spirituale, dopo essere passata per il Kamaloka, passerà nel periodo di gestazione
inconscio che precede il suo ingresso nel Devachan, e rinascerà direttamente (anche se
non immediatamente) nella vita di attività oggettiva, e tutta l’autocoscienza connessa con
quell’esistenza passerà nel mondo inferiore dove infine si estinguerà per sempre; di
questa espressione, come di tante altre, la teologia moderna è stata custode assai infedele,
cambiando in un semplice assurdo dei fatti psico-scientifici.

Annotazione
Penso che non ci sia alcuna parte del presente volume che necessiti di un ampliamento
più urgente quanto i due capitoli precedenti. Il periodo di esistenza in Kamaloka e quella
regione più elevata o Devachan, di cui Kamaloka non è che l’anticamera, sono stati
lasciati da principio in una parziale oscurità dai nostri Maestri intenzionalmente affinché,
suppongo, l’intero disegno dell’evoluzione potesse esser meglio compreso. Lo stato
spirituale che segue immediatamente la nostra vita fisica è un compartimento della
Natura, il cui studio è quasi una malsana attrattiva per chiunque si sia una volta persuaso
della possibilità di qualche contatto con esso per mezzo di esperimenti effettuati in quelle
condizioni che gli sono proprie. Noi possiamo già, fino ad un certo punto, discernere i
fenomeni di quello stato in cui passa l’essere umano al momento della morte del corpo.
Le esperienze dello spiritismo ci hanno fornito in abbondanza fatti che lo interessano. Ma
questi fatti suggeriscono teorie e collegamenti che sembrano raggiungere gli ultimi limiti
della speculazione; e null’altro se non la fortificante disciplina mentale di uno studio
esoterico, nel suo più largo aspetto, può proteggere le menti che si dedicano a queste
considerazioni da conclusioni che quello studio dimostrerà senz’altro errate. Per questa
ragione gli studiosi di Teosofia non hanno nulla da rammaricarsi se viene messo in
pericolo il loro progresso nella scienza spirituale, trovandosi in circostanze che li hanno
indotti a trascurare i problemi legati allo stato di esistenza che segue immediatamente il
nostro. È impossibile capire la grandezza dei vantaggi intellettuali che possono derivare
dallo studio dell’immenso disegno della Natura, attraverso quei vasti regni del futuro che
solo la perfetta chiaroveggenza degli adepti può penetrare, prima di entrare nei particolari
che riguardano la parte fondamentale della spiritualità, che è parzialmente accessibile ad
una visione meno potente ma incline da principio a essere confusa con tutta l’estensione
del futuro.
Tuttavia i primi processi, attraverso i quali passa l’anima alla morte, possono essere qui
descritti meglio che nel capitolo precedente. La natura della lotta che ha luogo in
Kamaloka tra le diadi superiore e inferiore potrà, credo, essere appresa più chiaramente
adesso di prima. Quella lotta pare essere un processo lungo e molteplice e costituire non
come qualcuno di noi può aver pensato da principio una concretizzazione automatica e
incoscia di affinità e di forze pronte a determinare il futuro della monade spirituale al
momento della morte, ma invece una fase di esistenza che può essere, e nel maggior
numero dei casi deve anzi essere, più di quel che sembri, continuata per una serie di anni
considerevole. Durante questa fase di esistenza è senz’altro possibile alle entità umane
defunte manifestarsi alle persone ancora viventi per mezzo della medianità spirituale, il
che può spiegare, se non giustificare interamente, le impressioni che gli spiritisti traggono
da tali comunicazioni.
Ma non dobbiamo affrettarci troppo a concludere che l’anima umana, nell’attraversare la
lotta o l’evoluzione del Kamaloka, sia sotto ogni aspetto ciò che può essere suggerito a
prima vista. Innanzi tutto dobbiamo guardarci dal materializzare troppo il concetto di
lotta, ritenendola una separazione meccanica di principi. Una separazione meccanica ha
veramente luogo nell’abbandono dei principi inferiori, quando la coscienza dell’Ego si è
fissata stabilmente nei principi superiori. Così al momento della morte il corpo viene
separato meccanicamente dall’anima, che (in unione forse con i principi intermedi) può
veramente essere vista, da veggenti d’ordine elevato, abbandonare la dimora di cui non
ha più bisogno. Un processo molto simile a questo può aver luogo anche nel Kamaloka in
relazione alla materia dei principi astrali. Ma, nel rimetterne ad altra occasione l’esame, è
importante per ora evitare di supporre che la lotta in Kamaloka costituisca una definitiva
divisione dei principi o una seconda morte nel piano astrale.
Infatti, la lotta nel Kamaloka è la vita dell’entità in quella fase di esistenza. Come si è
chiaramente detto nel precedente capitolo, l’evoluzione che ha luogo in quella fase non
dipende dalla responsabilità inerente alla scelta tra il bene ed il male, responsabilità che
vige per tutto il tempo della vita fisica. Il Kamaloka è una parte del gran mondo degli
effetti, non già una sfera dove si generano cause (eccetto che in circostanze speciali). Nel
Kamaloka l'entità non è padrona dei suoi atti, ma è schiava delle affinità che essa stessa
ha già prodotto. Queste affinità vanno continuamente esaurendosi o affermandosi e
l’entità del Kamaloka conserverà viva la coscienza di uno solo di questi due generi di
forze. Ora un poco di riflessione mostrerà che quelle affinità, che raccolgono energia e
affermano se stesse, si riferiscono alle aspirazioni spirituali dell’ultima vita vissuta;
mentre quelle affinità che si esauriscono sono in relazione ai desideri materiali, alle
emozioni, e alle inclinazioni. L’entità nel Kamaloka, ricordiamolo, è in cammino per il
Devachan o, in altre parole, essa va sviluppandosi verso lo stato devachanico; e il
processo del suo sviluppo è compiuto per azione e reazione, per flusso e riflusso o, come
accade pressoché in ogni altra cosa che esiste in natura, per una specie di oscillazione tra
le forze attrattive e repulsive della materia e dello spirito. Così l’Ego, durante la sua
esistenza in Kamaloka, avanza verso il cielo o retrocede verso la terra, per così dire; ed è
appunto questa sua tendenza a oscillare tra i due poli del pensiero e della condizione che
occasionalmente lo riporta indietro nella sfera di quella vita che ha lasciato.
È nondimeno certo che la sua ardente attrazione per la vita non viene dissipata tutto ad un
tratto; dobbiamo anzi rammentare che le più elevate condizioni di quella vita non sempre
si dissolvono; per esempio, fra le affinità terrene non si deve includere l’esercizio
dell’affetto, che è una delle più eminenti funzioni dell’esistenza devachanica. Forse
nell’affetto si possono anche comprendere l’aspetto spirituale e quello terreno, e sotto
quest’ultimo aspetto gli affetti possono produrre il ritorno verso la terra delle entità che si
trovano in Kamaloka, come si è detto prima.
Naturalmente apparirà chiaro che il rapporto che la pratica dello spiritismo stabilisce tra
le entità del Kamaloka, quali noi le conosciamo, e gli amici che esse lasciano sulla terra,
dovrà continuare per tutto quel periodo di esistenza dell’anima nel quale i ricordi terreni
attirano la sua attenzione.
Da questa riflessione sorgono due considerazioni molto importanti.
In primo luogo l’anima, mentre dirige la sua attenzione verso di noi, viene distratta dal
progresso spirituale che compie nelle sue oscillazioni verso l’altra direzione. L’anima
ricorderà abbastanza bene le aspirazioni spirituali della sua vita terrena, e si riferirà ad
esse nelle comunicazioni con noi; ma le sue nuove esperienze spirituali sembrano di
natura tale da non poter essere contenute nei limiti di un comune intelletto fisico né tali
esperienze sembrano entrare nel dominio delle facoltà che agiscono nell’anima al
momento in cui essa è occupata dai vecchi ricordi terreni. Un’idea grossolana e
imperfetta di questa posizione può essere simboleggiata dal caso di un povero emigrante
che noi pensiamo prosperi nel suo nuovo Paese; lì viene educato, si occupa di affari
pubblici, di scoperte, di filantropia o altro. Costui potrà mantenere uno scambio di lettere
con gli amici della sua terra originaria, ma troverà difficile tenerli al corrente di quanto è
venuto ad occupare il suo pensiero. Tuttavia l’esempio potrà applicarsi completamente
alla presente nostra supposizione, se ci figuriamo l’emigrante come soggetto ad una legge
psicologica che stende un velo sul suo intelletto quando si accinge a scrivere ai suoi
vecchi amici e lo restituisce, in quel momento, alle sue vecchie condizioni mentali. Se
così non fosse egli sarebbe sempre meno capace di scrivere sui vecchi argomenti, quanto
più il tempo passa; e questo perché i vecchi pensieri non sarebbero solamente sopraffatti
da quelli nuovi che sono venuti a sovrapporsi alle sue attività mentali presenti, ma
verrebbero anche cancellati in gran parte dalla sua memoria. Le sue lettere sarebbero
motivo di sorpresa per i destinatari, che si domanderebbero se il mittente sia stato dawero
lui, o se sia diventato stupido e goffo a confronto di quel che era prima della sua partenza
per l’estero.
In secondo luogo, dobbiamo tenere presente che la ben nota legge della fisiologia,
secondo la quale le facoltà si rinforzano con l’esercizio e si atrofizzano con l’inerzia,
trova la sua applicazione tanto sul piano astrale quanto sul piano fisico. L’anima, che in
Kamaloka prende l’abitudine di fissare la sua attenzione sui ricordi della vita trascorsa,
farà sì che si rinforzino e si rinvigoriscano quelle tendenze che sono opposte agli impulsi
più elevati. E quanto più di frequente essa viene stimolata dall’affetto degli amici viventi
a valersi dell’opportunità che la medianità offre per manifestare sul piano fisico la propria
esistenza, tanto più forti saranno gli impulsi che la attireranno indietro verso la vita fisica,
e più seri saranno gli indugi del suo progresso spirituale. Questa considerazione sembra
coinvolgere il motivo più importante, che induce i rappresentanti della dottrina teosofica
ad impedire ed a disapprovare ogni tentativo di stabilire comunicazioni con le anime dei
defunti per mezzo delle sedute spiritiche. Queste comunicazioni quanto più sono
autentiche, tanto maggior detrimento recano a quegli abitanti del Kamaloka cui si
riferiscono. Allo stato presente delle nostre cognizioni è difficile determinare con
sicurezza quali siano i danni arrecati a quegli esseri; noi però siamo portati a credere che
in certi casi la grande soddisfazione provata dalle persone viventi che comunicano con
essi abbia maggior peso del danno arrecato alle anime stesse. Tuttavia questa
soddisfazione sarà più o meno intensa, a seconda della capacità degli amici viventi di
comprendere o meno, le circostanze nelle quali la comunicazione ha luogo. Innanzitutto è
vero che, subito dopo la morte, i ricordi ancora vivi e integri della vita terrena possono
rendere capace l’entità in Kamaloka di apparire tal quale era al momento della sua morte;
ma da quel momento inizia il cambiamento diretto della sua evoluzione. Manifestandosi
sul piano fisico, essa non evidenzierà nuovi fermenti nelle sue idee, e non apparirà più
saggia o più elevata nella scala della Natura di quel che era alla sua morte; anzi dovrà
diventare sempre meno intelligente e in apparenza meno istruita di prima a mano a mano
che il tempo trascorre. Nel comunicare con gli amici che ha lasciato quaggiù essa non si
manifesterà più qual era; e il suo fallimento nel farlo diventerà gradualmente sempre più
doloroso. Anche un’altra considerazione contribuisce a gettare una luce dubbiosa sulla
saggezza e sul buon senso di chi vuole soddisfare il desiderio di mettersi in contatto con
gli amici estinti. Potremmo dire che non importa che l’interesse per le cose terrene di un
amico, che se n’è andato prima, vada in esso gradatamente scomparendo, poiché
fintantoché qualche cosa di lui o del suo antico Ego resta a ricordarcelo, sarà per noi una
gioia comunicare con lui. Possiamo anche dire che se la persona amata, nel parlare con
noi, soffre qualche ritardo sulla via del cielo, essa farà volentieri questo sacrificio per
amor nostro. Il punto che principalmente deve qui considerarsi è che sul piano astrale,
come sul piano fisico, è molto facile acquisire una cattiva abitudine. L’anima che in
Kamaloka spegne una prima volta la sete di corrispondenza terrena col mezzo della
medianità, proverà un forte impulso a ricadere sovente in quella condiscendenza.
Facciamo perciò molto di più che distrarre l’attenzione di quell’anima dai suoi doveri
tenendo con essa relazioni spiritiche, dato che possiamo arrecarle un danno serio e quasi
permanente. Io non affermo che questo sia il fatto invariabile o generale, ma un severo
esame etico del soggetto deve far comprendere i pericoli possibili coinvolti nel
procedimento delle operazioni spiritiche. È facile tuttavia che possano esserci dei casi in
cui il desiderio di comunicazione si affermi principalmente dall’altra parte: cioè casi in
cui lo spirito del defunto venga sospinto verso la terra da un desiderio insoddisfatto per
compiere, forse, qualche dovere trascurato e l’attenzione che gli prestano gli amici ancora
viventi può allora avere un effetto totalmente opposto a quello che deriva dal semplice
scopo di incoraggiare un essere che vive nel Kamaloka ad occuparsi dei suoi vecchi
interessi terreni. In casi simili gli amici viventi, accondiscendendo al desiderio dello
spirito di comunicare con loro, possono offrirgli un mezzo indiretto per appianargli il
sentiero del suo progresso spirituale. Ma qui dobbiamo di nuovo stare in guardia contro le
apparenze illusorie. Un desiderio manifestato da un abitante del Kamaloka può non esser
sempre l’espressione di un’idea che è nata di recente nella sua mente. Può essere l’eco di
un antico desiderio, forse molto antico, che trova ora per la prima volta un canale per
manifestarsi esteriormente. Così, sebbene appaia ragionevole dare ascolto a un desiderio
chiaro tramandatoci dal Kamaloka da una persona morta da poco tempo, ciò nondimeno
la prudenza vuole che si guardi con sospetto a tale desiderio, se emana invece dall’ombra
di una persona morta da lungo tempo e la cui maniera di procedere, come ombra, sembri
non darci nel suo insieme la certezza che essa abbia conservato vivida coscienza della sua
antica personalità.
Io credo che tutti questi fatti e casi possibili del Kamaloka, diano ai teosofi una
soddisfacente spiegazione di molti esperimenti di spiritismo che la prima esposizione
della dottrina esoterica, nella parte che trattava di questa materia, non chiariva del tutto.
Si può comprendere come, a mano a mano che l’anima in Kamaloka si rende conto dei
motivi che ritardano il suo sviluppo devachanico, essa rivolgerà alla terra un pensiero
sempre più debole, ed è inevitabile che vi sia sempre in Kamaloka un numero enorme di
esseri prossimi a passare nel Devachan, i quali appaiono ad un osservatore terreno come
in uno stato di avanzata decrepitezza. Questi si ridurranno, riguardo alle attività dei loro
principi astrali inferiori, alla condizione di quelle entità molto vaghe ed incomprensibili
che io, seguendo l’esempio dei più antichi scrittori di occultismo, ho denominato
involucri, nel testo di questo capitolo. Il vocabolo non è del tutto felice. Sarebbe stato
meglio se avessi adottato il termine ombre; ad ogni modo la loro condizione non cambia.
Quando quelle entità lasciano la terra, tutta la vivida coscienza inerente ai principi della
vita fisica si trasferisce nei principi superiori che non si manifestano nelle sedute
spiritiche. La loro memoria circa la vita terrena appare quasi estinta. In tal caso sono i
loro principi inferiori che si risvegliano per influsso della corrente medianica nella quale
sono trascinati e divengono poco più di uno specchio astrale, nel quale si riflettono i
pensieri del medium o degli intervenuti alla seduta. Se immaginiamo i colori di una
pittura che si confondono a poco a poco con la tela e riemergono dall’altra parte in tutto il
loro splendore primitivo, noi potremo concepire un processo che non avrà distrutto la
pittura ma che avrà lasciato dei segni quali macchie disarmoniche o senza senso; e questo
è in realtà quello che diventano le entità in Kamaloka prima di spogliarsi interamente
della materia, sulla quale ha agito la primitiva loro coscienza astrale, e prima che passino
totalmente purificate allo stato devachanico.
Ma ciò non basta a farci comprendere quanta diffidenza dobbiamo avere per le
manifestazioni che ci vengono dal Kamaloka. La nostra attuale conoscenza del soggetto
ci rende atti a comprendere che, giunto il tempo della seconda morte sul piano astrale,
che libera l’Ego purificato dal Kamaloka e lo manda al Devachan, in Kamaloka resta
qualcosa che corrisponde al cadavere lasciato sulla terra quando l’anima abbandona
l’esistenza fisica. Infatti un corpo astrale morto è lasciato indietro in Kamaloka e non è
certo improprio applicare a quel residuo l’epiteto di "involucro". Il vero involucro,
lasciato in quello stato, si dissolve in un tempo molto breve, appunto come il vero corpo
che, lasciato sulla terra in balia del legittimo processo della natura, si decompone ben
presto e confonde i suoi elementi con quelli dei grandi serbatoi cosmici della materia, che
appartengono alloro stesso ordine. Ma fino a che la decomposizione non sia stata
compiuta, l’involucro che l’Ego ha totalmente abbandonato può, anche in quello stato,
essere scambiato talvolta con un’entità vivente nelle sedute spiritiche. Esso rimane per un
certo tempo uno specchio astrale, nel quale il medium può vedere riflessi i suoi pensieri, e
riprenderseli, credendoli, in buona fede, provenienti da una sorgente esterna.
Queste entità fenomeniche, nel vero senso del termine, sono in realtà cadaveri astrali
galvanizzati; nondimeno fino a che non si siano bene disintegrate, una certa leggera
connessione esisterà tra esse e il vero spirito devachanico, proprio come sussiste una certa
comunicazione in primo luogo tra l’entità di Kamaloka e il corpo morto lasciato sulla
terra. Quest’ultima comunicazione è stabilita dalla materia del terzo principio originale, o
Lingansarira, sottilmente diffusa; e uno studio di questa parte del soggetto ci
condurrebbe, credo, ad una conoscenza più profonda di quanto si possegga oggi delle
circostanze nelle quali si compiono le materializzazioni nelle sedute spiritiche. Ma senza
entrare, per ora, in questa digressione basterà riconoscere che l’analogia può aiutarci a
dimostrare come, tra l’entità devachanica e l’involucro eliminato in Kamaloka, possa
continuare una simile connessione, perché lo spirito superiore, trattenuto in un certo
modo nell’involucro, vi traspare come la luce nell’aria dopo il tramonto del sole. Tuttavia
sarebbe molto angosciante per qualsiasi amico vivente dello spirito evocato prendere
visione o conoscenza di questo involucro per mezzo della chiaroveggenza, o in
qualunque altro modo, e di crederlo un’entità reale.
L’idea relativamente chiara che ora possiamo farci del Kamaloka può aiutarci, nel
descrivere i suoi fenomeni, ad impiegare termini con quella maggior precisione di cui non
potevamo far uso prima. Credo pertanto che, se noi adottiamo la nuova espressione
"anima astrale" per definire l’entità che si trova in Kamaloka e che ha lasciato da poco
tempo la terra ma intrattiene ancora dei rapporti con essa, ovvero ne è attratta, troveremo
che una larga parte degli attributi dell’intelletto che l’avevano distinta in questa vita, è
tale da potersi applicare agli altri casi. Potremo allora disfarci completamente del termine
improprio "elementare", soggetto a confondersi con quello di "elementale",
singolarmente inappropriato agli esseri che descrive. Vorrei inoltre suggerire che mentre
l’anima astrale cade nella decrepitezza intellettuale (secondo il nostro modo di vedere),
dovrebbe essere descritta in questa sua condizione, che si fa sempre più incerta, come
"ombra" e che il vocabolo "involucro" dovrebbe essere riservato al cadavere astrale, che
lo spirito entrato in Devachan ha finalmente abbandonato.
Nello studiare la legge dello sviluppo spirituale in Kamaloka siamo naturalmente indotti a
chiederci quanto tempo debba trascorrere prima che il passaggio della coscienza dai
principi inferiori ai superiori dell’entità astrale possa dirsi completo. Nella generalità dei
casi, quando si tratta della durata degli alti processi della natura, la risposta è molto
elastica. Credo però che i Maestri esoterici dell’oriente dichiarino che, riguardo alla gran
parte della corrente umana (se può chiamarsi così, in un senso spirituale, la grande classe
media del genere umano) è difficile che un’entità del Kamaloka possa mantenersi tale per
più di venticinque o trent’anni. Al di qua e al di là di questa cifra media, i numeri possono
però variare considerevolmente. Ciò equivale a dire che un essere umano molto gretto e
stupido può aggirarsi in Kamaloka per un tempo assai più lungo, non essendo alcuni suoi
principi superiori sviluppati sufficientemente perché egli possa riacquistare
completamente la sua coscienza, mentre un altro essere umano mentalmente attivo può
rimanere lunghi anni in Kamaloka (in assenza di affinità spirituali di forza
corrispondenti) per il solo fatto di una forte persistenza delle forze o delle cause generate
nel piano superiore degli effetti, sebbene l’attività mentale possa in tal caso difficilmente
separarsi dalla spiritualità, come si separa in quei casi nei quali va esclusivamente
associata all’ambizione mondana. E ancora, se i periodi di Kamaloka possono per varie
cause prolungarsi al di là dell’ordinaria misura, essi tuttavia si riducono ad una brevità
quasi infinitesimale, quando la spiritualità di una persona, che muore a vecchiaia inoltrata
e al termine di una vita consacrata scrupolosamente alla sua missione, si trova già in uno
stadio molto avanzato.
C’è da considerare un altro caso importante che si collega alle manifestazioni che ci
giungono attraverso i canali ordinari di comunicazione col Kamaloka, sebbene il suo
verificarsi non possa per sua natura accadere di frequente. Nessuno studioso di Teosofia
può pretendere di sapere gran che sulle condizioni di esistenza riservate agli adepti, i
quali rinunciano all’uso dei corpi fisici sulla terra. Mi sembra che le possibilità d’ordine
superiore disponibili per gli adepti sorpassino la capacità di comprensione intellettuale.
Nessun uomo possiede tanta elevatezza da comprendere il Nirvana in virtù della sola
capacità del cervello fisico, ma sembra che gli adepti preferiscano in alcuni casi di tenersi
in una via di mezzo tra la reincarnazione e il passaggio allo stato nirvanico e nelle più alte
regioni del Devachan, cioé nello stato di Arupa del Devachan, per attendervi il lento
progredire dell’evoluzione umana verso quella stessa condizione di esaltazione spirituale
che essi hanno raggiunto. A un adepto, che è divenuto così un essere devachanico del tipo
più elevato, non sarà impedito di manifestare la sua influenza sulla terra dalle condizioni
del suo stato devachanico, cosa che accadrebbe a un essere devachanico naturale che
passasse per quello stato avviandosi a una nuova incarnazione. La sua influenza non sarà
certamente di tal natura da manifestarsi con fenomeni fisici tra persone disparate; tuttavia
non è impossibile che un medium del tipo più elevato, e che dovrebbe chiamarsi con
maggiore proprietà chiaroveggente, possa essere influenzato dall’adepto. Alcuni grandi
uomini, che lasciarono il proprio nome nella storia del mondo, poterono essere protetti ed
ispirati, coscientemente o inconsciamente secondo i casi, dagli spiriti di questi adepti.
La disintegrazione degli involucri in Kamaloka suggerirà inevitabilmente, a chiunque si
sforzi di studiarne bene il processo, che esistono in Natura dei serbatoi generali di materia
destinati a quella sfera di esistenza che è propria della terra fisica e degli altri elementi
che la circondano, ai quali viene consegnato il nostro corpo al momento della morte. I
grandi misteri su cui si basa questa considerazione richiederebbero un’investigazione
assai più esauriente di quella che fino ad ora abbiamo potuto compiere: possiamo intanto
senza indugio esporne utilmente un’idea generica. Il Kamaloka possiede i propri ordini di
materia corrispondenti, in manifestazione intorno a sé. Non voglio neppure provare ad
addentrarmi nella metafisica del problema, che potrebbe anche condurci a rifiutare la
nozione che la materia astrale debba essere alquanto meno reale e meno tangibile di
quella che si manifesta ai nostri sensi fisici. Basti per ora dire che la vicinanza del
Kamaloka alla terra e la facilità con la quale l’uno e l’altra possono mettersi in rapporto
per mezzo degli esperimenti spiritici dimostra, secondo l’insegnamento orientale, che il
Kamaloka appartiene alla terra ed è nella terra, allo stesso modo in cui l’anima astrale è
nell’uomo vivente e gli appartiene. Il periodo di Kamaloka, infatti, il grande regno della
materia, che si trova nelle condizioni proprie a costituire il Kamaloka e che è percettibile
ai sensi delle entità astrali e di molti chiaroveggenti, è il quarto principio della terra
proprio come il Kamarupa è il quarto principio dell’uomo. Poiché la terra, al pari
dell’uomo che l’abita, ha sette principi, lo stato devachanico corrisponde al quinto e il
Nirvana al sesto.
VII
LA CORRENTE UMANA

Abbiamo dimostrato genericamente il modo con il quale la grande corrente evolutiva


della vita si succede intorno ai sette mondi che costituiscono la catena planetaria di cui fa
parte la nostra terra. Avremo bisogno ora di un’ulteriore aiuto per estendere la visione
oltre questa idea generale e comprendere pienamente il processo al quale detto studio si
riferisce. Nessun capitolo aggiuntivo della grande storia ne renderebbe più intelligibile il
carattere, quanto la spiegazione di alcuni fenomeni che hanno uno stretto nesso con
l’evoluzione dei mondi e delle altre manifestazioni che possono essere chiamate invece
"oscuramenti “.
Gli studiosi della filosofia occulta, che intraprendono il percorso con la mente educata
diversamente, sono soggetti a fraintendere le sue prime affermazioni. Non si può dire
tutto in una volta, e così accade che le prime spiegazioni, divulgate in un certo modo,
siano le più facili a sviare lo spirito del lettore di mente attiva e pronta. Questi lettori non
possono accontentarsi neppure per un momento del primo abbozzo un po’ confuso.
L’immaginazione riempirà il quadro e, se il suo lavoro rimarrà indisturbato per molto
tempo, l’autore sarà poi sorpreso di trovare le ultime informazioni incompatibili con
quelle date al principio. In questo trattato lo sforzo dello scrittore è tutto diretto a
convogliare le informazioni in modo tale da evitare il più possibile che si producano
inutili pensieri a livello mentale; ma in questo tentativo è necessario talvolta correre
avanti velocemente, tralasciando qualche dettaglio, anche molto importante, per
riprenderlo poi in un secondo momento. Così il lettore dovrà ora essere sufficientemente
bravo da ritornare alla spiegazione data nel capitolo terzo sul progresso evolutivo
attraverso l’intera catena planetaria.
Si è discusso sul modo con il quale l’impulso vitale passa di pianeta in pianeta come
"flusso d'acqua violento e improvviso e non continuo". Tuttavia, nei primi stadi
dell’evoluzione il progresso può effettuarsi in modo continuo e la preparazione a ricevere
la grande marea finale dell’umanità comincia simultaneamente sui sette pianeti. In verità,
la preparazione di tutti e sette i pianeti può, ad un certo punto del processo, essere portata
avanti simultaneamente; il punto importante da ricordare è che la corrente principale
evolutiva, l’onda che cresce maggiormente, non può aver luogo al tempo stesso sopra più
di un pianeta. Allora il processo continuerà nel modo che spiegheremo al lettore, il quale
farà assai bene se costruirà nella sua mente, o sulla carta, un diagramma di sette cerchi
(che rappresentano i sette mondi) disposti in circolo a guisa d’anello. Chiamandoli A, B,
C, D, ecc. si osserverà, dopo quello che abbiamo detto, che la terra sarà rappresentata dal
globo D. Sappiamo che gli occultisti ammettono sette regni della natura: tre di questi
regni appartengono alle forze astrali o elementari che precedono i regni materiali più
grossolani nell’ordine del loro sviluppo. Il primo regno comincia la sua evoluzione sul
globo A, e passa in seguito sul globo B, quando il secondo regno inizia a evolvere su A.
Così proseguendo troveremo che il primo regno sta evolvendo sul globo G proprio nel
momento in cui il settimo regno, quello umano, comincia a evolversi su A. Ma cosa
accade quando il settimo regno passa sul globo B? Non c’è un ottavo regno che coinvolga
le attività del globo A. I grandi processi dell’evoluzione hanno raggiunto il culmine nella
corrente finale dell’umanità che, nel procedere, lascia dietro di sé una specie di letargia
temporanea della Natura. Quando l’onda vitale passa nel globo B, infatti, il globo A
entra, per un certo tempo, nello stato di oscuramento. Questo non è uno stato di
decomposizione, di dissoluzione, o altro che possa essere chiamato morte. La
decomposizione, benché con il suo aspetto possa ingannare la mente, è tuttavia una
condizione di attività, che si effettua in una data direzione; e questa considerazione
permette di spiegare il gran numero di divinità di una parte della mitologia indù che
presiedono alla distruzione, altrimenti senza significato. L’oscuramento di un mondo è la
sospensione totale della sua attività ma ciò non significa che al momento in cui l’ultima
monade umana abbandona un mondo, esso subisca una crisi convulsa che lo paralizzi o
che piombi in un sonno profondo simile a quello dei palazzi incantati. La vita vegetale e
animale continua come prima, su quel mondo, per un certo tempo ma il carattere di
questa vita, invece d’accentuarsi e progredire, al contrario va decrescendo sempre di più.
La grande onda di vita ha lasciato questo mondo e i regni animale e vegetale ritornano
gradatamente alle stesse condizioni di esistenza in cui erano quando il flusso li raggiunse.
Questo lento processo attraverso il quale il mondo oscurato si addormenta dura per
lunghissimi periodi di tempo, e infatti quell’oscuramento dura sempre sei volte di più del
periodo nel quale l’onda umana resta sopra ciascun mondo. In altre parole, il processo,
che si conclude come sopra descritto in relazione al passaggio dell’onda di vita dal globo
A al globo B, si ripete lungo tutta la catena dei mondi. Quando l’onda entra in C, B è in
oscuramento, e così pure A; e quando D riceve l’onda vitale, A, B e C restano oscurati.
Quando l’onda arriva in G, i sei mondi che lo precedono sono in oscuramento. Come si
vede, l’onda vitale avanza con una certa progressione regolare, il cui carattere simmetrico
soddisfa tutti gli istinti scientifici. Le spiegazioni che abbiamo dato sul modo con il quale
l’umanità si evolve attraverso sette grandi razze durante ogni ronda su un pianeta, ovvero
durante l’occupazione di tale pianeta da parte dell’onda di vita, avranno preparato il
lettore ad abbracciare l’idea generale dell’evoluzione. La quarta razza è ovviamente
quella che si trova nel mezzo della serie. Appena la metà di questa serie viene
oltrepassata, e inizia l’evoluzione della quinta, la preparazione per l’umanità comincia sul
pianeta seguente. L’evoluzione, per esempio quella della quinta razza sopra E, è
commisurata all’ evoluzione, o meglio al riattivarsi, del regno minerale su D e così di
seguito. Ciò equivale a dire che l’evoluzione della sesta razza su D coincide con il
riattivarsi del regno vegetale su E; la settima razza su D, con il riattivarsi del regno
animale su E e poi, quando l’ultima monade della settima razza su D sarà passata nello
stato soggettivo o mondo degli effetti, inizierà il periodo umano su E e lì comincerà lo
sviluppo della prima razza. Nel frattempo, il crepuscolo sul globo che precede D cade
nella notte di oscuramento, nello stesso modo progressivo, e l’oscuramento allora
comincia definitivamente quando il periodo umano su D passa nel suo punto mediano.
Come il cuore dell’uomo prosegue a battere, e la respirazione continua durante il sonno
più profondo, così i processi dell’azione vitale proseguono nel mondo che è
profondamente a riposo. Questo ha per scopo il conservare, in attesa del ritorno dell’onda
umana, i prodotti dell’evoluzione tali quali erano al momento della partenza dell’onda
medesima. Il recupero per il pianeta che si risveglia è un processo più ampio di quello nel
suo stato di riposo perché questo deve raggiungere un grado di perfezione, nei confronti
dell’onda di vita umana che deve sopraggiungere, superiore a quello che possedeva
quando lo stesso flutto lo abbandonava. Al rinnovarsi di ciascun periodo di vita, come al
mattino di un nuovo giorno, la Natura viene infusa di nuovo vigore, la freschezza del
mattino, e durante l’ultimo periodo d’oscuramento, che è un periodo di preparazione e di
speranza, investe l’evoluzione stessa di nuovo slancio. L’onda poderosa di vita sta per
tornare e tutto è pronto per riceverla.
Nel nostro primo scritto su questo argomento è stato detto, sommariamente, che i
differenti mondi che compongono la nostra catena planetaria non si trovano tutti allo
stesso grado di materialità. Se collochiamo mentalmente il concetto di spirito al polo nord
della circonferenza e quello della materia al polo sud, i mondi dell’arco discendente
avranno gradi diversi di spiritualità e di materialità come quelli posti sull’arco
ascendente. Questa diversità di gradi deve essere studiata attentamente dal lettore, se
vorrà comprendere il processo evolutivo meglio di quanto abbia fatto finora.
Oltre alla terra che si trova al punto materiale più basso, ci sono solo altri due mondi della
nostra catena visibili ai nostri occhi fisici, l’uno avanti, e l’altro dietro di noi. Questi due
mondi sono Marte e Mercurio; Marte ci precede, Mercurio ci segue. Marte dunque si
trova, in relazione alla corrente di vita umana, in uno stato completo di oscuramento; e
Mercurio va preparandosi al suo prossimo periodo umano13.
I due pianeti della nostra catena che sono dietro Marte, e i due oltre Mercurio, non sono
composti di materia tale da essere riconosciuta dai nostri telescopi. Quattro dei sette
pianeti sono di natura così eterea che vengono definiti immateriali da chi concepisce la
materia in forma terrestre. Ma non sono affatto immateriali. Sono semplicemente
costituiti da uno stato di materia molto più sottile di quella terrestre, ma il loro stato più
sottile non vanifica l’uniformità del disegno della Natura riguardo ai metodi e agli stadi
della loro evoluzione. Nella scala della loro sottile "invisibilità “, le successive ronde e
razze di umanità passeranno attraverso i loro stadi di maggiore o minore materialità come
sulla terra, ma chiunque voglia comprenderli deve comprendere prima questa terra e
calcolare i delicati fenomeni dalle inferenze corrispondenti. Riprendiamo dunque lo
studio della grande onda di vita nei suoi aspetti su questo pianeta.
Proprio come la catena dei mondi, in quanto unità, ha il suo polo nord e il suo polo sud, il
suo polo spirituale e il suo polo materiale, che si muovono dallo stato spirituale giù fino
allo stato materiale, per tornare poi ancora allo spirituale analogamente, le ronde della
specie umana costituiscono una serie del tutto simile, tanto che la catena dei globi stessi
può essere presa come simbolo. Infatti nell’evoluzione dell’uomo, su ciascun piano come

                                                        
13 Varrebbe la pena di sottolineare per coloro che, istruiti nelle scienze fisiche, obietteranno che Mercurio è troppo vicino al Sole, e di
conseguenza troppo caldo per poter ospitare l'Uomo, che il referto ufficiale dell'Astronomical Department degli Stati Uniti d'America
sulle recenti osservazioni del Monte vVhitney, fa affermazioni che possono controbattere certe critiche nei confronti della scienza
occulta su questo punto. Il risultato delle osservazioni sul Monte Whitney sull'assorbimento selettivo dei raggi solari ha reso noto che,
secondo le fonti ufficiali, non passerà molto tempo dal dimostrare certe condizioni che potrebbero rendere abitabile l'atmosfera di
Mercurio, da una parte, e di Saturno dall'altra. Ma ora non dobbiamo occuparci di Saturno, nemmeno se fosse necessario per spiegare
su basi occulte l'abitabilità di Mercurio: ciò riguarda solo il calcolo dell'assorbimento selettivo. Il fatto è che la scienza comune
attribuisce al Sole o troppo o troppo poca importanza, in quanto deposito di forze per il sistema solare. Ne fa troppo conto, perché il
calore dei pianeti dipende spesso da un'altra influenza che è indipendente dal Sole, influenza della quale non saranno ben noti gli
effetti, se non quando si conoscerà cosa sia la correlazione tra calore, magnetismo e polveri meteoriche magnetiche, delle quali sono
pieni gli spazi interplanetari. Tuttavia per confutare qualsiasi obiezione che possa essere sollevata contro queste spiegazioni, da parte
dei leali devoti alla scienza più recente, è sufficiente dire che queste obiezioni sono già datate. La scienza moderna è in evoluzione
(questo è uno dei suoi grandi meriti) ma non è un'abitudine meritoria quella degli scienziati moderni il pensare, ad ogni stadio del suo
progresso, che tutti i concetti incompatibili con quello stadio siano assurdi (N. d. a.).
Questa nota al testo risulta ancor oggi di sorprendente attualità e di grande stimolo intellettuale. Va infatti rilevato che se talune
affermazioni sull 'esistenza della vita (Passata o futura) su altri pianeti apparivano alla gran parte delle culture di fine Ottocento come
non accettabili; proprio l'evoluzione del pensiero scientifico ha fatto in proposito passi da gigante non solo ipotizzando l'esistenza
della vita sugli altri Pianeti, ma anche rivalutando in pieno l'iPotesi della provenienza cosmica delle originarie forme di vita sulla terra
(N. d. c.).
su tutto, c’è un arco discendente e uno ascendente; lo spirito, per così dire, che si involve
nella materia e la materia che si evolve nello spirito. Il punto più basso e più materiale nel
ciclo diventa l’apice inverso dell’intelligenza fisica, che è la manifestazione mascherata
dell’intelligenza spirituale. Ogni ronda della specie umana, che si è evoluta sull’arco
discendente (come ogni razza umana di ogni ronda se scendiamo verso lo specchio più
piccolo del cosmo), deve così essere più intelligente dal punto di vista fisico mentre nella
corsa ascendente ogni razza è dotata di una mentalità assai più raffinata, congiunta ad
un’istruzione spirituale più grande ancora. Nella prima ronda troviamo l’uomo come
essere relativamente eterico, se lo confrontiamo con lo stato che noi abbiamo ora
raggiunto sulla terra, non intellettuale ma super-spirituale. Analogamente a quanto
avviene per le forme vegetali e animali intorno a lui, egli abita un corpo immenso ma
poco organizzato. Nella seconda ronda l’uomo è ancora gigantesco ed eterico, tuttavia le
parti che compongono il suo corpo si condensano, un uomo più fisico ma ancora più
spirituale che intelligente. Nella terza ronda ha sviluppato un corpo perfettamente
compatto e solido, che a prima vista assomiglia più ad una scimmia gigantesca che ad un
uomo e che avanza sempre più sul piano intellettuale. Nella seconda metà di questa terza
ronda la sua gigantesca statura decresce, l’aspetto migliora e comincia a essere uomo
razionale. Nella quarta ronda l’intelletto, ora pienamente sviluppato, compie enormi
progressi. Le razze dirette con cui inizia la ronda acquisiscono un linguaggio umano
come noi lo intendiamo. Il mondo brulica dei risultati dell’attività intellettuale e del
declino spirituale. Alla metà della quarta ronda viene oltrepassato il punto polare dei sette
periodi del mondo. A partire da questo punto in poi l’Io spirituale comincia la sua vera
lotta con il corpo e la mente per manifestare i propri poteri trascendenti. Nella quinta
ronda la lotta prosegue, ma le facoltà trascendenti vengono largamente sviluppate,
nonostante la lotta tra queste (intelletto e inclinazioni fisiche) non sia meno feroce, poiché
l’intelletto della quinta ronda, come la sua spiritualità, è superiore alla quarta. Nella sesta
ronda l’umanità raggiunge un grado di perfezione di corpo e di anima, di intelletto e di
spiritualità, del quale nessun mortale dei nostri giorni può farsi un’idea. Saggezza e bontà
supreme combinate intimamente e illuminazione trascendente, mai viste o pensate al
mondo, caratterizzeranno l’umanità di quest’ epoca. Queste facoltà, che ora sono il dono
più raro che può offrire il fiore della nostra generazione, e che a coloro che ne sono
straordinariamente dotati permettono di esplorare i più misteriosi recessi della natura e di
riunire la conoscenza di cui oggi vengono offerti alcuni frammenti (sia in queste pagine
che altrove) al mondo comune, proprio queste facoltà saranno allora appannaggio di tutti.
Su ciò che potrà essere la settima ronda, i maestri occulti, anche i più loquaci, serbano
assoluto silenzio. La specie umana nella settima ronda avrà un qualche cosa di così
realmente divino, che quella della quarta ronda non può prevedere nei suoi attributi.
Ogni monade individuale, durante l’occupazione umana di un pianeta, è obbligata
inevitabilmente a subirvi numerose incarnazioni. Di questo si è già parlato. Se la monade
non vive che una sola volta in ogni sottorazza, il numero totale di esistenze che dovrà
vivere durante un periodo di ronda su un pianeta sarà di 343, sette alla terza potenza. Ma
di fatto la monade si incarna due volte in ciascuna sotto razza, e anche di più, se
necessario, in incarnazioni supplementari. Per ragioni non facili a comprendersi dai non
iniziati, i possessori della scienza occulta danno difficilmente delle cifre su tali questioni
cosmogoniche, sebbene sia difficile per i non iniziati capire perché queste cifre non
debbano essere rivelate. Non siamo in grado quindi, al momento presente, di definire con
certezza la reale durata in anni del periodo di ronda. Tuttavia una concessione, che
sapranno apprezzare soltanto coloro che studiarono l’occultismo con i metodi antichi, fu
fatta per il numero di anni del periodo che ci riguarda immediatamente; e questa
concessione ha maggior valore per noi, perché ci aiuta ad illustrare un fatto interessante
collegato alla nuova fase evolutiva nella quale stiamo per entrare. Il fatto è che mentre la
terra, per esempio, è abitata dall’umanità giunta attraverso la corrente di vita alla sua
quarta ronda, ovvero al suo quarto giro della catena planetaria, possono esistere fra noi
pochi individui, pochi a confronto del numero totale, che appartengono alla quinta ronda.
Ciò però non deve farci supporre che un’unità individuale qualsiasi, in virtù di un
processo miracoloso, abbia potuto percorrere l’intera catena dei globi una volta di più dei
suoi compagni. Dalle spiegazioni date sul modo con il quale progredisce la grande
corrente dell’umanità, si comprenderà bene che ciò è impossibile. L’umanità non ha
ancora compiuto la quinta visita al pianeta che ci precede. Le monadi individuali possono
tuttavia sorpassarne altre nel senso di uno sviluppo individuale e diventare così
esattamente come sarà l’umanità al termine dell’evoluzione della quinta ronda. Questo
risultato può essere raggiunto attraverso due vie. Un uomo comune della quarta ronda
può, attraverso i processi di un’educazione occulta, convertire se stesso in un uomo che
possegga tutti gli attributi dell’uomo della quinta ronda e diventare così ciò che noi
chiamiamo un essere artificiale della quinta ronda. Ma indipendentemente dagli sforzi
fatti da un uomo nella sua presente incarnazione, egli può anche nascere alla metà della
quarta ronda, e possedere tutte le qualità che saranno appannaggio dell’uomo della
quinta, in virtù del numero totale delle sue precedenti incarnazioni.
Se stabiliamo in X il numero normale delle incarnazioni che nel corso della Natura una
monade deve attraversare su un pianeta durante il periodo di una ronda, e in Y il numero
supplementare di incarnazioni nelle quali un desiderio ardente per la vita fisica l’attrae,
avremo che 24 1/2 (X+Y) può eccedere 28X; ovvero che una monade, in tre ronde e
mezzo, può aver compiuto tante incarnazioni quante ne avrebbe compiute un’altra
monade in quattro ronde complete. Questo risultato non avrebbe potuto essere raggiunto
in meno di tre ronde e mezzo e così è solo adesso che abbiamo superato il punto mediano
dell’evoluzione su questo pianeta, ora che gli uomini della quinta ronda cominciano ad
apparire. Stando alla natura delle cose, è impossibile che una monade possa oltrepassare
le altre di più di una ronda. Buddha era veramente un uomo della sesta ronda, ma tale
questione è in rapporto con un grande mistero, che passa i limiti dei calcoli di cui ci
siamo occupati. Basterà dire, per il momento, che l’evoluzione di un Buddha è qualcosa
di più di una semplice incarnazione all’interno di una catena planetaria.
Dopo il calcolo che abbiamo fatto sul grande numero di incarnazioni di una monade
individuale è cosa importante, per prevenire falsi concetti, puntualizzare che i periodi di
tempo che intercorrono fra queste numerose incarnazioni, sono separati tra loro da
intervalli enormi. Non è possibile, come sopra si è detto, dare una cifra reale per fissare la
durata dei periodi di ronda e nemmeno per indicare in modo uguale la durata di tutti i
periodi di ronda perché nei loro limiti amplissimi hanno lunghezze le più svariate. C’è
però un fatto che ci riguarda e che hanno confermato definitivamente le più alte autorità
occulte. Questo fatto è che la presente razza umana, la quinta della quarta ronda, ha
cominciato ad evolversi un milione di anni fa, e non ne ha ancora raggiunto la fine.
Supponendo che un milione di anni sia sufficiente per costituire la vita completa della
razza14, in quante parti divideremo noi questo milione, per avere il numero esatto degli
anni da attribuirsi a ciascuna monade individuale? Ciascuna monade individuale deve far
conto di traversare più di 100 incarnazioni in una stessa razza ed è probabile che queste
incarnazioni possano giungere a più di 120; ma se diciamo che ci sono già state 120
incarnazioni per le monadi nella presente razza e che la vita media di ciascuna
incarnazione è stata di un secolo, potrebbero persino passare 12.000 anni di esistenza
oggettiva, contro i 988.000 nella sfera soggettiva, ovvero una media di oltre 8.000 anni
interposti fra ciascuna incarnazione. Certamente i tempi che separano ciascuna nascita
hanno lunghezze variabilissime, ma difficilmente possono durare meno di 1.500 anni,
lasciando naturalmente da parte il caso degli adepti, che si pongono al di fuori dell’azione
della legge ordinaria, e questo intervallo, se impossibile da accorciare, sarebbe un periodo
davvero breve tra due rinascite.
Questi calcoli devono comunque essere in un certo modo modificati da una o due
considerazioni. I casi di bambini morti durante l’infanzia sono piuttosto dissimili dai casi
di chi arriva alla maturità completa e, per le ovvie ragioni che le spiegazioni già date
suggeriscono, un bambino che muore prima di vivere abbastanza a lungo da acquisire la
responsabilità delle proprie azioni non genera nuovo karma. La monade spirituale
abbandona il corpo del bambino precisamente nelle stesse condizioni in cui entrava in
Devachan dopo la sua ultima morte. Essa non ha avuto la possibilità di servirsi del suo
nuovo strumento, che è stato rotto prima di essere accordato. Da quel momento può aver
luogo una reincarnazione immediata della monade, seguendo sempre la linea delle
vecchie attrazioni; ma la monade così reincarnata non deve identificarsi spiritualmente
con il fanciullo morto. Lo stesso deve dirsi della monade che va ad animare il corpo di
una persona apparentemente priva di coscienza. Neppure qui la monade spirituale ha
potuto accordare lo strumento, né suonarlo, così come il corpo del bambino nei primi
anni della sua infanzia. Ma questi due casi sono eccezioni che non alterano la regola
generale enunciata poco sopra e che si applica a tutte le persone che raggiungono la
maturità e che vivono la loro vita terrena o per il bene o per il male.

Annotazione
Le ultime informazioni, lo studio ovvero il confronto dei vari rami della dottrina e la
giustapposizione di altre affermazioni di cui al capitolo VII, mostrano molto chiaramente
la difficoltà di usare cifre e numeri nelle dottrine esoteriche. I numeri possono essere
degnissimi di fede purché rappresentino delle quantità medie molto ampie, ma riescono
oltremodo erronei quando si applicano a casi specifici. I periodi devachanici variano
secondo i differenti individui e dentro limiti talmente larghi, che qualsiasi regola data a
questo proposito va soggetta a uno sconcertante nugolo di eccezioni. Tanto per
cominciare, la media, cui si è accennato più sopra, è stata senza dubbio computata per gli
adulti che hanno raggiunto la piena maturità. Tra il bambino di poco tempo di vita che
non ha un periodo devachanico, e l’adulto che ne ha realizzato uno di media durata,

                                                        
14 La  vita  completa  di  una  razza  è  certamente  più  lunga  di  questa;  ma  quando  tentiamo  di  quantificare  camminiamo  su  un 
terreno delicato, poiché precisare i periodi fa parte di segreti molto profondi e pertanto gli studiosi non iniziati ("chela laici", 
per usare il termine che gli adepti hanno coniato per indicare una nuova condizione che si può incontrare), possono soltanto 
prevederlo  in  modo  imperfetto.  I  calcoli  come  quelli  di  cui  sopra  possono  essere  presi  per  buoni  in  senso  letterale  ma  non 
devono essere presi come base per altri calcoli troppo avventatamente (N. d. a.). 
dobbiamo fare attenzione a quelle persone che morendo in gioventù hanno accumulato
karma e devono perciò passare per lo stadio comune dello sviluppo spirituale, ma la cui
breve vita non ha prodotto cause che impieghino lungo tempo per dare dei risultati.
Queste persone torneranno perciò ad incarnarsi dopo un soggiorno di corrispondente
brevità nel mondo degli effetti. Lo stesso accade nelle incarnazioni artificiali che si
compiono con l’intervento diretto dei Mahatma quando un chela, che non ha ancora
acquisito il potere di controllare da se stesso la materia, viene portato indietro verso
l’incarnazione quasi subito dopo la morte, senza subire la fluttuazione della corrente delle
cause naturali. Naturalmente in tali casi si può affermare che i rapporti che il chela ha
stabilito con i Mahatma siano essi stessi cause naturali di un certo tipo, e che l’intervento
dei Mahatma, che non sono certo predisposti ad agire in modo capriccioso in questa
materia, può dirsi frutto degli sforzi della vita precedente che hanno prodotto il karma
relativo. Questi casi però sono fuori della regola generale.
Chiaramente è impossibile esporre i fatti complicati di una scienza che non ci è per nulla
familiare e che ci è stata presentata per la prima volta, con le particolarità, correlazioni,
eccezioni e sviluppi anomali, visibili dall’inizio. Dobbiamo quindi limitarci a stabilire
dapprima le regole generali e occuparci in seguito delle eccezioni; e ciò accade
particolarmente nello studio dell’occultismo, confrontato con i metodi tradizionali di
insegnamento, generalmente seguiti, che tendono ad imprimere ogni nuova idea nella
mente generandovi innanzitutto il dubbio, per dileguarlo successivamente. Esiste tuttavia
un’eccezione importante nel processo evolutivo discusso nelle pagine precedenti, della
quale mi pare non aver trattato. Il progresso della corrente umana sulla catena planetaria è
così come l’ho descritto; però da quando è stata pubblicata l’edizione originale di questo
libro, in India sono state dirette a questa impostazione alcune critiche nate dal confronto
del mio racconto storico con alcuni passaggi di altri scritti riconosciuti come provenienti
da un Mahatma. La discrepanza è data dal fatto che le altre versioni prendono in
considerazione la possibilità che una monade veramente possa aver fatto, attorno ai sette
pianeti, un viaggio in più, delle sue compagne, con le quali si sia trovata insieme sulla
terra. Al contrario il mio racconto dell’oscuramento rendeva impossibile questa
contingenza. La chiave del mistero sembra trovarsi fuori della sfera di quei fatti dei quali
gli adepti possono parlare liberamente; e il lettore dovrà ben comprendere che la
spiegazione che sto per dare è frutto della mia osservazione e del confronto che ho fatto
tra le diverse parti della dottrina, e non è un’informazione autentica ricevuta dall’autore
dei miei insegnamenti generali.
Gli oscuramenti sono così completi, da presentare tutti i fenomeni sopra descritti, se li
riferiamo ad ogni pianeta nel suo insieme, ma dobbiamo tenere presenti anche in questo
caso dei fenomeni eccezionali. La gran parte dell’umanità è spinta innanzi da un pianeta
all’altro dal grande impulso ciclico, quando giunge il momento della transizione, ma il
pianeta abbandonato non resta totalmente privo di esseri umani e nemmeno di regioni
adatte ad albergarli. Durante l’oscuramento, una piccola colonia d’uomini resta sopra
ciascun pianeta; le monadi associate a queste piccole colonie, seguendo leggi di
evoluzione differenti e oltre il campo di quelle attrazioni che governano il vortice
principale dell’umanità nel pianeta occupato dalla grande corrente di vita, passano da un
mondo all’altro, seguendo una linea che può chiamarsi il circolo interiore
dell’evoluzione, evoluzione che è molto più avanzata di quella percorsa dal resto della
razza. Quali siano le cause che occasionalmente proiettano un’anima dal mezzo del
grande vortice umano fuori dall’attrazione del pianeta occupato dalla corrente di vita, per
portarla nella Ronda Interna, è una questione sulla quale noi non possiamo formulare che
congetture assai vaghe.
Merita poi particolare attenzione la soluzione che ho osato dare come applicabile al
problema di queste Ronde Interiori, e al modo in cui il fatto naturale del quale sostengo
l’esistenza armonizzi con le dottrine molto diffuse del diluvio biblico. Quella porzione di
pianeta, che è rimasta abitabile durante l’oscuramento, corrisponderebbe all’Arca di Noè
del racconto biblico preso nel suo più largo significato simbolico. Si intende che quel
racconto debba avere anche significati meno simbolici; ma non è improbabile che i
cabalisti vi abbiano associato il significato più largo, ora suggerito. A tempo debito,
allorquando il pianeta in oscuramento si preparava a ricevere ancora una volta l’umanità,
i coloni dell’arca si sarebbero preparati a ricominciare il processo per ripopolare di nuovo
il pianeta.
VIII
IL PROGRESSO DELL’UMANITÀ

Il lettore ha potuto vedere come la Natura provveda al progresso infinito di tutte le entità
umane verso i piani più elevati dell’esistenza. Avrà anche visto che, dotando queste entità
di facoltà sempre più elevate, secondo la loro evoluzione e allargandone costantemente il
campo di attività, la Natura offre loro un’occasione sempre più favorevole di scegliere fra
il bene ed il male. Nelle prime ronde dell’umanità questo privilegio di selezione non è
pienamente sviluppato e la responsabilità dell’agire è pertanto incompleta. Le prime
ronde dell’umanità, infatti, non investono assolutamente l’Ego di responsabilità spirituali
nel senso più ampio del termine, come noi lo abbiamo definito. I periodi devachanici, che
seguono ogni esistenza oggettiva, regolano completamente la questione dei meriti e dei
demeriti di quella esistenza, e la personalità più riprovevole che l'Ego abbia potuto
sviluppare nella prima metà della sua evoluzione semplicemente non entra nel conteggio
che riguarda un impegno più ampio, mentre la stessa personalità che sbaglia paga la sua
breve pena e non crea ulteriori pensieri alla Natura. Ma la seconda metà del gran periodo
evolutivo prosegue secondo principi differenti. Le fasi dell’esistenza, che noi ora
tratteremo, non possono essere iniziate dall’Ego senza meriti positivi a suo conto e che
siano anche convenienti al nuovo sviluppo in progetto. Non è sufficiente che l’essere
dotato spiritualmente e pienamente responsabile, quale sarà l’uomo giunto a questo punto
decisivo della sua carriera, si lasci cullare pigramente dal flutto del progresso; deve
invece cominciare a nuotare con forza, se desidera progredire.
Costretti dalla complessità del soggetto a non trattare in una sola volta le sue
caratteristiche e configurazioni, la nostra indagine della Natura ha fin qui contemplato le
sette ronde dello sviluppo dell’umanità, che costituisce l’intero compito planetario di cui
ci siamo occupati, come di una serie continua, attraverso la quale il destino naturale
dell’umanità deve passare. Ma si ricorderà che l’umanità nella sesta ronda è stata
descritta come così altamente evoluta che le caratteristiche e le facoltà sublimi del più
alto adeptato saranno appannaggio di tutti, mentre nella settima ronda la razza umana
starà quasi trapassando allo stadio di divinità. Ora, ogni essere umano in questo stadio di
sviluppo sarà ancora identificato da una connessione ininterrotta con tutte le personalità
che hanno costituito quel cammino di vita dall’inizio del grande processo evolutivo. È
quindi concepibile che il carattere di tali personalità non debba avere precisi effetti col
trascorrere del tempo? E che due esseri simili a Dio possano trovarsi a fianco l’uno
dell’altro nella settima ronda, l’uno proveniente da una lunga serie di esistenze senza
colpa e dedicate al servizio, e il secondo da una serie ugualmente lunga di vite malvagie e
servili? Questo non può sicuramente accadere e dobbiamo invece chiederci come si
possono preservare le congruenze della Natura, compatibilmente con l’evoluzione
dell’umanità verso le più alte forme di esistenza che coronano l’edificio.
Come un bambino non è responsabile delle proprie azioni, così le prime razze non sono
responsabili delle loro. Arriva il momento del completo sviluppo delle facoltà che
rendono capace l’individuo di scegliere tra il bene e il male nella singola vita con cui ha a
che fare in quel determinato momento, e che fanno sì che l’Ego immortale prenda la sua
decisione finale. Quel periodo lunghissimo (la Natura non ha fretta di intrappolare le sue
creature in tal modo) deve ancora incominciare, e ci sarà un periodo di ronda completo
attorno ai sette globi prima che questo processo sia compiuto. Fino a quando non si sarà
passata la metà del quinto periodo su questa terra, la grande questione, essere o non
essere per il futuro, non verrà risolta. Stiamo venendo ora in possesso di quelle facoltà
che renderanno l’uomo pienamente responsabile, ma dobbiamo ancora impiegare queste
facoltà durante la maturità del nostro ego, nel modo che definirà le grandi conseguenze
future.
È durante la prima metà della quinta ronda che questa lotta avrà luogo. Fino ad allora il
corso ordinario della vita può rappresentare una buona o cattiva preparazione alla lotta,
ma non è la lotta stessa. Ci resta ora da esaminare la natura della lotta, che finora
abbiamo definito semplicemente come una scelta fra bene e male. La definizione non è
poco accurata ma senz’altro incompleta.
Ciò che dobbiamo ora studiare è il fenomeno del conflitto ricorrente e sempre minaccioso
fra intelletto e spiritualità. Le concezioni comuni che queste due parole denotano devono
naturalmente essere allargate prima di comprenderne il significato occulto. Secondo il
modo di pensare europeo, la rappresentazione mentale della spiritualità è nient’altro che
una caricatura; la spiritualità viene vista più come un attributo del carattere che della
mente stessa: una pallida idea di spiritualità nata da un attaccamento ipocrita al
cerimoniale religioso e da aspirazioni devote, non importa a quali nozioni bizzarre di
Cielo e Divinità sia stata edotta la persona "di mente sPirituale". La spiritualità, in senso
occulto, ha poco o nulla a che vedere con queste devozioni sentimentali; ha invece a che
fare con la capacità della mente di assorbire la conoscenza alla fonte originaria della
conoscenza stessa, dell’assoluta conoscenza, senza bisogno di processi di raziocinio
laboriosi e contorti.
Lo sviluppo del puro intelletto, della facoltà di raziocinio, è l’attività delle nazioni
europee da moltissimo tempo e in questo campo del progresso umano hanno raggiunto
trionfi tali che nulla nella filosofia occulta sarà meno accettabile agli stessi europei delle
teorie occulte sull’intelletto e sulla spiritualità, mentre le idee rischiose vengono
comprese in modo imperfetto; questo però non verrà tanto dall’ingiustificata tendenza
della scienza occulta a non considerare abbastanza l’intelletto, quanto dal non essere la
spiritualità tenuta nel debito conto dalla moderna speculazione occidentale. Parlando in
generale, la filosofia occidentale non ha avuto l’opportunità di apprezzare la spiritualità; e
non ha potuto conoscere la portata delle facoltà interiori dell’uomo, ma si è
semplicemente mossa a tentoni in direzione della credenza che esistessero queste facoltà
interiori e Kant15 stesso, il più grande esponente moderno di questa idea, ha affermato che
esiste una facoltà intuitiva, se solo sappiamo come usarla.
Il coltivare la spiritualità ed il dare i mezzi per servirsene, è la scienza occulta nel suo
aspetto più elevato. Il lavoro riguardante il semplice potere sulle forze della Natura,
l’investigare su alcuni dei suoi segreti più sottili riguardo i principi interiori che
controllano i risultati fisici ed esteriori, è la scienza occulta nel suo aspetto più basso, e in
quella regione inferiore della sua attività la semplice scienza fisica può, e deve,
gradualmente imbattersi. Ma l’acquisizione attraverso il semplice intelletto, la scienza
fisica in excelsis, dei privilegi che sono propri della spiritualità, è uno dei pericoli di
questa lotta che decide sul destino finale dell’ego umano. E questo perché c’è un aspetto
che anche i processi intellettuali più perfetti non possono aiutare in alcun modo l’umanità

                                                        
15 IMMANUEL KANT, 1724-1804, è stato uno dei maggiori filosofi moderni, grazie alla sua innovativa metodologia in tema di
gnoseologia, fondata sul criticismo.
a realizzare, ovvero la supremazia dell’esistenza spirituale. Al contrario l’intelletto è il
prodotto di cause fisiche, della perfezione del cervello fisico, e non tende che a risultati
puramente fisici, al perfezionamento del benessere materiale. Sebbene l’intelletto
moderno, facendo una concessione al '”fratello debole" e alla "religione" che guarda con
disprezzo bonario, non condanni la spiritualità, certamente considera però la vita fisica
dell’uomo come l’unico affare serio di cui si debbano occupare uomini seri e filantropi
onesti. Ma ovviamente, se l’esistenza spirituale, coscienza vivida e soggettiva, realmente
procede per periodi più grandi di quelli dell’esistenza fisica nella ragione, come abbiamo
visto nell’esporre le condizioni devachaniche, nella proporzione di 80 ad l, risulterà
evidente che l’esistenza soggettiva dell’uomo è più importante della sua esistenza fisica e
che l’intelletto si inganna completamente, quando tutti i suoi sforzi tendono soltanto al
miglioramento dell’esistenza fisica.
Queste considerazioni mostrano come la scelta tra il bene e il male, che viene fatta
dall’Ego umano nel corso della grande lotta tra intelletto e spiritualità, non è una
semplice scelta tra idee apertamente in contrasto come vizio e virtù. Se l’uomo sia
virtuoso o vizioso non è una questione tanto approssimativa come quella che deve
davvero decidere, al termine del punto di svolta critico, se l’uomo debba continuare a
vivere ed evolversi in più alte fasi di esistenza, o cessare di vivere. La verità
sull’argomento è (se non è imprudente a questo punto del nostro progresso svelare un
nuovo mistero) che la questione, essere o non essere, non viene pareggiata dal riferimento
al fatto se un uomo sia vizioso o virtuoso del tutto. Alla fine si vedrà che deve esserci una
spiritualità cattiva come una spiritualità buona. Così la grande questione della continuità
delle esistenze si volge al problema della spiritualità in contrasto con la fisicità. Il punto
non è: vivrà l’uomo? È abbastanza buono perché gli venga permesso di vivere ancora?
Ma piuttosto: può l’uomo vivere ancora nei più elevati livelli di esistenza nei quali
l’umanità deve alla fine evolversi? Si è qualificato per vivere tramite la cura della parte
durevole della sua natura? Se non è così, l’uomo ha raggiunto il termine della sua catena
di vite.
Non bisogna credere in modo affrettato che la filosofia occulta consideri il vizio e la virtù
privi di conseguenze sul destino spirituale dell’umanità, non accorgendosi che in Natura
queste caratteristiche determinano il definitivo progresso evolutivo. Nessun sistema è
così duramente inflessibile per quello che riguarda la moralità come quello che la
filosofia occulta esamina ed interpreta. Ma ciò che il vizio e la virtù determinano sono la
felicità e l’infelicità, non il problema finale della continuità dell’esistenza, oltre quel
distante periodo incommensurabile quando nel progresso evolutivo l’uomo inizia a
diventare più di un uomo, e non può procedere lungo il sentiero del progresso con l’aiuto
soltanto degli attributi umani relativamente inferiori. È difficile immaginare che la virtù
in ogni suo grado non riesca a generare, a tempo debito, i più alti attributi richiesti, ma da
un punto di vista scientifico non è corretto parlare della virtù come causa del progresso
negli ultimi stadi dell’elevazione, sebbene essa provochi lo sviluppo di ciò che è la causa
del progresso.
Questa considerazione, cioè che il progresso ultimo è determinato dalla spiritualità a
prescindere dalle sue sfumature morali, è il grande significato della dottrina occulta nella
frase "Essere immortale nel bene equivale a identificarsi con Dio ed essere immortale nel
male vuol dire identificarsi con Satana. Ecco i due poli del mondo delle anime, fra i quali
vegeta e muore la porzione inutile dell'umanità" (Eliphas Lévi)16. L’enigma, come tutte
le formule occulte, ha un’applicazione minore (che si adatta sia al microcosmo che al
macrocosmo) e nel piccolo significato si riferisce al Devachan o Avitchi e al destino
vuoto di personalità sbiadite; ma nel suo significato più grande si riferisce alla selezione
finale degli uomini, che avrà luogo alla metà della grande quinta ronda,
all’annientamento degli Ego totalmente non spirituali e al passaggio degli altri che
continuano nel loro progresso a divenire immortali nel bene o immortali nel male. Questo
significato lo ritroviamo preciso nell’ Apocalisse (3, 1516): "Conosco le tue opere: tu
non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei
cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca “.
La spiritualità non è quindi un’aspirazione devota: è la più alta specie di intelletto che
prende coscienza del lavoro della Natura per diretta assimilazione della mente e dei più
alti principi. L’obiezione che l’intelligenza fisica porterà contro questo punto di vista è
che la mente non può conoscere nulla se non per diretta osservazione dei fenomeni e
delle loro conseguenze. Quello è l’errore, e l’esistenza della scienza occulta ne è la prova
più alta. Ma ci sono piccoli indizi intorno a noi che vanno nella direzione di tale prova, se
avessimo solo la pazienza di esaminarne la vera portata. Ciò malgrado è ozioso parlare a
proposito dei fenomeni di chiaroveggenza, grossolani e imperfetti ma tuttavia presentatisi
all’attenzione del mondo, che non ci sono altre vie per la consapevolezza oltre ai cinque
sensi. Certamente nel mondo ordinario la facoltà della chiaroveggenza è rara ma indica
l’esistenza nell’uomo di una facoltà potenziale, la natura della quale, come si è visto dalle
sue manifestazioni più lievi, deve ovviamente essere capace, nel suo più elevato sviluppo,
di condurre ad una diretta assimilazione della conoscenza indipendentemente
dall’osservazione.
Una delle difficoltà maggiori che si presentano nell’esporre la dottrina esoterica con un
linguaggio diretto è dovuta al fatto che l’intuizione spirituale, all’infuori dei procedimenti
ordinari con i quali si acquisisce la conoscenza, è una grande e importante possibilità
della natura umana. È con questo metodo che nel corso regolare dell’educazione occulta
gli adepti impartiscono istruzioni ai loro allievi. Risvegliano in essi il senso assopito e per
mezzo di questo riempiono la loro mente di una conoscenza secondo cui questa o quella
dottrina è la verità. L’intero schema dell’evoluzione, che abbiamo provato a descrivere il
più chiaramente possibile nei precedenti capitoli, si riflette nella mente del chela regolare
poiché gli viene fatto vedere il processo esplicarsi tramite la visione chiaroveggente.
Nella loro istruzione non si fa uso di parole. Gli stessi adepti, ai quali i fatti e i
procedimenti della Natura sono altrettanto familiari quanto familiari ai nostri sensi sono
le cinque dita della mano, trovano difficilissimo spiegare in un trattato l’anatomia
completa del sistema planetario, non potendo ricorrere al loro metodo ordinario, che
consiste nella produzione di immagini mentali nel nostro sesto senso ancora
addormentato.
Certamente non ci si deve aspettare che l’umanità sia cosciente di possedere il sesto
senso, poiché il momento non è ancora giunto. Si è detto che ogni ronda è destinata a
perfezionare nell’uomo il principio corrispondente al suo ordine numerico e la sua
preparazione all’assimilazione nella ronda seguente. Nelle prime ronde l’uomo è stato

                                                        
16 ELIPHAS LÉVI (Parigi 1810-1875), il cui nome anagrafico era Alphonse Louis Constant, fu uno dei maggiori
occultisti dell'Ottocento, con una spiccata propensione per la magia, su cui scrisse anche un volume dedicato alla storia (N. d. c.). 
descritto come un essere dalle forme indistinte, poco organizzate e non intelligenti. Il
primo principio, il corpo, era sviluppato ma cresceva avvezzo solo alla vitalità ed era
dissimile da qualsiasi altra cosa che noi ci possiamo raffigurare. La quarta ronda, quella
in cui ci troviamo, è la ronda in cui il quarto principio, Volontà e Desiderio, è pienamente
sviluppato e nel quale questo lavora per assimilarsi al quinto, Ragione e Intelligenza.
Nella quinta ronda, la ragione, l’intelletto, o l’anima completamente sviluppata nella
quale ora risiede l’Ego, devono assimilarsi spiritualmente al sesto principio, o rinunciare
all’esistenza.
Tutti i lettori della filosofia buddhista hanno familiarità con le affermazioni che si
riferiscono all’unione dell’anima dell'Arhat con Dio. Questa unione, in altre parole, è lo
sviluppo prematuro del sesto principio nell’Arhat. L’adepto forza se stesso, attraverso
tutti gli ostacoli che impediscono questa operazione all’uomo della quarta ronda, a
procedere verso quello stadio di evoluzione che il resto dell’umanità attende, o che
raggiungerà nel corso ordinario della Natura nell’ultima parte della quinta ronda. E nel
fare questo vedremo l’adepto superare quel punto pericoloso che segna il mezzo della
quinta ronda. Questa è la meravigliosa acquisizione dell’adepto per quanto riguarda il
proprio interesse personale. Egli ha raggiunto la riva del mare più lontana, nella quale
moriranno così tanti uomini. E là attende l’arrivo dei suoi futuri compagni, in una gioia
che la gente non può immaginare se non ha qualche bagliore di spiritualità, di sesto
senso. Egli non attende nel suo corpo fisico (mi affretto a sottolinearlo per non essere
frainteso), avendo ottenuto il privilegio di deporlo, ma in una condizione spirituale che
sarebbe follia il provare a descrivere, così come lo stesso stato devachanico, che è una
delle condizioni ordinarie per le quali passa l’umanità, non può essere compreso da
intelligenze che non siano educate allo studio delle scienze spirituali.
Ma torniamo al corso ordinario dell’umanità e allo sviluppo nella sesta ronda. Si
osserverà che il corso ordinario della Natura è quello in cui gli uomini e le donne non
diventano adepti in un qualche stadio prematuro del loro cammino, come il grano che
viene seminato in un terreno fertile sviluppandosi in spiga. Così come una grande
quantità di semi di grano non dà frutto, una grande quantità di Ego umani non supererà
mai le prove della quinta ronda. Lo sforzo finale della Natura nell’evolvere l’uomo è di
sviluppare in lui un essere incommensurabilmente più elevato, che possa divenire agente
cosciente; ovvero un essere che divenga, a sua volta, un principio creatore nella Natura
stessa. Il primo risultato è di sviluppare la libera volontà, il secondo è di perpetuare
questa libera volontà inducendola ad unirsi spontaneamente allo scopo finale della
Natura, che è il bene. Nel corso di questa operazione non si può evitare che un buon
numero di queste libere volontà si rivolga al male, e dopo aver prodotto sofferenze
temporanee, si disperda e si annulli. Inoltre, lo scopo finale può essere raggiunto soltanto
con un grande dispendio di materiale. Lo stesso fatto si può osservare nei gradi più bassi
dell’ evoluzione: il primo vegetale produce un migliaio di semi nella speranza che
qualcuno almeno fra tanti vada a svilupparsi per dare origine ad una nuova pianta. Allo
stesso modo i germi di questa Volontà divina sono seminati nel cuore dell’uomo con
tanta abbondanza, quanta la profusione con cui la pianta madre getta al vento i suoi semi.
Sarebbe giusto incolpare la Natura, perché molti di questi semi muoiono senza aver dato
frutto? Una tale idea non può che venire alla mente di coloro che non vogliono osservare
l’ampio seno di questa Natura, la quale a tutti i germi che ne escono offre il posto
necessario per svilupparsi comodamente, e per estendersi di più o di meno. Se a qualcuno
sembrerà orribile che un’ "anima immortale" possa in certi casi morire, ciò dipende dalla
pericolosa abitudine di considerare eternità tutto ciò che non è la nostra microscopica
vita. C’è un luogo nelle sfere soggettive, e un tempo nella catena dei Manvantara, prima
ancora di avvicinarci al periodo dei Dhyan Chohan, o tempo di Dio, talmente grande che
con il nostro modo di calcolare possiamo considerare come l’immortalità. Ogni buona
azione compiuta, ogni impulso elevato sentito da uomini e donne, deve ripercuotersi
attraverso eoni di esistenza spirituale, se l’entità umana coinvolta è pronta o no a
espandersi nello stato sublime e divino della settima ronda. Ed è al di fuori delle cause
generate in una delle nostre brevi vite sulla terra, che la speculazione exoterica considera
se stessa capace di costruire risultati eterni! All’infuori della settecentesima o
ottocentesima parte della nostra vita oggettiva sulla terra durante il presente soggiorno
dell’onda di vita evolutiva, noi dobbiamo aspettarci che la Natura discerna una ragione
sufficiente per decidere del nostro completo cammino successivo. In verità, la Natura
opererà una tale remunerazione a fronte di un piccolo dispendio di potere di volontà
umana nella giusta direzione che, per quanto bizzarro sembri questo principio, se
applicato alle vite ordinarie, una sola breve esistenza può qualche volta essere sufficiente
per anticipare la crescita di miliardi di anni. L’adepto può eccezionalmente guadagnare
questo avanzamento in una vita terrestre (in pratica penso che raramente venga raggiunto
in una vita; ci si può forse avvicinare in due o tre incarnazioni artificiali) così da rendere
certo lo sviluppo successivo; ma il germe che produce un adepto nella nostra vita deve
essere prima di tutto perfetto; ed i suoi primi sviluppi devono avvenire nelle condizioni
più favorevoli, e con uno sforzo da parte dell’uomo stesso, concentrato nel corso della
vita e più intenso e più arduo di quanto un non iniziato possa immaginare. Nei casi
ordinari la vita trascorre fra gioie materiali ed aspirazioni spirituali e queste ultime,
soltanto se spontanee e splendide, possono produrre un doppio risultato; la ricompensa
spirituale nel Devachan, e una nuova nascita sulla terra. Il modo con il quale l’adepto
cerca di superare la necessità di reincarnarsi è perfettamente scientifico e semplice,
sebbene possa sembrare un mistero teologico quando è esposto negli scritti exoterici in
riferimento a Karma, Skanda, TT!ja, Ta1J,ha e così via. La vita terrena, che succede
immediatamente all’esistenza spirituale del Devachan, è una conseguenza delle affinità
generate dal quinto principio, l’anima umana imperitura, come le esperienze
devachaniche, che precedono il ritorno alla vita terrena, sono la conseguenza dei pensieri
e delle aspirazioni di carattere elevato che la persona coinvolta ha creato durante la vita.
Cioè, le affinità generate nei casi ordinari della vita sono in parte materiali e in parte
spirituali. Queste affinità danno inizio all’anima al suo ingresso nel mondo degli effetti
con una duplice serie di attrazioni legate all’anima stessa, delle quali una serie produrrà le
conseguenze soggettive nella vita devachanica, e l’altra si riattiverà al termine di quella
vita, sospingendo l’anima in una nuova incarnazione. Ma se una persona nella sua vita
oggettiva non sviluppa affinità alcuna per l’esistenza materiale; se la sua anima muore
con tutte le sue attrazioni tese in un’unica direzione di spiritualità, senza altro che la
richiami alla vita oggettiva, l’anima non ritornerà più sulla terra e salirà in una condizione
di spiritualità che corrisponde all’intensità delle attrazioni o affinità tese in quel senso, e
l’altra connessione si spezzerà.
Questa spiegazione non esaurisce completamente l’intera posizione, perché l’adepto
stesso, per quanto elevato, potrà tuttavia tornare a reincarnarsi, dopo che il resto
dell’umanità avrà oltrepassato il punto di divisione del grande periodo della quinta ronda.
Fino a quando l’esaltazione dello Spirito Planetario non sia stata raggiunta, la più alta
anima umana non potrà fare a meno di provare una certa affinità per questa terra, ma non
per la vita terrena dei piaceri e delle gioie fisiche che noi sperimentiamo. Il punto
importante da capire riguardo alle conseguenze spirituali della vita terrena è che, nella
stragrande maggioranza dei casi (le eccezioni sono talmente rare, che possono benissimo
venir trascurate), il senso di giustizia riguardo al destino degli uomini retti viene
ampiamente soddisfatto dal corso della Natura, passo dopo passo, man mano che il tempo
avanza. La vita-spirito è sempre pronta a ricevere e a ristorare l’anima dopo le lotte, i
progressi e le sofferenze dell’incarnazione. Inoltre, mettendo da parte la questione
dell’eternità, la Natura prepara per tutta l’umanità, eccetto per quegli sfortunati che hanno
perseverato sul cammino del male, nei periodi interciclici all’apice di ogni ronda, dei
grandi intervalli di beatitudine, più lunghi ed elevati, nel loro carattere, dei periodi
devachanici di ogni vita separata. La Natura, infatti, è incredibilmente liberale e paziente
nei confronti di ognuno dei candidati all’esame finale durante la sua lunga preparazione.
Viene data la possibilità di ritentare l’esame a chiunque fallisca una prima volta, a meno
che questi non sia completamente disgraziato.
Una spiegazione dettagliata del modo con il quale si compie questa attesa, non può
trovare posto in questo breve trattato. Non si deve però supporre che i candidati al
progresso, che si sono accusati della loro incapacità di procedere al punto critico della
quinta ronda, cadano necessariamente nella sfera dell’annullamento. Questo perché,
affinché questa attrazione possa affermarsi, è necessario che l’Ego abbia sviluppato
un’attrazione assoluta per la materia, e una repulsione ugualmente assoluta per la
spiritualità e tale che infine riesca a vincere quest’ultima. In assenza di queste affinità,
che da sole possono attirare l’Ego nel fondo dell’abisso, il destino che incontra i semplici
fallimenti della Natura per quanto concerne il presente Manvantara planetario deve
morire, come dice Eliphas Lévi, senza ricordo. Queste individualità hanno vissuto la loro
vita, e dopo ogni vita hanno avuto la loro parte di Cielo, ma non sono capaci di ascendere
alle meravigliose altezze del progresso spirituale e poi affrontarle. Queste individualità
hanno i requisiti per la successiva incarnazione su piani d’esistenza per i quali sono già
abituate. Però fino a che questi piani di esistenza non entreranno in attività nel prossimo
Manvantara planetario, queste individualità dovranno attendere nello stato che hanno
potuto raggiungere; lo stato cioè di spiritualità negativa. La durata di questa attesa
sorpassa i limiti della nostra immaginazione, e non ci è dato formarci un giusto criterio
della precisa natura dell’esistenza di cui stiamo parlando; però l’ampio cammino
attraverso quella strana regione di semi-animazione onirica deve essere considerato al
fine di percepire la simmetria e la completezza dell’intero schema evolutivo.
Tenuto conto di questa ultima contingenza, il lettore potrà avere sottomano l’intero
schema nelle sue linee generali con una certa completezza. Abbiamo visto la vita una, lo
spirito, animare la materia fin dalle sue forme più basse, e svilupparle gradatamente in
forme sempre più elevate. Infine, individualizzarsi nell’uomo, proseguire il suo lavoro
attraverso incarnazioni inferiori e irresponsabili, fino a penetrare i principi più elevati, ed
evolvere una vera anima umana, che da questo punto in poi diventa padrona del proprio
destino, anche se protetta all’inizio da difese naturali nei confronti di un naufragio
prematuro e che la stimoli e la rinvigorisca nel suo corso. Ma il destino finale offerto a
quell’anima è di evolvere non solo in un essere che sappia prendersi cura di se stesso, ma
anche degli altri, presiedendo e dirigendo le operazioni della Natura, tenendosi però
sempre entro i limiti delle leggi costituzionali. È cosa evidente che l’anima, prima di
essere promossa ad un tal grado, debba essere messa alla prova nell’avere un pieno
controllo di se stessa. Quel pieno controllo necessariamente porta il potere di naufragare.
La salvaguardia posta attorno all’ Ego durante la sua giovinezza, la sua incapacità ad
entrare negli stadi più alti o più bassi di quelli del Devachan e dell’Avitchi
"intramondani", si esaurisce con la sua maturità. È diventato potente sul proprio destino,
non solamente per quel che riguarda le sofferenze passeggere o le gioie transitorie, ma
anche nei confronti delle opportunità straordinarie in entrambe le direzioni che l’esistenza
gli apre. In due modi l’Ego può mettere a profitto le alte opportunità che trova sulla sua
strada, e in due modi può impegnare le nuove lotte: o raggiungendo la sublime spiritualità
nel bene o conquistando la sublime spiritualità nel male. L’Ego può anche scegliere di
allearsi irrevocabilmente alla materia (non al male ma per il male) e provocare così il
proprio annullamento; o anche allearsi (non al bene ma per il bene) con l’idea di tornare e
subire, più tardi, il processo educativo delle incarnazioni.

Annotazione
Lo stato in cui si riducono le monadi che non sono riuscite a passare nella seconda metà
della quinta ronda, mentre la corrente dell’evoluzione passa sopra di esse e le lascia per
così dire sulla spiaggia del tempo, non è stato descritto interamente in questo capitolo. In
poche parole, è stato solo detto che le monadi arretrate, in ciascun Manvantara, non
vengono assolutamente annientate una volta raggiunta "la fine della loro catena", ma
sono destinate, dopo un periodo di attesa enormemente lungo, a rientrare ancora nella
corrente dell’evoluzione. Da ciò possono trarsi alcune deduzioni. Questo periodo di attesa
che le monadi arretrate devono così subire è di durata tale da sbigottire l’immaginazione.
L’ultima metà della quinta ronda, tutta la sesta e la settima, devono essere compiute
attraverso gradi successivi di spiritualità, e le ultime ronde sono di durata immensamente
superiore a quelle del periodo di mezzo. A queste ronde dovrà poi succedere l’intervallo
lunghissimo del riposo nirvanico che chiude il Manvantara, la smisurata Notte di
Brahma, il Pralaya di tutta la catena planetaria. Soltanto all’inizio del Manvantara
seguente, quelle monadi si sveglieranno dalla terribile trance, terribile per
l’immaginazione degli esseri nella pienezza della loro attività vitale, anche se tale trance,
essendo priva di coscienza, non sarà più fastidiosa di una notte senza sogni nella memoria
di colui che dorme profondamente. Il destino di queste monadi può essere più triste in
primo luogo per quello che perdono, piuttosto che non per quello in cui possono
incorrere. In secondo luogo, è più triste per i risultati che comporta perché le monadi
risvegliate dovranno passare di nuovo per tutte le tribolazioni della vita fisica, e per un
numero quasi infinito di incarnazioni; mentre gli esseri perfetti, che le sorpassarono
nell’evoluzione della quinta ronda in cui esse rimasero indietro, saranno cresciuti nella
perfezione divina dei Dhyan Chohan durante il loro stato di trance, e diventeranno i geni
che presiederanno al seguente Manvantara. Lasciando da parte tutto ciò che può riferirsi
all’interesse personale delle entità in questione, l’esistenza dei fallimenti in Natura,
all’inizio di ogni Manvantara, è un fatto che contribuisce in grado altissimo alla
spiegazione del sistema dell’evoluzione. Quando una catena planetaria si evolve per la
prima volta dal caos, non esistono monadi arretrate (se mi è lecito usare l’espressione,
"per la prima volta”, in senso limitato, mentre la frase, "al principio di ogni
Manvantara", è un semplice modo di dire, che può applicarsi ad un periodo qualunque
dell’eternità). Allora la discesa dello spirito nella materia, attraverso il regno elementale,
minerale e gli altri, prosegue nel modo descritto nei primi capitoli di questo libro. Ma dal
secondo Manvantara di una catena planetaria, e mentre dura l’attività del sistema solare,
che fornisce altri Manvantara simili, il corso degli eventi cambia alquanto; esso diviene
più facile, se mi è permesso usare un’espressione più adatta allo stile familiare che a
quello strettamente scientifico. In ogni modo riesce più veloce, poiché le entità umane
esistono già pronte ad incarnarsi non appena il mondo, che esiste anch’esso, si trovi nello
stato di riceverle. La verità dunque sta in questo: dopo il primo Manvantara di una catena
planetaria enormemente più lungo dei successivi - nessuna entità evoluta dai regni
inferiori può fare altro che raggiungere la soglia del regno umano. Le ultime entità
arretrate, ed eventualmente quelle entità animali già differenziate, si incarneranno. Ma
paragonate ad alcune affermazioni della Dottrina Esoterica, che tratta dell’attuale
evoluzione della nostra razza, queste considerazioni, che si riferiscono ai primi periodi
dell’evoluzione del mondo, non hanno più che un interesse semplicemente intellettuale e
non possono essere fin qui molto ampliate da un mio qualsiasi contributo.
IX
BUDDHA

Il Buddha storico, così come è conosciuto ai custodi della dottrina esoterica, è un


personaggio la cui nascita non ha nulla di quel prodigio di cui la leggenda popolare l’ha
circondata, e nemmeno il suo progresso nell’adeptato fu contrassegnato dalle lotte
soprannaturali, prese alla lettera, descritte nella leggenda simbolica. Tuttavia
l’incarnazione, che apparentemente può essere descritta come la nascita del Buddha, non
è considerata certamente dalla scienza occulta come una nascita ordinaria, ma nemmeno
lo sviluppo spirituale, attraverso il quale Buddha è passato durante la sua vita terrena, è
considerato dalla stessa scienza occulta come un semplice fatto di progresso intellettuale
al pari di quello di ogni altro filosofo. L’errore nel quale generalmente incappa lo
scrittore europeo, che si occupa di tali questioni, sta nella sua tendenza a scorgere sempre
nella leggenda esoterica la registrazione di un miracolo del quale nulla di più si può dire,
o un puro mito che crea una fantasiosa decorazione ad una vita importante. Questa, per
quanto importante, si suppone che debba essere vissuta, in accordo alle teorie della
Natura oggi accettate, a partire dal XIX secolo. Gli studi fatti nei capitoli precedenti ci
aiuteranno a comprendere ciò che la dottrina esoterica insegna sul vero Buddha che
nacque, come i moderni ricercatori hanno confermato, nel 643 a. C. a Kapilavastu, presso
Benares.17
I concetti exoterici, nell’ignoranza delle leggi che governano la natura nei suoi piani
superiori, possono spiegare una dignità anomala che si unisce ad una nascita particolare,
soltanto supponendo che il corpo fisico della persona in questione sia generato in un
modo straordinario. Da qui deriva la credenza popolare che l’incarnazione del Buddha su
questa terra sia stata dovuta ad un’immacolata concezione. La scienza occulta non
conosce altro procedimento, per la generazione di un corpo fisico diverso, da quello
prescritto dalle leggi fisiche. Ma la scienza occulta tratta molto bene ciò che concerne i
limiti entro i quali la progressiva "vita una" o "monade spirituale", o filo continuo di una
serie di incarnazioni, può scegliere un ben definito corpo di bambino per suo indumento
umano. Nel corso ordinario della vita, questa scelta viene fatta dalle azioni del karma, e
inconsciamente dall’Ego spirituale fino a che riemerge dal Devachan. Ma in quei casi
anomali in cui la Vita Una ha già spinto se stessa nel sesto principio (ovvero dove un
uomo diventa adepto e ha il potere di guidare il proprio Ego spirituale in piena
consapevolezza riguardo a ciò che egli è, dopo aver lasciato il corpo nel quale ha
raggiunto l’adeptato in modo temporaneo o permanente), è completamente nel potere
dell’adepto scegliere la propria successiva incarnazione. Anzi, durante la vita l’adepto si
trova al di sopra delle attrazioni devachaniche. Diventa uno dei poteri direttivi consci del
sistema planetario al quale appartiene; e per quanto grande sia il mistero di
un’incarnazione effettuata per scelta, rimane un fenomeno non limitato allo straordinario
avvenimento della nascita di un Buddha. Questo è un fenomeno frequente fra gli adepti
più elevati anche ai giorni nostri; e mentre in oriente la mitologia popolare è sia

                                                        
17 Gli storici e gli studiosi moderni fanno risalire la nascita del Buddha chiamato Siddhartha ("colui che ha raggiunto lo scopo') il cui
nome di famiglia era Gautarna, al 566 a. C. circa, nel parco di Lumbini non lontano da Kapilavatthu (Kapilavastu), nell'attuale Terai,
fra l'India e il Nepa!. Numerose scuole buddhiste collocano in date differenti la na~cita del Buddha. La data qui citata è anche quella
riportata da H.S. Olcott nel suo Catechismo Buddhista recentemente ripubblicato da Edizioni Teosofiche Italiane (N. d. c.).
puramente fittizia che interamente simbolica, le reincarnazioni del Dalai Lama e del
Teshu Lama18 nel Tibet, che i viaggiatori deridono per mancanza di quella conoscenza
che potrebbe renderli capaci di discernere fatti e fantasie, è semplicemente un’operazione
scientifica. In questi casi, l’adepto stabilisce anticipatamente il momento, il luogo e il
corpo del bambino nel quale dovrà reincarnarsi; e raramente si inganna. Diciamo
raramente perché ci sono incidenti di natura fisica dai quali non si può essere del tutto
preservati; e non è assolutamente certo che, nonostante tutte le precauzioni, anche un
adepto possa influire sulla materia, e che il bambino che lui ha scelto di diventare, nel suo
stato reincarnato, possa raggiungere con successo la maturità fisica. Nel corpo, egli è
relativamente senza difesa. Uscito dal corpo, egli ritorna quel che era al momento in cui
divenne adepto; ma riguardo al nuovo corpo in cui ha deciso di abitare, egli dovrà
lasciare che esso si sviluppi secondo il corso ordinario della Natura e dovrà educarlo con
i mezzi comuni, e iniziarlo al regolare metodo occulto per l’adeptato prima che possa
essere ancora del tutto pronto a lavorare alle opere occulte sul piano fisico. È vero però
che tutti questi sistemi sono immensamente semplificati dalla peculiare forza spirituale
che opera all’interno; ma è anche vero che, sulle prime, l’anima dell’adepto si trova
imprigionata in questo corpo di bambino e a disagio, come la comune immaginazione
potrebbe suggerire. La situazione verrebbe molto fraintesa, se il lettore pensasse che una
reincarnazione simile a quella da noi descritta sia un privilegio che gli adepti ricercano
con piacere.
La nascita del Buddha fu un mistero analogo e, alla luce di ciò che è stato detto, sarà
facile passare oltre la storia popolare della sua origine miracolosa e rintracciare i
riferimenti ai fatti simbolici persino nelle favole più grottesche. Nessuno, ad esempio,
può affermare, come allusione ad un fatto scientifico, che Buddha sia entrato nel fianco di
sua madre sotto forma di un giovane elefante bianco. Ma l’elefante bianco, essendo il più
bello e il più raro individuo della sua specie, è semplicemente il simbolo dell’adeptato.
Altre leggende sulla nascita sottolineano il fatto che il corpo del futuro bambino era stato
scelto come dimora di un grande spirito già dotato di saggezza e bontà superiori. Indra e
Brahma vennero a omaggiare il bambino appena nato, ovvero i poteri della Natura erano
già sottomessi allo Spirito in lui. I trentadue segni di un Buddha, che le leggende
descrivono con un simbolismo fisico assurdo, rappresentano semplicemente i vari poteri
dell’adeptato.
La scelta del corpo conosciuto sotto il nome di Siddhartha e più tardi, di Gautama, figlio
di Suddhodana di Kapilavastu, quale dimora umana di uno spirito illuminato, che subiva
una nuova incarnazione allo scopo di impartire insegnamenti all’umanità, non fu uno di
quei rari fallimenti di cui abbiamo parlato prima. Al contrario, fu una scelta felice sotto
ogni aspetto e nulla interferì con la realizzazione dell’adeptato da parte del Buddha nel
suo nuovo corpo. La narrazione popolare delle sue tentazioni e delle sue lotte ascetiche e
del suo raggiungimento finale dello stato di Buddha sotto l’albero Bo, non è altro che la
versione exoterica della sua iniziazione.

                                                        
18 Il TESHU LAMA, letteralmente "il grande oceano o istruttore di saggezza" è chiamato anche Panchen Lama. È un'incarnazione di
Amitabha. il ''padre''celeste di Chenresi, il che vuoi dire che egli è un Avatar di Tson-Ka-pa. De facto il Teshu Lama è secondo dopo il
Dalai Lama, chiamato "Gioiello di Maestà" ma viene definito con un appellativo decisamente più alto, cioè "Gioiello di Saggezza" (N.
d. c.).
Da quel momento in poi, il suo lavoro fu di due specie differenti; egli doveva riformare e
rivivificare i precetti morali nel popolo e la scienza degli adepti, poiché anche l’adeptato
va soggetto a variazioni cicliche e necessita di impulsi periodici. La spiegazione di questa
branca del tema, che trattiamo in termini semplici, non ha un’importanza fine a se stessa,
ma interesserà tutti gli studiosi di buddhismo exoterico per chiarire le astruse
complicazioni della dottrina del Nord.
Un Buddha visita la terra per ognuna delle sette razze del grande periodo planetario. Il
Buddha di cui ci occupiamo è il quarto della serie, ed ecco il perché viene citato per
quarto, secondo Burnouf19 nella lista di Rhys Davids; ed è citato per dimostrare, stando al
parere di Davids, che la dottrina del Nord è stata infarcita di sottigliezze metafisiche e di
assurdità che affollano la moralità semplice del buddhismo, tale quale è presentato al
popolo. Il quinto, o Maitreya Buddha, verrà dopo la scomparsa completa della quinta
razza e quando la sesta si sarà stabilita sulla terra da parecchie centinaia di migliaia di
anni. Il sesto verrà all’inizio della settima razza e il settimo al termine di questa.
Questo schema può sembrare, sulle prime, in disarmonia con il disegno generale
dell’evoluzione umana. Noi, infatti, ci troviamo nel mezzo della quinta razza e tuttavia è
il quarto Buddha che si è identificato con essa; il quinto verrà quando questa razza sarà
praticamente estinta. La spiegazione può essere trovata nelle grandi linee essenziali della
cosmogonia esoterica. All’inizio di ogni grande periodo planetario, quando il tempo
dell’oscuramento sta per finire e l’onda umana nel suo progresso intorno alla catena dei
mondi invade le rive di un globo dove l’umanità non esiste più da miliardi di anni, si
rende necessaria la presenza di un maestro fin dal primo germoglio di questa umanità.
Ricordiamo che l’evoluzione preliminare dei regni minerale, vegetale ed animale si è
compiuta in vista di questo nuovo, ciclico periodo umano. Con la prima infusione della
corrente di vita nelle specie “dell’anello mancante”, la prima razza delle nuove serie
inizierà ad evolvere. È allora che apparirà l’Essere che può essere considerato il Buddha
della prima razza. Lo Spirito Planetario, o Dhyan Chohan che è, o diciamo meglio (senza
paura di offendere la grammatica, e per evitare l’idea erronea che si potrebbe generare
dall’impiego del verbo al singolare) che sono Buddha in tutti i suoi, o in tutti i loro
sviluppi, s’incarna tra i giovani e innocenti esseri umani da educare e imprime loro i
primi grandi principi di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, oltre alle prime verità
della dottrina esoterica, in un numero sufficiente di menti ricettive per assicurare l’eco
continua delle idee così impresse di generazione in generazione nei milioni di anni a
venire, prima che la prima razza abbia completato il suo corso. È questo avvento
all’inizio del periodo di ronda di un Essere Divino in forma umana che dà origine all’idea
tenacemente radicata del Dio antropomorfo in tutte le religioni exoteriche. Il primo
Buddha della serie, di cui Gautama Buddha è il quarto, rappresenta la seconda
incarnazione di Avalokitesvara, il nome mistico della moltitudine dei Dhyan Chohan o
Spiriti Planetari che appartengono alla nostra catena planetaria, e, sebbene Gautama sia
così la quarta incarnazione illuminata secondo i computi exoterici, è in realtà la quinta
della vera serie, appartenendo così propriamente alla quinta razza.

                                                        
19 EUGENE BURNOUF (1801-1852). lndologo francese pioniere degli studi sul pali sul buddhismo e ['induismo. Tenne cattedra a
Parigi (N. d. c.).
Il mistico nome Avalokitesvara della moltitudine dei Dhyan Chohan significa
propriamente "saggezza manifestata"; come Adi Buddha ed Amitabha significano
entrambi "saggezza astratta".
È assolutamente esatto il punto della dottrina, citato dal Rhys Davids, dove si dice che
"ogni Buddha mortale e terreno ha la sua pura e gloriosa controparte nel mondo mistico,
libera dalle umilianti necessità della vita materiale; o piuttosto, che il Buddha nelle sue
condizioni materiali non è che un'apparenza, un riflesso, un'emanazione o una specie di
Dhyani Buddha “. Il numero dei Dhyani Buddha, o Dhyan Chohan, o Spiriti Planetari,
spiriti umani perfetti dei primi periodi del mondo, è infinito, ma ne vengono segnalati
soltanto cinque negli insegnamenti exoterici e sette in quelli esoterici. Questa
identificazione, ricordiamolo, non deve essere presa rigorosamente alla lettera perché nel
sublime spirito vitale in questione esiste un’unione tale da non lasciare posto
all’isolamento dell’individualità. Tutto ciò, tuttavia, si armonizza perfettamente con le
rivelazioni sulla Natura esposte nei primi capitoli e non deve attribuirsi in alcun modo
all’effetto di immaginazione mistica. I Dhyan Buddha o Dhyan Chohan sono l’umanità
perfetta di epoche manvantariche anteriori e la loro intelligenza collettiva è descritta con
il nome di Adi Buddha in cui Rhys Davids crede, sbagliando, di scorgere un’invenzione
recente del buddhismo del Nord. Adi Buddha vuoi dire saggezza primordiale ed è citata
nei più antichi testi sanscriti. Per esempio, nella dissertazione filosofica sulla Marpjukya
Upat:ti.$a4 di Gowdapatha, l’autore sanscrito contemporaneo dello stesso Buddha adotta
questa espressione e l’applica in esatto accordo con quanto detto. Uno dei miei amici
indiani, bramino pandit e sanscritista tra i più insigni, mi mostrò una copia di questo libro
che, per quanto sappiamo, non è stato ancora tradotto e ne estrasse questa frase
sull’argomento, dandomi la seguente traduzione: "In verità la stessa Prakrti è Adi
Buddha; e i Dharma esistono da sempre". Gowdapatha è un filosofo assai conosciuto e
rispettato da tutte le sette buddhiste e indù. Egli fu il guru o maestro spirituale del primo
Sankaracarya di cui parleremo fra poco.
L’adeptato, all’epoca dell’incarnazione del Buddha, non era quell’associazione
gerarchica e compatta quale divenne poi sotto la sua influenza. Non vi fu mai età nel
mondo priva dei suoi adepti; ma questi vivevano spesso sparsi nel mondo o riuniti in
piccoli gruppi gravitando ora su una contrada, ora su un’altra, e, infine, va ricordato che il
loro potere e la loro conoscenza non sono stati sempre ispirati da quella moralità austera
ed elevata che Buddha mise a fondamento della sua ultima e più elevata organizzazione.
La riforma del mondo occulto da lui compiuta fu il risultato del suo grande sacrificio,
dell’auto-negazione che lo indusse a rifiutare le condizioni sacre del Nirvana nelle quali
poteva entrare a pieno titolo e che avrebbe raggiunto dopo la sua vita terrena come
Buddha, per sopportare l’onere di una nuova incarnazione onde terminare il compito che
si era assunto e dare un corrispondente aumento di benessere all’umanità.
Buddha, dopo la sua ultima esistenza come Gautama Buddha, si reincarnò nella persona
del gran maestro del quale si è parlato poco nei lavori exoterici sul buddhismo ma, se non
si considerasse la sua vita, sarebbe impossibile avere una concezione corretta della
posizione nel mondo orientale della scienza esoterica: questo maestro è Sankaracarya. La
seconda parte di questo nome (Acarya) significa semplicemente maestro. Questo nome si
è perpetuato come un titolo fino ai giorni nostri e nelle circostanze più curiose, ma quelli
che oggi portano questo titolo non sono più sulla linea diretta delle incarnazioni spirituali
di Buddha.
Sankaracarya apparve in India, senza che fosse posta grande attenzione alla sua nascita
che sembra avere avuto luogo sulle coste del Malabar, circa sessanta anni dopo la morte
di Gautama Buddha. L’insegnamento esoterico dice semplicemente che Sankaracarya fu
Buddha sotto tutti gli aspetti, in un nuovo corpo. Questo modo di vedere non è accettato
dalle autorità indù non iniziate, le quali gli assegnano una nascita in data più remota e lo
considerano come un maestro del tutto indipendente e persino nemico del buddhismo. Ma
la cosa non altera affatto l’opinione degli iniziati alla scienza esoterica, siano essi
buddhisti o indù. Le informazioni che sto dando non mi provengono dal mio istruttore
tibetano, ma da un bramino advaita del sud dell’India, il quale afferma che tutti i bramini
iniziati direbbero la stessa cosa. Qualche incarnazione successiva del Buddha è descritta
in modo differente, come un adombramento attuato dal suo spirito, ma nella persona di
Sankaracarya egli è riapparso sulla terra. Lo scopo era quello di colmare qualche lacuna e
rimediare a certi errori dei suoi stessi insegnamenti precedenti; poiché non c’è dubbio, nel
buddhismo esoterico, che persino un Buddha possa essere fallibile in alcuni momenti del
suo cammino.
La situazione era la seguente. Sino al tempo del Buddha, i bramini dell’India custodivano
gelosamente la scienza occulta quale patrimonio della loro casta. Si facevano talvolta
alcune eccezioni a favore degli Ksatrya [casta guerriera], ma la regola era estremamente
esclusiva. Questa regola fu abolita dal Buddha, ammettendo tutte le caste in ugual misura
sul sentiero dell’adeptato. Il cambiamento in sé poteva essere assolutamente giusto, ma
spianava la strada ad una grande serie di problemi e, come i bramini pensavano, alla
degradazione della scienza occulta stessa e al suo trasferimento in mani indegne, non
tanto perché di caste inferiori ma per l’inferiorità morale che temevano potesse essere
introdotta nella fratellanza occulta insieme ai fratelli di più bassa estrazione. L’obiezione
dei bramini non era intesa nel senso che un uomo perché nato bramino dovesse
necessariamente essere virtuoso e degno; piuttosto che fosse assolutamente doveroso
tenere lontano tutti all’infuori degli uomini virtuosi e degni dai segreti e dai poteri
dell’iniziazione. Si rendeva perciò necessario, a questo fine, non solo istituire prove ed
esami severi, ma anche accettare candidati che, in ragione dei loro privilegi ereditari, si
fossero presentati come i migliori.
L’esperienza successiva dà ragione all’apprensione dei bramini e l’incarnazione
successiva del Buddha, nella persona di Sankaracarya, ha ammesso nella pratica questo
modo di vedere, e contemporaneamente il Buddha fu impegnato ad appianare quei
conflitti settari che vedeva incombere sull’India. L’opposizione attiva dei bramini contro
il buddhismo cominciò al tempo di Asoka20 , quando il grande sforzo fatto da questo
legislatore per diffondere gli insegnamenti del buddhismo provocò il timore, dal loro
punto di vista, di veder diminuito il proprio potere politico e sociale. Bisogna ricordare
che gli iniziati non sono completamente liberi dai pregiudizi delle loro stesse
individualità. Posseggono alcuni attributi simili alla divinità tanto che gli altri uomini,
quando cominciano a capire qualcosa di questi, sono indotti a immaginare gli iniziati
come privi di qualsiasi debolezza umana. L’iniziazione e la conoscenza occulta uniscono
strettamente fra loro gli adepti di qualsiasi nazione; un legame questo molto più forte di
qualunque altro. Tuttavia si è visto fallire questo legame in più occasioni, nel cancellare

                                                        
20 Durante il regno di Asoka (274-232 a.C.) il suo potere si estese a molta parte del subcontinente indiano, ad eccezione dell'estremo
sud. Moka ed i suoi discendenti furono promotori di un'unificazione culturale che includeva la diffusione del buddhismo (N.d.c.).
tutte le altre distinzioni. Così iniziati buddhisti e bramini, nel periodo di cui ci
occupiamo, non andavano d’accordo su tutte le questioni, e i bramini disapprovavano
formalmente la riforma buddhista nei suoi aspetti exoterici. Candragupta, nonno di
Asoka, era un nuovo ricco e la famiglia apparteneva ai Sudra. Questo bastava a rendere
poco accettabile la sua politica buddhista ai rappresentanti della fede ortodossa bramina.
Il conflitto si inasprì notevolmente, nonostante la storia ordinaria non dia particolari o ne
dia pochi. Il partito del buddhismo primitivo venne interamente sconfitto e il potere
braminico del tutto ristabilito, al tempo di Vikramaditya, nell’80 a. C. circa. Ma
Sankaracarya aveva viaggiato per tutta l’India prima della grande battaglia e aveva
istituito vari matham 21 , ovvero scuole di filosofia, in parecchi centri importanti. Si
impegnò in questo compito solo per pochi anni, ma l’influenza dei suoi insegnamenti è
stata così straordinaria da far sì che la sua grandezza nasconda il cambiamento operato.
Sankaracarya portò l’induismo exoterico ad armonizzare nella pratica con la "religione-
saggezza" esoterica e lasciò al popolo la sua antica mitologia, contando su guide
filosofiche sicure, che fossero buddhisti esoterici sotto ogni aspetto e intento, ma nel
contempo conciliabili con tutto ciò che non era sradicabile nel bramanesimo. Il grande
torto dell’antico induismo exoterico era di rimanere ancorato a un vuoto cerimoniale ed
alla sua adesione a concezioni idolatre delle divinità del pantheon indù. Sankaracarya, nei
suoi commenti alle Upanisad e nei suoi scritti originali, insistette fortemente sulla
necessità di perseguire Faìana per ottenere Moksa, che è l’importanza della conoscenza
segreta, per il progresso spirituale e la sua realizzazione. Egli fondò il sistema vedantino,
essendo il significato della parola Vedanta ''fine o coronamento della conoscenza”,
sebbene lo facesse derivare dagli scritti di Vyasa, l’autore del Mahabharata, dei Purana,
e dei Brahmasutra. Non v’è bisogno di dire allettare, che essendo colui che scrive un
semplice studioso di orientalismo, non sono state le mie ricerche a fornirmi tutte le
notizie che qui espongo, ma provengono dall’autorità di un bramino iniziato, lui stesso
studioso di sanscrito ed occultista.
La scuola vedantina oggi è importante quasi quanto l’induismo, tralasciando
naturalmente alcune sette particolari quali i Sikh, i Vallabhacaria o i Maharaja di dubbia
fama, e può essere suddivisa in tre grandi rami: gli Advaita, i Visista Advaita e i Dvaita. Il
fulcro della dottrina advaita è che Brahman o Purusa, lo spirito universale, opera soltanto
attraverso Prakrti, la materia, e che ogni cosa è prodotta in questo modo dall’energia
insita nella materia stessa. Brahman o Parabrahman, è così un principio passivo,
incosciente e incomprensibile; è l’essenza, la vita una o energia dell’Universo. In questi
punti principali la dottrina advaita è identica al materialismo trascendente della filosofia
esoterica buddhista. Advaita significa non duale e si riferisce sia alla non dualità, o
all’unità dello spirito universale, alla Vita Una buddhista, distinta dalla nozione del suo
agire attraverso emanazioni antropomorfiche, sia all’unità dell’universo e dello spirito
umano. Quale conseguenza naturale di questa dottrina gli Advaita ammettono la dottrina
buddhista del karma in riferimento al futuro destino dell’uomo, dipendente dalle cause da
lui stesso generate.
Gli Advaita visista modificano queste opinioni facendo intervenire Vishnu come divinità
cosciente ed emanazione primaria di Parabrahman, dato che Vishnu è considerato un dio
personale capace di intervenire nel corso del destino umano. Non considerano lo yog, o

                                                        
21 Il matham è il monastero indù (N. d. c.).
allenamento spirituale, il mezzo più adatto alla perfezione spirituale, ma la Bhakti, la
devozione. Nel linguaggio ordinario della teologia europea potremmo dire che gli
Advaita credono nella salvezza attraverso le opere, mentre gli Advaita visista attraverso la
grazia. I Dvaita si diversificano poco dagli Advaita visista se non nell’affermare con
forza, e da qui il loro nome, la dualità dello spirito umano e il più alto principio
dell’universo, includendo molti cerimoniali come parte essenziale della Bhakti.
È necessario rendersi conto che tutte queste differenze di opinioni si riferiscono
solamente alle varianti esoteriche di un’idea fondamentale, introdotte da differenti
maestri sotto aspetti diversi a seconda della capacità del popolo d’assimilare queste idee
trascendenti. Tutti i capi scuola del vedantismo portano il massimo rispetto a
Sankaracarya e ai matham da lui istituiti, con la più grande riverenza possibile. La loro
fede interiore in ogni caso si rifà all’unica dottrina esoterica. Infatti gli iniziati di tutte le
scuole dell’India sono strettamente uniti gli uni agli altri. Eccettuata la nomenclatura, il
sistema di cosmogonia degli Arhat buddhisti, quale è stato da noi descritto in questo
libro, è il sistema stesso dei bramini iniziati, da loro posseduto molto tempo prima della
nascita di Buddha. Ci si può chiedere da dove lo avessero ottenuto. Dallo Spirito
Planetario o Dhyan Chohan, che per primo visitò questo pianeta all’aurora della razza
umana nel presente periodo di ronda, molti milioni di anni fa.
Sankaracarya fondò quattro matham principali, uno a Sringari, da sempre il più rinomato,
nel sud dell’India; uno a Dwaraka nel Kathiawar, uno Auggernath in Orissa, e uno a
Gungotri sulle pendici dell'Himalaya del nord. Il capo del tempio di Sringari ha sempre
portato, oltre i propri, il nome di Sankaracarya. Dopo questi quattro centri, in seguito se
ne aggiunsero altri; e ora esistono matham in tutta l’India ed esercitano una grandissima
influenza sull’induismo.
Ho detto che il Buddha, nella terza incarnazione, con la sua eccessiva fiducia nella
perfettibilità umana, riconobbe di avere aperto troppo le porte del santuario occulto. La
sua terza incarnazione fu nella persona di Tsong-ka-pa, il grande adepto tibetano
riformatore del XIV secolo. In questa personalità si occupava esclusivamente degli affari
della fratellanza degli adepti, che a quel tempo riuniva principalmente in Tibet.
Da tempi immemorabili c’è una regione segreta in Tibet dove si riuniscono sempre gli
adepti, regione fino ad oggi completamente sconosciuta e avvicinata soltanto da iniziati,
inaccessibile alla gente comune del Tibet e di altri paesi. Il Tibet, all’epoca in cui visse
Buddha, non era quello che divenne poi, cioè il luogo scelto a dimora dalla grande
fratellanza. I Mahatma si trovavano sparsi nel mondo, allora più di oggi. Il progresso di
civilizzazione nel XIV secolo originò un movimento di ritorno verso il Tibet di quella
parte di occultisti precedentemente distaccatasi. La conoscenza e il potere occulti
risultavano così molto più solidi per la salvezza dell’umanità di quanto non fossero
quando si trovavano sparpagliati. Tsong-ka-pa si addossò il compito di riunire queste
forze sotto il controllo di un sistema rigido di regole e leggi.
Escludendo il precedente irragionevole sistema basato sull’esclusività delle caste, elaborò
un codice di regole per la guida degli adepti, che mirava ad eliminare dal corpo occulto
tutti tranne coloro che cercavano la conoscenza segreta con spirito completamente devoto
ai principi più elevati della morale.
Un articolo del Theosophist (marzo 1882) sulla “Incarnazione in Tibet", nel quale posso
avere la massima fiducia per ciò che riguarda le sue spiegazioni mistiche, ci fornisce una
grande quantità di informazioni sull’argomento di cui ci stiamo occupando ora, e delle
relazioni tra il buddhismo esoterico e il Tibet, che non possono che essere esaminate da
vicino da chiunque voglia comprendere in modo esaustivo il buddhismo nel suo vero
significato.
“Il sistema regolare - si legge - delle incarnazioni lamaiche di Sangyas (o Buddha) iniziò
con Tsong-ka-pa. Questo riformatore non è l'incarnazione di uno dei cinque Dhyan
celesti, o Buddha divini, come generalmente si suppone, e che si dice creato da
Sakiamuni innalzatosi allo stato nirvanico, ma di Amita, uno dei nomi cinesi che
designano il Buddha. Gli annali conservati nel Conpa (lamaseria) di Tda-shi Hlum-po
mostrano che Sangyas si incarnò in Tsong-kapa a causa della decadenza in cui era
caduta la sua dottrina. Fino a quell’epoca non c’erano state altre incarnazioni all'infuori
di quelle dei cinque Buddha celesti, e dei Bodhisattva da loro creati (ovvero adombrati
della loro saggezza spirituale). E questo perché, tra le tante riforme, Tsong-ka-pa aveva
proibito la negromanzia (a quel tempo molto praticata con riti disgustosi dai Bho'n, gli
aborigeni del Tibet con cui avevano sempre fraternizzato i Berretti Rossi o Shammar),
ma questa resistette alla sua autorità. Tale evento fu seguito da una rottura fra le due
sette. Separatisi completamente dai gyalukpa, i dugpa (berretti rossi) dapprima in
grande minoranza, si stabilirono in diverse parti del Tibet, principalmente ai confini, in
Nepal e nel Bhutan. Ma, mentre questi conservavano una sorta di indipendenza nel
monastero di Sakia-Djong, residenza del loro capo spirituale, Cong-sso Rimbo-chay, gli
abitanti del Bhutan erano stati fin dall’inizio tributari e vassalli dei Dalai Lama”.
"I lama Tda-shi acquisirono man mano sempre più potere dei Dalai Lama e una Più alta
considerazione. I Dalai Lama sono creazioni del Tda-shi Lama, Nabang-lob-sang, la
sesta incarnazione di Tsong-ka-pa, egli stesso incarnazione di Amitabha o Buddha”.
Parecchi autori di saggi sul buddhismo hanno ammesso una teoria che clements R.
Markham22 espone integralmente nel suo Racconto della missione di Ceorge Bogle in
Tibet, secondo la quale mentre le Scritture originali del buddhismo furono portate a
Ceylon dal figlio di Asoka, il buddhismo che si è diffuso in Tibet dall’India e dalla Cina
venne gradualmente soppiantato da una grande quantità di dogmi e speculazioni
metafisiche. Il professar Max Muller23 asserisce: “La grande importanza della riforma
buddhista consiste principalmente nel suo codice morale e sociale, e non nelle sue teorie
metafisiche. Questo codice morale, di per sé, è uno dei più perfetti che il mondo abbia
conosciuto, e la sua introduzione in Tibet fu per gli abitanti una benedizione”.
“La benedizione - afferma l’autorevole articolo del Theosophist, che qui cito - si
mantiene e si diffonde per tutto il paese, non essendoci nazione Più benevola, di mente
più pura, più semplice e timorosa del peccato, del Tibet. Ma ciononostante il lamaismo
popolare, quando confrontato con il vero buddhismo esoterico tibetano, offre un
contrasto simile a quello della neve imbrattata di una strada nei confronti della neve
pura e candida che risplende sulla cima di un monte”.
Il fatto è che ceylon è satura di buddhismo exoterico, il Tibet di buddhismo esoterico. Il
primo non si occupa che della sola morale; mentre il Tibet, o meglio gli adepti del Tibet,
si occupano della scienza del buddhismo.

                                                        
22 SIR CLEMENTS R. MARKHAM (1830-1916), celebre geografo e storico britannico, fu presidente della Royal Geographical
Society
23 FRlEORICH MAx MOLLER (Dessan 1823 - Oxford 1900), è stato filologo, filosofo, linguista ed orientalista tedesco ed è

 
considerato il fondatore della disciplina delle religioni comparate. Celebre la sua corrispondenza con Ralph Waldo Emerson.
Queste spiegazioni costituiscono solamente un abbozzo dell’intera questione. Non ho né
gli argomenti, né la competenza letteraria richiesti per ampliare il quadro delle relazioni
esistenti tra i principi interni dell’induismo e del buddhismo. Sono abbastanza
consapevole che esiste la possibilità che molti studiosi eruditi e attenti dell’argomento
abbiano tratto delle conclusioni, dalle loro lunghe ricerche, che possano a prima vista
trovarsi in conflitto con quanto finora esposto. Ma le spiegazioni che noi abbiamo dato ci
provengono direttamente da quelle autorità alle quali il soggetto è familiare sia sotto il
suo aspetto accademico, che esoterico. E le loro conoscenze interiori gettano una luce
sull’intera posizione che le allontana dal pericolo di fraintendimenti dei testi e dal
commettere errori nel comprendere la simbologia oscura. Conoscere quando nacque
Gautama Buddha, conoscere ciò che si è registrato dei suoi insegnamenti e ciò che le
leggende popolari hanno riunito attorno alla sua biografia, significa conoscere pressoché
nulla del Buddha reale, ben più grande del riformatore morale descritto dalla storia e del
semidio fantastico della tradizione. Ed è soltanto dopo aver compreso il legame tra
buddhismo e brahmanesimo che la grandezza della dottrina esoterica si manifesterà nelle
sue vere proporzioni.
X
IL NIRVANA

Una completa assimilazione fino a questo punto dell’insegnamento esoterico, ci


permetterà di affrontare l’argomento che gli autori esoterici sul buddhismo hanno
generalmente trattato come punto di partenza dottrinale di quella religione.
Non essendoci un metodo migliore per comprendere il vero significato di Nirvana, gli
studiosi del buddhismo hanno in genere suddiviso la parola ed esaminato la sua radice e i
suoi frammenti. Sarebbe come sperare di scoprire il profumo di un fiore analizzando la
carta sulla quale è dipinta la sua immagine. È difficile per le menti educate ai processi
intellettuali di ricerca fisica, come le nostre menti occidentali del diciannovesimo secolo,
comprendere sia direttamente che indirettamente il primo stato spirituale che sta oltre
questa vita, quello di Devachan. Tale condizione di esistenza è solo parzialmente
comprensibile: dovrebbe essere impiegata una facoltà più elevata per poterla
comprendere pienamente e per di più è impossibile forzare il suo significato attraverso
semplici parole. Il maestro regolare d’occultismo inizia a risvegliare nello spirito del suo
allievo quella facoltà più elevata per poi metterlo nella condizione di osservare da sé
medesimo.
Nel Devachan si trovano i soliti sette stati, ognuno adatto ai differenti gradi di
illuminazione spirituale, che possono ottenere i vari candidati a quella condizione. In
Devachan ci sono il Rupa e l'Arupaloka , cioè stati soggettivi che prendono coscienza di
forma e stati che li trascendono. Però il più alto stato devachanico in Arupaloka non è
comparabile a quella meravigliosa condizione di pura spiritualità che è il Nirvana.
Nel corso normale della Natura durante una ronda, quando la monade spirituale ha
compiuto il suo viaggio meraviglioso dal primo al settimo pianeta e ha terminato per quel
momento la sua esistenza e le molteplici vite con i loro periodi devachanici, l’Ego passa
in una condizione spirituale differente dallo stato devachanico, nella quale riposa per
periodi di durata per noi inconcepibili, prima di ricominciare il suo viaggio attraverso i
mondi. Quella condizione può essere considerata come il Devachan dei suoi stati
devachanici, o come una specie di rassegna di quella condizione superiore, proprio come
lo stato devachanico che appartiene a qualsiasi esistenza terrena è uno stato superiore a
quello delle aspirazioni spirituali sviluppate a metà, o degli impulsi emotivi della vita
terrena. Quel periodo interciclico di straordinaria esaltazione, paragonato a un qualsiasi
altro ciclo che lo abbia preceduto, e alle condizioni soggettive dei pianeti nell’arco
ascendente tanto più grande del nostro attuale, è chiamato nella scienza esoterica "stato di
parziale Nirvana”. Trasportando l’immaginazione attraverso incommensurabili visioni
del futuro, potremo vedere avvicinarsi il periodo che corrisponderà a quello interciclico
della settima ronda di umanità, nella quale gli uomini diventeranno dei.
Una volta completato l’ultimo elevatissimo e glorioso periodo di vita oggettiva, l’essere
spiritualmente perfetto raggiungerà una condizione in cui potrà ricordare completamente
tutte le vite passate in ogni epoca. Potrà guardare indietro la finzione delle esistenze
oggettive (tali gli sembreranno), i più sottili dettagli di ognuna di queste vite terrene che
avrà attraversato, e potrà averne consapevolezza, come di tutto ciò a loro in qualche
modo collegato, perché in relazione a questa catena planetaria egli avrà raggiunto
l’onniscienza. Questa suprema evoluzione dell’individualità è la grande ricompensa che
la Natura riserva non solo a coloro i quali seppero assicurarsela prematuramente, per così
dire, attraverso i relativamente brevi ma terribili sforzi a cui porta l’adeptato, ma anche a
coloro che, grazie alla preponderanza del bene sul male che avrà caratterizzato l’intera
serie delle loro incarnazioni, saranno passati attraverso la valle dell’ombra della morte nel
mezzo della quinta ronda, e avranno preparato la strada per la sesta e settima ronda.
Questo stato sublime è denominato nella scienza esoterica "soglia del Nirvana”.
Vale la pena, nella speculazione, andare oltre la soglia del Nirvana? Si può dire che
nessuno stato di coscienza, giunto ad identificarsi con la coscienza generale su quel
livello di esistenza, può essere paragonato in elevatezza spirituale allo stato di coscienza
assoluta nel quale l’intero senso di individualità si perde del tutto. Possiamo usare queste
frasi come calcoli intellettuali, ma non hanno un significato vivo per la mente comune,
dominata dal cervello fisico e dall’intelletto nato dal cervello stesso.
Tutto quello che le parole possono direi è che il Nirvana è un sublime stato di riposo
cosciente nell’onniscienza. Sarebbe ridicolo, dopo tutto ciò che si è detto, considerare
nuovamente le varie discussioni affrontate dagli studiosi del buddhismo esoterico,
riguardanti il fatto che il Nirvana sia o meno sinonimo di annullamento. Le similitudini
non rendono il modo con il quale gli studiosi della scienza esoterica considerano la
questione. Le pene più severe della legge costituiscono forse il più alto onore per un
dignitario? Un cucchiaio di legno è forse l’emblema della più insigne preminenza della
cultura? Simili questioni possono soltanto essere simbolo del concetto bizzarro se, per il
buddhismo, il Nirvana equivalga all’annullamento. E in modo per noi inconcepibile lo
stato del Paranirvana è definito come incommensurabilmente più elevato del Nirvana
stesso. Non pretendo di trarre alcuna conclusione, ma può servire a mostrare a quale
regno di pensiero trascendente appartenga l’argomento.
La grande confusione che si è originata riguardo al Nirvana proviene soprattutto da ciò
che si è detto e scritto sul Buddha. Egli sosteneva di avere raggiunto lo stato nirvanico
sulla terra, e di averlo poi abbandonato per amore dell’umanità subendo ancora nuove
incarnazioni. Le due affermazioni sono conciliabili. Buddha, come grande adepto, ha
naturalmente raggiunto quello che è lo scopo supremo dell’adeptato sulla terra, ovvero il
passaggio del proprio Ego spirituale nello stato ineffabile di Nirvana. Non si deve da ciò
supporre che per un adepto anche elevato questo passaggio sia cosa da intraprendere alla
leggera. Sono venuto a conoscenza soltanto di pochi e vaghi accenni sulla natura di
questo grande mistero ma, mettendoli insieme, credo di aver ragione nel sostenere che il
traguardo in questione sia raggiungibile soltanto da alti iniziati preparati a tal fine, fine
che richiede una totale sospensione vitale del corpo per periodi di tempo a confronto dei
quali le più lunghe trance catalettiche conosciute dalla scienza ordinaria sono brevissime
e che richiede la protezione della forma fisica dal decadimento naturale durante questo
periodo, tramite mezzi che le risorse della scienza occulta sono forzate a compiere. Si
tratta inoltre di un processo che coinvolge un doppio rischio, per la continuità della vita
terrena della persona che lo intraprende. Uno di questi rischi consiste nel verificare se,
una volta raggiunto il Nirvana, l’Ego sarà poi in grado di ritornare. Che il ritorno sia uno
sforzo e un sacrificio terribile è fatto certo, e ciò sarà indotto, da parte del viaggiatore
spirituale, solamente dal più devoto attaccamento all’idea di dovere nel suo più puro
senso astratto. Il secondo grande rischio è quello che, se si permette al senso del dovere di
predominare sulla tentazione di stare in Nirvana, tentazione che, ricordiamolo, non viene
indebolita dall’idea di una pena che può conseguirne, anche in tal caso è dubbio se il
viaggiatore possa ritornare. Ciononostante, ci sono stati molti altri adepti oltre al Buddha.
L’azione spirituale differente dallo stato devachanico, nella quale riposa per periodi di
durata per noi inconcepibili, prima di ricominciare il suo viaggio attraverso i mondi.
Quella condizione può essere considerata come il Devachan dei suoi stati devachanici, o
come una specie di rassegna di quella condizione superiore, proprio come lo stato
devachanico che appartiene a qualsiasi esistenza terrena è uno stato superiore a quello
delle aspirazioni spirituali sviluppate a metà, o degli impulsi emotivi della vita terrena.
Quel periodo interciclico di straordinaria esaltazione, paragonato a un qualsiasi altro ciclo
che lo abbia preceduto, e alle condizioni soggettive dei pianeti nell’arco ascendente tanto
più grande del nostro attuale, è chiamato nella scienza esoterica "stato di parziale
Nirvana”. Trasportando l’immaginazione attraverso incommensurabili visioni del futuro,
potremo vedere avvicinarsi il periodo che corrisponderà a quello interciclico della settima
ronda di umanità, nella quale gli uomini diventeranno dei.
Una volta completato l’ultimo elevatissimo e glorioso periodo di vita oggettiva, l’essere
spiritualmente perfetto raggiungerà una condizione in cui potrà ricordare completamente
tutte le vite passate in ogni epoca. Potrà guardare indietro la finzione delle esistenze
oggettive (tali gli sembreranno), i più sottili dettagli di ognuna di queste vite terrene che
avrà attraversato, e potrà averne consapevolezza, come di tutto ciò a loro in qualche
modo collegato, perché in relazione a questa catena planetaria egli avrà raggiunto
l’onniscienza. Questa suprema evoluzione dell’individualità è la grande ricompensa che
la Natura riserva non solo a coloro i quali seppero assicurarsela prematuramente, per così
dire, attraverso i relativamente brevi ma terribili sforzi a cui porta l’adeptato, ma anche a
coloro che, grazie alla preponderanza del bene sul male che avrà caratterizzato l’intera
serie delle loro incarnazioni, saranno passati attraverso la valle dell’ombra della morte nel
mezzo della quinta ronda, e avranno preparato la strada per la sesta e settima ronda.
Questo stato sublime è denominato nella scienza esoterica “soglia del Nirvana”.
Vale la pena, nella speculazione, andare oltre la soglia del Nirvana? Si può dire che
nessuno stato di coscienza, giunto ad identificarsi con la coscienza generale su quel
livello di esistenza, può essere paragonato in elevatezza spirituale allo stato di coscienza
assoluta nel quale l’intero senso di individualità si perde del tutto. Possiamo usare queste
frasi come calcoli intellettuali, ma non hanno un significato vivo per la mente comune,
dominata dal cervello fisico e dall’intelletto nato dal cervello stesso.
Tutto quello che le parole possono dirci è che il Nirvana è un sublime stato di riposo
cosciente nell’onniscienza. Sarebbe ridicolo, dopo tutto che hanno compiuto il grande
passaggio, e per i quali il ritorno alla loro prigione di carne ignobile (anche se ben più
nobile ex hypothesi se paragonata alla maggior parte di tali prigioni), li ha lasciati
paralizzati dalla depressione per settimane. Iniziare di nuovo lo stanco percorso della vita
fisica e abbassarsi sulla terra dopo essere stati in Nirvana è un crollo dawero terribile.
La rinunzia del Buddha è stata in qualche modo inesplicabile e ancora più grande perché
egli non ritornò dal Nirvana semplicemente per il dovere in sé, per finire la vita terrena
vissuta come Gautama Buddha, ma avendo soddisfatto pienamente tutti i sensi del dovere
e, avendo guadagnato il suo diritto di passaggio in Nirvana per incalcolabili eoni sotto la
più ampia veduta della sua missione terrena; Buddha rinunziò a questa ricompensa, o
piuttosto la rimandò per un tempo indefinito, per intraprendere una serie di incarnazioni
per il solo amore dell’Umanità. Ci si domanderà quale beneficio abbia avuto il genere
umano in conseguenza di questa rinuncia. La domanda può essere sollevata soltanto, in
verità, da quell’abitudine profondamente radicata in molti di noi, di considerare il
beneficio secondo uno standard fisico, e anche di avere visioni molto ristrette delle
vicende umane. Ma chi, al contrario, mi ha seguito nel capitolo precedente sul Progresso
dell’Umanità, comprenderà subito quale genere di beneficio il Buddha abbia voluto dare
agli uomini. Ciò che per il Buddha si pone come la grande questione nei confronti
dell’umanità, è il modo in cui aiutare il maggior numero di persone a superare il grande
periodo critico della quinta ronda.
Fino a quel momento tutto ciò che deve fare un Buddha, secondo il parere degli adepti,
rappresenta una semplice preparazione alla lotta suprema. Il benessere materiale di una
generazione esistente non è nemmeno un granello di polvere nell’equilibrio di tali calcoli;
la sola cosa importante ora è coltivare queste tendenze nell’umanità, che può mettere in
gioco quanti più ego possibile su quel sentiero karmico che favorirà la crescita della loro
spiritualità nelle nascite future. Certamente è opinione consolidata dei maestri esoterici,
cooperatori adepti del Buddha, che il vero processo di sviluppo della spiritualità negli
uomini diminuirà moltissimo il prezzo del dolore umano transitorio e che la felicità
dell’umanità, anche in una sola generazione, è senza dubbio una materia alla quale la
scienza esoterica guarda con indifferenza. La politica esoterica non deve essere
considerata come qualcosa di estraneo a noi che viviamo qui adesso. Ma come per il
grano e per le altre derrate ci sono annate di buon raccolto e annate di raccolto scarso,
così ci sono momenti nei quali la tanto auspicata crescita spirituale tra gli uomini si
manifesta appena. In Europa, ad ogni modo, percorrendo l’esperienza delle grandi razze
precedenti, in periodi di sviluppo corrispondenti a quello nostro attuale, vediamo che il
poderoso slancio intellettuale che si effettua nella direzione del solo progresso fisico e
materiale è ben lontano dal preparare una messe di progresso d’altro tipo. Il solo bene che
per il momento si può fare alle nazioni, nelle quali questo movimento intellettuale è
maggiormente intenso, sta nel fare in modo che venga percepita dall’intelletto
l’importanza della spiritualità, anche prima di essere sentita, una volta assicurata
l’attenzione della mente desiderosa anche se poco ricettiva. I risultati che potrebbero
ottenersi giustificano il modo di vedere di coloro che, essendo una minoranza fra i
custodi esoterici dell’umanità, hanno giudicato che valesse la pena il tentare qualche
prova di questo tipo.
Così il Nirvana è veramente la chiave di volta del buddhismo esoterico e anche degli
studi fino a questo momento mal condotti da ricercatori esterni. Lo scopo supremo di
tutto il lungo e paziente processo evolutivo dell’umanità è coltivare l’anima umana così
che alla fine possa essere adatta per quella condizione inconcepibile. Il grande trionfo
della presente razza di spiriti planetari che hanno raggiunto quella condizione, dovrà
condurre in quella direzione quanti più Ego possibile. Siamo ancora ben lontani
dall’epoca in ci troveremo nel serio pericolo di essere dequalificati definitivamente per
questo progresso, ma non è tuttavia troppo presto per iniziare il grande processo di
qualificazione, e quanto prima il karma, che si propagherà attraverso vite successive in
quella direzione, porterà con sé la sua propria ricompensa, tanto più una ricerca
illuminata dei nostri più alti interessi, nel futuro remoto, coinciderà con la ricerca del
nostro immediato benessere nel successivo periodo devachanico e nella rinascita
successiva.
Domandiamoci: se è vero che perseguire la ricerca della spiritualità è il grande scopo
della vita, cosa importa se gli uomini lo fanno percorrendo un sentiero religioso piuttosto
che un altro? Questo è un errore che, come spiegato in un precedente capitolo, il Buddha,
nella personificazione di Sankaracarya, si impegnò a combattere soprattutto superando la
credenza essenzialmente indù secondo la quale Moksa può essere raggiunta attraverso la
pratica devozionale senza la conoscenza della verità eterna. Il tipo di salvezza di cui
stiamo parlando non vuol dire sfuggire a una pena e non lo si raggiunge con il favore di
qualche potentato celeste: ciò che noi chiamiamo onniscienza è l’ascesa a quelle regioni
di elevazione spirituale così alte che il candidato aspira a raggiungere una conquista
positiva e non negativa. E questo è un perfezionamento positivo e non negativo. Sarebbe
sicuramente contrario al modo abituale di agire della Natura, se un uomo potesse d’un
tratto diventare saggio per il solo fatto di essere stato buono o per propri meriti
intellettuali. La bontà e la saggezza supreme dell’uomo della sesta ronda, che una volta
diventato tale assimilerà passo dopo passo gli attributi della divinità stessa, possono
soltanto crescere, e la sola bontà associata (come spesso vediamo) alle più grottesche
credenze religiose, non potrà condurre l’uomo che a periodi devachanici di rapimento
devoto ma non intelligente e alla fine, se simili condizioni verranno riprodotte per molte
esistenze, condurranno l’uomo ad una sorta di estinzione senza dolore dell’individualità
nel momento della grande scelta.
È con una ricerca ferma e un desiderio ardente per la verità spirituale e non con una pigra
anche se significativa accettazione dei dogmi di moda della Chiesa più recente, che gli
uomini manderanno le loro anime nello stato soggettivo, preparato per assorbire la vera
conoscenza dell’onniscienza latente dei loro stessi sesti principi e per reincarnarsi a
tempo debito con gli impulsi nella medesima direzione.
Nulla può esservi di più disastroso per il progresso umano, considerato in rapporto al
destino degli individui, quanto la credenza generalmente diffusa che una qualsiasi
religione seguita con spirito pio sia buona quanto un’altra e che se pure il tale o il tal’altro
punto della dottrina sembri assurdo, la grande maggioranza della gente pia non penserà
mai a quelle assurdità, ma le declamerà in un’attitudine mentale di devozione priva di
colpa. Tutte le religioni sono senza dubbio buone, anche se non tutte sono in grado di
produrre vite ugualmente senza colpa. Preferisco evitare tutte le critiche a fedi specifiche,
in modo che questo volume rimanga un semplice e inoffensivo documento delle vere
dottrine interiori di una grande religione del mondo che, presentando nei suoi aspetti
esteriori documenti pacifici e innocenti, ha veramente prodotto vite senza colpa lungo la
sua intera esistenza. In più non sarà con un’accettazione servile anche delle sue dottrine
che si potrà coltivare lo sviluppo della vera spiritualità. È con la disposizione alla ricerca
della verità che sarà raggiunto il grande risultato, provando ed esaminando tutto ciò che si
presenta come credenza assodata. In oriente tale determinazione al più alto grado porta al
discepolato, alla ricerca della verità e della conoscenza, attraverso lo sviluppo delle
facoltà interiori per mezzo delle quali può senz’altro essere conosciuta. In occidente,
regno dell’intelletto, su cui oggi si regge il mondo, la verità può sfortunatamente essere
ricercata solo con l’aiuto di molte parole, discussioni e dispute. Ma può essere comunque
ricercata e, se non viene alla fine conquistata, questo processo avrà comunque generato
istinti che si propagheranno e daranno poi dei risultati.
XI
L’UNIVERSO

In ogni scritto orientale che tratti del cosmo si trovano frequenti allusioni ai giorni e alle
notti di Brahma, alle inspirazioni ed espirazioni del principio creatore, ai periodi di
Manvantara e a quelli di Pralaya. Quest’idea si ritrova spesso nelle mitologie orientali,
ma qui non ci occuperemo dei suoi aspetti simbolici. Il processo in natura al quale si
riferisce è ovviamente l’alternata successione di attività e di riposo che si osserva ad ogni
gradino dell’ascesa dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. L’uomo ha un
Manvantara e un Pralaya ogni ventiquattro ore, il suo ciclo sonno-veglia; le piante
seguono la stessa regola di anno in anno e muoiono e rivivono seguendo le stagioni.
Anche il mondo ha i suoi Manvantara e i suoi Pralaya quando l’onda di umanità si
avvicina alla sua riva, attraversa l’evoluzione delle sue sette razze e defluisce di nuovo;
così un Manvantara viene considerato dalla maggior parte delle religioni exoteriche
come l’intero ciclo dell’eternità. Il Manvantara maggiore della nostra catena planetaria
ha termine con il passaggio allo stato di Nirvana dell’ultimo dei Dhyan Chohan
dell’umanità perfetta della settima ronda. L’espressione deve essere considerata con una
certa elasticità. Si potrebbe dire, anzi, infinita elasticità, e questa è la spiegazione della
confusione che ha regnato in tutti i trattati religiosi orientali nei loro aspetti popolari.
Tutti i nomi radicali trasferiti alla letteratura popolare dalla dottrina segreta hanno almeno
un significato settuplice per l’iniziato, mentre il lettore non iniziato, che presuppone che
una parola abbia un solo significato, cade in una confusione enorme, nel tentativo di
chiarirlo riunendo le sue varie applicazioni, tirando poi una sorta di media aritmetica.
La catena planetaria alla quale apparteniamo non è la sola ad avere il nostro sole per
centro. Così come ci sono altri pianeti oltre la terra nella nostra catena, esistono altre
catene nel nostro sistema solare. Ce ne sono sette, e verrà un tempo in cui tutte queste
insieme entreranno in Pralaya. Questo è noto come Pralaya solare e, negli intervalli tra i
due Pralaya di questo tipo, il grande Manvantara solare copre sette Pralaya e
Manvantara della nostra e di ogni altra catena planetaria. Si rimane sconcertati, dicono
persino gli adepti, nel congetturare su quanti nostri Pralaya solari dovranno avvenire
prima della grande notte cosmica, durante la quale l’intero universo, nella sua enormità
collettiva, ubbidirà in modo manifesto alla legge universale di attività e riposo, e passerà
in Pralaya con tutte le sue miriadi di sistemi. Anche questo risultato meraviglioso, dice la
scienza esoterica, deve senz’altro awenire. Dopo il Pralaya di una singola catena
planetaria non c’è bisogno che l’evoluzione ricominci de novo. C’è soltanto una ripresa
dell’attività sospesa. Il regno animale e il regno vegetale, che alla fine dell’ultimo
Manvantara corrispondente avevano raggiunto solo uno sviluppo parziale, non sono
distrutti; la loro vita o energia vitale passa attraverso una notte, un periodo di riposo ed
essi raggiungono una sorta di Nirvana. E quindi perché per questi embrioni, per questi
feti di entità le cose dovrebbero andare diversamente? Essi emanano, come noi stessi,
dall’unico elemento. E come noi abbiamo i nostri Dhyan Chohan, così loro hanno, nei
loro diversi regni, dei guardiani elementali, che si prendono cura del loro popolo, come i
nostri dell’umanità. L’elemento Uno non solo riempie lo spazio, ma è lo spazio e penetra
ogni atomo di materia cosmica.
Mentre il processo evolutivo dell’uomo è sempre lo stesso, nella settima e ultima ronda
ogni pianeta, quando suona l’ora del Pralaya solare, invece di passare dallo stato visibile
all’invisibile, viene annullato. Con l’inizio del Manvantara della settima ronda della
settima catena planetaria, quando tutti i regni hanno ora raggiunto il loro ultimo ciclo,
rimarrà su ogni pianeta, dopo l’uscita dell’uomo, solamente l’ombra delle forme una
volta viventi. Ad ogni gradino che l’uomo compie sull’arco discendente e ascendente, nel
momento in cui passa di globo in globo, il pianeta lasciato indietro diventa una sorta di
vuota crisalide. Alla sua morte si verifica una migrazione delle entità degli altri regni.
Nell’attesa di passare in forme più elevate, a tempo debito, esse non sono tuttavia liberate
e resteranno nel loro sonno letargico fino al giorno della successiva evoluzione, quando
verranno riportate alla vita al nuovo Manvantara solare. Riposano pure i vecchi
elementali fino a quando saranno chiamati a dare, a loro volta, i corpi alle entità minerali,
vegetali e animali su un’altra catena di globi più alta, in attesa di diventare entità umane,
mentre le entità germinali delle forme più basse, e ne saranno allora rimaste poche,
resteranno sospese nello spazio come gocce d’acqua che si trasformano istantaneamente
in ghiaccioli. Queste entità si scioglieranno al primo soffio caldo del nuovo Manvantara
solare e formeranno l’anima dei futuri globi. Il lento sviluppo del regno vegetale, fino al
periodo che stiamo trattando, sarà incentivato dal più lungo periodo di riposo
interplanetario dell’uomo. Quando si verifica il Pralaya solare, l’intera umanità purificata
si fonde nel Nirvana, e da quel Nirvana intersolare rinascerà nei sistemi più elevati. Le
serie dei mondi saranno distrutte e svaniranno come un’ombra dal muro quando la luce si
spegne. “Abbiamo indicazione - dicono gli adepti - che nel momento in cui ha luogo un
Pralaya solare, due Pralaya minori hanno termine da qualche altra parte”.
Al principio di un nuovo Manvantara solare i precedenti elementi soggettivi dei mondi
materiali, ora sparpagliati in polvere cosmica, ricevendo il loro impulso dai nuovi Dhyan
Chohan del nuovo sistema solare (il più elevato dei vecchi si è innalzato ulteriormente),
si trasformeranno nelle primordiali onde di vita e, separandosi in centri di attività che
andranno a differenziarsi, si combineranno in una scala graduata di sette stadi
d’evoluzione. Come tutti gli altri corpi dello spazio, la nostra terra, prima di arrivare alla
sua materialità definitiva, deve attraversare sette stati di densità differente. In questo
mondo oggi niente può darci un’idea di quello che potrà essere lo stato definitivo di
materialità. L’astronomo francese Camille Flammarion 24 , in un libro intitolato La
Résurrection et la Fin des Mondes, si è avvicinato al concetto di questo stato di
materialità. Sono stato informato che i fatti sono quelli che egli ipotizza, con lievi
aggiustamenti. In conseguenza di ciò che egli tratta riguardo al raffreddamento secolare,
ma che con maggior esattezza è la vecchiaia e la perdita del potere vitale, la
solidificazione e l’essiccazione della terra, alla fine raggiungono un punto in cui l’intero
globo diventa un conglomerato elastico. Il suo periodo del parto se n’è andato; tutta la sua
progenie è nutrita e accudita, il termine della vita è giunto. Da qui le sue masse costituenti
cessano di obbedire a quelle leggi di coesione e aggregazione che le tenevano unite. E
diventando una sorta di cadavere che, abbandonato alla distruzione, lascia ogni molecola
che lo compone libera di separarsi dal corpo e di obbedire in futuro al controllo delle
nuove influenze, "L'attrazione della luna - afferma Flammarion - inizia il compito di
demolizione producendo un'ondata di particelle terrestri invece che d'acqua".

                                                        
24 CAMILLE FIA:VIMARION (1842-1925), celebre scienziato e astronomo francese, fu uno dei Vice Presidenti della Società
Teosofica da! 1880 al 1888 (N. d. c.).
Quest’ultima idea non deve essere considerata come espressione della scienza occulta,
eccetto per il fatto che illustra la mancanza di coesione molecolare nella materia terrestre.
La fisica occulta trapassa nella regione metafisica, se vogliamo avere qualche indizio del
modo con il quale l’evoluzione ricomincia dopo un Pralaya universale.
La sostanza eterna, cosa imperitura nell’universo, sulla quale i Pralaya universali
passano senza distruggerla, può indifferentemente essere vista come spazio, durata,
materia o movimento e non come qualcosa che abbia questi quattro attributi, ma come
qualcosa che è queste quattro in una e sempre. L’evoluzione prende la sua origine dalla
polarità atomica che il movimento genera. Nella cosmogonia il positivo e il negativo, o la
forza attiva e la passiva, corrispondono ai principi maschile e femminile. L’efflusso
spirituale penetra il velo della materia cosmica; il principio attivo è attratto dal principio
passivo e se volessimo aiutare la nostra immaginazione ricorrendo a figure della vecchia
simbologia occulta, diremo che il grande Naga, il serpente emblema dell’eternità, si
morde la coda, formando così il cerchio dell’eternità o piuttosto dei cicli dell’eternità. Il
solo, grande scopo del principio spirituale universale, l’incosciente ma sempre attivo
datore di vita, è espandere ed emanare, mentre quello del principio materiale universale è
riunire e fecondare. Ambedue incoscienti e non esistenti quando sono separati, diventano
coscienza e vita quando sono riuniti. La parola Brahma viene dalla radice sanscrita Brh,
espandere, nascere, fruttificare; non essendo la cosmogonia esoterica altro che la forza
espansiva e vivificante nella sua eterna evoluzione.
Nessuna espressione ha maggiormente contribuito a traviare la mente umana quanto la
parola "creazione", che serve di base alle speculazioni sull’origine delle cose. Parlando di
creazione, ci porremo in disaccordo con tutti i fatti. Ma una volta compreso che il nostro
pianeta e noi stessi siamo creazioni non più di quanto non lo sia un iceberg, ma che siamo
stati di esistenza che durano per un certo tempo, e che la loro apparizione presente,
geologica o antropologica, è transitoria e solamente una condizione concomitante di
quello stato di evoluzione al quale sono giunti, allora la strada per il retto pensiero è
spianata. Siamo quindi pronti per capire il significato del solo e unico principio o
elemento nell’universo e il trattamento di quell’elemento come androgino; anche
nell’affermazione della filosofia indù secondo la quale tutte le cose sono Maya, stati
transitori, eccetto l’unico e solo elemento che riposa durante il Mahapralaya, le notti di
Brahma.
Forse siamo scesi abbastanza in profondità nel mistero insondabile della grande Causa
Prima. Non è paradossale dire che solo per ignoranza i teologi ordinari pensano di
conoscere molto su Dio. E non è esagerato dire che i rappresentanti della scienza occulta,
meravigliosamente dotati, la cui natura mortale è stata così elevata e purificata da far sì
che le loro percezioni si estendano su altri mondi e altri stati di esistenza, comunicano
spiritualmente con esseri ben più grandi dell’umanità ordinaria, così come l’uomo è più
grande degli insetti del prato; è la semplice verità sostenere che essi non si occupano per
nulla di concetti che ricordino il Dio delle Chiese e dei credi. Nei limiti del sistema
solare, gli adepti mortali sanno, per loro propria conoscenza, che tutto è spiegato dalla
legge che opera sulla materia in diverse forme insieme all’influenza, che guida e
modifica, delle più alte intelligenze associate al sistema solare ovvero i Dhyan Chohan,
l’umanità perfetta dell’ultimo precedente Manvantara. Questi Dhyan Chohan, o Spiriti
Planetari, sulla cui natura è pressoché inutile indagare fino a quando non si sia in grado di
comprendere la natura dell’esistenza disincarnata, impartiscono ai mondi, che si sono
risvegliati alla fine di un Pralaya di catena planetaria, impulsi tanto forti che l’evoluzione
li avverte attraverso il suo intero corso. I limiti della grande legge di Natura restringono la
loro azione. Non possono dire: "Ci sia il paradiso nello spazio", "Che tutti gli uomini
nascano saggi e buoni"; possono soltanto operare attraverso il principio dell’evoluzione,
e non possono negare all’uomo che è stato investito della potenzialità di evolversi in un
Dhyan Chohan, il diritto di fare il male, se lo preferisce al bene. E non possono neppure
impedire che il male, una volta compiuto, produca sofferenza. La vita oggettiva è il
terreno in cui vengono seminati i germi della vita; l’esistenza spirituale (espressione che
viene usata, ricordiamolo, in contrasto all’esistenza della materia grossolana) è il fiore
che alla fine deve essere raccolto. Ma il germe dell’uomo è qualcosa di più del seme di un
fiore; ha la libertà di scegliere se crescere verso l’alto o verso il basso, e non potrà
evolvere senza che tale libertà venga esercitata dalla pianta. Questa è la necessità del
male. Ma nei limiti che la necessità logica prescrive, il Dhyan Chohan imprime la sua
concezione sulla corrente evolutiva e comprende l’origine di tutto ciò che vede.
Sicuramente, meditando in questo modo sulla grandezza dell’evoluzione ciclica di cui si
occupa la scienza esoterica, sembrerà ragionevole rimandare ad altro momento le
considerazioni sull’origine dell’intero cosmo. L’uomo comune in questa vita terrena, che
ha certamente molte centinaia di vite a venire con i loro importantissimi periodi tra le
incarnazioni (più importanti, cioè, in relazione alla durata e alla prospettiva di felicità o
sofferenza) anche in prospettiva, può sicuramente occupare meglio il proprio tempo con
indagini che daranno risultati utili, piuttosto che con la speculazione alla quale l’uomo
non è sufficientemente portato. Naturalmente, dal punto di vista della speculazione
religiosa, non confidando su alcuna conoscenza positiva di qualcosa che vada oltre questa
vita, niente può essere più importante o più utile delle congetture sugli attributi e sulle
probabili intenzioni del terribile e personale Jehovah, rappresentato come un tribunale
onnipotente, alla cui presenza l’anima alla sua morte dovrà essere introdotta. Ma la
conoscenza scientifica delle cose spirituali ci riflette il giorno del giudizio in una
prospettiva molto oscura, poiché il periodo che interviene è pieno di attività di ogni
genere. In più, essa mostra l’umanità che certamente, per milioni e milioni di secoli a
venire, non sarà affatto messa a confronto con alcun giudice, tranne che con il settimo
principio o spirito universale, che tutto pervade e che esiste ovunque e, operando sulla
materia, induce l’esistenza dell’uomo stesso, del mondo in cui vive e delle condizioni
future verso le quali egli viene spinto. Il Settimo Principio, indefinibile, incomprensibile
per noi al nostro presente stato di illuminazione, è naturalmente il solo Dio riconosciuto
dalla conoscenza esoterica, e nessuna personificazione di questo può essere altro che
simbolica.
La conoscenza esoterica che dà vita e verità all’antico simbolismo in una sola e unica
direzione, e si trova spesso in conflitto con i dogmi moderni, ci mostra quanto sia lontana
dalle fantasiose idee di Divinità antropomorfa associata da sempre alla tradizione
exoterica, fin dall’inizio del mondo. Lo Spirito Planetario, realmente incarnato fra gli
uomini durante la prima ronda, fu il prototipo della divinità personale, in tutti gli sviluppi
posteriori dell’idea. L’errore commesso da quegli uomini primitivi nel trattare questo
concetto non fu che una questione di grado. Il dio personale di un insignificante
Manvantara minore è stato preso come creatore dell’intero cosmo: un errore più che
naturale per persone costrette a supporre che tutto ciò che è oltre fosse un omogeneo
futuro spirituale, non sapendo nulla di più del destino umano di quanto fosse incluso in
una sola incarnazione oggettiva. Il Dio di questa vita fu per loro il Dio di tutte le vite e di
tutti i mondi e i periodi.
Il lettore non mi fraintenderà, confido, su ciò che intendo dicendo che la scienza esoterica
considera lo Spirito Planetario della prima ronda come un Dio. Come dico, esso si occupa
del lavoro della Natura in uno spazio incommensurabile, da un passato
incommensurabile, fino ad un altrettanto incommensurabile futuro. L’enorme estensione
di tempo e spazio nella quale il nostro sistema solare opera, è esplorabile dagli adepti
mortali della scienza esoterica. All’interno di questi limiti, essi sanno quando tale cosa
ebbe luogo e come; sanno anche che ogni cosa è spiegata dalla volontà costruttrice
dell’esercito collettivo degli Spiriti Planetari, che operano sotto la legge dell’evoluzione
che pervade tutta la Natura. Gli adepti comunicano con questi Spiriti Planetari e da essi
apprendono che questa è la legge di tutti i sistemi solari, nelle regioni dei quali possono
immergersi le facoltà percettive degli Spiriti Planetari, così come le facoltà percettive
degli adepti possono tuffarsi nella vita di altri pianeti di questa catena. La legge
dell’attività e del riposo sta agendo in senso universale; poiché l’intero cosmo, anche se
ad intervalli impensabili, è un susseguirsi di Manvantara e di Pralaya.
Qualcuno si domanderà qual è il fine di questo succedersi eterno di attività. È meglio
confinare la questione a un singolo sistema e al fine per cui la nebulosa originaria si è
organizzata in vortici planetari di evoluzione, e sviluppa mondi nei quali lo Spirito
Universale, che si riflette attraverso la materia, produce forma e vita e quegli stati di
materia più elevati in cui è mantenuto ciò che chiamiamo esistenza soggettiva o
spirituale. Sicuramente è un fine sufficiente a soddisfare ogni mente ragionevole sul fatto
che tali esseri, sublimi e perfetti come gli Spiriti Planetari stessi, vengono all’esistenza e
vivono una vita di conoscenza e felicità supreme, attraverso visioni temporali che sono
equivalenti a ciò che noi immaginiamo dell’eternità. Ogni cosa vivente ha l’opportunità
di passare definitivamente in questa grandezza indicibile. Lo Spirito che è in ogni forma
animata e che in queste si è sviluppato da forme che noi generalmente chiamiamo
inanimate, lentamente ma sicuramente, progredirà fino a quando il lavoro della sua
influenza infaticabile nella materia avrà evoluto un’anima umana. Da ciò non consegue
che gli animali e le piante che ci circondano abbiano qualche principio evoluto che possa
far loro assumere una forma umana nel presente Manvantara ma, sebbene il corso di
un’evoluzione incompleta possa essere sospeso da un periodo di naturale riposo, ciò non
significa renderlo vano. Alla fine ogni monade spirituale, essa stessa principio inconscio
senza peccato, opererà attraverso forme conscie a livelli più bassi, fino a che queste,
diffondendo una dopo l’altra forme sempre più alte, produrranno qualcosa in cui può
essere pienamente evocata la coscienza simile a Dio. Certamente non è a causa della
grandezza delle idee umane su ciò che sarebbe ragionevole per l’esistenza dell’universo
che una tale conclusione può apparire come uno scopo insufficiente, sebbene il destino
finale dello spirito planetario stesso, dopo periodi in cui il suo sviluppo dalle forme
minerali dei mondi primordiali è solo una sorta di infanzia nei ricordi dell’uomo, sia
quello di fondere la sua individualità glorificata in quel tutto cosciente che la metafisica
esoterica tratta come coscienza assoluta, che è non-coscienza. Questo paradosso
rappresenta semplicemente le idee che la mente umana non è pronta ad apprendere ed è
una perdita di tempo discuterne.
Tutte queste considerazioni forniscono la chiave del buddhismo esoterico, un risultato
della dottrina esoterica universale più diretto di ogni altra religione popolare, poiché
l’impegno nella sua formulazione è stato quello di far amare all’uomo la virtù in quanto
tale e per i suoi buoni effetti sulle sue future incarnazioni e non di tenerlo nella
soggezione di sistemi sacerdotali o dogmi che terrorizzano la sua immaginazione con
l’idea di un giudice personale che aspetta alla morte di sottoporlo a giudizio. Mr. Lillie,
ammirabile per le sue intenzioni e in forte empatia con l’alta moralità e le aspirazioni del
buddhismo, si è ingannato deducendo dal Tempio rituale l’idea di un dio personale.
Nessun concetto simile fece mai parte della grande dottrina esoterica della Natura, della
quale questo libro procura d’esporre un saggio, sebbene molto imperfetto. E nemmeno
per quanto riguarda le più lontane regioni dell’immensità oltre il nostro sistema
planetario, l’adepto della scienza esoterica tollera l’adozione di tendenze agnostiche. A
lui non basta dire: "La Natura è autosufficiente fino ai sensi più elevati degli spiriti
planetari, la cui cognizione si estende ben oltre i limiti dei cieli stellati e fino a dove la
loro visione può spaziare; per ciò che sta oltre, non facciamo ipotesi". Ciò che l’adepto
veramente dice è: "L'universo è illimitato ed è una distorsione del pensiero fare ipotesi su
ciò che sta oltre l'illimitatezza, oltre i limiti del senza limite".
Ciò che precede ogni manifestazione dell’universo e che c’è oltre i confini della
manifestazione se tali limiti potranno essere mai trovati, è quello che sottostà all’universo
manifestato nel nostro campo visivo, la materia animata dal movimento, il suo
Parabrahman o Spirito. Materia, spazio, moto e durata costituiscono la stessa sostanza
eterna Una dell’universo. Non c’è altro d’eterno. Quello è il primo stato della materia,
perfettamente inconoscibile dai sensi fisici, i quali percepiscono ciò che è manifesto, uno
stato completamente diverso. Come si vede, la scienza esoterica è assolutamente
materialista ma dalle spiegazioni che abbiamo dato in precedenza si sarà perfettamente
compreso che il suo materialismo è tanto discosto dalla concezione ottusa della Natura,
che gli uomini comuni chiamano materialismo, quanto il Polo Nord è lontano dal Polo
Sud. La scienza esoterica si piega al materialismo, per così dire, per collegare i suoi
metodi alla logica di quel sistema e ascendere ai più alti regni dell’idealismo, per
abbracciare ed esporre le aspirazioni più alte dello Spirito. Non verrà mai ripetuto
abbastanza che la scienza esoterica è l’unione della scienza con la religione, il ponte da
cui chi persegue più acutamente e cautamente la conoscenza sperimentale può approdare
alla devozione più entusiastica, e per mezzo del quale l’entusiasta più devoto può
ritornare sulla Terra e tenere il Cielo intorno a sé.
XII
RIVISTA DELLA DOTTRINA

Basta una lunga familiarità con la dottrina esoterica per dare luogo a una completa
percezione del modo in cui questa dottrina armonizza con i fatti della Natura che siamo in
grado d’osservare, però si può cercare sempre di stabilire le corrispondenze che esistono
fra l’intero corpus di insegnamento ora esposto e i fenomeni del mondo che ci
circondano.
Cominciamo pertanto dalle due grandi teorie della filosofia comune che destano
maggiore perplessità: il conflitto fra libero arbitrio e predestinazione, e in origine del
male. Ci convinceremo sicuramente che il sistema della Natura ora mostrato ci rende
finalmente capaci di trattare questi problemi con maggior sicurezza di quanto si sia fatto
finora. Fino ad oggi sono stati ben pochi i pensatori prudenti disposti ad ammettere che
con l’aiuto della metafisica e della religione si potesse rivelare il mistero del libero
arbitrio e della predestinazione. La tendenza di pensiero ha relegato l’intero enigma nella
regione dell’inconoscibile. E, strano a dirsi, questa tendenza è stata accolta con
soddisfazione da coloro che si sono accontentati di accettare comunque le dottrine
religiose come qualcosa di più che ipotesi provvisorie, dottrine che sono rimaste, così,
incapaci di riconciliarsi con alcune delle loro più ovvie conseguenze. L’onniscienza di un
Creatore personale, che spazia nel futuro e nel passato, non ha lasciato all’uomo modo di
esercitare la sua autorità indipendente sul proprio destino; era invece assolutamente
necessario permetterlo affinché la decisione di punirlo o di ricompensarlo per gli atti
compiuti in vita non fosse riconosciuta come l’ingiustizia più grottesca. Un grande
filosofo inglese, affrontando questa difficoltà, dichiarò in un famoso saggio postumo che
Dio, per le suddette considerazioni, non potesse essere ad un tempo infinitamente buono
e onnipotente. Le persone erano libere, a rigor di logica, di investirlo dell’uno o dell’altro
attributo ma non di entrambi. L’argomento è stato trattato nel rispetto dovuto alla grande
reputazione del suo autore e messo da parte con discrezione per il rispetto dovuto ai
principi ortodossi.
Ma la dottrina esoterica viene in nostro aiuto. Prima di tutto essa prende in seria
considerazione la dimensione insignificante di questo mondo nei confronti dell’universo.
Questo è un fatto naturale che la Chiesa cristiana primitiva istintivamente temeva e
combatteva con la crudeltà del terrore. La verità fu negata e per secoli i suoi sostenitori
furono torturati. Consolidata infine la Chiesa ricorse al "disperato espediente", per citare
Mr. Rhys Davids, di affermare come ciò non costituisse affatto un problema.
Questa pretesa ha avuto finora un successo ben maggiore di quello che i suoi sostenitori
avessero mai sperato. Quando la Chiesa tremava al pensiero delle scoperte astronomiche,
in realtà stava dando credito al mondo con una logica implacabile più di quanto fosse
necessario impiegare. Gli uomini si sono dimostrati disposti, come regola, a fare ciò che
il buddhismo esoterico, come ho dimostrato, non ci richiede di fare, ovvero di mantenere
separati la scienza da un lato, e la religione dall’altro. E per quanto questo principio abbia
continuato ad agire, alla fine ha cessato di costituire un argomento contro la credibilità di
un dogma religioso di cui sottolinea 1’impossibilità. Ma nel momento in cui stabiliamo
una relazione tra le nostre riserve così ben divise e le obblighiamo a stare allo stesso
livello, non possiamo non vedere come l’inconsistenza della grandezza terrena
diminuisca proporzionalmente alla plausibilità delle teorie che ci obbligano a considerare
i dettagli delle nostre vite come parte della scorta generale di un’onniscienza universale
del Creatore. Al contrario, è irragionevole supporre che le creature che abitano uno dei
più piccoli pianeti di uno dei più piccoli soli nell’oceano dell’universo, dove i soli non
sono che gocce d’acqua nel mare, siano esenti in un modo o in un altro dal principio
generale dell’essere governati da una legge. Ma quel principio non può coesistere con
l’essere governati dal capriccio, che è una condizione essenziale di tale predestinazione
nel significato convenzionale che diamo a questo termine25. E siccome si è osservato che
la predestinazione che lotta con il libero arbitrio non è la predestinazione delle razze, ma
quella individuale, essa viene associata al concetto della grazia divina o della collera
divina. La predestinazione delle razze, che sottostà a leggi analoghe a quelle che
controllano la tendenza generale dei tanti destini indipendenti, è perfettamente
compatibile con il libero arbitrio, ed è così che la dottrina esoterica riconcilia l’annosa
contraddizione della Natura. L’uomo ha il controllo del suo destino all’interno di limiti
costituzionali, per così dire; egli è perfettamente libero di fare uso dei suoi diritti naturali
in tutta la loro estensione, che è praticamente infinita per quanto riguarda l’unità
individuale. Ma l’azione media umana, in condizioni date, tenendo conto di un grande
numero di unità, provvede all’evoluzione continua dei cicli che costituiscono il loro
destino collettivo.
È vero che la predestinazione individuale si può definire non come un dogma religioso
che ha a che fare con la divina grazia o l’ira divina, ma a livello puramente metafisico; si
può sostenere che ogni creatura umana sia fondamentalmente soggetta, durante l’infanzia,
alla stessa influenza in simili circostanze e che una vita adulta sia semplicemente il
prodotto o l’impressione di tutte le condizioni che hanno influenzato questa vita
dall’inizio, cosicché, se esse fossero conosciute, sarebbe di conseguenza conosciuto
anche il risultato morale e intellettuale. Da queste considerazioni si può dimostrare che le
circostanze della vita di ogni uomo potrebbero essere teoricamente conoscibili attraverso
una sufficiente ricerca intellettiva e che le tendenze ereditarie, per esempio, non sono
altro che prodotti di eventi precedenti che entrano nei calcoli dati come un fattore
perturbante, ma non meno prevedibile. Ma questo modo di vedere non è meno in conflitto
con la coscienza dell’individuo di quanto lo sia con il dogma religioso della
predestinazione individuale. Il senso del libero arbitrio è un fattore che non può essere
ignorato, perché il libero arbitrio che noi conosciamo non è un semplice impulso
automatico come può esserlo il movimento automatico del muscolo della gamba della
rana. Il comune dogma religioso e l’ordinario argomento metafisico ci richiedono
entrambi di considerarlo sotto quella luce ma la dottrina esoterica gli restituisce la sua
vera dignità, mostrandoci la portata della sua attività e i limiti della sua sovranità. Il
libero arbitrio è sovrano sull’evoluzione individuale, ma impotente di fronte alla legge
ciclica, che persino un filosofo positivo come Drapper ha saputo indagare e scoprire nella
storia umana, per quanto breve sia stato il periodo che egli ha potuto osservare. Non di
meno quel pensiero collaterale e vischioso che J. S. Miw aveva individuato nelle
contraddizioni della teologia (la grande questione se la speculazione debba riguardare
l’ipotesi del Dio infinitamente buono o onnipotente) trova la sua spiegazione nel sistema
ora descritto. Quei grandi esseri, che sono il fiore sublime dell’umanità precedente,

                                                        
25 JOHN STUART MILL (1806-1873). Di particolare rilievo la sua opera Sistema di Logica deduttiva e induttiva (1848) e Tre saggi
sulla religione, uscito postumo nel 1874 (N. d. c.).
lontani dall’essere un Dio supremo, regnano comunque in modo divino sui destini del
mondo, e non solo non sono onnipotenti ma, per quanto grandi, sono limitati nelle loro
azioni. Sembra che su un palcoscenico appena allestito per rappresentare il nuovo
dramma della vita essi possano introdurre qualche miglioramento nell’azione, derivato
dalla loro stessa esperienza nel dramma con cui hanno avuto a che fare, ma che siano
soltanto capaci, per quanto riguarda la costruzione della commedia, di ripetere ciò che è
stato precedentemente rappresentato. Essi faranno in grande ciò che fa il giardiniere in
piccolo con le sue dalie; egli sarà in grado di apportare grandi miglioramenti sia nella
forma, sia nel colore, ma qualunque siano le cure, rimarranno sempre dalie.
Che le analogie naturali la supportino in ogni momento significa qualcosa che renda
accettabile la dottrina esoterica? "Come in alto così in basso" scrissero i primi filosofi
occultisti; il microcosmo è lo specchio del macrocosmo. La Natura intera che sta nella
sfera delle nostre osservazioni fisiche conferma questa regola e la conferma per quanto
quell’area limitata possa esibire un qualche principio. La struttura degli animali inferiori
viene riprodotta, modificata, negli animali superiori e nell’Uomo; le fibre finissime della
foglia ramificano come i più grossi rami dell’albero e il microscopio segue queste
ramificazioni che si ripetono oltre la visione ad occhio nudo. La corrente di polvere e di
acqua piovana si deposita in rocce sedimentarie nelle pozze che sviluppa, così come i
fiumi fanno nei laghi e le grandi masse d’acqua della terra nel letto del mare. Il lavoro
geologico dello stagno non differisce da quello dell’oceano che nella proporzione. La
dottrina esoterica mostra che le leggi più sublimi della Natura presentano differenze nel
potere che esercitano sull’uomo e sulla famiglia dei pianeti. Come i bambini di ogni
generazione umana sono curati nell’infanzia dai loro genitori e in grado di prendersi cura
della loro famiglia una volta cresciuti, così nell’intera umanità dei grandi periodi
manvantarici gli uomini di una generazione crescono per diventare i Dhyan Chohan della
generazione successiva, per poi cedere il posto nell’ultimo procedere del tempo ai loro
discendenti e passare a condizioni d’esistenza più elevate.
Non meno decisivo delle risposte al problema del libero arbitrio è il modo in cui la
dottrina esoterica tratta l’esistenza del male. Questo soggetto è già stato discusso nel
capitolo che parlava del progresso dell’umanità; ma la dottrina esoterica insiste su questo
grande problema in modo più deciso della semplice enunciazione che il libero arbitrio,
che è l’obiettivo della Natura nella crescita e nell’evoluzione dell’uomo che diventa
Dhyan Chohan, debba per ipotesi essere libero di sviluppare il male, se così gli piace. E
così ancora di più per il vasto principio operante, ma il modo in cui lavora è rintracciabile
nell’insegnamento presente tanto chiaramente quanto il principio stesso. Esso agisce
attraverso il karma fisico, e non potrebbe altrimenti, eccetto che per mezzo di una
sospensione della legge immutabile secondo la quale le cause non possono che produrre
effetti. L’uomo oggettivo nato nel mondo fisico è la creazione della persona che ha
lasciato inanimata, come l’uomo soggettivo che nel frattempo sta vivendo l’esistenza del
Devachan. Il male compiuto dagli uomini sopravvive ad essi, in modo assai più letterale
di quanto non intendesse Shakespeare quando espresse quest’idea. Ci si domanderà
certamente come avvenga che la responsabilità morale nella vita di un uomo possa farlo
nascere, per esempio, cieco o storpio in epoche differentissime, a parecchie migliaia di
anni di distanza e da genitori con i quali egli non ebbe alcun rapporto o legame fisico
nell’ultima sua esistenza. Ma si incontra una difficoltà, considerando l’azione delle
affinità più semplicemente di quanto sembri a prima vista. Un bambino cieco o zoppo,
per quanto riguarda la forma fisica, può essere la potenzialità più che il prodotto delle
circostanze locali. Il bambino non sarebbe tornato all’esistenza a meno che non ci fosse
stata una monade spirituale che premeva per l’incarnazione disponendo del quinto
principio (o d’una parte più o meno grande di questo principio che è persistito dopo la
morte) e che non fosse stata preparata dal suo karma ad abitare quel corpo potenziale.
Date queste circostanze il bambino, già imperfettamente strutturato, sarà concepito e
messo al mondo, diventando problematico per sé e per gli altri. Un’effetto ritorna causa a
sua volta e questo è un enigma vivente per i filosofi che si sforzano di spiegare l’origine
del male.
La stessa spiegazione può, con qualche modifica, applicarsi alla grande maggioranza dei
casi che si possono citare per illustrare il problema del male nel mondo. Questa
spiegazione si collega, anche se incidentalmente, alla questione che si riferisce all’azione
della legge karmica che non si può definire come difficoltà; dal momento che la risposta
verrebbe probabilmente suggerita dalla dottrina stessa, ha comunque il diritto di essere
menzionata. L’assimilazione selettiva degli spiriti carichi di karma con il parentado che
corrisponde in tutto alle esigenze e ai meriti, è la spiegazione ovvia che concilia la
rinascita con l’atavismo e l’ereditarietà. Il bambino, col tempo, sembra riprodurre le
particolarità morali e mentali degli avi suoi diretti e indiretti come anche la somiglianza
fisica e il fatto suggerisce l’idea che la sua anima sia un ramo dell’albero genealogico
tanto quanto la sua forma fisica. Non è necessario qui approfondire le difficoltà
molteplici delle quali viene circondata quella teoria, sulla stravaganza di supporre che
un’anima così scagliata come una scintilla da un’incudine senza alcun passato spirituale
alle spalle, possa avere un futuro spirituale poi. L’anima, che era così una semplice
funzione del corpo, finirebbe con la dissoluzione del corpo stesso. La dottrina esoterica,
tuttavia, per quel che riguarda le caratteristiche trasmesse, disporrà di una completa
spiegazione del fenomeno, come di tutti gli altri connessi alla vita umana. La famiglia
nella quale questo bambino nasce è, per lo spirito che si reincarna, ciò che un nuovo
pianeta è per l’intera corrente d’umanità su una ronda lungo la catena manvantarica. Il
pianeta cresce tramite un processo di evoluzione che opera su una linea trasversale a
quella dell’umanità che si avvicina; ma è adatto all’umanità perché vi dimori quando sarà
il momento. Così lo spirito che si reincarna preme verso il mondo oggettivo (le forze che
lo hanno trattenuto in Devachan si stanno esaurendo) e raggiunge la sorgente della
Natura, per così dire, causando lo sviluppo di un bambino che senza tale impulso sarebbe
stato solo in potenza, non una creatura reale; ma in questa famiglia egli trova,
naturalmente in modo inconscio, a causa della cieca azione delle sue affinità, le esatte
condizioni di vita, rinnovate, per cui si è preparato durante l’ultima esistenza. Non
dobbiamo mai di certo dimenticare la presenza di eccezioni in tutte le grandi regole della
Natura. Oggi può capitare talora che un semplice incidente causi una ferita ad un
bambino alla nascita. Una tale forma storpiata può venire data da uno spirito il cui karma
non si è per niente guadagnato quella pena, e così per molti altri gravi incidenti. È
necessario dire che la Natura non è per nulla ostacolata dai suoi incidenti; ha molto tempo
per ripararli. L’immeritata sofferenza di una vita, è ampiamente risarcita nelle vite
successive dall’azione della legge del karma. C’è molto tempo per la resa dei conti e
anche gli adepti affermano, credo, che di fatto, nel lungo periodo, la sofferenza
immeritata agisce prima o poi come buona sorte, così come deriva da una pura
osservazione scientifica dei fatti una dottrina la cui religione ha benevolmente inventato
qualcosa per la consolazione degli afflitti.
La dottrina esoterica cerca di dare, in questo modo, una soluzione inaspettata alla
maggior parte dei fenomeni della vita che ci lasciano perplessi, e lo fa senza sacrificare
gli attributi che possiamo aspettarci da una vera scienza religiosa. Innanzitutto tra le
affermazioni che possiamo ricondurre ad un tale sistema è che questo non contempla
affatto l’ingiustizia, sia dell’errore commesso dalla persona meritevole di fede sia dei
benefici concessi all’indegno e la giustizia della sua azione deve essere discernibile sia
nelle piccole come nelle grandi cose. L’assioma legale de minimis non curat lex, è un
mezzo per l’umana fallibilità di sottrarsi alle conseguenze delle proprie imperfezioni. Ma
in chimica e in meccanica non esiste indifferenza nei confronti delle cose piccole. La
Natura risponde nelle azioni fisiche con uguale esattezza alle piccole come alle grandi
cause e noi dobbiamo essere certi, istintivamente, che nelle operazioni spirituali essa non
può prendere in considerazione delle sciocchezze prive di conseguenze, di ignorare i
piccoli debiti per pagare quelli più grandi, nello stesso modo in cui un commerciante di
dubbia integrità si ritiene soddisfatto nel rispettare quegli impegni sufficientemente seri
che la legge fa applicare. Oggi gli eventi minori della vita, buoni e cattivi, vengono di
necessità ignorati da qualsiasi sistema che metta in gioco la questione finale,
l’ammissione o l’esclusione da una condizione uniforme o quasi di beatitudine. Anche
per quel che riguarda quel merito e demerito che si interessa soltanto delle conseguenze
spirituali, nemmeno la Natura è in grado di dare una risposta in merito, tranne che per
mezzo di quella condizione graduata di esistenza spirituale descritta dalla dottrina
esoterica come stato devachanico. Ma la complessità da considerare è più seria persino
delle varie condizioni che può incontrare l’esistenza devachanica. Nessun sistema di
conseguenze che segua l’umanità dopo la vita che ora stiamo osservando può essere
riconosciuto come adattato scientificamente all’emergenza, a meno che risponda al senso
di giustizia in relazione ai vari eventi e abitudini generali della vita che includono quelli
che sono in semplice relazione con l’esistenza fisica e che non sono ben definiti come
giusto o sbagliato.
Ora, è soltanto con un ritorno all’esistenza fisica che l’umanità può avere la possibilità di
mietere con precisa accuratezza il raccolto delle cause minori generate nella precedente
esistenza. La legge del karma, così poco attraente per gli studiosi di buddhismo exoterico,
ad un attento esame si vedrà non solo essere conciliabile con il senso di giustizia, ma
anche costituire il solo immaginabile metodo di azione naturale che lo realizzi. Una volta
compresa l’individualità che si perpetua e continua attraverso tutte queste rinascite
karmiche e una volta tenuta a mente la corrispondente catena di esistenze personali che si
intercalano, la simmetria perfetta dell’intero sistema non è in alcun modo pregiudicata da
quella caratteristica che a prima vista sembra detestabile alla critica (lo spirito che si
reincarna deve passare i successivi "bagni" nel fiume dell’oblio). Al contrario, quello
stesso oblio è in verità la sola condizione sulla quale la vita oggettiva potrà cominciare di
nuovo. Poche vite terrene sono interamente libere da ombre, il ricordo delle quali
oscurerebbe un nuovo periodo di vita per la personalità passata. E se si accetta che il
dimenticare la vita precedente implichi sprechi di energie, di esperienza e di acquisizioni
intellettuali ottenute faticosamente, quella obiezione può solo essere sollevata se non si
ricorda la vita in Devachan nella quale, lontani dall’essere sprecati, tali sforzi e
acquisizioni costituiranno i semi con i quali si potrà raggiungere l’intero favoloso
raccolto dei risultati spirituali. Nello stesso modo, più la dottrina esoterica occupa le
menti, più chiaramente si vedrà che ogni obiezione incontrerà una replica immediata e
sembrerà un’obiezione solo dal punto di vista della conoscenza imperfetta.
Passando da considerazioni astratte ad altre più pratiche, possiamo paragonare la dottrina
esoterica ai fatti naturali osservabili in parecchi modi con lo scopo di controllare
direttamente i suoi insegnamenti. Una scienza spirituale che ha intuito con successo la
verità assoluta, deve adattarsi con accuratezza ai fatti terreni ogni volta che tocca terra.
Un dogma religioso, in evidente opposizione a ciò che è manifestamente verità per la
geologia o l’astronomia, potrà trovare Chiese e congregazioni felici di alimentarlo, ma
non è una considerazione filosofica seria. Come fa allora la dottrina esoterica a conciliarsi
con la geologia e l’astronomia?
Non è mai troppo ripetere che la dottrina esoterica costituisce il solo sistema religioso che
si accordi facilmente con le verità fisiche e con le scoperte delle moderne ricerche in
queste branche della scienza. E non solo si armonizza con l’ipotesi della nebulosa e della
stratificazione delle rocce, non solo tollererà queste teorie, ma le abbraccerà, per così dire
e non potrà procedere senza di loro. Non potrà procedere senza le grandi scoperte della
moderna biologia e, come sistema che si propone di farsi notare in un’età scientifica,
potrà a mala pena permettersi di fare a meno delle ultime acquisizioni della geografia
fisica e dovrà ringraziare anche il professor Tyndal26 per alcuni suoi esperimenti sulla
luce. In Frammenti di Scienza egli descriveva un fenomeno di cui non conosceva nulla:
pensava di aver provocato particolari condizioni all’interno di un tubo di vetro, che gli
permettevano per un breve tempo di vedere gli elementali.
La stratificazione della crosta terrestre è, naturalmente, una prova chiara e visibile dei
cataclismi occorsi tra una razza e l’altra. La scienza fisica sta emergendo ora dalla paura
generata dall’oppressione perpetrata dal bigottismo religioso per quindici secoli, ma
prova ancora un po’ di vergogna nelle relazioni con il dogma per semplice forza
d’abitudine. E così la geologia ufficiale osa appena dire che i continenti, come
testimoniano i loro strati conchigliferi, devono essere stati sommersi e poi essere riemersi
più volte dalla superficie dell’oceano. La geologia non si è ancora abituata ad applicare
liberamente i suoi stessi argomenti per la speculazione che taglia corto in campo
religioso. Sicuramente se alla geologia fosse richiesto di concepire una storia coerente
della terra, usando le ipotesi più plausibili, essa potrebbe inventarsi qualcosa per colmare
i buchi nella sua conoscenza, e costruirebbe già una storia dell’umanità che a grandi linee
non sarebbe tanto diversa da ciò che abbiamo abbozzato nel precedente capitolo sui
Grandi Periodi del Mondo; i nostri maestri esoterici ci assicurano che, quanto più lontano
andrà progredendo la scoperta geologica, tanto più vicine saranno le corrispondenze della
dottrina e riconosciute le tracce esili del passato. Troviamo già degli esperti dal
Challenger che attestano l’esistenza di Atlantide, ma poiché l’argomento appartiene ad
una classe di problemi poco affascinante per il mondo scientifico in generale, le
considerazioni a favore del continente perduto non vengono ancora apprezzate. Alcuni
geologi attenti sono già pronti ad ammettere che, per quanto riguarda le forze che hanno
plasmato la terra, il periodo delle tracce storiche può essere stato un periodo di inerzia e

                                                        
26 JOHN TYNDALL (1820-1893), divenne ingegnere all'età di vent'anni. Studiò matematica, fisica e chimica e divenne professore di
chimica al Royal Institute di Londra. Fece ricerca nel campo dell'ottica e della propagazione del suono. Straordinaria fu la sua capacità
di spiegare in modo chiaro anche gli argomenti piÙ difficili.
di cambiamenti lenti e che le metamorfosi dovute ai cataclismi possono essere state
aggiunte prima di quelle dovute alla subsidenza, al sollevamento e alla denudazione
graduali. Ci sono solo un paio di gradini per il riconoscimento del fatto che le grandi
riemersioni e sommersioni continentali, su cui nessuno potrà più trovare da ridire, si
verificano alternativamente e che l’intera mappa del mondo non disegna occasionalmente
nuove forme, come le immagini di un caleidoscopio formate da frammenti colorati che si
assestano in nuovi disegni, ma è soggetta a cambiamenti ricorrenti e sistematici, che
ristabiliscono precedenti disposizioni dopo enormi intervalli di tempo.
In attesa di ulteriori scoperte si può già ammettere forse di avere un sufficiente numero di
conoscenze geologiche per rafforzare la cosmogonia della dottrina esoterica. Che questa
dottrina debba essere stata tenuta segreta fino al momento in cui non si fosse palesato il
modo per poterla recepire, può essere considerato avventato da parte dei suoi custodi.
Rimane da vedere se la generazione presente darà sufficiente importanza alla sua
corrispondenza con ciò che è stato appurato dalla Natura per altre vie.
Queste corrispondenze potranno, naturalmente, essere rintracciate sia nella geologia che
nella biologia. La vasta teoria darwiniana sull’origine dell’uomo dal regno animale non è
il solo supporto fornito da questa branca della scienza alla dottrina esoterica. Le
osservazioni dettagliate compiute ora in embriologia interessano specialmente per la luce
che gettano su più di una parte di questa dottrina. Così questa verità, ormai familiare, che
gli stati successivi dello sviluppo umano prenatale corrispondono al progresso
dell’evoluzione umana attraverso differenti forme della vita animale, è una vera
rivelazione nella sua portata analogica. Non solo rafforza la stessa ipotesi evoluzionistica,
ma ci offre un’immagine importante del modo in cui la Natura agisce sull’evoluzione di
nuove razze di uomini all’inizio dei grandi periodi di ronda. Quando un bambino inizia a
svilupparsi da un germe così semplice che nella sua costituzione tipica è più del regno
minerale che di quello animale o vegetale, la scala familiare di evoluzione accelera
rapidamente. Le idee di progresso, che possono avere impiegato innumerevoli epoche per
dare come risultato una catena per la prima volta, vengono impresse una volta per tutte
nella memoria della Natura, e da quel momento in poi possono essere richiamate
rapidamente in pochi mesi. E così procede la nuova evoluzione dell’umanità su ciascun
pianeta, mentre avanza la corrente di vita umana. Nella prima ronda il processo è
lentissimo e quasi inerte. Le idee della Natura sono loro stesse in evoluzione ma,
compiuto il processo una prima volta, questo viene poi rapidamente ripetuto. Nelle ultime
ronde l’impulso vitale percorre così velocemente la gamma dell’evoluzione, con una
facilità comprensibile soltanto con l’aiuto dell’embriologia. Questa è la spiegazione del
modo in cui il carattere di ogni ronda differisce da quello della ronda precedente. Il
lavoro evolutivo che è stato compiuto una volta è presto ripetuto; poi la ronda mostra la
propria evoluzione a ritmi diversi così come il bambino, una volta perfezionatosi al
modello umano, mostra la sua crescita individuale lentamente, in proporzione ai primi
stadi del suo sviluppo iniziale.
Non mi sarà richiesto alcun paragone elaborato fra il buddhismo exoterico e le visioni
della Natura che sono state ora espresse (anche se brevemente, considerandone il peso e
l’importanza; ma in ogni caso è nel complesso abbastanza per fornire al lettore un’idea
generale del sistema nel suo completo ed enorme campo d’azione). Con l’aiuto delle
informazioni ora date, più studiosi esperti di letteratura buddhista saranno capaci di
risolvere gli enigmi che la natura può contenere e svelarne i significati. I vuoti negli
insegnamenti pubblici del Buddha potranno essere colmati presto e risulterà chiaro il
perché della loro esistenza. Per esempio, nel libro di Rhys Davids trovo scritto: "Il
buddhismo non fa alcun tentativo per risolvere il problema dell'origine primordiale delle
cose". Poi, citando il Manuale di Buddhismo di Hardy [Spencer Hardy N.d.c.], prosegue
dicendo: "Quando Malunka [Mulunkyiaputta N.d.c.] chiese al Buddha se l'esistenza del
mondo fosse eterna o no, non ottenne repliche perché questa domanda era considerata
inutile dal maestro". In realtà, l’argomento passò chiaramente sotto silenzio perché non
poteva essere trattato con un sì o un no, senza mettere il richiedente su una pista
sbagliata; metterlo sulla pista giusta avrebbe richiesto una completa esposizione
dell’intera dottrina sull’evoluzione della catena planetaria, una spiegazione per la quale la
comunità con cui il Buddha aveva a che fare non era intellettualmente matura.
Concludere da questo silenzio che il Buddha ritenesse la questione inutile significa
commettere un errore, comprensibile in assenza di altra conoscenza collaterale, anche se,
in verità, nessun altro sistema può essere più completo. I vari sistemi religiosi che si sono
pubblicamente impegnati sul problema dell’origine del tutto, non hanno fatto altro che
scalfire la superficie di questa speculazione, in confronto alle ricerche esaustive della
scienza esoterica di cui il Buddha non fu un esponente meno importante di quanto lo sia
un insegnante di morale per il popolo. Le conclusioni positive sull’insegnamento del
buddhismo e delle sue elaborazioni sono esposte dal Davids in modo poco accurato tanto
quanto le conclusioni negative appena citate. Era inevitabile che fino a quel momento tali
conclusioni fossero così poco precise. Cito, ad esempio, una di queste conclusioni e non
per deprezzare l’attento lavoro di cui sono frutto, ma per dimostrare che la luce gettata
sopra l’intero soggetto penetra ogni fenditura e lo pone in un aspetto completamente
nuovo sotto ogni punto di vista.
Scrive il Davids: “Il Buddhismo afferma come fatto definitivo l’esistenza del mondo
materiale e di tutti gli esseri coscienti che ci vivono; e afferma inoltre che ogni cosa va
soggetta alla legge di causa ed effetto, che cambia impercettibilmente ma costantemente.
Non esiste luogo dove questa legge non operi; perciò non esiste paradiso o inferno nel
significato ordinario attribuito a queste parole. Ci sono mondi abitati da angeli, i quali
vivono un’esistenza più o meno materiale, che dipende dalla santità delle precedenti loro
esistenze; ma questi angeli muoiono come anche i mondi in cui dimorano. Esistono
luoghi di pena dove le cattive azioni degli uomini o degli angeli producono esseri
infelici; ma quando la forza attiva del male che le ha prodotte si esaurisce, questi esseri e
questi mondi si dissolvono non essendo eterni. L’intero Cosmo è sempre in via di
trasformazione; terre, cieli, inferni tendono sempre ad un rinnovamento o ad una
distruzione, una serie di rivoluzioni o di cicli, l’inizio e la fine dei quali non sono
conoscibili. A questa legge universale di composizione e di dissoluzione, uomini e Dei
non fanno eccezione; l'unità delle forze che costituisce un essere senziente, deve presto o
tardi dissolversi ed è solo in seguito all’ignoranza o all’illusione che tali entità
indulgono nel sogno di essere un’entità separata”.
Ora, certamente questo passo potrà essere usato per dimostrare come le idee popolari
della filosofia buddhista siano chiaramente tratte dalla vera filosofia esoterica. E più certo
ancora è che quella filosofia non trova più nell’universo, come nel credo di qualsiasi altro
pensatore illuminato asiatico o europeo, gli immutabili paradisi e inferni della leggenda
monacale; e i "mondi nei quali vivono gli angeli", i piani del Devachan vividi, reali
eppure soggettivi, si trovano veramente in Natura. E così è per tutto il resto dei concetti
del buddhismo popolare già passato in rassegna. Ma nella loro forma popolare essi sono
le caricature più vicine dei corrispondenti concetti della conoscenza esoterica. Così l’idea
dell’illusione dell’individualità, e della sua definitiva dissoluzione come essere senziente,
non può essere ben compresa senza le spiegazioni complete sulla pluralità degli eoni
della vita individuale, come anche le condizioni di esaltazione spirituale per noi
incomprensibili ma sempre in progredire, che vengono prima di quella lontana fusione
indicibile nella condizione non individualizzata. Quella condizione certamente avverrà in
futuro, ma la sua natura è tale che nessun filosofo non iniziato ha ancora compreso se non
come congettura baluginante. Come l’idea del Nirvana, così l’illusione dell’individualità,
che gli scrittori della dottrina buddhista hanno tratto da fonti exoteriche, si è sempre più
confusa con alcuni elementi della grande dottrina, dando l’impressione di trattare punti di
vista buddhisti su condizioni che seguono immediatamente questa vita. L’affermazione,
che può sembrare un’assurdità se tolta dal posto che occupa all’interno dell’intera
dottrina, può essere sentita non solo come un oltraggio all’intelletto ma anche come una
sublime verità, qualora restituita al suo posto in relazione alle altre verità. L’unione del
perfetto Uomo-Dio o Dhyan Chohan nell’assoluta coscienza del Paranirvana (Nirvana
non ha nulla a che fare, lasciatemi aggiungere, con l’“eresia dell’individualità”, che
riguarda le personalità fisiche. Su questo argomento ritornerò più tardi).
Rhys Davids dice, abbastanza giustamente, relativamente ai punti dottrinali di cui sopra:
"Questi insegnamenti non sono affatto caratteristici del buddhismo, poiché idee simili si
trovano di fondo alle filosofie indiane primitive". (Certamente perché il buddhismo, come
filosofia, era la filosofia indiana primitiva). "Gli stessi insegnamenti si trovano anche in
sistemi molto distanti sia per il tempo, sia per i luoghi. Il buddhismo, trattando le verità
che essi contengono, avrebbe potuto essere più decisivo e durevole, se non avesse preso a
prestito un credo nella curiosa dottrina della trasmigrazione, dottrina che sembra essere
sorta indipendentemente, se non simultaneamente, nella valle del Gange e nella valle del
Nilo. La parola trasmigrazione è stata impiegata, comunque, per esprimere teorie simili
ma in realtà molto differenti in diversi tempi e luoghi. Il buddhismo, adottando l'idea
generale dal bramanesimo postvedico, lo ha modificato fino a originare, nei fatti, una
nuova ipotesi. La nuova ipotesi, come la vecchia, ha messo in relazione alla vita nascite
passate e future, e ha contribuito a far sì che nulla rimuovesse qui, in questa vita, il male
di cui ha voluto spiegare l'origine".
Il presente volume dovrebbe aver dissipato i fraintendimenti su queste considerazioni. Il
buddhismo non crede in qualcosa che possa assomigliare al passaggio tra forme umane e
animali, cosa che la maggior parte delle persone pensa significhi trasmigrazione. La
trasmigrazione del buddhismo è la trasmigrazione dell’evoluzione darwiniana
scientificamente sviluppata o quanto meno approfondita in modo esaustivo in entrambe le
direzioni. Gli scritti buddhisti contengono certamente qualche allusione alle precedenti
nascite, nelle quali persino lo stesso Buddha fu alternativamente l’uno o l’altro animale.
Ma ciò si riferisce all’epoca remota dell’evoluzione pre-umana, della quale il Buddha,
nella sua aperta visione di uomo perfetto, poteva avere una visuale retrospettiva. Mai in
uno scritto buddhista autentico si può trovare alcun sostegno all’idea che ogni creatura,
una volta arrivata allo stadio di umanità, possa ridiscendere nel regno animale. E ancora,
nulla può essere più inutile di una spiegazione sull’origine del male di quanto lo sia una
tale caricatura della trasmigrazione che contempli tale regresso. Le rinascite progressive
degli Ego umani in esistenze oggettive, insieme all’azione del karma fisico e
dell’inevitabile gioco del libero arbitrio entro i limiti del suo privilegio, spiega l’origine
del male in modo completo e definitivo. E poiché lo scopo della Natura è di crescere una
nuova messe di Dhyan Chohan una volta evoluto un sistema planetario, lo sviluppo del
male transitorio diventa una conseguenza inevitabile nell’azione delle forze menzionate,
loro stesse stadi inevitabili nel progetto meraviglioso messo in piedi.
Allo stesso tempo il lettore che avrà approfondito il libro di Rhys Davids, e avrà
esaminato il lungo passo su questo argomento e sugli Skanda, comprenderà come il
tentativo di arrivare alla deduzione di ogni teoria razionale sull’origine del male da fonti
esoteriche sia stato del tutto senza speranza. E neppure è stato possibile, per queste fonti,
suggerire la vera spiegazione del passo che cito qui di seguito dal Brahmajala Sutra:
“Dopo aver dimostrato come la credenza nell’esistenza eterna di un Dio e di dei fosse
infondata, Gautama procede discutendo la questione dell’anima e pone l’attenzione sulle
trentadue credenze che la riguardano, credenze che egli dichiara errate. In breve dicono:
su quale principio o su quale base i mendicanti e i bramini conservano la dottrina
dell’esistenza futura? Essi insegnano che l’anima è materiale, immateriale, o entrambe o
nessuna ad un tempo; che essa dovrà possedere uno o più modi di coscienza; che le sue
percezioni possono essere innumerevoli, o pochissime; che l’anima può trovarsi in uno
stato di felicità o di afflizione, o in nessuno di questi. Queste sono le sedici eresie che
insegnano di un’esistenza cosciente dopo la morte. Ci sono poi otto eresie che insegnano
che l’anima (materiale o immateriale, o entrambe o nessuna, finita o infinita, o entrambe
o nessuna), ha un’esistenza incosciente dopo la morte. Infine, le altre otto eresie
affermano ugualmente che l’anima, negli stessi otto modi, esiste dopo la morte, ma in
uno stato che non è né cosciente né incosciente. Mendicanti - conclude il sermone - ciò
che lega il maestro all’esistenza (cioè sete) è reciso, ma il corpo rimane. Mentre il suo
corpo rimane, egli può essere visto dagli dei e dagli uomini, ma dopo la morte, con la
dissoluzione del corpo, né uomini né dei potranno più vederlo. È forse possibile negare
in modo più categorico e completo che non c’è alcuna anima, alcunché di simile che
esista in qualche modo dopo la morte?”.
Certamente, per tutti gli studiosi di exoterismo, questo passo sembrerà in netta
contraddizione con gli insegnamenti del buddhismo che trattano i passaggi successivi
della stessa individualità attraverso parecchie incarnazioni, e che così, lungo un’altra
linea di pensiero, potrebbe sembrare assumere l’esistenza di un’anima trasmissibile, in
modo tanto chiaro quanto altrettanto chiaramente il passo lo nega. Senza una
comprensione dei sette principi dell’uomo nessuna dichiarazione separata sui vari aspetti
della questione dell’immortalità potrà essere riconciliata. In ogni caso la chiave ora
fornita risolve l’apparente contraddizione. Nel passo prima citato, il Buddha parla della
personalità astrale, mentre l’immortalità riconosciuta dalla dottrina esoterica è quella
dell’individualità spirituale. La spiegazione è stata data in modo esauriente nel capitolo
sul Devachan e nei passi tratti dal Catechismo buddhista del Colonnello Olcott27. È solo
dai frammenti della grande rivelazione che questo volume contiene e che sono stati
divulgati negli ultimi due anni nel Theosophist, che la distinzione importante tra
personalità e individualità, così come è applicata alla questione dell’immortalità umana, è
stata stabilita in forma intelligibile; ma ci sono chiare allusioni in scritti occulti più
antichi, che possono oggi affermare come quegli autori fossero pienamente consapevoli

                                                        
27 Si veda: H.S. OLCOIT, Catechismo Buddhista, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza 2007 (N.d.c.).
della stessa dottrina. Tornando al più recente tra i libri d’occultismo, nel quale il velo
dell’oscurità è stato mantenuto per preservare la dottrina da osservazioni poco attente,
sebbene in molti punti vi sia uno squarcio di trasparenza, potremmo prendere uno (fra
una dozzina di passi) per fare il punto della situazione: “I filosofi che spiegavano la
caduta nel ciclo vitale a loro modo consideravano lo spirito come qualcosa di
interamente distinto dall'anima. Essi ammettevano la sua presenza nella capsula astrale
solo per quel che riguardava le emanazioni spirituali o raggi del “risplendente”. L'uomo
e l'anima dovevano conquistare la propria immortalità elevandosi verso l'unità con cui,
se vi riuscivano, venivano finalmente legati e in cui essi erano, per così dire, assorbiti.
L'individualizzazione dell 'uomo dopo la morte dipendeva dallo spirito, non dall 'anima o
dal corpo. Sebbene la parola “personalità”, nel senso in cui oggi è usualmente intesa,
sia un'assurdità se applicata letteralmente alla nostra essenza immortale questa, tuttavia,
è un'entità distinta, immortale ed eterna per sé; e, come nel caso di criminali senza
redenzione, quando il filo luminoso che lega lo spirito all'anima fin dal momento della
nascita viene violentemente spezzato e l'entità disincarnata è condannata a condividere
la sorte degli animali inferiori e a dissolversi gradatamente nell'etere con
l'annichilimento dell'individualità, anche allora lo spirito rimane un essere distinto”
[Iside Svelata, vol.l, p. 315]28.
Nessuno può leggere questo passo senza percepire, alla luce delle spiegazioni date nel
presente volume, che la dottrina esoterica, ora completamente fornitaci, fosse
perfettamente familiare all’autore, sebbene io sia stato privilegiato nel volgerla per la
prima volta in un linguaggio chiaro e non fraintendibile.
Si richiede un certo sforzo mentale per comprendere bene la differenza che passa fra
personalità e individualità, ma il desiderio per la continuità dell’esistenza personale, per
la completa capacità di ricordare sempre queste circostanze transitorie della nostra
presente vita fisica che compongono la personalità, non è niente altro che una debolezza
passeggera della carne. Per molti sarà forse irrazionale ammettere che ogni persona
vivente, con i propri ricordi legati agli anni della sua infanzia, vissuta in differenti nazioni
ed epoche migliaia di anni fa, sia lo stesso individuo che riapparirà in futuro dopo un
analogo lasso di tempo in condizioni completamente nuove. Ma la sensazione dell’ "Io
sono Io" è sempre la stessa per tutta la durata delle tre vite e delle altre centinaia; questo
perché quella sensazione è più forte di "Io sono John Smith, alto, pesante, con queste o
quelle altre caratteristiche". È inconcepibile, per la nostra mente, che John Smith,
ereditando il dono di Titone, cambi nome di tempo in tempo, si sposi di nuovo ad ogni
altra generazione, perda i propri beni, venga in possesso di beni altrui, e si interessi degli
affari più disparati? È inconcepibile che tale persona in poche migliaia di anni dimentichi
tutte le circostanze connesse alla vita presente di John Smith, come se gli avvenimenti di
quella vita per lui non si fossero mai verificati? Tuttavia l’Ego rimarrà sempre lo stesso.
Se ciò è concepibile alla nostra immaginazione, che cosa può essere inconcepibile nella
continuità individuale di una vita intermittente, interrotta e rinnovata ad intervalli
regolari, e variata attraverso le diverse condizioni di esistenza?
Non meno di quanto spiega l’apparente conflitto tra l’identificazione delle individualità
successive e l’ "eresia" dell’individualità, la dottrina esoterica sembrerà porre su una
perfetta base intelligibile e scientifica l' "incomprensibile mistero" del karma, che Rhys

                                                        
28 Si veda: H.P BlAVATSKY, Isi.de Svelata, Catalogo Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza 2006 (N. d. c.).
 
Davids espose in modo sommario. Di questo argomento il Davids dice che, poiché il
buddhismo "non ammette l'anima", deve adottare il disperato espediente di un mistero
per costruire una sorta di ponte sul golfo tra una vita e l’altra da qualche altra parte,
ovvero la dottrina del karma. Egli condanna l’idea definendola una "invenzione del
cervello". Nonostante si senta, per così dire, irritato per quanto riguarda l’assurdità della
dottrina, egli mostra tuttavia pazienza e una grande ingegnosità mentale nel tentativo di
produrre qualcosa che possa essere percepito come un’idea metafisica razionale al di
fuori delle espressioni vaghe e confuse che concernono il karma delle scritture buddhiste.
Scrive: "Il karma, dal punto di vista del buddhismo, impedisce di cadere da un lato nelle
superstizioni esagerate di coloro che credono all'esistenza di un 'entità separata
chiamata anima e dall'altro nell'estremo irreligioso di quelli che non credono in alcuna
morale di giustizia e di retribuzione. Il buddhismo pretende di avere cercato, attraverso
la parola anima, ciò che afferma di nascondere e di non aver trovato nulla se non una
delle venti diverse illusioni che ingannano la vista degli uomini. Il buddhismo,
nondimeno, è convinto che, se un uomo raccoglie sofferenze, dolori e fallimenti, egli
stesso e nessun altro deve avere seminato follie, errori e colpe, se non in questa, in altre
esistenze certamente. In quest'ultimo caso, dove è l'identità di colui che semina, e di colui
che raccoglie? Sta soltanto in ciò che resta quando un uomo muore e le parti costituenti
dell'essere senziente sono dissolte in conseguenza delle sue azioni, delle sue parole, e dei
suoi pensieri, del suo buono o cattivo karma (letteralmente “il suo agire”) che non muore.
Noi tutti conosciamo il proverbio “Chi semina, raccoglie” e possiamo pertanto tradurre
secondo il sentire buddhista “Si raccoglie ciò che si è seminato”. Ci è familiare anche la
dottrina dell'indistruttibilità della forza e possiamo perciò capire il dogma buddhista
(sebbene possa andare contro alle nostre idee cristiane) secondo il quale nessun potere
esteriore può distruggere il frutto delle semine dell'uomo, che devono pienamente sortire
i loro effetti buoni o cattivi. La caratteristica del buddhismo sta nel fatto che il risultato
di ciò che l'uomo è o fa, non lo considera disperso come se fosse separato in tante
correnti, ma concentrato insieme nella formazione di un nuovo essere senziente, nuovo
nelle sue parti costitutive e nei poteri, ma uguale nell'essenza, nell'essere, nell'azione, nel
karma”.
Niente può essere più ingegnoso del tentativo del buddhismo di inventare una
spiegazione del suo "mistero" definito "espediente disperato" per trarre d’impaccio, da
una posizione insostenibile, gli autori che in origine ne trattarono. Ma in realtà la dottrina
del karma ha una storia ben più semplice e per essere esposta non richiede interpretazioni
sottili. Come per molti altri fenomeni naturali che hanno a che fare con il futuro, il
Buddha dichiarò che il karma era un mistero incomprensibile, e che le questioni che lo
riguardavano erano da accantonare, ma con questo non voleva dire che poiché era
incomprensibile per il popolo lo fosse anche per gli iniziati alla dottrina esoterica. È
impossibile spiegare questo concetto senza far riferimento alla dottrina esoterica, ma una
volta acquisite le linee guida di quella scienza, il karma o qualcosa d’altro di simile
diventa una materia relativamente semplice, un mistero solo nel senso in cui sono misteri
anche l’affinità dell’acido solforico per il rame e la sua superiore affinità per il ferro.
Certamente la scienza esoterica lascia qualche mistero insoluto nell’ombra per i suoi "lay
chela", come la scienza della chimica per i suoi lay chela, studiosi delle sue
manifestazioni fisiche. Non sono preparato a dimostrare per quali precisi cambiamenti
molecolari le più alte affinità, che costituiscono il karma, si accumulino negli elementi
permanenti del quinto principio. Ma nemmeno la scienza ordinaria è più qualificata ad
affermare cosa c’è nella molecola dell’ossigeno che la induce ad abbandonare la
molecola dell’idrogeno con cui era legata nella goccia d’acqua e ad attaccarsi a una
molecola di ferro di un’inferriata sulla quale cade. Ma la macchia di ruggine si è ormai
formata, e una spiegazione scientifica di quel fatto è stata data nel momento in cui le sue
affinità si sono riconosciute e attratte.
Così il karma, mentre il quinto principio acquisisce le affinità dei suoi semi buoni e
cattivi nel proprio passaggio attraverso la vita, passa con questi in Devachan, dove coloro
che sono adatti all’atmosfera, per così dire, di quello stato, fruttificano e fioriscono con
un’abbondanza prodigiosa e poi, una volta esaurita la loro energia, passano nuovamente
nel mondo oggettivo. Come è certo che la molecola di ossigeno, alla presenza di un
centinaio di molecole diverse, si unirà con quella per la quale risente maggiore affinità,
così la monade spirituale gravata di karma andrà verso quella incarnazione che può
soddisfare le misteriose attrazioni che là la dirigono. E in questo processo non c’è
creazione di un nuovo essere senziente, tranne nel senso che la nuova struttura corporea
sviluppatasi è un nuovo strumento di senso. Ciò che la abita, che prova gioie e dolori, è il
vecchio Ego, lo stesso "Io sono Io" di sempre separato, è vero, dall’oblio degli ultimi
eventi sulla terra, ma che ciononostante raccoglie i loro frutti. Mr. Rhys Davids pensa che
sia strano che tutto questo (la spiegazione della filosofia buddhista che ha potuto fornire
grazie ai materiali esoterici) "possa essere sembrata attraente, in questi 2300 anni e più,
per molti cuori affranti e sinceri che avrebbero affidato loro stessi al ponte grandioso
che il buddhismo ha tentato di costruire sul fiume dei misteri e dei dolori della vita ... essi
hanno fallito nel vedere che la vera chiave di volta, il legame tra una vita e l'altra, è una
semplice parola (questa ipotesi meravigliosa, questo niente astratto, questa causa
immaginaria oltre il limite della ragione), la grazia individualizzata e individualizzante
del karma “.
Sarebbe strano, in verità, se il buddhismo avesse costruito fondamenta tanto fragili; ma la
sua apparente fragilità è dovuta semplicemente al fatto che il suo imponente materiale di
conoscenza è stato velato fino a quel momento. Ora che la dottrina interiore è stata
svelata, si vedrà che nessuna sua parte dipende dalle nebulose sottigliezze della
metafisica. Fino a quando queste si sono accumulate intorno al buddhismo, alcuni
interpreti esterni hanno proposto cenni dottrinali vaghi che non hanno potuto essere
completamente eliminati dal semplice sistema di precetti morali prescritto al popolo.
In ciò che realmente costituisce il buddhismo, noi troviamo una semplicità sublime come
quella della Natura stessa, una legge che percorre infinite ramificazioni, complessità di
dettagli, come la Natura stessa è infinitamente complessa nelle sue manifestazioni eppure
invariabilmente uniforme nei suoi obiettivi e troviamo sempre l’immutabile dottrina delle
cause e dei loro effetti che diventano cause a loro volta in una progressione ciclica
infinita.
La Società Teosofica
La Società Teosofica è stata fondata a NewYork il17 novembre 1875 ed eretta in Ente
Morale a Madras (ora Chennai in India) il 3 aprile 1905. Fra i suoi fondatori H. P.
Blavatsky (nobildonna russa) e H. S. Olcott (un colonnello americano), che furono i
pionieri della S. T., ispirati e sostenuti nella loro azione da due Mahatma orientali, Morya
e Koot-Hoomi.
In Italia la Società Teosofica è stata fondata nel febbraio 1902 ed eretta in Ente Morale
filantropico-culturale con decreto del Presidente della Repubblica n. 821 in data
15.9.1980 (G. U. n. 337 del l0 dicembre 1980).
La Società Teosofica è un’Associazione internazionale apolitica e areligiosa, composta
da donne e uomini associati nel riconoscimento del principio della fratellanza umana.
All’infuori di questo Principio fondamentale i componenti la Società Teosofica non
hanno nessuna credenza o fede obbligatoria.
L’Associazione si basa sul fondamentale diritto alla libera ricerca e conseguente rispetto
di tutte le idee.
Come ha precisato la Dott.ssa Annie Besant: "Il vincolo d'unione tra i membri della
Società Teosofica non è una credenza comune, bensì una comune ricerca della Verità".
Gli scopi della Società Teosofica sono i seguenti:
Formare un nucleo della fratellanza universale dell’umanità, senza distinzione di razza,
credo, sesso, casta o colore.
Incoraggiare lo studio comparato delle religioni, filosofie e scienze.
Investigare le leggi in esplicate della natura e le facoltà latenti nell’uomo.
Simpatizzare con questi scopi è l’unica condizione richiesta per associarsi.

Dichiarazione dei principi


La Società Teosofica è composta da studiosi appartenenti a qualsiasi religione del mondo
o a nessuna, uniti nell’approvare gli scopi della Società, con il desiderio di rimuovere gli
antagonismi religiosi e di dialogare con gli uomini di buona volontà, qualunque siano le
loro opinioni religiose.
Ciò che anima questi studiosi è il desiderio di approfondire le verità religiose, scientifiche
e filosofiche, nonché di condividere con gli altri i risultati dei loro studi.
Il loro vincolo di unione non è professione di una credenza comune, bensì una comune
ricerca ed aspirazione alla Verità.
I teosofi sostengono che la Verità deve essere cercata con lo studio, con la riflessione,
con la purezza della vita, con la devozione agli elevati ideali e considerano la Verità
come una ricompensa alla quale si mira, non come un dogma che si deve imporre con
autorità.
I teosofi ritengono che ciò in cui si crede deve essere il risultato dello studio individuale o
dell’intuizione e non la sua premessa e che deve basarsi sulla conoscenza, non sulle
affermazioni.
I teosofi estendono la tolleranza a tutti, anche agli intolleranti, non come un privilegio da
concedere, bensì come un dovere da adempiere e cercano di rimuovere l’ignoranza, non
di punirla.
Pace è la loro parola d’ordine e Verità la loro meta.
Sede Centrale della Società Teosofica (Ente Morale 3.4.1905)
Adyar-Chennai 600 020 (India)
Sede Legale della Società Teosofica Italiana (Ente Morale D.P.R. 821 dd. 15.9.1980)
36100 Vicenza, Viale Q. Sella, 32
Segreteria Generale
36100 Vicenza, Viale Q. Sella, 32
Per informazioni te!. e fax n. 0444/561244 E-mail: sti@teosofica.org
Sito internet: www.teosofica.org
Sede della Biblioteca Nazionale 00198 Roma, Corso Trieste, 88/90
Organo ufficiale: "Rivista Italiana di Teosofia" 36100 Vicenza, Viale Q. Sella, 32
Edizioni Teosofiche Italiane (E. T. I.) è la Casa Editrice ufficiale della Società Teosofica
Italiana (S.I.I.)
E-mail: eti@teosofica. org
Sito internet: www.eti-edizioni.it
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Edizioni Teosofiche Italiane
COLLANA “CLASSICI”
Cofanetto del Centenario contiene “La Voce del Silenzio”, “Ai piedi del Maestro”,
“La Luce sul Sentiero”
Iside Svelata
Opera completa in due volumi HP. Blavatsky
Iside Svelata
La Scienza
HP. Blavatsky
Iside Svelata
La Teologia
HP. Blavatsky
La Dottrina Segreta
Opera completa in otto volumi HP. Blavatsky
La Dottrina Segreta Volume I- Cosmogenesi HP. Blavatsky
La Dottrina Segreta Volume II - Cosmogenesi HP. Blavatsky
La Dottrina Segreta Volume III - Cosmogenesi HP. Blavatsky
La Dottrina Segreta Volume IV - Antropogenesi HP. Blavatsky
La Dottrina Segreta Volume V - Antropogenesi HP. Blavatsky
La Dottrina Segreta Volume VI - Antropogenesi HP. Blavatsky
La Dottrina Segreta Volume VII - Scritti esoterici HP. Blavatsky
La Dottrina Segreta Volume VIII - Insegnamenti orali HP. Blavatsky
La Dottrina Segreta Edizione di studio HP. Blavatsky
La Chiave alla Teosofia HP. Blavatsky

COLLANA “DEVOZIONE”
“Oh vita celata .... “ J. Milis
Ai piedi del Maestro Edizione del Centenario J Krishnamurti
Catechismo Buddhista HS. Olcott
La Luce sul Sentiero Edizione del Centenario M. Collins
La Voce del Silenzio Edizione del Centenario HP. Blavatsky
Attraverso le Porte d’Oro M. Collins
Dei in esilio Il van der Leeuw
Karma o l’enigma del destino A. Besant
Kundalini G.S. Arundale
La Bhagavad Gita o Poema Divino C. Iinariijadiisa - M.L. Kirby
La dottrina del cuore
La natura della memoria A. Besant - HP. Blavatsky
La Voce del Silenzio HP. Blavatsky
Due libri delle Stanze di Dzyan HP. Blavatsky
Sogni C. W Leadbeater

COLLANA “CONOSCENZA”
Avviamento allo studio dello Voga D. Audoin
I Sette Principi A. Besant
Il pensiero teosofico nella filosofia antica S. Demarchi
Il Piano Astrale C. W Leadbeater
Il Potere del Pensiero A. Besant
Il Tempio Interiore A. Besant
La Filosofia esoterica dell’India J C. Chatterji
La genealogia dell’uomo A. Besant
La genealogia dell’uomo Tavole e diagrammi A. Besant
La Legge Suprema W Williamson
La Meditazione C. Codd
La morte ... e poi? A. Besant
La Reincarnazione E. Bratina
La Scienza dello Voga I.K. Taimni
Le leggi fondamentali della Teosofia A. Besant
L’Oceano della Teosofia WQ·Jodge
L’uomo e i suoi corpi A. Besant
L’uomo visibile e l’uomo invisibile C. W Leadbeater
Magia bianca e magia nera C. W Leadbeater
Regole degli Esseni del Mar Morto E. Bratina
Religioni e Morale A. Besant
Teosofia di base R. de Grandis
Voi G.S. Arundale

COLLANA “ORIZZONTI”
Atti del Congresso del Centenario
Tutti i testi in italiano ed inglese n° 36 foto in bianco e nero
Chi sono i Teosofi E. Bratina
Corso elementare di Teosofia L. Del Sere
Il Seminatore E. Forcellini
La dimensione umana B. del Boca
La Scala Celeste M. Salustri
La Società Teosofica J Santucci
La vita straordinaria di H.P. Blavatsky A.P. Sinnett
Raja Voga o occultismo HP. Blavatsky
Rigenerazione umana R. Bumier
Stile di vita vegetariano e vegan Teosofia nel pensiero antico e moderno E. Bratina
Vegetarismo e occultismo C. W Leadbeater
“DVD” La vita di Helena Petrovna Blavatsky durata 50 minuti con allegato volumetto “Blavatsky” di lan
Wilson
La richiesta dei libri può essere fatta teigfonicamente al recapito E.1:I. presso la Segreteria Generaig della
S. T.I. (0444-561244) o inviando un fax allo stesso numero oppure mandando una e-mail all'indirizzo di
Edizioni Teosofiche Italiane (eti@teosofica. org). La spedizione avverrà con l'invio contrassegno e spese
postali a carico del destinatario. Per i soci e per gli abbonati è previsto uno sconto del 10 % sul prezzo di
copertina.
In internet: www.eti-edizioni.it
Edizioni Teosofiche Italiane (E.T.I.) Viale Q. Sella, 32
36100 Vicenza
E-mail: eti@teosofica.org
Sito internet: www.eti-edizioni.it

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