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DOMINANZA E LEADERSHIP

Il concetto di dominanza è di origine etologica. In etologia si parla di dominanza a


proposito dei comportamenti degli animali in relazione alla loro posizione nel branco. I
primi studi al riguardo sono stati condotti su branchi di lupi, e il contesto canino è
rimasto quello di riferimento per questo tipo di ricerche (Schenkel, 1947).
I segnali di dominanza animale sono legati a fattori come paura e aggressività e trovano
analogie con la comunicazione del leader solo nel vecchio modello della leadership
autoritaria. Oggi infatti, con l’affermarsi delle nuove teorie sulla leadership, in cui si
riconosce la fondamentale importanza degli aspetti relazionali e dell’intelligenza
emotiva, anche il concetto di dominanza si è trasformato, evolvendo in quello di
leadership, e di conseguenza sono cambiati i segnali di comunicazione non verbale.
L’importanza dell’intelligenza emotiva distingue dunque la comunicazione non verbale
del leader umano da quella degli animali.
Sostanzialmente in etologia l’atteggiamento di dominanza equivale a un’esibizione di
forza da parte degli animali. Schenkel introdusse la fortunata espressione di “maschio
alfa” per indicare il lupo dominante all’interno di un branco visto come una società
fortemente gerarchizzata, con al vertice della piramide un individuo dominante a causa
della sua forza, appunto il “lupo alfa”. L’organizzazione del branco seguiva quindi una
rigida gerarchia maschile e femminile, variabile nel tempo poiché lo status di un
soggetto poteva cambiare per il sopraggiungere di vecchiaia, malattie, ferite.
La descrizione del lupo alfa ha molto in comune con quella del leader autoritario: la
potenza fisica e la forza psicologica di questo individuo (qualità che negli animali può
essere associata al coraggio), infatti, consente al capo di tenere unito il branco,
soddisfare i suoi bisogni, proteggerlo dalle intrusioni, marcare il territorio, prendere in
solitudine decisioni sui sistemi di difesa e sulle strategie di caccia, usando modalità di
comportamento basate sulla comunicazione univoca dall’alto al basso, con la possibilità
di mettere in atto rigide misure di rimprovero, di avvertimento e di punizione. Gli
animali dominanti hanno dei privilegi, come l’accesso prioritario alle risorse e il diritto
di iniziativa.
Con l’atteggiamento dominante viene messa in atto una ritualizzazione dell'aggressività,
da parte di un individuo che detiene una forte potenzialità offensiva, che però non
rivolge contro i membri del suo gruppo. Vi sono anche le lotte ritualizzate, con le quali i
capi affermano la propria dominanza gerarchica senza causare conseguenze gravi.
Le posture e i segnali di dominanza di cani e lupi comprendono orecchie dritte che
puntano in avanti, testa alta, corpo teso ed eretto sulle zampe, pelo del dorso sollevato,
coda rigida e solelvata, in una postura molto simile a quella che prelude gli attacchi
(Bonanni, Cafazzo, Valsecchi, Natoli, 2010; Bonanni, Valsecchi, Natoli, 2010). Le
posture alte fanno apparire l’animale più grande di quanto sia in realtà, e in caso di minaccia
di aggressine si associano a particolari mimiche tese a spaventare l’avversario, come muscoli
facciali contratti che portano la pelle del muso a corrugarsi, e le labbra solelvate per mostrare i
denti fino alle gengive (Guarino, Lancellotti, 2017).
Vedremo in seguito che cosa è rimasto di questi atteggiamenti nella comunicazione non
verbale umana in ambito di leadership.
L’applicazione delle neuroscienze ha permesso di eviedenziare le regioni cerebrali più
sviluppate nella dominanza. Uno studi ocompiuto sui macachi ha mostrato il maggiore
sviluppo di alcune aree cerebrali negli animali leader (Noonan , Sallet, Mars  et al.,
2014).
La ricerca si è avvalsa delle scansioni cerebrali in risonanza magnetica funzionale
(fMRI) di 25 macachi. Dalla cmparazione fra lo status sociale dei macachi osservati e le
loro neuroimmagini è emerso che gli individui dominanti presentavano delle
caratteristiche cerebrali comuni. In particolare, sono risultate più sviluppate le aree
dell'amigdala, dell'ipotalamo e dei nuclei del rafe, mentre negli esemplari sottomessi
apaprivano di dimensioni maggiori le aree dello striato. Le conenssioni tra le aree più
sviluppate apparivano anche dotate di maggiore coordinazione e sincronizzazione.
Il dato più interessante è che proprio l'amigdala, l'ipotalamo e i nuclei del rafe hanno un
ruolo cruciale nella negoziazione delle situazioni sociali e nell’interpretazione dei
segnali emotivi, che sono competenze dei leader che utilizzano l’intelligenza emotiva.
Si vede quindi che anche negli animali a noi più vicini le qualità relazionali sono un
elemento significativo per la leadership, e,all’inverso, che le qualità relazionali hanno
un’origine innata e naturale.
Il fatto che per avere successo come leader occorrano specifiche abilità, per cui vi è una
maggior domanda di attività neurale in determinate regioni cerebrali, fra cui spiccano
quelle depiutate alla relazionalità, dimostra che anche tra i primati la dominanza non è
solamente una funzione dell’aggressività e dalla forza fisica, ma dipende anche dalla
capacità di negoziazione e di scambio sociale.
Poiché le regioni cerebrali evidenziate nei primati esistono anche nell’uomo e rivestono
una funzione analoga, si può supporre che anche nell’uomo esse siano associate alla
disposizione alla leadership, anche se i ricercatori sottolineano che nell’uomo il
concetto stesso di dominanza si configura come molto più complesso (Ellyson, Dovidio,
1985; Noonan, Sallet, Mars  et al., 2014).

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