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attualità
di Michele Girardi
esempio 1a esempio 1b
Legni, archi III, 25
3
Fl 3
3
Ob Cl
Ottoni
Legni, ottoni tutta forza 3
Vl, Vle Trb
Vl, Vle
Vlc, Cb
Fg, Cfag
Trbn B, Cfag, Cb Vlc, Cb
esempio 1c
III, 165
Cavaradossi
Fl, Cl
Ob, CI
Cl
esempio 2a
L
I, 37 Q Q
Fl
Vlc
esempio 2b
I, 25
Cavaradossi Tosca
Q
8
Mia ge lo sa! Sì, lo sen to, ti tor men to sen za po sa.
esempio 2c esempio 2d
I, 22 10 I, 38 8
Q Vl Q’
Q
Tosca
Q Cavaradossi
Tosca
3
Q
8
Ma rio! Ce la te vi! Dio! quante pecca ta. M’hai tut ta spetti na ta!
MICHELE GIRARDI, Un’opera d’azione: Tosca, fra storia e attualità (Modena, 2008) 2
succedersi dei fatti. Si valse degli accordi di Scarpia (es. 1a: Si e La bemol-
le, indi Mi maggiore, note di una scala esatonale), quale cardine su cui far
ruotare l’opera, con esiti particolarmente importanti nell’atto terzo, quan-
to il tema si riaffaccia nel preludio, per trasmettere la sensazione che la vo-
lontà omicida del baritono abbia ancora effetto dopo la sua morte (es. 1b),
come poco dopo constaterà il povero Mario, a colloquio con Floria, mo-
strandosi giustamente perplesso sulla grazia concessagli (es. 1c), tanto che
l’ultimo accordo è volto in modo minore, segno inequivocabile di una
svolta pessimistica.
Per quanto l’analisi della partitura indichi la preminenza di un sistema
di relazioni basato sul tema di Scarpia, l’idea di determinare un continuum
nel tessuto musicale viene realizzata con ulteriori mezzi, fino a coniare una
sottile trama linguistica volta ad assicurare compattezza all’azione median-
te la coesione dei Leitmotive, mentre la loro ambivalenza viene sfruttata ai
fini di creare l’impressione di un’azione musicale sempre in divenire. A
questa concezione i rimandi vengono sottomessi anche nei momenti più
drammatici, ma all’idea di evoluzione dinamica del dramma non sfugge
neppure la definizione dell’elemento lirico. L’amore non occupa un posto
predominante in Tosca come elemento in sé, bensì come rifugio dalle ten-
sioni di una vita difficile e opprimente, come anelito alla felicità dei sensi
da realizzarsi in luoghi lontani dal mondo, al riparo dai tentacoli secolari
dalla Roma pontificia (che sennò la passione viene vissuta alla Scarpia,
propenso a goderne all’ombra dei tabernacoli a cui Tosca eleva la sua pre-
ghiera). La cantante, che pur non ama i «minuscoli amori» e le effusioni
nei luoghi di culto, ha tuttavia qualcosa in comune con il suo implacabile
persecutore: va a trovare Mario in Sant’Andrea, giungendo inopportuna, e
all’inizio del loro incontro (es. 2a), come nella seconda parte del duetto
(es. 2b), udremo i due temi che inequivocabilmente rappresentano il sen-
timento che li unisce.
In questa estesa forma lirica le melodie percorreranno l’opera da cima a
fondo. Ma anche trattando il sentimento a lui più congeniale Puccini evitò
connotazioni univoche. Si consideri con attenzione la cellula formata da
una quarta giusta discendente e da una seconda maggiore ascendente (Q)
che è generatrice della seconda melodia (es. 2b), ma che caratterizza en-
trambe. Essa era apparsa quando Cavaradossi scopriva il ritratto della
Maddalena, causando l’indignazione del Sagrestano, ma poche battute
dopo la stessa figura connotava la voce da fuori scena della gelosa Floria,
che interrompe il colloquio fra Mario e Angelotti (es. 2c). La cellula Q
crea un vasto sistema di relazioni, e quando Cavaradossi riprende con
slancio la melodia amorosa le sue parole non lasciano dubbi: «Mia Tosca
idolatrata», e ancora «Mia vita, amante inquieta / dirò sempre: “Floria
t’amo!”»: l’amore trionfa anche nel suo lato fisico, e la cellula appone il
MICHELE GIRARDI, Un’opera d’azione: Tosca, fra storia e attualità (Modena, 2008) 3
suo suggello al duetto mentre la donna reagisce con un tocco di bigotta ci-
vetteria alle attenzioni dell’amante (es. 2d).
Esempi come quelli che abbiamo sin qui esaminato testimoniano la di-
versità di Tosca. Per la prima volta Puccini si trovava di fronte al proble-
ma di rappresentare un’azione in continuo divenire, e aveva quindi biso-
gno di realizzare un commento musicale in cui i temi entrassero in gioco
grazie alla loro stessa costituzione, piegandosi ai numerosi cambiamenti di
stati d’animo e ai frequenti colpi di scena. Cercare perciò nell’opera gli
stessi procedimenti attuati nella Bohème e in Manon Lescaut, e che domi-
neranno la successiva Butterfly, sarebbe esercizio sterile.
attenzione verso i minimi dettagli del rito risulta ben motivata e compren-
sibile: è così che l’azione stessa si fa simbolo, che la perversione sessuale di
Scarpia si staglia come l’altra faccia del suo bigottismo ipocrita; ed en-
trambe sono legate all’esercizio del potere tramite lo sfondo ufficiale della
cerimonia, senza il quale gli imbarazzanti propositi del barone perderebbe-
ro gran parte del loro effetto. Difficile sintetizzare meglio le caratteristiche
ufficiali della romanità papale e politica: dietro questo finale pucciniano si
avvertono i fantasmi dei Borgia e dei Carafa, e di tutti quelli che nel tem-
po, nei palazzi della capitale d’Italia, hanno continuato la loro tradizione.
tilena dei legni che funge da sfondo alle inchieste di Scarpia alternandosi
alle voci, fra le quali Cavaradossi riconosce con emozione quella
dell’amante: lo spettatore assume qui la prospettiva del personaggio, e cre-
sce a dismisura il suo coinvolgimento nella vicenda. Puccini sfruttò questa
combinazione anche per un ulteriore coup de théâtre: alla fine
dell’episodio unì il tema dei legni alla cantata, facendo sì che l’accresciuto
livello di elaborazione musicale dia una motivazione sonora a Scarpia per
precipitarsi, da vero burattinaio, a chiudere realisticamente la finestra. In
tal modo tutta l’attenzione si concentra sulle ultime domande, prima che
la diva irrompa trafelata nella stanza, appena in tempo per sentire l’ordine
d’inizio della tortura (mentre la cantilena, affidata agli ottoni, esplode con
forza).
I convenevoli tra Tosca e Scarpia durano ben poco. L’orchestra si tende
con sonorità lancinanti su corte frasi dei legni, con viole e celli spinti in
tessiture acute sulle prime corde; e mentre a motivare l’angoscia della
donna giungono i lamenti di Cavaradossi da fuori scena, il loro colloquio
si trasforma in uno scontro terribile che li impegna in drastiche contrappo-
sizioni vocali. Ogni funzione non gestuale scompare dal tessuto musicale,
che diviene puro sfondo dell’azione. Il livello di parossistica tensione che si
raggiunge in questi frangenti impone di valutare Tosca in un ambito este-
tico premonitore di soluzioni espressionistiche, per l’esasperazione del de-
clamato vocale e la violenta forza dell’accompagnamento orchestrale. Ma
neppure qui Puccini perde di vista la caratterizzazione clericale, facendo
recitare a Spoletta alcuni versi del Dies iræ.
Dopo la confessione di Tosca e l’inutile accensione eroica di Cavarados-
si alla notizia della vittoria di Napoleone, lo scontro riprende quando la
donna chiede al barone il prezzo per i suoi favori. La risposta ironica
dell’uomo è sottolineata da un motivo ascendente dei legni riferito alla li-
bidine che lo domina e lo condurrà alla violenta e scoperta dichiarazione
erotica «Già mi struggea l’amor della diva». In questo tesissimo contesto il
richiamo dei tamburi militari frena temporaneamente lo slancio di Scarpia
e rimette in primo piano l’ossessione del tempo inesorabilmente scandito
dagli eventi esterni, mentre celli e bassi riecheggiano il motivo della fuga di
Angelotti.
Il ritmo sinistro ricorda la scadenza ricattatoria dell’esecuzione di Cava-
radossi, imponendo in modo decisivo la legge di Scarpia. Ed è a questo
punto che il soprano canta il «Vissi d’arte», un brano che riesce per qual-
che istante a sottrarci agli obblighi di un dramma senza soste. Puccini in-
tendeva eliminarlo, perché risolveva la continuità dell’azione. Finì per la-
sciarlo ed ebbe ragione, perché l’effetto di questo lamento-preghiera è
quello di dilatare il tempo psicologico, come se davanti agli occhi di Floria
passasse in pochi istanti tutta la sua vita. Ciò è reso possibile dalla tecnica
MICHELE GIRARDI, Un’opera d’azione: Tosca, fra storia e attualità (Modena, 2008) 8
sorti del condannato, se non addirittura ostile, visto com’è percorso dai
segni dell’inquietante vitalità di Scarpia (cfr. es. 1b). Il tema d’amore (es.
2a) s’insinua in questo tessuto e precede di poco la melodia degli archi,
appoggiata sul Mi grave del campanone, che annuncia l’uscita di Cavara-
dossi: un canto disperato su cui ruota l’intero assolo. Dopo aver seccamen-
te rifiutato i conforti religiosi il pittore corrompe il carceriere per avere
carta e penna. Ma invano tenta di lasciare il suo ultimo addio all’amante:
un quartetto di violoncelli s’incarica di caratterizzare il tempo psicologico,
dove la musica ricompone nuove unità che non sono legate alla memoria
del protagonista, ma a quella dell’ascoltatore, di nuovo chiamato a condi-
videre le emozioni del personaggio. Alla melodia del duetto segue infatti la
conclusione del «Vissi d’arte», che a sua volta rimanda all’interrogatorio
di Floria, situazioni che Mario non ha vissuto.
Il trapasso fra questa sezione e l’attacco dell’aria vero e proprio è affi-
dato al timbro del clarinetto, che attacca il cantabile mentre Cavaradossi
mormora la sua nostalgia di una notte d’amore. All’ancia è affidata la con-
tinuità del ricordo, finché il pittore non intona la melodia. Alla terza ripre-
sa la rimembranza si fa doloroso presente, con una forza che solo la voglia
di vivere può dare. «E muoio disperato!» è la parola scenica che rende più
lancinante l’addio alla vita di Cavaradossi. Da questa frase Puccini era
partito per immaginare il pezzo, battendosi fermamente perché Illica modi-
ficasse secondo le sue intenzioni il filosofico monologo che tanto era pia-
ciuto a Verdi. Questa effimera e sensuale rievocazione di una notte
d’amore è uno dei momenti più rappresentativi dell’arte moderna e deca-
dente di Puccini: ogni eroismo le è estraneo.
È atteggiamento coerente, poiché proprio l’unico personaggio autenti-
camente laico dell’opera non poteva richiamarsi ad altre religioni, a esalta-
zioni dell’arte, o a nostalgie romane, ma doveva prepararsi a morire con
disperata consapevolezza, quella stessa che minava la fiducia dei contem-
poranei di Puccini nei confronti dei valori correnti. Questa coscienza di
una morte inevitabile Cavaradossi la mantiene, a nostro avviso, anche di
fronte al salvacondotto sventolato da Tosca (es. 1c): infatti, se si accetta la
logica con cui l’opera è costruita, solo un credente può prestar fede al suo
confessore. La musica contraddice la sicurezza della donna, e ancora la
stessa memoria dei terribili momenti passati nell’atto secondo rende più
teso il racconto di lei, fino a quel salto al Do acuto con cui la lama del col-
tello guizza musicalmente davanti ai nostri occhi. Frammentario si fa poi il
dialogo in un modernissimo caleidoscopio di sensazioni, e più forte la vo-
glia di essere consolato che il pittore liricamente manifesta alla sua amante
nell’ultimo colloquio.
MICHELE GIRARDI, Un’opera d’azione: Tosca, fra storia e attualità (Modena, 2008) 10
Bada!...
Al colpo è mestiere
che tu subito cada.
Mario:
Non temere
che cadrò sul momento – e al naturale.
E ancora Floria:
re constatando che con Tosca Puccini realizza l’opera più ‘verdiana’ che
abbia mai scritto giungendo, fors’anche oltre le sue stesse intenzioni, fino a
rivelare la sempiterna inclinazione dei capi, degli scherani e dei loro fian-
cheggiatori in ogni dittatura dell’era moderna. Fino a smascherare il cru-
dele piacere dell’opprimere le aspirazioni alla libertà.
Un esito artistico con apprezzabili risvolti etici, dunque, che, come si
può agevolmente constatare scorrendo la storia italiana dal secondo dopo-
guerra ai nostri giorni, non ha ancora perso la sua imbarazzante attualità.