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Coronavirus, perché la Germania ha meno morti?

I tre
«segreti» del modello Merkel
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE


BERLINO — Sono stati 23.542 i nuovi contagiati da Covid-19 e 218 le persone decedute
nelle ultime 24 ore in Germania. È un’incidenza pari a circa 140 nuove infezioni ogni 100
mila abitanti nell’arco di una settimana (in quella precedente era stata di 125). Il tasso di
contagio, cioè il numero di persone che ogni malato infetta a sua volta, rimane intorno a
0,9. A dispetto del lockdown soft in vigore dai primi di novembre, «il numero dei casi e
anche quello dei morti sono destinati a salire, dice il direttore del Robert Koch Institut
Lothar Wieler, che mette in guardia dalla concreta possibilità che in certe aree il virus si
diffonda in modo incontrollato.

È cambiato qualcosa nella Repubblica Federale, uscita a testa alta dalla prima ondata della
pandemia e indicata in tutto il mondo come modello di una strategia molto ben pensata ed
efficace contro il Covid-19. Una felice combinazione di test di massa, forte attrezzatura
ospedaliera e flessibilità della governance grazie al federalismo aveva consentito a fine
maggio di limitare i danni della pandemia a 180 mila casi e poco più di 8.500 decessi. Ma
come altrove in Europa e nel mondo, l’illusione è durata una sola estate. E i tedeschi
tornati in Germania dalle vacanze si sono rivelati il principale innesco della nuova ondata,
che all’inizio ha colto di sorpresa sia i Länder, titolari della Sanità, sia il governo di Berlino.

In poche settimane, l’aumento esponenziale dei contagi ha fatto temere il peggio: un


sistema in affanno soprattutto nella capacità di tracciamento, scontento diffuso, focolai
improvvisi. Già il 15 ottobre è stato superato il picco di aprile con 6.294 nuovi infettati in
un solo giorno, che sono schizzati a 14.700 dieci giorni dopo e hanno per la prima volta
superato quota 20 mila il 6 novembre. Anche il numero dei decessi è salito fino a superare i
200 al giorno. Al momento in cui scriviamo, dall’inizio della pandemia ci sono stati in
Germania 751 mila casi di Coronavirus, pari a circa 8.600 per ogni milione di abitanti, il
che la pone più o meno a metà della graduatoria di 217 Paesi del mondo. I morti sono stati
12.200, cioè circa 140 per un milione di abitanti e in questo caso la Germania è molto più
sotto nella classifica, tra il 65mo e il 70mo posto.

«La situazione è seria», non si stanca di ripetere la cancelliera Angela Merkel, di nuovo nel
suo ruolo di madre della Nazione, che non ha mai smesso di ricordare ai tedeschi i rischi
legati a una perdita di controllo della pandemia, invocando la scienza come bussola della
sua azione. Eppure Lothar Wieler si dice «cautamente ottimista»: «La situazione è grave
ma non siamo impotenti». In effetti negli ultimi giorni si è notato un rallentamento
dell’impennata della curva. Ma il dato più interessante, che fa della Germania un caso a
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parte, è quello dei decessi: stando almeno alle cifre ufficiali, nella Repubblica Federale di
Covid-19 si muore di meno che altrove. Perché? Qual è, se esiste, il segreto della Germania
di fronte alla pandemia? Ricominciamo dall’inizio e vediamo le componenti essenziali di
breve e di lungo periodo della strategia tedesca e i suoi risultati nell’anno del Covid-19.

I test
La Germania è stata fortunata a essere investita dalla pandemia con un ritardo di un mese
rispetto ad altri Paesi europei, in primis l’Italia. Il che le ha permesso di prepararsi e
limitare gli errori. Sin dall’inizio l’early tracking è stato decisivo: i tamponi, che a marzo
venivano effettuati a 160 mila la settimana, a maggio erano saliti a 400 mila. Questo
rendeva possibile individuare i contagiati in una fase della malattia ancora non avanzata e
curarli per tempo. Questa capacità di fare test è diventata impressionante dopo l’estate: ai
primi di ottobre i tamponi erano oltre un milione la settimana, oggi 1,6 milioni. Poco meno
del 7% risulta positivo.

Il sistema ospedaliero e le terapie intensive


È il vero pilastro del modello. In Germania ci sono 1.925 ospedali, non sempre efficienti a
causa di un sistema semipubblico basato su centinaia di casse mutue in concorrenza fra di
loro. Ma con i suoi circa 500 mila posti letto, è una rete capillare che nell’emergenza ha
fatto la differenza. I posti di terapia intensiva, che all’inizio della pandemia erano 28 mila,
ora sono circa 40 mila di cui 30 mila con respiratore. Attualmente nei sedici Länder ci sono
3.300 mila ammalati di Covid-19 in terapia intensiva, e di loro più di 1.800 hanno bisogno
di un supporto respiratorio. Tenendo conto di quelli occupati da persone con altre
patologie, i letti di terapia intensiva liberi per eventuali nuovi casi di Covid sono quasi
6.700. C’è tuttavia una carenza di personale, soprattutto in alcuni Länder , come ad
esempio Berlino, dove molti ospedali sono stati costretti a rinviare operazioni meno
urgenti e richiamare personale da poco andato in pensione.

I tracciatori
Perno imprescindibile del sistema sono i quasi 380 Gesundheitsämter, equivalente delle
nostre Asl (che però sono appena un centinaio) e che vengono da alcuni considerati l’arma
segreta della guerra alla pandemia, la prima linea di difesa della popolazione. Una
presenza capillare nel territorio, che serve a raccogliere i dati e soprattutto a tracciare i
contagi: a maggio ci lavoravano 17 mila persone, in agosto 22.900 e quasi tutti i nuovi
assunti sono impegnati esclusivamente nel tracciamento. Un discreto successo ha avuto
anche la Corona-Warn-App, l’applicazione del governo che è stata scaricata finora da quasi
23 milioni di tedeschi, pari al 28% della popolazione. Eppure, l’esplosione della seconda
ondata ha colto di sorpresa i Gesundheitsämter che in ottobre non riuscivano più a seguire
i contagi. La stessa cancelliera ha lanciato l’allarme: «I numeri sono troppo alti».

Il secondo lockdown

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Il 14 ottobre, al vertice tra governo e Länder, i premier regionali si sono presentati in
ordine sparso e nessuna vera misura restrittiva erga omnes è stata varata. È stata Merkel a
metterli in riga, prima rivolgendo un appello accorato alla popolazione: «Non facciamo
abbastanza per tenere il male lontano». Poi, due settimane dopo, imponendo il lockdown
soft. In vigore fino alla fine del mese, prevede la chiusura di bar, ristoranti, palestre,
piscine, teatri, cinema, centri estetici e bordelli in tutto il Paese. Il divieto di riunioni
private con più di 10 persone, che devono appartenere al massimo a 2 famiglie. Il bando
agli eventi di massa e il divieto di viaggiare dentro il Paese per ragioni turistiche. L’obbligo
della mascherina per strada nelle situazioni di affollamento. In compenso, con una scelta
di grande coraggio e civiltà, rimangono aperte scuole e asili nido.

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Le misure economiche
Oltre al doppio bazooka (353 miliardi di euro, più oltre 800 miliardi di garanzie su prestiti)
varato a diverse riprese tra marzo e giugno, per far fronte alle conseguenze economiche
della pandemia, il governo federale ha accompagnato il nuovo lockdown con un pacchetto
di ammortizzatori di altri 10 miliardi di euro, che potrebbero arrivare a 15 e andranno alle
aziende colpite dalle chiusure. Quelle con meno di 50 dipendenti riceveranno in novembre
il 75% dei loro incassi nello stesso mese del 2019. Inoltre, artisti e lavoratori autonomi dello
spettacolo avranno accesso a prestiti di emergenza quasi senza interesse. È stata anche
prolungata fino a gennaio l’indennità di disoccupazione, che viene erogata per pagare le ore
non lavorate a causa delle chiusure o dei tagli di produzione e che compensa fino all’80%
del salario di ogni dipendente. Gli ammortizzatori economici sono un fattore decisivo
dell’accettazione delle misure restrittive da parte della società tedesca, dove le
manifestazioni negazioniste rimangono marginali.

Il fattore Merkel
La forza tranquilla di Angela Merkel è stata cruciale. Letteralmente rigenerata
dall’emergenza, ha dato il meglio di sé, senza mai tentennare o cedere alla demagogia. La
sua stella polare è stata la comunità scientifica. Anche nei momenti in cui il peggio è
apparso alle spalle, la cancelliera non ha mai abbassato la guardia. Anche ora avverte:
«Non ci sono le condizioni per riaprire i ristoranti il 1° dicembre». Il 75% dei tedeschi

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approva il suo operato. La cultura del consenso di un Paese che vede nel rispetto della
norma l’antidoto al caos ha fatto il resto. Merkel non lo farà, ma se decidesse di candidarsi
una quinta volta, verrebbe probabilmente rieletta a furor di popolo.

Tutto oro quel che luce?


La Germania ha avuto all’inizio della pandemia un infelice riflesso nazionalistico, con il
blocco delle frontiere e il divieto di esportazione di mascherine e materiale sanitario verso
gli altri Paesi europei, poi fortunatamente corretto. Sul piano interno ha dovuto affrontare
una preoccupante penuria di mascherine durante la primavera. Il sistema federale non ha
sempre funzionato a dovere e spesso i capi dei Länder hanno fatto ognuno per conto loro,
con esiti diversi da regione a regione. Ci sono stati casi, come i focolai nei mega-mattatoi
dove viene lavorata la carne, che hanno svelato realtà di sfruttamento e totale assenza di
rispetto delle più elementari regole igieniche. Sul fondo, dal 1993 al 2017, la spesa
sanitaria tedesca è più che raddoppiata e oggi è pari a 230 miliardi di euro l’anno, il 12%
del Pil. Ma i soldi non vengono spesi tutti nel modo giusto e il sistema delle Krankenkasse
non è un modello di best practice. Ancora nel 2019, uno studio della Fondazione
Bertelsmann suggeriva di chiudere centinaia di piccoli ospedali assolutamente al di sotto
degli standard internazionali di qualità. L’emergenza ha rovesciato i parametri. E la massa
critica del sistema sanitario tedesco nella pandemia si è dimostrata un frangiflutti. Repetita
juvant: in Germania, per il Coronavirus, si muore di meno.

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(Ha collaborato Christina Ciszek)

14 novembre 2020 (modifica il 14 novembre 2020 | 15:28)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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