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04-04-17

Ideologie e folklore

"Ideologie e folklore" è un testo dell'antropologo Antonino Buttitta; di lui sicuramente sono meglio
noti gli articoli di carattere semiotico e simbolico.
L'obbiettivo di questa ricerca è l'analisi della cultura secondo la dialettica del simbolo e la scelta di
questo testo è motivata dal termine "ideologie" all'interno del titolo stesso e che sollecita Buttitta a
prendere posizione sullo studio delle tradizioni popolari.
Buttitta scrive che il folklore non è una "cultura altra da noi", non è un mondo da scoprire con gli
occhi di un esploratore ma un mondo da vivere.
L'autore identifica un percorso scientifico-culturale dei principali settori del pensiero, secondo cui il
folklore è sempre stato terreno di cultura delle più differenti ideologie ma anche dei pregiudizi.
Ad esempio nel caso dell'illuminismo per affermare una superiorità culturale e che riteneva il
folklore come un insieme di errori da superare con la forza della ragione.
Oppure come nel caso del romanticismo che riteneva il folklore la sede del sentimento e delle
emozioni dell'individualismo.
Oppure potremmo anche fare l'esempio dell'evoluzionismo, per convalidare i tratti di una linea di
pensiero che utilizza il folklore per documentare la sopravvivenza di una fase arcaica del pensiero
umano. Oppure il marxismo che utilizza lo studio del folklore come terreno di denuncia dello
sfruttamento di classe.
Da qualche anno è ormai iniziata una nuova fase di ideologie e pregiudizi rispetto alle tradizioni
popolari, sono ideologie di decostruzionismo.
I due relatori che presentano l'analisi critica del testo di Buttitta sono: Pietro Clemente e Francesco
Faeta.

Buttitta è stato un autore fondamentale negli studi antropologici italiani; il testo di "Ideologie e
folklore" è stato pubblicato nel 1971. Clemente e Faeta tratteggiano una prima descrizione
dell'autore da un punto di vista puramente umano e affettivo, raccontando divertenti aneddoti che
avevano questo autore come protagonista e che mettono in luce innanzitutto il suo ruolo di grande
maestro.
Fin dalle prime pagine di Buttitta, colpisce l'uso della nozione di popolo siciliano per indicare
un'unità e costruisce uno scenario sull'arte popolare molto interessante.
"Ideologie e folklore" segna un punto di svolta fondamentale nelle discipline antropologiche, ha dei
caratteri curiosi; è rivolto al passato e ci aiuta ad analizzare il percorso degli studi con la sua
pluralità di approcci e tematiche e la metodica delle tradizioni popolari.
Questa pluralità di Buttitta è purtroppo andata perduta.

Negli anni '70 avverrà il passaggio ad un approccio diverso, sul modello Gramsci, un approccio più
critico; cambierà anche il ruolo dell'antropologo, nel suo essere attivo in campo.
"Ideologie e folklore" pur essendo stato pubblicato nel 1971, è una raccolta di scritti degli anni
precedenti quindi la datazione in realtà è un po’ anteriore.
È un libro riassuntivo di un percorso già svolto ma anche un libro seminale, in cui vengono tracciati
interessi percorsi negli anni a venire.
In qualche modo è un libro ponte tra passato e presente.
Ci sono quattro punti di riferimento legati al libro di Buttitta da tenere presente nel panorama
italiano : esce dieci anni dopo "La terra del rimorso", quattro anni dopo "Occidente e terzo mondo",
sei anni dopo "I dislivelli interni di cultura delle civiltà superiori", quattro anni dopo "Il folklore
come cultura di contestazione".
Osservando questi punti di riferimento emerge l'immagine di un libro solitario nel panorama
italiano. È un libro che non va in nessuna delle direzioni che questi tracciati provano a seguire.
Riprende una linea di riflessione e ricerca siciliana, una rilettura armonica del percorso di una
sicilianità che quasi costituisce una sorta di impegno.
Si impegna nel far affiorare nella conoscenza storiografica nazionale la scuola siciliana,
affiancandovi qualcosa che poi riprenderà successivamente in modo più sistematico, cioè la scuola
sociologica siciliana.

Questa componente siciliana degli studi dialoga poco con i quattro punti di riferimento citati.
Ma proprio questo mancato dialogo sembra il tentativo di costruire una riflessione autonoma a
partire dalla Sicilia, avvertita come spazio non secondario degli studi antropologici.
C'è un recupero della tradizione etico politica del marxismo e il rifiuto di portate all'interno del
corpo degli studi demo-etno-antropologici una prospettiva marxista.
È un elemento di distinzione molto interessante che lo colloca in una posizione molto diversa ad
esempio rispetto a Lanternari, che considera il marxismo rivitalizzante per gli studi antropologici.
A Buttitta di deve il tentativo di canonizzare dall'interno l'antropologia e di affrancare dall'idealismo
di Croce, dal marxismo e dallo storicismo adialettico.

È un testo diverso; ha una sua posizione ben precisa, perseguendo l'idea di costruire una coscienza
popolare a partire da una prospettiva di intimità culturale, quindi con uno sguardo inclusivo e non
esterno e distante.
L'intimità culturale ha dei tratti che Buttitta manifesta nella sua interazione politica e accademica, in
cui il repertorio di una sicilianità condivisa e ironicamente rifiutata e definita "pittoresca".
Questo aggettivo esprime di proposito uno stereotipo.

Il distanziamento di "Ideologie e folklore" dagli altri quattro testi prima citati, necessita tuttavia di
agganci nel panorama internazionale.
Buttitta cerca ai margini del territorio disciplinare o nei terreni inesplorati coma la semiotica; ad un
certo punto la semiotica sembra assumere il ruolo di modello paradigmatico di interazione possibile
che gli consente di non confrontarsi e non dialogare con il vivo della tradizione antropologica.
La rete delle referenze internazionali sono tutte interne a studi legati alla fiaba, al mito, al canto, e
alla letteratura popolare.
Traccia un ponte verso autori successivi che poi arriveranno attraverso la svolta semiotica.

Gli studi di Buttitta sull'arte popolare sono stati innovativi, riprendono una tradizione di varie
referenze e tentano di verificarle.
Tenta di svincolare gli studi dell'arte popolare che per molto tempo hanno sofferto come se fossero
un interesse di semplice riflesso, come semplici documenta che riguardano altri studi.
Buttitta al contrario mette in risalto la specificità di questi studi di arte popolare.
"La pittura su vetro in Sicilia" è uno straordinario e acuto saggio sulle forme e metodologie di
lavoro, sulla configurazione degli aspetti visivi della specularità che la pittura su vetro impone, è
completamente dimentico del possibile approdo alla semiotica.
È un pregevole studio che prescinde dalle osservazioni metodologiche relative alla semiotica; è un
saggio che comprende una serie di ritorni neopositivistici proprio nell'assunzione della pittura
popolare come repertori plausibili di forme complete e reali.
Tutti questi saggi sono caratterizzati da una chiusa riepilogativa di tipo anglosassone, in cui enuncia
cosa ha voluto dire, perché lo ha detto e in che prospettiva va posto ciò che è stato detto.
Queste chiuse sono straordinarie.

23-05-17

Folklore e profitto: tecniche di distruzione di una cultura

"Folklore e profitto" è un testo fondamentale di Luigi Lombardi Satriani.


La relatrice che ne guida l'analisi preliminare è Letizia Bindi, docente presso l'università del Molise.
È un testo importante soprattutto perché mette in luce il rapporto tra culture popolari subalterne e
culture egemoni, tra standardizzazione culturale e valore "contestativo" delle culture periferiche e
marginali ai poteri centrali, tra cultura e mercato.
Il testo cerca di sintetizzare una serie di spunti di riflessione che l’autore ha maturato negli anni.
In "Folklore e profitto" Lombardi Satriani osserva una serie di tratti che sembrano emergere
nell’Italia degli anni Settanta per la prima volta: la commercializzazione e mediazione delle
tradizioni locali, la riduzione a icona di marketing delle simbologie condivise da importanti spaccati
del mondo contadino e popolare.
Gli esempi utilizzati dall’autore erano tratti dal mondo della discografia, dalla pubblicità
giornalistica e televisiva, dal mutamento negli stili e nelle mode dei gruppi giovanili urbani.
Recupera aspetti del contesto etnografico, delle forme di interazioni tipica delle comunità locali,
come ad esempio raccontarsi intorno ad un fuoco.

Un altro elemento di grande interesse è l'indicazione metodologica: osservare come i mondi rurali si
misurassero con il vivere metropolitano, e iniziasse quel processo lunghissimo di contaminazione
progressiva tra universi di senso a carattere tradizionale e forme della modernità; per cui in contesti
rurali si vive secondo standard metropolitani e casi in cui invece l'elite metropolitana cerca di
tornare a forme di tradizionalismo, come ad esempio un purismo alimentare.

È importante l'attualizzazione di questo testo.


È utile la metafora dei "divoratori di folklore" che contiene una riflessione su una fondamentale
simbologia: il turista consuma luoghi nel senso che li usa e ne abusa.
I divoratori di folklore sono i turisti della domenica alla ricerca di passato e memoria, nostalgici di
un mondo contadino immaginato come arcadia, curiosi di sapori e di pratiche che collocano
nell’universo delle "stranezze": la vita contadina, il lavorare con le mani, la credenza, le pratiche
rituali, i rimedi naturali.
Sono consumatori di luoghi.
Il patrimonio culturale viene rappresentato come un cibo da mangiare; questa metafora rende
immediatamente comprensibile il concetto di folklore e profitto.

Alberto Sobrero, docente di discipline etno-antropologiche della Sapienza, guida la seconda parte
dell'analisi di questo testo.
Il folklore in Italia è stato trattato con ampio interesse e il professore individua otto fasi
fondamentali; un suddivisione nata dal bisogno di poter collocare storicamente il testo di Satriani.
Sicuramente l'autore ha una vena polemica rispetto la tradizione precedente, ma contribuisce a
creare una tradizione successiva.
Le prime due fasi storiche sono sotto il fascismo, due fasi classiche fino al 1934-1935, in cui è
ancora presente una linea della localizzazione folklorica.
Dopo il 1936 è vietato addirittura il dialetto; il folklore è assolutamente da escludersi perché
l'impero è fatto da italiani.
Nel dopoguerra si ha una terza fase, la fase della scoperta, la scoperta di un mondo che il fascismo
aveva soffocato.
Una quarta fase del folklore progressivo, definito da De Martino nel 1951 come "un momento
importante di un nuovo umanesimo".
Il testo di Satriani ha una forte caratura politica.
Dopo le elezioni del 1948 si assiste ad una sorta di ritirata del mondo contadino; la quinta fase inizia
alla fine del 1960, con un nuovo tentativo del mondo contadino di rioccupare le terre del latifondo
con le stragi di Avola e Battipaglia.
Il concetto di folklore progressivo è cambiato nel tempo.

È negli anni '70 che si colloca il libro di Satriani.


Il folklore come resistenza, non più rivoluzionario; il mondo contadino, con piccole furbizie, riesce
a sottrarsi al potere.
Quindi si tratta di una resistenza culturale passiva.
La sesta fase è quello del prezzo pagato; la sconfitta del mondo contadino sta anche nel fatto che il
settore primario entra in crisi e nascono i primi musei contadini.
La settima fase coincide con il momento del patrimonio culturale.
In questo percorso Satriani anticipa gli studi successivi del meridionalismo che alcuni si erano illusi
potesse essere progressivo, potesse avere una funzione dominante all'interno della diffusione di una
rivoluzione socialista.

Il testo di Satriani oggi lo leggiamo in maniera differente.


Fu un libro che suscitò polemiche, si collocava in un periodo storico di frontiera, e assumeva il
folklore come un momento rivoluzionario. Più volte nel libro sono sottolineati i momenti di
rovesciamento, per dare l'idea della pluralità culturale, di una alterità interna.
In molti esempi viene descritta la condizione della donna, vari aspetti di arretratezza del mondo
contadino; viene descritto un meridionalismo per molti versi ottuso.(52.50)

09-05-17

Ricerca e catalogazione della cultura popolare

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