ARCHITETTURA
E
IDENTITÀ LOCALI
II
a cura di
H OWARD BURNS e M AURO MUSSOLIN
con la collaborazione di
CLARA A LTAVISTA
Tra le «schiere di persone illustri, cosı̀ in lettere come in armi prodotte da sı̀
famosa Città » 1 che la municipalità aquilana fece effigiare sull’ultimo e più son-
tuoso degli archi trionfali eretti per celebrare, il 18 maggio 1569, l’ingresso di
Margherita d’Austria,2 l’attenzione del cronista si sofferma, con studiata litote
(«Né vo’ passar sotto silenzio»), su un ritratto di «Marco dall’Aquila, il quale
con un liuto in braccio mostrava in altra parte [dell’arco] avere avuto il vanto
del più eccellente sonatore che mai si conoscesse di quell’istrumento».3
Quest’agnizione di cartapesta, sollecitata evidentemente dai fermenti
identitari di quegli anni,4 è, per quanto se ne sappia, la prima attestazione
di provenienza di uno dei più antichi protagonisti della musica strumentale
Dedico questo saggio a Maurizio Pratola (1954-2010), amico, interprete e studioso di rare qua-
lità umane e intellettuali. Insieme, esattamente quindici anni fa, lanciammo l’idea di far partire la re-
naissance artistica ed esegetica del grande liutista rinascimentale dalla negletta terra d’origine – repu-
tando ormai maturi i tempi per un suo proficuo ritorno – e insieme ne abbiamo condiviso le tappe,
tutte sotto le auspici insegne dell’Istituto Abruzzese di Storia Musicale: dall’organizzazione del con-
vegno internazionale di studi Marco dall’Aquila e il suo tempo (L’Aquila 2-4 ottobre 1998) alla felice
collaborazione con Paul O’Dette, autore di una splendida incisione discografica (Pieces for Lute,
Harmonia Mundi USA, CD 907548, significativamente registrata in Abruzzo all’indomani del terre-
moto del 6 aprile 2009) e curatore, con lo stesso Maurizio, dell’edizione integrale delle Intavolature di
Marco, che mi auguro di vedere presto pubblicata.
1 F. CIURCI , Familiari Ragionamenti delli Commentarii et Annali dell’Aquila, L’Aquila, Biblio-
teca Provinciale ‘‘Salvatore Tommasi’’ (d’ora innanzi BPA), ms. 48, c. 98r (nuova numerazione). Il
testo, tratto da una dispersa relazione a stampa del notaio Massimo Cammello, continua cosı̀: «i nomi
de’ quali potrà il curioso lettore rileggere nell’ultimo libro di quest’istoria», pervenuto a sua volta solo
in stralcio in A.L. ANTINORI, Annali degli Abruzzi, BPA, ms. Antinori XX, pp. 216-222: 219-220, e
nell’Appendice II di A. LEOSINI, Monumenti storici artistici della Città di Aquila e suoi contorni,
Aquila, Perchiazzi 1848, pp. 291-301: 295-296.
2 Sulla vicenda mi permetto di rinviare al mio Simbologia e identità nei trattenimenti musicali
4 Vedi nota 2.
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FRANCESCO ZIMEI
italiana, talmente stimato ai suoi tempi, sia come virtuoso che come composi-
tore, da essere riuscito a catalizzare persino l’attenzione dei teorici.
Ne è prova la lettera del 10 novembre 1524 con la quale, prendendo parte
al dibattito animatosi intorno al duo cromatico di Adrian Willaert Quid non
ebrietas, artificiosamente costruito sul continuo spostamento dei centri tonali
allo scopo di dimostrare che l’ottava poteva essere divisa in dodici semitoni
uguali, Giovanni Spataro ammoniva Marc’Antonio Cavazzoni, favorevole a
questa impostazione, che ciò avrebbe inevitabilmente causato la differenza
di un comma, paragonando il brano agli infruttuosi tentativi di Archimede
di far quadrare il cerchio e citando a suo sostegno il celebre Pietro Aaron,
il quale aveva
[...] conferito le mie sententie con uno maestro Marco da l’Aquila, sonatore digno de
leuto, el quale habita qua in Vinetia, el quale è homo de multa inteligentia, et dice che
ha trovato che io dico la verità, benché de tale suo affirmare li mei scripti poco me
risulti in gaudio, perché el me pare strano che el musico cerchi havere el lume de
la intelligentia da uno pulsatore de instrumento.5
Correspondence of Renaissance Musicians, edited by B.J. Blackburn, E.E. Lowinsky, C.A. Miller, Ox-
ford, Clarendon Press 1991, pp. 318-322: 319.
6 A. BAINES, Fifteenth-century Instruments in Tinctoris’s De Inventione et Usu Musicae, «The
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MARCO DALL’AQUILA A VENEZIA E RITORNO
Alcuni anni più tardi Teofilo Folengo sembra evocarne l’arte in un’opera
di carattere allegorico, il Caos del Triperuno (1526), ove tra i personaggi della
«Selva seconda» figura un «Marco Antonio» – nome di fantasia, ma in eviden-
te assonanza col Nostro – «mirabilissimo musico» proveniente da Venezia, de-
finito «novo Anfione» e intento a suonare sul liuto un «accommodatissimo ri-
cercare», genere per il quale Marco andava celebre:
LIMERNO : Ma taci (prego), non odi? Conosco la dotta mano, conosco lo novo An-
fione, conosco lo mio Marco Antonio, oh mirabilissimo musico, che ben quella virtu-
de a la gentilezza d’un tal animo degnamente conviene. Non odi tu lo accommoda-
tissimo ricercare d’un lauto? Costui discese da Vinegia, di tutta Italia nutrice. Egli
per doi giorni s’è dignato qui fra noi dimorare. Or ascoltiamolo, ti prego: egli ancora
non ci ha veduto, e men voglio che ci lasciamo da lui vedere, acciò lo rispetto suo
verso di noi cessare no ’l faccia da sı̀ dolce impresa.8
7 Pubblicato da H.C. SLIM, Musicians on Parnassus, «Studies in the Reinassance», XII, 1965,
pp. 134-163: 146. Più avanti, a p. 159, Slim ritiene di poter riconoscere Marco anche in una xilogra-
fia raffigurante «a lutenist called Aquila» nel Triompho di fortuna di Sigismondo Fanti da Ferrara,
pubblicato da Iacomo Giunta a Venezia nel 1526. In realtà l’immagine a c. 33r della celebre opera
divinatoria – ove le immagini di musicisti, peraltro abbastanza frequenti, sono sempre a figura intera
nonché dotate dei relativi strumenti – non rappresenta affatto un liutista, ma il mezzobusto di un
anziano uomo incappucciato, che coerentemente con la didascalia della pagina («Speranza») sembre-
rebbe piuttosto identificare un filosofo o un teologo, come ad esempio il francescano Pietro dall’A-
quila detto Scotello ({ 1361).
8 T. FOLENGO, Caos del Triperuno, in ID., Opere, a cura di C. Cordié, Milano-Napoli, Ricciardi
1977 («La letteratura italiana. Storia e testi», 26/1), pp. 864-865. Le origini mantovane dell’autore
offrono lo spunto per destituire invece di fondamento, almeno allo stato delle conoscenze attuali,
la presenza di Marco alla corte gonzaghesca, dove insieme ai colleghi Federico Mantovano, Alberto
da Ripa e Niccolò dal Liuto avrebbe contribuito «zu den höfischen Bühnenspielen», come si legge
alla voce Mantua, redatta da Claudio Sartori, nella vecchia edizione del Die Musik in Geschichte und
Gegenwart (MGG), Kassel, Bärenreiter 1949-68. Si tratta probabilmente di un equivoco dovuto alla
presenza in Città di Serafino Aquilano, protagonista nel gennaio 1495 di una celebre Rappresentazio-
ne allegorica della voluttà, nella quale calcò la scena «assai lascivamente vestito, [...] cum il leuto in
brazo», come scrisse Giovanni Gonzaga alla cognata Isabella d’Este. Cfr. A. D’ANCONA, Origini del
teatro italiano, Torino, Ermanno Loescher 1891, II, pp. 107-108.
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[...] trovandome a caso, per sorte, e accidentalmente in canal de la Zuecha, con molta
mia delettation, contento, e consolation, ve sentiti a sonar de lauto, cusı̀ admirabil-
mente, cusı̀ musicalmente, e cusı̀ perfettamente, che Appollo apresso de vù parerave
un principiante, Mercurio pezo ca pezo, Orpheo un ignorante, Amphion un da puo-
co, Marsia no ve tegnerave la candela, Arion romagnerave agrizzao; e si son certissimo
che in tei moderni tignesse el grao mazor, si fosse ben Marco da l’Aquila, Nicolò Ro-
dioto, Ferigo Mantoan, Domenego [Bianchini, alias] Rosseto, Francesco Milanese,
Alvise [Castellin] da Treviso, e Sigismondo Ongaro.9
9 A. CALMO , Residuo delle lettere. Libro Quarto. Indirizzate a diverse Donne, sotto molte occa-
sioni de inamoramenti, ne la vulgar antiqua lengua Veneta composte, Venezia, Camillo Pincio 1572,
pp. 31-32.
10 Intabolatura di Liuto de diversi, Venezia, Francesco Marcolini da Forlı̀ 1536, c. 1v.
11 PIETRO ARETINO , Le lettere, Venezia, Francesco Marcolini da Forlı̀ 1538, cc. 188v-189r.
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MARCO DALL’AQUILA A VENEZIA E RITORNO
12 Cfr. al riguardo C. SARTORI , Alberto da Ripa, in DBI, 1, 1960, s.v.: «Le sue funzioni a corte e
l’alta stima di cui godeva sono testimoniate da uno scambio di lettere, dal 1537 al 1539, fra lui e l’A-
retino, che gli era molto amico e gli affidava spesso sue incombenze».
13 PIETRO ARETINO, Il Marescalco, Venezia, Agostino Bindoni 1550, cc. [5v]-[6r].
14 Cfr. A.J. NESS, Dall’Aquila, Marco, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians,
London, Macmillan 1980, s.v., lettura poi emendata in ID., The Herwarth Lute Manuscripts at the
Bavarian State Library, Munich: A Bibliographical Study with Emphasis on the Works of Marco dall’A-
quila and Melchior Newsidler, Ph.D. Diss., New York University 1984, I, p. 354, dove è ripristinato il
corretto significato della frase; peccato tuttavia che l’autore non si sia preoccupato di aggiornare la
voce nella nuova edizione del dizionario (2001).
15 Cfr. A.J. NESS , Dall’Aquila, Marco cit.
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pubblicata a Venezia, sempre dal Marcolini, nel 1544 (la dedicatoria, al car-
dinale Ippolito II d’Este, reca la data del 22 maggio). Nel primo atto il pro-
tagonista messer Gerofilo, che si fa chiamare Afrone, incita infatti il servo Bru-
sca a chiedere al danzatore Lodovico Paluello (noto per aver prestato servizio,
in seguito, alla corte di Enrico II di Francia) e a «chel da l’Achila» – ovvia-
mente Marco, che l’uso enfatico del pronome dimostrativo contribuisce a raf-
forzare nella sua attualità – di testimoniare quanto egli sia bravo nel ballare e
suonare:
BRUSCA Egli è vero, egli è vero; io mi maraviglio assai che in questi anni siate l’uomo
che voi sète.
AFRONE Ti no xé sol, anghe altri se maravegiano.
BRUSCA Odite, padrone, per Dio, a fe’, per questa croce; che tosto che arivate o in
chiesa o in piazza allegrate tanto la brigata che tutti sen ridono del fatto vo-
stro.
AFRONE Alı̀thià ’ne, xé vero, su la zuvendù a feva cose della diavulo, che no se pol
diri: cando andava sul festa se rideva e ’legrava tudi candi pliò de mi chié
no feva [de] cinghe grassi buffugni de chesta terra. Bià chello chié puleva
sendir la mio barlari, gier[a] pliò sallao che ’l sapienza.
BRUSCA Oh bella grazia! Che volete? Uomini che cosı̀ nascono, con naturale l’un più
sodo de l’altro...
AFRONE No ten digo del mio balarola, saldarola, candarola e sonarola bello chié feva;
dumanda a chiel Paluello e chel da l’Achila, e anghe calche aldro vertuloso,
si xé vera. Aimena, giera una zuvene, mi, tutto del granzia.16
16G.A. GIANCARLI, Commedie, a cura di L. Lazzerini, Padova, Antenore 1991, pp. 38-39.
17L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona delle qualità, diversità e proprietà dei colori, Venezia,
Giovan Battista, Marchio Sessa e Fratelli 1565, p. 63.
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18 Cosı̀ il Vasari nell’edizione torrentiniana del 1550: «in Vinegia nella sua prima giovanezza si
dilettò molto de le musiche di varie sorti», scegliendo poi di dedicarsi al liuto – emulo dunque di
Marco e dei suoi colleghi – «perché il liuto può sonar tutte le parti senza compagnia» (G. VASARI,
Le Vite de’ piu eccellenti architetti, et scultori italiani, da Cimabue, insino a’ tempi nostri, a cura di
L. Bellosi, A. Rossi, presentazione di G. Previtali, Torino, Einaudi 1991, p. 839).
19 G.P. LOMAZZO , Gli sogni e raggionamenti [...] con le figure de spiriti che gli raccontano da egli
designate, in ID., Scritti sulle arti, a cura di R.P. Ciardi, Firenze, Marchi & Bertolli 1973, I, pp. 64-84,
su cui cfr. A. ZIINO, «È tanto necessaria che senza lei non può essere perfetto il pittore»: Musicisti e
strumenti negli scritti di Giovanni Paolo Lomazzo, in Musikwissenschaft im deutsch-italienischen Dia-
log. Friedrich Lippmann zum 75. Geburtstag, hrsg. v. M. Engelhardt, W. Witzenmann, Kassel, Bären-
reiter 2010 («Analecta Musicologica», 46), pp. 11-52.
20 Se il dubbio apparve legittimo a F.J. FÉTIS, Biographie universelle des musiciens et bibliogra-
phie générale de la musique, Paris, Firmin Didot 1868-1870, s.v.: Aquila, Marco, da l’, sorprende che
D.A. SMITH, A History of the Lute from Antiquity to the Renaissance, [s.l.], The Lute Society of Ame-
rica 2002, p. 121, dia ancora credito a quest’equivoco.
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FRANCESCO ZIMEI
21 BPA, ms. 291, cc. 203r-214v: 214v. La fonte è una copia effettuata dal canonico Andrea
Agnifili del Cardinale dopo il 14 luglio 1617, giorno in cui attesta di aver ricevuto in prestito l’ori-
ginale.
22 Si pensi alle antologie Hortus Musarum di Pierre Phalèse (Lovanio 1552), Eyn Newes sehr
Künstlichs Lautenbuch di Hans Gerle (Nürnberg 1552), o alla Intabolatura de lauto pubblicata a Ve-
nezia da Girolamo Scotto nel 1563.
23 G. PICO FONTICULANO, Breve descrittio di sette Città illustri d’Italia, Aquila, Giorgio Dagano
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MARCO DALL’AQUILA A VENEZIA E RITORNO
lano – che egli ne fosse emigrato ancora molto giovane, prima cioè di vedere
conclamate le proprie qualità artistiche, benché queste traessero linfa da un
ambiente indubbiamente propizio alla formazione di strumentisti: a parte la
rinomanza, davvero internazionale, nella lavorazione delle corde armoniche,
riecheggiata da Adrien Le Roy 24 e persino da François Rabelais 25 e ovviamen-
te connessa alla fiorente industria armentaria dell’Abruzzo interno, L’Aquila
era invero depositaria di un’importante tradizione musicale, i cosiddetti soni,
in forza della quale due volte all’anno, in occasione delle feste in onore di san
Pietro Celestino (il 29 agosto, ricorrenza dell’annuale Perdono legato alla sua
incoronazione pontificia, e il 19 maggio, giorno della sua memoria liturgica),
decine di sonatori per otto giorni consecutivi percorrevano le strade cittadine
eseguendo repertori a ballo, che almeno in origine la popolazione effettiva-
mente danzava per motivi espiatori legati alla lucrazione dell’indulgenza. E
benché le attività coreutiche fossero generalmente condannate dall’opinione
pubblica e dalla Chiesa, per difendere quest’usanza nel 1434 il Comune del-
l’Aquila era arrivato a sanzionare contro gli eventuali detrattori il taglio della
lingua e l’esilio perpetuo dal contado.26
Malgrado facciano menzione di diversi liutisti locali, le liste di pagamento
dei soni sono tuttavia pervenute solo a partire dall’agosto 1505,27 quando
Marco si trovava già a Venezia. Annoverato fin dallo scorcio del secolo pre-
cedente tra i membri della prestigiosa Scuola di San Rocco («ser Marcho
da l’Aquila sonador de lauto»),28 proprio l’11 marzo di quell’anno egli aveva
24 «To put the laste hande to this woorke, I will not omitte to give you to understande, how to
knowe stringes, whereof the best come to us of Almaigne, on this side the toune of Munic, and from
Aquila in Italie» (A. LE ROY, A briefe and plaine instruction to set all musicke of eight divers tunes in
tableture for the lute, London, James Rowbothome 1574, c. 60v).
25 Nel quarto libro del Pantagruel Dindenault dice a Panurge che con le budella dei montoni
«on fera chordes de violons et harpes, lesquelles tant ché rement on vendra comme si feussent chor-
des de Munican ou Aquileie», su cui cfr. F. RABELAIS, Oeuvres complètes, Paris, Gallimard 1955 («Bi-
bliothèque de la Pléiade», 5), p. 556 nota 4, dove gli editori Jacques Boulanger e Lucien Scheler
– forse anche attraverso il confronto con il brano di Le Roy – chiariscono effettivamente trattarsi
dell’Aquila e non di Aquileia.
26 Cfr. F. ZIMEI , I «cantici» del Perdono. Laude e ‘soni’ nella devozione aquilana a san Pietro
Celestino, Lucca, Libreria Musicale Italiana 2012, («Civitatis aures». Musica e contesto urbano, 1),
passim.
27 Se ne veda la trascrizione completa in F. ZIMEI , I «cantici» del Perdono cit., Appendice B.
28 Venezia, Archivio della Scuola Grande di San Rocco, Mariegola maior, c. 86r. Peraltro Marco
non è l’unico aquilano menzionato dai manoscritti della confraternita: la stessa Mariegola cita infatti a
c. 73v un «ser Francesco da l’Aquila maestro di corniole», mentre nel secondo volume delle Parti,
relativo al secondo decennio del Cinquecento, si leggono i nomi di un «messer Bortolo di Tomaso
dall’Aquila» membro della Banca (c. 118v) e di due membri del Capitolo, «messer Bortolamio dal-
l’Aquila» (c. 141v) e «messer Gasparo dall’Aquila» (cc. 351v, 352v). Devo queste notizie alla cortesia
di Franco Tonon, che ringrazio sentitamente.
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FRANCESCO ZIMEI
29 Venezia, Archivio di Stato (d’ora innanzi ASV), Archivio dell’Ex-Veneta Cancelleria Ducale,
Registro Notatorio XXIII, 1499-1506, c. 141v, edito da A. SCHMID, Ottaviano dei Petrucci da Fossom-
brone, der erste Erfinder des Musiknotendruckes mit beweglichen Metalltypen, und seine Nachfolger in
sechzehnten Jahrhunderte, Wien, Rohrmann 1845, pp. 12-13.
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MARCO DALL’AQUILA A VENEZIA E RITORNO
30 Cfr. A.J. NESS, The Herwarth Lute Manuscripts cit., I, pp. 293-294.
31 È una delle possibilità ventilate da A. VERNARECCI , Ottaviano de’ Petrucci da Fossombrone,
inventore dei tipi mobili metallici della musica nel secolo XV, Fossombrone, Tipografia Monacelli
1881, p. 90. L’altra è che il Nostro «poi più non volesse o non sapesse porre ad effetto i suoi trovati»
(ibid.). S. BOORMAN, Ottaviano Petrucci: catalogue raisonné, Oxford, Oxford University Press 2006,
p. 38, immagina dal canto suo che «Marco did not make use of his privilege because his music was
still too difficult to guarantee a large market». Tale presa d’atto comporterebbe, in ogni caso, che egli
avesse stampato almeno qualche copia prima di decidersi ad abbandonare l’impresa. A meno che la
difficoltà risiedesse non nella musica, ma nella tecnica di preparazione dei caratteri. Quando infatti
Marcolini, nel 1536, richiese a sua volta al Senato veneziano l’esclusiva per la stampa musicale – inau-
gurata proprio con l’Intabolatura di Liuto de diversi – tenne a precisare che dopo «Ottaviano da Fos-
sanbrono, che stampava musica nel modo, che se imprimono le l[ette]re, et è circa xxv. Anni che tal
opera non si fa», egli si era «affaticato molti giorni, e con non poca spesa in ritrovar tal cosa» (ASV,
Senato, Terra, ms. R.29, c. 33v, edito da R.J. AGEE, Privilege and Venetian Music Printing in the Six-
teenth-Century, Ph.D. Diss., Princeton University 1982, p. 207): perché mai tanta fatica, alla luce dei
suoi contatti con Marco, se quest’ultimo avesse davvero praticato quella tecnica? Oppure si trattava
d’una mera clausola di stile?
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FRANCESCO ZIMEI
«Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria», XLII-XLIII, 1951-1952, pp. 25-47: 44-45.
33 Si vedano in merito H.C. SLIM , The Music Library of the Augsburg Patrician Hans Heinrich
Herwart (1520-1583), «Annales musicologiques», VII, 1964-1977, pp. 67-109; M.L. MARTINEZ-
GÖLLNER, Die Augsburger Bibliothek Herwart und ihre Lautentabulaturen, «Fontes Artis Musicae»,
XVI, 1969, pp. 29-48; A.J. NESS, The Herwarth Lute Manuscripts cit.
34 Cfr. M.L. MARTINEZ -GÖLLNER , Die Augsburger Bibliothek Herwart cit., p. 42, la quale tutta-
via non esclude che in amicizia con Hans Heinrich non fosse Marco ma lo scriba stesso che ne ha
tramandato il repertorio, probabile allievo del liutista, visto il numero di unica trascritti. Un’eventua-
lità sinora non considerata, trattandosi oltretutto di un copista di lingua tedesca, è che con la sigla
«H.HE.» questi abbia potuto invece riferirsi al padre di Hans Heinrich, Hans Herwart (1475-
1528), ugualmente coinvolto in negozi veneziani e con estremi anagrafici molto più compatibili
con quelli del compositore.
35 Cfr. J.A. TARICANI , A Renaissance Bibliophile as Musical Patron: The Evidence of the Herwart
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MARCO DALL’AQUILA A VENEZIA E RITORNO
36 Cfr. R. COLAPIETRA , Il commercio dello zafferano in area aquilana tra XIV e XVII secolo, «Pro-
p. 272.
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INDICE
NARRAZIONI CONDIVISE:
CITTÀ, NAZIONE, PATRIA
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INDICE
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INDICE
ARCHITETTURA E IDENTITÀ
NEI TRATTATI E NELLA LETTERATURA ARTISTICA
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INDICE
STRUMENTI DI ANALISI
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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI DICEMBRE 2013