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BIBLIOTECA DELL’ «ARCHIVUM ROMANICUM»

Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia


425

ARCHITETTURA
E
IDENTITÀ LOCALI
II

a cura di
H OWARD BURNS e M AURO MUSSOLIN

con la collaborazione di
CLARA A LTAVISTA

LEO S. OLSCHKI EDITORE


MMXIII
Tutti i diritti riservati

CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKI


Viuzzo del Pozzetto, 8
50126 Firenze
www.olschki.it

Pubblicazione realizzata con il contributo del Ministero dell’Istruzione, dell’Uni-


versità e della Ricerca (PRIN 2008), Politecnico di Torino, Politecnico di Milano,
Scuola Normale Superiore di Pisa, Università degli studi ‘‘G. d’Annunzio’’ di
Chieti-Pescara (Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali), Università del
Molise.

ISBN 978 88 222 6325 4


FRANCESCO ZIMEI

MARCO DALL’AQUILA A VENEZIA E RITORNO

Tra le «schiere di persone illustri, cosı̀ in lettere come in armi prodotte da sı̀
famosa Città » 1 che la municipalità aquilana fece effigiare sull’ultimo e più son-
tuoso degli archi trionfali eretti per celebrare, il 18 maggio 1569, l’ingresso di
Margherita d’Austria,2 l’attenzione del cronista si sofferma, con studiata litote
(«Né vo’ passar sotto silenzio»), su un ritratto di «Marco dall’Aquila, il quale
con un liuto in braccio mostrava in altra parte [dell’arco] avere avuto il vanto
del più eccellente sonatore che mai si conoscesse di quell’istrumento».3
Quest’agnizione di cartapesta, sollecitata evidentemente dai fermenti
identitari di quegli anni,4 è, per quanto se ne sappia, la prima attestazione
di provenienza di uno dei più antichi protagonisti della musica strumentale

Dedico questo saggio a Maurizio Pratola (1954-2010), amico, interprete e studioso di rare qua-
lità umane e intellettuali. Insieme, esattamente quindici anni fa, lanciammo l’idea di far partire la re-
naissance artistica ed esegetica del grande liutista rinascimentale dalla negletta terra d’origine – repu-
tando ormai maturi i tempi per un suo proficuo ritorno – e insieme ne abbiamo condiviso le tappe,
tutte sotto le auspici insegne dell’Istituto Abruzzese di Storia Musicale: dall’organizzazione del con-
vegno internazionale di studi Marco dall’Aquila e il suo tempo (L’Aquila 2-4 ottobre 1998) alla felice
collaborazione con Paul O’Dette, autore di una splendida incisione discografica (Pieces for Lute,
Harmonia Mundi USA, CD 907548, significativamente registrata in Abruzzo all’indomani del terre-
moto del 6 aprile 2009) e curatore, con lo stesso Maurizio, dell’edizione integrale delle Intavolature di
Marco, che mi auguro di vedere presto pubblicata.
1 F. CIURCI , Familiari Ragionamenti delli Commentarii et Annali dell’Aquila, L’Aquila, Biblio-

teca Provinciale ‘‘Salvatore Tommasi’’ (d’ora innanzi BPA), ms. 48, c. 98r (nuova numerazione). Il
testo, tratto da una dispersa relazione a stampa del notaio Massimo Cammello, continua cosı̀: «i nomi
de’ quali potrà il curioso lettore rileggere nell’ultimo libro di quest’istoria», pervenuto a sua volta solo
in stralcio in A.L. ANTINORI, Annali degli Abruzzi, BPA, ms. Antinori XX, pp. 216-222: 219-220, e
nell’Appendice II di A. LEOSINI, Monumenti storici artistici della Città di Aquila e suoi contorni,
Aquila, Perchiazzi 1848, pp. 291-301: 295-296.
2 Sulla vicenda mi permetto di rinviare al mio Simbologia e identità nei trattenimenti musicali

aquilani in onore di Margherita d’Austria, in Architettura e identità locali, I, a cura di L. Corrain,


P.F. Di Teodoro, Firenze, Leo S. Olschki 2013, pp. 271-285.
3 A. LEOSINI , Monumenti storici cit., p. 296.

4 Vedi nota 2.

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italiana, talmente stimato ai suoi tempi, sia come virtuoso che come composi-
tore, da essere riuscito a catalizzare persino l’attenzione dei teorici.
Ne è prova la lettera del 10 novembre 1524 con la quale, prendendo parte
al dibattito animatosi intorno al duo cromatico di Adrian Willaert Quid non
ebrietas, artificiosamente costruito sul continuo spostamento dei centri tonali
allo scopo di dimostrare che l’ottava poteva essere divisa in dodici semitoni
uguali, Giovanni Spataro ammoniva Marc’Antonio Cavazzoni, favorevole a
questa impostazione, che ciò avrebbe inevitabilmente causato la differenza
di un comma, paragonando il brano agli infruttuosi tentativi di Archimede
di far quadrare il cerchio e citando a suo sostegno il celebre Pietro Aaron,
il quale aveva
[...] conferito le mie sententie con uno maestro Marco da l’Aquila, sonatore digno de
leuto, el quale habita qua in Vinetia, el quale è homo de multa inteligentia, et dice che
ha trovato che io dico la verità, benché de tale suo affirmare li mei scripti poco me
risulti in gaudio, perché el me pare strano che el musico cerchi havere el lume de
la intelligentia da uno pulsatore de instrumento.5

Benché ancora condizionato dalla vecchia visione boeziana, tesa sostan-


zialmente a negare ai pratici ogni forma di sapienza musicale, Spataro fu co-
stretto insomma ad ammettere che Marco dall’Aquila poteva a pieno titolo er-
gersi a referente di trattatisti. D’altronde il liuto, con i suoi tasti regolabili, si
prestava benissimo a certi esperimenti di acustica e Marco ne era profondo
conoscitore, essendo tra i più vivaci esponenti della nuova generazione di in-
terpreti che, dopo aver abbandonato il plettro, con abile e brillante evoluzione
tecnica si erano lanciati alla conquista della polifonia, arrivando a eseguire
– secondo le parole di Johannes Tinctoris – «cantus non modo duarum par-
tium, verum etiam trium et quatuor, artificiosissime».6
In questa élite d’innovatori, variamente rappresentata nella letteratura del
periodo, la presenza dell’Aquilano ricorre in misura assai significativa. Intorno
al 1519, ad esempio, Filippo Oriolo da Bassano nel suo Monte Parnaso lo col-
loca fra i maggiori liutisti in attività:
V’era Agnol Testagrossa, e Spinacino,
Fra Daro, Gioan tedesco, e ’l Genovese,

5 Lettera di Giovanni Spataro a Marc’Antonio Cavazzoni (Venezia, 10 novembre 1524), in A

Correspondence of Renaissance Musicians, edited by B.J. Blackburn, E.E. Lowinsky, C.A. Miller, Ox-
ford, Clarendon Press 1991, pp. 318-322: 319.
6 A. BAINES, Fifteenth-century Instruments in Tinctoris’s De Inventione et Usu Musicae, «The

Galpin Society Journal», III, 1950, pp. 19-26: 24.

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Marco Aquilan, Gioan Ambrosio, e ’l Zoppino.


Eravi anchor Francesco melanese,
[...].7

Alcuni anni più tardi Teofilo Folengo sembra evocarne l’arte in un’opera
di carattere allegorico, il Caos del Triperuno (1526), ove tra i personaggi della
«Selva seconda» figura un «Marco Antonio» – nome di fantasia, ma in eviden-
te assonanza col Nostro – «mirabilissimo musico» proveniente da Venezia, de-
finito «novo Anfione» e intento a suonare sul liuto un «accommodatissimo ri-
cercare», genere per il quale Marco andava celebre:
LIMERNO : Ma taci (prego), non odi? Conosco la dotta mano, conosco lo novo An-
fione, conosco lo mio Marco Antonio, oh mirabilissimo musico, che ben quella virtu-
de a la gentilezza d’un tal animo degnamente conviene. Non odi tu lo accommoda-
tissimo ricercare d’un lauto? Costui discese da Vinegia, di tutta Italia nutrice. Egli
per doi giorni s’è dignato qui fra noi dimorare. Or ascoltiamolo, ti prego: egli ancora
non ci ha veduto, e men voglio che ci lasciamo da lui vedere, acciò lo rispetto suo
verso di noi cessare no ’l faccia da sı̀ dolce impresa.8

Altri accostamenti mitologici – giocati stavolta su un’efficace anticlimax –


ricorrono in una delle facete Lettere di Andrea Calmo, che nel blandire l’abi-
lità esecutiva di un’immaginaria «Signora Calandra» finisce in realtà per cele-
brare il valore dei liutisti «moderni», stilandone una lista nella quale Marco
occupa il primo posto:

7 Pubblicato da H.C. SLIM, Musicians on Parnassus, «Studies in the Reinassance», XII, 1965,

pp. 134-163: 146. Più avanti, a p. 159, Slim ritiene di poter riconoscere Marco anche in una xilogra-
fia raffigurante «a lutenist called Aquila» nel Triompho di fortuna di Sigismondo Fanti da Ferrara,
pubblicato da Iacomo Giunta a Venezia nel 1526. In realtà l’immagine a c. 33r della celebre opera
divinatoria – ove le immagini di musicisti, peraltro abbastanza frequenti, sono sempre a figura intera
nonché dotate dei relativi strumenti – non rappresenta affatto un liutista, ma il mezzobusto di un
anziano uomo incappucciato, che coerentemente con la didascalia della pagina («Speranza») sembre-
rebbe piuttosto identificare un filosofo o un teologo, come ad esempio il francescano Pietro dall’A-
quila detto Scotello ({ 1361).
8 T. FOLENGO, Caos del Triperuno, in ID., Opere, a cura di C. Cordié, Milano-Napoli, Ricciardi

1977 («La letteratura italiana. Storia e testi», 26/1), pp. 864-865. Le origini mantovane dell’autore
offrono lo spunto per destituire invece di fondamento, almeno allo stato delle conoscenze attuali,
la presenza di Marco alla corte gonzaghesca, dove insieme ai colleghi Federico Mantovano, Alberto
da Ripa e Niccolò dal Liuto avrebbe contribuito «zu den höfischen Bühnenspielen», come si legge
alla voce Mantua, redatta da Claudio Sartori, nella vecchia edizione del Die Musik in Geschichte und
Gegenwart (MGG), Kassel, Bärenreiter 1949-68. Si tratta probabilmente di un equivoco dovuto alla
presenza in Città di Serafino Aquilano, protagonista nel gennaio 1495 di una celebre Rappresentazio-
ne allegorica della voluttà, nella quale calcò la scena «assai lascivamente vestito, [...] cum il leuto in
brazo», come scrisse Giovanni Gonzaga alla cognata Isabella d’Este. Cfr. A. D’ANCONA, Origini del
teatro italiano, Torino, Ermanno Loescher 1891, II, pp. 107-108.

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[...] trovandome a caso, per sorte, e accidentalmente in canal de la Zuecha, con molta
mia delettation, contento, e consolation, ve sentiti a sonar de lauto, cusı̀ admirabil-
mente, cusı̀ musicalmente, e cusı̀ perfettamente, che Appollo apresso de vù parerave
un principiante, Mercurio pezo ca pezo, Orpheo un ignorante, Amphion un da puo-
co, Marsia no ve tegnerave la candela, Arion romagnerave agrizzao; e si son certissimo
che in tei moderni tignesse el grao mazor, si fosse ben Marco da l’Aquila, Nicolò Ro-
dioto, Ferigo Mantoan, Domenego [Bianchini, alias] Rosseto, Francesco Milanese,
Alvise [Castellin] da Treviso, e Sigismondo Ongaro.9

Una testimonianza non meno significativa è offerta dalla prefazione «ai


Musici» che il noto tipografo umanista Francesco Marcolini da Forlı̀ acclude
all’Intabolatura di Liuto de diversi impressa a Venezia nel maggio 1536, negli
stessi giorni in cui la concorrente societas milanese di Pietro Paolo Borrono e
Giovanni Antonio Castiglione dava alla luce un’analoga raccolta. L’elogio sta-
volta è circoscritto a tre maestri – Francesco da Milano, Alberto da Ripa e,
appunto, Marco – considerati le punte di diamante del suo annunciato cam-
pionario di autori:
Gentilissimi Spirti, benché tutti gli Stormenti di fiato, e di corde, per tener qualità
da l’armonia che esce de sphere mentre si movano i Cieli, sieno dolci, la soavità del
concento, che partorisce il Liuto tocco da le divine dita di Francesco Milanese, d’Al-
berto di Mantova, e di Marco da l’Aquila, con il farsi sentir ne l’anima, ruba i sensi di
chi lo ascolta.10

Identiche preferenze musicali dichiara Pietro Aretino in una lettera a Pao-


lo Manuzio datata Venezia 9 dicembre 1537:
I ricchi si riconoscono dai poveri per la differenza che è dai broccati agli stracci.
Né mi maraviglio s’un par vostro talhora scolta le stampite de l’altrui chiacchiare, ché
ancho Francesco Milanese, Alberto da Mantova & il mio M. Marco da l’Aquila si tra-
he piacere di sentire ciaramellare il liuto d’un barbiere, e Titiano gode mentre uno
schiccara forzieri ti pianta là una testa, che per istar ladramente non potria star me-
glio.11

A prescindere da possibili intenti pubblicitari, riconducibili al vincolo di


amicizia e lavoro che lo legava a Marcolini – editore, come si vede, anche della

9 A. CALMO , Residuo delle lettere. Libro Quarto. Indirizzate a diverse Donne, sotto molte occa-

sioni de inamoramenti, ne la vulgar antiqua lengua Veneta composte, Venezia, Camillo Pincio 1572,
pp. 31-32.
10 Intabolatura di Liuto de diversi, Venezia, Francesco Marcolini da Forlı̀ 1536, c. 1v.

11 PIETRO ARETINO , Le lettere, Venezia, Francesco Marcolini da Forlı̀ 1538, cc. 188v-189r.

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citata missiva –, lo scrittore non esita tuttavia a personalizzare il discorso con


un preciso elemento di distinzione nei riguardi del musicista abruzzese, defi-
nito «il mio M. Marco dall’Aquila», nulla aggiungendo invece alla menzione di
Alberto da Ripa, col quale pure era in documentati rapporti epistolari.12 In
realtà già quattro anni prima, nel prologo del Marescalco, facendo dire a un
istrione ciò che dovrebbe fare un parassita per compiacere il suo padrone, egli
aveva celebrato il valore di Marco presentandolo come paradigma stesso del-
l’arte di suonare:
Vegniamo al parasito. O, come lo farei io di galanteria; caso che il Padrone frap-
passe meco, ogni cosa gli farei buono. Se egli mi dicesse: sono io bello? Gli rispon-
derei: bellissimo. Sono io valente? Valentissimo. Sono io liberale? Liberalissimo.
Non ho io dieci turchi in stalla? Sı̀. Non ho io vestimenti di broccato d’oro? Et d’ar-
gento. Non ho io cento milla ducati in cassa? Cosı̀ è. Non muoiono di me tutte le
belle? Tutte. Non godo io di una Gentildonna? Signor sı̀. Il Ré non mi ama? Vi adora.
Lo imperadore non mi diede mille fanti? Diede. Non canto io soavemente? Cantate.
Come suono io? Come Messer Marco da la Aquila. Che ti par del mio volteggiare?
Miracolo. Del mio saltare? Stupisco. Del mio schermire? Rinasco. Et del mio correre?
Trasecolo.13

Ma ormai la stima è divenuta confidenza, e ribaltando l’avvisata eziologia


può darsi che sia stato proprio Pietro, nel frattempo, a introdurlo presso Mar-
colini.
Allo stesso modo non può escludersi che egli abbia preso da Marco lezioni
di liuto, come alcuni vorrebbero desumere dalla presenza di quel «mio M.»,
sciogliendolo erroneamente in ‘Maestro’ anziché in Messere.14 Manca in ogni
caso qualsiasi prova al riguardo.
Peraltro la lettera dell’Aretino è stata sinora ritenuta anche l’ultimo docu-
mento nel quale il musicista sia attestato in vita.15 In realtà il terminus post
quem è da spostare in avanti di oltre sei anni. È quanto si evince dalla com-
media La Capraria, opera del poeta e pittore rodigino Gigio Artemio Giancarli

12 Cfr. al riguardo C. SARTORI , Alberto da Ripa, in DBI, 1, 1960, s.v.: «Le sue funzioni a corte e

l’alta stima di cui godeva sono testimoniate da uno scambio di lettere, dal 1537 al 1539, fra lui e l’A-
retino, che gli era molto amico e gli affidava spesso sue incombenze».
13 PIETRO ARETINO, Il Marescalco, Venezia, Agostino Bindoni 1550, cc. [5v]-[6r].

14 Cfr. A.J. NESS, Dall’Aquila, Marco, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians,

London, Macmillan 1980, s.v., lettura poi emendata in ID., The Herwarth Lute Manuscripts at the
Bavarian State Library, Munich: A Bibliographical Study with Emphasis on the Works of Marco dall’A-
quila and Melchior Newsidler, Ph.D. Diss., New York University 1984, I, p. 354, dove è ripristinato il
corretto significato della frase; peccato tuttavia che l’autore non si sia preoccupato di aggiornare la
voce nella nuova edizione del dizionario (2001).
15 Cfr. A.J. NESS , Dall’Aquila, Marco cit.

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pubblicata a Venezia, sempre dal Marcolini, nel 1544 (la dedicatoria, al car-
dinale Ippolito II d’Este, reca la data del 22 maggio). Nel primo atto il pro-
tagonista messer Gerofilo, che si fa chiamare Afrone, incita infatti il servo Bru-
sca a chiedere al danzatore Lodovico Paluello (noto per aver prestato servizio,
in seguito, alla corte di Enrico II di Francia) e a «chel da l’Achila» – ovvia-
mente Marco, che l’uso enfatico del pronome dimostrativo contribuisce a raf-
forzare nella sua attualità – di testimoniare quanto egli sia bravo nel ballare e
suonare:
BRUSCA Egli è vero, egli è vero; io mi maraviglio assai che in questi anni siate l’uomo
che voi sète.
AFRONE Ti no xé sol, anghe altri se maravegiano.
BRUSCA Odite, padrone, per Dio, a fe’, per questa croce; che tosto che arivate o in
chiesa o in piazza allegrate tanto la brigata che tutti sen ridono del fatto vo-
stro.
AFRONE Alı̀thià ’ne, xé vero, su la zuvendù a feva cose della diavulo, che no se pol
diri: cando andava sul festa se rideva e ’legrava tudi candi pliò de mi chié
no feva [de] cinghe grassi buffugni de chesta terra. Bià chello chié puleva
sendir la mio barlari, gier[a] pliò sallao che ’l sapienza.
BRUSCA Oh bella grazia! Che volete? Uomini che cosı̀ nascono, con naturale l’un più
sodo de l’altro...
AFRONE No ten digo del mio balarola, saldarola, candarola e sonarola bello chié feva;
dumanda a chiel Paluello e chel da l’Achila, e anghe calche aldro vertuloso,
si xé vera. Aimena, giera una zuvene, mi, tutto del granzia.16

Molto maggiore è invece il lasso che separa quest’occorrenza da quelle


ineccepibilmente postume. La prima si deve a Lodovico Dolce e al suo Dia-
logo nel quale si ragiona delle qualità, diversità e proprietà dei colori, dato alle
stampe nel 1565:
Tu havrai da sapere, che ’l Liuto è istrumento moderno. Dico moderno, in quan-
to non si sa, percioché non se ne fa mentione, che fosse presso de gli antichi. Et è
istrumento perfetto, e di tanta difficultà, che come che è barbieri & ogni homicciuolo
vi soni, pochi sono quelli che vi riescano compiutamente. Vi fu già eccellentissimo
Francesco [da Milano] cognominato dal Liuto, Maestro Marco dall’Aquila, & hoggi-
dı̀ il [Ippolito] Tromoncino.17

Amico a sua volta dell’Aretino, di cui riprende le mosse nel riferimento


alla pratica liutistica dei barbieri, Dolce contribuisce insomma a chiarire,

16G.A. GIANCARLI, Commedie, a cura di L. Lazzerini, Padova, Antenore 1991, pp. 38-39.
17L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona delle qualità, diversità e proprietà dei colori, Venezia,
Giovan Battista, Marchio Sessa e Fratelli 1565, p. 63.

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ove mai ce ne fosse bisogno, di quale centralità e reputazione godesse Marco


nel formidabile network di artisti e letterati fiorito intorno al sagace poeta to-
scano: punta di un iceberg ancora in buona parte da esplorare, specie nei suoi
possibili addentellati, ad esempio col giro dei pittori attivi nella Venezia del
tempo, animato da un notevole interesse per la musica – si pensi al già citato
Tiziano o a Sebastiano del Piombo, ricordato agli esordi proprio come talen-
tuoso strumentista.18 Non sarebbe anzi azzardato immaginare che anche in
quest’ambito qualcuno possa aver onorato il Nostro di un ritratto divenuto
magari il modello di quello realizzato da Pompeo Cesura o Giovanni Paolo
Cardone per i suddetti apparati margaritiani.
Valga, per il momento, il posto assegnatogli da Gian Paolo Lomazzo
– uno dei più convinti assertori della profonda interdipendenza tra le due arti,
reputando la musica «tanto necessaria che senza di lei non può essere perfetto
il pittore» – nella grande scena onirica composta in quegli stessi anni, il Libro
dei sogni, ove il «Quarto ragionamento» è dedicato ai grandi sonatori passati e
presenti, con qualche comprensibile preferenza per i lombardi:
E del lauto, che divinamente sonava, erano il divin et unico in tutti i secoli, Fran-
cesco Moncino da Milano, Alberto [da Ripa] Mantovano e Marco dall’Acquila e
Francisco Napoletano, con il mirabile Ongaro [id est Bálint Bakfark] et Antonio [Ma-
ria ‘‘il Tuono’’] Cremonese, che il primo è che ora sia al mondo.19

Giunti cosı̀ a ridosso delle celebrazioni aquilane, viene da chiedersi se il


ritorno di Marco in patria fosse ‘strumentale’ solo all’ostentato prestigio della
Città, specie in forza dei dubbi a lungo sollevati su quest’effettiva provenienza
a forza di considerare «l’Aquila» – malgrado la persistenza di tale grafia nelle
fonti – una errata lectio di ‘Aquileia’, apparentemente più plausibile rispetto
alla collocazione veneziana del compositore.20

18 Cosı̀ il Vasari nell’edizione torrentiniana del 1550: «in Vinegia nella sua prima giovanezza si

dilettò molto de le musiche di varie sorti», scegliendo poi di dedicarsi al liuto – emulo dunque di
Marco e dei suoi colleghi – «perché il liuto può sonar tutte le parti senza compagnia» (G. VASARI,
Le Vite de’ piu eccellenti architetti, et scultori italiani, da Cimabue, insino a’ tempi nostri, a cura di
L. Bellosi, A. Rossi, presentazione di G. Previtali, Torino, Einaudi 1991, p. 839).
19 G.P. LOMAZZO , Gli sogni e raggionamenti [...] con le figure de spiriti che gli raccontano da egli

designate, in ID., Scritti sulle arti, a cura di R.P. Ciardi, Firenze, Marchi & Bertolli 1973, I, pp. 64-84,
su cui cfr. A. ZIINO, «È tanto necessaria che senza lei non può essere perfetto il pittore»: Musicisti e
strumenti negli scritti di Giovanni Paolo Lomazzo, in Musikwissenschaft im deutsch-italienischen Dia-
log. Friedrich Lippmann zum 75. Geburtstag, hrsg. v. M. Engelhardt, W. Witzenmann, Kassel, Bären-
reiter 2010 («Analecta Musicologica», 46), pp. 11-52.
20 Se il dubbio apparve legittimo a F.J. FÉTIS, Biographie universelle des musiciens et bibliogra-

phie générale de la musique, Paris, Firmin Didot 1868-1870, s.v.: Aquila, Marco, da l’, sorprende che
D.A. SMITH, A History of the Lute from Antiquity to the Renaissance, [s.l.], The Lute Society of Ame-
rica 2002, p. 121, dia ancora credito a quest’equivoco.

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In assenza di risultanze d’archivio utili a fissare in Abruzzo anche una


semplice traccia delle sue vicende biografiche o professionali, non resta che
affidarsi al vero responsabile della sua chiamata in causa: il prevosto della
chiesa di San Nicola della Genca Marino Caprucci, autore dei motti e delle
imprese dipinti sugli archi trionfali del 1569 e, presumibilmente, anche del
programma iconografico. In una sua coeva Descrittione della Città dell’Aquila
egli torna sull’argomento, concludendo in questo modo una rassegna di uomi-
ni illustri locali:
E finalmente messer Marco dall’Aquila che morı̀ in Venetia, fù conosciuto per il
primo sonatore di liuto che si trovasse, con pace di Francesco Milanese come l’opere
sue il dimostrano, et dall’Aretino per tale fù celebrato nel suo Marescalco.21

A parte la facile referenza bibliografica e il tentativo di trasformare in ri-


valità la dicotomia artistica – avallata da una certa fortuna editoriale – con
Francesco da Milano,22 forse tirato in ballo, più corrivamente, perché aveva
impartito lezioni di musica a Ottavio Farnese, coniuge separato di Margherita,
l’unico passo degno di attenzione sembra essere quello riguardante la morte di
Marco a Venezia: notizia certo prevedibile, ma che non si esclude possa essere
stata attinta proprio da canali aquilani, possibilmente familiari, sui quali la
mancanza di un indizio patronimico impedisce comunque di tentare ri-
scontri.
Null’altro riuscendo a collazionare, oltre al fatto che tra i prodotti locali di
maggior pregio, al pari della lana o dello zafferano, «le corde di liuto [...] tol-
gono il vanto a tutti», nel 1582 sulla scia di Caprucci si colloca la Breve descrit-
tio di sette Città illustri d’Italia dell’architetto e matematico Girolamo Pico
Fonticulano, il quale discorrendo di famosi concittadini del passato si limita
a registrare «Marco dall’Aquila eccellentissimo musico, e sonator di liuto, e
tale che combattea di magioranza co ’l gran Francesco Milanese».23
Assodato insomma che la gloria di Marco rifulse in Città soltanto post
mortem, è assai probabile a questo punto – come d’altronde era già avvenuto
per l’altro grande musicista del luogo, il celebre poeta-cantore Serafino Aqui-

21 BPA, ms. 291, cc. 203r-214v: 214v. La fonte è una copia effettuata dal canonico Andrea

Agnifili del Cardinale dopo il 14 luglio 1617, giorno in cui attesta di aver ricevuto in prestito l’ori-
ginale.
22 Si pensi alle antologie Hortus Musarum di Pierre Phalèse (Lovanio 1552), Eyn Newes sehr

Künstlichs Lautenbuch di Hans Gerle (Nürnberg 1552), o alla Intabolatura de lauto pubblicata a Ve-
nezia da Girolamo Scotto nel 1563.
23 G. PICO FONTICULANO, Breve descrittio di sette Città illustri d’Italia, Aquila, Giorgio Dagano

& Compagni 1582, rispettivamente pp. 81-82 e 106-107.

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lano – che egli ne fosse emigrato ancora molto giovane, prima cioè di vedere
conclamate le proprie qualità artistiche, benché queste traessero linfa da un
ambiente indubbiamente propizio alla formazione di strumentisti: a parte la
rinomanza, davvero internazionale, nella lavorazione delle corde armoniche,
riecheggiata da Adrien Le Roy 24 e persino da François Rabelais 25 e ovviamen-
te connessa alla fiorente industria armentaria dell’Abruzzo interno, L’Aquila
era invero depositaria di un’importante tradizione musicale, i cosiddetti soni,
in forza della quale due volte all’anno, in occasione delle feste in onore di san
Pietro Celestino (il 29 agosto, ricorrenza dell’annuale Perdono legato alla sua
incoronazione pontificia, e il 19 maggio, giorno della sua memoria liturgica),
decine di sonatori per otto giorni consecutivi percorrevano le strade cittadine
eseguendo repertori a ballo, che almeno in origine la popolazione effettiva-
mente danzava per motivi espiatori legati alla lucrazione dell’indulgenza. E
benché le attività coreutiche fossero generalmente condannate dall’opinione
pubblica e dalla Chiesa, per difendere quest’usanza nel 1434 il Comune del-
l’Aquila era arrivato a sanzionare contro gli eventuali detrattori il taglio della
lingua e l’esilio perpetuo dal contado.26
Malgrado facciano menzione di diversi liutisti locali, le liste di pagamento
dei soni sono tuttavia pervenute solo a partire dall’agosto 1505,27 quando
Marco si trovava già a Venezia. Annoverato fin dallo scorcio del secolo pre-
cedente tra i membri della prestigiosa Scuola di San Rocco («ser Marcho
da l’Aquila sonador de lauto»),28 proprio l’11 marzo di quell’anno egli aveva

24 «To put the laste hande to this woorke, I will not omitte to give you to understande, how to

knowe stringes, whereof the best come to us of Almaigne, on this side the toune of Munic, and from
Aquila in Italie» (A. LE ROY, A briefe and plaine instruction to set all musicke of eight divers tunes in
tableture for the lute, London, James Rowbothome 1574, c. 60v).
25 Nel quarto libro del Pantagruel Dindenault dice a Panurge che con le budella dei montoni

«on fera chordes de violons et harpes, lesquelles tant ché rement on vendra comme si feussent chor-
des de Munican ou Aquileie», su cui cfr. F. RABELAIS, Oeuvres complètes, Paris, Gallimard 1955 («Bi-
bliothèque de la Pléiade», 5), p. 556 nota 4, dove gli editori Jacques Boulanger e Lucien Scheler
– forse anche attraverso il confronto con il brano di Le Roy – chiariscono effettivamente trattarsi
dell’Aquila e non di Aquileia.
26 Cfr. F. ZIMEI , I «cantici» del Perdono. Laude e ‘soni’ nella devozione aquilana a san Pietro

Celestino, Lucca, Libreria Musicale Italiana 2012, («Civitatis aures». Musica e contesto urbano, 1),
passim.
27 Se ne veda la trascrizione completa in F. ZIMEI , I «cantici» del Perdono cit., Appendice B.

28 Venezia, Archivio della Scuola Grande di San Rocco, Mariegola maior, c. 86r. Peraltro Marco

non è l’unico aquilano menzionato dai manoscritti della confraternita: la stessa Mariegola cita infatti a
c. 73v un «ser Francesco da l’Aquila maestro di corniole», mentre nel secondo volume delle Parti,
relativo al secondo decennio del Cinquecento, si leggono i nomi di un «messer Bortolo di Tomaso
dall’Aquila» membro della Banca (c. 118v) e di due membri del Capitolo, «messer Bortolamio dal-
l’Aquila» (c. 141v) e «messer Gasparo dall’Aquila» (cc. 351v, 352v). Devo queste notizie alla cortesia
di Franco Tonon, che ringrazio sentitamente.

— 413 —
FRANCESCO ZIMEI

peraltro ottenuto dal governo della Serenissima il privilegio decennale di


stampare e commercializzare in esclusiva intavolature per liuto realizzate se-
condo una tecnica di sua stessa invenzione:
Serenissimi Principi ejusque Sapientissimo Consiglio,
Humiliter supplica el servitor de la Sublimità Vostra Marco da l’Aquila cum sit
che cum grandissima sua fatica et spesa non mediocre se habii inzegnato a comune
utilitate de quelli che se delectarono sonar de Lauto nobilissimo Instrumento perti-
nente a Vary Zentilhomini far stampar la tabullatura, et rasone de metter ogni Canto
in lauto cum summa industria, et arte; et cum molto dispendio de tempo, et facultade
sua: la qual opera non mai è sta’ stampata. Se degni la Illustrissima Signoria Vostra
concieder de special gratia al prefato supplicante vostro fidelissimo: che alcun chi es-
ser se vogli sı̀ in questa Cità de Venetia, come in tutte altre terre, et lochi nel Dominio
de la Sublimità Vostra non ardisca, over presuma far stampar alcuna tabullatura de
lauto de alcuna sorte, nec etiam se alcuno lo stampasse extra ditionem illustrissimi
Dominii Vestri, possi quella vender, over far vender in questa Cità né altrove nel pre-
dicto Dominio, sotto pena, sı̀ a quelli che la stampasseno in le terre de la Sublimità
Vostra, come a quelli la conducesseno a vender in ipse terre de perder irrimissibiliter
le loro opere et libri tabullati, et per cadauno de quelli stampati, over venduti pagar
ducati X. Il terzo de la qual pena sia del accusator, un terzo de quel rector, over Ma-
gistrato a chi sarà facta la accusa, et l’altro terzo de epso supplicante aciò el possi cum
tal gratia de Vostra Celsitudine continuare a vender le ditte opere et libri tabullati, et
che alcun non li togli la industria et utilità che cum tantj sudori, et vigilie el prefato
fidelissimo supplicante se ha acquistato, et questa prohibitione se intenda valer per
anni X come in similibus ad altri è sta’ concesso: ai piedi della qual Sublimità Vostra
humiliter se ricomanda.

Die 11 Martii 1505.


Infrascripti Domini Consiliarii intelecta suprascripta suplicatione terminaverunt
quod suprascripto suplicanti, fiat quod petit.
Consiliarij.
Ser Franciscus Barbadico.
Ser Nicolaus Foscareno.
Ser Marcus de Molino.
Ser Andreas Gritti.29

29 Venezia, Archivio di Stato (d’ora innanzi ASV), Archivio dell’Ex-Veneta Cancelleria Ducale,

Registro Notatorio XXIII, 1499-1506, c. 141v, edito da A. SCHMID, Ottaviano dei Petrucci da Fossom-
brone, der erste Erfinder des Musiknotendruckes mit beweglichen Metalltypen, und seine Nachfolger in
sechzehnten Jahrhunderte, Wien, Rohrmann 1845, pp. 12-13.

— 414 —
MARCO DALL’AQUILA A VENEZIA E RITORNO

Sull’avvenuta attuazione del beneficio non ci sono purtroppo evidenze; e


benché Arthur Ness ipotizzi che la fonte principale delle opere di Marco, il
manoscritto Mus. 266 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, sia stata
copiata a partire da una stampa,30 già nel 1507 Ottaviano Petrucci pubblicava
a Venezia i primi due volumi di Intabulatura de Lauto di Francesco Spinacino
– a tutt’oggi la più antica testimonianza conosciuta di questo genere –, indu-
cendo a credere che l’iniziativa non avesse avuto seguito, forse proprio a causa
della schiacciante concorrenza del Fossombronese, già presente da anni sul
mercato veneziano e oltretutto titolare dal 1498 di un’esclusiva ventennale
per la stampa di musica su tutto il territorio della repubblica; esclusiva che,
anzi, lo stesso Petrucci potrebbe aver fatto valere giudizialmente nei confronti
del musicista,31 ottenendone magari anche il temporaneo allontanamento da
Venezia.
Anche a prescindere dall’esito di un episodio cosı̀ cruciale nella storia del-
la stampa musicale, la dichiarata esperienza di Marco nell’arte tipografica pre-
supponeva, è chiaro, un solido tirocinio, il quale potrebbe aver avuto luogo
proprio nella sua terra d’origine.
Il 3 novembre 1481 la Camera Aquilana aveva concesso infatti ad Adam
Burkhard da Rottweil il privilegio di aprire in Città la prima stamperia d’A-
bruzzo, inaugurata un anno dopo dall’elegante volgarizzazione di ventisei Vite
di Plutarco curata dal cancelliere reatino Battista Alessandro Jaconello. Il suc-
cesso dell’impresa, della quale si conoscono altri sei titoli pubblicati fino al
1486, sembra aver indotto il tipografo tedesco – sull’esempio del connazionale
Ulrich Han da Inglostadt, artefice del magnifico Missale Romanum impresso a
Roma nel 1476 – a cimentarsi anche con i caratteri musicali: è quanto emerge
da un atto di notar Nembrotto da Lucoli, che il 9 gennaio 1484 rogava la co-

30 Cfr. A.J. NESS, The Herwarth Lute Manuscripts cit., I, pp. 293-294.
31 È una delle possibilità ventilate da A. VERNARECCI , Ottaviano de’ Petrucci da Fossombrone,
inventore dei tipi mobili metallici della musica nel secolo XV, Fossombrone, Tipografia Monacelli
1881, p. 90. L’altra è che il Nostro «poi più non volesse o non sapesse porre ad effetto i suoi trovati»
(ibid.). S. BOORMAN, Ottaviano Petrucci: catalogue raisonné, Oxford, Oxford University Press 2006,
p. 38, immagina dal canto suo che «Marco did not make use of his privilege because his music was
still too difficult to guarantee a large market». Tale presa d’atto comporterebbe, in ogni caso, che egli
avesse stampato almeno qualche copia prima di decidersi ad abbandonare l’impresa. A meno che la
difficoltà risiedesse non nella musica, ma nella tecnica di preparazione dei caratteri. Quando infatti
Marcolini, nel 1536, richiese a sua volta al Senato veneziano l’esclusiva per la stampa musicale – inau-
gurata proprio con l’Intabolatura di Liuto de diversi – tenne a precisare che dopo «Ottaviano da Fos-
sanbrono, che stampava musica nel modo, che se imprimono le l[ette]re, et è circa xxv. Anni che tal
opera non si fa», egli si era «affaticato molti giorni, e con non poca spesa in ritrovar tal cosa» (ASV,
Senato, Terra, ms. R.29, c. 33v, edito da R.J. AGEE, Privilege and Venetian Music Printing in the Six-
teenth-Century, Ph.D. Diss., Princeton University 1982, p. 207): perché mai tanta fatica, alla luce dei
suoi contatti con Marco, se quest’ultimo avesse davvero praticato quella tecnica? Oppure si trattava
d’una mera clausola di stile?

— 415 —
FRANCESCO ZIMEI

stituzione di una società tra Adam, ser Domenico di Giovanni da Montorio e


Don Onofrio di Cola da Cascina per la stampa di seicento salteri; 32 tiratura di
cui non si conoscono esemplari, ma che per genere e quantità rappresentava
in quel periodo una perfetta sintesi tra la vocazione commerciale del territorio
e il numero dei suoi insediamenti religiosi – a partire dai conventi dell’Osser-
vanza francescana, che aveva nell’Aquila uno dei suoi centri propulsori e
avrebbe potuto assorbire una buona fetta del nascente mercato librario desti-
nato alla liturgia.
Considerando che l’apprendistato si effettuava di solito fra gli otto e i dodici
anni, l’ipotesi che Marco si sia formato nell’officina del Burkhard, oltre a far an-
ticipare la sua nascita dal nono – come attualmente si crede – all’ottavo decen-
nio del Quattrocento (cronologia molto più ragionevole, visto il suo impiego a
San Rocco già prima della fine del secolo), fornirebbe valide ragioni al suo stesso
trasferimento veneziano: cessata l’opera del maestro di Rottweil, il ristagno del-
l’attività tipografica cittadina, rilevata solo nel 1493 da Eusanio della Stella, po-
trebbe cioè averlo costretto a tentare la fortuna in una piazza economicamente
più favorevole, dove frattanto sarebbe esploso il suo talento liutistico.
Un’altra potenziale via di approdo in Laguna, sempre attraverso speri-
mentate rotte mercantili e la decisiva mediazione di un tedesco illustre, è sug-
gerita dalla verosimile frequentazione tra Marco e un autorevole uomo d’affari
con proprietà e interessi a Venezia, il celebre bibliofilo musicale Hans Hein-
rich Herwart (1520-1583),33 primo possessore del citato corpus d’intavolature
liutistiche oggi conservato a Monaco: la presenza nel manoscritto di un Ricer-
car Caro A.H.HE., interpretato ormai pacificamente come «Caro Amico Hen-
rico Herwart»,34 dimostrerebbe anzi grande familiarità tra i due e forse anche
un intercorso rapporto di committenza.35

32 Il documento è pubblicato da U. SPERANZA , Adamo Rotwill primo stampatore dell’Aquila,

«Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria», XLII-XLIII, 1951-1952, pp. 25-47: 44-45.
33 Si vedano in merito H.C. SLIM , The Music Library of the Augsburg Patrician Hans Heinrich

Herwart (1520-1583), «Annales musicologiques», VII, 1964-1977, pp. 67-109; M.L. MARTINEZ-
GÖLLNER, Die Augsburger Bibliothek Herwart und ihre Lautentabulaturen, «Fontes Artis Musicae»,
XVI, 1969, pp. 29-48; A.J. NESS, The Herwarth Lute Manuscripts cit.
34 Cfr. M.L. MARTINEZ -GÖLLNER , Die Augsburger Bibliothek Herwart cit., p. 42, la quale tutta-

via non esclude che in amicizia con Hans Heinrich non fosse Marco ma lo scriba stesso che ne ha
tramandato il repertorio, probabile allievo del liutista, visto il numero di unica trascritti. Un’eventua-
lità sinora non considerata, trattandosi oltretutto di un copista di lingua tedesca, è che con la sigla
«H.HE.» questi abbia potuto invece riferirsi al padre di Hans Heinrich, Hans Herwart (1475-
1528), ugualmente coinvolto in negozi veneziani e con estremi anagrafici molto più compatibili
con quelli del compositore.
35 Cfr. J.A. TARICANI , A Renaissance Bibliophile as Musical Patron: The Evidence of the Herwart

Sketchbooks, «Notes», 2nd series, XLIV, 1993, pp. 1357-1389: 1371.

— 416 —
MARCO DALL’AQUILA A VENEZIA E RITORNO

Membro di una facoltosa dinastia di mercanti e banchieri augustani tradi-


zionalmente legata ai Fugger e di recente ascesa al patriziato, Herwart aveva
una filiale presso il Fondaco dei Tedeschi, principale centro di smistamento,
nella Penisola, delle merci destinate alla madrepatria. Tra queste una delle più
richieste era proprio lo zafferano dell’Aquila, dove un cartello d’imprese di
Norimberga e di Augsburg, facenti capo rispettivamente agli Imhoff e ai Wel-
ser, era arrivato da tempo a esercitare il controllo del mercato.36 Il fatto che
nel dicembre 1544 Hans Heinrich sia convolato a nozze con Maria Haintzel,
figlia di Catharina Welser, saldando in parentela un’antica consuetudine tra i
due casati, ci permette di fare del tutto a meno di sillogismi: a condurre Marco
a Venezia potrebbe dunque essere stato anche il pregiato zafferano; lo stesso
che, intrecciato a forma di ghirlanda, quel 18 maggio 1569 adornava in una
piazza aquilana la lieta allegoria fluviale dipinta quasi ad ambientare la sma-
gliante immagine del virtuoso oriundo, riesumato ad arte, nell’ultimo degli ar-
chi eretti in onore di Margherita:
Negli altri piedistalli dell’altra faccia era da un lato il nostro fiume Aterno, di fi-
gura tutto giulivo sedente con l’urna sotto il braccio sinistro, il quale reggeva un Cor-
nucopio di varj frutti del paese, mostrando con la destra aversi levata da testa una
ghirlanda di fiori di zaffrano, e di stenderla à S. Altezza, et intorno à lui vedevansi
bellissimi Cavalli, bovi, et altri animali, di vista molto lieti, de’ quali è fertile tal paese,
e vicino al capo di lui vi era un’Aquila insegna della Città [...].37

36 Cfr. R. COLAPIETRA , Il commercio dello zafferano in area aquilana tra XIV e XVII secolo, «Pro-

poste e ricerche», XV, 1992, pp. 111-118.


37 F. CIURCI , Familiari Ragionamenti cit., c. 98r. Cfr. anche F. ZIMEI , Simbologia e identità cit.,

p. 272.

— 417 —
INDICE

Premessa di Howard Burns e Mauro Mussolin . . . . . . . . . . . . Pag. V

ARCHITETTURA E IDENTITÀ LOCALE:


CREAZIONE, EVOLUZIONE E CRISI DI UN BINOMIO

HOWARD BURNS, Architecture and the Communication of Identity


in Italy, 1000-1650: Signs, Contexts, Mentalities . . . . . . . . . . » 3
CARLO OLMO, «Abbasso il Tango e Parsifal!» . . . . . . . . . . . . . . » 81

NARRAZIONI CONDIVISE:
CITTÀ, NAZIONE, PATRIA

LUCIA BERTOLINI , Il De gestis Porsenne di Leonardo Dati: Monte-


pulciano, gli Etruschi e un’idea di identità regionale . . . . . . . » 91
MAURO MUSSOLIN, «Aquila ladra inamorata di Bernardin beato».
Culto di san Bernardino, Osservanza francescana e identità civi-
ca tra L’Aquila e Siena nel Quattrocento . . . . . . . . . . . . . . . » 103
KRISTA DE JONGE, Forging Local Identity in the Architecture of the
sixteenth-century Low Countries. From the Brabantine Mode to
the Quest for Roman Gaul . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 153
ELENA GRANUZZO, L’architettura di Stato francese e il suo rapporto
con l’antico nell’età di Luigi XIV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 169
GIORGIO BACCI, «Che la memoria di essa si rinnovelli»: entrate ed
uscite trionfali a Livorno attraverso dipinti e stampe . . . . . . . » 187
MASSIMILIANO SAVORRA, Da luogo dell’immaginazione a paesaggio
della memoria: l’Italia e il mito del Rinascimento nell’architettu-
ra americana della Gilded Age . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 203

— 713 —
INDICE

CLARA ALTAVISTA, I palazzi dei rolli a Genova (secc. XVI-XVII):


identità civica o costruzione storiografica? . . . . . . . . . . . . . . Pag. 223

TRADIZIONE, MEMORIE LOCALI, MEMORIE FAMILIARI

MADDALENA SCIMEMI, Dottrina e autorità dell’antico in Antonio da


Sangallo il Giovane. Una ‘dieta’ per Alessandro Farnese sull’Iso-
la Bisentina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 243
ENRICO LUSSO, Tra il Mar Ligure e la Lombardia. La committenza
architettonica dei marchesi Del Carretto nei secoli XV-XVI . . » 261
PAOLO CORNAGLIA, Gorzegno, Saliceto e Priero: da castelli a dimo-
re, all’ombra di Serlio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 279
CRISTINA CUNEO, La grande galleria di Carlo Emanuele I di Savoia
«in bell’ordine ornata e ripiena d’historie e favole, di libri, di
scolture e di pitture [...] e meraviglie dell’antichità» . . . . . . . » 291

ANTICO E COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ LOCALE

BIANCA DE DIVITIIS, Architettura e identità nell’Italia meridionale


del Quattrocento: Nola, Capua e Sessa . . . . . . . . . . . . . . . . » 315
VALERIA CAFÀ , Verona seconda Roma. Frammenti di una identità
collettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 333
STEFANO MAGGI , La facciata della casa mantovana di Giulio Roma-
no e «una graziosa statua greca» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 345
MARIE MADELEINE FONTAINE, L’identité antique de Bordeaux sous
le regard d’Élie Vinet (1539-1587) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 353
MARTIN DISSELKAMP, Antichità e identità. Paradossi antiquari nella
Roma barocca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 375
SUSANNA CACCIA, «La bella curva dell’anfiteatro» di Lucca. Il ripri-
stino della forma nei restauri sette-ottocenteschi . . . . . . . . . . » 393

— 714 —
INDICE

MUSICA, FESTE DI CORTE


E COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ LOCALE

FRANCESCO ZIMEI , Marco dall’Aquila a Venezia e ritorno. . . . . . Pag. 405


LORENA SAVINI , Identità dinamica: un musicista fiammingo nell’A-
bruzzo margaritiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 419
FAUSTO TESTA, «Figure iconiche» ed «Armi gentilesche»: l’allegoria
dello Stato sabaudo nel banchetto del Dono del Re del’Alpi (Ri-
voli 1645) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 431

ARCHITETTURA E IDENTITÀ
NEI TRATTATI E NELLA LETTERATURA ARTISTICA

FRANCESCO PAOLO DI TEODORO, «Marmorea templa»: Firenze,


identità romana e tutela identitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 449
MARIA BELTRAMINI, Il «didentro» e il «difuori»: identità locali mul-
tiple nelle architetture di Filarete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 471
BARBARA GALLI, Jean Martin tra Sebastiano Serlio e Vitruvio . . . . » 481
ANNA SIEKIERA, Identità linguistica del Vasari «artefice». II. La
scrittura vasariana nell’«Introduzzione» alle Vite de’ più eccel-
lenti architetti, pittori, et scultori italiani (1550) . . . . . . . . . » 497
ELIANA CARRARA, Descrivere Firenze: i casi di Francesco Bocchi e di
Giovanni de’ Bardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 511
EMANUELA FERRETTI, Da mirabilia a monumenta: Vincenzio Bor-
ghini, la memoria dell’acquedotto romano e il mito fondativo
dell’origine di Firenze nelle fonti letterarie dal XIII al XVI seco-
lo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 529
FRANCESCO CECCARELLI , «Delitie» Bolognesi. Identità e tradizione
nel Dialogo della Villa di Giovan Battista Bombello (1585) . . » 553
CRISTIANA PASQUALETTI, I Monumenti storici e artistici della città
di Aquila e suoi contorni di Angelo Leosini. Verso un’edizione
commentata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 567

— 715 —
INDICE

GENIUS LOCI: ARCHITETTURA E TECNOLOGIA

MARCO FRATI, Identità formale, varietà materiale. La ripetizione dei


moduli progettuali nelle facciate dei palazzi muniti fiorentini
(cantieri fra XIII e XX secolo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 585
ANDREA FELICI, Parole di marmo. Identità versiliese nei documenti
di Michelangelo per la fabbrica di San Lorenzo . . . . . . . . . . . » 605
GIOVANNI SANTUCCI, «Incatenando al solito di ferri» Giorgio Vasari
e l’uso del ferro nell’architettura toscana di Età Moderna . . . . » 627

STRUMENTI DI ANALISI

DANIEL TSAI, Conceptual Database for Architectural Identity . . . . » 649


Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

— 716 —
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI DICEMBRE 2013

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