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Schelling

Schelling nasce nel ’75 (Fichte invece nel ’62) e inizialmente è un discepolo di Fichte: come tanti giovani intellettuali di
quell’epoca è attratto da quei temi ricordati in Fichte come l’esaltazione della libertà dell’io e il tema del tendere.
Iniziale Schelling ha un momento fichtiano che risale al ’95, quando era un 20enne studente universitario, periodo in cui
partecipa al seminario teologico di Tubing, dove ha incontrato anche Hölderling. Da Fichte Schelling dal ’96 in poi
comincia una fase che è indicata come la fase della filosofia della natura. Schelling ha preso e distanze da Fichte per
quell’aspetto per cui Fichte non era romantico, e quello era legato al fatto che in Fichte la natura era semplice non-Io
(materia inerte e passiva che ostacola gli sforzi dell’io), e Schelling non accoglie questa prospettiva fichtiana. Fichte ha
agli occhi di Schelling sopravvalutato l’Io dandogli potere eccessivo. Questa sopravvalutazione dell’Io porta
necessariamente Fichte a non apprezzare il ruolo della natura.

Tra il ’97 e il ’99 Schelling elabora una Naturphilosophie ed elabora uno dei due aspetti per i quali Schelling dà
espressione alla cultura romantica della sua epoca: la natura non è come voleva Fichte materia inerte e passiva, la natura
spiega Schelling è già spirito. Prende le distanze da quella natura che in Fichte era semplice non-Io. L’obiettivo a cui
punta Schelling è una nuova concezione dell’assoluto, un assoluto che non sia semplicemente pura dimensione
spirituale come in Fichte ma che non sia nemmeno pura dimensione materiale. L’assoluto come chiarirà poi Schelling è
invece identità di reale e ideale, di natura e spirito, di oggetto e soggetto, a questo Schelling aggiunge che è identità di
conscio e inconscio: l’assoluto è unità indifferenziata di opposti e non sta solo dalla parte dell’io. Non si parla più di Io
o non-Io. Sulla base di questa prospettiva (assoluto come d’entità di contrari - spirito e natura - soggetto e oggetto …)

Schelling offre due percorsi per seguire questa manifestazione dell’assoluto, di cui il primo è costituito dalla Filosofia
della natura, che mostra come dalla natura lo spirito emerga (dalla natura allo spirito) , mentre il secondo è spiegato nel
Sistema dell’Idealismo Trascendentale procede in senso contrario e mostra come dallo spirito si giunga dalla natura
(dallo spirito alla natura). A partire da quel rifiuto della concezione fichtiana, che sopravvalutando l’Io ha considerato la
natura semplicemente come un non-Io, Schelling ritiene che sia necessario comprendere l’assoluto come identità
indifferenziata di opposti, e questo assoluto lo posiamo seguire in queste due manifestazioni: una dalla natura ci porta
allo spirito, ed è il percorso della Filosofia della natura, un’altra invece dallo spirito discende alla natura, ed è il
percorso indicato nel Sistema dell’idealismo Trascendentale.

Schelling cerca di indagare quell’assoluto che è unità indifferenziata di contrari. Schelling dà espressione in modo
raffinato alla Naturphilosophie tipica della natura romantica: la sensibilità romantica guarda alla natura non come a
un’identità estranea/opposta/nemica, ma nella natura legge già una manifestazione dello spirito; secondo questa
prospettiva nella natura è presente una capacità vitale attiva, quindi una forma di intelligenza. La filosofia della natura
parte da quel rifiuto della meccanicistica tipica della scienza moderna: la natura non è vista come un sistema meccanico
di parti, ma come un organismo, un’entità dotata di vita.

Schelling propone sì una concezione organistica della natura, ma prende le distanze da quell’organicismo che adotta una
prospettiva teologica, cioè quella prospettiva per la quale la natura è l’esito di un progetto, e questo progetto si deve
all’opera di dio, e quindi la natura è stata organizzata in vista di un fine. Quella di Schelling non è quindi una
prospettiva finalistica e teologica (teleologica e teologica): la differenza sta nel fatto che il finalismo è interno alla
natura stessa e non c’è il ricorso a un dio trascendente che dall’esterno progetta e organizza la natura, è la natura che al
proprio interno si dà dei fini da realizzare. L’organicismo di Schelling non è finalistico ma immanentistico, cioè il fine è
interno alla natura stessa, è la natura che si dà dei fini da realizzare, si escluda una prospettiva teologica. C’è un
organicismo (la natura è un essere vivente), tema per il quale i romantici recuperano il naturalismo rinascimentale, ma la
natura, e qui c’è Kant con la Critica del giudizio, si organizza da sé.

Schelling propone la distinzione tra opera dell’artista e opera della natura: un artista è esterno alla sua opera e l’opera
che produce è esterna all’artista, mentre nel caso della natura l’artista che crea è anche l’opera che si produce. Dunque
la natura organica, che è paragonabile all’opera in cui il creatore è la sua stessa creatura, è una natura non meccanica ma
organizzata, capace di organizzarsi da sé, ed è dotata di vita, di un attività spontanea e creativa, ben lontana dunque da
quel non-Io di cui aveva parlato Fichte. Schelling recupera l’idea di anima del mondo, e lo fa ricordando che l’anima
indica il principio che anima, ed è dispersa nella natura intera. Questa spontaneità creatrice della natura si manifesta
soprattutto attraverso giochi di forze opposte. La natura dimostra di essere viva perché in sé già manifesta questa
polarità di forze che opponendosi tra di loro danno vita a diversi fenomeni naturali. Le forze polari sono quelle attive
nelle scienze emergenti che attraggono la cultura romantica, come l’elettricità, il magnetismo e la chimica, e sono
queste forze opposte (pag. 409) quelle che manifestano la dimensione vivente e organica della natura.

Potremmo disporre in modo gerarchico i fenomeni della natura. Si parte da un livello fisco in cui la natura appare
ancora inerte, prima che inizino a entrare in gioco delle forze; poi attraverso la chimica ci avviamo verso il mondo
organico, e progressivamente in questa sorta di scala già a livello fisico compare quella dimensione dinamica che
implica la presenza di forze (come quelle in cui si manifesta il gioco polare o della chimica) che manifestano già una
capacità attiva della natura che diventa ancora più evidente entrando nel mondo organico (dimensione biologica).
Schelling elabora un discorso sul ruolo della luce come elemento di mediazione/transizione/passaggio dalla dimensione
inorganica a quella organica: attraverso la luce la natura si manifesta a se stessa. (Pag. 410) quello che interessa a
Schelling è dimostrare che nella natura già nei suoi livelli elementari si rende visibile una capacità spirituale, e per
capacità spirituale si intende una capacità di organizzazione, di costituire un sistema come il sistema solare. Questa
capacità intellettiva (intelligenza della natura) si sviluppa via via, cresce, giungendo al mondo organico e poi sull’uomo.
I livelli del modo organico non sono il contrario delle fasi fisiche e inorganiche, ma nella natura si rende sempre più
visibile una capacità intellettiva spirituale, che nella natura è da sempre presente: la natura non è il contrario dello
spirito ma è spirito inconscio .

A parte l’inizio fichtiano della sua filosofia, quando Schelling ha 20 anni prende le distanze da Fichte per l’eccessivo
soggettivismo di Fichte. Agli occhi di Schelling, mentre Spinoza aveva prospettato un assoluto oggettivo, invece in
Fichte c’è un assoluto soggettivo, l’Io, e secondo Schelling questa sopravvalutazione dell’io si traduceva in una sorta di
disprezzo nei confronti della natura, perché la natura era semplice non-Io; invece agli occhi di Schelling la natura da
romantico non è semplicemente la materia contrapposta allo spirito ma la materia è già spirito. Nella materia non solo
rintracciamo una dimensione organica vitale (la natura è una realtà vivente, cfr. critica giudizio teleologico) e quindi
capace di organizzare, ma è dotata anche di intelligenza, è dotata di una facoltà intellettiva, è in grado di progettare ed
elaborare. In tal senso la natura non è diversa dallo spirito, anzi è la preistoria dello spirito, è quel passato in cui si
pongono le condizioni perché lo spirito si manifesti in modo conscio nell’uomo, dalla natura emerge progressivamente
quello spirito consapevole, conscio, che poi si esprime pienamente nell’umanità. La natura è già spirito.

Il discorso di Schelling sembra quasi evoluzionistico: da una natura inorganica, con la luce si trapassa a quella organica
per poi giungere al suo vertice, cioè all’uomo (siamo 50 anni prima di Darwin); Schelling però non parla di una
evoluzione come Darwin, ma parla di una gerarchia in cui lo spirito si realizza sempre più compiutamente fino a
diventare nell’uomo uno spirito conscio di se stesso, e questi gradini restano stabili, non c’è un trapasso o un’evoluzione
(nel darwinismo sono i gradini che si trasformano progressivamente affinché emergano altre speci). La considerazione
di Schelling è dunque quella che la natura vada considerata come spirito inconscio da cui emerge progressivamente la
coscienza e l’intelletto umano che è spirito consapevoli di sé. La natura attraverso l’uomo rivela se stessa, si diventa
consapevoli di una dimensione spirituale già presente in natura.

La Filosofia della natura per Schelling rappresenta il percorso che mostra come dal reale si giunga all’ideale, o dalla
materia si giunga allo spirito, dalla dimensione inconscia alla dimensione conscia. Quello che Schelling fa poi
soprattutto con il Sistema dell’idealismo Trascendentale è mostrare il percorso opposto e simmetrico rispetto alla
filosofia della natura, cioè quello che dal’Io/dall’ideale conduce alla materia. Sono due percorsi opposti e simmetrici, e
Schelling li offre perché la sua convinzione è che il vero assoluto non è né quello oggettivistico di Spinoza né quello
soggettivistico di fichte: il vero assoluto è unità indifferenziata di opposti (reale-irreale, materia-spirito …), unità
indifferenziata che si dipana sia nella via che conduce dalla natura allo spirito che nella via che dallo spirito-coscienza-
soggetto conduce alla materia (da ideale a reale). Questa seconda via viene sviluppata nel Sistema dell’idealismo
Trascendentale (“trascendentale” in Kant indicava l’indagine a priori sulle condizioni di possibilità della conoscenza
nella prima critica, dell’azione morale nella seconda).

Schelling si preoccupa di chiarire il ruolo di principio che ha l’autocoscienza, l’io, il soggetto. Fichte ci aveva proposto
la prospettiva per cui l’Io pone se stesso, e in questo Schelling sviluppa questa prospettiva; chiarisce che questo gesto
con cui l’io stabilisce sé stesso si deve a una intuizione intellettuale, e intuire vuol dire cogliere immediatamente: questa
intuizione intellettuale è l’atto originario con cui l’io produce se stesso. Kant aveva escluso l’intuizione intellettuale, ma
questa intuizione per gli idealisti è la conferma/testimonianza della libertà assoluta dell’io grazie alla quale l’io è in
grado di autoprodursi.

Un grande problema dell’idealismo è legato alla stranezza che riguarda l’ambito gnoseologico della conoscenza: noi
possiamo capire quello che Fichte ci ha detto, cioè che nell’ambito morale l’Io veramente interviene sulla realtà, ed
essendo libero non è limitato dal non-Io (azione morale = intervento libero di ciascuno di noi sul mondo, il soggetto
determina l’oggetto). Il problema più grave riguarda la conoscenza nell’ambito della conoscenza: quando diciamo di
conoscere qualcosa sappiamo che questa conoscenza dipende dal fatto che una realtà esterna in qualche modo viene
rispecchiata dall’Io, e noi tutti assumiamo che questa realtà esterna esista indipendentemente dall’Io. Per fichte e per
ogni idealista questa realtà esterna è una produzione dell’Io, tanto che nel terzo principio Fichte diceva che era l’Io a
opporre a se stesso il non-Io: questo suonava un po’ strano perché la realtà ci appare indipendente da noi. Fichte diceva
che l’io produce il non io, ma questa produzione avviene inconsciamente: l’Io non è consapevole di avere prodotto/
costruito/creato la realtà, e siccome avviene inconsciamente ne risulta che noi crediamo sbagliando che questa realtà sia
indipendente dall’Io, mentre in realtà è l’io che ha costruito la realtà. Schelling partendo da questa prospettiva già
elaborata da Fichte mostra il percorso attraverso il quale l’Io progressivamente prende coscienza di avere prodotto la
realtà. Quello che scellini sviluppa qui sono le tappe attraverso le quali lo spirito diventa progressivamente consapevole
di se stesso e di aver prodotto costruito la realtà. Sono tappe in cui Schelling recupera tematiche anche kantiane. Quello
che a noi interessa è che in questo percorso lo spirito si realizza anche nella storia, e quindi nel cammino dell’umanità si
realizza progressivamente l’assoluto e si realizza attraverso l’evoluzione o il progresso delle diverse civiltà: la filosofia
ricostruendo questo percorso è in grado di comprendere l’assoluto.
IL DISCORSO SULL’ARTE

La filosofia comprende/coglie l’assoluto, che è unità di contrari, ma è in grado di coglierlo non di realizzarlo: l’opera di
realizzare l’assoluto spetta a qualcosa di più elevato della filosofia, ovvero l’arte (c’è una parte del Sistema
dell’idealismo Trascendentale in cui Schelling si occupa dell’arte). L’arte assume un ruolo più elevato, e viene
considerata come l’organo della filosofia, lo strumento grazie al quale agli occhi della filosofia l’assoluto si realizza;
nell’arte l’assoluto trova una sorta di realizzazione compiuta, l’assoluto in quanto unità degli opposti si realizza.

Un’opera d’arte è considerata l’incarnazione dell’assoluto, perché nell’opera d’arte noi abbiamo la dimensione ideale
che si traduce in realtà, un progetto che viene incarnato in realtà, e sono quindi presenti sia la dimensione ideale che
quella reale, la dimensione soggettiva e poi quella oggettiva. L’opera d’arte è l’oggetto in cui si è co sono sia il pensiero,
la dimensione spirituale (rimanda dimensione soggetto, uomo che l’ha prodotta), che la dimensione materiale, naturale.
Nell’opera d’arte c’è una componente conscia, l’elaborazione dell’artista, e accanto c’è anche componente inconscia;
nell’opera d’arte non c’è solo quello che l’artista vi ha consapevolmente inserito, ma c’è qualcosa di più che va oltre a
consapevolezza artista. Le opere d’arte sono serbatoi inesauribili, e ogni epoca le può rileggere a modo suo.

Artista non è un ingegnere: mentre per un ingegnere l’opera deve corrispondere pienamente al progetto, questo non vale
per l’artista, il quale produce qualcosa, crea un’opera e in quell’opera c’è qualcosa che non sa di averci messo, ed è
questo che fa dell’opera un’opera d’arte (differenza tra artista e progettista). Molti artisti lasciano che la propria opera
sia un’opera aperta, che non è chiusa ma che si conclude soltanto negli occhi di chi la guarda, e che quindi al di là della
stesura dell’autore continua la sua vita nell'interpretazione che danno i lettori. L’artista è il primo che non dovrebbe
sapere e non aver capito quello che ha fatto, e in questo si esprime la dimensione inconscia.

Domanda: in che cosa Schelling esprime lo spirito e la sensibilità romantica della sua epoca? Fichte non esprime lo
spirito romantico per la considerazione che attribuisce alla natura, che viene presentata come un non-Io, un ostacolo che
si oppone a spontaneità creativa dell’Io. Schelling, al contrario di Fichte, nella Filosofia della natura afferma che la
natura è già spirito, e le attribuisce una spontaneità creativa. Nella filosofia dell’arte l’arte diventa la dimensione più alta
grazie alla qual sia possibile realizzare l’assoluto e cercare di giungere all’assoluto: è la dimensione estetica che diventa
primaria, e se nel caso di Fichte noi usiamo l’aggettivo “etico” a proposito suo idealismo, nel caso di Schelling
l’aggettivo da usare a proposito del suo idealismo è quello di “estetico”. Lo stesso Schelling parlava della sua filosofia
come ideale realismo, in cui c’è la compresenza/unità di ideale e reale: in questa fase l’idealismo trascendentale cerca di
sviluppare un percorso da come si passa da ideale a reale.

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