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I, 325-364
XXII, 320-377
320 Guardandolo dal basso Odisseo dalle molte astuzie gli disse:
«Se tu ti vanti di essere l’indovino di costoro,
molto allora devi aver pregato nelle sale
che lontana fosse la dolce fine del mio viaggio di ritorno
e che ti potesse seguire l’amata sposa e generare un figlio;
325 per questo non sfuggirai alla triste morte».
Quando ebbe detto queste cose sollevò con la mano robusta la spada
che giaceva a terra, che Agelao aveva fatto cadere dopo essere
morto, e gliela spinse nel mezzo del collo:
la sua testa cadde nella polvere mentre lui parlava.
330 Il cantore Terpiade schivava la nera morte,
Femio, che cantava perché costretto dai pretendenti;
stava in piedi, stringendo nelle mani la cetra dal suono acuto,
vicino alla porta soprelevata; era indeciso fra sé nella mente:
o, uscito dalla sala, avrebbe potuto sedere presso l’altare ben costruito
335 del recinto del grande Zeus, dove
Laerte e Odisseo bruciavano le ossa dei buoi;
o forse, gettandoglisi alle ginocchia, avrebbe potuto implorare Odisseo.
A quello, dopo averci riflettuto, sembrò più profittevole
gettarsi alle ginocchia di Odisseo figlio di Laerte.
340 Dunque egli pose a terra la cetra cava,
tra un cratere e il trono borchiato d’argento,
e, gettatosi alle ginocchia, cingeva Odisseo
e lo supplicava dicendogli parole alate:
«Ti supplico, Odisseo, abbi pietà di me e risparmiami!
345 Ne sarai addolorato dopo che avrai ucciso
un aedo, me, che canto per gli dei e per gli uomini!
Io ho imparato tutto da solo, ma un dio mi ha infuso
canti di ogni genere: cantare per te sembra a me
cantare per un dio: non desiderare dunque di tagliarmi la testa.
350 Infatti anche Telemaco, tuo figlio, potrebbe dirti queste cose,
che io né volontariamente né desiderando ciò,
frequentavo casa tua per cantare per i pretendenti dopo il banchetto,
ma loro, molti di più e più forti di me, mi conducevano a forza».
Dopo che ebbe detto queste cose, ascoltandolo la sacra potenza di Telemaco,
355 subito si rivolse al proprio padre che gli stava a fianco:
«Fermo, non colpire col bronzo costui che è innocente.
Salveremo anche l’araldo Medonte, che sempre
in casa nostra si prendeva cura di me, che ero un ragazzo,
se non l’ha ucciso Filezio il porcaro
360 o se non si è trovato contro di te, che ti battevi per la sala».
Dopo che ebbe detto queste cose, lo sentì Medonte capace di saggi pensieri:
essendo caduto giaceva sotto il trono, ben coperto da una
pelle di bue scorticato da poco, evitando la nera morte.
Subito sorse dal trono, spogliandosi della pelle di bue,
365 e gettandosi alle ginocchia di Telemaco lo cinse
e lo supplicava dicendogli parole alate:
«Oh caro, io sono qui, tu abbi pietà: chiedi a tuo padre
che, dal momento che è troppo forte, non ferisca me con il bronzo appuntito,
che sono stato irato con gli uomini pretendenti, i quali
370 saccheggiavano le ricchezze nelle sale e, sciocchi, non onoravano te».
Sorridendogli Odisseo dalle molte astuzie gli disse:
«Fatti coraggio: costui ti ha difeso e ti ha salvato,
affinché tu sappia nell’animo e lo dica a un altro
quanto migliore è il fare del bene piuttosto che il danneggiare.
375 Ma, uscendo dalla sala, sedete fuori dalle porte
nel cortile, lontano dalla strage – anche tu, aedo molto celebrato –
fin quando avrò terminato quello che c’è bisogno di fare nella sala».
VIII, 95
Qui si nascondeva a tutti gli altri, piangendo lacrime;
solo Alcinoo se ne accorse e lo capì,
95 poiché era al suo fianco, e lo udì che gemeva profondamente.
Cavalieri, 507-525
Nuvole, 545-550
545 Anch’io, pur essendo un uomo di questo genere, un poeta, non mi do delle arie,
né cerco d’ingannarvi mettendo in scena le stesse cose due o tre volte,
ma esercito l’arte sempre mettendo in scena idee originali,
per nulla simili a quelle degli altri e tutte argute:
io che percossi Cleone dritto sullo stomaco quando era il più grande
550 e non osai calpestarlo di nuovo quando era finito.
Poetica, 1448b
1448a [1] Questi dicono che i distretti si chiamino κώμας, gli ateniesi δήμους: come se fossero chiamati
attori comici non perché andavano in processione, ma perché viaggiavano in ogni villaggio, dal momento
che venivano rifiutati dalla città; e dicono che il poetare lo chiamino δρᾶν, mentre gli ateniesi lo
chiamino πράττειν.
1448b [20-21] Poiché per noi è secondo natura l’imitazione dell’armonia e del ritmo; infatti che i metri
siano sezioni dei ritmi è chiaro a tutti. Sin dall’inizio coloro che erano portati a queste cose soprattutto
procedendo per piccoli pezzi crearono la poesia da queste improvvisazioni.
1449a [10-13] Infatti il Margite ha un analogo: come l’Iliade e l’Odissea lo sono davanti alle tragedie, così
quello lo è davanti alle commedie. Dopo che la tragedia e la commedia erano venute alla luce coloro che
si dedicavano a ciascuna delle due arti divennero – secondo le diverse nature – gli uni commediografi
lasciando i giambi, gli altri maestri di tragedia lasciando l’epica, poiché questi generi erano migliori e più
stimati degli altri.
οὕτω νικήσαιμί τ᾽ἐγὼ καὶ νομιζοίμην σοφός, ὡς ὑμᾶς ἡγούμενος εἶναι θεατὰς δεξιοὺς καὶ ταύτην
σοφώτατ᾽ἔχειν τῶν ἐμῶν κωμῳδιῶν, πρώτους ἠξίωσ’ἀναγεῦσ’ὑμᾶς [ταύτην], ἣ παρέσχε μοι ἔργον
πλεῖστον.
Possa io vincere ed essere considerato saggio, io che ho ritenuto giusto che voi gustiate per primi questa
[commedia], la quale mi ha richiesto molta fatica, ritenendo che voi siete spettatori saggi e che [questa]
sia la più intelligente delle mie commedie.
150-165; 325-364