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ODISSEA I, 150-165

150 Ma poi ch’ebbero saziato la fame di cibo e bevande


i pretendenti, nella mente ebbero voglia di altre cose,
di canto e di danza, degni coronamenti del banchetto.
L’araldo pose una bellissima cetra nelle mani
di Femio, che cantava sotto costrizione presso i pretendenti.
155 Quello, toccando le corde, si mise a cantare con dolcezza,
ma Telemaco parlò verso Atena dagli occhi celesti,
tendendo la testa vicino a lei, perché gli altri non vedessero:
«Ospite cara, ti arrabbierai con me se ti dirò questa cosa?
Costoro si rallegrano di queste cose, della cetra e del canto,
160 senza problemi, dopo aver mangiato i beni di un altro, impuniti,
dell’uomo di cui le bianche ossa forse marciscono sotto la pioggia,
giacendo sulla terra, o forse mentre un’onda le agita nel mare.
Ma se sapessero che lui sta ritornando a Itaca,
tutti quanti pregherebbero di avere i piedi più agili,
165 piuttosto che essere ricchi d’oro e di vestiti.

I, 325-364

325 A questi l’inclito aedo cantava, mentre loro in silenzio


sedevano ad ascoltare: cantava il lacrimevole ritorno
degli Achei, che Pallade Atena aveva ordinato da Troia.
Di questo canto la figlia di Icaro, la saggia Penelope,
dalle stanze di sopra percepì nella mente l’amabile suono;
330 scese la lunga scala della casa,
non sola: la seguivano infatti due ancelle.
Raggiunse i pretendenti, divina tra le donne,
e stette in piedi vicino al solido pilastro della casa ben costruita,
mettendo davanti alle guance i veli sontuosi,
335 un’ancella fedele le stava al suo fianco, una per lato.
Mentre piangeva diceva all’aedo divino:
«Femio, tu conosci molte altre storie dei mortali,
gesta di uomini e di dei, che gli aedi rendono immortali:
sedendo vicino a loro, canta una di queste cose, mentre loro
340 bevono vino; ma cessa questo canto
luttuoso, che sempre mi provoca tristezza nel petto,
perché soprattutto mi provoca un dolore indicibile.
Infatti mi manca una persona, quando mi ricordo
dell’uomo la cui gloria è diffusa in tutta la Grecia fin nel mezzo di Argo».
345 Quando ebbe sentito queste cose il saggio Telemaco disse di rimando:
«Madre mia, perché hai in odio che l’ottimo aedo
ci intrattenga nel modo in cui la mente sua lo sollecita? Non sono infatti gli aedi
i responsabili, ma forse Zeus, che dispone
per gli uomini intraprendenti a ciascuno come gli pare.
350 Non sia dunque una colpa a costui il cantare il duro destino dei Danai:
gli uomini celebrano soprattutto quel canto
che suona nuovissimo agli ascoltatori.
Abbiano dunque il tuo cuore e il tuo animo il coraggio di ascoltare:
infatti non il solo Odisseo perse il giorno del ritorno
355 a Troia, ma molti altri vi persero la vita.
Ma, tornata in casa, dedicati alle tue faccende,
il telaio e la conocchia, e comanda alle ancelle
che facciano questo lavoro: questo racconto interessa a tutti
gli uomini e soprattutto a me, che ho il comando in casa».
360 Ella, stupita, tornò nuovamente in casa:
aveva accolto nell’animo le sagge parole di suo figlio.
Salita nelle stanze superiori con le ragazze, le ancelle,
piangeva per Odisseo, amato sposo, fino a quando il dolce
sonno non le infuse sugli occhi Atena dagli occhi azzurri.

XXII, 320-377

320 Guardandolo dal basso Odisseo dalle molte astuzie gli disse:
«Se tu ti vanti di essere l’indovino di costoro,
molto allora devi aver pregato nelle sale
che lontana fosse la dolce fine del mio viaggio di ritorno
e che ti potesse seguire l’amata sposa e generare un figlio;
325 per questo non sfuggirai alla triste morte».
Quando ebbe detto queste cose sollevò con la mano robusta la spada
che giaceva a terra, che Agelao aveva fatto cadere dopo essere
morto, e gliela spinse nel mezzo del collo:
la sua testa cadde nella polvere mentre lui parlava.
330 Il cantore Terpiade schivava la nera morte,
Femio, che cantava perché costretto dai pretendenti;
stava in piedi, stringendo nelle mani la cetra dal suono acuto,
vicino alla porta soprelevata; era indeciso fra sé nella mente:
o, uscito dalla sala, avrebbe potuto sedere presso l’altare ben costruito
335 del recinto del grande Zeus, dove
Laerte e Odisseo bruciavano le ossa dei buoi;
o forse, gettandoglisi alle ginocchia, avrebbe potuto implorare Odisseo.
A quello, dopo averci riflettuto, sembrò più profittevole
gettarsi alle ginocchia di Odisseo figlio di Laerte.
340 Dunque egli pose a terra la cetra cava,
tra un cratere e il trono borchiato d’argento,
e, gettatosi alle ginocchia, cingeva Odisseo
e lo supplicava dicendogli parole alate:
«Ti supplico, Odisseo, abbi pietà di me e risparmiami!
345 Ne sarai addolorato dopo che avrai ucciso
un aedo, me, che canto per gli dei e per gli uomini!
Io ho imparato tutto da solo, ma un dio mi ha infuso
canti di ogni genere: cantare per te sembra a me
cantare per un dio: non desiderare dunque di tagliarmi la testa.
350 Infatti anche Telemaco, tuo figlio, potrebbe dirti queste cose,
che io né volontariamente né desiderando ciò,
frequentavo casa tua per cantare per i pretendenti dopo il banchetto,
ma loro, molti di più e più forti di me, mi conducevano a forza».
Dopo che ebbe detto queste cose, ascoltandolo la sacra potenza di Telemaco,
355 subito si rivolse al proprio padre che gli stava a fianco:
«Fermo, non colpire col bronzo costui che è innocente.
Salveremo anche l’araldo Medonte, che sempre
in casa nostra si prendeva cura di me, che ero un ragazzo,
se non l’ha ucciso Filezio il porcaro
360 o se non si è trovato contro di te, che ti battevi per la sala».
Dopo che ebbe detto queste cose, lo sentì Medonte capace di saggi pensieri:
essendo caduto giaceva sotto il trono, ben coperto da una
pelle di bue scorticato da poco, evitando la nera morte.
Subito sorse dal trono, spogliandosi della pelle di bue,
365 e gettandosi alle ginocchia di Telemaco lo cinse
e lo supplicava dicendogli parole alate:
«Oh caro, io sono qui, tu abbi pietà: chiedi a tuo padre
che, dal momento che è troppo forte, non ferisca me con il bronzo appuntito,
che sono stato irato con gli uomini pretendenti, i quali
370 saccheggiavano le ricchezze nelle sale e, sciocchi, non onoravano te».
Sorridendogli Odisseo dalle molte astuzie gli disse:
«Fatti coraggio: costui ti ha difeso e ti ha salvato,
affinché tu sappia nell’animo e lo dica a un altro
quanto migliore è il fare del bene piuttosto che il danneggiare.
375 Ma, uscendo dalla sala, sedete fuori dalle porte
nel cortile, lontano dalla strage – anche tu, aedo molto celebrato –
fin quando avrò terminato quello che c’è bisogno di fare nella sala».

VIII, 48-52 (25-95)

Quando ebbe detto queste cose si mise alla testa, lo seguivano


i portatori dello scettro; un araldo seguiva il cantore divino.
Cinquantadue giovani scelti andarono
– come aveva ordinato – sulla riva del mare instabile.

VIII, 95
Qui si nascondeva a tutti gli altri, piangendo lacrime;
solo Alcinoo se ne accorse e lo capì,
95 poiché era al suo fianco, e lo udì che gemeva profondamente.

VIII, 235-243 (235-271)

235 «Alcinoo solo, in risposta, gli disse di rimando:


“Straniero, dal momento che tra di noi dici cose non essendo ingrato
ma vuoi mostrare l’abilità che ti segue,
dato che sei adirato perché quest’uomo ti ha insultato
essendo impegnato in una gara, come nessuno potrebbe disapprovare la tua virtù,
240 uno che sappia dire cose appropriate nella sua mente;
ma orsù, ascolta la mia parola, cosicché tu possa
dirlo a un altro degli eroi, qualora ritornassi nelle tue sale,
festeggiassi con tua moglie o con i tuoi figli,
essendo memore della nostra virtù, e presso quali occupazioni Zeus
245 ci dispone continuamente fin dai padri”.»

XVII, 384-391 (369-395)

«”L’indovino, colui che libera dai mali o il fabbricante delle lance,


385 oppure anche il divino cantore, che possa rallegrare col canto.
Questi infatti sono ben accolti tra i mortali, sulla terra infinita:
ma nessuno chiamerebbe mai un poveraccio che lo rovini.
Ma tu sei sempre odioso, tra tutti i pretendenti,
ai servi di Odisseo e soprattutto a me: tuttavia io
390 non mi preoccupo, fintantoché vive la saggia Penelope
tra queste sale e Telemaco simile a un dio”.»

XIX, 141-145 (106-163)

«”Giovani pretendenti, dal momento che è morto il divino Odisseo,


aspettate ad affrettare il mio matrimonio fino a quando non porterò
a termine la tela, affinché non si disfacciano i fili,
sudario per l’eroe Laerte, fino a quando
145 il destino funesto della morte dolorosa non lo abbia abbattuto”.»

Cavalieri, 507-525

Se infatti un qualche uomo di quelli antichi, un poeta comico, ci


avesse costretti ad andare in teatro per dire le sue parole,
non avrebbe ottenuto ciò facilmente: ora questo poeta è degno
510 perché odia quelli che odiamo noi e osa dire le cose giuste
e marcia coraggiosamente contro Tifeo o una bufera.
Quelle cose che dice – che molti di voi, andando da lui, si meravigliavano
e lo tormentavano perché tempo prima non aveva chiesto un coro tutto per sé –
queste cose ci ha chiesto di spiegarle. L’uomo dice infatti che
515 non indugiava avendo subito questo dall’ignoranza, ma ritenendo
che l’arte di fare commedia fosse il lavoro più duro di tutti:
infatti, tra molti che la tentavano, essa si concedeva a pochi.
E conoscendo da tempo come voi siate mutevoli per natura di anno in anno
e che i primi dei poeti li avete traditi insieme alla vecchiaia
520 sapendo dunque quello che Magnete subì mentre i capelli gli diventavano
bianchi, lui che piantò i più numerosi trofei della vittoria sui cori avversari:
pur avendo emesso ogni genere di suoni, avendo suonato la lira, battuto le ali,
imitato i Lidi, introdotto i moscerini, dopo essersi dipinto di verde
non era sufficiente; ma, essendo arrivato alla vecchiaia (non certo in giovinezza),
525 fu cacciato pur essendo anziano poiché era rimasto privo di trovate comiche.

Nuvole, 518-525 OTTATIVO PRESENTE VS AORISTO

O spettatori, vi racconterò liberamente


la verità, per Dioniso che mi ha allevato.
520 Possa io vincere ed essere considerato saggio,
poiché, ritenendo che voi siate spettatori degni e
che questa, tra le mie commedie, abbia i concetti più profondi,
ho ritenuto giusto che voi la riassaggiaste per primi, lei che
mi ha dato molti problemi: allora battevo in ritirata
525 sconfitto da uomini rozzi, pur non essendo giusto.

Nuvole, 545-550

545 Anch’io, pur essendo un uomo di questo genere, un poeta, non mi do delle arie,
né cerco d’ingannarvi mettendo in scena le stesse cose due o tre volte,
ma esercito l’arte sempre mettendo in scena idee originali,
per nulla simili a quelle degli altri e tutte argute:
io che percossi Cleone dritto sullo stomaco quando era il più grande
550 e non osai calpestarlo di nuovo quando era finito.

Poetica, 1448b

1448a [1] Questi dicono che i distretti si chiamino κώμας, gli ateniesi δήμους: come se fossero chiamati
attori comici non perché andavano in processione, ma perché viaggiavano in ogni villaggio, dal momento
che venivano rifiutati dalla città; e dicono che il poetare lo chiamino δρᾶν, mentre gli ateniesi lo
chiamino πράττειν.

1448b [20-21] Poiché per noi è secondo natura l’imitazione dell’armonia e del ritmo; infatti che i metri
siano sezioni dei ritmi è chiaro a tutti. Sin dall’inizio coloro che erano portati a queste cose soprattutto
procedendo per piccoli pezzi crearono la poesia da queste improvvisazioni.
1449a [10-13] Infatti il Margite ha un analogo: come l’Iliade e l’Odissea lo sono davanti alle tragedie, così
quello lo è davanti alle commedie. Dopo che la tragedia e la commedia erano venute alla luce coloro che
si dedicavano a ciascuna delle due arti divennero – secondo le diverse nature – gli uni commediografi
lasciando i giambi, gli altri maestri di tragedia lasciando l’epica, poiché questi generi erano migliori e più
stimati degli altri.

οὕτω νικήσαιμί τ᾽ἐγὼ καὶ νομιζοίμην σοφός, ὡς ὑμᾶς ἡγούμενος εἶναι θεατὰς δεξιοὺς καὶ ταύτην
σοφώτατ᾽ἔχειν τῶν ἐμῶν κωμῳδιῶν, πρώτους ἠξίωσ’ἀναγεῦσ’ὑμᾶς [ταύτην], ἣ παρέσχε μοι ἔργον
πλεῖστον.

Possa io vincere ed essere considerato saggio, io che ho ritenuto giusto che voi gustiate per primi questa
[commedia], la quale mi ha richiesto molta fatica, ritenendo che voi siete spettatori saggi e che [questa]
sia la più intelligente delle mie commedie.

150-165; 325-364

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