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21 – XI – 2020

MARLENE DIETRICH

Costruì una maschera e inseguì per tutta la vita l’immagine di se stessa, la sua icona creata ad
Hollywood e dalla quale non riuscì mai a liberarsi. È in qualche modo vittima di se stessa, vittima di
un personaggio che è n’ombra sullo schermo. Capire questa cosa è importante perché portò alla sua
stessa distruzione interna. Marlene ha convissuto con la sua immagine che è rimasta in qualche
modo statica e che ha cercato di riproporre fino alle sue ultime esibizioni fino agli anni 70.

1901 – 1992, con un ritiro dalle scene intorno al 1972 (uno degli ultimi concerti, quelle che
seguirono furono solo apparizioni). Fu sempre attenta al controllo della propria immagine, e ciò
portò alla sua depressione, al ritiro e alla morte in completa solitudine (un cocktail di farmaci).
Muore americana ma nasce tedesca (berlinese) e cresce in anni turbolenti.

1901: piena età guglielmina, attraversa adolescente il primo conflitto mondiale (per la Germania
distruttivo) e vive ormai adulta nei ruggenti anni 20 di Berlino.

Anni 20 a Berlino: è come essere in piena belle epoque a Parigi. È un cambio di volta decisivo,
come se Parigi consegnasse il testimone a Berlino come capitale della cultura. Com’è possibile
dopo la sconfitta della prima guerra mondiale, così distruttiva? È proprio per la ricostruzione che
segue, grazie a una possibilità di rinnovarsi e grazie all’influenza della cultura e dell’appoggio
americano. Si crea un grande sottobosco artistico effervescente ed eversivo (eversività però che
nasce in clima repubblicano).

C’è una grande ventata di novità. Nascono nuovi generi legati alla rivista, all’intrattenimento (molto
sofisticato e che può essere di satira o comico) in determinati quartieri della città.

Genere della rivista: Genere di spettacolo misto di musica, danza e prosa, legato da un sottile filo
conduttore che offre il pretesto per una serie di quadri o scenette, d’intonazione comica o ironica,
ispirati all’attualità. Le vere protagoniste erano le soubrette. Rivista è un termine militare e si
chiama così perché uno dei momenti principali era la sfilata del corpo di ballo femminile (veniva
passato in rivista come veniva passato in rivista l’esercito). Spesso le ballerine si disponevano
proprio in fila ed erano tutte vestite uguali, come se fossero intercambiabili e creavano un effetto di
riproduzione e moltiplicazione che stordiva lo spettatore. C’è l’idea della produzione in fabbrica.

Questo genere riscuote un gran successo nella Germania degli anni 20. Marlene riscuote tantissimo
successo. I teatri che proponevano le riviste erano estremamente liberi e libertini, si può dire
promiscui. Questo si riflette anche negli artisti, poiché c’era una grande fluidità nello scambio dei
generi (grande importanza data al travestimento). Marlene stessa era molto disinibita nello
scambiarsi di generi, non solo per le sue tendenze sessuali. Inizia a diventare uno dei nomi più
diffusi nei cartelloni del tempo.

Marlene approda alla rivista con una formazione musicale (studi di violino), ma è costretta ad essere
allontanata dalla scuola; inizia una carriera da attrice ma viene inizialmente scartata dalle varie
compagnie.

Ebbe come maestra di canto una personalità nota al tempo: Claire Waldoff, a cui Marlene deve
alcuni attributi sulla voce e lo stile (e poi intrattenne una relazione con Marlene). Claire era una
delle attrici della rivista ed era responsabile di uno stile esecutivo, cioè il soffiato (il sussurrato).
Lo stile prevedeva il riuscire a sospirare le parole, come se venissero aspirate. La voce era quindi
trasognata e soave.

Dietrich negli anni 20 si avvia alla pratica del palcoscenico come attrice e soubrette. È con Margo
Lion una delle protagoniste di una fortunatissima rivista chiamata Due cravatte, dove interpreta
anche un uomo e quindi gioca sull’identità di genere e sui travestimenti.

La sua fama però è ancora ristretta all’ambito berlinese e quindi è poco ampio il bacino di
riferimento.

1929: occasione della vita. Lei è già sposata con un produttore di cinema (che sarà poi il padre dei
suoi figli, nonostante i continui tradimenti), ma in quell’anno arriva a Berlino un regista famoso di
origine austriaca ma che già lavorava a Hollywood (Josef von Sternberg) alla ricerca di una
protagonista femminile per il suo nuovo progetto. Egli la va a cercare nel teatro di rivista berlinese,
poiché la sua protagonista era un’artista di rivista e varietà. Necessitava quindi una certa
congruenza. Inoltre il soggetto era tedesco e quindi gli serviva un’attrice tedesca.

Si viene a sapere dell’arrivo di questo grande regista e c’è una grande agitazione. Il marito di
Dietrich (che era stato regista e ora era produttore) suggerisce alla moglie l’atteggiamento di non
mettersi in mostra, perché tutte le altre saranno sopra le righe per attirare le attenzioni di Sternberg.
Lei avrebbe dovuto mostrarsi con una sorta di naturalezza e sfacciatezza senza mettersi in mostra.
Così avviene perché Sternberg la notò subito per questa stranietà e le chiede un provino (che
abbiamo perché è stato conservato).

Cf. video del provino: grande sfacciataggine e goffaggine (consapevole e costruita, di cui gestisce
gli effetti perché è un continuo gioco di contrasti).
LOLA LOLA nell’Angelo azzurro, una delle pellicole più famose (a livello mondiale e della storia
del cinema). Ha lanciato Marlene Dietrich e Lola Lola è proprio un personaggio così.

Il film prende le mosse da un libro di Heinrich Mann (Il professor Unrat o la fine di un tiranno,
1905). Angelo azzurro è il nome di un locale notturno dove si esibisce la soubrette Lola Lola (un
locale in cui si mangia, beve e si fa spettacolo). Lola Lola incarna perfettamente questo nome di
angelo azzurro, per questa immagine così seducente e ideale.

Il professor Unrat è un insegnate di inglese che si reca nel locale per proibire le rappresentazioni,
ma si innamora di Lola Lola al punto di volerla sposare e seguirla con la sua compagnia. Ci saranno
inconvenienti perché Lola Lola non è quell’angelo che sembrava, ma è un’artista che per la vita che
fa è effimera e fugace e abbandonando tutto si troverà coinvolto in vicende che arriveranno a un
tragico finale.

Nel film la staffetta passa a Lola Lola, poiché è lei il fulcro (non il professore come nel romanzo).
Marlene riproduce tutti gli elementi che conosce per questo personaggio. Il regista lavora su tratti di
erotismo crudele.

Emil Jannings: interpreta il professor Unrat ed è un attore molto noto. Egli è un attore di film muto
ma che poteva anche essere una garanzia per la diffusione e il successo del film.

Le caratteristiche di Marlene sono sempre quelle: una grande scioltezza con cui entra nella canzone
e ne esce. Ciò fa da contorno a quello che accade attorno: il pubblico guarda lo spettacolo e intanto
ordina da mangiare ad alta voce, i cambi scena a vista, i camerieri che fanno rumore, i riflettori in
scena affinché vengano azionati a vista. L’ambiente è incongruente, è tutto anti illusionistico.
Questo agevola Dietrich ad entrare e uscire dal suo personaggio, e ciò la rende interessante.

Il professor Unrat viene intrappolato nella rete della finzione e ne rimane invischiato: è nella cipria,
nei lustrini che si incatena, in tuta l’apparenza che ha di fronte. Dietrich ci fa vedere queste facce in
contrasto: l’illusione e la disillusione.

In seguito al successo ottenuto con l’Angelo azzurro, la Dietrich si trasferisce in America e lavorerà
con Sternberg e la Paramount. Sternberg lavorerà su di lei per renderla un soggetto cinematografico
e lavorerà su alcuni elementi che vengono valorizzati cinematograficamente e marchieranno in
modo indelebile la Dietrich proprio nel modo in cui lotterà con la sua immagine.

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