diretta tutto ciò che comporta, per ragioni riconducibi- sigliere nazionale di parità possono di propria iniziativa

li al sesso, un trattamento meno favorevole rispetto a
quello di un’altra persona in situazione analoga. Si ha
discriminazione indiretta, invece, quando una persona
è messa in condizioni di svantaggio rispetto ad altra di
sesso diverso, da norme, prassi, criteri, atti o compor-
tamenti, apparentemente neutri. Ai fini della tutela in
esame è inoltre definito discriminatorio, ogni trattamen-
to meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza,
nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero
in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi dirit-
ti. Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
è istituito il Comitato nazionale per l’attuazione dei prin-
cipi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportu-
nità fra lavoratori e lavoratrici. La consigliera o il con-
svolgere inchieste indipendenti in materia di discrimi-
nazioni sul lavoro, anche di concerto con le consigliere
o i consiglieri di parità provinciali e regionali, che oltre
a potersi costituire in giudizio, ovvero intervenire nei
giudizi promossi contro l’esistenza di atti, patti o com-
portamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere
collettivo, possono altresì ricorrere innanzi al tribunale
in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sotto-
posti alla sua giurisdizione, al tribunale amministrativo
regionale territorialmente competenti, su delega della
persona interessata. La loro presenza alleggerisce gli
oneri probatori di chi invoca la tutela, ponendo a carico
del datore di lavoro l’onere di provare l’inesistenza della
discriminazione. •

Alle signore si cede

sempre il passo…
anche in uscita!
di Stefano Beretta e Marina Olgiati*

N
on è discriminatorio il licenzia-
mento di lavoratrici donne, il
cui rapporto di lavoro è stato
risolto all’esito di procedure di ridu-
zione del personale ex art. 4 legge n.
223/1991, in applicazione del criterio
di scelta della prossimità alla pensio-
ne, pattuito in un accordo sindacale.
Così ha deciso recentemente la Cor-
te d’Appello di Firenze (14 gennaio
2011), confermando la sentenza del
Tribunale, che aveva rigettato l’azione
promossa dalla Consigliera di Parità,
Rabidbadger

la quale sosteneva che il criterio so-

pra indicato fosse discriminatorio per
ragioni di genere, non rispettando il
principio di parità di trattamento uomo-donna, tenuto
conto della diversa età pensionabile (60 anni per le
donne, 65 anni per gli uomini). Secondo la Consigliera,
le lavoratrici non sarebbero state licenziate se … non
fossero state donne.
I Giudici hanno osservato che il criterio basato sulla
maggiore prossimità del diritto a pensione è stato giu-
dicato legittimo dalla Corte Costituzionale e, da ultimo,
anche dalla Corte di Giustizia CE e hanno affermato
che non è discriminatorio a danno delle donne, perché
è la legge che stabilisce, in maniera differenziata per
uomini e donne, i requisiti di età per il conseguimento
della pensione di vecchiaia. Detta legge è stata più vol-
te ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale, che ha
escluso che essa violi il principio di uguaglianza; anzi
la Corte ha rinvenuto in detta normativa un trattamento
di favore accordato alle lavoratrici.
Quindi la posizione della donna licenziata nell’ambi-
to di procedure collettive, perché in possesso dell’età
pensionabile, deve essere valutata non in relazione a
quella degli uomini nella stessa situazione, ma a quel-
la delle altre donne e degli altri uomini che, non po-
tendo accedere alla pensione per ragioni anagrafiche,
riceverebbero dal licenziamento danni ben maggiori.
Per i Giudici, dunque, è equo il criterio che consente
di collocare in mobilità una donna più giovane, ma che
può accedere alla pensione, rispetto ad un uomo più
anziano, non pensionabile. •
*Partners, Trifirò & Partners-Avvocati