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Riassunto
Tra due corde di diverso diametro, costruite allo stesso modo e sottoposte alla stessa
tensione quella più sottile si allungherà molto di più di quella più grossa perché il carico insistente
sulla sezione unitaria è maggiore.
Nel budello in particolare il cedimento longitudinale è suddiviso in cedimento recuperabile e
cedimento non recuperabile: in pratica una corda nuova che ha subito una prima messa in tensione
una volta posta a riposo non recupera più completamente la sua lunghezza di partenza. Mano a
mano che la corda si allunga a causa di una tensione crescente (l’eccedenza sarà quella che si
avvolgerà intorno al pirolo) il suo diametro si andrà via via a ridurre. Ebbene la riduzione di
diametro comporterà anche un contestuale calo della tensione di lavoro (diametro e tensione sono
infatti direttamente proporzionali)
Come si è detto le corde che occupano la posizione di cantino (a causa della maggior trazione per
sezione unitaria) sono quelle che diminuiscono in maggior percentuale rispetto alle altre e così in
progressione mano a mano che ci si sposta verso quelle più grosse (a tutti infatti è noto che
servono molti più giri di pirolo per il cantino che per la terza corda di un Violino)
Ne consegue pertanto che anche le rispettive tensioni di lavoro (che erano state stabilite in partenza
da calcolo teorico come identiche), in stato di intonazione finale non saranno più eguali ma
prenderanno un nuovo assetto che sarà ora di tipo scalare: le corde di cantino saranno quelle, fra
tutte, che avranno la minor tensione di lavoro.
Ma, se la tensione delle corde in stato di intonazione si differenzia ecco allora che anche il ‘feel’
tra le corde non potrà più essere il medesimo. Si avrà di conseguenza un profilo tattile non più
omogeneo ma scalare: il cantino sarà al tatto più molle mentre con le corde che occupano le
posizioni più gravi si avrà bisogno di una maggior pressione da parte delle dita.
A questo punto però l’equazione equl feel = equal tension non risulta più valida.
Conclusione: una montatura in eguale tensione non può essere considerata una montatura storica:
sottolineiamo ancora una volta come i trattati per Liuto del Seicento condannino in maniera
piuttosto netta una montatura che presenti un feel disomogeneo. (op. cit 8)
Verifica sperimentale
Per mezzo di un Violino (ma va altrettanto bene una Chitarra o un Liuto) abbiamo sottoposto a test
due corde di budello calcolate in modo da avere entrambe la stessa tensione (8,3 Kg al corista di
440 Hz) all’ intonazione richiesta (‘mi’ e ‘re’, nel nostro caso). La lunghezza vibrante è
naturalmente la stessa per entrambe (33 cm).
I diametri da noi utilizzati sono i seguenti: 0,65 mm per il ‘mi’ e 1,45 mm per il ‘re’ misurati a
‘riposo’, cioè non in tensione. La corda più sottile presentava una cosiddetta ‘media’ torsione (45°
gradi circa) mentre la più grossa era in ‘alta’ torsione. (<60°). Una volta accordate e stabilizzate si è
proceduto poi alla verifica, mediante micrometro, dei loro diametri: i calibri si sono così ridotti a
0,62 mm per il ‘mi’ mentre per il ‘re’ non si è riscontrato un calo strumentalmente apprezzabile. La
corda sottile ha pertanto manifestato una riduzione di diametro del 5% (0,62/0,65 mm). Per quanto
riguarda il Re esso è stato considerato praticamente invariato(<0,1%) nonostante il suo grado di
torsione (e quindi di elasticità) sia nettamente superiore a quello del cantino. Si sottolinea il fatto
che tali misure derivano da un singolo test sperimentale: corde realizzate in modo diverso dai
campioni da noi esaminati potranno fornire percentuali di riduzione differenti. Nel nostro caso la
tensione delle corde sottese sullo strumento si è ridotta a 7,6 Kg per il ‘mi’ e 8,3 Kg per il ‘re’
rispetto al valore di tensione teorica usata per i calcoli e pari a 8,3 Kg . Al fine di avere un ‘mi’ e
un ‘sol’ che in stato di intonazione conservino gli kg occorrerà quindi incrementare il diametro
iniziale del solo ‘mi’ (si ricorda che il ‘re’ è praticamente variato) del 5%. In stato di intonazione
questo extra si andrà poi a perdere. In conclusione servirà un diametro ‘in busta’ di 0,68 mm
mentre il ‘re’ deve rimanere ancora pari a 1,45 mm.
Ricavando le tensioni in questa seconda coppia di corde allo stato di riposo si ha pertanto un
andamento scalare della tensione: 9.2 Kg per il ‘mi’ e 8,3 Kg per la corda di ‘re’.
Non è purtroppo possibile determinare per mezzo di calcolo matematico di quanto una corda andrà
a ridurre il suo diametro sotto carico essendo questo parametro la risultante di diverse variabili
specifiche funzione del sistema con cui essa è stata costruita; l’unico valido metodo è dunque quello
sperimentale partendo da una montatura di cui sono noti i calibri , a patto che la tipologia di corde
rimanga poi la medesima.
Riassunto
L’esperimento evidenzia che i calibri di 0,65 e 1,45 mm in eguale tensione) in stato di intonazione
si riconvertono producendo una certa scolarità nella tensione di lavoro e di conseguenza una
disomogeneità anche nel feel tattile. Impiegando invece un diametro compensatorio di 0,68 mm e
ancora di 1,45 mm (secondo un profilo ‘a riposo’ di tensione scalare) le tensioni di lavoro andranno
poi a ridisporsi in modo tale da portare infine all’auspicata eguale tensione, ovvero eguale
sensazione tattile.
Volendo una montatura in equal feel secondo il criterio storico si rende dunque necessario partire
da una scelta di diametri di corda ‘in busta’ calcolati secondo un profilo scalare.
Quanto sin qui espresso va finalmente a dare una spiegazione della relazione che intercorre tra il
feel e la tensione di lavoro. Esso si può applicare tranquillamente alla famiglia del Liuto e degli
strumenti a pizzico, ma che dire degli strumenti ad arco?
Il Cinquecento
Non ci risulta alcun documento (che non sia a carattere esenzialmente speculativo) che tratti del
profilo di tensione di uno strumento ad arco nella pratica quotidiana dei musicisti coevi e della zona
in cui il suo autore visse.
Per contro possediamo le misure dei fori delle cordiere di due Viole da Braccio presenti
all’Ashmolean Museum di Oxford (sappiamo che questi strumenti furono rimanicati). Le nostre
misure del 2008 hanno evidenziato che il foro per la quarta corda della cordiera considerata
originale di una delle Viola di Andrea Amati ‘Charles IX’ costruita intorno al 1570 è di 2.3 mm
soltanto: che spiegazione plausibile possiamo fornire a questa evidenza diretta? Considerando
infatti un supposto corista veneziano di 465 Hz alla lunghezza vibrante di 36 cm, con un diametro
di corda pari al 90% del foro passante (2,1 mm circa ) per una nota Do 4a si ottiene un valore di
tensione pari a 4,6 Kg soltanto (il range di tensione di lavoro di una viola da braccio odierna in
eguale tensione è intorno al doppio per un diametro prossimo a 3,0 mm di corda). In questo periodo
storico secondo alcuni ricercatori (op. cit. 2) non erano ancora entrati in uso i bassi realizzati con
intreccio a gomena: dal punto di vista acustico questo rende le cose ancora più difficili.
Il Seicento
Mersenne (Harmonie Universelle, 1636) (12): il concetto di eguale tensione emerge come
principio teorico là dove egli esplica la relazione matematica esistente tra diametro, lunghezza
vibrante, densità della corda e sua tensione di lavoro. Mersenne fu infatti il primo a mettere in
relazione tra loro questi parametri andando ad enunciare per la prima volta la legge poi definita
‘Mersenne/Tayler’.
Egli prese però come base per i suoi calcoli soltanto gli strumenti a tastiera (che sono diversi, nel
principio meccanico che porta alla produzione del suono, dagli archi). In un altro noto esempio egli
prende il Liuto come modello illustrando ancora una volta la proporzione inversa esistente tra il
diametro e la frequenza (a parità di tensione e lunghezza vibrante e peso specifico del materiale).
Mersenne in un altro capitolo aggiunse sconsolato che ben pochi ai suoi giorni seguiva nella
pratica quotidiana quanto da lui esplicitato. Questo non è certo un dettaglio da trascurare perché sta
a significare che l’eguale tensione probabilmente non fu, nella quotidianità del suo tempo, una
pratica correntemente seguita. (13)
Atthanasius Kircher (1650): Nel “Preludium1” Kircher fornisce il numero di budelli necessari per
realizzare le corde da Violone romano: “ Est hic Romae Chelys maior, quàm Violone vulgò vocant
pentachorda, cuius maior chorda consesta est ex 200 intestinis. Secunda ex 180. Tertia ex 100.
Quarta ex 50. Quinta denique ex 30. (14)
Questi dati sono molto interessanti perché definiscono in ‘presa diretta’ il numero di budelli da
impiegare per realizzare le corde di questo grosso strumento; esse furono certamente indicati a
Kircher dai cordai romani (Kircher risiedeva infatti a Roma), i quali furono i più attivi d’Europa.
Il nostro fine è di verificare il profilo di tensione per cui non è importante conoscere esattamente il
tipo di budello utilizzato ma ritenere soltanto che tutte le corde siano state tutte costituite a partire
dallo stesso tipo di materiale. Ipotizzando ad esempio che con tre budelli interi di agnello di circa 8
mesi di età si ottenga un diametro medio di 0,70 mm allora per semplice proporzione si ricava
quanto segue:
1: 2,21 mm (30 budelli)
2: 2,85 mm (50 budelli)
3: 4,04 mm (100 budelli)
4: 5,42 mm (180 budelli)
5: 5,71 mm (200 budelli)
L’autore precisa fortunatamente che il Chelys Maior è accordato: E cantino, A, DD, GG grave. La
differenza tra il numero di budelli tra quarta e la quinta corda fa presagire che vi sia un solo
intervallo di distanza: FF grave dunque.
Il caso Di Colco può indurre con facilità ad una certa confusione interpretativa. Si è tentati infatti
di concludere che si trattino di montature in eguale tensione secondo l’usanza moderna; vale a dire
come se i diametri fossero stati ricavati a partire da un calcolo su corde in busta (non in trazione)
Le cose sono però diverse: il test indicato da Di Colco si svolge sì a regime di pesi eguali (cioè
una reale eguale tensione) ma in una condizione completamente differente da quell’eguale
tensione come propugnata oggigiorno. L’eguale tensione di oggi è quella che ricava i diametri di
corda non allo stato di trazione (le cui conseguenze sono già state esaminate in precedenza)
mentre nel caso di Di Colco le corde sono fattivamente già in stato di intonazione, vale a dire che
hanno già subito il processo di allungamento dovuto alla tensione imposta dai pesi.
Essendo quindi questa una situazione di eguale tensione dinamica (il peso rimane sempre lo stesso
anche se le corde si allungano) ecco allora che le corde manifestano una condizione non di eguale
tensione secondo il criterio moderno ma di equal feel.
Il metodo suggerito da Di Colco realizza in altre parole quanto da noi sopra indicato seguendo però
un percorso inverso. E’ evidente che le corde risultate poi adatte ai fini dell’accordatura per quinte
avrebbero presentato diametri in busta che riconducono ad un profilo di tensione moderatamente
scalare, esattamente come gli altri casi descritti. Messe in trazione esse si allungheranno in
maniera diversificata fino a disporsi tutte con la medesima tensione di lavoro (data dal medesimo
peso agente).
La montatura di Di Colco in altre parole è in realtà una montatura che obbliga ad una scelta di corde
di partenza che in base ai calcoli attuali porta ad un profilo di tensione moderatamente scalare il
quale andrà poi a manifestare l’equal feel tattile (e quindi l’eguale tensione in stato di intonazione).
Resta da capire, come nel caso di Mersenne, se quanto dimostrato teoricamente da Di Colco fu poi
effettivamente la pratica quotidiana dei musicisti a lui contemporanei. Di questo altre fonti
storiche in nostro possesso non riportano purtroppo nulla di utile. Risulta difficile pensare che i
musicisti del tempo siano stati tutti provvisti di un marchingegno come quello utilizzato dal Di
Colco per la sua interessante dimostrazione.
Indagine iconografica
L’esame delle fonti iconografiche del XVI e XVII secolo possono fornire interessanti indicazioni
generali circa il profilo dei tensione degli strumenti musicali ad arco rappresentati, a patto che esse
siano realizzate con determinati criteri di ‘veridicità’. Fortunatamente in un profilo in eguale
tensione la differenza di diametro tra la prima e l’ultima corda grave risulta notevolmente marcato,
tale cioè da essere facilmente percepibile ‘a vista’.
Tuttavia, nella galleria di immagini che proponiamo la maggior parte degli esempi si discostano
non solo da quello che potrebbe riferirsi ad un profilo di eguale tensione ma, in alcuni casi, anche a
quello che potrebbe richiamare un eguale feel tattile.
Pochi in verità sono gli esempi iconografici dove è possibile riscontrare uno scarto interessante tra il
diametro apparente della prima corda rispetto all’ultima più grave:
Immagini in cui la differenza di diametro tra il cantino e la quarta corda risulta maggiormente
evidente
Nonostante si stia trattando di immagini dipinte e non di fotografie, quello che si osserva
nell’iconografia Seicentesca (soprattutto in quella che riserva una grande attenzione nella
riproduzione della realtà) disegna un quadro in cui le spiegazioni possibili vanno più in direzione di
un profilo di tensione scalare che di eguale tensione, a cui si aggiunge la possibilità che le corde dei
registri gravi siano rappresentate così sottili non solo a causa di un particolare profilo di tensione ma
forse anche per alcuni specifici aspetti costruttivi delle stesse (appesantimento del budello?).
Non conosciamo i motivi che hanno condotto i violinisti del tempo a tale scelta, a meno che questo
aspetto non facesse già parte della pratica quotidiana del Cinque-Seicento (vedere l’aspetto
iconografico e le misure dei fori delle cordiere delle Viole Amati). Non riusciamo infatti ad
intravedere alcuna logica che possa giustificare l’abbandono di un eventuale profilo in equal feel
tattile per adottare una tensione così decisamente scalare.
L’adozione delle corde rivestite non rende infatti necessaria questa modifica.
Ecco ora alcuni documenti del XVIII secolo con chiare indicazioni circa la
tensione scalare
1) Ricetta manoscritta (probabilmente inizi sec XVIII): il numero di budelli suggerito per
realizzare le tre corde superiori del Violino porta ad un profilo fortemente scalare della tensione
(16).
2) De Lande (1765-6): egli riportò informazioni molto interessanti sull’attività dei più valenti
cordai abruzzesi -Angelo e Domenico Antonio Angelucci -quest’ultimo morto nel 1765 e che,
verso la prima metà del XVIII secolo, possedevano la più importante fabbrica di corde di Napoli,
la quale annoverava più di un centinaio di operai. In questo documento si apprende che per
fabbricare la prima corda del violino sono necessari tre budelli interi di agnello di otto/nove mesi
d’età, mentre l’ultima (cioè l’ultima intesa quella di solo budello e quindi il ‘re’, non certo la
quarta che è, come poi vedremo, filata) ne prende sette. La quarta corda risulta essere rivestita.
(17)
3) Conte Riccati (1767): il Conte non formula alcuna nuova teoria nei riguardi del profilo di
tensione rispetto al passato come alcuni studiosi avanzano. (18) Egli introdusse semplicemente una
spiegazione matematica che andasse a giustificare il perché della scalarità della tensione delle
comuni corde commerciali che egli ritrova sul suo violino. Il libro del Riccati fu cominciato intorno
al 1740: dunque commercialmente parlando le corde per violino presenti sul mercato italiano verso
la prima metà del XVIII secolo manifestavano un profilo di tensione di tipo marcatamente scalare
(p.130):
‘Colle bilancette dell’oro pesai tre porzioni egualmente lunghe piedi 1 ½ Veneziani delle tre
corde del Violino, che si chiamano il tenore, il canto e il cantino. Tralasciai d’indagare il peso
della corda più grave; perchè questa non è come l’altre di sola minugia, ma suole circondarsi con
un sottil filo di rame’. Se si considera un peso specifico medio del budello pari a 1,3
gr/cm3 risultano rispettivamente 0,70; 0,91; 1,10 mm di diametro per il “mi”; per il “la” e per il
“re”.(19).
4) Donato Vincenti (1785): I totale dei dati forniti da questo cordaio nei riguardi del numero di
budelli da utilizzare per realizzare le tre corde superiori del Violino conducono tutti ad un profilo di
tensione fortemente scalare. Per intenderci, della stessa natura di quelli indicati dal De Lalande.
(20)
•••
Alcuni ricercatori ritengono che nel XVIII secolo e inizi del XIX vi sia stata una coesistenza del
profilo in eguale tensione (noi preferiamo identificarlo nell’equal feel) e di quello fortemente
scalare. Questo punto di vista risulta a nostro avviso storicamente poco sostenibile. (op. cit. 2).
Esaminiamo ora in maniera dettagliata le fonti che sono state ritenute prove
della coesistenza del profilo in eguale tensione
1) Stradivari (inizi XVIII secolo): l’ipotesi di una possibile montatura in eguale tensione per il
violino che Stradivari utilizzò come riferimento per il tipo di corde da usare per la sua Chitarra
Tiorbata nasce in conseguenza delle tracce segnate a carboncino riportate sulla sagoma della
‘Chitarra Tiorbata’: di fianco ad una di queste tracce vi è infatti scritto: “Questa in cima deve essere
una quarta da Violino…” . (op cit 2)
Le conclusioni: la traccia riferita alla quarta corda del Violino è di spessore piuttosto notevole: si
tratterebbe dunque non solo di una montatura in solo budello ma anche in eguale tensione.
Le nostre ipotesi sono diverse: in questa sagoma Stradivari traccia con segni assai larghi e
grossolani anche quelle che sono per forza di cose corde molto sottili, come ad esempio i primi tre
cori in tastiera o le corde intermedie in tratta. La traccia di corda a cui lui si riferisce possiede nella
sagoma di cartone uno spessore di 3, forse 4 mm: è la misura della seconda o terza corda del
Contrabbasso. Non vogliamo davvero credere che questa fosse davvero la misura reale della quarta
corda in puro budello del Violino. Noi invece pensiamo che Stradivari intendesse indicare che la
corda da usare in quella posizione doveva essere una quarta da violino (strumento certamente molto
più conosciuto da cordai e musicisti), senza alcuna volontà di indicare nella traccia a carboncino il
suo reale diametro. Da qui a poter poi concludere che il Violino a cui lui si riferiva fosse in eguale
tensione lo troviamo francamente privo di alcun fondamento.
In conclusione non possibile determinare alcunché circa il profilo di tensione del detto Violino né
possiamo concludere con certezza che esso fosse montato in solo budello: Stradivari poteva infatti
aver voluto suggerire che per quella data corda della chitarra tiorbata si doveva utilizzare la quarta
filata da Violino.
2) Tartini (1734): Fétis scrisse che Tartini nel 1734 trovò che la somma delle tensioni delle quattro
corde del suo Violino fu di 63 pounds (op. cit 2). Al di là di come il Tartini determinò tale valore di
tensione (e se tale dato fu poi convertito correttamente in altre unità di misura) va sottolineato che,
per il solo fatto di essere stato espresso in un unico valore globale, quest
o non significa affatto che siamo di fronte alla conferma di una montatura in eguale tensione. Tale
identico valore può infatti essere ottenuto anche dalla somma di tensioni completamente diverse.
Mediante alcune verifiche siamo giunti alla conclusione che ci si trova forse di fronte ad una
montatura di tipo scalare:
1. Trattandosi di un violino consideriamo una lunghezza vibrante di 0,32 mt.
2. per il ‘la’ standard possiamo ipotizzare un Corista Veneziano del Settecento fittizio pari a
465 Hz.
Le nostre conclusioni sono pertanto le medesime di quelle fatte con Di Colco: siamo di fronte ad un
profilo di tensione che se è calcolato secondo la prassi odierna porta ad un profilo di tensione (da
calcolo) di tipo moderatamente scalare, non ad una eguale tensione secondo la concezione attuale.
(op. cit 1, 2)
Conclusioni
L’esame delle differenti fonti storiche e iconografiche in nostro possesso permette forse di poter
disegnare un quadro sufficientemente chiaro dei criteri di scelta di una montatura per strumenti ad
arco nel XVII, XVIII e XIX secolo (inteso nella pratica quotidiana, e non a livello di pura
disquisizione teorica). Se è impossibile affermare con certezza quali furono i criteri seguiti nel
Seicento possiamo invece sottolineare forse con una certa sicurezza quali invece non furono criteri.
Al primo posto vi è il concetto di eguale tensione ‘da calcolo’ oggi così diffuso: esso, nonostante gli
scritti di Mersenne, non risulta che abbia avuto seguito nella pratica comune seicentesca.
Ma non solo: l’eguale tensione ‘da calcolo’ si basa purtroppo su un errore di valutazione scientifica
della giusta relazione eguale tensione= eguale feel. La tensione di questa equivalenza è quella della
corda già in stato di intonazione, non quella che si imposta nella nota formula per il calcolo dei
diametri.
Va infine sottolineato come questo criterio dell’eguale feel sia comunque derivato dai trattati per
soli strumenti a pizzico come il Liuto e non per gli Archi, per i quali non abbiamo in realtà nulla di
realmente esaustivo. Le prime utili informazioni pratiche risalgono soltanto alla seconda metà del
Settecento.
L nostro punto di vista, riassuntivo del corpus di informazioni esaminate, punta a suggerire nel
pratico una tensione di tipo scalare per la maggior parte degli strumenti ad arco: Kircher del resto ne
fornisce una prova reale. Stabilire quanto scalare essa potesse essere risulta purtroppo impossibile
da determinare. Rimane infatti aperta la questione delle quinte in tastiera, che fu per alcuni
ricercatori del XIX secolo un argomento in grado di spiegare la necessità della tensione scalare
negli archi. (27) Ma se il problema di avere quinte intonate fu nel XIX secolo un problema reale lo
fu anche nel Seicento?
Vivi felice
Mimmo Peruffo 2010
Bibliografia
1) OLIVER WEBBER: “Rethinking Gut strings: a Guide for Players of Baroque Instruments”. Ed:
King’s Musik. London, 2006.
2) EPHRAIM SEGERMAN: “Strings thorough the ages“, The Strad, part 1, January 1988, pp.54-
55”.
3) MAUGIN – MAIGNE: Nouveau manuel complet du luthier, pp. 168-181 (la sezione riguardante
le corde fu aggiunta nell’edizione del 1869).
4) FRANCESCO GALEAZZI: ‘Elementi teorico-pratici di musica con un saggio sopra l’arte di
suonare il violino’, Pilucchi Cracas, Roma 1791, p. 72.
5) DANIELLO BARTOLI: Del suono, de’ tremori armonici e dell’udito, a spese di Nicolò Angelo
Tinassi, Roma 1679, p. 157.
6) JOHN DOWLAND: “Other necessary observations belonging to the lute”, in ROBERT
DOWLAND: Varietie of lute-lessons […], Thomas Adams, London 1610, paragraph “Of setting the
right sizes of strings upon the lute”.
7) Wellesley (Mass.), Wellesley College Library, “The Burwell lute tutor“, manoscritto, ca. 1670,
facsimile reprint with introduction by Robert Spencer, Boethius Press, Leeds 1973, the chapter 4
“Of the strings of the lute […]”.
8) THOMAS MACE: Musik’s monument […], the author & John Carr, London 1676, pp. 65-6.
9) L’unico documento di nostra conoscenza che valuti il feel mediante il contatto dell’arco sulle
corde è il Galeazzi, p 72.
10) EPHRAIM SEGERMAN: “Modern lute stringing and beliefs about gut”, Fomrhi Quarterly,
bull 98, January 2000, p.59.
11) SERAFINO DI COLCO: Lettera. prima (Venezia, 7 gennaro 1690), in Le vegghie di Minerva
nella Accademia de Filareti: per il mese di gennaro 1690, Venezia 1690, pp. 32-3.
12) MARIN MERSENNE: Harnomie universelle […], Livre quatriesme, Cramoisy, Paris 1636.
Mersenne fu il primo che spiegò in via teorica il legame esistente tra la tensione, il diametro, la
lunghezza vibrante e la densità del materiale con cui è realizzata una corda.
13) MARIN MERSENNE: Harnomie universelle […], Livre quatriesme, Cramoisy, Paris 1636.
Citato da Stephen Bonta in ‘Further thoughts on the history of strings’; The Catgut Acoustical
Society Newsletter n° 26, November 1 , 1976, p 22.
14) ATTHANASIO KIRCHER: “Musurgia universalis […]”, Lib V, ‘De musica Instrumentali’,
p.440: ” …diversa soramina deducta in tantam deveniant subtilitatem, ut subtilissimi Capilli
crassitiem adæquent”, Roma 1650.
15) PATRIZIO BARBIERI: “Acustica, Accordatura e Temperamento nell’illuminismo Veneto: con
scritti inediti di Alessandro Barca, Giordano Riccati e altri Autori”, Istituto di Paleografia Musicale
— Torre d’Orfeo, Roma 1987, p. 42.
16) Libro contenente la maniera di cucinare e vari segreti e rimedi per malattie et altro,
manuscript, Reggio Emilia, Biblioteca Municipale Panizzi, Mss, vari E 177: “Corde da violino,
modo di farle. Si prendino le budella di castrato o di capra fresche […] volendo fare cantini se ne
prende tre fila e si torgono al mulinello…”
17) Francois De La
lande, Voyage en Italie […] fait dans les annés 1765 & 1766, 2a edizione, vol IX, Desaint, Paris
1786, pp. 514-9, Chapire XXII “Du travail des Cordes à boyaux…: “ .
18) EPHRAIM SEGERMAN: “Review: Italian violin strings”, Fomrhi Quarterly, bull 98, January
2000, p.26-33 .
19) GIORDANO RICCATTI. Delle corde, ovvero fibre elastiche, Stamperia di San Tommaso
d’Aquino, Bologna 1767, p. 130.
20)PATRIZIO BARBIERI : Roman and Neapolitan gut strings, 1550-1590, GSJ, May 2006, pp
176-7.
21)LEOPOLD MOZART: Versuch eine gründlichen Violinscule […], Verlag des Verfasser,
Augsburg 1756, p.6.
22)Per Savart vedere SEGERMAN: “Strings through the ages”, part 2, p. 198.
23)FRANCOIS-JOSEPH FETIS: Antoine Stradivari luthier celèbre connu sous le nom de
Stradivarivs […], Vuillaume, Paris 1856, p. 92: sulle basi dei dati riportati dal celebre liutaio
francese Jean-Baptiste Vuillaume, si sa che 20 anni prima il cantino del Violino prendeva 22
pound francesi (ca. 11 kg) di tensione, le altre corde un poco meno; il totale fu di 80 pounds (citato
da BARBIERI: “Giordano Riccati”, p. 29)
24) CHARLES-EDOUARD-JOSEPH DELEZENNE: Experiences et observations sur les conies
des instruments à archet, L. Danel, Lille 1853 (citato in BARBIERI:Acustica, accordatura e
temperamento nell’’illuminismo veneto, p.48). Come Barbieri riporta, Delezenne formulò l’ipotesi
dell’eguale tensione ma quando esaminò “ten different assortments of strings of commercial violin
strings provided for him by the luthier Lapaix, finding instead average ratios [between the strings]
noticeably lower than 1.5 [which was equal tension]“: il range di calibri commerciali misurati dal
Delezenne fu così compreso: E = 0,61-0,70; A = 0,82-0,96 mm; and D = 1,01-1,39 mm.
25)WILLIAM HUGGINS: “On the function of the sound-post and the proportional thickness of the
strings on the violin”, Royal Society proceeding, xxxv 1883, pp. 241-8: 248:
‘ The explanation of this departure of sizes of the strings which long experience has shown to be
pratically most suitable, from the values they should have from theory, lies probably in the
circumstance that the height of the bridge is different for the different strings. It is obvious, where
the bridge is high, there is a greater downward pressure. There is also the circumstance that the
string which go over a high part of the bridge stand farther from the finger-board, and have
therefore to be pressed thorough a greater distance, would require more force than is required for
the other strings, if the tension were not less.’.
26) JOSEPH-ANTOINE PLAISSARD: “Des cordes du violon“, Association fracaise pour
I’avancement des sciences. Congres del Lille, 187487 (citato in BARBIERI:Acustica, accordatura
e temperamento, p. 46.)
27) WILLIAM HUGGINS: “On the function of the sound-post”, p. 248: “By means of a
mechanical contrivance I found the weights necessary to deflect the strings to the same amount
when the violin was in tune. The results agreed with the tensions which the sizes of the strings [i.e.
corresponding to Ruffini’s gauges] showed they would require to give fifths“.