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Settecento-Millecento - Atti - I

Atti
I

a cura di
Rossana Martorelli

Cagliari, Scuola Sarda Editrice


€ 40 2013
Settecento-Millecento
Storia, Archeo­logia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo

Dalle fonti scritte, archeo­logiche ed artistiche


alla ricostruzione della vicenda storica.
La Sardegna laboratorio di esperienze culturali

Convegno di Studi

Cagliari, Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio

Cittadella dei Musei - Aula Roberto Coroneo

17-19 ottobre 2012

a cura di Rossana Martorelli


con la collaborazione di Silvia Marini

Volume 1.1
Cagliari - Scuola Sarda Editrice 2013
Progetto finanziato nell’ambito della Legge Regionale 7 agosto 2007, n. 7: “Promozione della
ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”. Progetti di ricerca di base

Gli articoli raccolti in questo volume sono stati sottoposti alla peer review secondo la
procedura del ‘doppio cieco’.

© 2013 Scuola Sarda Editrice


Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, memorizzata in
sistemi d’archivio o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo elettronico, meccanico, fotocopia,
registrazione o altri senza la preventiva autorizzazione scritta dell’editore.

ISBN 978 88 87758 48 1


Opera in due volumi

Collana
De Sardinia Insula. Atti e opere miscellanee, Volume 1.1
Comitato scientifico:
Rossana Martorelli, Donatella Mureddu, Cecilia Tasca, Fabio Pinna

Progetto grafico
Scuola Sarda Editrice

Copertina
Disegno di Marco Muresu

Impaginazione
Scuola Sarda Editrice

Volume stampato con i contributi di:


Regione Autonoma della Sardegna all’interno del Progetto: Settecento-Millecento
Storia, Archeo­logia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo. Dalle fonti scritte,
archeo­logiche ed artistiche alla ricostruzione della vicenda storica. La Sardegna
laboratorio di esperienze culturali.

Università degli Studi di Cagliari, Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio

Stampa e confezione
Scuola Sarda Editrice
Via delle Serre, Residenza Le Onde
09044 Quartucciu (Ca)
Tel. 39 070 884419
Fax +39 070 8807156
info_scs@tiscali.it
INDICE

VOLUME 1.1
Prefazione (Francesco Atzeni).............................................................................................. 9
Premessa (Sergio Milia)............................................................................................................. 11
Introduzione (Andrea Augenti)............................................................................................ 14

Il progetto

R. Martorelli, I cd. “secoli bui” della Sardegna: problematiche, meto-


di, filoni d’indagine da una storiografia consolidata e aspettative
dal nuovo progetto............................................................................................................. 19

Il ruolo della Sardegna nell’impero bizantino: aspetti e problemi

O. Schena, La Sardegna nel Mediterraneo bizantino (secoli VIII-XI):


aspetti e problemi storici................................................................................................ 41
M. Orrù, Teofilatto d’Acrida, gli errori dei Latini e la Sardegna................... 55
G. Serreli, Il passaggio all’età giudicale: il caso di Càlari................................. 63
C. Tasca, I documenti giudicali negli archivi italiani e stranieri: “di-
spersione” archivistica e “recupero” della memoria...................................... 83
M. Garau, I documenti giudicali conservati in Sardegna: una nota sulle
Carte Volgari dell’Archivio Arcivescovile di Cagliari................................... 123
D. Mureddu & M.G. Messina, La ricerca storica: l’apporto del mate-
riale degli archivi moderni alla conoscenza del periodo............................ 137
S. Dore, La ricerca storica: l’apporto del materiale conservato nell’ar-
chivio corrente della Soprintendenza per i Beni Archeo­­logici per le
Provincie di Cagliari e Oristano............................................................................... 143

Vita e morte dei centri urbani fra ’700 e 1100: fine della città tardoantica?

E. Zanini, L’VIII secolo a Gortina di Creta e qualche idea sulla fine


della città antica nel Mediterraneo......................................................................... 177
R. Martorelli & D. Mureddu, Cagliari: persistenze e spostamenti
del centro abitato fra VIII e XI secolo.................................................................... 207
S. Cisci, M.G. Messina, D. Mureddu & M. Tatti, Cagliari. Indagini
archeo­­logiche presso il Bastione di Santa Caterina. Campagna
2012-2013................................................................................................................................. 235
P. Fois, P.G. Spanu & R. Zucca, Le città della Sardegna centro-occiden-
tale fra VIII e XI secolo................................................................................................... 249
J. Bonetto & A.R. Ghiotto, Nora nei secoli dell’alto medioevo.................. 271
D. Rovina & L. Biccone, La villa di Thatari (fine X-XI secolo)..................... 301
L. Biccone & A. Vecciu, Bosa bizantina e giudicale. Nuove riflessioni
sulla base dell’evidenza ceramica............................................................................. 341
R. D’Oriano & G. Pietra, Olbia dal collasso della città romana al Giu-
dicato di Gallura: punti fermi e problemi aperti............................................ 365
M. Cadinu, Elementi di derivazione islamica nell’architettura e nell’ur-
banistica della Sardegna medievale. I segni di una presenza stabile. 387

VOLUME 1.2
All’origine delle sedi del potere giudicale

B. Fadda, I luoghi di redazione dei documenti giudicali. Considerazio-


ni su alcune pergamene del giudicato di Torres.............................................. 427
L. Mura & L. Soro, I luoghi giudicali: dai documenti alle testimonianze
archeo­logiche......................................................................................................................... 445
F.G.R. Campus & L. Biccone, Il palazzo/castello di Ardara tra fonti
scritte e primi dati archeo­­logici................................................................................. 473
D. Dettori, La domo giudicale di Thergu (IX-XI secolo). Organizzazio-
ne, evoluzione e dati di vita quotidiana............................................................... 513

L’assetto del territorio

P. Fois & G. Spanu, Gli insediamenti rurali della Sardegna tra tarda
Antichità e alto Medioevo (V-IX secolo).............................................................. 533
D. Artizzu, Ambiente e agricoltura in Sardegna fra la fine del VII secolo
e le prime incursioni arabe. Il caso di Sinnai (CA) tra fonti e archeo­­
logia............................................................................................................................................. 553
D. Salvi & A.L. Sanna, Frequentazioni altomedievali nel Barigadu: il
templum Iovis di Bidonì................................................................................................ 571
E. Trudu, Il territorio della Sardegna centro-orientale: la continuità di
frequentazione dall’età romana fino all’VIII-IX secolo............................. 605
F. Sanna, Cultura artistica rupestre di età bizantina nel nord Sardegna:
i casi di Oschiri e Mores................................................................................................. 631
Indicatori cronologici e socio-economici dalla cultura materiale

S. Marini, La ceramica da fuoco in Sardegna tra 700 e 1100.......................... 661


E. Sanna, Contenitori da trasporto tra VIII e XI secolo: dati e problemi. 675
D. Corda, Ceramiche dipinte alto-medievali in Sardegna: attestazioni e
problemi cronologici......................................................................................................... 705
M. Muresu, I reperti metallici in Sardegna tra VIII e XI secolo: proble-
matiche e prospettive di ricerca................................................................................. 729
I. Sanna & L. Soro, Nel mare della Sardegna centro meridionale tra 700
e 1100 d.C. Un contributo dalla ricerca archeo­logica subacquea........ 761
D. Anedda & C. Nonne, Proposta metodologica per l’analisi delle tecni-
che costruttive altomedievali in Sardegna.......................................................... 809

La sfera ecclesiastica: Chiesa Romana, Bizantina o Sarda? L’architet-


tura delle chiese, i monasteri, il culto dei santi

M. Vidili, Per una mappa ecclesiastica della Sardegna dal V all’XI seco-
lo.................................................................................................................................................... 835
D. Salvi, P. Fois, San Saturnino: specchio di una società multiculturale
fra IX e X secolo................................................................................................................... 853
E. Curreli, Riflessi iconografici della religiosità: status quaestionis sul-
la pittura in Sardegna fra VIII e XI secolo......................................................... 881
N. Usai, La decorazione pittorica della cripta di San Lussorio a Fordon-
gianus......................................................................................................................................... 901
A. Pala, Il bisso sardo nei paramenti pontificali di Leone IV (847-855).... 933

Alcune osservazioni conclusive per prospettive di ricerca futura: un bi-


lancio del convegno (Rossana Martorelli).......................................................... 949
16 365

OLBIA DAL COLLASSO DELLA CITTÀ ROMANA


AL GIUDICATO DI GALLURA:
PUNTI FERMI E PROBLEMI APERTI
Rubens D’Oriano
Soprintendenza per i Beni Archeo­logici per le province di Sassari e Nuoro
rubens.doriano@beniculturali.it (Referente)
Giovanna Pietra
Soprintendenza per i Beni Archeo­logici per le province di Cagliari e Oristano
giovanna.pietra@beniculturali.it

Riassunto. Per i secoli successivi al collasso dell’Olbia romana dovuto all’attacco


dei Vandali verso il 450, che conclude una parabola discendente principiata tra III e IV
sec., i dati archeo­logici e le altre fonti documentarie lasciano aperte alcune questioni.
Ad oggi alcune paiono così definibili: l’attività portuale mostra un certo dinamismo,
ma non sembra ancora paragonabile a quella di altri porti sardi fino alla bonifica del
porto in Età Giudicale; è largamente plausibile la continuità di vita dell’abitato nel cuore
della vecchia città romana; sono assenti evidenze archeo­logiche di una fortezza urbana
bizantina; sono assenti strutture abitative, o altri elementi riferibili a un polo insediativo
o simili, presso S. Simplicio, oltre al luogo di culto martiriale extraurbano; sembra poco
probabile un dominio o una presenza di una enclave araba.
Parole chiave: Vandali, S. Simplicio, porto, abitato, continuità.
Abstract. As regards the period following the collapse of Roman Olbia, due to the
Vandals’ charge, that represent the end of a falling trend begun between the III and the
IV century AD, the archaeological evidences and the others documents leave some loose
threads: dock trades are actually quite dynamic, but they are not to be compared with the
other port of Sardinia until its reclaim during the Middle Ages; the built-up area most
likely continues to be in the center of the Roman town; there are no evidences about a
byzantine urban fort; there are no buildings or other evidences relating to a settlement near
S. Simplicio, a part from the palaeo-Christian martyrium; it seems not to be so probable
dominion or presence of an Arabic enclave.
Keywords: Vandals, S. Simplicio, harbour, settlement, continuity.

La fine di Olbia romana

Il punto di non ritorno per Olbia romana è la conquista vandala (Pietra, 2006;
Pietra, 2008), in seguito alla quale si porta a compimento un processo di deca-
dimento e crisi che affonda le sue radici già nel III secolo.
Nel corso del III secolo si rileva un incremento dell’impegno dell’economia
366 Settecento-Millecento Storia, Archeo­logia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo

olbiese nell’approvvigionamento annonario di Roma e in questo senso è si-


gnificativa la straordinaria documentazione di miliari della strada a Karalibus
Olbia per Hafam, la strada che unisce il porto di Olbia alle riserve di grano
del Monte Acuto. Una documentazione che inizia in età severiana, conta 103
esemplari e termina alla fine del IV secolo (Ruggeri, 1996 pp. 291-303; Masti-
no, 2005 pp. 333-340 e 369-370).
All’intensificarsi dei traffici dell’annona si associa una lenta ma progressiva
diminuzione delle relazioni commerciali indipendenti e, pur essendo ancora
elevate, le importazioni non raggiungono i livelli di attestazione dei primi due
secoli dell’impero.
Ha inizio così una fase di rapporti unilaterali Olbia-Roma, incentrati sull’an-
nona, che si andranno sviluppando nel corso del IV secolo d.C.
Il tessuto insediativo e produttivo del territorio olbiese viene ridisegnato, in
conseguenza dei provvedimenti adottati da Costantino, e dai suoi successori,
per garantire un adeguato rifornimento di grano a Roma1, privata della ric-
ca produzione egiziana dirottata a Costantinopoli (Meloni, 1990 pp. 220-224;
Cosentino, 2002 pp. 56-57).
L’accentramento delle risorse nella sola produzione cerealicola destinata alla
capitale mette in crisi il sistema economico olbiese, cui viene a mancare l’ap-
porto fondamentale del commercio indipendente, che nei secoli precedenti
aveva contribuito in modo decisivo alla ricchezza della città.
Le attestazioni di importazioni si riducono in modo considerevole fino a dive-
nire pressoché irrilevanti e numerosi contesti urbani sono abbandonati (Pie-
tra, 2008 pp. 1758-1766). I due soli edifici di nuova costruzione ad oggi noti
possono probabilmente ricondursi alla diffusione del cristianesimo e all’adat-
tamento delle strutture cultuali esistenti – il santuario di Ercole e il tempio
del foro – alle esigenze della nuova religione. Così come in questa stessa fase,
verosimilmente di poco successiva all’editto di Milano del 313 d.C., si collo-
ca il riuso del tempio di Cerere come martyrium di Simplicio, vittima della
persecuzione dioclezianea del 303 d.C. (D’Oriano & Pietra, 2012 pp. 173-180;
Pietra, c.s.).

1
In particolare le costituzioni sul ricongiungimento delle famiglie degli schiavi
in Sardegna e sul cursus publicus Cod. Theod., II,25,1; VIII,5,1; VIII, 5,16. Meloni, 1990
pp. 209-216.
Olbia dal collasso della città romana al Giudicato di Gallura: 367
punti fermi e problemi aperti

Alcune iscrizioni riferite ad attività di restauro attestano da un lato lo stato


di decadenza della città, con edifici in rovina anche in luoghi centrali come il
foro2, dall’altro la ancora tenace volontà di mantenerne il decoro.
La conquista vandala interviene in questo contesto già di decadenza a spezza-
re quel residuo legame con Roma ormai ultimo argine al declino.
Le ragioni dell’attacco – bloccare il rifornimento di beni primari a Roma e
acquisire una postazione strategica in funzione dell’offensiva diretta del 455
d.C. – hanno come diretta conseguenza l’interruzione dei rapporti con Roma
e più in generale dei rapporti commerciali transmarini, cui concorre il pro-
gressivo interramento del porto non liberato dei relitti delle navi affondate
durante l’attacco.
Nel V secolo le importazioni diminuiscono drasticamente per esaurirsi verso
la metà del VI, conferma del successo della politica di isolamento adottata dai
Vandali; tra il V e il VI secolo l’espansione di aree funerarie all’interno dell’a-
bitato indizia una contrazione dello spazio urbano e insieme forse anche una
sua differente organizzazione (Pietra, 2008 pp. 1766-1770).
Organizzazione difficile da ricostruire, allo stato attuale delle conoscenze, e
che sembra tuttavia fare perno su alcuni dei luoghi cardine di Olbia romana:
il foro, il santuario di Ercole e la strada che li collega, le terme di Via Nanni
(Pietra, 2005), dove sono stati rinvenuti livelli d’uso composti reimpiegando
materiali da costruzione di sottostanti edifici ormai in abbandono.
Nonché il tempio di Demetra, ora martyrium di Simplicio, l’annessa necropoli
ad sanctum e la strada che li collega al porto, lungo la quale si sviluppa la più
estesa area funeraria urbana, quella di Su Cuguttu.
La rottura con il lungo passato romano, che non pregiudica la continuità di
vita, si manifesta con evidenza nel nuovo toponimo: Olbia è divenuta la Fau-
siana dell’epistola di Gregorio Magno del 594 d.C. (Greg. M., Epist. IV, 29).

G.P.

2
CIL X 7975-7976; Mastino, 1996 n. 2, p. 78 e n. 45, p. 81; Zucca, 1994 p. 911,
nn. 131 e 133; Pietra, 2010a pp. 1849-1852. IL Sard I, 310; Mastino, 1996 n. 3, p. 78;
Zucca, 1994 p. 911, n. 130.
368 Settecento-Millecento Storia, Archeo­logia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo

Appunti sul Medioevo

Come è ben noto al lettore, non sono uno specialista di Medioevo, e tuttavia
il ruolo istituzionale di archeo­logo responsabile (anche) per Olbia in seno alla
Soprintendenza per i Beni Archeo­logici mi mette nella condizione di dispor-
re di dati, derivanti da rinvenimenti inediti o da studi editi sì ma forse non
ampiamente circolanti in questo settore di studi, che credo utili per le fasi
postromane della città e del suo territorio. Ritengo perciò che sia mio dovere,
in spirito di servizio, porgere tali dati ai colleghi di me più versati nello studio
della Sardegna medievale, che quindi meglio di me hanno saputo e sapranno
fornire un quadro globale, quadro che programmaticamente rinuncio perciò
a tracciare, limitandomi a procedere per punti e per problemi, quelli sui quali
appunto i dati di cui dispongo possono gettare una qualche luce.
Il compito è peraltro facilitato ora, per un non specialista in questo campo, dal
fondamentale volume di Fabio Pinna (Pinna, 2008) che ha, tra gli altri pregi,
il merito di fornire, accanto a importanti riflessioni dell’Autore, il quadro glo-
bale delle pregresse posizioni su varie questioni con la relativa bibliografia.
Poiché pertanto ad esso solo farò spesso riferimento per non moltiplicare i
rimandi bibliografici, è bene chiarire che, nei casi di mie differenti posizioni,
non sempre la divergenza è nei confronti dell’Autore ma più spesso dalle opi-
nioni di altri studiosi che egli, per lodevole completezza, ricorda nei passi della
sua opera da me citati.

Il porto

Prima di affrontare il Medioevo corre l’obbligo di ritornare, pur brevemente,


su una questione inerente ancora l’età romana, che però proietta la sua ombra
per tutto il Medioevo e oltre, questione che ritenevo sufficientemente acclarata
(D’Oriano, 2002 pp. 1257-1259) ma che vedo a volte ignorata o ancora dibat-
tuta in letteratura: la corretta traduzione, e conseguente interpretazione to-
pografica, del celebre passo del De bello gildonico, XV, 518-9 sul viaggio della
flotta imperiale da guerra inviata contro il ribelle d’Africa, la quale “pars adit
antiqua ductos Carthagine Sulcos / partem litoreo complectitur Olbia muro”.
Con buona pace di chi ancora traduce il secondo verso “Olbia è circondata
da mura litoranee” – corretto sul piano topografico, ma marchiano errore blu
da ginnasiali che rimonta almeno a 60 anni orsono – il fatto che complecti sia
Olbia dal collasso della città romana al Giudicato di Gallura: 369
punti fermi e problemi aperti

deponente transitivo non tollera alternative alla traduzione (alla lettera) “Ol-
bia abbraccia l’ altra parte (della flotta) con un muro litoraneo”. Quanto all’i-
dentificazione del litoreo muro che complectitur le navi, non è assolutamente
possibile vedervi una qualsivoglia parte delle mura urbiche, per il semplice
motivo che non cingono alcuno specchio d’acqua, come si evince chiaramente
da una qualsiasi delle moltissime planimetrie del loro percorso edite in svaria-
tissimi contributi dal Panedda in qua (fig. 1). L’unica interpretazione possibile
e plausibile, allo stato, è quella di vedervi il settore settentrionale del porto
urbano, l’unico in attività nel IV sec. d.C., alla cui conformazione ad arco,
data dalla linea di costa e dalla diga che in antico la connetteva all’attuale Isola
Peddone (fig. 1,1), ben si addice l’uso del verbo complecti (D’Oriano, 2002 pp.
1258-1259). Rinvenimenti inediti posteriori allo scavo del porto hanno poi
confermato che la parte della linea di costa ortogonale al senso di ormeggio
delle navi, all’epoca non interessata dallo scavo e perciò prudentemente dise-
gnata nelle planimetrie ricostruttive come sabbiosa (D’Oriano, 2002 p. 1252,
fig. 3) benché già da allora sospettata in muratura (D’Oriano, 2002 p. 1258),
era appunto in realtà un molo in blocchi, dando così giustificazione ad abun-
dantiam all’identificazione del litoreo muro con quel tratto del porto.
Quanto alla funzionalità e attività del porto urbano nel Medioevo, mi pare
utile precisare alcuni dati.
Le importazioni, come richiamato sopra da G. Pietra, subiscono un netto ri-
dimensionamento nel V secolo fin quasi ad esaurirsi entro la metà del succes-
sivo. I materiali oltremarini di spicco noti per le fasi successive, quali l’encol-
pion (Pinna, 2008 p. 66 e ss.) e la croce d’oro di Telti (fig. 2) (Sanciu, 2006),
da attribuire verosimilmente all’attività portuale urbana, o la Forum Ware e
la pietra ollare dal porto (Rovina, 2012), o le tre brocche di bronzo al Museo
Archeo­logico di Cagliari (Pani Ermini & Marinone, 1981 pp. 86-87, nn 127-
129) o un inedito frammento di croce metallica, del tutto simile a quella aurea
di Telti, rinvenuto fuori tomba nei livelli occupati da sepolture altomedievali
attorno a S. Simplicio3 non sono certo pervenuti in splendida solitudine, ben-
sì su imbarcazioni delle quali ovviamente non costituivano il carico princi-
pale. Tuttavia il panorama ad oggi noto (nell’attesa dello studio dei reperti
postromani dello scavo del porto)4 non mi pare che possa ancora autorizzare

3
Per una notizia sul recentissimo scavo cfr. Pietra & Pisanu, c.s.
4
Più volte, e senza esito, segnalati da almeno un decennio come disponibili
370 Settecento-Millecento Storia, Archeo­logia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo

a ritenere considerevoli questi flussi, almeno non rispetto alla fase olbiese pre-
cedente o a quella coeva di altre città portuali sarde. Fino al recupero di piena
funzionalità del porto urbano grazie all’opera di colmata-bonifica promossa
in età giudicale nel clima del rapporto con Pisa necessaria ad attingere livelli
di fondale di maggiore pescaggio per oltrepassare le quote rese inagibili – per
navi di una certa importanza – dai relitti affondati durante l’attacco dei Van-
dali5 e dal fango che essi trattenevano (D’Oriano, 2002), è probabile che al
porto si accedesse solo con barche piccole e a fondo piatto o quasi, come quelle
utilizzate per fare massa nella colmata “pisana”, datate attorno al X secolo
(D’Oriano et al., 2012 pp. 134-137)6 e di probabile costruzione locale (le specie
legnose emerse dall’analisi sono compatibili con la Gallura: D’Oriano et al.,
2012 pp. 134-137) che eventualmente effettuassero il trasbordo delle merci da
imbarcazioni maggiori sostanti alla fonda altrove (D’Oriano et al., 2012 p.
140)7. Che questo settore del porto fosse l’unico approdo urbano allora in uso
è indicato dall’abbandono del fronte portuale sud-occidentale in età neronia-
no-vespasianea (D’Oriano, 2002 p. 1255) e dal fatto che fu realizzata qui, e
non altrove, un’opera di bonifica tanto impegnativa da lasciare memoria fino
al ’700, che si sarebbe certo evitata se fossero esistiti nelle vicinanze approdi
alternativi adeguati (D’Oriano, 2002 pp. 1261-1262).

per lo studio a vari colleghi medievisti.


5
Gli studi Pietra, 2006 e Pietra, 2008 hanno confermato ad abundantiam
la cronologia dell’affondamento alla metà del V secolo e l’attribuzione dell’evento
all’attacco dei Vandali, come da me già prospettato (D’Oriano, 2002). È perciò da
rigettare la proposta di addebitarlo agli Ostrogoti, da qualcuno curiosamente divinata
ancor prima che venisse edito alcunché sullo scavo del porto.
6
Segnalo che il contributo citato è stato edito a distanza di ben 10 anni dalla
consegna per la stampa e senza revisione di bozze da parte degli autori, e pertanto il
lettore nel consultarlo è pregato di tenere conto di tali condizioni certo non ottimali.
Per tale motivo inoltre alcune parti vengono qui riproposte con formulazione più
adeguata.
7
Non ho mai parlato di abbandono del porto urbano fino all’Età Giudicale,
come si legge invece in Pinna, 2008 p. 80.
Olbia dal collasso della città romana al Giudicato di Gallura: 371
punti fermi e problemi aperti

L’abitato

Circa la continuità di vita dell’abitato altomedievale nel sito della città roma-
na, pur se di estensione certo minore di essa, rispetto all’ipotesi di Panedda di
una dislocazione nella località più interna di Pasana a scopo difensivo, ormai
mi pare si registri un generale consenso. Ritengo tuttavia utile riprendere, sia
pur brevemente, alcuni argomenti a favore o poco noti o poco valorizzati o
derivanti da ritrovamenti inediti.
Già fortissimi dubbi possono avanzarsi sull’esistenza di un abitato altomedie-
vale in loc. Pasana, sostenuta – in assenza di qualsiasi rinvenimento archeo­
logico postromano, come riconosceva lo stesso Panedda (Panedda, 1953 p.
26) – solo sull’assonanza Pasana/Fausiana-Fausania e sulla possibile presenza
in loco di una chiesa forse precedente il XVI sec. intitolata a un culto di ori-
gine bizantina come quello di S. Michele (Panedda, 1991 p. 449, n. 1555 con
bibl. prec.), quando nulla dimostra che in Sardegna dopo l’Altomedioevo si sia
perso l’uso di dedicare templi a figure religiose di lontana origine bizantina.
La località di Pasana è un modestissimo rilievo (m 63 slm nel punto più alto) a
soli 4 km in linea d’aria da Olbia, dalla quale lo separa uno spazio pianeggian-
te: non si vede quindi quali garanzie di tutela il sito avrebbe offerto rispetto
a chiunque sbarcasse indisturbato nel porto (ben altre, e non per caso, sono
infatti le caratteristiche topografiche in termini strategici e le evidenze strut-
turali della fortezza di tipologia bizantina di Sa Paulazza: Amucano, 1996),
per non dire che, appunto, il sito da presidiare e non già da abbandonare è – al
contrario – proprio l’approdo, vera e propria porta del territorio di Olbia e
dell’intera Sardegna nordorientale almeno dall’Età del Rame.
In altre parole, insomma, così come non si rinuncia a terreni di straordinaria
fertilità quali quelli vulcanici “solo” perché periodicamente teatro di disastri
anche immani (per esempio le pendici del Vesuvio) o così come non si ri-
nuncia a ripristinare fortezze e roccaforti anche se hanno subìto conquiste o
sfortunati assedi, chi rinuncerebbe al controllo diretto di uno degli approdi
naturali più straordinari dell’intero Mediterraneo solo perché se ne è dimo-
strata in precedenza la violabilità? Al contrario, l’esperienza negativa detterà
migliori accorgimenti per una più salda difesa.
È da mettere poi in valore la testimonianza giurata di un anziano terranovese
del XVII secolo (Panedda, 1991 p. 449), che accenna ad una tradizione secon-
do la quale le chiese di S. Antonio Abate e S. Maria del Mare, esistenti fino alla
372 Settecento-Millecento Storia, Archeo­logia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo

fine del XIX secolo sul fronte del porto (fig. 1, 2 e 3; fig. 3, 1) (D’Oriano, 2004),
erano un tempo “dentro de la antica città di Pausania”, nota corruzione di
Fausania (Panedda, 1991 p. 449).
Il fatto che le necropoli e le tombe isolate tardo antiche presenti nel precedente
tessuto urbano romano “ritagliano” uno spazio (Pietra, 2008 p. 1754, fig. 2)
che corrisponde a quello della città giudicale come correttamente individuato
da Panedda (1978 pp. 314-315) nel quadrilatero racchiuso grossomodo dalle
odierne vie Asproni/Piccola/Cavour/Porto Romano/delle Terme (fig. 1) – pro-
posta confermata dal rinvenimento di un tratto delle mura di cinta medievali
tra le vie Garibaldi e Asproni (fig.1, 4 e fig. 4) esattamente dove le ipotizzava
Panedda, 1953 tav. fuori testo (cfr. infra) – lascia supporre agevolmente una
continuità abitativa e spaziale ininterrotta.
Alcuni degli isolati e delle strade odierni di quest’area risalgono almeno al
XVIII e XVII secolo, come testimoniato anche dagli architravi di alcune case
recanti la data di edificazione, ma è di tutta evidenza la sostanziale coincidenza
dell’impianto urbanistico ortogonale di quest’area rispetto a quello della città
punica (D’Oriano, 2009) e romana (da ultima Pietra, c.s.), come di recente cla-
morosamente confermato dall’individuazione al di sotto dell’intero percorso di
via Romana (!) di una strada inedita appunto basolata d’età imperiale (fig. 1, 5 e
fig. 5). Una così fedele aderenza di impostazione urbanistica è di certo più diffi-
cilmente spiegabile qualora si accettasse la visione della sede della città romana
deserta o quasi nei secoli tra la fine dell’Impero e la fase giudicale.
Ulteriori elementi di continuità sono forniti dalla mai cessata attività del por-
to urbano, come s’è visto sopra, e dalla sopravvivenza dei principali luoghi di
culto delle fasi puniche e romane, ma con tutta probabilità già dell’Olbia feni-
cia e greca, nelle chiese di S. Simplicio (fig. 1, 6), S. Paolo (fig. 1, 7), S. Antonio
Abate e S. Maria del Mare8 (fig.1, 2 e 3; fig. 3, 1), sopravvivenza che presuppone
una ininterrotta esistenza anche nei casi nei quali mancano ad oggi dati sulle
fasi intermedie. In tale ambito va anche segnalato, quale ulteriore elemento
di continuità, che la strada che connetteva in antico il porto coi suoi luoghi
di culto (tempio di Asthtart/Afrodite/Venere - chiesa di S. Maria del Mare)
al santuario urbano (tempio di Melqart/Herakles/Ercole-chiesa di S. Paolo) è
ancora nel catasto De Candia del 1848 (fig. 3, 2), così come oggi (corso Umber-

Per tutte cfr. D’Oriano & Pietra, 2012 con bibl. prec. Per S. Simplicio cfr.
8

anche D’Oriano, c.s. e Pietra & Pisanu, c.s.


Olbia dal collasso della città romana al Giudicato di Gallura: 373
punti fermi e problemi aperti

to I; fig. 1, 8), la strada principale della città (D’Oriano & Pietra, 2012 p. 186;
D’Oriano, 2009 p. 383; D’Oriano, 2004 pp. 114-115).
Ancora, la situazione di bipolarismo religioso (ma non, si badi, insediativo:
cfr. infra) tra l’abitato coi suoi culti urbani e il culto suburbano martiriale di
S. Simplicio, è tipica di centri strutturati in senso urbano. A tale proposito va
segnalata la sopravvivenza fino almeno alla metà del XIX secolo (catasto De
Candia; fig. 3, 3) di una strada di connessione tra il sepolcreto dell’area di S.
Simplicio e l’abitato, anch’essa con tutta probabilità ricalcante ininterrotta-
mente un tracciato almeno d’età romana (Pietra, c.s.).
In letteratura si prospetta la possibile esistenza di una fortezza bizantina
nell’abitato altomedievale (Pinna, 2008 p. 80 con bibl. prec.). È d’obbligo se-
gnalare che finora il sottosuolo non ha restituito evidenze in merito; l’unica
struttura difensiva a me nota, oltre le mura urbiche puniche, è il circuito mu-
rario di fase giudicale, un tratto del quale è stato individuato durante inedi-
ti scavi d’emergenza all’incrocio tra le vie Garibaldi e Asproni, esattamente
ove Panedda proponeva di ubicare parte del tracciato dell’opera poliorcetica
(Panedda, 1953, pp. 42-43 e tav. fuori testo). Poiché, dai dati disponibili, ap-
pare verosimile che l’abitato altomedievale coincida con quello giudicale (cfr.
supra) di perimetro pari a 760 m (fig. 1) (Panedda, 1953 tav. fuori testo), se il
perimetro di 560 m di un’opera muraria ora non visibile fornito dall’Angius è
da riferire a questa fortezza bizantina (Pinna, 2008 p. 80, nota 429), andrebbe
chiarito il forte squilibrio tra fortezza (560 m) e abitato (760 m).
Un’ultima chiosa riguarda un’eventuale presenza araba; purtroppo di quan-
to cita lo Spano (“vestigia” di un castello di “struttura araba”, “ monete dei
Califi” e stele funerarie)9, resta solo un frammento di lastra con iscrizione
funeraria in caratteri cufici, che fu rinvenuto reimpiegato nel muro di una
casa dell’area dell’abitato medievale10 e sul quale si riscontrano in bibliografia
dati discordanti.
Un recente riesame infatti indica l’epigrafe come di possibile provenienza nor-
dafricana e paragonabile per tipologia di scrittura – anche se esecutivamente

9
Raccolta dei dati in Panedda, 1953 p. 27.
10
Che la casa nella quale era murata l’epigrafe nel 1847 fosse nel quadrilatero
del quale si è trattato sopra si desume dal fatto che solo quelle abitazioni esistevano
in Olbia ai tempi dello Spano, come mostra la già più volte citata carta catastale De
Candia del 1848.
374 Settecento-Millecento Storia, Archeo­logia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo

più rozza – a epigrafi tombali tunisine, con una cronologia al IX-X secolo11. Di
contro, in un contributo non molto precedente, la nostra epigrafe veniva data-
ta poco dopo il 1078 e definita di pietra calcarea locale12; cronologia posteriore
al 1070 e uso di “un tipo di pietra calcarea presente in Sardegna” (ma di certo
non esclusivamente in Sardegna) vengono ribadite ancora nel 2002 (Stasolla,
2002 pp. 83-84).
Certo una esecuzione più rozza del solito e l’uso di calcare locale (esistente in
territorio olbiese solo a Capo Figari e nell’Isola di Tavolara), se confermati,
potrebbero deporre a favore di una realizzazione in loco. Nell’attesa di uno
studio chiarificatore – magari con l’ausilio di analisi petrografiche – va os-
servato che quest’ultima possibilità implicherebbe una presenza insediativa
araba tanto strutturata da prevedere addirittura produzione di epigrafi fune-
rarie in lingua. In questo caso, se la cronologia dell’iscrizione andasse fissata
al IX-X secolo, dovremmo meglio pensare semplicemente ad un temporaneo
predominio arabo sul centro altomedievale, però piuttosto improbabile in ve-
rità tanto a settentrione nell’Isola in questa fase (Stasolla, 2002 p. 86). Se poi si
volesse sostenere l’esistenza solo di una piccola enclave araba nel seno dell’abi-
tato altomedievale di Fausiana, si dovrebbe supporne – forse con qualche dif-
ficoltà – anche un peso e una organizzazione tali da consentire la produzione
in loco di epigrafi in lingua. L’ipotesi di un nucleo strutturato di arabi presso
la comunità locale parrebbe invece più coerente con una cronologia dell’iscri-
zione posteriormente al 1070, stando agli analoghi casi campani e siciliani
(Stasolla, 2002 p. 86).
Qualora invece si accertasse la produzione nordafricana del manufatto, assie-
me al sottolineare la bizzarrìa di un vivente che viaggia con la propria iscri-
zione funeraria o di una famiglia che la commissiona post mortem nella lon-
tana madrepatria, va ricordato che l’attestazione di analoghe lastre funebri in
Sicilia è stata ricondotta al loro possibile riuso come semplici pesi da zavorra
di imbarcazioni; se la proposta coglie nel vero, questa spiegazione potrebbe
essere estesa anche alla nostra testimonianza olbiese, da un lato risolvendone
così l’imbarazzo e dall’altro vieppiù testimoniando l’attività portuale, aperta
anche al naviglio arabo.

11
Opinioni di M. Bernardini riferite da Pisanu, 1986 p. 498, nota 16.
12
Degioannis, s.d. p. 29. Per un refuso si fa lì riferimento alla foto n.13, mentre
l’epigrafe olbiese è la foto n. 15.
Olbia dal collasso della città romana al Giudicato di Gallura: 375
punti fermi e problemi aperti

Come si vede, appurare la cronologia dell’iscrizione e soprattutto l’origine li-


tologica del supporto, indagine di risultato più sicuro, è ormai indispensabile
per ogni discussione sull’importante documento.

La necropoli

In letteratura si incontrano proposte, espresse in forma più o meno esplicita,


che suggeriscono una dialettica insediativa bipolare tra l’abitato e una “cit-
tadella episcopale” o “polo insediativo” nel sito di S. Simplicio (Pinna, 2008
p. 77 e p. 33 con bibl. prec.) e tale “dualismo insediativo” si riproporrebbe
ancora per tutta l’ Età Giudicale (Pinna, 2008 p. 110). Mi pare utile ricordare
a tal proposito che nell’intera storia della ricerca archeo­logica olbiese gli unici
rinvenimenti non riferibili a sepolture al di là dell’abitato antico in area di ne-
cropoli sono: un lungo muro di II sec. a.C., ben distante da S. Simplicio, fun-
zionale comunque a delimitare un’area pur sempre necropolare (Pietra, 2010b
p. 15); un pozzo greco obliterato attorno al 575 a.C. nelle immediate vicinanze
della chiesa di S. Simplicio, da attribuire ad un luogo di culto già di tale fase
(D’Oriano, c.s.); le strutture murarie dell’accesso monumentale d’età flavia al
santuario di Cerere (fig. 6 in primo e terzo piano), da ubicare nel sottosuolo
della chiesa romanica quale fase cultuale precedente quella cristiana (Pietra &
Pisanu, c.s.); una fornace da calce d’età giudicale installata nello spazio della
rampa ora citata (fig. 6 in secondo piano al centro) e da correlare alle opere
edilizie della chiesa e/o da essa gestite (Pietra & Pisanu, c.s.). Sottolineo che
gli ultimi tre ritrovamenti citati sono occorsi nello scavo 2011-2012 di un’area
quasi immediatamente antistante la chiesa di S. Simplicio in direzione sud-
est, che per la sua vastità di ben 3300 mq avrebbe pur dovuto restituire – se
esistente in antico – testimonianze di questa “cittadella episcopale” o “polo
insediativo”, così come ha restituito sepolture coeve.
Allo stato quindi non si conosce alcunché di non sepolcrale nell’area di S.
Simplicio (né altrove nelle necropoli) oltre allo stesso luogo di culto nelle sue
diverse fasi e alla citata fornace.

Conclusione sul Medioevo

Le risultanze deducibili dagli elementi qui passati in rassegna si possono così


riassumere:
376 Settecento-Millecento Storia, Archeo­logia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo

l’attività portuale mostra un certo dinamismo, ma non sembra ancora para-


gonabile a quella di altri porti sardi fino alla bonifica del porto in Età Giudica-
le; è largamente plausibile la continuità di vita dell’abitato nel cuore della vec-
chia città romana; sono assenti ad oggi evidenze archeo­logiche di una fortezza
urbana bizantina; sono assenti strutture abitative, o altri elementi riferibili a
un polo insediativo o simili, presso S. Simplicio oltre al luogo di culto marti-
riale extraurbano; sembra poco probabile un dominio o una presenza di una
enclave araba

R.D’O.
Olbia dal collasso della città romana al Giudicato di Gallura: 377
punti fermi e problemi aperti

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1

Fig. 1. Olbia medievale: elementi citati nel testo (G. Puggioni).


2

Fig. 2. Telti: croce aurea altomedievale (E. Grixoni).


3

Fig. 3. Olbia nel Catasto De Candia 1848 (Archivio di Stato di Sassari).


4

Fig. 4. Olbia, via Garibaldi-via Asproni: muro di cinta giudicale (E. Grixoni).
5

Fig. 5. Olbia, via Romana: strada romana basolata (E. Grixoni).


6

Fig. 6. Olbia, San Simplicio: muri romani della rampa d’accesso al santuario di Cerere e al centro fornace
medievale (E. Grixoni).

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