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Atti
I
a cura di
Rossana Martorelli
Convegno di Studi
Volume 1.1
Cagliari - Scuola Sarda Editrice 2013
Progetto finanziato nell’ambito della Legge Regionale 7 agosto 2007, n. 7: “Promozione della
ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”. Progetti di ricerca di base
Gli articoli raccolti in questo volume sono stati sottoposti alla peer review secondo la
procedura del ‘doppio cieco’.
Collana
De Sardinia Insula. Atti e opere miscellanee, Volume 1.1
Comitato scientifico:
Rossana Martorelli, Donatella Mureddu, Cecilia Tasca, Fabio Pinna
Progetto grafico
Scuola Sarda Editrice
Copertina
Disegno di Marco Muresu
Impaginazione
Scuola Sarda Editrice
Stampa e confezione
Scuola Sarda Editrice
Via delle Serre, Residenza Le Onde
09044 Quartucciu (Ca)
Tel. 39 070 884419
Fax +39 070 8807156
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INDICE
VOLUME 1.1
Prefazione (Francesco Atzeni).............................................................................................. 9
Premessa (Sergio Milia)............................................................................................................. 11
Introduzione (Andrea Augenti)............................................................................................ 14
Il progetto
Vita e morte dei centri urbani fra ’700 e 1100: fine della città tardoantica?
VOLUME 1.2
All’origine delle sedi del potere giudicale
P. Fois & G. Spanu, Gli insediamenti rurali della Sardegna tra tarda
Antichità e alto Medioevo (V-IX secolo).............................................................. 533
D. Artizzu, Ambiente e agricoltura in Sardegna fra la fine del VII secolo
e le prime incursioni arabe. Il caso di Sinnai (CA) tra fonti e archeo
logia............................................................................................................................................. 553
D. Salvi & A.L. Sanna, Frequentazioni altomedievali nel Barigadu: il
templum Iovis di Bidonì................................................................................................ 571
E. Trudu, Il territorio della Sardegna centro-orientale: la continuità di
frequentazione dall’età romana fino all’VIII-IX secolo............................. 605
F. Sanna, Cultura artistica rupestre di età bizantina nel nord Sardegna:
i casi di Oschiri e Mores................................................................................................. 631
Indicatori cronologici e socio-economici dalla cultura materiale
M. Vidili, Per una mappa ecclesiastica della Sardegna dal V all’XI seco-
lo.................................................................................................................................................... 835
D. Salvi, P. Fois, San Saturnino: specchio di una società multiculturale
fra IX e X secolo................................................................................................................... 853
E. Curreli, Riflessi iconografici della religiosità: status quaestionis sul-
la pittura in Sardegna fra VIII e XI secolo......................................................... 881
N. Usai, La decorazione pittorica della cripta di San Lussorio a Fordon-
gianus......................................................................................................................................... 901
A. Pala, Il bisso sardo nei paramenti pontificali di Leone IV (847-855).... 933
Il punto di non ritorno per Olbia romana è la conquista vandala (Pietra, 2006;
Pietra, 2008), in seguito alla quale si porta a compimento un processo di deca-
dimento e crisi che affonda le sue radici già nel III secolo.
Nel corso del III secolo si rileva un incremento dell’impegno dell’economia
366 Settecento-Millecento Storia, Archeologia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo
1
In particolare le costituzioni sul ricongiungimento delle famiglie degli schiavi
in Sardegna e sul cursus publicus Cod. Theod., II,25,1; VIII,5,1; VIII, 5,16. Meloni, 1990
pp. 209-216.
Olbia dal collasso della città romana al Giudicato di Gallura: 367
punti fermi e problemi aperti
G.P.
2
CIL X 7975-7976; Mastino, 1996 n. 2, p. 78 e n. 45, p. 81; Zucca, 1994 p. 911,
nn. 131 e 133; Pietra, 2010a pp. 1849-1852. IL Sard I, 310; Mastino, 1996 n. 3, p. 78;
Zucca, 1994 p. 911, n. 130.
368 Settecento-Millecento Storia, Archeologia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo
Come è ben noto al lettore, non sono uno specialista di Medioevo, e tuttavia
il ruolo istituzionale di archeologo responsabile (anche) per Olbia in seno alla
Soprintendenza per i Beni Archeologici mi mette nella condizione di dispor-
re di dati, derivanti da rinvenimenti inediti o da studi editi sì ma forse non
ampiamente circolanti in questo settore di studi, che credo utili per le fasi
postromane della città e del suo territorio. Ritengo perciò che sia mio dovere,
in spirito di servizio, porgere tali dati ai colleghi di me più versati nello studio
della Sardegna medievale, che quindi meglio di me hanno saputo e sapranno
fornire un quadro globale, quadro che programmaticamente rinuncio perciò
a tracciare, limitandomi a procedere per punti e per problemi, quelli sui quali
appunto i dati di cui dispongo possono gettare una qualche luce.
Il compito è peraltro facilitato ora, per un non specialista in questo campo, dal
fondamentale volume di Fabio Pinna (Pinna, 2008) che ha, tra gli altri pregi,
il merito di fornire, accanto a importanti riflessioni dell’Autore, il quadro glo-
bale delle pregresse posizioni su varie questioni con la relativa bibliografia.
Poiché pertanto ad esso solo farò spesso riferimento per non moltiplicare i
rimandi bibliografici, è bene chiarire che, nei casi di mie differenti posizioni,
non sempre la divergenza è nei confronti dell’Autore ma più spesso dalle opi-
nioni di altri studiosi che egli, per lodevole completezza, ricorda nei passi della
sua opera da me citati.
Il porto
deponente transitivo non tollera alternative alla traduzione (alla lettera) “Ol-
bia abbraccia l’ altra parte (della flotta) con un muro litoraneo”. Quanto all’i-
dentificazione del litoreo muro che complectitur le navi, non è assolutamente
possibile vedervi una qualsivoglia parte delle mura urbiche, per il semplice
motivo che non cingono alcuno specchio d’acqua, come si evince chiaramente
da una qualsiasi delle moltissime planimetrie del loro percorso edite in svaria-
tissimi contributi dal Panedda in qua (fig. 1). L’unica interpretazione possibile
e plausibile, allo stato, è quella di vedervi il settore settentrionale del porto
urbano, l’unico in attività nel IV sec. d.C., alla cui conformazione ad arco,
data dalla linea di costa e dalla diga che in antico la connetteva all’attuale Isola
Peddone (fig. 1,1), ben si addice l’uso del verbo complecti (D’Oriano, 2002 pp.
1258-1259). Rinvenimenti inediti posteriori allo scavo del porto hanno poi
confermato che la parte della linea di costa ortogonale al senso di ormeggio
delle navi, all’epoca non interessata dallo scavo e perciò prudentemente dise-
gnata nelle planimetrie ricostruttive come sabbiosa (D’Oriano, 2002 p. 1252,
fig. 3) benché già da allora sospettata in muratura (D’Oriano, 2002 p. 1258),
era appunto in realtà un molo in blocchi, dando così giustificazione ad abun-
dantiam all’identificazione del litoreo muro con quel tratto del porto.
Quanto alla funzionalità e attività del porto urbano nel Medioevo, mi pare
utile precisare alcuni dati.
Le importazioni, come richiamato sopra da G. Pietra, subiscono un netto ri-
dimensionamento nel V secolo fin quasi ad esaurirsi entro la metà del succes-
sivo. I materiali oltremarini di spicco noti per le fasi successive, quali l’encol-
pion (Pinna, 2008 p. 66 e ss.) e la croce d’oro di Telti (fig. 2) (Sanciu, 2006),
da attribuire verosimilmente all’attività portuale urbana, o la Forum Ware e
la pietra ollare dal porto (Rovina, 2012), o le tre brocche di bronzo al Museo
Archeologico di Cagliari (Pani Ermini & Marinone, 1981 pp. 86-87, nn 127-
129) o un inedito frammento di croce metallica, del tutto simile a quella aurea
di Telti, rinvenuto fuori tomba nei livelli occupati da sepolture altomedievali
attorno a S. Simplicio3 non sono certo pervenuti in splendida solitudine, ben-
sì su imbarcazioni delle quali ovviamente non costituivano il carico princi-
pale. Tuttavia il panorama ad oggi noto (nell’attesa dello studio dei reperti
postromani dello scavo del porto)4 non mi pare che possa ancora autorizzare
3
Per una notizia sul recentissimo scavo cfr. Pietra & Pisanu, c.s.
4
Più volte, e senza esito, segnalati da almeno un decennio come disponibili
370 Settecento-Millecento Storia, Archeologia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo
a ritenere considerevoli questi flussi, almeno non rispetto alla fase olbiese pre-
cedente o a quella coeva di altre città portuali sarde. Fino al recupero di piena
funzionalità del porto urbano grazie all’opera di colmata-bonifica promossa
in età giudicale nel clima del rapporto con Pisa necessaria ad attingere livelli
di fondale di maggiore pescaggio per oltrepassare le quote rese inagibili – per
navi di una certa importanza – dai relitti affondati durante l’attacco dei Van-
dali5 e dal fango che essi trattenevano (D’Oriano, 2002), è probabile che al
porto si accedesse solo con barche piccole e a fondo piatto o quasi, come quelle
utilizzate per fare massa nella colmata “pisana”, datate attorno al X secolo
(D’Oriano et al., 2012 pp. 134-137)6 e di probabile costruzione locale (le specie
legnose emerse dall’analisi sono compatibili con la Gallura: D’Oriano et al.,
2012 pp. 134-137) che eventualmente effettuassero il trasbordo delle merci da
imbarcazioni maggiori sostanti alla fonda altrove (D’Oriano et al., 2012 p.
140)7. Che questo settore del porto fosse l’unico approdo urbano allora in uso
è indicato dall’abbandono del fronte portuale sud-occidentale in età neronia-
no-vespasianea (D’Oriano, 2002 p. 1255) e dal fatto che fu realizzata qui, e
non altrove, un’opera di bonifica tanto impegnativa da lasciare memoria fino
al ’700, che si sarebbe certo evitata se fossero esistiti nelle vicinanze approdi
alternativi adeguati (D’Oriano, 2002 pp. 1261-1262).
L’abitato
Circa la continuità di vita dell’abitato altomedievale nel sito della città roma-
na, pur se di estensione certo minore di essa, rispetto all’ipotesi di Panedda di
una dislocazione nella località più interna di Pasana a scopo difensivo, ormai
mi pare si registri un generale consenso. Ritengo tuttavia utile riprendere, sia
pur brevemente, alcuni argomenti a favore o poco noti o poco valorizzati o
derivanti da ritrovamenti inediti.
Già fortissimi dubbi possono avanzarsi sull’esistenza di un abitato altomedie-
vale in loc. Pasana, sostenuta – in assenza di qualsiasi rinvenimento archeo
logico postromano, come riconosceva lo stesso Panedda (Panedda, 1953 p.
26) – solo sull’assonanza Pasana/Fausiana-Fausania e sulla possibile presenza
in loco di una chiesa forse precedente il XVI sec. intitolata a un culto di ori-
gine bizantina come quello di S. Michele (Panedda, 1991 p. 449, n. 1555 con
bibl. prec.), quando nulla dimostra che in Sardegna dopo l’Altomedioevo si sia
perso l’uso di dedicare templi a figure religiose di lontana origine bizantina.
La località di Pasana è un modestissimo rilievo (m 63 slm nel punto più alto) a
soli 4 km in linea d’aria da Olbia, dalla quale lo separa uno spazio pianeggian-
te: non si vede quindi quali garanzie di tutela il sito avrebbe offerto rispetto
a chiunque sbarcasse indisturbato nel porto (ben altre, e non per caso, sono
infatti le caratteristiche topografiche in termini strategici e le evidenze strut-
turali della fortezza di tipologia bizantina di Sa Paulazza: Amucano, 1996),
per non dire che, appunto, il sito da presidiare e non già da abbandonare è – al
contrario – proprio l’approdo, vera e propria porta del territorio di Olbia e
dell’intera Sardegna nordorientale almeno dall’Età del Rame.
In altre parole, insomma, così come non si rinuncia a terreni di straordinaria
fertilità quali quelli vulcanici “solo” perché periodicamente teatro di disastri
anche immani (per esempio le pendici del Vesuvio) o così come non si ri-
nuncia a ripristinare fortezze e roccaforti anche se hanno subìto conquiste o
sfortunati assedi, chi rinuncerebbe al controllo diretto di uno degli approdi
naturali più straordinari dell’intero Mediterraneo solo perché se ne è dimo-
strata in precedenza la violabilità? Al contrario, l’esperienza negativa detterà
migliori accorgimenti per una più salda difesa.
È da mettere poi in valore la testimonianza giurata di un anziano terranovese
del XVII secolo (Panedda, 1991 p. 449), che accenna ad una tradizione secon-
do la quale le chiese di S. Antonio Abate e S. Maria del Mare, esistenti fino alla
372 Settecento-Millecento Storia, Archeologia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo
fine del XIX secolo sul fronte del porto (fig. 1, 2 e 3; fig. 3, 1) (D’Oriano, 2004),
erano un tempo “dentro de la antica città di Pausania”, nota corruzione di
Fausania (Panedda, 1991 p. 449).
Il fatto che le necropoli e le tombe isolate tardo antiche presenti nel precedente
tessuto urbano romano “ritagliano” uno spazio (Pietra, 2008 p. 1754, fig. 2)
che corrisponde a quello della città giudicale come correttamente individuato
da Panedda (1978 pp. 314-315) nel quadrilatero racchiuso grossomodo dalle
odierne vie Asproni/Piccola/Cavour/Porto Romano/delle Terme (fig. 1) – pro-
posta confermata dal rinvenimento di un tratto delle mura di cinta medievali
tra le vie Garibaldi e Asproni (fig.1, 4 e fig. 4) esattamente dove le ipotizzava
Panedda, 1953 tav. fuori testo (cfr. infra) – lascia supporre agevolmente una
continuità abitativa e spaziale ininterrotta.
Alcuni degli isolati e delle strade odierni di quest’area risalgono almeno al
XVIII e XVII secolo, come testimoniato anche dagli architravi di alcune case
recanti la data di edificazione, ma è di tutta evidenza la sostanziale coincidenza
dell’impianto urbanistico ortogonale di quest’area rispetto a quello della città
punica (D’Oriano, 2009) e romana (da ultima Pietra, c.s.), come di recente cla-
morosamente confermato dall’individuazione al di sotto dell’intero percorso di
via Romana (!) di una strada inedita appunto basolata d’età imperiale (fig. 1, 5 e
fig. 5). Una così fedele aderenza di impostazione urbanistica è di certo più diffi-
cilmente spiegabile qualora si accettasse la visione della sede della città romana
deserta o quasi nei secoli tra la fine dell’Impero e la fase giudicale.
Ulteriori elementi di continuità sono forniti dalla mai cessata attività del por-
to urbano, come s’è visto sopra, e dalla sopravvivenza dei principali luoghi di
culto delle fasi puniche e romane, ma con tutta probabilità già dell’Olbia feni-
cia e greca, nelle chiese di S. Simplicio (fig. 1, 6), S. Paolo (fig. 1, 7), S. Antonio
Abate e S. Maria del Mare8 (fig.1, 2 e 3; fig. 3, 1), sopravvivenza che presuppone
una ininterrotta esistenza anche nei casi nei quali mancano ad oggi dati sulle
fasi intermedie. In tale ambito va anche segnalato, quale ulteriore elemento
di continuità, che la strada che connetteva in antico il porto coi suoi luoghi
di culto (tempio di Asthtart/Afrodite/Venere - chiesa di S. Maria del Mare)
al santuario urbano (tempio di Melqart/Herakles/Ercole-chiesa di S. Paolo) è
ancora nel catasto De Candia del 1848 (fig. 3, 2), così come oggi (corso Umber-
Per tutte cfr. D’Oriano & Pietra, 2012 con bibl. prec. Per S. Simplicio cfr.
8
to I; fig. 1, 8), la strada principale della città (D’Oriano & Pietra, 2012 p. 186;
D’Oriano, 2009 p. 383; D’Oriano, 2004 pp. 114-115).
Ancora, la situazione di bipolarismo religioso (ma non, si badi, insediativo:
cfr. infra) tra l’abitato coi suoi culti urbani e il culto suburbano martiriale di
S. Simplicio, è tipica di centri strutturati in senso urbano. A tale proposito va
segnalata la sopravvivenza fino almeno alla metà del XIX secolo (catasto De
Candia; fig. 3, 3) di una strada di connessione tra il sepolcreto dell’area di S.
Simplicio e l’abitato, anch’essa con tutta probabilità ricalcante ininterrotta-
mente un tracciato almeno d’età romana (Pietra, c.s.).
In letteratura si prospetta la possibile esistenza di una fortezza bizantina
nell’abitato altomedievale (Pinna, 2008 p. 80 con bibl. prec.). È d’obbligo se-
gnalare che finora il sottosuolo non ha restituito evidenze in merito; l’unica
struttura difensiva a me nota, oltre le mura urbiche puniche, è il circuito mu-
rario di fase giudicale, un tratto del quale è stato individuato durante inedi-
ti scavi d’emergenza all’incrocio tra le vie Garibaldi e Asproni, esattamente
ove Panedda proponeva di ubicare parte del tracciato dell’opera poliorcetica
(Panedda, 1953, pp. 42-43 e tav. fuori testo). Poiché, dai dati disponibili, ap-
pare verosimile che l’abitato altomedievale coincida con quello giudicale (cfr.
supra) di perimetro pari a 760 m (fig. 1) (Panedda, 1953 tav. fuori testo), se il
perimetro di 560 m di un’opera muraria ora non visibile fornito dall’Angius è
da riferire a questa fortezza bizantina (Pinna, 2008 p. 80, nota 429), andrebbe
chiarito il forte squilibrio tra fortezza (560 m) e abitato (760 m).
Un’ultima chiosa riguarda un’eventuale presenza araba; purtroppo di quan-
to cita lo Spano (“vestigia” di un castello di “struttura araba”, “ monete dei
Califi” e stele funerarie)9, resta solo un frammento di lastra con iscrizione
funeraria in caratteri cufici, che fu rinvenuto reimpiegato nel muro di una
casa dell’area dell’abitato medievale10 e sul quale si riscontrano in bibliografia
dati discordanti.
Un recente riesame infatti indica l’epigrafe come di possibile provenienza nor-
dafricana e paragonabile per tipologia di scrittura – anche se esecutivamente
9
Raccolta dei dati in Panedda, 1953 p. 27.
10
Che la casa nella quale era murata l’epigrafe nel 1847 fosse nel quadrilatero
del quale si è trattato sopra si desume dal fatto che solo quelle abitazioni esistevano
in Olbia ai tempi dello Spano, come mostra la già più volte citata carta catastale De
Candia del 1848.
374 Settecento-Millecento Storia, Archeologia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo
più rozza – a epigrafi tombali tunisine, con una cronologia al IX-X secolo11. Di
contro, in un contributo non molto precedente, la nostra epigrafe veniva data-
ta poco dopo il 1078 e definita di pietra calcarea locale12; cronologia posteriore
al 1070 e uso di “un tipo di pietra calcarea presente in Sardegna” (ma di certo
non esclusivamente in Sardegna) vengono ribadite ancora nel 2002 (Stasolla,
2002 pp. 83-84).
Certo una esecuzione più rozza del solito e l’uso di calcare locale (esistente in
territorio olbiese solo a Capo Figari e nell’Isola di Tavolara), se confermati,
potrebbero deporre a favore di una realizzazione in loco. Nell’attesa di uno
studio chiarificatore – magari con l’ausilio di analisi petrografiche – va os-
servato che quest’ultima possibilità implicherebbe una presenza insediativa
araba tanto strutturata da prevedere addirittura produzione di epigrafi fune-
rarie in lingua. In questo caso, se la cronologia dell’iscrizione andasse fissata
al IX-X secolo, dovremmo meglio pensare semplicemente ad un temporaneo
predominio arabo sul centro altomedievale, però piuttosto improbabile in ve-
rità tanto a settentrione nell’Isola in questa fase (Stasolla, 2002 p. 86). Se poi si
volesse sostenere l’esistenza solo di una piccola enclave araba nel seno dell’abi-
tato altomedievale di Fausiana, si dovrebbe supporne – forse con qualche dif-
ficoltà – anche un peso e una organizzazione tali da consentire la produzione
in loco di epigrafi in lingua. L’ipotesi di un nucleo strutturato di arabi presso
la comunità locale parrebbe invece più coerente con una cronologia dell’iscri-
zione posteriormente al 1070, stando agli analoghi casi campani e siciliani
(Stasolla, 2002 p. 86).
Qualora invece si accertasse la produzione nordafricana del manufatto, assie-
me al sottolineare la bizzarrìa di un vivente che viaggia con la propria iscri-
zione funeraria o di una famiglia che la commissiona post mortem nella lon-
tana madrepatria, va ricordato che l’attestazione di analoghe lastre funebri in
Sicilia è stata ricondotta al loro possibile riuso come semplici pesi da zavorra
di imbarcazioni; se la proposta coglie nel vero, questa spiegazione potrebbe
essere estesa anche alla nostra testimonianza olbiese, da un lato risolvendone
così l’imbarazzo e dall’altro vieppiù testimoniando l’attività portuale, aperta
anche al naviglio arabo.
11
Opinioni di M. Bernardini riferite da Pisanu, 1986 p. 498, nota 16.
12
Degioannis, s.d. p. 29. Per un refuso si fa lì riferimento alla foto n.13, mentre
l’epigrafe olbiese è la foto n. 15.
Olbia dal collasso della città romana al Giudicato di Gallura: 375
punti fermi e problemi aperti
La necropoli
R.D’O.
Olbia dal collasso della città romana al Giudicato di Gallura: 377
punti fermi e problemi aperti
BIBLIOGRAFIA
Zucca, R. 1994. Il decoro urbano delle civi- convegno di studio su L’Africa Romana
tates Sardiniae et Corsicae: il contributo (Oristano, 11-13 dicembre 1992). Sassa-
delle fonti letterarie ed epigrafiche. In ri: Editrice Archivio Fotografico Sardo,
A. Mastino & P. Ruggeri eds., Atti del X pp. 857-935.
1
Fig. 4. Olbia, via Garibaldi-via Asproni: muro di cinta giudicale (E. Grixoni).
5
Fig. 6. Olbia, San Simplicio: muri romani della rampa d’accesso al santuario di Cerere e al centro fornace
medievale (E. Grixoni).