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ET

LEZIONE 1. introduzione, Modulazione FM. ..................................................................................... 3


LEZIONE 2. Presentazione programma .............................................................................................. 6
LEZIONE 3. (L’amplificatore: analisi lineare e non lineare) .............................................................. 8
LEZIONE 4. Compressione, moltiplicatore di frequenza, filtri antirisonanti, rumore. ..................... 18
LEZIONE 5. Rumore Flicker e burst, rumore in ingresso, figura di rumore, circuiti in cascata. ..... 28
LEZIONE 6. fattore di rumore e sua minimizzazione in un BJT ..................................................... 32
LEZIONE 7. linee di trasmissione, trasporto, Coefficiente di rifl., Return loss, Ros ....................... 39
LEZIONE 8. Adattamento, fattore Q, Coefficiente di riflessione, carta di Smith. ............................ 44
LEZIONE 9. Carta di Smith, Filtri LNA ........................................................................................... 54
LEZIONE 10. Parametri di qualità di un LNA, Moltiplicatore, Cella di Gilbert .............................. 61
LEZIONE 11. mixer reiezione di immagine e sfasatore. .................................................................. 70
LEZIONE 12. Moltiplicatore, oscillatore .......................................................................................... 76
LEZIONE 13. Oscillatori. .................................................................................................................. 79
LEZIONE 14. VCO, Filtri. ................................................................................................................ 86
LEZIONE 15. Filtri. ........................................................................................................................... 91
LEZIONE 16. Filtri, Capacità commutate. ........................................................................................ 98
LEZIONE 17. PPL ........................................................................................................................... 103
LEZIONE 18. PLL........................................................................................................................... 111
LEZIONE 19. PLL: cattura e mantenimento. .................................................................................. 115
LEZIONE 20. Demodulatore del PLL, Convertitori A/D, frequenza Niquist. ................................ 123
LEZIONE 21. Campionamento, quantizzazione. ............................................................................ 129
LEZIONE 22. Criticità del campionamento reale ........................................................................... 137
LEZIONE 23. Errori di quantizzazione ........................................................................................... 142
LEZIONE 24. Convertitori D/A modelli a confronto ...................................................................... 146
LEZIONE 25. Modelli convertitori D/A 2 ...................................................................................... 151
LEZIONE 26. Introduzione agli amplificatori di potenza ............................................................... 158
LEZIONE 27. Amplificatori di Classe A, Classe B, Classe AB ..................................................... 160
LEZIONE 28. Amplificatori di Classe C ........................................................................................ 167
LEZIONE 29 (adattamento amplificatori di classe C, Classe E).................................................... 174
LEZIONE 1. introduzione, Modulazione FM.
Telecomunicazione: comunicazione a distanza (parola composta da un elemento greco “tele” che
significa lontano e da uno latino “comunicare” che significa condividere).
Ambito di studio: ricezione e trasmissione del segnale elettromagnetico prescindendo dal canale di
trasmissione (etere, linea elettrica, fibra ottica). Ci concentriamo su oggetti (radio o cellulare) che
trasmettono e ricevono attraverso antenne un segnale che viaggia nell’area.
Il segnale in ingresso viaggia frequenze di gigaherz. Per poterne estrarre l’informazione contenuta
deve essere manipolato.
Innanzitutto captato in maniera selettiva in modo da discernere fra tutti i segnali in viaggio nella
zona di ricezione dell’antenna quello di interesse.
Nota storica: la prima trasmissione radio fu realizzata da Marconi che utilizzando onde a bassa
frequenza ed elevata lunghezza d’onda sfruttava l’effetto rimbalzo della troposfera per comunicare
tra zone della terra non a vista.
Successivamente la ricerca cercò di implementare altre forme di codificazione dell’informazione
passando dalla comunicazione in modulazione di ampiezza, AM, l’informazione con relativa
limitazione dei canali trasmissibili e limitazione della distanza di comunicazione. Con la FM è
possibile sfruttare lo stesso canale per più messaggi contemporaneamente.
Approfondiremo la comunicazione AM ed FM come ambito paradigmatico degli altri processi
comunicativi (GSM, satellitare..). In tutti i casi l’articolazione tecnologica dello strumento di
ricezione/trasmissione è lo stesso. Varia la frequenza di trasmissione che ad esempio è:
˗ 87-108 MHz per le onde radio FM
˗ 2,5 Giga Hz per i GSM
˗ 10 GigaHz per la comunicazione satellitare

Modulazione FM

Nella modulazione FM il segnale trasmesso subisce continue variazioni di frequenza dovute alla
modulante.
Apparentemente dalla formula di un processo di modulazione sembrerebbe che a variare sia la fase
piuttosto che la frequenza. In realtà la frequenza è la derivata della fase e ad una variazione della
legge che caratterizza la fase corrisponde una variazione della frequenza. La variazione della
frequenza è analiticamente la derivata della variazione della fase.

 t

ut   Ac cos 2 fct  2 kf  mt d 
Ampiezza Portante
 0 
Frequenza Portante Segnale modulato
Constante di Modulazione
Per comprendere meglio la formula appena espressa si può partire dalla definizione di frequenza
istantanea di un segnale modulato in frequenza che si può scrivere come

f i (t )  f c  k f m(t ) , dove:

 k f è una costante che viene detta fattore di sensibilità in frequenza del modulatore
 m(t) è il segnale modulante
 f c è la frequenza della portante non modulata

La fase istantanea del segnale modulato si può scrivere come:

t t
 i (t )  2  f i ( )d  2f c t  2k f  m( )d
0 0

In definitiva il segnale modulato avrà quindi proprio la forma Ac cos 2f c t  2k f  m( )d  o
t

 0 
equivalentemente: Ac cos 2  f c  f t   0  con f variazione della frequenza introdotta dalla
modulazione proporzionale a m(t)

Comunicazione stereofonica

La comunicazione in FM consente una ottimizzazione dell’impiego della banda passante


disponibile. Questa viene anche utilizzata per trasmettere segnali stereofonici grazie ad un
procedimento di multiplexing che permette di manipolare i segnali relativi ai due canali della
stereofonia e di trasmetterli sotto forma di un segnale di somma (sinistro + destro) e un segnale di
differenza (sinistro - destro). Il segnale di differenza viene traslato con un particolare procedimento
al di sopra della banda udibile. In questa maniera si ha la compatibilità con i ricevitori monofonici
che riproducono il solo segnale di somma, mentre i ricevitori stereofonici riescono a rigenerare gli
originali segnali stereo.

F{m(t)} Tono
L+R pilota L-R RDS

15 19 23 38 53 57 f, KHz

Nella figura i contenuti denominati RS in trasmessi in alta frequenza corrispondono alle


informazioni digitali associate alla trasmissione del canale radiofonico (immagino quelle che
consentono alla radio di visualizzare sul display il nome del canale captato).
Rapporto distanza/bitrate sistemi di telecomunicazione a confronto

Le differenti famiglie tecnologiche nell’ambito delle telecomunicazioni possono essere classificate


in base alle distanze che riescono a coprire e alla velocità di bitrate che possono garantire.

Il 3 G garantisce elevato bitrate perché utilizza 3 canali contemporaneamente.


Il sistema GPS lavora su grandi distanze ma si limita a comunicare i pochi dati inerenti
l’identificazione del satellite e l’orario di trasmissione in modo che, incrociando le informazioni di
4 satelliti (3 per la localizzazione sulla superficie sferica supposta piatta ed uno per l’altimetria).
LEZIONE 2. Presentazione programma
Schema di radiotrasmettitore

Nel nostro corso fra tutti, possibili strumenti di rice-trasmissione, concentreremo l’attenzione su un
sistema radiofonico a medie frequenze.
Dall’immagine è abbastanza immediato osservando la direzione delle frecce individuare due
principali sub - articolazioni dedicate appunto alla ricezione e alla trasmissione.
I simboli dei blocchi presenti in ciascuna delle due sub articolazioni, pur identici, identificano
sistemi circuitali completamente differenti a seconda che operino in trasmissione o in ricezione. I
due blocchi sono progettati in modo completamente autonomo l’uno dall’altro.
I differenti colori utilizzati (trasversali alle due articolazioni principali) identificano la frequenza di
lavoro. Nella modulazione FM si trasmette un segnale che nasce nell’intervallo fra 5 e 20KHz , ma
che viene trasmesso e ricevuto nell’ambito dei Mega Hz per poi tornare alla frequenza media dei 10
KHz. Per ogni range di frequenza i dispositivi assumono configurazioni peculiari impiegando
dispositivi e materiali differenti.

Il cuore del sistema è il PLL. Una fra le principali evoluzioni in ambito radiofonico è stata
l’introduzione della ricezione a supereterodina che ha consentito l’ottimizzazione di impiego della
banda di trasmissione e l’aumento di canali. Un ulteriore evoluzione altrettanto importante è stata
l’introduzione della codifica digitale.

Le due sub-articolazioni principali funzionano in modo alternato. La frequenza di alternanza è


inferiore alla soglia di discontinuità percepita dall’orecchio umano e viene gestita da un elettronica
dedicata che switcha in continuazione il collegamento all’antenna fra le due articolazioni.
In trasmissione l’intensità e la qualità del mio segnale dipende dal mio sistema. In ingresso il
segnale sarà condizionato dalle condizioni ambientali di ricezione. Può determinarsi, ad esempio, il
fenomeno del FAILING: il segnale in arrivo è la sommatoria di repliche dello stesso segnale che,
rimbalzando sugli ostacoli frapposti tra emittente e ricevente, seguono percorsi e distanze differenti,
giungendo in tempi diversi al ricevente configgendo fra loro.
LNA
Il segnale in ingresso di solito ha potenza molto piccola (nel caso della comunicazione GSM il
satellite trasmette un segnale che parte a 10 watt e percorre migliaia di km abbatendosi in ragione
del quadrato della distanza).
Il segnale captato dovrà quindi essere amplificato. E’ necessario, però, che il circuito dedicato non
produca rumore elettronico che rischierebbe di rendere inintellegibile un segnale cosi debole. Allo
scopo vengono impiegati gli LNA (Low Noise Amplifier). Tali dispositivi oltre a non caricare il
segnale di rumore aggiuntivo devono avere ampia dinamica: adattarsi alla potenza in ingresso in
condizioni di vicinanza o lontananza dall’antenna trasmittente (nel caso di un ricevente in
movimento).
Segue presentazione sintetica dei dispositivi che caratterizzano il circuito ricetrasmittente e che
costituiscono i vari argomenti del programma:
˗ Amplificatori con transistori
˗ Rumore nei sistemi elettronici
˗ Oscillatori
˗ Mixer
˗ Filtri Attivi
o Di rilievo solo l’accenno alla differenza di implementazione di filtri in alta frequenza
(che non tratteremo e che di solito consistono in filtri risonanti) ed in bassa frequenza.
Questi ultimi lavorando a frequenze più basse, per mantenere un fattore di qualità Q
elevato devono avvalersi di dispositivi ad elevata induttanza. Utilizzeremo un
circuito con operazionale che garantisce elevate prestazioni da induttore senza
richiedere ingombri particolari.
˗ Carta di Smith
˗ Adattamenti
˗ PLL
˗ Conversione Analogica/Digitale
˗ Simulatori
LEZIONE 3. (L’amplificatore: analisi lineare e non lineare)

Analisi del funzionamento di un circuito di amplificazione a singolo resistore


Dalla polarizzazione (analisi statica) all’analisi in frequenza (analisi dinamica)

IB
b IB
B C

Nella figura osserviamo una possibile rappresentazione schematizzata del circuito in funzionamento
statico. Si assume la polarizzazione del transistore in regione attiva diretta (VBE > 0,6V e VBC < 0V ):
il diodo rappresenta la caduta di tensione tra base ed emettitore ed il generatore costante di corrente
comandato in corrente esemplifica una delle caratteristiche salienti del funzionamento statico del
transistore. Il BJT si comporta come generatore di corrente: iniettando una corrente in base ne
scorrerà un’altra beta ( = guadagno di corrente ad emettitore comune in forward-diretta) volte più
grande fra collettore ed emettitore

Analisi circuito per piccolo segnale (approfondendo la simbologia delle slide del prof)

Analizziamo il comportamento dell’amplificatore schematizzandolo in termini di doppio bipolo:

Una possibilità è, ad esempio, data dallo scegliere come variabili indipendenti v 1 ed i2 mentre come
variabili dipendenti v2 ed i1. In tal caso i coefficienti della matrice di legame hanno dimensioni che
possono essere sia di impedenze, sia di ammettenze, sia numeri puri. Per questa ragione tali
coefficienti vengono definiti ibridi (hybrid) ed indicati con la lettera “h”:
Applicando tale schematizzazione alle tre possibili configurazioni per i
circuiti a transistori, emettitore comune (CE), base comune (CB), collettore comune (CC), si hanno
tre distinte possibilità di definizione del set dei parametri ibridi. Si adotta quindi la convenzione di
porre due pedici di identificazione dei parametri h, il primo col significato di designare il tipo di
legame:
˗ “i” (input) ossia tra le due grandezze di ingresso
˗ “o” (output) ossia tra le due grandezze di uscita
˗ “f” (forward) ossia una grandezza di uscita rispetto ad una grandezza di ingresso
˗ “r” (reverse) ossia una grandezza di ingresso rispetto ad una grandezza di uscita

il secondo pedice con il significato di designare il tipo di configurazione circuitale:


˗ “e” (emitter) valido per la connessione ad emettitore comune
˗ “b” (base) valido per la connessione a base comune
˗ “c” (collector) valido per la connessione a collettore comune

Nel caso particolare della tipologia del circuito ad emettitore comune, per la quale:

Dalla definizione stessa dei parametri ibridi può essere ricavato il circuito equivalente di un
transistore. Nel caso della tipologia ad emettitore comune, ad esempio, per la quale valgono le
relazioni riportate nella prima equazione del sistema, la tensione di ingresso vbe è pari alla somma
delle tensioni hie ib ed hre vce, che formano perciò delle tensioni poste in serie. La corrente di uscita ic
è pari invece alla somma delle due correnti hfeib ed hoevce, che formano perciò il parallelo di correnti.

Trascurando gli apporti di hre vce e hoevce si ottiene il modello per piccolo segnale proposto dalle
slide del prof
Con D’Aliento, invece il nostro modello assumeva queste altre nomenclature:

Per un rapido confronto fra i due modelli si evince che


hie = r
hfeib = gmV

A ben vedere hfe corriponde proprio al parametro  (guadagno di corrente ad emettitore comune).
Parametro a cui, invece gm è legata attraverso la relazione:  = gm  r

Determinazione del punto di lavoro;


Sia per motivi legati ai margini di errore nel processo teconologico di produzione dei transistor che
per la forte dipendenza del funzionamento di questi ultimi dalle condizioni ambientali è preferibile
attuare schemi circuitali che rendano più controllabile il punto di lavoro dell’amplificatore.
Un circuito a quattro resistori mi consente di sganciarmi dalla dipendenza dai parametri ibridi in
continua del circuito (o equivalentemente dal parametro )
Applicando il teorema di Thevenin alla maglia che comprende base ed emettitore si ottiene la
resistenza equivalente RB come parallelo R1//R2 mentre la tensione V si ottiene con il partitore:
R2
VBB  VCC
R1  R2

Ricordando che
I E  IC
I
IB = C

VE  RE I E
Valutando la maglia si ottiene che
V  VBE  VE
I B  BB ovvero:
RB
I C VBB  VBE  I E RE V  VBE
  I E  BB
 RB R
RE  B

RB
Con la condizione che RE sia >> e che VBB >> VBE

VBB
ottengo che: I E  !
RE
Ovvero la corrente di emettitore non dipende in alcun modo dai parametri del transistor.
In generale si dimostra che rispettando i seguenti parametri di dimensionamento del circuito:
˗ rispetto alle variazioni di VBE all’aumentare del valore di VBB (determinato dal partitore di
ingresso)
˗ rispetto alle variazioni di guadagno di corrente hfe (  ) aumentando il rapporto I1/IB
(di solito valori indicativi di progetto sono:1/20 VCC < VE <1/5 VCC e 10 IB < I1 < 100 IB)
il punto di lavoro non dipende dal transistor impiegato ma dalle resistenze (molto più facilmente
controllabili) che lo circondano.

Funzione delle capacità inserite nel circuito amplificativo


Mentre C1 e C2 (capacità poste in serie al circuito in ingresso ed in uscita) hanno anche funzione di
garantire il funzionamento statico previsto isolando (a frequenze nulle) l’amplificatore dal resto del
circuito, la capacità CE serve a modificare il valore della resistenza presente in emettitore al variare
della frequenza. Sperimentammo con D’Aliento che l’introduzione della capacità CE determinava
una frequenza di taglio superiore (altrimenti non definita), l’incremento del guadagno e l’aumento
della frequenza di taglio inferiore (cfr. terza esercitazione)
Condizione di linearizzazione per il funzionamento a piccolo segnale
(utilizzando la nomenclatura di D’Aliento)

La relazione che lega corrente di collettore a tensione base emettitore in regione attiva diretta è :
v BE VBE  vbe VBE vbe vbe

iC = I S e VT
 ISe  ISe e  I e
VT VT VT *
C
VT

Ricordando che e  x  1 per x<<1 la condizione di linearizzazione della precedente relazione è


x

v
che be  1  vbe  VT (ovvero 25mV a temperatura ambiente) in modo tale che la relazione
VT
possa essere riscritta:
v  I*
iC = I C*  be  1  I C*  C vbe  I C*  g m vbe
 VT  VT
I C*
con g m 
VT

Guadagno e distribuzione delle cariche minoritarie.


Il prof. si lancia in campo microelettronico e spiega il guadagno di un BJT attraverso il
comportamento delle cariche minoritarie presenti in base che modificano il proprio gradiente di
distribuzione per effetto di una corrente di elettroni che fuoriesce dalla base (la corrente di base)
Per effetto della polarizzazione diretta della giunzione BE ho una iniezione di elettroni
dall’emettitore alla base che si muovono con legge esponenziale. In un qualsiasi conduttore drogato
in modo complementare gli elettroni si ricombinerebbero decadendo con la stessa legge
esponenziale con cui sono stati iniettati. Ma se la base è più piccola di quattro volte il libero
cammino medio (tempo impiegato per la ricombinazione) gli elettroni si trovano presto nella
regione di svuotamento tra base e collettore. Con piccole quantità di elettroni attratte fuori dalla
base (o lacune iniettate in base) posso incidere notevolmente sul gradiente dei minoritari in base
(cioè gli elettroni) incrementando di molto la corrente di diffusione che è direttamente
proporzionale a tale gradiente.
Calcolo del guadagno attraverso il circuito equivalente per piccolo segnale

Inciso: Le capacità non sono state inserite perché si suppone di lavorare a medie frequenze quando
le piccole capacità parassite del transistor sono ancora equivalenti ad un aperto e quindi non le
disegno.

vo = -iC RC; iC = iB hfe; vi = iB hie + iB(1 + hfe) RE

Se hfe >> 1

Dinamica di uscita di un amplificatore


Si valuta che la corrente massima sia raggiunta in fase saturazione e quella minima in fase di
interdizione.
Ipotizzando che l’impedenza di emettitore assuma la seguente configurazione:
si definisce VE’ la caduta sul cappio RC il ci valore cambia in ragione della frequenza del segnale di
ingresso. (N.B. nella figura al posto della massa viene indicato un generatore VEE che in realtà poi
nel calcolo non viene più considerato).
La corrente di saturazione rappresenta (a fronte di una corrente nulla di interdizione) proprio il
valore dell’escursione massima di corrente e sarà pari a:
V  VCES  VE'
I CS  CC
RC  RE 2
Viene presentato poi il parametro VOV che viene fatto coincidere con la massima caduta di
tensione su RC
Vov  RC I CS 
RC
RC  RE 2
VCC  VCES  VE' 

Altre strategie di polarizzazione

In condizioni di elevata integrazione si preferisce polarizzare il circuito senza l’impiego di troppi


resistori e con un generatore di corrente in emettitore che impone la IE che a sua volta definisce la
VBE e quindi anche la VCE. Infatti nei circuiti integrati la realizzazione di generatori di corrente è più
semplice e garantisce maggiore stabilità.

PROBLEMI DI NON LINEARITA’


Riflessione sull’impiego dei CAD per l’analisi dei circuiti non lineari

Nel produrre un diagramma di Bode di un circuito quale quello di un amplificatore con BJT a
emettitore comune un qualunque CAD (Spice, ad esempio) presuppone sempre la linearità del
circuito in analisi e restituirà sempre lo stesso diagramma di Bode delle ampiezze per qualsiasi
valore del segnale di ingresso. Ad esempio
Non valuta se sussistono oppure no le condizioni per l’impiego di un circuito equivalente per
piccolo segnale

La legge esponenziale che lega tensione di ingresso e corrente di collettore

In realtà la legge fondamentale che descrive il funzionamento del transistor ( in regione attiva
diretta) è palesemente non lineare.
vBE

IC  I E  I S e VT

Attenzione a non attribuire al parametro IS il valore di una corrente: si tratta di un numero


caratteristico del processo tecnologico di realizzazione del transistor (es. larghezza della base,
drogaggio). E’ importante comprendere che su IS non si può intervenire attraverso la polarizzazione:
si tratta di un parametro fisso legato al tipo di transistor impiegato

Analizzando il comportamento del transistor all’interno del circuito presentato precedentemente

notiamo innanzitutto come il segnale in ingresso sia collegato direttamente in base. Immaginiamo
che il segnale in ingresso sia di natura sinusoidale e di ampiezza massima Vi
vi(t) = Vi cos ωit
V
Posto x = i (rapporto fra ampiezza del segnale di ingresso e la tensione termica)
VT
Considerato che vBE = vi(t) + VE
Riscriviamo la relazione tensione corrente del transistor come segue:
vi VE VE

iC  i E  I S e VT
 I S e e x cos it
VT

A questo punto sviluppo in serie di Fourier la funzione esponenziale in quanto il suo esponente è
una grandezza periodica che rende periodica la funzione stessa

e x cos i t  I 0 ( x)  2 I n ( x) cos n i t
1

con I n (x) - coefficiente che pesa il contributo dei coseni - definito in termini di funzione di Bessel
(più precisamente: funzione di Bessel modificata di prima specie di ordine n)

inserendo il valore di ic appena trovato otteniamo:


VE
 

v0 = - Rc I S e I
 0

VT
( x )  2 
1
I n ( x) cos ni t 

Ovvero inserisco una tensione monocromatica ed in uscita ottengo una serie infinita di toni
sinusoidali + un termine costante che tiene in conto del punto di lavoro determinato dalla
polarizzazione; ovvero il valore V CE * corrispondente al punto in cui, sul grafico della caratteristica
di uscita (ic , VCE ) la retta di carico si interseca con la curva del transistor “a riposo”.
L’uscita in realtà non è una sinusoide ideale, ma, come nell’esempio qui sotto, è una sinusoide
distorta. La presenza di ulteriori armoniche nella sommatoria da conto della distorsione subita dal
segnale nel passaggio dall’ingresso all’uscita.

L’aver riscritto l’esponenziale in termini di serie di Fourier con coefficiente ricavato dalla funzione
di Bessel ci consente di verificare che, oltre a disperdersi in frequenza per la non linearità intrinseca
del BJT, tale dispersione avviene secondo un fattore dipendente dall’ampiezza del segnale di
ingresso.
Più è ampio il segnale di ingresso, più armoniche vengono coinvolte in modo significativo e
maggiormente l’ampiezza in ingresso si disperde in frequenza.
Si determina il fenomeno della “compressione”: aumentando il segnale di ingresso il guadagno
(misurato sull’armonica fondamentale) diminuisce.
Approfondendo l’andamento delle funzioni di Bessel (i coefficienti I n (x) ), normalizzate alla
funzione per n=0 ( I 0 ( x) ) al variare di x (e quindi dell’ampiezza del segnale di ingresso) otteniamo
il seguente grafico:

da cui si evince che per valori di x molto piccoli solo la prima funzione ha gradiente non nullo. Ciò
significa che per valori piccoli del segnale di ingresso non si registrano fenomeni rilevanti di
dispersione in frequenza del guadagno.
Di seguito è rappresentata l’analisi spettrale dell’uscita per due distinti tipi di segnale in ingresso:
uno la metà della VT (26mV) l’altro il doppio.
Vi1=13 mV ………
Vi2= 52 mV ____________________

Per usare un Cad in modo da analizzare, attraverso l’analisi in frequenza, l’impatto della non
linearità del dispositivo sul guadagno è quello di impostare una analisi del transiente richiedere in
uscita il calcolo della FFT (Fast Fourier Transform)
LEZIONE 4. Compressione, moltiplicatore di frequenza, filtri
antirisonanti, rumore.

Compressore di dinamica
Abbiamo visto come, seguendo il modello non-lineare del bjt, l’uscita non sia una perfetta replica
lineare dell’ingresso ma come questo risulti distorto con la presenza di infinite armoniche.
E’ chiaro che non è più possibile definire il guadagno che per noi ha sempre rappresentato il
rapporto fra l’uscita e l’ingresso di un sistema lineare.
Qui invece il rapporto è fra un’uscita composta di infinite armoniche e un ingresso composto da una
sola. Nella definizione classica di guadagno i due seni avrebbero dovuto avere la stessa frequenza.
Invece, qui non abbiamo un’unica frequenza ma più frequenze.
Si potrà piuttosto definire un nuovo tipo di guadagno definito solo per la componente armonica in
uscita alla stessa frequenza del segnale di ingresso.
Di tutte le armoniche in uscita, allora, consideriamo semplicemente quella che ha la stessa
frequenza dell’ingresso, cioè l’armonica fondamentale. Fare un’estrapolazione simile significa di
fatto implementare un filtro frequenziale.
Si scrive dunque l’espressione della vo in funzione di “Gm“ ed RC. Ricordiamo che
vo   g m RC vi . Bisogna capire allora chi è questa “Gm“.
IC V
Dipende da gm che è il guadagno di transconduttanza pari a e da x = I
VT VT
“Gm(x)” rappresenta il guadagno dell’amplificatore a meno di Rc in condizioni non-lineari riferito
alla sola componente armonica in uscita a frequenza identica al segnale in ingresso.
Ovvero “Gm(x)” = transconduttanza per ampio segnale. Potremo quindi scrivere:
v0 (i )  Gm ( x) RCVi ( x) cos ni t  Gm ( x) RC vi
Ricordando che in condizioni di non linearità abbiamo espresso il valore dell’uscita come:
VE
 

v0 = - Rc I S e VT  I 0 ( x)  2 I n ( x) cos ni t 
 1 
riconosciamo il contributo di una componente costante (IC = IE) che in realtà è proprio la “I”
prodotta dal generatore di corrente in emettitore:
VE
VT
IC = IE = I = - Rc I S e I 0 ( x)
Se nella formula precedente metto in evidenza questa “I” ottengo
 
I ( x) 
v0 = - RcI 1  2 n cos ni t 
 1 I 0 ( x) 
Isolando la sola armonica a frequenza fondamentale ottengo
I ( x)
v0 = - RcI 2 i cos i t
I 0 ( x)
Per la definizione di guadagno definisco il rapporto fra
vo I ( x) 1 R I I ( x)
 - RcI 2 i cos ni t  =2 C i
vi I 0 ( x) Vi cos  i t Vi I 0 ( x)
V I
Ricordando la definizione di x = i  Vi  xVT e di gm C riscrivo:
VT VT
vo R I I ( x) R g I ( x)
2 C i =2 C m i
vi Vi I 0 ( x) x I 0 ( x)
v0 (i )
Poiché come già detto prima v0 (i )  Gm ( x) RC vi  Gm ( x)  posso allora concludere che
RC vi
g m I i ( x)
Gm ( x )  2
x I 0 ( x)
E’ utile a questo punto valutare l’andamento della transconduttanza normalizzata al valore per
piccolo segnale:
Gm ( x ) 2 I i ( x )

gm xI0 ( x)
Si scopre che per x0 tale rapporto tende ad 1 e questo perché quando l’ampiezza del segnale
d’ingresso diventa sempre più piccola e allora Gm torna a divenire pari a gm che è il guadagno per
piccolo segnale appunto.

Zona di compressione

Il guadagno varia
rapidamente con
l’ampiezza x del segnale

Si vede chiaramente dal grafico che all’aumentare di x il guadagno decrescerà in modo molto
pendente a meno della Rc, ma tanto questa è solo un numero. Ciò vuol dire che il guadagno si
“comprime” al crescere di x. E questo non è proprio un fatto negativo. E’ positivo perché :
1. Un sistema di ricetrasmissione non si può immaginare che lavori sempre con le stesse ampiezze
dei segnali. Queste possono cambiare. Ad esempio un segnale può essere tanto più intenso quanto
più si è vicini ad un’antenna trasmittente e quindi ci può essere una dipendenza dalla distanza.
Quindi il mio sistema dovrà avere a che fare o con segnali molto intensi o con segnali magari più
piccoli. Questo è impredicibile, a priori. Per cui, a causa del comportamento non lineare, il nostro
sistema a base di bjt si comporta in modo tale che se il segnale è ampio vi è una debita
compressione, se invece è alto lo aumenta. Quindi è come se agisse da “regolatore del segnale
d’ingresso”.
2. Abbiamo visto come nell’analizzare il punto di lavoro statico di un bjt , se l’oscillazione del
segnale di uscita non si mantiene all’interno di un certo range possa andare a finire in saturazione o
in interdizione. Questa evenienza può verificarsi soprattutto a valle di una catena di stadi
amplificatori. Quindi, in tal caso, il sistema di compressione visto prima fa da salvaguardia, in
quanto impedisce un aumento eccessivo del segnale che potrebbe far andare, mettiamo, il bjt in
saturazione.

Moltiplicatore di frequenza
Il filtro frequenziale è un circuito RLC antirisonante. Approfondiamo il concetto di risonanza e
antirisonanza per circuiti RLC

Circuito Risonante - RCL serie


La descrizione analitica del comportamento di un circuito RCL serie può essere la seguente
 J  V
V  I  R  JL  I 
 C   1 
R  J  L  
 C 
Poiché la corrente massima che scorre nel circuito si ottiene minimizzando l’impedenza ovvero
(essendo Z un numero complesso che viene minimizzato attraverso il suo modulo) quando questa è
V
pari ad R allora so che Imax = .
R
1 1
Tale condizione si realizza quando la parte immaginaria di Z = L   0    0  . In
C LC
questo modo abbiamo anche definito il concetto di pulsazione di risonanza 0 . Così chiamata
perché, in assenza di contributo resistivo ed in condizioni di regime, le energie magnetica ed
elettrica accumulate su induttore capacitore sarebbero perfettamente bilanciate e darebbero vita ad
un oscillazione permanente nel circuito di tensione e corrente in controfase.
Al variare della pulsazione (nel grafico viene riportata la frequenza al posto della pulsazione e,
quindi, fR al posto della pulsazione 0 ) osserveremo i seguenti comportamenti delle grandezze
coinvolte:

Il valore della corrente normalizzata al suo massimo allora sarà:


I V R R
  
I max  1  V  1 
R  J  L   R  J  L  
 C   C 

Calcoliamo ora il modulo della corrente normalizzata come rapporto di moduli:


I R2 R
 
I max  1  
2
1 
2

R 2   L   R 2   L  
 C   C 
A questo punto introduciamo il parametro di qualità Q:
 L 1 L L C L 1
Q 0      
R LC R CR C C R  0 RC
e riscriviamo la funzione del modulo della corrente normalizzata:

I R 1
 
I max  RQ  0 RQ 
2
  0 
2

R   2
  1  Q 2   
 0    0  
In un grafico normalizzato in cui sulle ascisse al posto della pulsazione è utilizzata la pulsazione

normalizzata alla pulsazione di risonanza x  posso riscrivere la precedente funzione come
0
I 1
 f ( x) 
I max  1
2

1 Q  x   2

 x
Considerando il circuito RLC come filtro, per calcolarne la banda passante cerco le pulsazioni
1
normalizzate che rendono la funzione uguale a :
2
2 2 2
1 1  1  1  1 1 1 1
  1 Q2  x    2  Q2  x    1   x    2  x   
 1
2
2  x  x  x Q x Q
1 Q  x  
2

 x
1 1 x 1 1 1
x    x 2   1  0  x1, 2    2
 1  x1  x2 
x Q Q 2Q 4Q Q

 f
Ricordando che x   possiamo in definitiva riconoscere che l’ampiezza della banda
0 f R
passante è inversamente proporzionale al fattore di qualità Q
fR
fB  fB 
Q
Per definizione il valore di Q è inversamente proporzionale alla R. Per valori molto bassi di R
aumenta quindi la selettività del filtro risonante.
E’ interessante valutare il significato fisico del fattore di qualità Q in termini di rapporto fra energia
immagazzinata ed energia dissipata nel circuito.
L’energia dissipata in un resistore in un periodo è pari a RI 2T
L’energia massima accumulata nell’induttore LI 2
In entrambe i casi ci riferiamo alla corrente media circolante.
Ricordando che
 L
Q 0
R
moltiplicando numeratore e denominatore per I 2T otteniamo
 LI 2T energia accumulata
Q 0 2  2
RI T energia dissipata

Circuito antirisonante – RCL parallelo


Il caso parallelo è il duale del caso serie.

Alla frequenza di antirisonanza si ottiene l’ammettenza minima ovvero la massima impedenza.


Y  G  ( BL  Bc )
1
Ymin  ( BL  Bc )  0   JC  0
JL
Scopriamo nuovamente che la frequenza di antirisonanza è pari a
1 1
C   0    0 
L LC

Nel grafico seguente si riporta il comportamento dell’impedenza Z al variare della frequenza.


Tornando al nostro moltiplicatore di frequenza si può introdurre al posto del carico Rc un parallelo
RCL che offra un valore elevato di impedenza equivalente solo per un piccolo intorno di una
frequenza selezionata coincidente con un multiplo dell’armonica in ingresso al nostro amplificatore
non lineare:

Si possono realizzare circuiti RLC ad elevato Q che al di fuori dall’armonica selezionata


determinino un’attenuazione di guadagno pari a 60 db che è una bella variazione. Potrei quindi
deliberatamente decidere di estrarre, invece dell’armonica d’ingresso, un’armonica superiore, per
esempio la terza. Ho ottenuto quello che viene chiamato “moltiplicatore di frequenza”.

Supponiamo di avere un oscillatore che genera una sinusoide quanto più pura possibile, cioè quello
che dicesi “tono puro”. Se questa sinusoide va in ingresso ad un amplificatore che lavora in
condizioni di non-linearità e poi ci metto un filtro frequenziale che trae non l’armonica
fondamentale ma un suo multiplo, ho costruito un “moltiplicatore di frequenza”. Ovviamente c’è
bisogno di mettere prima l’amplificatore perché la sua non-linearità fornisca le infinite armoniche
tra cui potrò scegliere.
Caso dell’amplificatore a Mosfet
La relazione del guadagno di un Mosfet è quadratica e la non linearità si esprimerà con la comparsa
di armoniche solo pari
Rumore elettronico:

Se invece il segnale fosse troppo piccolo in ampiezza a quali rischi andremo incontro? Il rischio è il
rumore elettronico.
Se per esempio consideriamo un filtro che seleziona il segnale presente solo in una certa banda di
frequenze, il filtro restituirà comunque un certo livello di rumore sovrapposto, poiché è il circuito
elettronico (anche quello del filtro) in sé ad essere fonte di rumore. Se il segnale è molto consistente
allora il rapporto segnale rumore sarà molto alto e quindi non dovrò preoccuparmi del suo impatto.
Ma se il segnale è più piccolo allora il rapporto segnale-rumore comincia a divenire minore di 1 e
non si ha più l’intelligibilità del segnale.
Il circuito stesso è sorgente di rumore. Non è sempre possibile avere segnali tanto intensi da
superare il rumore del circuito e quindi mantenere il rapporto sopra 1. E allora si cerca di agire sul
rumore, cioè nel farlo decrescere in modo che esso abbia un impatto minore e il rapporto si
mantenga comunque maggiore di 1.
Ecco perché bisogna stabilire:
1) il limite inferiore del segnale di ingresso che è quello di là dal quale il rapporto non si
mantiene più sufficientemente maggiore di 1.

2) un margine superiore sul guadagno poiché anche il solo rumore, troppo amplificato,
rischierebbe di saturare l’uscita.

Questo problema è particolarmente sentito nel settore del sistema di ricetrasmissione legato ai Low
Noise Amplifier in cui si trattano segnali poco intensi.
Elenchiamo i tipi di rumore più comuni, discriminati in base alle sorgenti che li producono e
descritti attraverso differenti modelli matematici.
1- rumore “shot” (tipico delle giunzioni)

Il rumore granulare è sempre associato con il fluire di una corrente continua ed è presente nei diodi
e nei transistori bipolari. La corrente diretta, nel diodo, è costituita da lacune ed elettroni che
diffondono come portatori minoritari. Il passaggio di ciascun portatore attraverso la giunzione è un
evento puramente casuale e dipende dal fatto che il portatore possegga un’energia sufficiente e una
velocità diretta verso la giunzione; così la corrente esterna, che appare come una corrente continua,è,
in realtà, costituita da un gran numero di impulsi di corrente, casuali ed indipendenti.
La fluttuazione della corrente è chiamata rumore granulare (shot noise) ed ha un valore quadratico
medio che è proporzionale alla larghezza di banda ∆f (in Hertz) della misura; quindi può essere
definita una densità spettrale della corrente di rumore che è costante al variare della frequenza
(rumore bianco):
S I  2qI D
Si può dimostrare infatti che in un conduttore o diodo questo rumore dipende dall’ampiezza della
corrente costante e dalla carica elettrica. Questo perché all’aumentare della corrente il rumore
compete a più cariche e quindi c’è più rumore. Per considerare il funzionamento del diodo con la
componente di rumore sovrapposta c’è bisogno di affiancare in parallelo al diodo un generatore
equivalente di rumore.
Per modellare circuitalmente il rumore termico sostituisco al diodo una resistenza equivalente
(linearizzandolo) ed introduco in parallelo un generatore di corrente con densità spettrale SI.
L’esempio che si fa è di considerare un diodo in un circuito con resistenza e generatore.

Il punto di lavoro del circuito (che definisce il valore di corrente costante circolante nel circuito e la
caduta di tensione sul diodo) è calcolato graficamente dall’intersezione fra caratteristica del diodo e
retta di carico della resistenza:

e corrente

A seguito dell’analisi effettuata ci aspetteremmo un diagramma temporale della corrente circolante


nel circuito del tipo:

I(t)

I*

Invece quello che osserviamo è una corrente del tipo:

I(t)

I*
t

La corrente, supposta costante, è in realtà la risultante del contributo di numerose cariche di natura
corpuscolare che definiscono il proprio apporto al flusso complessivo in termini di sommatoria di
spike. Nel grafico si mostra come alla corrente media sia sovrapposta un’aliquota di rumore che è
continuamente oscillante ed è dovuta proprio alla natura intrinseca della carica elettrica.
Esattamente alla natura quantistica della corrente.

Si mette poi un segnale sinusoidale in ingresso sovrapposto alla tensione costante. Abbiamo ancora
un rumore oscillante che segue sbalzando l’oscillazione sinusoidale come mostrato nel grafico.
Conseguentemente il punto di equilibrio rappresentato dall’intersezione della retta di carico e dalla
tensione del diodo oscilla a sua volta attorno al valore fisso della tensione del generatore costante.
In particolare varierà la pendenza della retta di carico.

Se però questo scostamento rispetto all’andamento lineare(dovuto alla sinusoide) è sufficientemente


piccolo allora il rumore si sovrappone alla sinusoide e fa perdere l’informazione della stessa. Aver
messo la sinusoide o no non cambia nulla allora.
Rumore termico.
Si considera sempre lo stesso circuito composto dal generatore e dalla resistenza.

Ovviamente alla corrente nel tempo sarà sempre sovrapposto un rumore come prima. Ora però c’è
la presenza anche di una resistenza che non è mai fissa cioè non è un numero statico nel tempo.
Anche R varia nel tempo. La resistenza cambia in maniera aleatoria. Essa impone un’inerzia diversa
da quella del vuoto al passaggio di cariche tra due punti a diverso potenziale.
Una resistenza reale è fatta di materia cioè di un aggregato amorfo di reticoli cristallini. La carica
elettrica che si muove in tale luogo sbatte con i vari reticoli fissi. E queste collisioni generano
cambiamenti di temperatura. Quindi già gli atomi saranno ad un certo livello di agitazione termica.
Questa poi aumenta quando sono gli elettroni ad attraversarli e quindi ad aumentare l’agitazione e a
far variare la temperatura T e quindi la resistenza R. Il rumore termico risulta direttamente
proporzionale a T secondo un coefficiente di proporzionalità pari a 4 K. Anche’esso si caratterizza
come rumore bianco e lo si può rappresentare equivalentemente attraverso una densità spettrale di
4 KT
corrente SI = o di tensione SV = 4KTR e le relative rappresentazioni circuitali.
R
LEZIONE 5. Rumore Flicker e burst, rumore in ingresso, figura
di rumore, circuiti in cascata.

Rumore flicker (legato ad una corrente e più intenso alle basse frequenze, causato dalle trappole)
Esso e il successivo sono legati alla natura fisica dei semiconduttori. Nasce dal fatto che il mezzo in
cui scorre la corrente ha una struttura cristallina. Un semiconduttore è caratterizzato dalle bande
energetiche che sono quella di valenza e di conduzione. Esiste un intervallo detto bandgap che è una
sorta di buco energetico da superare per far avvenire la conduzione. A causa di difetti di produzione
dello stesso materiale ( difettosità processo sporco, mancata attesa dell’esatto tempo di
cristallizzazione ecc.) si creano dei livelli energetici permessi all’interno del bandgap. Questi vanno
sotto il nome di “trappole” perché fanno cadere l’elettrone in livelli energetici di norma non
permessi. Questi livelli non rendono più mobile l’elettrone e quindi non ci sarà più flusso di
corrente.
Questi fenomeni, quindi, provocano lo scostamento della corrente dal suo valore medio. Infatti,
l’elettrone in trappola può sia decadere in banda di valenza, sia, magari per effetto dell’agitazione
termica, passare alla banda di conduzione. Questo rumore dipende dalla corrente continua di
collettore, il coefficiente b è sempre più o meno unitario, in modo inverso alla frequenza e
proporzionalmente dalla costante del dispositivo considerato.
 Ia 
S I  K1  b 
f 
 
˗ I è una corrente continua

˗ K1 è una costante caratteristica di un particolare dispositivo

˗ a è una costante compresa nell’intervallo 0.5 – 2

˗ b è una costante di valore circa unitario

Rumore burst. (legato ad una corrente e concentrato ad una frequenza caratteristica)


Questo rumore è caratterizzato sempre dalla corrente e però anche da una cosiddetta frequenza
caratteristica fc. Se si è nell’intorno di essa allora la densità spettrale di rumore cresce molto. In
particolare, al denominatore c’è il segno meno piuttosto che il segno più. Quando mi allontano da fc
la densità spettrale è invece molto bassa. Esso è come un pop corn poiché ha delle esplosioni
improvvise in modo aleatorio in corrispondenza delle frequenze caratteristiche. È sempre dovuto
alla presenza di processi di combinazione e generazione di cariche e difettosità della produzione del
materiale; le cause di questo tipo di rumore non sono completamente note, sebbene sia
stato dimostrato che esso è connesso con la presenza di contaminazione da ioni di metalli pesanti.
Ic
SI  K2 2
f 

1   
 fc 
˗ I è una corrente continua

˗ K2 è una costante caratteristica di un particolare dispositivo

˗ c è una costante compresa nell’intervallo 0.5 – 2


˗ fc è una particolare frequenza costante caratteristica di un determinato processo di rumore

Rumore equivalente in ingresso.


Data una certe rete rumorosa posso pensare di considerare dei generatori di rumore equivalenti e
metterli in ingresso ad una rete non rumorosa. In questo modo, ho scisso il problema in una parte
rumorosa e non rumorosa.

Lo faccio considerando solo due generatori equivalenti di rumore di tensione e corrente. Quello di
corrente in parallelo e quello di tensione in serie. Solo che l’effetto del forzamento dovuto a questi
due generatori in ingresso deve essere eguale all’effetto che essi avevano quando erano presenti
all’interno della rete rumorosa. Inoltre essi devono inglobare anche il contributo di rumore riferito
al rumore d’uscita della rete. Questa modellizzazione è sempre valida, purché si tenga conto
dell’eventuale correlazione tra i due generatori di rumore: essi, in generale, non sono indipendenti
perché dipendono dallo stesso insieme di sorgenti interne di rumore. In realtà però si può arrivare ad
un risultato abbastanza preciso se il grado di correlazione è basso; ciò accade quando uno dei due
generatori ha peso dominante sull’altro o quando vi sono poche sorgenti in comune..
Abbiamo detto che deve essere data descrizione del rumore sui morsetti d’uscita in modo
equivalente. Per calcolare la potenza del rumore che c’è in uscita devo conoscere anche che tipo di
circuito c’è a monte. La collocazione, cioè dei generatori equivalenti, non può prescindere dal
sistema a monte in cui esso è racchiuso. E quindi ai contributi di rumore dovuti alla rete stessa devo
aggiungere un contributo relativo al circuito a monte della rete dato dall’impedenza di terminazione
all’ingresso della schematizzazione fatta Zs.

Posso, inoltre, rappresentare il circuito con modello di Thevenin o Norton:

SVeq  SV  S i  Z s
2
S Ieq  S I  SV  Z s
2

Adottando, ad esempio il modello Thevenin calcolo la potenza di rumore integrando la densità sullo
spettro.

1
2 
N IN  SVeq ( )d
Se la densità spettrale è costante rispetto ad  allora può essere tirata fuori dall’integrale in  e c’è
un rapporto di diretta proporzionalità tra potenza di rumore e densità spettrale di potenza. Quindi
sarà possibile continuare ad analizzare il rumore attraverso l’espressione della sua densità spettrale.
Se penso poi al legame ingresso-uscita sotto forma di guadagno allora trovo che lo spettro in uscita
del rumore è pari a quello in ingresso per il modulo della funzione di trasferimento al quadrato.
SVo  SVi  A( j )
2

essendo SVi dato dalla partizione tra Zi e Zs:


2
Zi
SVi  SVeq 
Zi  Z s
Si procede poi al calcolo della potenza di rumore di uscita usando l’integrale in d.

1
2 
N OUT  SVo ( )d

Per confrontare i valori di potenza col livello di tensione o di corrente del segnale si passa al
valore RMS (VRMS):
N RMS  N

Rapporto segnale rumore


Dopo aver definito le potenze di rumore, nasce l’esigenza di capire quand’è che esse possono essere
considerate “piccole” o “grandi”. A tal proposito si definisce il rapporto segnale-rumore, dato dal
rapporto tra le potenze del segnale e del rumore entrambe misurate in un punto qualsiasi della rete,
purché agli stessi terminali. Tale quantità è solitamente espressa in dB:
S P 
   10  log  S 
 R  dB  PN 
In termini di ampiezze piuttosto che di potenze, si può definire, in maniera del tutto equivalente:
S A 2
   20  log  

 R  dB  N 

Range dinamico (-10 log N)


Poi c’è il range dinamico. Se un sistema è caratterizzato da un certo rapporto segnale-rumore, allora
io devo sapere che il segnale non deve assumere una potenza minore di 10 log(Pn). Perché se ciò
accadesse allora il rapporto sarebbe 0 o minore di 0 e il rumore coprirebbe il segnale.

Figura di rumore
Altro parametro fondamentale del sistema è il rapporto dei rapporti segnale-rumore di ingresso e
uscita che è detto “fattore di rumore” (il valore in decibel è detto figura di rumore) definito
come:
S / N IN
F
S / N OUT
con N OUT  N Sout  N Aout
ovvero si sommano i contributi del rumore insito nel segnale di ingresso e quello della rete.
Se la rete è non rumorosa allora F = 1 ed il suo logaritmo è nullo (figura di rumore nulla).
Altrimenti il fattore di rumore diventa:
S N IN S IN N IN A 2  N Aout N N
F 2
  2
 1  Aout2  1  Aout
S IN A N IN S IN A N IN A N OUT
N IN A 2  N Aout
che può essere riscritta anche come:
N A2 N
1  Aout  1  Ain
N In N In
La riscrittura analitica che viene fatta ha un significato concettuale importante. In particolare si fa
riferimento al numeratore NAout/A2  che rappresenta il rumore in uscita della rete riportato
all’ingresso. Quindi è come se bastasse conoscere le caratteristiche del rumore solamente in
ingresso per trovare il fattore di rumore.
Si tratta della stessa espressione, quindi le potenze di rumore possono essere valutate in un punto
qualsiasi della rete, purché ai medesimi morsetti, ottenendo sempre lo stesso valore. La figura di
rumore allora è una proprietà intrinseca della rete, utile per dare una misura di come l’interposizione
della stessa peggiori il rapporto segnale-rumore. Il fattore di rumore non dipende dall’ampiezza del
segnale in ingesso ma dal rumore ad esso associato.

Circuiti in cascata (conviene amplificare e poi filtrare)


Si può immaginare poi di avere una cascata di circuiti caratterizzati da fattori di rumore da 1 ad n. Il
rumore totale è quello riportato. Si dimostra (noi non lo facciamo) che nel calcolo del fattore di
rumore equivalente della cascata gli ennesimi elementi pesano di meno rispetto ai primi a causa dei
denominatori più alti.

F2  1 Fn  1
F  F1   ... 
 
2 2
A1 A1 A2 ...An 1

Noi abbiamo due possibilità di progetto. Posso considerare un filtro (a guadagno unitario in banda
passante) precedente ad un amplificatore. Questo mi permette di avere un rumore diminuito dovuto
al taglio del filtro. Infatti il filtro ci permette di migliorare il rapporto segnale-rumore dato che
suppongo l’energia del segnale concentrata in banda base mentre quella del rumore uniformemente
distribuita in frequenza.
Se invece utilizzo l’amplificatore e poi il filtro conviene di più perché applicando la regola ottengo
che il guadagno del filtro è sempre 1 , invece se utilizzo prima un amplificatore ottengo al
denominatore del secondo termine A2 che mi permette di far diminuire il fattore di rumore come
voglio. Ecco perché conviene amplificare e poi filtrare.
F 1 F 1
1. Filtro – amplificatore F *  F1F  2 A2  F1F  2 A  F1F  F2 A  1
A1F 1
F 1
1. Amplificatore – filtro F *  F1 A  2 F 2
A1 A
F 1
Confrontando le due quantità verifico che F1F  F2 A  1 > F1 A  2 F 2 in quanto A > 1
A1 A
LEZIONE 6. fattore di rumore e sua minimizzazione in un BJT

Andiamo ora a valutare il rumore prodotto da un particolare tipo di circuito: l’amplificatore ad


emettitore comune.

VDD

RC
RS vo

VS

Si considera poi il modello per piccolo segnale alle medie-alte frequenze (ecco perché c’è la
presenza delle capacità parassite) C’è poi anche una resistenza di base che sta ad indicare che il
segnale d’ingresso non è direttamente connesso alla giunzione base-emettitore.

Si selezionano dei punti particolari in cui andare ad inserire i generatori di rumore equivalenti.
Associo alla resistenza di base un primo generatore di rumore legato ad effetto termico e lo faccio
con un generatore di tensione in serie che chiamo SVb la cui densità spettrale sarà pari a:
SVb  4kTrb
Poi si considera un generatore di corrente in parallelo ad r che modella gli effetti di rumore
riconducibile alla giunzione (corrispondente nel modello a piccolo segnale proprio a r  ). La
giunzione è polarizzata positivamente ed in essa riscontriamo la presenza di rumore Shot, Fliker e
Burst.
A B
S Ib  2qI B   2
f f
Avendo supposto di lavorare a medie-alte frequenze possiamo considerare trascurabili i contributi
di rumore Fliker e Burst quindi S Ib  2qI B
La giunzione collettore-emettitore è inversamente polarizzata quindi abbiamo poche cariche
presenti e allora fenomeni come generazione, ricombinazione sono probabilisticamente meno
influenti e l’unico contributo di rumore che considereremo sarà quello di tipo Shot. Si ricordi che la
corrente di collettore è beta volte maggiore della corrente di base e quindi il rumore Shot peserà di
più per la giunzione collettore-emettitore.
S Ic  2qI C
Prendo i generatori di rumore e li porto all’ingresso in modo che determinino le stesse condizioni di
rumore che impongono i generatori all’interno.

Il primo generatore immesso è in serie con la base come si vede anche nella rete interna del circuito.
Questo generatore di tensione, però, deve conteggiare sia l’effetto del generatore di tensione che era
sulla base nel modello a piccolo segnale sia il contributo dovuto al generatore di corrente presente
tra collettore ed emettitore, cioè quello che esprimeva solo il rumore shot.
In altri termini, nella parte del collettore io ho due contributi di corrente relativi sia al generatore
comandato (V gm) sia al generatore di rumore (SIc). Aggiungendo un ulteriore termine nella
caratterizzazione in termini di densità di potenza del generatore di rumore (in tensione) questo
agendo sulla resistenza r determina, di fatto, l’effetto di rumore nel collettore determinato dal
generatore di corrente. L’ulteriore tensione in ingresso deve essere tale da generare nel collettore
l’equivalente di densità spettrale di corrente pari a 2qIc.
Il nostro generatore di rumore che modella il rumore in ingresso produrrà una certa tensione vv
vv  vb  v
la relazione di trasformazione fra tensione in ingresso e corrente in uscita nel Bjt è tale che
i
v  c
gm
passando a calcolare le potenze del segnale otteniamo che
ic2
vv  vb  v  vb  2
2 2 2 2

gm
esprimendo le potenze in termini di densità ed imponendo le condizioni iniziali (valide cioè prima
di portare in ingresso i generatori di rumore) otteniamo che:
2qI c  f
vv2  4kTR  f 
gm  gm
I KT
Ricordando che: g m  c e che VT  otteniamo:
VT q
2qI c  f 2qI c  f 2 KT  1 
vv2  4kTR  f   4kTR  f   4kTR  f   f  4kT  Rb    f
i i gm  2g m 
gm  c gm  c
VT KT q
Da cui otteniamo:
vi2  1 
Sv   4kT  Rb   che corrisponde al valore di densità spettrale di tensione prodotta dal
f  2 g m 

nostro generatore di rumore equivalente.


Per quanto concerne invece il generatore equivalente di corrente questo include la densità spettrale
SIb = 2qIb del precedente generatore di corrente posto in ingresso nel modello a piccolo segnale
oltre ad un ulteriore termine di cui di seguito diamo conto.
 
S I  2q  I B  I C  T 
2

Il termine aggiuntivo con la  ed t ( frequenza di transizione frequenza per cui il guadagno


dell’amplificatore è 1 in db è 0) tiene conto della mutua relazione fra maglia di collettore e base.
Esprime quanta corrente di base va a finire nel collettore e questa è tanto più piccola quanto più è
alta la frequenza o meglio quanto più mi approssimo alla frequenza di transizione t. Il rumore in
base, per effetto Miller, me lo trovo in collettore e per tenerne conto devo considerare questo
ulteriore pezzo. Questa aliquota di rumore passa attraverso C.
La cosa a cui bisogna fare attenzione è la presenza di mutue correlazioni fra i due generatori
I
equivalenti e questa qui è data dalla presenza della g m  c nel generatore equivalente di tensione e
v
dalla IC nel generatore equivalente di corrente. Quindi c’è una correlazione. Però il secondo termine
dalle frequenze e quindi potrebbe esserci una dipendenza da IC molto debole. Il termine con IC può
essere trascurato se IB >> IC *( / t). E quindi non ci sarebbe più, in questo caso, correlazione. Per
trascurare il secondo termine dovremmo avere  / t << 1.
Potremmo pensare di lavorare a frequenze molto basse cosicché  / t <<1. Ma la frequenza di
lavoro non la posso scegliere io arbitrariamente. Se ho un amplificatore a radiofrequenza sto ai
MegaHertz e questo è fisso. Inoltre a frequenze basse si farebbero sentire, incisivi, il rumore Burst
ed il rumore Fliker della giunzione base-emettiore. Però posso decidere io i parametri del
dispositivo. E quindi posso scegliere degli elementi affinché t >> . Questo impone una
limitazione nella scelta dei materiali con cui fabbricare il BJT. t dipende dai parametri capacitivi
parassiti del bjt e quindi posso contemplare l’utilizzo di Nitruro di Gallio (GaN).
Si mostrano poi due grafici.

Nel primo si presenta al variare della frequenza qual è il range in cui si può considerare la
t
correlazione bassa ed esso è al di sotto della frequenza .
f
Il secondo grafico testimonia che si può lavorare in un range di frequenze intermedio in cui non
sono più rilevanti i rumori Burst e Fliker e non lo è ancora quello prodotto dall’aliquotà di Ic che
dalla bassa passa direttamente nel collettore attraverso attraverso la capacità C. In questo range il
rumore appare con densità spettrale costante e può essere trattato come rumore bianco
Fattore di rumore in un amplificatore ad emettitore comune
Nella valutazione del rumore al rumore che interessa tutto l’amplificatore (oltre al transistor che ne
rappresenta il nucleo) è ora necessario tenere presenti gli apporti ulteriori provenienti da ciò che
circonda il transistor: il circuiito a monte (che invia il segnale) e la resistenza di collettore. Il
segnale in ingresso prodotto da un circuito a monte è portatore di un rumore che viene modellato
come termico e la cui entità dipende dalla resistenza di uscita del circuito stesso. Anche il rumore
causato dalla resistenza di collettore Rc viene trattato come rumore termico.
Nel disegno che segue sono rappresentati tutti i differenti contributi di rumore distinguendo fra
quelli legati alla rete (di amplificazione) e quello, invece, dovuto al segnale in ingresso.
Non viene rappresentata la resistenza rb (resistenza di base, in serie al generatore di tensione che
modella il rumore termico della resistenza di base) che pure entrerà a far parte successivamente dei
calcoli.

Rumori della rete


 1 
SV  4kT   rb  
 2 g m 

SI  2qI B

SVRC  4kTRC

Rumore del segnale


SVS  4kTRS

La figura di rumore la calcoliamo ricordando la relazione di carattere generale:


N
F  1  A (con NA rumore prodotto dalla rete e NS rumore contenuto nel segnale)
NS
sempre valida a patto di prelevare allo stesso morsetto ciascuno dei due rumori.
Sono entrambi rumori bianchi poiché non c’è dipendenza dalla frequenza dato che l’abbiamo
trascurata per i conti fatti prima. Questo perché anche i rumori appenda introdotti e definiti a partire
da Rs ed Rc sono per definizione bianchi e quindi abbiamo solo rumore bianco in totale. In questo
modo è possibile procedere con il rapporto fra le densità spettrali piuttosto che tra le potenze dato
che non c’è dipendenza da .
Decidiamo di fare il conto andando a guardare quello che accade ai morsetti d’uscita piuttosto che
all’ingresso che è del tutto equivalente. Cioè calcoliamo il fattore di rumore traslando tutti i
contributi di rumore all’uscita. Potevamo farlo anche in ingresso, naturalmente. Con SAvout
indichiamo la densità spettrale di rumore all’uscita dovuta alla rete. Mentre con S vs intendiamo la
densità spettrale di rumore in uscita dovuta al segnale di ingresso.
Dobbiamo quindi riportare in uscita i generatori di rumore che abbiamo considerato. Riporto le
densità spettrali di rumore presenti in ingresso verso l’uscita moltiplicandole per il guadagno al
quadrato (mi sembra eccessivo scomodare la funzione di trasferimento visto che in questo caso non
c’è più dipendenza dalla frequenza). Applicando la sovrapposizione degli effetti ottengo le singole
concause di rumore all’uscita. Cerco di ottenere valori omogenei dal punto di vista dimensionale e
procedo, quindi, a trasformare la densità di potenza riferita alla corrente Si in tensione
moltiplicandola per le resistenze “viste” dal generatore di corrente elevate al quadrato (Rs//r )2. rb
non è verrà considerata perché è molto piccola rispetto ad Rs seppur in serie ad essa.

( )
SAVo = SV × ( gm RC ) + SI × éë RS rp × gm RC ùû + SVRC
2 2

SSVo = SVS × ( gm RC )
2

A partire dalla formula per il calcolo del fattore di rumore inseriamo le espressioni dei generatori
equivalenti:

Avendo già proceduto a semplificare tenuto conto che non c’è r perché soccombe nel parallelo con
RS ed avendo provveduto a dividere tutto per (gm RC)2.
Si procede poi con ulteriori semplificazioni tenendo in conto che:
I KT I
˗ g m  c ; VT  ; I b  c mi consento di riscrivere il rapporto
VT q 

2qI b RS2 q I c RS 1 I c RS g m RS
      ottenendo quindi:
4 KTRS KT  2 VT  2 2

˗ trascuro il termine con Rc dato che Rc*gm>>1 ottenendo alla fine la relazione:

Ho ottenuto un un fattore di rumore che ha molteplici dipendenze.


L’obiettivo è quello di minimizzare la figura di rumore facendo si che F1.
Vediamo su quali parametri agire affinché accada quanto desiderato. Sicuramente c’è questa
dipendenza da “Rs” che sembrerebbe poter essere sfruttata in quanto si tratta di un parametro
esterno al circuito. Però la Rs non è modificabile perché è il risultato di una modellizzazione di
quello che c’è a monte. Se siamo connessi ad un’antenna questa avrà una certa resistenza serie e
quindi non possiamo cambiarla perché è fissata, secondo certe esigenze elettromagnetiche
dall’antennista.
Posso piuttosto pensare di migliorare l’accoppiamento interponendo un circuito intermedio tra
generatore e rete a valle. Ovviamente deve essere un circuito che non introduce rumore e che è
adattato all’impedenza di ingresso così da far passare tutta la potenza d’ingresso (cioè a partire
dall’impedenza di uscita desiderata fa in modo che in ingresso possa ottenere un impedenza pari a
Rs).
Sono dette “reti Los-Less” cioè reti senza perdite (senza resistori) e senza rumore introdotto.
Possiamo introdurre quindi un cosiddetto trasformatore di impedenza che è una rete loss-less senza
perdite e senza rumore e adattato all’ingresso in modo da far passare tutta la potenza. Userò
componenti non rumorosi e quindi userò elementi capacitivi e induttivi. Inoltre non avrò resistenze
e quindi non ci sarà nemmeno dissipazione di potenza all’interno.
Quindi questa rete avrà una impedenza d’ingresso Z1 pari proprio ad Rs cosicché ho adattamento in
potenza. E poi avrò una impedenza d’uscita Z2 che è quella che mi serve per diminuire il fattore di
rumore come voglio.

Per esempio potrei far sì che il mio nuovo RS sia r in modo da ottenere l’adattamento rispetto alla
impedenza d’ingresso del bjt che è proprio r e così farò passare tutta la potenza.
I
Considerando che r  B e che g m  r   sostituendo i valori nel calcolo della figura di rumore
VT
g r r 1 3 1 1 
ottengo: F  1  m   b      rb g m 
2 r 2 g m r 2   2 
Ovvero che non può essere più piccola di 3/2.
In termini di Figura di Rumore=1.7dB.
Bisogna, allora, cambiare strategia.
L’idea è quella, innanzitutto di calcolare il valore ottimo di Rs tale da minimizzare il fattore di
rumore: viene calcolata la derivata del fattore di rumore considerando Rs come incognita e la si
pone =0.
gm 1  1  2  1  
F ( RS )   2  rb    RSOpt   rb    1  2 g m rb
2  RS  2g m  gm  2g m  g m
da cui andando a sostituire ricaviamo il valore minimo della figura di rumore
1  2 g m rb
FMin  1 
F
che scopriamo dipendere direttamente da g m rb
A sua volta si dimostra che
I
g m rb  C ovvero risulta proporzionale alla corrente di collettore diviso l’area di emettitore ovvero
AE
risulta proporzionale ad una densità di corrente.
Cerco allora di aumentare l’area di emettitore (a parità di fattori  e g m ) in modo da definire il
valore di densità di corrente che riduca al minimo la figura di rumore.
Troviamo dunque per la FMIN un grafico in funzione della densità di corrente che risulta essere il
seguente:
Il grafico è molto esplicito sull’esistenza per la FMIN di un minimo che abbiamo chiamato Fo , si
nota inoltre che Fo è in corrispondenza di un valore ottimale per la densità di corrente che abbiamo
chiamato (IC / AE) OPT .
Operando attraverso la rete Loss Less perseguendo il solo obiettivo di minimizzare la figura di
rumore ho ottenuto un valore di Rs sicuramente diverso da r e non riuscendo così a perseguire
l’altro importante obiettivo che è l’adattamento
Per cui l’unica cosa che posso fare è cambiare l’impedenza d’ingresso del bjt (e non quella della
rete loss-less) per farla coincidere con quel valore di Rs che ha minimizzato la figura di rumore .
Deve essere una metodologia di modifica che però non introduca altro rumore. Devo per forza
lavorare nel bjt senza introdurre ulteriori sorgenti di rumore( non posso pensare di utilizzare un’altra
rete loss-less perché questa mi crea adattamento in ingresso ed uscita senza fonte di rumore però
non mi minimizza il fattore di rumore!). Per non introdurre rumore dovrò lavorare con l’aggiunta di
induttanze e capacità all’interno dell’amplificatore.
LEZIONE 7. linee di trasmissione, trasporto, Coefficiente di
rifl., Return loss, Ros

Concetti di linee di trasmissione.


A partire dalle considerazioni fatte prima ci preoccupiamo ora di parlare della questione
dell’adattamento nelle linee di trasmissione. Questi problemi si manifestano quando si tratta di
circuiti elettronici a radiofrequenza collegati ad un’antenna tramite, appunto, una linea di
trasmissione. In tali circuiti vi è un substato dielettrico sul quale sono realizzate delle connessioni
che avvengono tramite delle microstrisce. Le microstrisce sono strutture guidanti composte appunto
da una base metallica, al di sopra della quale c’è uno strato dielettrico su cui è poggiata una pista
metallica. Il substrato è detto PCB (printed circuit board).

Quando si alza il livello di frequenza delle semplici linee di connessione diventano quelle che si
chiamano “linee di trasmissione” con una certa impedenza caratteristica Zo. Queste linee, cioè, non
sono più dei semplici cortocircuiti. In tali casi le linee rispondono elettricamente come dei
componenti reattivi e quindi il modello circuitale si complica poiché si introducono altri elementi in
serie e parallelo alle resistenze.
Una linea di trasmissione registra le variazioni di tensione e corrente lungo la sua lunghezza e
quindi anche l’impedenza Z.
Una linea di trasmissione può essere disegnata a “parametri concentrati” con induttanze e capacità
che rappresentano le variazioni nel tempo di corrente e tensione.
L’impedenza equivalente alla sezione non è più coincidente con la resistenza dipendente in modo
lineare dalla lunghezza del tratto di linea percorso. Piuttosto dipenderà anche dalle fasi
rispettivamente di corrente e tensione: alla parte reale di impedenza si aggiunge una parte
immaginaria. Questo fatto provoca un meccanismo di riflessione per cui all’onda incidente seguirà
un’onda riflessa. In tal caso, non vi è dissipazione di potenza legata alle perdite ma riflessione di
potenza che è ben diverso come meccanismo fisico.
Lunghezza d’onda efficace
Parametro importante è la lunghezza d’onda efficace da confrontare con la lunghezza del filo per
determinare il modello fisico-matematico da usare.
0
eff 

con 0 lunghezza d’onda nel vuoto e  costante dielettrica del mezzo

Costante di propagazione
Considerata una linea di trasmissione, si definisce la costante di propagazione
    j
in cui α è una costante di attenuazione, indice delle perdite nella linea, e β è una costante di fase,
definita come:
2

eff
La costante di propagazione ha una parte reale legata esclusivamente alle perdite ed una parte
immaginaria legata alla variazione di fase, cioè al movimento in linea di trasmissione.
Onda di tensione e onda di corrente
Si presentano poi la tensione e la corrente come somma di onda progressiva e regressiva.
V ( z )  V   e  z  V   e   z
I ( z )  I   e  z  I   e  z
In ciascun punto sia la corrente che la tensione sono determinate dal doppio contributo di un onda
incidente ed un onda riflessa transitanti.
Si è optato per una rappresentazione fasoriale delle onde anche se si deve tener in conto che il
fasore è “nascosto” all’interno di     j
L’ impedenza del carico rappresentata dal rapporto fra tensione e corrente sul carico ci dà la
condizione al contorno del circuito.
V
 ZL
I z l
Per calcolare l’ impedenza d’ingresso Zi si sfrutta il trasporto dell’impedenza di carico lungo la
linea di trasmissione lunga l.
Ricordando la definizione di tangente iperbolica:
senh e x  e  x
tanh  
cosh e x  e  x

attraverso una serie di manipolazioni si calcola il valore della resistenza di ingresso della linea come
trasporto del carico lungo la linea stessa:

V ( z) Z L  Z 0  tanh(  l )
Zi   Z0 
I ( z) z 0
Z 0  Z L  tanh(  l )
Nel caso di assenza di perdite con α=0 e   j la tangente iperbolica diventa trigonometrica
Z L  jZ0  tan( l  2 eff )
Zi  Z0 
Z 0  jZ L  tan( l  2 eff )
(in realtà Z0 è l’impedenza caratteristica della linea e non la resistenza di uscita della linea come
indicato dal disegno precedente)
Nell’ulteriore ipotesi di frequenza di lavoro bassa riscontriamo che
2
eff  l  l  0
eff
con la conseguenza che le due tangenti si annullano e Zi = Zl.

Calcolo del parametro Z0 attraverso la rappresentazione delle linee di trasmissione con


parametri concentrati

Rappresentazione della linea Linea Loss-Less implica:


R=G=0

Utilizzando questa rappresentazione non avere perdite vuol dire che, nella seguente formula, R=0 e
G=0:
R  jL
Z0 
G  jC
La linea non peserebbe sulla connessione tra i due morsetti di ingresso e di carico.
Rappresentando la linea equivalente di quella di trasmissione si trova il legame tra impedenza
caratteristica e resistenza, conduttanza, induttanza e capacità presenti lungo la connessione. Se R e
G sono nulle e quindi non ci sono perdite allora la impedenza caratteristica si esprimerà come:
L
Z0 
C
Sono dette linee loss-less. Rimangono così solo i termini reattivi. E non si ha più dipendenza dalla
frequenza dato che si semplifica.

Ecco perché si vogliono linee a perdita nulla perché le perdite comportano rumore termico.
Data una certa impedenza d’ingresso generica possono occorrere due semplificazioni. La prima è
che se non ci sono perdite e cioè alfa è nullo e quindi la tangente da iperbolica diventa reale. E poi
se la frequenza è bassa allora Zi = ZL perché la tangente va a 0. E’ come se la linea di trasmissione
non esistesse più e ci fosse direttamente il carico ZL.
Questa prima semplificazione è possibile farla dal punto di vista della propagazione dei segnali,
cioè quella di approssimare le basse perdite a 0. Ma non è possibile attuare la stessa semplificazione
dal punto di vista del rumore. Anche se la resistenza è bassa il rumore indotto è comunque da tenere
in conto.

Calcolo della potenza dissipata sul carico


Se Zi = Zl io posso calcolare la quantità di potenza dissipata nel carico finale con un semplice
partitore di tensione.
 ZL 
1
  1
PL   Re VL  I L*   Re  VS  I L* 
2 2  ZL  ZS 
Tutto ciò cambia se la frequenza non è così bassa.
Il calcolo della potenza diviene meno banale e l’eventuale ammanco di potenza dissipata non sarà
più dovuto alle perdite lungo la linea ( che, ricordiamo, abbiamo supposto non presenti indicando
α=0 e   j ) riflessione subita dall’onda incidente sul carico.

Coefficiente di riflessione (attenzione: dipende dalla frequenza!)


Questo fenomeno è rappresentato dal coefficiente di riflessione Γ che per definizione è pari al
rapporto fra onda riflessa ed onda incidente di tensione:
V  e jz
( z )    jz
V e
ma è anche definibile attraverso il suo rapporto con l’impendenza:
Z ( z)  Z 0
( z ) 
Z ( z)  Z 0
I coefficienti di riflessione sono calcolati all’inizio delle linea di trasmissione e prima del carico.
Questo parametro è indicativo del rapporto tra la potenza riflessa e la potenza totale (in particolare il
suo modulo quadro è pari al rapporto fra potenza riflessa ed incidente:
Priflessa
( z ) 
2

Pincidente
Noi vorremmo che entrambi fossero nulli per massimizzare la potenza trasferita al carico. Ma
ricordiamo che tale condizione è raggiungibile solo per una determinata frequenza: volendo
perseguire un adattamento per una definita larghezza di banda viene considerato adattato un circuito
che nella banda di interesse presenta un coefficiente minore di 0,3.

Return loss
Si usa come parametro anche il return loss che indica quanto l’onda riflessa è attenuata rispetto
all’incidente. E’ presentato con l’uso del logaritmo.
P 
RL  10 log  r   10 log   20 log 
2

 Pi 
Portare a 0 il coeff. di riflessione è fattibile solamente ad una sola frequenza. Mentre noi dovremo
trattare segnali con una certa banda di frequenze.
ROS
Un altro parametro è il VSWR (Voltage Standing Wave Ratio) spesso noto anche come ROS
(Rapporto d’Onda Stazionaria): si definisce come il rapporto fra i moduli del valore massimo e
minimo della tensione sulla linea
V MAX 1  
ROS  
V MIN 1  
Di seguito nel grafico si illustra l’andamento del ROS in funzione del coefficiente di riflessione.
Quando gamma è nullo il ROS è unitario. All’aumentare dl gamma che è compreso fra 0 ed 1 la
funzione diverge.
Adattamento e fattore di rumore
Abbiamo anticipato come sia fondamentale l’uso di reti loss-less che, interposte tra antenna e
amplificatore, trasformano la Rs dell’antenna in una resistenza tale da minimizzare il fattore di
rumore.
Però può accadere che tale resistenza non sia tale da garantire il massimo trasferimento di potenza
al bjt che ha un’impedenza d’ingresso disadattata rispetto a questa.
E allora dicemmo che l’unico modo per garantire ciò era cambiare l’impedenza d’ingresso del bjt
di modo da garantire tale massimo trasferimento di potenza. Questo problema di adattamento
diviene molto importante quando ho livelli di potenza bassi.
Il fatto che una potenza torni indietro (mancato adattamento) è problematico per l’antenna perché
potrebbe attivarla e generare un campo elettromagnetico di interferenza nell’etere.
LEZIONE 8. Adattamento, fattore Q, Coefficiente di riflessione,
carta di Smith.

Adattamento.
La rete interposta per l’adattamento è senza resistori poiché non vi devono essere fonti di rumore.
Avremo solo componenti reattive quindi. Vengono presentate tre reti di adattamento con capacitori
e induttori segnalati dalla JX che può essere disposta a pigreco o a T o ad L. Meno spesso si fa uso
di trasformatori d’impedenza che cambiano l’impedenza. Queste sono soggette a maggiori perdite
ecco perché sono meno utilizzate.

Vi sono reti di matching all’ingresso e uscita per amplificatori a singolo transistore. I rettangolini
presenti rappresentano tratti di linea di trasmissione (in cui per conoscere l’impedenza c’è bisogno
di trasportare). Molti dei dispositivi integrati presenti sono montati a surface mount e cioè avremo
dei chip con delle areole metalliche sottostanti che si vanno a legare con la pasta conduttrice
presente sulla board. Oppure prima venivano praticati dei forellini sulla board in cui inserire le linee
di connessione del chip.
In questo senso, anche realizzare delle linee di connessione tra circuiti non è una tecnica affidabile
perché piccoli errori di lunghezza dei fili possono comportare grandi variazioni di risposta elettrica
delle linee di connessione e quindi cambiamenti nelle funzioni che deve avere il circuito stesso.
Si vede poi un esempio applicativo.
Supponiamo di dover realizzare un tipico adattamento di un elemento circuitale attivo ad una
impedenza d’uscita di una certa antenna che è pari ad R1.
Dobbiamo cioè convertire R2 in R1 tramite il circuito d’adattamento per avere il massimo
trasferimento di potenza.

Ipotizziamo che R2 sia maggiore di R1. Mettendo in parallelo ad R2 un elemento puramente reattivo
cambierò la parte reale e immaginaria dell’impedenza vista da R1.
Diminuiamo R2: è posto un capacitore in parallelo. Si ottiene così una impedenza che ha parte reale
che vogliamo rendere pari ad R1 ed una parte immaginaria.

1
R2 
jC R2 R2 R22 C
Z i ( j )    j
R2 
1 
1  jR2 C 1  R2 C 
2

1  R2 C 
2

jC

Possiamo agire solo sul parametro C e lo facciamo rendendo la parte reale proprio pari ad R1.
R2 R R 1 1 1
 R1  C 2  22 2 1  2  2 2 C 
1   0 R2 C   0 R2 R1  0 R2 R1  0 R2  0 R2 R1
2

Poi inseriamo un induttore in serie per annullare la parte immaginaria dell’impedenza. Ovviamente
si considera 0 un parametro fisso di progetto e quindi lo possiamo considerare costante.
o R22C 1
o L  L  R1 R2
1  (o R2 C ) 2
o

Effetto in frequenza dell’adattamento (IMPORTANTISSIMO)


Dopo aver adattato verifichiamo come effettivamente vari al variare della frequenza l’andamento
dell’impedenza Zi per effetto della rete Loss-Less.

Prima di tutto calcoliamo l’impedenza equivalente in ingresso alla nostra rete loss-less attraverso il
metodo operatoriale (impiegando la trasformata di Laplace). Per calcolare Zi (s),nel nostro caso
abbiamo la resistenza R2 in parallello con il capacitore ed entrambi in serie con la induttanza.
1
Applicando la trasformata di Laplace (capacitore = ; induttore = sL ) otteniamo
sC
1 L
R2  LC  s 2   s 1
Cs R2 R2
Z i ( s)   Ls   Ls  R2 
1 1  R2 C  s 1  R2 C  s
R2 
Cs
1
Sostituendo s con j riconosco immediatamente un polo per  P  mentre al numeratore
R2 C
ottengo il polinomio:
L
1 j    LC   2
R2
1
Si tratta di un polinomio che comporta una coppia di zeri alla frequenza  z1, 2   n  .
LC
Infatti nel caso di un polinomio del tipo
2 2
1 j 
n  n2
la regola del calcolo dei poli e degli zeri vuole che in corrispondenza della frequenza n ci sia un
aumento di pendenza pari a 40 db. ( come se a tale frequenza risultassero due zeri reali coincidenti).
Per quanto riguarda l’impatto della  (zita), detto anche coefficiente di smorzamento, si dimostra
che è responsabile di picchi di risonanza in prossimità della pulsazione n alle seguenti condizioni:
il picco risulta sempre più pronunciato per  0. Per  =1 il coefficiente non ha impatto sul
normale andamento del diagramma. Di seguito si riporta un diagramma elaborato nel caso in cui il
polinomio in questione sia al denominatore. Nel nostro caso il risultato andrà RIBALTATO


 =1

A questo punto il valore di  lo otteniamo nel modo seguente:


2 L L n 1 L 1 R1
    
 n R2 2 R2 2 R2 C 2 R2
da cui si evince che l’elongazione sarà tanto più accentuata quanto maggiore sarà R2 rispetto ad R1.

Risulta dal grafico che alla frequenza di lavoro, a cui abbiamo assegnato un valore fisso durante
tutti i nostri conti, l’ impedenza risulta pari ad R1.
In rosso la curva così come dovrebbe essere disegnata con un polo in p1 che determina una
inclinazione di -20 db. In concomitanza della pulsazione la sottoelongazione determinata dal
coefficiente di smorzamento , la coppia di zeri che annulla l’inclinazione negativa e ne determina
una positiva a + 20 db.
RIMANE MISTERIOSO IL MOTIVO PER CUI LA FREQUENZA DI LAVORO COINCIDA
CON QUELLA DELLA COPPIA DI ZERI…
Forse l’assunto che si fa è il seguente: sono partito da un valore di resistenza più alto R2 e sto
cercando di abbassarne l’entità. Lo faccio impiegando una rete (che è di tipo risonante)ed otterrò
alla frequenza di lavoro definita un valore di R2 più basso coincidente proprio con il minimo valore
possibile per quel circuito di adattamento risonante. Per questo quando adatto ad una determinata
frequenza di lavoro attraverso un circuito risonante sono sicuro che sto facendo in modo che alla
frequenza di risonanza del circuito di adattamento venga vista l’impedenza necessaria
all’adattamento.

Spostandoci da tali frequenze ci discostiamo dal valore della R1. Possiamo discostarci molto o poco.
Infatti, come abbiamo già detto, un buon adattamento non lo si ha solo per Γ= 0 come coefficiente
di riflessione. Possiamo anche discostarci da questo sotto una certa soglia di sicurezza.

Il fattore Q.
Il fattore di qualità Q pari alla metà dell’inverso di  (zita, coefficiente di smorzamento)
corrispondente, quindi a
1 R2
Q 
2 R1
è anch’esso espressione diretta del rapporto fra le due resistenze da matchare e mi dà l’idea, con un
andamento opposto a quello di zita, di quanto è larga o meno la campana del grafico di Q.
Più che essere un fattore di qualità è un fattore di non-qualità. Nel senso che più è elevato, più la
curva sarà piccata e quindi stretta e con meno tolleranza ad adattare in un intorno della frequenza di
adattamento. Come detto è approssimabile al rapporto fra l’impedenza che deve essere matchata e
quella che dobbiamo trasformare per l’adattamento.
Si constata che più piccolo è il fattore di qualità e più ampio è il range in cui c’è adattamento.
Quindi più distanti in valore sono le due impedenze( cioè ) minore sarà il range di
adattamento e più alto è Q.

Linee di trasmissione: casi particolari


Nello studio delle linee di trasmissione, abbiamo detto che ci sono varie modalità di adattamento.
Quella prima vista è un po’ problematica perché presuppone l’introduzione di elementi come
condensatori e induttori in un circuito che sono componenti discreti soggetti a errori di produzione e
non di facile reperibilità.
Ecco perché si sfrutta la linea di trasmissione ed, in particolare, il trasporto di impedenza.
Posso usare, ad esempio, un cortocircuito finale che mosso lungo la linea di trasmissione può
divenire qualsiasi componente reattiva capacitore o induttore che sia. Invece di avere un
componente discreto messo apposta.
Trasporto di un corto
Si mostra l’espressione dell’impedenza di un corto trasportata avente solo parte immaginaria.
Z ( z )  jZ 0 tan( z )   jY0 cot( z )
Trasporto di un aperto
Stesso discorso vale per un aperto trasportato che simula lo stesso comportamento reattivo.
Z ( z )  jY0 tan( z )   jZ 0 cot( z )

Adattatore a
4
Con l’adattamento a lambda quarti invece opero sulla Z0 avendo fissata la lunghezza della linea di
trasmissione come già visto in campi.

   2 
Z L  Z 0 tan     Z L  Z 0 tan   
 4  Z   4 Z  Z 0   Z 02
Z in  Z 0  Z0 L 
   2  Z0  Z L   Z L
0
Z 0  Z L tan     Z 0  Z L tan   
 4   4

Per cambiare la Z0 se ho un cavo coassiale posso lavorare sul materiale dielettrico tra calza ed
anima sfruttando la relazione:
Z 0  Z in Z L
Se ho una pista metallica lavoro sulle dimensioni geometriche di quest’ultima per esempio la
larghezza.

Un caso concreto di adattamento (massima potenza trasferibile al carico)

Si considera una linea di trasmissione con carico finale ed una sorgente riformulata attraverso un
equivalente di Thevenin con generatore di tensione e resistenza serie.
Individuiamo subito due sezioni d’interesse a cui bisognerà fare l’adattamento e cioè quella subito
dopo il generatore e quella subito prima del carico ZL.
Calcolo l’espressione della tensione di ingresso con la regola del partitore
 Z in 
V ( z ) z  z  VG  
 Z G  Z in 
in

oppure usando il coefficiente di riflessione. La tensione infatti è suddivisa in un’onda incidente ed


una riflessa.
V ( z ) z  z  Vin 1  in 
in

Posso poi trovare anche l’espressione della corrente di ingresso dividendo la tensione per l’
impedenza caratteristica.
Vin
I ( z ) z  z  I in 1  in  

1  in 
in
Z0
Si ricava poi il valore della potenza di ingresso con le opportune sostituzioni.

L’ultima formula mi permette di verificare immediatamente il valore della potenza trasferita al


carico in caso di adattamento su entrambe le discontinuità o solo su quella fra linea e carico:
Vengono mostrati due casi particolari di adattamento e le potenze relative sui carichi. Il primo se
c’è adattamento sul carico e all’ingresso della linea. Il secondo solo sul carico:
a) in  S  0
1 VG2
Pin 
8 Z0
b) s  0

Pin 
1 VG2
8 Z0

1  in
2

Insertion loss
Ricordando che il return loss è definito come
P 
RL  10 log  r   10 log   20 log 
2

 Pi 
viene definito l’Insertion Loss come la differenza fra potenza incidente e riflessa normalizzata
all’incidente espressa in decibel:
 P  Pr 
IL  10 log  i  
  10 log 1  in
2

 Pi 
Sinossi finale
A questo punto risulta interessante confrontare nei rispettivi range di variazione alcuni fra i
differenti indicatori presentati. In particolare Γ, Return Loss e VSWR (Voltage Standing Wave
Ratio) spesso noto anche come ROS (Rapporto d’Onda Stazionaria di tensione):

da notare come il return loss ed il Ros abbiamo andamenti opposti al crescere di Gamma

Carta di Smith

Il coefficiente di riflessione è un numero complesso ed in quanto tale può essere rappresentato in


modulo e fase (in modo “fasoriale” dice il prof) e rappresentato nel piano complesso sempre
all’interno di una circonferenza di raggio unitario (poiché “1”) è il valore massimo che può
assumere il modulo.

La fase esprime lo sfasamento fra onda incidente e riflessa


Ricordiamo anche che gamma e l’impedenza di carico hanno un legame tra loro:
Z ( z)  Z 0
( z ) 
Z ( z)  Z 0
1  ( z )
Z ( z)  Z 0
1  ( z )
Si considera l’impedenza normalizzata all’impedenza caratteristica Z0. Così l’impedenza ora è
definita solo con termini adimensionali.
Z ( z ) 1  ( z )

Z0 1  ( z )
Riscrivo l’impedenza normalizzata come generico numero complesso con parte reale ed
immaginaria. Anche per il coefficiente di riflessione considero la parte reale e quella immaginaria:
Z ( z) 1  ( z ) 1  Re ( z )  jIm ( z )
 r  jx  
Z0 1  ( z ) 1  Re ( z )  jIm ( z )
Si procede calcolando separatamente parte reale ed immaginaria dei due membri del’equazione:
1  Re
2
( z )  Im
2
( z)
r
1  Re ( z )  Im ( z )
2 2

2Im ( z )
x
1  Re ( z )2  Im2 ( z )
Manipolando la prima equazione riferita alla parte reale ottengo un fascio di circonferenze legate al
parametro r. Ciascuna circonferenza cioè esprime nel piano complesso (piano in cui si trova
gamma) il luogo dei punti di gamma a cui corrisponde un impedenza con parte reale costante = r

Tutte le circonferenze sono tangenti nel punto (1,0) alla retta ΓRe=1. Più mi avvicino al punto (1,0) e
progressivamente incontro circonferenze espressione di una parte reale dell’impedenza associata
crescente.
Muoversi su una delle circonferenze a parte reale costante significa variare la parte immaginaria
solamente del coefficiente di riflessione (PROFONDAMENTE SBAGLIATO!!!)
Facendo variare il coefficiente di riflessione su una determinata circonferenza a parte reale costante
dell’impedenza associata significa che dell’impedenza associata sta variando la sola parte
immaginaria
Manipolando la seconda equazione ottengo due fasci simmetrici di circonferenze legate al
parametro x. Ciascuna circonferenza cioè esprime nel piano complesso (piano in cui si trova
gamma) il luogo dei punti di gamma a cui corrisponde un impedenza con parte immaginaria
costante = x.
In questo caso i fasci sono tangenti nel punto (1,0) alla retta Im  0
Anche in questo caso più mi avvicino al punto (1,0) e progressivamente incontro circonferenze
espressione di una parte immaginaria dell’impedenza associata crescente.
Interessante il caso in cui la parte immaginaria risulti nulla: le circonferenze avranno raggio che va
all’infinito e si “schiacceranno” sull’asse delle ascisse.
Muoversi sulle circonferenze a parte immaginaria costante vuol dire che sta variando solo la parte
reale dell’impedenza associata. A seconda che la parte immaginaria sia maggiore o minore di zero
posso comprendere la natura del contributo reattivo dell’impedenza associata:
sto sopra(x > 0)  significa che la reattanza dell’impedenza associata è di tipo induttivo
sto sotto (x < 0)  significa che la reattanza dell’impedenza associata è di tipo capacitivo

Adattare con la carta di Smith:


L’adattamento è graficamente perseguibile seguendo i passi elencati e cioè:
1) normalizzare l’impedenza di carico

2) passare al calcolo del coefficiente di riflessione

3) trasporto del coefficiente di riflessione alla ascissa d’interesse

4) ritrasformare il coefficiente di riflessione in impedenza non normalizzata.

Il discorso fatto per l’impedenza può essere equivalentemente affrontato con l’ammettenza. Il piano
della
0 gamma sarà ribaltato a sinistra come mostrato.
Nella figura finale della carta di Smith finale con ammettenze e capacità si nota come seguendo la
linea tratteggiata aggiungere una capacità in parallelo voglia dire far variare la parte immaginaria
dell’ammettenza. Mentre per l’impedenza z cambia sia la parte reale che quella immaginaria.
LEZIONE 9. Carta di Smith, Filtri LNA
Conclude la problematica dell’impiego della carta di Smith per la realizzazione di reti di
adattamento.
Nell’impiego di reti loss less, utilizzando solo reattanze mi muovo solo lungo le circonferenze con
parte reale costante. In base al fatto che tali reattanze siano collocate in parallelo o in serie al carico
valuto se impiegare la carta delle Ammettenze o quella delle Impedenze.

Esempio di adattamento
Problema: ho una linea di trasmissione con impedenza caratteristica Z0 che termina su un carico con
valore di impedenza normalizzata pari al valore A = 0,7
Obiettivo: voglio adattare il carico alla linea cioè voglio che all’uscita della linea l’impedenza di
carico trasportata assuma valore normalizzato pari B = 1. (ovvero sto cercando di rendere il mio
carico dello stesso valore dell’impedenza caratteristica della linea di trasmissione).
Sulla carta di Smith ciò equivale a spostarsi sull’asse delle ascisse da sinistra verso destra (perché
ricordiamo che la parte reale dell’impedenza associata cresce al decrescere del raggio delle
circonferenze)

Ricordo, poi che in base a come inserisco elementi aggiuntivi (in serie o in parallelo) devo
considerare specularmente lo sviluppo delle circonferenze a parte reale costante, in base al fatto che
sita considerando il comportamento delle impedenze (figura di sopra) o delle ammettenze ( figura di
sotto)
Mi avvalgo per raggiungere lo scopo di una reter loss less di adattamento di tipo T:

L’effetto della rete a T è il seguente:

1) Il primo induttore in serie mi fa muovere in senso orario (perché sto aumentando il valore
della parte immaginaria della impedenza associata) sulla circonferenza a parte reale costante
(0,7) di un arco pari al valore equivalente della sua induttanza.

2) il capacitore in parallelo determina lo spostamento uno spostamento ancora in senso orario


(stavolta sto incrementando il valore della parte immaginaria della ammettenza associata)
ma sul piano delle circonferenze a parte reale costante simmetrico al precedente

3) il terzo capacitore in serie realizza nuovamente una rotazione in senso orario nel piano iniziale
delle circonferenze a parte reale costante
Problematica: a volte gli archi da descrivere potrebbero essere troppo grandi ovvero richiedere
valori di impedenze e capacità troppo grandi per le dimensioni del circuito che sto realizzando.

Adattamento per quale banda di frequenza?


Do per scontato di star lavorando a banda piccola, meglio dire a banda relativa (/*) piccola in
modo che per tutto l’intervallo di frequenza considerato continuo a beneficiare degli effetti
dell’adattamento.

Riassunto problema dell’adattamento:


1) Parto da considerazioni riguardanti la minimizzazione del rumore prodotto dall’amplificatore e
ricavo il valore ideale della resistenza che deve vedere a monte l’amplificatore per ridurre al
minimo il rumore (vedi approfondimento su come si calcola il rumore prodotto da un amplificatore).
Indico il valore di tale resistenza con Rs-ott (Resistenza serie del generatore equivalente ottimale).
Considero di aver lavorato già tecnologicamente sul transistor per individuare l’area ottimale che
contribuisce ulteriormente a diminuire il rumore.

2) Realizzo una rete Less Loss (senza perdite) che agganciata al mio generatore equivalente
(antenna + linea di trasmissione) abbia come resistenza di uscita proprio Rs-ott.

3) Ora scatta l’adattamento vero e proprio: prima sono intervenuto per realizzare una determinata
resistenza di uscita di un generatore.
A questo punto, quindi devo rendere il mio amplificatore/carico uguale a Rs-ott in modo che risulti
adattato. In questo modo rendo la linea completamente adattata e tutta la potenza del generatore
entra nell’amplificatore.

Per intervenire sulla resistenza di ingresso dell’amplificatore considero (per semplificare) che in
partenza ho Rb (la resistenza in base): aggiungendo un induttore in emettitore
Nel modello equivalente per piccolo segnale eliminiamo r perché nel paralello con C non da
contribuiti avendo supposto di lavorare a frequenze elevate:
1 1
r // 
j C j C
La resistenza in ingresso è per definizione data dal rapporto
v
Zi  I
iI
 
 jLE iI  gmv   iI RB  iI 
1 1 1
vI  iI RB  v  vE  iI RB  iI   jLE  iI  g miI  
jC jC  jC 

gm  1 
 iI RB  iI LE  jiI  LE  
C  C  
v g  1 
Z i  I  RB  LE m  j LE  
iI C  C 
g
Definendo la quantità m  T Volendo rendere la parte reale dell’impedenza di ingresso pari a Zopt
C
porrò la relazione:
Z  RB
Re Z i   I  RB  LET  Z opt  LE  opt
v
iI T
me ne ritroverò, quindi, l’effetto in termini di riflessione in base della resistenza di emettitore ed
avrò ottenuto la modificazione desiderata della parte reale dell’impedenza dell’amplificatore
(ovvero Re[Zamplificatore] = Rs-ott).

Con un ulteriore induttore in base ottengo l’eliminazione del contributo immaginario ovvero
Zamplificatore = Rs-ott.

Cosa è un amplificatore LNA

Un amplificatore a basso rumore (LNA, low-noise amplifier) è un amplificatore elettronico


utilizzato per amplificare dei segnali molto deboli (per esempio, catturati da un'antenna). Di solito è
situato molto vicino al dispositivo di rilevamento, così da ridurre al meglio le perdite di precisione.
Un LNA è un componente chiave, inserito nell'estremità anteriore del circuito radio-ricevitore. Per
la formula di Friis, la cifra di rumore di un'amplificazione multistadio dipende soprattutto dai primi
stadi (o semplicemente dal primo stadio), che vengono chiamati amplificatori a basso rumore.

Un buon LNA possiede una bassa cifra di rumore (come 1 dB) ed un guadagno abbastanza grande
(come 20 dB). Per ottenere un rumore sufficientemente basso, bisogna produrre un'amplificazione
al primo stadio abbastanza consistente. Vengono quindi utilizzati, in genere, transistor come JFET o
HEMT, impiegati in un regime ad alta intensità di corrente, che non è efficiente dal punto di vista
economico, ma permette di ridurre la quantità relativa di rumore shot.

Rendere l’amplificatore indipendente alle variazioni di flusso di corrente dovute alla


temperatura o ad oscillazioni della tensione di alimentazinone.
Per quanto riguarda lo schema di polarizzazione si utilizzano generatori di corrente a specchio o
modelli circuitali del tipo band gap di Widlar (basti ricordare che per ottenere la stabilità del
dispositivo lo si polarizza in corrente)

Amplificatore Cascode per neutralizzare il tono di modulazione del MIXER


Il mixer genera un segnale interno per realizzare uno shift di frequenza. Tale segnale deve essere di
una certa potenza poi vedremo perché. Tale segnale in un amplificatore ad emettitore comune
avrebbe una via di ritorno attraverso la capacità C a ponte fra collettore e base.

A questo punto potrei avere due diversi effetti: o il segnale raggiunge l’antenna e viene trasmesso
disturbando la frequenza o in concomitanza di qualche discontinuità della linea (che è adattata in
forward e non in back) può essere ulteriormente riflesso, rientrare nell’amplificatore e generare
rumore.
Soluzione amplificatore Cascode:

primo stadio (Q1) emettitore comune, secondo stadio (Q2) base comune. La base in comune
consente di scaricare a terra il segnale che dal collettore torna indietro attraverso la capacità C  .
Altra ipotesi è quella di impiegare un amplificatore differenziale il cui guadagno in reverse è
talmente basso da neutralizzare il tono di modulazione del mixer.

Altre strategie per l’adattamento. (dall’amplificatore a valle)


1) Trasformatore di impedenza: paga un prezzo in termini di abbattimento di potenza per
trasformare l’impedenza e può essere impiegato solo a valle di un segnale già amplificato e non
all’ingresso della stazione ricevente.
2) Ulteriori elementi risonanti (reti loss-less) che oltre ad adattare filtrano ulterioremente il segnale.
Può essere utile inserire filtri dell’ottavo ordine che garantiscono un segnale piatto in banda
(eliminando i contributi laterali in perdita)

Il caso del Mosfet


Viene presentata una formula che descrive l’andamento della corrente di drain e che tiene in conto
l’effetto di modulazione del canale presente soprattutto in caso di canale corto (come avviene
sempre più di frequente nei circuiti ad elevata integrazione). In regione di pinch off l’aumento della
Vds determina un progressivo restringimento del canale effettivo con abbattimento del valore
resistivo dello stesso (la resistenza è infatti proporzionale alla lunghezza) e conseguente progressivo
aumento della corrente.

La frequenza di transizione (frequenza per la quale il valore del guadagno diventa unitario) è, come
nel caso dei Bjt , dipendente dagli elementi capacitivi secondo la seguente relazione.
gm g
t   m
2CGS  CGD  2CGS

Mosfet e rumore
- Rumore termico della Gate che, realizzata in polisilicio, costituisce un fattore resistivo al
passaggio di corrente.
˗ Rumore di canale:
o Rxumore termico (il canale è pur sempre una resistenza) e di un rumore fliker.
o Rumore Fliker è dovuto a quanto accade all’interfaccia fra il canale e l’ossido di
silicio. Il reticolo molecolare dell’ossido è più chiatto con capacità di esercitare forze
rilevanti all’interfaccia, capaci di fa apparire livelli energetici trappola all’interno del
bandgap.

Adattemento e cascode
Operiamo nello stesso modo in cui abbiamo fatto per i BJT. Scegliamo una topologia cascode e
impieghiamo un induttore in emettitore ed un in base per adattare in ingresso.
Un filtro LRC sul collettore dello stadio a base comune garantisce l’adattamento in uscita.
Seguono indicazioni qualitative sul comportamento in termini di guadagno di un tipo LNA a Mosfet.

Rassegna di modelli di amplificatori valutati rispetto ad alcuni parametri qualitativi:


Fattori qualitativi:
˗ Una ridotta figura di rumore.
˗ Un’ amplificazione consistente.
˗ Un buon adattamento con i circuiti a monte e a valle.
˗ Un consumo di potenza contenuto.

Criteri realizzativi
 Preferenza per la tecnologia MOS.
 Utilizzo di configurazioni circuitali semplici.
 Minimizzazione dell’uso di resistori.
 Selezione di componentistica di qualità.
 Scelta di circuiti accordati ad elevata amplificazione.
 Implementazione di una rete di adattamento.
 Utilizzo di alimentazioni a basso voltaggio.
1 modello con resistenza in emettitore
Vantaggi Svantaggi
Il coefficiente di riflessione in tensione alla Elevata figura di rumore
porta di ingresso S11 è costantemente pari a -40
db: è adattato ad ogni frequenza
Guadagno a banda piatta in un ampio range di Di difficile realizzazione
frequenze
2 modello con induttanza in emettitore e generatore di corrente ideale
3 modello con induttanza in emettitore + cascode + generatore di corrente ideale
4 modello con induttanza in emettitore + cascode + generatore di corrente a specchio
5 modulo con induttanza divisa su più componenti
Vantaggi Svantaggi
Bassa figura di rumore Adattamento selettivo
Di facile realizzazione Guadagno selettivo

Circ.I Circ.II Circ.III Circ.IV Circ.V Toshiba Agilent Philips


MT4S100T MGA52543 BGA2011
Amplificazione 8dB 10dB 50dB 50dB 40dB 17dB 19dB 15dB
Figura di
3.8dB 2dB 2dB 2dB 1.4dB 1dB 1.7dB 1.6dB
rumore
Potenza 5mA 14mA 33mA 30mA 24mA 15mA 30mA 24mA
dissipata @5V @1.5V @1.5V @1.5V @1.5V @1.5V @1.5V @1.5V

Esempio si LNA per telefonia cellulare (motorola?)


LEZIONE 10. Parametri di qualità di un LNA, Moltiplicatore,
Cella di Gilbert

Rumore di intermodulazione.
Abbiamo visto come quando gli amplificatori lavorano fuori linearità si crea un problema di
distorsione del segnale. In caso di amplificazione non lineare la funzione di trasferimento a cui fare
riferimento diventa:
 o  a1 i  a 2 i2  a3 i3 ...

Supponiamo di ricevere nel tratto di banda ricevuto numerosi canali contigui in frequenza. Può
accadere che le frequenze spurie provenienti da altri canali si sovrappongano a quella fondamentale
che si deve ricevere.
Se il segnale d’ingresso fosse un solo canale (rappresentato da una sinusoide alla frequenza ω1) non
avremmo problemi di distorsione alcuna, perché le componenti spurie che genererebbe la funzione
di trasferimento non lineare cadrebbero tutte fuori banda utile.
I problemi nascono invece quando ci sono più canali contigui . Vediamo qualcosa in dettaglio e
consideriamo due sinusoidi (toni), aventi appunto frequenze prossime e uguale ampiezza per
semplicità:
 i  Ai cos1t   Ai cos2 t 
Quando questo somma viene amplificata ogni coefficiente della funzione di trasferimento dà luogo
a componenti spurie di varia frequenza secondo lo schema:
a1  ω1 , ω2
a2  2ω1 , 2ω2 , (ω1 + ω2), (ω1 - ω2)
a3  ….., (2ω1 - ω2) , (2ω2 - ω1), …
Come si può notare le uniche componenti che cadono in banda sono dovute ai coefficienti di ordine
dispari. Di fatto a1 è il mio segnale a2 è filtrato e a3 sono le spurie che posso trovare in banda.
Spesso nel considerare questi effetti ci si ferma al termine di terzo grado, poiché quelli di grado
superiore hanno livelli di potenza decrescenti, si parla allora di spurie del terzo ordine.
Distorsione di intermodulazione IM3
Un parametro che tiene conto dell’effetto di interferenza della terza armonica rispetto alla frequenza
fondamentale è IM3 cioè il coefficiente di intermodulazione di 3 armonica.
IM 3  20 log o1   Ao1 dB   Ao 3 dB
A
Ao 3
Esso mette a rapporto prima e terza armonica e così ho un parametro di bontà dell’amplificatore.

I due termini di intermodulazione crescono in maniera differente rispetto al segnale d’ingresso, ma


non ci interessa approfondire questo aspetto. A parte notare che il contributo di terza armonica
cresce con il cubo dell’ampiezza del segnale di ingresso e per determinati valori di quest’ultimo,
potrebbe sovrastare il segnale di interesse.
Ao1  a1 Ai
Ao 3  ka3 Ai3

Intercetta del 3° ordine (IP3)


Risulta chiaro, piuttosto, che poiché l’IM3 dipende dall’ampiezza del segnale d’ingresso allora si
cerca un parametro di rilevanza più generale: l’intercetta del terzo ordine (IP3).

Come si vede dal grafico noi vorremo che l’intersezione (IP3) fra le due rette sia quanto più a destra
(ovvero fuori dalla banda di interesse) possibile perché, quando avviene l’intersezione, vuol dire
che c’è una condizione critica di interferenza tra le due armoniche.
La relazione che lega i due indici:
IM 3
IP3   Ai dB 
2
ci informa che IP3 è il valore che dovrebbe assumere il segnale di ingresso per avere IM 3 nullo.
Questo parametro ci informa indirettamente su quanto l’LNA sia immune alla intermodulazione.
Punto di compressione a 1 db (P1db)
Un altro parametro è il punto di compressione ad un decibel. Esso ci dice che il guadagno di
POTENZA dell’amplificatore non è costante e che all’aumentare della potenza del segnale
d’ingresso il guadagno si riduce. Quando scende di un decibel abbiamo un punto particolare detto
punto di compressione.
Moltiplicatore
Questa componente si occupa di traslare in frequenza un segnale in ingresso, ad esempio, tramite
una moltiplicazione dei segnali.
Moltiplicatore con amplificatori logaritmici
Un’ipotesi di implementazione potrebbe consistere nell’impiego di due amplificatori logaritmici che
in ingresso ricevono ciascuno un segnale ed in uscita confluiscono in un sommatore. Ho ottenuto la
somma di due logaritmi e quindi il prodotto degli argomenti. Se poi sfrutto la relazione del diodo
che è di tipo esponenziale ottengo un prodotto come volevo perché esso preleva l’ingresso che è un
logaritmo di un prodotto e lo mette all’esponente del suo termine esponenziale e quindi esce il
prodotto.

X A.L
1 .
+ exp Y = (X1  X1)

A.L 
X .
1
Attenzione a non sottovalutare l’importanza (in vista dell’esame) del moltiplicatore analogico che
non coincide con il Mixer. Il Mixer è un tipo di moltiplicatore, ma non ne esaurisce la casistica.

Non idealità del circuito moltiplicatore


Un moltiplicatore analogico ideale non fa null’altro che moltiplicare segnali in ingresso.
Idealmente mi aspetto che un moltiplicatore (ad esempio di tensioni), nel tempo, mi fornisca, istante
per istante il prodotto assunto da due segnali di tensione variabili a meno di un coefficiente
moltiplicativo costante
La funzione di trasferimento ideale sarebbe quindi:
Vu(t)= Km Vx(t) Vy(t)
Si tratta di una funzione intrinsecamente non lineare e non posso farne la trasformata di Fourier. Ma
io desiderei analizzarne lo spettro. Sicuramente ritroverò contributi spettrali alle frequenze somma e
differenza di tutte le componenti presenti nei segnali originari.
Nel caso di puri toni sinusoidali in ingresso l’operazione è semplice: otterrò due soli contributi in
frequenza, uno alla frequenza somma ed uno alla frequenza differenza.
La funzione di trasferimento reale, però si presenta con ulteriori contributi:
Vu(t)= Km Vx(t)Vy(t) + Ex Vx(t) + Ey Vy(t) + Eo
˗ Con Ex Vx(t) ed Ey Vy(t) componenti di feedthrough dei segnali di ingresso presenti direttamente
in uscita (attenuati)

˗ Con Eo Componente di offset determinata dal segnale di alimentazione anch’essa presente in


uscita per un processo di feedtrough
VDD
Yd = E0
VX Yb = Ex VX
Ya = Km VX
VY X YVcY= EyVy


E quindi nello spettro d’uscita troveremo la somma delle frequenze, la differenza e anche le singole
frequenze e altri termini dovuti a problemi di distorsione. I termini aggiuntivi non voluti in generale
saranno più attenuati rispetto a quelli voluti. Ovviamente maggiore è l’attenuazione delle
componenti non desiderate meglio funziona il sistema (tale caratteristica si misura in rapporto in
decibel fra le differenti componenti).
Errori di feedthrough sono errori dovuti al fatto che frequenze dei segnali di ingresso passano
direttamente all’uscita. Sono generalmente legati ad errori di polarizzazione del circuito. Per
risolvere tale problema bisogna bilanciare gli amplificatori del differenziale, cioè renderli
perfettamente simmetrici.
Ci sono poi errori di non-linearità con relative armoniche di ordine superiore che possono essere
eliminate facendole contrastare fra loro in segno con dei circuiti accordati.

Moltiplicatore a reti non lineari


A proposito di non linearità tale caratteristica può essere sfruttata proprio per ottenere un altro
esempio di effetto moltiplicativo:
considero un circuito con funzione di trasferimento:
 o  a i  b i2   i3 ...
attraverso un primo filtraggio ne estrapolo il termine quadratico dal quale scaturisce la relazione
 
 o  b i2  b x   y 2  b  x2 .  2 x y   y2
Attraverso un secondo filtraggio ottengo che la funzione di trasferimento finale sia proprio quella
del mio moltiplicatore:
 o  2 x y
Moltiplicatore a transconduttanza
Noi abbiamo visto che se prendiamo un amplificatore ad emettitore comune allora il segnale
d’uscita è pari a
vo = gm  RC  vi. Dove gm=IC/VT.
Ora io posso pensare rendere dipendente gm da un altro segnale chiamato vx. Ad esempio
gm = A  vx
cosicché vo = A  vx  RC  vi.
cioè ho proprio il prodotto come volevo ottenere. Quindi mi basterebbe controllare la corrente con
un generatore di corrente controllato.

Vx

Problemi:
˗ Vincolo sull’ampiezza del segnale in ingresso: deve essere > 0,6 V;

˗ La corrente deve avere segno positivo (al fine di garantire la regione di funzionamento attiva
diretta che consente di mantenere la relazione desiderata fra le grandezze).
In generale anche il segnale vx che controlla gm sarà positivo: in questo modo ho ottenuto un sistema
moltiplicatore cosiddetto ad 1 quadrante in quanto i segnali in ingresso dovranno essere vincolati ad
assumere valori positivi.
Opzione a due quadranti:
Posso però pensare di applicare il segnale di ingresso fra le due basi di due bjt e quindi quando la
Vx è positiva funzionerà il bjt di sinistra e non quello di destra mentre quando è negativa avverrà il
contrario.

E’ l’equivalente di un
generatore di corrente
controllato in tensione

Si ha così una configurazione a 2 quadranti (considero anche il semiasse negativo delle vx). Invece,
la vy sarà sempre positiva perché, se non lo fosse, avremo che il bjt che funziona da generatore di
corrente non risulterebbe più attivo. Per comprendere la dipendenza della corrente di collettore dal
segnale di ingresso si può considerare il modello per piccolo segnale con generatore di corrente
controllato in collettore ic = gm* v con v = vi.
Con questa configurazione avrò ottenuto anche vantaggi in termine di reiezione del modo comune
della vx contrastando alcuni effetti di feedtrough. Ciò sarà tanto più vero quanto effettiva sarà la
simmetria (tecnologica, di polarizzazione, di condizioni ambientali) dei due BJT
Configurazione a 4 quadranti e CELLA DI GILBERT
Però io vorrei usarne 4 di quadranti e allora esce fuori uno schema un po’ più complesso. Abbiamo
4 transistori npn. Questi sono connessi ad un sotto-circuito differenziale con 2 bjt. Il segnale vy è il
segnale che può essere negativo o positivo per far funzionare uno dei due bjt. Poi c’è sempre vx che
fa funzionare il lato sinistro o quello destro. Le uscite di collettore sono legate ai due resistori. Ora
possiamo sfruttare tutti e 4 quadranti.
Si notino i tre tipi di cortocircuito presenti fra i quattro BJT del primo livello:
˗ Gli emettitori sono cortocircuitati a coppie

˗ Sono cortocircuitate le basi dei due BJT interni

˗ Sono corto circuitati i collettori di primo e terzo, di secondo e quarto

Cella di Gilbert
Realizzando un focus sul nucleo di questo circuito denominato Cella di Gilbert così come
esemplificato nel disegno che segue

assumendo le seguenti definizioni:


i x  i x1  i x 2
io  io1  io 2 con
io1  ic1  ic3
io 2  ic 2  ic 4 da cui segue che
io  ic1  ic 2  ic3  ic 4
vy
intendiamo dimostrare che per tale circuito vale la FdT: io   F i x  tanh
2VT
in altre parole stiamo anche sostenendo che per tale circuito sono grandezze di ingresso la v y e la ix
mentre l’uscita è io .

Premessa: Funzionamento di un classico circuito differenziale

Assunzioni: suppongo eguali i coefficienti di corrente di saturazione inversa perché i bjt sono uguali,
così anche vT e dato che il nodo di emettitore è in comune allora scriverò un solo pedice per le ,
cioè solo B. Suppongo eguali  F perché i bjt sono polarizzati alla stessa maniera.
VBE 1

ic1  I S1e VT

VBE 2

ic 2  I S 2 e VT

Come detto assumendo che i transistori sono stati realizzati attraverso lo stesso processo
tecnologico nel fare il rapporto fra le due correnti posso semplificare IS1 e IS2
VBE 1
VBE 1 VBE 2
ic1 e VT 
 VBE 2  e VT  e VT
ic 2
e VT
poiché i bjt hanno l’emettitore in comune e lavorano alla stessa temperatura:
VBE 1 VBE 2 Vid
iC 1
 e VT  e VT
iC 2
aggiunto un unità ad entrambe i membri dell’equazione:
Vid Vid
iC 1 i i
 1  e VT  1  C1 C 2  e VT  1
iC 2 iC 2

Posso scrivere che per entrambe i BJT iC   F iE con  F 
 1
Vid
 i   F iE 2
Vid
iC 1
 1  e  1  F E1
VT
 e 1 VT

iC 2  F iE 2
Supponendo i due transistor polarizzati nella stessa maniera avrò  e di conseguenza  uguali.
 F i E1  i E 2  i E1  i E 2
Vid

  eV 1
T

 F iE 2 iE 2
Ma iE1  iE 2  I EE per il secondo principio di Kirchhoff perché entrambe gli emettitori confluiscono
nel nodo a cui è collegato il generatore di corrente. Posso riscrivere allora:
Vid  
I EE I EE  I EE 
 e  1  i E 2  Vid
VT
 iC 2    Vid 
iE 2  VT 
e 1
VT
 e  1
VBE 2 VBE 1 Vid
i 
Riproponendo lo stesso calcolo a partire dal rapporto: C 2  e VT
e VT
otterrò alla fine che
iC 1
 
 I EE 
iC1    Vid 
  VT 
e 1
Calcolo ora la differenza fra le correnti:
     VVid V
 id 
 I I   1 1   e  e VT
T 
iC1  iC 2    V EE  V EE   I EE  V  V    I EE  Vid V

  VT
id id
   VT
id id
   id 
e  1 e  1
VT
e  1 e  1
VT
2e e
VT VT

2
 2VVid  Vid

Riconosco al numeratore la differenza di due quadrati, infatti e  T 


 e VT che riscrivo come
 
 
prodotto di due binomi. Mentre al denominatore riconosco il quadrato di un binomio:
  Vid  id 
V Vid
 id  
V

 VVid V
 id    e e
2VT 2VT  e  e VT  
2V T 2

 e T e T     
  
V
iC1  iC 2  I EE     I 
 
Vid Vid EE 2
 
VT   2Vid
V
 id 
V

2e e
VT
   e T  e 2VT  
   
   
V
realizzo una sostituzione di variabile: x  id che mi consente di riconoscere immediatamente a
2VT
presenza della tangente iperbolica:
  
 e x  e x e x  e x 
iC1  iC 2  I EE    I EE tanh x
 e x  e x  2

riconducendomi al valore di x e inquadrando il circuito differenziale come parte della cella di
Gilbert

posso in definitiva scrivere



iC1  iC 2  I EE 
 
 e x  e x e x  e x 
  i x1 tanh Y
v

 
e x  e x
2
 2VT
mentre per l’altro differenziale a destra la relazione sarà:
v
iC 4  iC 3  i x 2 tanh Y perché il collegamento del segnale di ingresso è invertito
2VT
ed in conclusione avrò
v v v
iC1  iC 2  iC 4  iC 3  i x1 tanh Y  i x 2 tanh Y  iO  i x tanh Y
2VT 2VT 2VT


Quello appena fatto in tecnologia bjt lo possiamo ripetere in tecnologia mosfet con un singolo o
doppio bilanciamento.
Adesso dobbiamo capire come utilizzare la cella di Gilbert uscita per arrivare a definire un prodotto.
vO  K v X  vY 
Innanzitutto ci vorrà un circuito che converte linearmente la corrente in tensione perché noi per ora
stiamo prelevando solo la corrente da quanto appena visto. E questo è facile da fare. Vogliamo che
sia lineare perché la corrente deve essere proporzionale alla tensione d’uscita altrimenti aggiungo
altri problemi alla realizzazione. Poi ovviamente dovrò trovare un legame non lineare che mi
permette di estrapolare la tensione presente nella tangente iperbolica.
LEZIONE 11. mixer reiezione di immagine e sfasatore.
Come ottenere una relazione lineare attraverso l’impiego della cella di Gilbert fra i sue segnali in
ingresso?
v
Ricordiamo che in uscita alla cella di Gilbert si ha: io   F i x  tanh Y
2VT

USCITA io = io1 - io2

INGRESSO 1
Vy

INGRESSO 2 ix = ix1 – ix2

Utilizzo la cella di Gilbert come impianto fondamentale per ottenere la modulazione del segnale in
ingresso.
Vy sarà il segnale generato internamente, mentre il segnale a radiofrequenza sarà quello entrante in
ingresso 2. Ho bisogno però di un sistema che trasformi la tensione in ingresso in segnale di
corrente.
Allo scopo viene impiegato un sistema differenziale con resistenza in emettitore che assicura una
relazione definita fra tensione e corrente del tipo: guadagno differenziale pari a
g m1,2
i RF  i RF 1  i RF 2   v RF
1  g m1,2 RE

Riuscendo a svincolarmi dai parametri tecnologici dei transistor se gm o Re sono grandi, realizzando,
V
di fatto , una relazione i RF  RF
RE
vY
io   F i x  tanh
2VT

v LO
iIF   F iRF  tanh
2VT

La iRF sarà la nostra ix


Mentre la VY sarà invece il segnale generato internamente con un oscillatore controllato VLO.
- Con la condizione che la frequenza e l’ampiezza di VLO (segnale cosinusoidale) siano elevate, in
particolare per quanto riguarda l’ampiezza richiederemo che : vLO  2VT (basta già 0,25 volt)
- ricordando il comportamento della funzione
tangente iperbolica limitata superiormente ed
inferiormente: v
Y  tanh Y  1
2VT
- si ottiene che l’andamento della tangente
iperbolica con argomento la funzione
cosinusoidale corrisponde ad un onda quadra
che è a sua volta ridefinibile in termini di serie
di fourier dispari del tipo:
 sen(n   / 2) 
Y  2   n   / 2  cos(n LO t )
n 1, 3,..., 2 k 1,...  
il cui contributo non filtrato è limitato a n=1
perché già per n=3 il risultato del prodotto  IF   RF  3 LO è sicuramente fuori dalla banda del
filtro. A questo punto quindi abbiamo ottenuto un nuovo valore assunto dalla tangente iperbolica:
4
Y  cos( LO t )

- considerata, inoltre, una corrente iRF del tipo: i RF  i RF 1  i RF 2  ARF


*
 cos(RF t )

ottengo il prodotto di due funzioni coseno il cui valore è calcolato in base alla formule di werner:
cosA  cosB = 0,5 (cos(A-B) + cos(A+B)) ovvero:
2 avendo indicato IF  RF  LO
i IF  i o  *
ARF  cos(IF t )

ed avendo considerato filtrata la componente di frequenza somma.
Dalla i0 ottengo infine la vIF (vIF2-vIF1) corrispondente al prodotto vIF = RLi0 avendo scelto identiche
le due resistenze di collettore RL

La fase si conserva
Qualora l’informazione del segnale fosse contenuta nella fase e questa fosse presente nel segnale a
radio frequenze in ingresso otterremmo al termine dello stesso processo moltiplicativo un nuovo
segnale a frequenza pari alla differenza delle due frequenze con la stessa fase del segnale RF

Conversione corrente/tensione in uscita alla cella di Gilbert


Attraverso i reistori Rl posti su collettori in uscita alla cella di Gilbert ottengo una trasformazione
della corrente in uscita dalla cella di Gilbert in tensione il cui valore è

 ARF  cosIF t  M (t )  RL
2 g m1,2
v IF 
 1  g m1,2 RE

che, per valori grandi di RE e gm può essere riscritto come:

 A  cos IF t   M (t )
2 RL
v IF 
 RE RF
Supereterodine
Con un oscillatore interno regolabile posso ottenere un processo di sintonizzazione sui differenti
canali in banda facendo traslare il segnale di interesse all’interno di un unico filtro fisso operante a
basse frequenze evitando di costruire tanti filtri ad alte frequenze di difficile realizzazione e poco
affidabili.

Frequenza immagine
La frequenza immagine è la frequenza a cui viaggia una delle componenti del segnale di ingresso ed
ha valore:
IM  2LO  RF
Per un segnale a tale frequenza infatti il prodotto per il segnale interno del mixer determinerà una
traslazione alla stessa frequenza a cui è stato traslato il segnale principale a frequenza     
IF RF LO

Infatti *  IM  LO  2LO  RF  LO LO  RF


Considerando la componente negativa del segnale hermitiano, perché reale, della frequenza
immagine ho ottenuto il trasporto di tale contributo proprio alla frequenza di sintonizzazione del
mio filtro fisso. Infatti  *   RF   LO

Mixer a reiezione di immagine


Realizzerò allora un mixer a reiezione di immagine che è in grado di eliminare la frequenza
immagine con tale schema:
In ingresso abbiamo il segnale: vi  ARF cos RF t   AIM cos IM t 
Dobbiamo eliminare quindi il secondo termine.
Di seguito i conti:

vi  ARF cos RF t   AIM cos IM t 

v IF , I  KARF cos RF   LO t  cos RF   LO t   kAIM cos IM   LO t  cos IM   LO 


Con un filtro elimino le componenti in alta frequenza e poi considero:

 RF   LO   IF
2 LO   RF   IM   IM   LO  2 LO   RF   LO   LO   RF   IF

quindi posso riscrivere vIF :

v IF , I  KARF cos  IF t  kAIM cos(  IF )t  KARF cos  IF t  kAIM cos  IF t  K  ARF  AIM  cos  IF t

 
Aggiungo ora l’effetto dello sfasatore ricordando che cos x     sin x :
 2
v IF , I   K  ARF  AIM sin  IF t

Per quanto riguarda VIF ,Q ricordando che ora oscillazione interna valee ARF sin  LO t  e che la
formula di werner prevede come risultato del prodotto di seno e coseno una somma di seni (ma con
la frequenza del seno come prima a cui sottrarre quella del coseno: noi invertiremo e cambieremo
segno al secondo seno) otteniamo:

v IF ,Q  KARF sin  RF   LO t  sin  RF   LO t   kAIM sin  IM   LO t  sin  IM   LO 

Anche in questo caso si procede alla eliminazione delle componenti a frequenze elevate, si
considerano le stesse relazioni in frequenza per definire IF e si tiene in conto che questa volta il
seno è funzione dispari, per cui , sin( IF t )   sin IF t , per cui si potrà scrivere:

v IF ,Q   K  ARF  AIM sin  IF t

A questo punto la somma dei due segnali attraverso il sommatore ottengo il valore:

v IF , I  2 KARF sin  IF t
Sfasatore

Nel mixer è presente uno sfasatore a 𝜋/2. Solitamente, si preferisce utilizzare due sfasatori. Uno a
/4 e l’altro a -/4. In una versione semplificata gli sfasatori sono due circuiti RC

Le funzioni di trasferimento calcolate tramite banale partitore di tensione sono : ,


.
Si impone che le funzioni di trasferimento siano uguali:

E si verifica se la differenza di fase fra le due funzioni coincida proprio con /2.

Ciò risulta verificato.

Esempio di implementazione di un circuito sfasatore

Sommatore
Tale circuito realizza la somma o la differenza di due segnali in ingresso. In tal caso, .
Se , allora il guadagno è unitario e ci restituisce la somma dei segnali.
Se, invece, inverto le connessioni collegando Q1 a Q3 e Q2 a Q4 allora ottengo la differenza.
LEZIONE 12. Moltiplicatore, oscillatore
Obiettivo della lezione: illustrare come si realizza un moltiplicatore che mantenga la relazione
lineare fra prodotto dei segnali in ingresso e segnale di uscita qualsiasi sia l’ampiezza (per ampia
dinamica) dei segnali di ingresso. Compensa la distorsione introdotta dalla cella di Gilbert con una
pre-distorsione del segnale di ingresso

Inciso: la moltiplicazione fra due segnali nel tempo coincide con la loro correlazione che a sua
volta è una convoluzione. Il calcolo a volte complesso di un prodotto di convoluzione può essere
risparmiato nel caso si decida di procedere con il calcolo dello spettro di energia (o densità spettrale
di energia
Nel caso di segnali perfettamente sinusoidali. Ci vengono incontro le formule di Verner che
consentono di calcolare il prodotto di due segnali senza passare per la convoluzione

Inciso sul Mixer


Ripresa del discorso sul Mixer realizzato con la Cella di Gilbert e sulle condizioni di ampiezza del
segnale interno generato. Perché non possiamo metterci nelle condizioni di piccolo segnale?
Apparentemente potremmo linea rizzare subito la tnhx con argomento piccolo confondendola
proprio con il suo argomento perché nell’intorno dello zero la tnhx ha proprio comportamento
lineare
Ma avremo attenuazione del segnale traslato in frequenza per effetto di un basso valore del
parametro di guadagno del mixer.
Poiché il segnale interno è portatore anche di rumore qualora il segnale stesso sia di piccola
ampiezza il rapporto segnale rumore peggiora.

Moltiplicatore
Vorremmo ottenere un moltiplicatore analogico che realizzi nel tempo il prodotto fra due segnali:
V0 (t )  k  V X (t )  VY (t )
impiegando sempre la cella di Gilbert la cui caratteristica ricordiamolo è:
V
i0  i X tanh Y
2VT

Abbiamo sempre il problema di rendere lineare il rapporto fra la corrente di uscita e il prodotto di
corrente e tensione in ingresso. Ma bisogna sciogliere il nodo della tangente
e x  e x
tanh x   x  x
e e
per linearizzare la tanh posso rendere logaritmico l’argomento. Per far questo esprimo la tensione in
ingresso alla cella di Gilbert in termini di relazione diodica tensione/corrente facendo in modo che
questa sia effettivamente controllata da due transistor montati a diodi
V
i
A partire dalla caratteristica di un diodo: i  I S e VT
ovvero: V  VT ln ottengo la Vy come
IS
differenza delle VBE5 e VBE6 ovvero:
i y1 iy2
v y  VT 1 ln  VT 2 ln
I S1 IS2
se i due transistor operano alla stessa temperatura posso scrivere:
 i y1 
 
 i i y2   I S1 

v y  VT  ln
y1
 ln 
  VT ln
 I S1 IS2   i y2 
 
 IS2 
se i due transistor sono stati prodotti con lo stesso processo tecnologico posso scrivere:
i
v y  v BE5  v BE 6  VT ln Y 1
iY 2
Inserendo questa vy nell’argomento della tanh della formula della cella di Gilbert ottengo:
i y1 i y1
VT ln VT ln
iy 2 iy 2 i y1 iy2
 
 vy  e 2VT
e 2VT iy2 i y1 i y1  i y 2
tanh     
 2VT  VT ln
i y1
VT ln
i y1
i i i y1  i y 2
i y2

i y2 y1
 y2
e 2VT
e 2VT i y2 i y1

Completando il circuito attraverso l’inserimento di due quadranti di trasformazione tensione /


corrente otteniamo anche la condizione per cui la somma delle correnti sia costante e coincida con
la corrente prodotta dal generatore di corrente IBY ottenendo la

ixiy F
io  F    (i x i y )
iY 1  iY 2 I BY

vY
iY 
 F RL
RY
vo  v v 
x y
v RY R X IBY
iX  x
RX
Oscillatore
L’argomento degli oscillatori consiste nello studio di quelli che sono i generatori di segnale. Ad
esso non sarà applicato alcun ingresso ma avrà sicuramente un’uscita da un punto di vista
sistemistico. E’ un circuito intrinsecamente non-lineare. Esso è disposto in una zona del sistema di
ricetrasmissione che è adibita all’elaborazione del segnale d’ingresso.
Generalmente per gli oscillatori si parla di segnali sinusoidali con ampiezza, pulsazione e fase. Però
non sono esclusi segnali periodici con altre forme come a dente di sega, a triangolo e così via. Gli
oscillatori che provvedono a generarli sono detti “armonici”.
Ampiezza, pulsazione e fase tanto più sono stabili nel tempo e migliore è l’oscillatore. Un
parametro che si valuta del segnale prodotto è la purezza spettrale ossia la quantità di frequenze che
affiancano quella centrale sottoforma di armoniche superiori, disturbi ecc. Altro è il rumore di fase
che consiste nella variabilità della fase nel tempo a cui è associata in frequenza l’allargamento della
banda del segnale attorno a quella centrale.
Esistono molti tipi di oscillatori. Un esempio è l’oscillatore ad anello usato come sorgente di clock
per valutare il tempo di propagazione della singola porta logica in cascata.
Guardiamo al sistema “oscillatore”. Per approcciare il problema si può usare o il modello a
retroazione positiva o ad ammettenza negativa. Essi descrivono approssimativamente ciò che
dobbiamo progettare. Noi usiamo quello a retroazione positiva.
Abbiamo detto che l’oscillatore non ha ingressi a meno dell’alimentazione esterna. Consideriamo
però come punto di partenza per la nostra analisi un sistema retro azionato positivamente con
ingresso che si somma alla retroazione. Ricaviamo il legame ingresso-uscita che sarà:

Ora ritorniamo alla nostra idea di oscillatore. Non vogliamo avere l’ingresso ma voglio un’uscita
diversa da 0. Se I è nullo allora l’uscita è nulla a meno che il termine che moltiplica I(s) non è
infinito. E allora deve accadere che:

Ed ecco che, per i nostri fini, deve esistere almeno una s tale che sia soddisfatta l’equazione. Dato
che siamo nel campo complesso essa impone due condizioni e cioè sul modulo e sulla fase:

Questo è detto “criterio di Barkausen”. Condizione necessaria ma non sufficiente affinché un


sistema produca un segnale diverso da zero laddove non vi sia ingresso. Se la condizione vale per
una sola “s” allora il contenuto armonico della U(s) sarà un tono puro e cioè una sinusoide nel
tempo. Se ci sono più “s” allora avremo più armoniche e quindi avrò un segnale armonico. Vi sarà
però sicuramente almeno una s per cui è soddisfatto la condizione e quindi una sinusoide sarà
sempre soluzione del criterio.
LEZIONE 13. Oscillatori.

Abbiamo visto come sia possibile modellare matematicamente un oscillatore tramite un sistema a
retroazione positiva oppure ad impedenza/ammettenza negativa. Noi abbiamo scelto per il momento
di introdurre la prima modellazione. Abbiamo anche visto che per ottenere un oscillatore sottostante
ai nostri fini bisogna soddisfare le due condizioni necessarie ma non sufficienti del criterio di
Barkhausen. Soddisfare a tale criterio vuol dire quindi implicitamente trovare i poli della funzione
di trasferimento H(s) vista nella lezione precedente. Per gli oscillatori non è molto corretto parlare
di poli in quanto si tratta di circuiti non lineari, nonostante ciò, in prima approssimazione, essi
possono essere visti come sistemi aventi poli complessi. Se supponiamo di avere dei poli complessi
e coniugati allora, sul piano complesso, essi saranno posizionati sull’asse immaginario il che vuol
dire che il segnale oscillante ha ampiezza costante stabile. Se sono a parte reale positiva ci troviamo
nel semipiano positivo della parte reale e l’ampiezza del segnale oscillante ha un aumento indefinito,
mentre sull’altro semipiano vi sarà una decrescita fino all’annullamento dello stesso.
Potrebbe però succedere che soluzione del criterio sia un segnale ad oscillazione nulla. Nel senso
che se noi abbiamo a che fare con una piccola oscillazione, data la stabilità del sistema, allora essa
rimarrà piccola. Ecco che allora noi vorremmo che dopo un primo transitorio l’oscillazione
aumentasse in ampiezza il che ci porta a dire che i poli delle funzione di trasferimento devono
essere necessariamente a parte reale positiva. In tal modo, io garantisco una utilizzabilità del
segnale. Questo vuol dire che il sistema non rispetta più il criterio di Barkahausen perché diventa
intrinsecamente instabile a causa di questi poli a parte reale positiva. E allora, dato che il segnale
non può aumentare indefinitamente, vuol dire che dopo questo meccanismo si deve innescare un
sistema di autoregolazione del segnale che mi riconduce al soddisfacimento del criterio di B.

U(s) e(s) = (s)  U(s)


I(s) d(s)
A(S) d(s)= I(s) + e(s) = I(s) + (S)  U(s)
e(s) U(s) = A(s) d(s)= A(s) [I(s) + e(s)] = A(s) [I(s) + (s) 
U(s)]
(s) U(s) – A(s)  (s)  U(s) = A(s)  I(s)
As 
 U ( s)  I s 
1  A( s)  s 

Vediamo un primo esempio dato dall’oscillatore di Wien.

(s)
I(s) U(s)
Vi troviamo un operazionale in configurazione non invertente con retroazione RC parallelo e serie.
Abbiamo un primo blocco che amplifica dato dall’operazionale il cui guadagno per definizione sarà
R
dato da A  1  2 . Il morsetto a cui è applicato il segnale è il morsetto non invertente.. Il fattore
R1
Beta è dato dal partitore di impedenza su Zs e Zp.

(s)

Mi ricavo così il (S).


I ( s) ZP 1 ZP
(s) = (s) U(s)   (s)   U ( s)  
U ( s) Z S  Z P U ( s) Z S  Z P

Un volta trovato si impongono le condizioni di Barkhausen sostituendo ad s j. Devo quindi


imporre che la fase del prodotto fra A e  sia nulla. Questa condizione non agisce su A che è un
fattore puramente reale, mentre agisce su .

Quindi dovrò rendere Beta un numero reale e cioè eliminare la parte immaginaria presente al suo
denominatore. Esiste allora una sola pulsazione per cui accade ciò che è 1/RC. Abbiamo dunque
verificato il primo criterio. Ma contemporaneamente deve valere anche il secondo criterio che sarà
soddisfatto solo se R2=2R1.

La frequenza d’oscillazione attorno alla quale si è verificata la condizione di Bar. possiede un certo
grado di incertezza.
Infatti, come mostra il grafico alla slide 12 abbiamo una sorta di campana attorno al valore trovato
che testimonia proprio di quanto detto. Si cerca sempre di restringere la campana in modo da avere
una maggiore selettività in frequenza.
Se io cerco di variare il legame tra R2 ed R1 l’ampiezza del segnale d’uscita subisce notevoli
modifiche nel tempo proprio poiché ci allontaniamo dalla condizione di B. che garantisce stabilità
in ampiezza. Cioè sto introducendo una non-linearità. Se abbiamo una A minore di 3 quello che
vedo dal grafico è che l’oscillazione cala in ampiezza fino all’azzeramento. Mentre, viceversa, se ho
una A maggiore vi è un aumento indefinito dell’oscillazione.

Ritornando alla nostra intenzione iniziale, noi vogliamo un circuito che agisce in due fasi distinte.
Una prima nella quale vi è un aumento continuo del segnale in ampiezza grazie ad una componente
non-lineare. Una seconda nella quale questo aumento viene paralizzato da un sistema di
autoregolazione interna( a sua volta non-lineare) che, visto sul piano complesso, significa riportare i
poli dal semipiano positivo all’asse immaginario e quindi “stabilizzare” il sistema.
Una delle possibili soluzioni consiste nell’introduzione dei diodi nel sistema.
La resistenza R2 è stata, appunto, modificata. Se il segnale Vo è molto piccolo verrà introdotta una
corrente nei diodi tale da non accenderli. Quindi il sistema si tramuta in un amplificatore
operazionale non invertente. Se la corrente è più alta sono invece attivi i diodi che faranno da
resistenze equivalenti in parallelo che abbassano il guadagno di tensione dell’operazionale.
Quindi la prima fase: R2>2R1 ( sistema instabile) con diodi spenti  aumento dell’ampiezza del
segnale. Seconda fase: l’aumento è tale da far circolare una corrente nei diodi che li attiva e questo
comporta una diminuzione crescente del guadagno dovuta alle resistenze in parallelo comparse con
essi. Questo perché i diodi attivati non sono ideali cortocircuiti ma delle vere e proprie resistenze
che avranno un peso sul guadagno dell’amplificatore.
La diminuzione sarà tale che arriverò ad un punto di stabilità tramite cui ricado nelle condizioni
poste dal criterio di Barkhausen.
Altri modelli

Abbiamo visto che come modello per un oscillatore si può usare anche quello ad
impedenza/ammettenza negativa.
Un primo modello semplice di oscillatore che viene considerato è una cella LC la cui frequenza di

oscillazione è e che ha un continuo bilanciamento energetico tra i due elementi circuitali. A


causa di fattori di perdita interni alla cella le oscillazioni tendono ad attenuarsi durante il passaggio
da un serbatoio energetico all’altro. Ma se metto in parallelo al circuito un oggetto ad ammettenza
negativa eguale ed opposta alla R di perdita presente nella cella io (compenso) le perdite ed il
circuito ritorna ad essere rappresentabile come una maglia fra C ed L.
In un primo esempio si vede il caso di un amplificatore bjt con cella LC e rete di retroazione. Il
guadagno ad impedenza negativa in tale circuito crescerà fino ad un momento in cui sarà maggiore
delle perdite dovute al carico.
Poi il guadagno prenderà a decrescere fino ad eguagliare le perdite. La capacità in emettitore serve
solo a bloccare la componente continua nella condizione di feedback. La variabilità del guadagno è
data dall’intrinseca non linearità del legame corrente-tensione del bjt. Per cui a bassa ampiezza di
segnale il guadagno del bjt è grande, mentre quando cominciano ad aumentare le ampiezze allora il
guadagno del bjt comincia a diminuire fino a che non eguaglia le perdite del carico e il segnale si
stabilizza.

La frequenza del segnale è data da . Per quanto riguarda la pulsazione di risonanza non si vuole
che questa sia unicamente determinata dall’anello LC e quindi sarà anche il  a determinarla.

Oscillatore Colpitts
Una possibile realizzazione del blocco beta è mediante due condensatori posti in condizione di
partitore.

Facendosi i conti la pulsazione di risonanza risulta dipendente dagli elementi circuitali C1 e C2,
quindi dal , come si vede:
C1  C2
o 
C1C2 L
.

Un’altra realizzazione prevede l’uso dei Mosfet.


Un altro esempio di oscillatore è l’Hartley.
Esso è costituito da una reazione con induttore a presa intermedia.
In questo caso LC fa parte della rete di reazione.

In questo circuito la frequenza di risonanza è proprio .


Poi c’è quello Meissner con una rete di reazione fatta a trasformatore, cioè due induttori in parallelo.

Fattore di qualità del risonatore Q.


La resistenza di perdita posta in parallelo alla cella L-C definisce il fattore di qualità del risonatore
Q.
Esso può essere riportato rispetto al condensatore o induttore. Più grande è questo Q e più facile
risulta essere fuori risonanza non appena mi sposto dalla pulsazione di risonanza.
Questo perché la curva di Q in funzione della frequenza è molto più ristretta e ripida. Dato che noi
vogliamo un’alta selettività in frequenza allora il Q dovrà essere mantenuto alto. Questo lo si fa
perché se ho una Q bassa allora vuol dire avere anche altre armoniche per le quali è garantita la
compensazione delle perdite grazie al guadagno ad impedenza negativa e invece noi cerchiamo di
avere in uscita un segnale spettralmente puro.

Oscillatore LC parallelo
Si prende poi in considerazione un oscillatore LC parallelo. Abbiamo la cella LC con una resistenza
di perdita RLC inserita all’interno di un amplificatore differenziale.
I due capacitori C1 e C2 ci consentono di non riportare le componenti continue sul circuito. Nel
nostro intento di annullare le perdite bisogna mettere in parallelo ad Rlc una impedenza negativa
capace di ciò.
Se l’impedenza vista ai morsetti di interesse è proprio pari all’impedenza negativa che annulla Rlc il

circuito risuona alla frequenza .


Si cerca l’impedenza vista Zo data dal rapporto fra e . Nel calcolare Ci sono due contributi
relativi alle due resistenze e poi l’ultimo derivante dai due bjt scritto sotto forma di funzione
semplicemente(si usa sovrapposizione degli effetti).

Il terzo termine è relativo alla corrente dovuta al bjt. Si noti che nelle formule scritte dopo per
trovare la si fa uso della relazione già trovata alla slide 12 del settimo gruppo di slide.

Risposta ad eventuali domande su questa formula suscritta: l’ 1/2 compare perché si sta calcolando
la relativa solo al ramo destro o sinistro che sia affiancato dalla vo.
Il segno meno davanti al terzo termine compare perché nella formula originaria è contemplata una
e non come l’abbiamo scritta noi. Quindi, essendo la corrente legata alla tensione
in modo proporzionale ed essendo la tangente una funzione dispari allora il meno esce fuori e si
ottiene quel termine.

Il guadagno in termini di derivata della corrente rispetto alla vo per =0V viene calcolato quando
il segnale è piccolo e quindi la tangente può essere approssimata al suo argomento. Se poi la vo
cresce ga decresce fino alla stabilità dovuta alla compensazione delle perdite.

Capacità parassite
La frequenza di oscillazione dipende da Ct e da L poiché abbiamo eliminato la resistenza di perdita
tramite il guadagno.
Però nella capacità si tengono in conto anche quelle parassite esterne. C’è una capacità dovuta a C
messa da noi, poi metà di quella fra collettore e substrato( metà perché sono in parallelo le due
capacità parassite dei due bjt a loro volta in parallelo e quindi il parallelo di due capacità mi dà la
metà di una sola).
Ho poi la capacità C del bjt( c’è la metà sempre perché abbiamo due bjt in parallelo). Le C sono
in serie e quindi c’è il 2 davanti(la base di un bjt è collegata al collettore dell’altro).
Queste capacità sono a loro volta variabili in base alle tensioni e quindi posso avere problemi di
stabilità per la pulsazione di risonanza.
Posso cercare di introdurre capacità grandi per trascurare i contributi di quelle parassite però se le
scelgo grandi avrò basse frequenze di risonanza e questo è un problema.

N
LEZIONE 14. VCO, Filtri.
Utilizzando il modello dell’impedenza negativa realizziamo un oscillatore in cui in ingresso alla
cella risonante un circuito differenziale assicura una resistenza negativa che ne bilancia le perdite.

Si tratta di una impedenza negativa variabile a forte componente non lineare. Il segnale nell’arco del
proprio periodo di oscillazione varia di intensità e quella che realizzerà nel tempo non sarà quindi
una sinusoide perfetta. In questo passaggio si gioca il collegamento fra variazione di ampiezza e
comportamento spurio in frequenza: la sinusoide prodotta, che varia in ampiezza nel suo sviluppo
temporale, risulterà distorta e presenterà, quindi, dei contribuiti spuri in frequenza.
La cella RLC, comunque, è di per se un filtro e la parte distorta del segnale viene filtrata
consentendo di aver in uscita un segnale spettralmente più puro.
Per pulire ulteriormente la forma d’onda si può migliorare la selettività della cella risonante,
intervenendo sul fattore Q, ovvero riducendo l’entità delle resistenze parassite di L e di C.
Modificare la frequenza della pulsazione di un oscillatore
Per ottenere un oscillatore a frequenza variabile si interviene sulla capacità da cui dipende la
frequenza di risonanza. Un modo per realizzare una capacità varaibile prevede l’impiego di un
diodo contropolarizzato la cui capacità equivalente dipende dalla tensione applicata secondo la
legge:

La tensione applicata sulla capacità dell’oscillatore non si configura come segnale in ingresso bensì
di controllo. In assenza di tale segnale si parla di pulsazione di free running.
Si cerca di perseguire il più possibile un rapporto lineare tra tensione applicata e pulsazione
definendo un range di valori di tensione applicata entro il quale la linearità del rapporto è conservata.
Il fattore di qualità di un circuito cresce nel caso di realizzazioni integrate che prevedono l’impiego
di processi maggiormente controllati e standardizzati.
Se si persegue una qualità ancora maggiore si deve adottare un differente principio realizzativo: si
utilizza come dielettrico nel condensatore non un elemento passivo (dotato di una propria epsilon
caratteristica...) bensì un materiale che risponde meccanicamente alle sollecitazioni elettriche in
ingresso: un materiale piezoelettrico (in cui campo di tensione e campo di pressione sono
mutualmente inducibili).
Si realizza un condensatore all’interno del quale viene inserito il materiale piezoelettrico,
applicando una determinata tensione varia la pressione e il volume del mateirale  cambia la
capacità e si determina una retroazione sulla tensione applicata. C’è una certa inerzia /sfasamento
fra l’azione (applicazione della tensione) e la retroazione (variazione della tensione) questo tipo di
oscillatore può garantire un fattore di qualità dell’ordine di 106-108. Di fatto l’azione di un
piezoelettrico può essere modellizzata attraverso un circuito elettrico del tipo:

di cui si calcolano i valori di capacità e induttanza equivalente ottenendo anche un corrispettivo del
comportamento filtrante in frequenza.

Introducendo quindi un oggetto del genere in un circuito differenziale otteniamo oscillatori con
purezze spettrali molto elevate grazie all’elevato fattore Q.

Filtri
Filtrare un segnale è un obiettivo fondamentale in vista del miglioramento del rapporto segnale
rumore. Filtriamo per eliminare la parte spettrale del segnale che non ha contenuto informativo
ottenendo, in questo modo, la riduzione del valore della potenza del rumore (che solitamente ha
supporto infinito in frequenza) e il consequenziale miglioramento del rapporto segnale rumore.
Dal punto di vista circuitale la realizzazione di un filtro è significativamente diversa se lavoriamo a
basse, medie o alte frequenze.
[Inciso: Un induttore lo realizziamo con un filo avvolto in più spire sfruttando la legge di Faraday
per la quale una corrente variabile che scorre in un avvolgimento genera un campo che se si
concatena al conduttore stesso genera un ulteriore corrente autoindotta. ]
Utilizziamo componenti elettronici solo a medie-basse frequenze.
Per questo nel nostro modello di sistema ricetrasmittente pur rappresentando con lo stesso simbolo i
filtri alle differenti frequenze (facendo riferimento ad un identica funzione svolta) facciamo
riferimento, in realtà a circuiti completamente differenti fra loro:

Un filtro è rappresentabile come doppio bipolo caratterizzato da una determinata funzione di


trasferimento che lega ingresso ed uscita

Si possono individuare 5 tipologie di filtro:


˗ Passa basso
˗ Passa alto
˗ Passa banda (un caso particolare di passa banda sono i filtri risonanti)
˗ Elima banda (un caso particolare sono i Notch a singola frequenza tipicamente impiegati per
bloccare la componente di rete nelle linee di alimentazione di un circuito)
˗ Passa tutto (determina solo una variazione di fase del segnale in ingresso)
Descrizione parametri di merito di un filtro, Maschera delle Specifiche.
Nel processo di implementazione di un filtro il committente definisce le specifiche del prodotto che
desidera attraverso la definizione di una maschera che descrive le soglie massime e minime di
ciascun parametro di merito.
˗ P = massima frequenza utile per la mia applicazione entro la quale vengono garantite delle
specifiche determinate riguardanti il guadagno:
˗ Amax = discostamento massimo del guadagno in banda passante
˗ Amin = Attenuazione attesa in banda filtrante (che non potrà mai essere inferiore al rumore
prodotto dal circuito)

˗ S = Non posso pensare di avere subito dopo la frequenza di taglio l’attenuazione attesa. Ho
necessariamente un intervallo di frequenza prima che il segnale raggiunga la frequenza
per la quale si realizza l’attenuazione attesa.

˗ P - S = Zona di transizione

˗ Selettività = pendenza nella zona di transizione = P/S . Valore massimo della selettività è
“1”

Composizione di filtri articolati a partire da blocchi elementari


Collegando in serie dei filtri posso ottenerne uno la cui funzione di trasferimento è data dal prodotto
delle funzioni di trasferimento dei singoli filtri.
Partendo da due filtri del secondo ordine di tipo passa basso che in un diagramma di bode avranno
pendenza pari a 40 db/dec potrei ottenerne uno la cui pendenza sia di 80 db/dec. Il diagramma di
bode, infatti che rappresenta gli argomenti su scala logaritmica rappresenterà in termini di somma il
contributo di un prodotto di due fattori in argomento.
Condizione per considerare la funzione di trasferimento complessiva pari al prodotto delle singole
funzioni di trasferimento è quella che ciascun elemento della serie non influenzi la funzione di
trasferimento dell’elemento precedente.
Ciò accade se l’elemento che precede ha impedenza di uscita nulla o se quello che segue ha
impedenza di ingresso infinita. Nel primo caso infatti qualunque sia il carico in parallelo all’uscita
del primo stadio esso non potrà mai influire sul comportamento elettrico di tale stadio perché il
paralello originerà sempre la stessa resistenza di uscita nulla.
Impatto della Cascata di filtri sulla frequenza di banda passante
L’ottenimento di un filtro di ordine superiore a partire dalla serie di più copie dello stesso filtro di
ordine inferiore con frequenza di taglio  comporta che la nuova frequenza di taglio sia diversa e in
particolare inferiore.
Per ottenere un filtro rispondente alle specifiche indicate nella maschera dovrò intervenire sul
secondo filtro della serie per modificarne la frequenza di taglio (incrementandola) in modo da
ricondurmi comunque alla frequenza di taglio attesa.
La realizzazione dei filtri è completamente assistita da procedure codificate e tabelle che alle
specifiche desiderate fanno corrispondere indicazioni precise su come conseguirle.
LEZIONE 15. Filtri.

Riferendoci al tema dei filtri si parla anche di tecnologie che si occupano della loro realizzazione.
Noi ci occuperemo principalmente di filtri analogici. Un primo esempio può essere dato dall’uso di
induttanze e capacità come visto nei circuiti precedenti. Abbiamo riscontrato un problema a questo
proposito in quanto, per basse frequenze, i componenti circuitali diventano ingombranti. Altra
possibilità è rappresentata dai filtri attivi(??) e cioè elementi composti da non solo componenti
passivi ma anche da, per esempio, amplificatori operazionali.
Questi ultimi vengono per lo più impiegati a basse-medie frequenze perché gli operazionali
frequenze elevate hanno un comportamento molto distorcente (banda corta + slew rate).
Particolari configurazioni di questi ultimi possono simulare un comportamento induttivo. Altri sono
i circuiti a capacità commutata e cioè con essi si cerca di simulare comportamenti resistivi con
elementi puramente capacitivi.
Un mondo a parte è quello concernente i filtri digitali. In realtà con filtraggio digitale si intende una
elaborazione numerica su streaming digitali.
Nella fase di progettazione di un qualsiasi filtro ci si deve predisporre a considerare come
imprescindibili le specifiche di progetto commissionate. Tenute presenti, si può scegliere quale
approssimazione( filtro Butterworth, ellittico, Chebyschev ecc.) fare per essere quanto più vicini al
loro soddisfacimento. Dopodiché scelgo la tecnologia di realizzazione. Ed infine quali valori dei
componenti e quali tolleranze dei componenti circuitali ammettere.
Qualsiasi funzione di trasferimento associata ad un filtro può essere approssimata ad un rapporto di
polinomi. Chiamiamo N l’esponente più alto dell’incognita al denominatore. N definisce l’ordine
del filtro.
Si mostrano di seguito vari tipi di filtri che approssimano certe caratteristiche desiderate della
funzione di trasferimento.
Vari filtri
Il primo è quello alla Butterworth. Esso è un filtro passa-basso detto anche “massimamente piatto”.
Questo ha la caratteristica di non presentare oscillazioni nella banda passante(ecco perché
massimamente piatto). Il modulo della funzione di trasferimento dipende dal coefficiente N che, al
suo aumentare, fa incrementare la pendenza della curva di trasferimento come si vede dal grafico.
Si può anche fare una rappresentazione in piano polare dei poli della funzione di trasferimento. Il

settore angolare che separa due poli contigui è pari a . Essendo il filtro stabile i poli sono
N
collocati sul semipiano sinistro della funzione di trasferimento, hanno cioè tutti parte reale negativa.

Altro filtro passa-basso è quello Chebyschef. Esso è caratterizzato da una maggiore selettività
rispetto al Butterworth e per essere descritto necessita di due distinte equazioni prima e dopo la
frequenza di taglio:

1
T ( j )  per    p
   
1   cos  N cos 1 
2 2 
  
  p 
1
T ( j )  per    p
   
1   2 cosh 2  N cosh 1  
  
  p 

A seconda che l’N è pari o dispari parto con una attenuazione o con un incremento dell’ampiezza
della funzione di trasferimento. In banda passante sono però presenti oscillazioni e all’aumentare di
N queste aumentano a loro volta. A seconda che ci si trovi prima o dopo la pulsazione di taglio
cambia il modello analitico a cui fare riferimento.
Filtri del primo e del secondo ordine
Abbiamo detto che un qualsiasi filtro può essere rappresentato da una funzione di trasferimento.
Inoltre, l’ordine del polinomio al denominatore di essa coincide con l’ordine del filtro stesso.

I ORDINE II ORDINE

a1 s  a 0  
H (s)  a2s 2  a1 z   s  a0z2
s  0  Qz 
H (s )  K 
 
s 2   p   s   p2
 Qp 
I coefficienti al numeratore sono fondamentali perché al loro variare varia il tipo di filtro che
abbiamo. In particolare, una funzione di trasferimento del secondo ordine può rappresentare tutti i
tipi di filtro di nostro interesse. Ciò non è vero invece per una funzione di trasferimento del primo
ordine.
Un filtro del primo ordine può essere realizzato semplicemente con una coppia resistore-capacitore.
Mentre un filtro del secondo ordine con amplificatori operazionali, con capacità e resistenze.
Riconosciamo però che usare l’amplificatore operazionale a volte è un azzardo perché ad alta
frequenza o con segnali ad ampiezza grande comporta un significativo scostamento dal
comportamento ideale che gli attribuiamo.
Segue tabella per i filtri del secondo ordine in cui al variare dei coefficienti del polinomio al
numeratore cambia il tipo di filtro:

a2s 2  a1  o Q  s  ao o2
H (s )  K
s 2  o Q  s  o2

Filtro a2 a1 ao Funzione di trasferimento


Passa- 0 0 1  o2
H( s )  K
Basso s 2   o Q s  o2

Passa-Alto 1 0 0 s2
H (s )  K
s 2  o Q s   o2

Passa- 0 1 0 H(s )  K
 o
Q s
Banda s 2
 o
Q s  o2

Elimina- 1 0 1 s 2   o2
H (s )  K
Banda s   o Q s   o2
2

Passa- 1 -1 1 s 2   o Q s   o2
H (s )  K
Tutto s 2   o Q s   o2

Un tipo di filtro passa-basso


Si presenta un filtro con topologia definita a reiezione comune che è del secondo ordine. Prevede la
presenza di un operazionale ideale e di 5 ammettenze.

Y4 Y5

Y1 Y3
-

VI + Vo
Y2
AO
Con esso si possono realizzare configurazioni passa-basso, passa-alto e passa-banda. Con
opportune elaborazioni algebriche si ottiene la funzione di trasferimento H(s).

Se scelgo al posto delle Y delle resistenze al posto della Y avrò mentre se sono condensatori
avrò .

Sostituendo i componenti si ottiene un filtro passa-basso caratterizzato da un polinomio del 2 ordine


al denominatore e 0 al numeratore.

Si riconosce in la pulsazione di taglio al quadrato presente nell’espressione della


funzione di trasferimento del filtro passa-basso.

Fattore Q
Si introduce il “fattore Q”( legato al termine di grado 1 del polinomio di secondo grado al
denominatore) che è indicativo di come si comporta la funzione attorno al valore della frequenza di
taglio e cioè quanto essa è piccata o meno(sovra elongazione).
Nel caso di un filtro passa basso con funzione di trasferimento pari a:
 o2
H ( s)  K
s 2   o Q s   o2
si operato in modo da rendere unitario il coefficiente del termine di secondo grado. Ciò comporta
che il termine noto corrisponda al quadrato della frequenza di taglio, mentre il coefficiente del

termine di primo grado sarà pari a 0
Q
Nella precedente trattazione sui circuiti risonanti avevamo affrontato lo stesso problema giungendo
ad una forma differente di polinomio:
2 2
1 j  2
n n
in cui avevamo rielaborato i termini in modo che fosse il termine noto ad essere unitario. Ciò ci
permetteva di individuare il termine zita dal cui valore misuravamo l’entità della sovra elongazione.
Per rendere confrontabili le due espressioni moltiplichiamo la seconda per n2 :
 2  j 2n   n2
dal confronto diretto ricaviamo subito che
1 R2
Q 
2 R1
1 R2
non dovrebbe, quindi essere esatta la formula sulle slide del prof in cui Q 
2 R1
Il prof giustamente ricorda come il parametro zita consenta di valutare la sovra elongazione della
risposta al gradino nel tempo dell’uscita al sistema.

Esempi
Un’altra topologia per il passa-basso è detta “Sallen-Key”.
Abbiamo una configurazione di amplificatore non-invertente connesso ad una cella RC a reiezione
dell’uscita.

R1 RF

|VU/VI|
- (dB)
R2 R3
a
+
AO
C2 C3 Vo
Vi

 (rad/s)
n

Qui il fattore di amplificazione è legato al fattore di amplificazione dell’operazionale non-invertente


R
cioè al K= 1  F
R1
Invertendo poi posizione a resistenze e condensatori( sempre per la Sallen-Key) ottengo un passa -
alto.
R1 RF

-
C2 a C3
+
AO
Vo
Vi
R2 R3

Possiamo costruire un filtro passa-banda con due Sallen-Key in cascata.


R1 RF R’1 R’F

- -
C R’
+ +
AO1 AO2
Vo
Vi
C’
R
Mentre un filtro detto “ a guadagno costante” è caratterizzato dal fatto che il suo fattore di
amplificazione K coincide con 1.
Segue un filtro passa-banda stretta realizzato con una cella Sallen-Key dove la retroazione si trova
sopra piuttosto che sotto l’operazionale.
Si nota anche che invertire la posizione della “s” sull’asse delle ascisse vuol dire passare da un
passa-basso ad un passa-alto e viceversa. Un filtro passa-banda si realizza con una sequenza di
passa-alto e passa-basso.
Mentre un elimina-banda si realizza con la sequenza invertita dei due(cioè passa-basso e passa-alto).
Altro filtro è quello passa-tutto che opera non sull’ampiezza ma sulla fase del segnale (vedi circuiti
sfasatori). In particolare, in quest’ultimo, mentre la risposta in frequenza è molto ampia, quella in
fase prevede una curva molto stretta nell’intorno della pulsazione di taglio.

Sintesi circuitale attraverso sequenze di blocchi di ordine inferiore.

Nella realizzazione di un filtro di ordine superiore a 2 bisognerà considerare le problematiche a cui


si va incontro, come quella di rendere i blocchi in cascata indipendenti fra loro evitando che le
resistenze di uscita ed ingresso degli stadi adiacenti alterino la funzione di trasferimento di ciascun
blocco.
Nel considerare le caratteristiche virtuose di un operazionale quali
(guadagno infinito, cortocircuito virtuale all’ingresso, impedenza d’ingresso infinita) fin’ora non
abbiamo considerato la resistenza di uscita nulla. Quest’ultima caratteristica è fondamentale perché
essendo nulla l’impedenza d’uscita io avrò che messa in parallelo (perché parallelo? I circuiti sono
in serie!!!) a qualsiasi elemento avrò che il risultato è nullo e quindi non c’è accoppiamento col
successivo blocco. (io direi piuttosto che considerata la tensione di ingresso di un circuito a valle
questa non si ripartisce (nel senso della formula del partitore) sulla resistenza a monte in quanto
nulla.
Quindi questa ipotesi di idealità salvaguarda la nostra idea di mettere filtri di 2 ordine in cascata che
mi generano filtri di ordine N senza accoppiamenti mutui. E quindi la funzione di trasferimento sarà
il prodotto delle singole funzioni di trasferimento.

In linea di principio, se voglio ottenere un filtro passa-basso di ordine 4 posso pensare di progettare
un filtro del secondo ordine con in serie un altro del secondo ordine. Singolarmente hanno una
decadenza di 40db/decade. Sommati danno un roll-off di 80 db/decade.

Il problema della frequenza di taglio nelle serie di filtri (si sposta per aumento della sovra
elongazione o anche solo per l’aumento in db dello scostamento (da 3 a 6 db)
Potrei pensare di costruire blocchi uguali da mettere in cascata, però, nella pratica, farlo vuol dire
avere poi una risposta in frequenza che presenta una sovra elongazione doppia rispetto a quella del
singolo blocco attorno alla pulsazione di taglio.
E , inoltre, la frequenza di taglio si sposta rispetto a quella nominale e ciò è tanto più accentuato
quanto più aumenta l’ordine del filtro. Ecco perché non posso usare filtri tutti uguali ma devo
differenziarli.
Per risolvere infatti si cerca di sfasare la risposta in frequenza dei due blocchi così che quando
interagiscono per la generazione della risposta in frequenza totale il primo è un po’ più avanti
mentre il secondo un più indietro rispetto alla frequenza nominale e allora ritorno alla frequenza
desiderata.
Esistono delle tabelle apposite che già hanno schedati i valori dei coefficienti dei vari polinomi utili
a definire tutti i filtri passa-basso dell’ordine voluto in un’approssimazione, ad esempio,
Butterworth o Chebyscev ecc.
A partire da questi si ottengono i valori dei componenti circuitali da considerare per ottenere il
filtro desiderato. I coefficienti sono tarati anche in modo tale che gli scostamenti dalla risposta
passa-basso ideale sia di un certo valore. Infatti, considerare due filtri del secondo ordine in cascata
produce uno scostamento non più di 3db ma di 6db dal valore di guadagno massimo attorno alla
pulsazione di taglio e allora uno dei due blocchi avrà dei coefficienti tali che genereranno una
piccola sovra elongazione che riporterà a 3db lo scostamento.
LEZIONE 16. Filtri, Capacità commutate.

Sintesi circuito: Butterworth (massimamente piatto) del 5° ordine


Continuiamo la spiegazione riguardo i filtri attivi. Si mostra un primo esempio di filtro passa-basso
del 5 ordine con guadagno unitario e frequenza di taglio a 50 Khz. La specifica imponeva una
approssimazione alla Butterworth. Non ci dovrà essere quindi sovra elongazione. La tabella è un
dato già acquisito nel senso che vengono forniti i coefficienti del polinomio al denominatore in
grado di rispettare le specifiche richieste. Questi coefficienti tengono anche in conto lo scostamento
incrementato della banda passante dovuto alla cascata di più filtri.

Filtro 1 Filtro 2 Filtro 3


1°ordine 2°ordine 2°ordine

Dai coefficienti restituiti dalla tabella vengono ricavati i valori delle capacità e resistenze da
integrare per la realizzazione del filtro. Quindi io, conoscendo i componenti del filtro, scrivo le
equazioni in funzione delle R,C dei singoli blocchi che sono delle eguaglianze ai parametri a1, b2
ecc. i quali sono ricavabili dalla tabella di riferimento. Le risolvo e ho i valori dei componenti
circuitali. Queste equazioni avranno infinite soluzioni ed io quindi avrò gradi di libertà che mi
permettono di scegliere opportunamente i componenti.

Sintesi circuito: Bessel del 3° ordine


Si mostra poi un passa alto Bessel di terzo ordine. In questo caso, ovviamente, cambiano i
coefficienti del polinomio. Ma il metodo d’esecuzione per la ricerca dei valori dei componenti non
cambia. Si nota la presenza di capacità al posto di resistenze dato che stiamo realizzando un passa-
alto stavolta.

Filtro 1
Filtro 2
Si mostra anche 1°ordine
un passa-banda del quarto ordine.
2°ordine
Filtro passatutto del primo ordine

Esempio di Sintesi attraverso CAD


Se non si vogliono fare i conti per le resistenze e capacità si può progettare un filtro con un CAD.
Si definisce la maschera (la forma) ed il relativo comportamento in frequenza.
Si opta per la tecnologia implementativa: LC, filtri attivi, filtri a capacità commutate?
Si definiscono poi le caratteristiche , il guadagno in banda, il ripple e cioè il massimo scostamento
dal guadagno massimo, l’attenuazione, frequenza di taglio. Poi si dà il tipo di approssimazione al
filtro ed in corrispondenza viene detto l’ordine del filtro che si vuole realizzare ed i coefficienti.
Viene anche graficata la risposta in frequenza e ad un impulso nel tempo. C’è poi la scelta
tecnologica. Si decide se realizzare le celle a capacità commutate o ad RC attivo. Il software già
dichiara quale integrato comprare col numero di serie a sinistra nella barra. Viene detto il package e
la tensione di alimentazione. Viene poi mostrato il disegno circuitale dell’integrato con le
connessioni da realizzare e le resistenze e capacità da utilizzare.

Cella a doppio integratore = Disequalizzatore

Guardiamo alla funzione di trasferimento di un filtro passa-alto del secondo ordine generica.

Vhp (s ) Ks 2
H (s )  
Vi (s )  
s 2  s  o   o2
Q
Si tratta di un filtro passa alto che conserva le alte frequenze della funzione originaria.

La funzione viene manipolata algebricamente esplicitando la Vhp.

1  o   o 
2
Vhp   Vhp    2 Vhp   KVi
Q s  s 
L’uscita è la componente di ingresso a meno una certa parte del segnale finale.

1 o o2
Vhp  KVi  Vhp  2 Vhp
Q s s
Dalle conoscenze analitiche sappiamo che moltiplicare per 1/s, nel dominio trasformato, vuol dire
integrare nel tempo. Nella forma dell’H(s) abbiamo che l’uscita è pari al segnale di ingresso
moltiplicato per K a cui viene sottratto il segnale d’uscita integrato prima una volta e poi due volte,
moltiplicati ciascuno per un certo fattore.
Consideriamo il sistema a blocchi. Esso sarà costituito da un nodo sommatore con due blocchi di
integrazione in cascata le cui uscite vanno in ingresso al nodo sommatore. L’uscita del nodo
sommatore è la nostra Vhp.

Se io prelevassi l’uscita dal primo blocco integratore, che è l’integrale del segnale d’ingresso, avrei
l’uscita di un filtro passa-banda in quanto è il risultato della moltiplicazione della prima funzione di
trasferimento che è un passa-alto per 1/s che mi dà un coefficiente moltiplicato per “s” al
numeratore e cioè proprio la funzione di trasferimento di un filtro passa-banda. Stesso discorso vale
per il blocco successivo. Quindi in uscita al primo blocco avrò una componente alle medie
frequenze, in uscita al secondo una componente alle basse frequenze. In questo modo posso ottenere
tutte le componenti in frequenza.
Un circuito integratore è realizzabile tramite un operazionale retro azionato tramite una capacità.

Nello schema elettrico si nota che l’uscita del primo blocco va in ingresso al polo non invertente
dato che è un operazionale invertente. Il secondo blocco inverte di nuovo il segno che diverrà
positivo e quindi l’uscita corrispettiva andrà in ingresso al polo invertente del sommatore.

Si considera poi un circuito alternativo dove il primo blocco è sommatore ed integratore


contemporaneamente, cioè il Tow-Thomas.
In tal caso, in uscita al primo blocco abbiamo direttamente la componente a medie frequenze col
segno più, al secondo la componente alle basse frequenze mentre l’ultimo blocco si occupa
solamente di invertire il segnale, infatti le resistenze dell’ultimo operazionale sono uguali, segno
che il guadagno è proprio “-1”.
Nella configurazione col feed-forward si vede come al variare delle capacità e resistenze si
ottengono vari tipi di filtri.

Capacità commutate.
Supponiamo di avere una capacità che può commutare fra due diversi morsetti, A e B ai capi dei
quali vi sono due diverse tensioni Va e Vb. Si definisce la differenza di carica presente sul
condensatore a causa della commutazione da A a B. Quando lo switch commuta su A la quantità di
carica presente su C è pari a Q = VAC; Quando lo switch commuta su B la quantità di carica
presente su C è pari a Q = VAC. L variazione di carica su C è supposta istantanea considerando
nulla la resitenza (quindi nulla la costante RC).
Supponiamo che questa commutazione non avvenga una tantum ma con una certa frequenza f. Se
pensiamo che il periodo di switch sia pari ad un secondo allora si considererà la quantità di carica
che scorre da A verso B in un secondo che dà luogo ad una corrente IAB. Se c’è una corrente che
scorre tra A e B allora si parlerà di una resistenza equivalente tra i morsetti A e B. La corrente è
proprio pari a I = f *Q. Ma Q = V*C, poiché Req= V /I. Tale resistenza coincide con
l’inverso di f *C. In questo senso, noi possiamo controllare tramite un parametro come C o f un
elemento resistivo. Per cui posso realizzare resistenze tramite capacità commutate.
Con le capacità commutate posso inoltre realizzare filtri variabili agendo sulla variabilità della
resistenza. Non ci poniamo il problema dell’impatto delle capacità sulla funzione di trasferimento
alle alte frequenze perché siamo comunque a medie frequenze per via dell’impiego degli
operazionali.
LEZIONE 17. PPL
Impiego del PLL (Phase-locked loop - anello ad aggancio di fase) sia nell’ambito di comunicazioni
in modulazione FM che AM
A prima vista nel caso nella ricezione della modulazione AM sembrerebbe non essere necessario il
PLL.

Inciso sulla modulazione AM


L modulazione di ampiezza si ottiene moltiplicando nel tempo un segnale ad alta frequenza
(portante) per uno a più bassa frequenza la cui ampiezza è collegata al contenuto informativo da
trasmettere.
Il prodotto nel tempo dei due segnali da origine ad una d’onda che oscilla alla frequenza della
portante e che ha un inviluppo corrispondente alla forma d’onda della modulante:

MODULANTE

PORTANTE

SEGNALE
MODULATO

Il comportamento in frequenza di questo processo viene analizzato con la trasformata di Fourier per
la quale ad un prodotto nel dominio del tempo corrisponde una convoluzione fra gli argomenti
trasformati. La rappresentazione spettrale della modulazione AM consiste nel riportare il profilo
spettrale del segnale modulante (a meno di qualche alterazione) a sinistra e a destra della frequenza
della portante (Nella traslazione vengono coinvolte anche le frequenze negative della componente
simmetrica a quella in banda base, che non avendo rilevanza fisica non compaiono ):
V


p
A valle di una trasmissione per recuperare il contenuto informativo presente nel segnale modulato
bisogna ricostruirne l’inviluppo.

Per realizzare tal funzione è sufficiente impiegare un circuito del tipo conversione AC- DC ed un
filtro

Ruolo del PLL nel contrastare l’effetto doppler nella ricezione di onde
Ribadendo il modo in cui nella ricezione attraverso il mixer riporto in banda base il segnale a radio
frequenza moltiplicandolo per un opportuno segnale prodotto internamente allo stesso mixer,
notiamo che la frequenza del segnale in ingresso risente dell’impatto della velocità relativa della
stazione ricevente rispetto alla trasmittente. In particolare se la ricevente si avvicina alla sorgente si
determinerà un effetto “red-shift” (aumenta la frequenza ricevuta: a parità di tempo ricevo un
numero di periodi maggiori dell’onda in ingresso). Al contrario, in caso di sorgente in
allontanamento, si avrà un effetto blue-shift con riduzione della frequenza relativa.
Tali variazioni di frequenza possono raggiungere entità dell’ordine dei kHz per velocità relative di
100km/h e necessitano di interventi correttivi per consentire un corretto processo di demodulazione.
E’ necessario quindi servirsi di un sistema che legge la variazione di frequenza in ingresso ed adatta
quella dell’oscillatore interno. Questo sistema è proprio il PLL che ha lo scopo di processare il
segnale in ingresso e generarne uno interno isofrequenziale.

Pulsazione e fase

In un moto armonico, indicata con x(t) la posizione istantanea del punto materiale in moto nel
tempo (o il valore istantaneo del segnale, ad es. la sua tensione), con A l'ampiezza del moto, con 
la sua frequenza angolare (detta anche "pulsazione") e con t il tempo, la legge del moto risulta
essere:

x(t) = A cos (t + 0)

La quantità tra parentesi a destra nella formula cioè l'argomento t + 0 del coseno, viene detta
fase del moto , mentre la sola parte 0 si chiama costante di fase oppure fase iniziale. La fase
corrisponde all’angolo percorso durante il moto, la pulsazione corrisponde alla velocità con cui tale
angolo è spazzato: sia per ragioni analitiche che fisiche è immediato riconoscere che la pulsazione
sia la derivata della fase.

Mutamento del moto e mutamento della fase.

Il mutamento di un moto armonico nel corso del suo svolgimento può essere descritto attraverso il
cambiamento della sua fase. A volte a cambiare può essere la componente 0

Dichiarare 0 dipendente dal tempo sembrerebbe contraddittorio: se con 0, infatti si considera un
istante iniziale fisso che funga da punto di riferimento per la descrizione dell’andamento del moto,
come è possibile che tale istante possa variare nel corso del moto? In realtà si tratta di un artificio
per poter rappresentare un moto che si scosta solo momentaneamente dalla propria regolarità e tale
scostamento viene rappresentato non in termini di mutamento occasionale di pulsazione bensì in
termini di uno slittamento della distanza dal punto di riferimento iniziale del moto. Più o meno la
stesa cosa che avviene quando si regola un orologio: non si agisce sulla pulsazione dell’oscillatore
interno ma si anticipa o ritarda il punto inziale del periodo di conteggio (di secondi, di minuti o di
ore).
Dire che varia la fase di un moto sinusoidale significa dichiarare che, in realtà, stia variando la
stessa pulsazione. In che modo, però, il cambiamento di fase ci rivela della natura del cambiamento
di pulsazione occorso?
Se la fase ad un tempo t° cambia in modo impulsivo mantenendo successivamente inalterato tale
mutamento, (processo, questo corrispondente ad una funzione gradino) ciò vuol dire che la
pulsazione ha subito un mutamento di carattere impulsivo che ha determinato una variazione del
moto rispetto ad un ideale sistema di riferimento con conseguente variazione di , componente
costante della fase (ad esempio un orologio prende un colpo, si blocca per un istante e poi riprende
a funzionare con la stessa frequenza di prima: il risultato può essere descritto indifferentemente
dichiarando che è mutata la parte costante della fase - “l’orologio va indietro di qualche secondo” -
oppure che la pulsazione ha subito una variazione di carattere impulsivo – “l’orologio si è fermato
per qualche secondo”).
Il prof a questo punto affermerebbe che in questo caso la relazione fra mutamento della parte
costante della fase e pulsazione è evidentemente coerente con la relazione esistente, dal punto di
vista funzionale, fra il gradino e l’impulso: quest’ultimo è infatti la derivata del primo così come la
pulsazione è la derivata della fase… Ma stavolta per fase si intende la parte costante della fase!!!!

Bisogna fare molta attenzione: quando dichiariamo che la fase varia con il tempo possiamo
intendere due cose in realtà:
1) il valore della fase varia al variare di t. In questa accezione  corrisponde alla derivata della
fase
2) varia la pulsazione  oppure varia la componente “fissa” della fase 0 al variare del tempo
(ovvero, per dirla in termini fisici, varia la legge oraria del moto).
In questa seconda accezione a noi interessa poter ricondurre, in ogni caso, la variazione della
fase descritta in termini di variazione di 0 a quella descritta in termini di variazione di  .
Questo perché dal punto di vista circuitale il PLL ci fornisce un informazione sulla variazione di
0 (in realtà sulla variazione della differenza fra la parte costante di due sinusoidi messe a
confronto) che dobbiamo poter ricondurre ad una variazione di pulsazione da imporre al nostro
oscillatore controllato di modo che ritorni “in fase” con il segnale in ingresso.
Come appena visto, in realtà ad un incremento di tipo gradino di 0 corrisponde una variazione
di tipo impulsivo di .
Ma altrettanto accade, si intuisce facilmente, per altre variazioni di 0 : se 0 varia con
l’andamento di una rampa ciò significa che  dovrà variare con un incremento di tipo gradino.
Se 0 varia con andamento quadratico allora  dovrà variare con l’andamento di una rampa.
RIMANE LA DOMANDA: c’è una relazione fra il fatto che la pulsazione è la derivata della
fase in un moto armonico costante e il fatto che per un moto descritto dalla relazione
A cos [t + 0(t)]
il mutamento della 0 possa esser descritto dallo stesso mutamento, ma derivato, della omega?
Ovvero in che modo ‘(t)=  implica che 0‘(t)= (t)

Isofrequenzialità
Due segnali sono isofrequenziali se oltre ad conservare la stessa pulsazione hanno differenza di fase
costante (non è necessario che questa sia nulla). D’altronde se la fase variasse con il tempo,
abbiamo già visto che questo si ripercuoterebbe sulla frequenza. (anche se con una mera variazione
impulsiva di uno dei due la isofrequenzialità sarebbe comunque garantita…).
Di fatto due generatori di segnali per quanto precisi siano non riescono a generare mai onde
perfettamente isofrequenziali. L’evidenza sperimentale infatti dimostra che due oscillatori collegati
ad un oscilloscopio originano sullo schermo una sinusoide bloccata (corrispondente a quella del
segnale su cui è stato impostato il trigger) e d un’altra che gli scorre sopra. Ciò dipende proprio
dalla impossibilità per due segnali di mantenere fra loro costante lo sfasamento.
Tutti gli oscillatori che si vogliono sincronizzati necessitano, infatti, di ripetuti processi di
sincronizzazione come accade ad esempio al sistema satellitare GPS che comporta sia per i
localizzatori che per i satelliti un continuo processo di risincronizzazione dei propri oscillatori
interni.

Applicazioni dei PLL


- recuperare frequenze alterate per effetti indesiderati
- Demodulatori AM, FM, FSK, PSK
- Sintetizzatori interi e frazionari, sintesi digitale diretta (DDS)
- data recovery e sincronizzazione clock

Come è fatto un PLL

VCO

Le uscite possono essere prelevate a seconda degli scopi o su V0 (uscita dell’oscillatore controllato)
o su Vc (segnale di controllo che forza l’oscillatore all’oscillazione desiderata)

Un PLL è un sistema composto per la gran parte da circuiti intrinsecamente non lineari, come il
VCO, il comparatore di fase. Per poterne creare un modello matematico di facile manipolazione è
quindi necessario linearizzare tali componenti in un punto di riposo e studiarne un modello alle
variazioni. Per fare ciò, risulta conveniente utilizzare come variabili di ingresso e uscita
rispettivamente la fase del segnale di riferimento i e quella del segnale di uscita del VCO o. Si
studierà quindi il comportamento dei vari blocchi considerando le variazioni di fase dei segnali
rispetto a dei valori di riferimento.

Essendo inoltre il PLL un sistema in retroazione, le tecniche più adatte a descriverlo sono quelle dei
controlli automatici, in quanto permettono di combinare il funzionamento dei vari componenti in un
modello unico. Per fare ciò, è necessario applicare alle relazioni matematiche trovate la trasformata
di Laplace.

Comparatore di fase

Il primo blocco del PLL è un comparatore di fase o phase detector (PD), cioè un circuito in grado di
fornire un'uscita non nulla se i due segnali che ha in ingresso sono sfasati, ossia genera un'uscita che
è una funzione dell'errore di fase.

In versione analogica, un comparatore di fase non è altro che un miscelatore, ossia un circuito che
produce in uscita un segnale pari al prodotto dei due ingressi. Si immagini di avere due ingressi del
tipo vi  Vi sin( i t  i ) e vo  Vo cos(ot   o ) , l'uscita Vd di un miscelatore con guadagno di
conversione sarà la somma di due sinusoidi a pulsazioni pari alla somma e alla differenza delle
pulsazioni dei segnali di ingresso. Per mantenere solo la sinusoide con la pulsazione differenza, il
comparatore di fase è sempre seguito da un filtro passa-basso che elimina la sinusoide con
pulsazione pari alla somma delle pulsazioni, così quando ωi = ωo ed omettendo il termine a 2ωi:

K mViVo K VV
Vc  sin(  i   o )  m i o sin  e
2 2

cioè la tensione d'uscita è una tensione anch’essa sinuosoidale, funzione dello sfasamento tra i
segnali. Nel caso in cui lo sfasamento sia abbastanza piccolo il seno può essere confuso con il suo
argomento:

Vc = sin  e =  e  in particolari condizioni di lavoro (piccola entità di sfasamento) il nostro


miscelatore si comporta come demodulatore di fase: restituisce in combinazione con il filtro passa
basso direttamente una tensione che è la misura della differenza di fase dei due segnali in ingresso.

Nel dominio di Laplace il sistema demodulatore-filtro realizza quindi la funzione:

Vc (S) = KD  e (S)

Mentre il sistema demodulatore –filtro la funzione

Vc (S) = KD  e (S)F(s)

Ricordo, ora, che per un VCO è possibile trovare un range di valori per la tensione di controllo tale
che la relazione con la variazione di frequenza indotta sia lineare:   K OVC (t )
Poiché abbiamo scoperto che esiste un legame di volta in volta codificabile fra variazione di

fase e variazione di pulsazione (   e ) allora posso scrivere, legando l’uscita del filtro
t
all’ingresso del VCO,
 0
 K OVC (t ) che nel dominio trasformato diviene
t
s  0 (S)= KO VC (s) = KO F(s) VD (s) = KO KD F(s)  e (s)= KO KD F(s) [  I (s)-  0 (s)]
Da cui ricavo la funzione di trasferimento dell’intero PLL:

 o (s) K o K d F (s)
 H ( s)  H ( s) 
 i (s) s  K o K d F ( s)

Ho trovato un legame ingresso uscita fra la fase del segnale prodotto da VCO e la fase del segnale
di ingresso.
Mi accorgo che la funzione di trasferimento ottenuta è essa stessa a sua volta filtrante. Ad esempio
nel caso in cui F(s) sia un filtro passa basso del primo ordine, la H(s) diviene un filtro passa basso
del secondo ordine:

1 K K 1
F (s)   H (s)  o d
1  sRC RC s 2  s 1  K o K d
RC RC

Il PLL, quindi, nel trasformare due segnali in ingresso in una informazione sull’errore di fase
attenua di quest’ultima le componenti in alta frequenza rendendo tale variazione meno brusca e
consentendo alla stazione ricevente di gestire effetti indesiderati quali ad esempio l’effetto doppler
senza per questo perdere eventuali informazioni contenute in cambiamenti di fase desiderati come
nel caso di comunicazioni in modulazione di fase PSK
VCO possibili implementazioni:

1) Ponte di Wien: (si tratta di una configurazione non invertente)

Il criterio di Barkausen verrà soddisfatto per la parte che riguarda la fase dalla condizione:
1
 essendo le capacità C1 e C2 (costituite da diodi contropolarizzati) dipendenti dalla
RC (VC )
tensione applicata Vc

2) Oscillatore Colpitts

Vc

In questo caso ad essere sostituita è la capacità C2 e il valore della pulsazione diventa:


C1  C 2 (VC )
o 
C1C 2 (VC ) L

3) oscillatore differenziale
Vc

In quest’ultimo caso ricordando che la frequenza di oscillazione è pari a


1
o 
CT L
e che
CCS 1, 2 C 1, 2
CT  C  
 2C 1, 2
2 2
intervenendo sulla capacità parassita fra base e collettore (?) C1, 2 si ottiene il controllo della
frequenza
LEZIONE 18. PLL

Nella precedente lezione abbiamo ricavato la relazione tra fase del segnale vo e fase del segnale vi
di ingresso e cioè la funzione di trasferimento H(s). La catena di retroazione di demodulatore e
filtro prevedeva che in uscita si ottenesse una differenza di fasi variabile nel tempo che,
opportunamente trasformata, divenisse il segnale di controllo Vc del VCO , il quale in uscita
restituisce un segnale Vo isofrequenziale rispetto al segnale d’ingresso Vi. Demodulatore e filtro,
insieme, danno la possibilità di ottenere una differenza di fase con una componente variabile
attenuata.

Condizioni per l’aggancio di fase


Facciamo ora un altro ragionamento. Sia vi  Vi sin( i t  i ) e vo  Vo cos(ot   o ) e sia anche che i
= 0 . Per ottenere due segnali uguali i deve essere uguale 0. Questa condizione determina
l’”aggancio di fase”. Ciò che mi interessa conoscere è come evolve la differenza delle fasi nel
tempo. Se i è cambiato, a noi interessa che , dopo un certo transitorio, ritorni ad eguagliare 0.
(non deve eguagliarlo altrimenti sarebbe sempre alla stessa frequenza di prima, deve ritornare
costante). E allora quello che ci interessa è conoscere il rapporto tra quello che è l’errore di fase
rispetto alla fase di Vi nel tempo. La funzione di trasferimento corrispondente che si ottiene è
 o ( s)  ( s)   o ( s) s
 H ( s)  i  1  H ( s) =
 i ( s)  i ( s) s  K o K d F (s )
Da cui, si scopre che l’errore di fase dipende dalla fase del segnale di ingresso e dalla frequenza “s”.
Ricordiamo che la trasformata, ci dà un’informazione solo dell’errore di fase a regime e non nel
transitorio. Sfruttiamo allora il teorema del limite finale che dice che se conosciamo cosa succede
per s0 alla funzione di trasferimento allora conosciamo cosa accade all’uscita all’infinito nel
dominio temporale. Questo perché noi siamo interessati a capire cosa succede all’errore dopo un
certo intervallo di tempo. Ovviamente, noi vogliamo che questo errore tenda sempre a 0. Il non
verificarsi di tale condizione vorrebbe dire che la differenza di fase non è nulla a regime e che il
PLL non sta riuscendo a realizzare la funzione di aggancio in fase.
Utilizzando il teorema del limite finale bisogna moltiplicare per “s” al numeratore della funzione di
trasferimento e far tendere poi la s a 0.
 e ( s) s s
   e (s)    i (s)
 i ( s) s  K o K d F ( s) s  K o K d F (s)
s
 e ()  lim s    i ( s)
s 0 s  K o K d F ( s)
Supponiamo di avere una sinusoide in ingresso che, ad un certo istante di tempo, ha un salto
repentino di fase. Ciò consiste nel porre in ingresso al sistema un gradino di ampiezza pari alla
 i
variazione di fase occorsa che nel sistema trasformato corrisponde alla funzione  i ( s) 
s
s 
 e ()  lim s   i
s 0 s  K o K d F ( s) s
Sostituendo otteniamo che per s 0 l’errore di fase si annulla e quindi il PLL recupera un salto di
fase repentino a patto, però, che F(0) sia diverso da 0.
Altro caso è quello in cui la sinusoide in ingresso presenta una variazione di fase di tipo rampa. In
queste condizioni significa che la sinusoide in ingresso ha subito una variazione di pulsazione di
tipo gradino che è il tipo di variazione della pulsazione utilizzata nelle comunicazioni FSK
(frequency shift key) basate proprio sulla variazione di frequenza. La rampa nel dominio
1 
trasformato corrisponde alla funzione 2 e la variazione di fase sarà:  i ( s )  2 i
s s
Passando al limite:
s 
 e ()  lim s   2i
s 0 s  K o K d F ( s) s
non si ottiene 0 ma un rapporto fra la variazione di frequenza ed un fattore proporzionale al
guadagno dell’anello in continua (ovvero per S=0) pari ad A
i
 err 
Ko Kd A
Però se A è infinito l’errore si annulla. Ecco perché se prima qualsiasi PLL andava bene ora invece
devo stare attento al parametro di guadagno del filtro.
Ulteriore caso è quello in cui la fase vari quadraticamente (con conseguente relativo cambiamento
lineare della frequenza). In quest’ultimo caso il recupero della fase non può mai avvenire. Si tratta
di segnali Cirving che trovano impiego in particolari radar

Alcuni esempi di risposta del PLL a segnali differenti


Esemplifichiamo il funzionamento di un PLL attraverso un grafico che compari l’andamento del
segnale in ingresso e il corrispondente comportamento del segnale Vc di controllo del VCO

1 1
Streaming di bit che si
0 0
vogliono trasmessettere

Segnale PSK che trasmette la


sequenza di bit attraverso
variazioni tipo gradino di fase

Variazione impulsiva di Vc
per garantire l’aggancio in
fase da parte di Vo

Ricordando che la variazione della fase è legata a quella della frequenza da un rapporto di
 d 
derivazione     KVc(t )  al cambiamento della fase di tipo gradino corrisponderà un
 dt 
cambio di frequenza di tipo impulsivo:
avendo supposto inizialmente Vo agganciato in fase a Vi, al netto degli spike di tensione Vc si
troverà ad un valore tale da garantire l’isofrequenzialità dei due segnali.
Successivamente, per la decodifica di un segnale PSK utilizzerò un comparatore a soglia o un flip
flop a fronte di salita che conti il numero di spike generati e li traduca in flusso di dati in ingresso.
Nel caso di un segnale FSK avremo invece:
1 1
Streaming di bit che si
vogliono trasmettere 0 0

Segnale FSK che trasmette la


sequenza di bit attraverso
variazioni tipo gradino di
frequenza

Variazione di tipo gradino


di Vc per garantire
l’aggancio in fase

Tempo di aggancio
Alle variazioni del segnale d’ingresso sulla pulsazione e fase seguiranno i meccanismi di
generazione di segnali agganciati in fase e frequenza che però non sono istantanei e infatti ci sarà
sempre un certo ritardo (che dipende dal DF, dal filtro e dal tempo di risposta del VCO ) detto
tempo di “setling” o comunque tempo d’aggancio. Nel caso del filtro, ad esempio, un elemento di
incidenza sul ritardo complessivo. Un parametro che influisce sul tempo d’aggancio è lo slew rate
degli amplificatori operazionali impiegati (ad esempio nel filtro).

Il parametro Δt, detto “pull-in time”


(tempo di aggancio), è legato alla banda
del sistema e allo slew rate
dell’amplificatore ([MHz /μs]).

Caratteristica a farfalla del PLL


Lo studio finora condotto sul PLL si poggia su alcune ipotesi semplificative (come quella per cui la
variazione della frequenza di oscillazione del VCO è proporzionale a quella del segnale Vc
applicato) . Per descrivere in maniera più aderente al comportamento reale un PLL si adottano
metodologie di carattere sperimentale. Una di queste prevede la definizione della “caratteristica a
farfalla” del PLL.
Consideriamo un PLL ad anello aperto. Abbiamo cioè aperto il feedback del PLL.

vi
Vd
DF

ω
or
VCO F(s)

or Vc
Indichiamo come asse delle ascisse la pulsazione del segnale d’ingresso i.

Vc

ωor ωi
ωa

Stiamo sollecitando il demodulatore di frequenza con un segnale di ingresso a frequenza variabile


da valori molto minori a valori molto maggiori della frequenza di riferimento or frequenza di “free
running” del VCO.
Se si è impostato una frequenza qualsiasi del segnale d’ingresso, il demodulatore di fase produrrà
una somma di due seni, l’uno con argomento la somma degli argomenti e l’altro con la differenza.
Questa somma va in ingresso ad un filtro passa-basso. Se i e 0r sono distanti fra di loro, sia la
loro somma che la loro differenza si collocherà su range elevati di frequenza e le relative
componenti del segnale risulteranno entrambe attenuate dal filtro.
Impostando un segnale di ingresso a bassa frequenza e aumentandone progressivamente il valore
si verificherà che la prima componente con la differenza si sposta verso sinistra in frequenza (verso
frequenze sempre più basse, mentre quella con la somma verso destra (poiché il seno della
differenza diviene –seno portando fuori il segno e cambiando di posto i termini della sottrazione
nell’argomento). Questo significa che progressivamente la componente di sinistra subirà un
attenuazione meno accentuata poiché si avvicina sempre di più alla frequenza di taglio del filtro ed
il segnale Vc risultante avrà ampiezza maggiore
Di fatto si sta ricavando sperimentalmente la funzione di trasferimento del filtro attraverso la
variazione di i. Quando la i coinciderà con or ciò non vuol dire che Vc(t) smetta di essere una
sinusoide divenendo un segnale continuo: in assenza di feedback, infatti non può essere realizzato
l’aggancio in fase ed il contributo di variazione nel tempo sarà determinato da (t) presente
nell’argomento del seno. Quindi avrò comunque in uscita un segnale più grande in ampiezza( grazie
al guadagno del filtro) e con frequenza, però, minore. Così facendo sto caratterizzando un termine,
Vc, che fa parte della funzione di trasferimento dell’errore di regime, in quanto compariva al
denominatore sotto forma di ko,kd ed F(s). In particolare, al fine di valutare la possibilità di
realizzare l’aggancio in fase, è importante conoscere il valore di F (s) s 0 che corrisponde proprio
alla condizione di or =i ovvero al massimo del grafico a farfalla della Vc L’andamento che
riscontriamo nel grafico fa riferimento quindi a cosa succede all’uscita dal filtro all’aumentare della
frequenza del segnale d’ingresso. In prima battuta, il termine differenza è molto attenuato poiché la
frequenza di free-running e quella del segnale d’ingresso sono molto distanti. Poi succede che
all’aumentare di i passa sempre più segnale tramite il filtro dato che ci si avvicina sempre più alla
frequenza di taglio di questo. Fino a quando non si raggiunge proprio or e riprende la discesa del
termine differenza dato che ci si ricomincia ad allontanare dalla banda passante del filtro.
LEZIONE 19. PLL: cattura e mantenimento.

Vista la caratteristica ad anello aperto passiamo poi a quella ad anello chiuso e rappresentiamo
nuovamente l’inviluppo di Vc sull’asse delle i.
Teniamo a mente che un oscillatore, per quanto ben fatto possa essere, non può mai generare
qualsiasi frequenza. Se, infatti, in ingresso si ha un segnale con una pulsazione abbastanza lontana
per rientrare nelle possibilità di funzionamento dell’oscillatore, allora il VCO non riuscirà a
generare un segnale isofrequenziale rispetto a quello d’ingresso.
Noi abbiamo visto che data una certa tensione di controllo Vc il VCO riesce sempre a seguire il
segnale in ingresso generando una . Ma ciò non è sempre vero per quanto detto.
Quello che si nota in questa nuova configurazione è che al crescere della pulsazione d’ingresso il
segnale Vd all’uscita del DF e quindi prima del filtraggio presenta sempre più una maggiore
componente continua sovrapposta all’oscillazione. Tale fenomeno non accadeva nel caso della
configurazione ad anello aperto. Questa parte continua è essenziale perché è quella che “controlla”
effettivamente il VCO, nel senso che è la responsabile del forzamento o “polarizzazione” che mi
garantisce in uscita dal VCO un valore ben definito di pulsazione .
All’aumentare, quindi, della i si manifesterà sempre più accentuatamente questo contributo in
continua tanto da annichilire quello dipendente dal tempo e far sì da farci avvicinare sempre più al
valore di frequenza eguale a quella del segnale d’ingresso. E allora parte continua e variabile mi
genereranno una tensione Vc di controllo per VCO tale da farmi agganciare alla frequenza
d’ingresso.
Quando si arriva al momento dell’aggancio il valore della Vc di controllo rimane costante. Ulteriori
aumenti della pulsazione di ingresso creano variazioni della componente continua della tensione di
controllo.

Vc

Inviluppo di Vc
b

ω ωor ωi
a

Su questo nuovo grafico a farfalla si nota anche che per pulsazione crescente, ad un certo punto, in
concomitanza dell’aggancio, il comportamento della Vc rispetto alla pulsazione diviene lineare e
che solo per una tensione nulla di Vc si ha che la pulsazione i coincide con quella di free-running
del VCO. La caratteristica, per una certa pulsazione alta, giungerà ad un massimo di Vc che è la
massima tensione di controllo per il VCO. E’ quel valore oltre il quale non c’è un segnale di
tensione più alto tale da farmi andare in aggancio con la frequenza di ingresso. Quindi, se io
aumento ancora la pulsazione d’ingresso ma la tensione Vc non riesce ad oltrepassare quella soglia
allora è chiaro che il VCO non riuscirà più ad agganciarsi in frequenza al segnale d’ingresso e
avviene lo sgancio.
Nella figura, in corrispondenza del cerchio rosso il PLL non è agganciato perché i segnali di
ingresso al VCO sono ancora molto rapidamente variabili e quindi non c’è assestamento verso un
valore costante della Vc di controllo tale da generarmi una tensione costante che sia in grado di
seguire la pulsazione del segnale d’ingresso.
Il ragionamento finora condotto partiva da basse e andava verso alte frequenze però può anche
essere fatto facendo il percorso inverso, cioè partendo dalle alte frequenze e andando verso le basse.
In questo caso, io partirò da un valore di pulsazione in cui ho aggancio di fase e quindi già mi trovo
in una condizione di stabilità della componente continua forzante l’oscillatore VCO. Decresce la
pulsazione e giungo ad un valore minimo oltre il quale il VCO riceve una tensione di controllo Vc
negativa che non è sufficiente riesce a generare una pulsazione coincidente con quella dell’ingresso.

– C: campo di cattura
– M: campo di mantenimento

Da questo tipo di caratterizzazione si individuano 4 pulsazioni che definiscono quello che è il


“campo di cattura” e il “campo di mantenimento”. “Campo di cattura” è definito dalla differenza fra
valore di pulsazione di fine aggancio e inizio dell’aggancio di frequenza. In questo campo variando
la i sono sempre in grado di acquisire la condizione di aggancio partendo da una condizione di
sganciamento. Il campo di mantenimento contiene quello di cattura e coincide con la differenza di
due pulsazioni che sono quelle in corrispondenza delle quali si hanno il minimo ed il massimo della
tensione di controllo Vc ed in esso segnale rimane agganciato solo se già lo è dall’inizio. Queste
pulsazioni dipendono dalle caratteristiche continue del PLL e dipendono dai valori di tensione del
segnale d’ingresso.
Il campo di mantenimento dipende dai parametri in continua (quindi da F(0)) del PLL mentre
quello di cattura dai parametri dinamici e quindi dal comportamento del filtro F(s) in frequenza.
Gli agganci e gli sganciamenti si hanno anche a frequenze multiple rispetto a quella del segnale
d’ingresso. Spesso infatti il PLL è realizzato introducendo un moltiplicatore di frequenza. Questo
viene introdotto perché potrebbe servire un aggancio ai Gigahertz senza però utilizzare un
oscillatore ai Gigahertz. E allora uso un moltiplicatore di frequenza che è un amplificatore fuori
linearità, in quanto esso opera eccitando armoniche di ordine superiore a quella fondamentale. Se
poi il segnale d’ingresso non è un semplice tono puro ma ha contenuto armonico più vario allora il
PLL si aggancia a tutte le pulsazioni però in maniera differente. Infatti, all’aumentare della
frequenza di aggancio il range di aggancio decresce.

Demodulatore di fase digitale


Abbiamo visto che il demodulatore di fase va visto sottoforma di moltiplicatore di segnali analogici
e che è stato sottoposto ad alcune approssimazioni come la linearità dell’argomento del seno in
uscita ad esso. A proposito di ciò, date due sinusoidi in ingresso al demodulatore aventi fasi distinte
noi siamo interessati ad avere un segnale d’uscita proporzionale alla differenza di fase dei due
d’ingresso. A partire dal grafico delle due sinusoidi possiamo pensare di ricavare un segnale di tipo
impulso rettangolare che commuta sui fronti di salita (o di discesa) delle due sinusodi. Se io poi
considero l’integrale dei rettangoli che hanno per base la distanza tra il fronte di salita di un segnale
sinusoidale e di quello successivo allora otterrò un certo valore medio (attraverso il teorema della
media integrale). Se aumento la differenza di fase dei due segnali tale valore comincia a crescere
come si nota dal grafico susseguente. Cioè otterremo un incremento man mano che aumenta lo
sfasamento fra i segnali. Il massimo sfasamento lo si avrà a .
Procedendo nella computazione dei passaggi per lo zero dei segnali sinusoidali e verificandone lo
sfasamento opportunamente conteggiato nell’ampiezza dei segnali impulsivi proporzionali ad esso
si ottiene il grafico seguente: (grafico demodulatore con segnali a duty cycle 50%)

Il valore medio di tutti questi impulsi è pari proprio alla differenza di fase.
Questo demodulatore è costituito da una porta XOR. Nel senso che genera un livello basso quando i
due segnali di ingresso sono eguali mentre ne genera uno alto quando sono in opposizione. Il
massimo, ad esempio, lo si avrà quando l’opposizione è massima ossia pari a .
Si presenta poi la caratteristica del demodulatore con flip-flop SR. Questo agisce invece su segnali
di ingresso di tipo impulsivo.
Infine, altro demodulatore è quello fase-frequenza con circuito a pompa di carica. Questo è
costituito da due flip-flop connessi in uscita ad una porta AND che comanda il segnale di reset di
entrambi. L’arrivo di un segnale alto su vi porta D su A del primo flip-flop. Ora possono avvenire
due fenomeni: o l’uscita B è bassa e quindi la porta AND darà luogo a 0 e quindi l’uscita A rimane
ad 1 e B a 0( in questo senso, l’uscita A rimane alta per un tempo corrispondente al ritardo tra i due
impulsi vi e vo), oppure B era anch’essa ad 1 e quindi la AND darà in uscita 1 che mi resetta
l’uscita sia A che B a 0. Queste due uscite pilotano gli interruttori che caricano e scaricano un
condensatore C. Quindi, se A è alto e B e basso allora il condensatore si carica ed il suo tempo
livello di carica rappresenta la distnza di fase fra i due impulsi mentre quando A e B sono stati
resettati a 0 la capacità rimane carica. Nell’ambito di un perido, quindi, la capcità torna a caricarsi
tante volte quanti sono i fronti di risalita del del segnale di ingresso. Al termine del periodo la
capacità avrà raggiunto un livello che è indice del diuty cycle del segnale.
la capacità C rimane flottante e si scaricherà automaticamente.

Da cui, Vc varierà in base ai tempi di carica e scarica del condensatore. Se il tempo di carica è
molto piccolo rispetto a quello di scarica allora la capacità è mediamente scarica o comunque Vc è
approssimabile a 0V. Quindi più è alto il tempo di carica e più è alto il valore a cui sta mediamente
Vc il che significa che maggiore è la corrispondente distanza temporale(sfasamento) tra i due
impulsi Vi e Vo. In questa maniera, abbiamo effettivamente una proporzionalità tra sfasamento e
tensione Vc( da non confondere con la Vc dell’oscillatore controllato).

Rumore nel PLL

Vediamo come si comporta il PLL in presenza di rumore di fase del segnale in ingresso.
Innanzitutto caratteriziamo l’uscita del PLL in termini di potenza quando in ingresso ho solo rumore
(sostanzialmente sto caratterizzando il modo in cui il PLL tratta il rumore in ingresso).

Innanzitutto data la banda del segnale d’ingresso Bi centrata in 0, il rumore, n(t), a cui faremo
riferimento è quello relativo alla stessa banda di riferimento del segnale d’ingresso. Questo perché
vogliamo fare un rapporto segnale-rumore e allora la banda dei due deve essere la stessa.
Questo rumore, rappresentato come additivo, è a banda stretta e posso rappresentarlo attraverso le
sue componenti in fase ed in quadratura: sono le componenti in fase e quadratura del segnale passa-
basso equivalente traslate in banda (si aplica una formula per noi sconosciuta):
n(t ) nc (t ) cos(o t )  ns (t ) sin( o t )
Se in ingresso al PLL ho solo rumore allora in uscita dal demodulatore ho la moltiplicazione fra il
segnale Vo in uscita dal VCO e il rumore additivo n(t).
Vdn (t )  K mVo cos(o t   o )  nc (t ) cos(o t )  ns (t ) sin( o t )
Avendo supposto il PLL agganciato (stessa frequenza fra vo(t) e n(t) e non considerando i termini a
frequenza somma, perché filtrati successivamente) otteniamo l’espressione:
Vdn (t )  m o nc (t ) cos  o (t )  ns (t ) sin  o (t )
K V
2

Valutiamone il valore quadratico medio:

 
2
K V 
Vdn (t )   m o   nc (t ) 2 cos 2  o (t )  ns (t ) 2 sin 2  o (t )  2nc (t )ns (t ) sin  o cos  o
2

 2 
La media della somma la scriviamo come somma delle medie essendo di fronte ad un’operazione
lineare. Poi, essendo statisticamente indipendenti le variabili nc,ns e o allora trasformo la media
del prodotto nel prodotto delle singole medie.

2
K V 
Vdn (t ) 2   m o   nc (t ) 2 cos 2  o (t )  ns (t ) 2 sin 2  o (t )  2nc (t )  ns (t )  sin  o  cos  o
 2 

Il doppio prodotto va via essendo la media del coseno e del seno nulle. Soma di seno e coseno al
quadrato danno risultato unitario. Inoltre per il rumore a banda stretta si ha che:

n(t ) 2  nc (t ) 2  ns (t ) 2

Si ottiene dunque l’espressione della potenza del segnale all’uscita del demodulatore di fase in
presenza di rumore n(t) all’ingresso.

2
K V 
Vdn (t ) 2   m o  n(t ) 2
 2 

Ora valutiamo l’effetto del PLL sul rumore nel caso in cui tale rumore sia un rumore di fase.
In ingeresso avremo quindi un segnale affetto da rumore di fase il cui modello analitico sarà:
vi (t )  Vi sin( i t  in (t ))
Supponendo di poter linearizzare la caratteristica del demodulatore, otteniamo una nuova scrittura
della Vdn(t).
K VV
Vdn (t )  m o i  in (t )
2
Poi ne calcoliamo il valore quadratico medio.
2
K VV 
Vdn (t )   m o i   in (t ) 2
2

 2 
Metto ad uguaglianza i valori quadratici medi dei due rumori per capire quale deve essere la in tale
da determinare la stessa potenza di rumore di n(t).
2 2
 K mVo  K VV  n(t ) 2
   n(t )   m o i   in (t )
2 2
  in (t ) 2  2
 2   2  Vi
La trovo e la ridefinisco sottoforma di rapporto fra potenza del rumore in ingresso e quella del
segnale indicando con Pn la potenza del rumore Pn  n(t ) 2 e con Ps la potenza del segnale
Vi 2
Ps 
2
Pn
 in (t ) 2 
2 Ps
Poi definisco la densità spettrale di potenza del rumore all’ingresso come il rapporto fra la potenza
del rumore e la banda Bi
n(t ) 2
Ni 
Bi
Facciamo lo stesso per il rumore di fase. Sfruttando le relazioni note (ma qualli relazioni
noteeee!!!!) Per il rumore di fase l’ampiezza di banda da considerare è pari alla metà di Bi. Infatti
per un segnale di ingresso a frequenza centrata su  il rumore di fase è nullo per poi originare un
rumore di fase perfettamente simmetrico in caso di incremento o deceremento della propria
frequenza. La densità spettrale del rumore di fase sarà quindi:
 in (t ) 2

Bi 2
Sostituendo al valore della potenza del rumore di fase il suo equivalente espresso in termini di
rumore ottengo:
n(t ) 2 2 N
 2
 2  2i
Vi Bi Vi
Che permette di esprimere la densità spettrale di rumore in termini di densità spettrale di
rumore di fase equivalente. Tale relazione ci permette di trattare quantitativamente il
rapporto segnale rumore di un PLL la cui funzione di trasferimento è definita in termini di
fase

Ricordiamo appunto tale funzione di trasferimento:


o (s)  H (s)i (s)
Ci calcoliamo la potenza del segnale in uscita o integrando sulla banda occupata dal segnale la
densità spettrale di potenza all’ingresso moltiplicata per la funzione di trasferimento H(s) al
quadrato che nel caso in cui in ingresso abbiamo solo rumore di fase diventa:
Bi
2
 on (t )    H ( j )
2 2
df
0

Si considera la fase costante e che la banda del PLL sia limitata, per cui estendo l’integrale da 0
all’infinito. Il risultato dell’integrale è il prodotto tra densità di potenza in ingresso e la “banda
equivalente” Bl (sbagliato) del PLL.

 on (t )    H ( j ) df    BL
2 2

0
Una volta definita H(s), quindi, si definisce BL. E’ evidente come la banda equivalente del PLL
dipenda dal filtro F(S) attraverso il quale si incide direttamente sul valore della funzione di
trasferimento.
Quindi il PLL è caratterizzato come un filtro passa banda ma con alcuni vantaggi in più:
– La frequenza di centro banda è variabile ed è centrata al segnale (purché ci sia
aggancio).
– La larghezza di banda è controllata dal filtro F(s), esso si può scegliere piccolo a
piacere lavorando sulla n

Riscriviamo la potenza del rumore in uscita sostituendo nella densità spettrale di potenza del rumore
 in (t ) 2
di fase in ingresso l’espressione ricavata precedentemente (   ):
Bi 2
BL
 on (t ) 2  2 in (t ) 2
Bi
tale relazione ci dice che il rapporto fra le potenze del rumore del segnale in uscita ed in ingresso è
direttamente proporzionale al rapporto fra la banda equivalente del PLL e la banda del segnale di
ingresso e ciò conferma ulteriormente l’effetto filtrante del PLL.

E’ possibile determinare la variazione (miglioramento) del rapporto segnale rumore determinata dal
PLL:
P
Per il segnale in ingresso SNRi  s
Pn
Possiamo esprimere la potenza del rumore del segnale in ingresso in termini di potenza di rumore di
P
fase ricordando che  in (t ) 2  n  Pn  2 Ps  in (t ) 2 e quindi:
2 Ps
1 1
SNRi    in (t ) 2 
2 in (t ) 2 2SNRi
Analogamente il rapporto segnale rumore in uscita sarà:
1
SNRo 
2 on (t ) 2
B 1
A questo punto sostituendo  on (t ) 2  2 in (t ) 2 L e a sua volta  in (t ) 2  si ottiene:
Bi 2SNRi
B
SNRo  SNRi i
2 BL

Il miglioramento notevole è che qui io posso controllare a mio piacimento la banda passante del
PLL Bl attraverso il filtro F(s) ad esempio diminuendo la sua frequenza di taglio e quindi migliorare
il rapporto segnale-rumore come desideravo.

Applicazione:
supponiamo di voler misurare un segnale costante a cui è sovrapposto un rumore. Per ridurre al
minimo il contributo di rumore bisognerebbe realizzare un filtro che è molto stretto in banda. Non è
possibile realizzare un filtro a 0,01 Hz ad esempio.
E allora parzializzo il segnale costante moltiplicandolo per un treno di impulsi rettangolari
rendendolo nel tempo un’onda quadra che in frequenza diventa la convoluzione fra una delta
(centrata in zero) e un treno di sinc. Posso filtrare in frequenza e prendere all’interno della sinc una
porzione limitata comprendente la delta, ma per quanto piccolo faccia il filtro non riesco ad
estinguere il contributo del rumore
Posso allora inserire il segnale di ingresso nel PLL e filtrare il rumore in virtù della diminuzione
della banda passante del PLL che mi fa crescere il rapporto segnale-rumore.
Ricordiamo che

BL   H ( j ) df
2

0
BL quindi sarà determinabile piccolo a piacere agendo sui coefficienti K0 Kd e sulla frequenza di
taglio del filtro F
Sulla base di queste considerazioni funzionano gli amplificatori lock-in
LEZIONE 20. Demodulatore del PLL, Convertitori A/D,
frequenza Niquist.

Si mostra l’implementazione di un PLL e la sua caratterizzazione attraverso l’analisi di alcuni


parametri fondamentali.
Si tratta del modello circuitale del tipo PLL 565 fra i più commercialmente diffusi.
Si compone di tra blocchi fondamentali: il Demodulatore di fase, un filtro passa basso ed un
oscillatore.
L’oscillatore, detto a Trigger di Smith, può essere controllato in frequenza anche attraverso
comandi esterni con l’applicazione di un resistore e un condensatore opportuni. Ciò consente di
variare la frequenza di free running e di traslare la caratteristica a farfalla lungo l’asse delle
frequenze
Il filtro è applicabile esternamente optando per differenti soluzioni. Ad esempio per demodulazione
di segnali PKS può andar bene un filtro passivo a guadagno limitato.
Nel caso di segnali FSK è necessario un filtro a guadagno infinito (attraverso l’impiego di un
operazionale) al fine di conseguire, a transitorio esaurito, l’aggancio di fase come già dimostrato
con il calcolo del valore finale di  s  s   0

La frequenza di lavoro di questo PLL ha una soglia inferiore di 500 kHz

Il blocco del DF (demodulatore di fase) a cella di Gilbert

Transistori montati a
diodo per distorcere il
segnale di ingresso (?)
Il prof sostiene che si tratti di un modello a quattro quadranti ma ci sono delle differenze se
confrontate con lo schema ho inserito a fianco per consentire un confronto.

Caratteristica del DF (inspiegabile a meno che non lo si colleghi in qualche modo con il fatto
che questo DF introduce sempre un ritardo ulteriore di 90° )

Vc [V]
0,8
0,6
0,4
0,2
0 θe [rad]
-6 -4 -2 -0,2 0 2 4 6
-0,4
-0,6
-0,8

Caratteristica del VCO

Il guadagno di conversione è: k0 = 2.3*105 rad/sV


Di tale caratteristica interessa il tratto rappresentato in cui la relazione fra tensione applicata e
variazione di pulsazione appare abbastanza lineare

Il filtro passa-basso
ha due funzioni:
• attenua le componenti ad alta frequenza all’uscita del demodulatore di fase, migliorando il
rapporto segnale-rumore;
• fornisce al PLL una memoria a breve termine, assicurando una rapida ricattura se il sistema
perde l’aggancio a causa di un rumore transitorio
Dall’ampiezza di banda del filtro dipendono:
• la risposta dell’anello
• il campo di cattura
• la reiezione dei rumori

Si realizzano differenti simulazioni di funzionamento con PLL su cui sono inseriti filtri a differente
banda passante. I tre PLL vengono sollecitati con un segnale in ingresso che subisce lo stesso salto
in frequenza. Si verifica la presenza di un trade off fra tempo di aggancio ed ampiezza del rumore
associato al segnale di uscita del VCO: All’aumentare della banda passante si riduce il tempo di
aggancio ma diventa più consistente la presenza di rumore.

Caratteristica a farfalla

La caratteristica a farfalla rappresenta la funzione di trasferimento tra pulsazione d’ingresso e


tensione di controllo del VCO. Si può ottenere variando la frequenza del segnale d’ingresso e
misurando la corrispondente tensione di uscita del filtro a circuito aperto.
Nella sperimentazione effettuata si è riscontrata l’esistenza delle due zone, di aggancio (C) e di
mantenimento (M) caratteristiche di un PLL.

V c [V ]
0 ,4
0 ,3
0 ,2
0 ,1
4
0 ω i [1 0 r a d /s ]
- 0 ,1 1 0 15 20 25 30 35 40 45 50
- 0 ,2 C
- 0 ,3
M
- 0 ,4
- 0 ,5 analisi son emersi i seguenti valori dei parametri fondamentali:
Al termine delle
˗ kd = 0.63 V/rad
˗ k0 = 2.3*105 rad/sV
˗ kv = k0 kd = 145*103 s-1
˗ C = 105 rad/s
˗ M = 1.7*105 rad/s

I CONVERTITORI ANALOGICI – DIGITALI

La centralità della tecnologia digitale oggi è dovuta al fatto, innanzitutto, che la trasmissione
dell’informazione si è progressivamente digitalizzata: ad essere trasmessi sono pacchetti di dati non
più segnali analogici. Ultimamente il processo di digitalizzazione attraverso la fibra ottica ha reso
anche lo stesso canale di trasmissione “digitale” a fronte di altri canali (quali l’etere ad esempio)
che ancora conservano una natura analogica.

Per garantire la digitalizzazione di un informazione in tempo reale devo valutare: il tempo minimo
necessario (definito dalla tecnologia impiegata) per elaborare e trasmettere ciascun campione di
informazione, il tempo massimo che può separare l’acquisizione di due differenti campioni pena la
perdita di informazioni rilevanti.

La digitalizzazione si articola in due passi fondamentali: campionamento e quantizzazione.


Con il campionamento e la quantizzazione un segnale continuo viene rappresentato attraverso un
numero finito di valori corrispondenti ad altrettanti istanti di tempo.

La valutazione della frequenza di campionamento opportuna per un determinato segnale (al fine di
preservarne il contenuto informativo) viene fatta attraverso un analisi nel dominio della frequenza.

Innanzitutto calcolo la funzione che rappresenta nel tempo il segnale campionato:

x(t)

xs(t) Ts

fs=1/Ts è la frequenza di campionamento

Ho ottenuto il prodotto fra la funzione ed un treno di impulsi. Ora ne calcolo la trasformata come
convoluzione fra le due funzioni trasformate ricordando che la trasformata di un treno di impulsi
1
centrato in nTs è ancora un treno di impulsi con periodo (pari alla frequenza di campionamento)
Ts
1
la cui ampiezza è moltiplicata per lo stesso fattore .
Ts

Nel dominio trasformato il segnale avrà la seguente espressione in cui la convoluzione fra lo spettro
1
in banda base ed il treno di impulsi a frequenze multiple di quella di campionamento ( ) origina
Ts
ripetizioni traslate dello spettro in banda base centrate proprio alle frequenze multiple di quella di
1
campionamento ( ):
Ts
1 
 k 
X( f )   X  f  
TS K    Ts 

Ciò che emerge è che lo spettro di un segnale campionato è uguale allo spettro del segnale originale
ripetuto periodicamente con periodo (può essere fuorviante parlare di periodo perché si tratta di un
periodo misurato su frequenze…) uguale alla frequenza di campionamento .

A questo punto si comprende che se se la frequenza massima del segnale originale supera la
distanza a cui comincia la successiva ripetizione nello spettro del segnale campionato si determinerà
una sovrapposizione in banda, rendendo impossibile l'esatta ricostruzione del segnale originale, che
risulterà distorta.
A tal proposito bisognerà applicare il teorema si Niquist per il quale la frequenza di campionamento
dovrà essere almeno il doppio della ampiezza della frequenza del segnale originario.

Perché proprio il doppio?


Il segnale originario, infatti, avrà una collocazione in banda centrata nello zero, in quanto segnale
reale e quindi Hermitiano, il cui contributo effettivo è solo quello delle frequenze positive (nella
realtà le frequenze negative non esistono, ma bisogna tenerne conto quando si procede alla
traslazione in banda). Al momento della ripetizione traslata di ciascuna replica la banda che
ciascuna occupata è pari alla somma della parte positiva e quella negativa del segnale originario
quindi al doppio della sua banda effettiva.
LEZIONE 21. Campionamento, quantizzazione.

Continua campionamento

A valle del campionamento ho ottenuto, quindi, un segnale con contenuti ridondanti di


informazione al di fuori della banda base del segnale originale. Per ricondurmi alla condizione
iniziale posso operare con un filtro passa basso che consente recuperare il contenuto informativo in
frequenza del segnale originale. Tra tutte le repliche, infatti seleziona quella in banda base. Se poi la
distanza tra le repliche è troppo piccola per essere filtrata efficacemente con un filtro (la cui
pendenza non può comunque superare determinati limiti) posso operare con un ulteriore filtro,
stavolta digitale che opera l’annullamento selettivo delle frequenze indesiderate.

Interessante a questo proposito riflettere come di per se la conversione da segnale digitale ad


analogico rappresenti sempre un operazione di filtraggio nel momento in cui il segnale analogico
viene inquadrato come una forma “massimamente variabile di segnale analogico” che viene
ricondotto ad una sua versione più lentamente variabile ovvero quella “ufficialmente” analogica
attraverso un filtraggio delle sue componenti in alta frequenza.

Problema dell’aliasing e filtro antialiasing


Se la frequenza di campionamento non rispetta il limite di Niquist determino un’alterazione del
segnale di origine: per alcune armoniche del segnale iniziale a causa della sovrapposizione si
determina una variazione dell’ampiezza con conseguente irreversibile alterazione del contenuto
informativo

A valle del filtraggio ho


ottenuto un segnale differente
da quello originario

C’è un problema però: I segnali reali hanno banda illimitata perché se non altro sono moltiplicati
sempre per una finestra (temporale) che ne rispecchia l’inizio e la fine nel tempo. E la trasformata di
Furier di una finestra è una Sinc ovvero una funzione a supporto infinito.
Dovrei poter intervenire preventivamente al campionamento in modo da dare in ingresso ad un
campionatore un segnale limitato in banda. Per individuare la soglia oltre la quale il segnale ha
contribuiti in frequenza poco significativi al punto di poter essere omessi si usa fare riferimento al
rapporto segnale rumore: quando questo scende al di sotto di 1 allora il rumore sovrasta il segnale
originario e l’apporto informativo a quelle frequenze non sarà rilevante. Fra le tipologie di rumore a
cui fare riferimento viene individuata quella del rumore di quantizzazione in quanto legato a
parametri interni al convertitore e quindi prevedibile e non dipendente da variabili legate al
contesto di impiego .

Per ottenere la limitazione in banda accennata si interviene con un filtro detto “antialiasing” in
ingresso al convertitore.

Treno di impulsi reale

Non è possibile generare un segnale di carattere impulsivo. Il segnale che più approssima tale
comportamento è un treno di impulsi rettangolari. Ciò tra l’altro consente, a valle del
campionamento di offrire al quantizzatore un valore di tensione sufficientemente stabile in un certo
lasso di tempo da poter essere adeguatamente elaborato.
Introdurre un treno di impulsi rettangolari significa trattare il segnale in ingresso nel modo indicato:

xm(t)

Ottenere un treno di impulsi rettangolari dal punto di vista analitico significa realizzare una
convoluzione fra un treno di impulsi ed una finestra rettangolare. Nel tempo quindi si realizzerà:
t
x(t)    (t  nT )     che nel domino della frequenza si riscriverà:
n T 
X(f)    ( f  n )  T sin c fT 
1 1
T n T

ricordando che la trasformata di una finestra rettangolare centrata all’ascissa “0” e di ampiezza T è
1
una sinc centrata in “0” con valore massimo pari a T e primo valore “0” all’ascissa :
T
1 2  T
X(f)    ( f  n )   t  
T n f  2

Quel che si otterrà in frequenza rispetto al campionamento con un treno di impulsi sarà l’ulteriore
1
prodotto in frequenza per una sinc centrata nell’origine il cui lobo principale scende a zero in
T
Dal punto di vista dei sistemi lineari il processo di campionamento reale può essere rappresentato
attraverso il seguente diagramma ricordando che l’uscita di un sistema lineare tempo invariante può
essere descritta proprio come il prodotto di convoluzione fra l’ingresso (in questo caso il segnale
campionato con la delta) e la risposta impulsiva del sistema stesso (in questo caso un impulso
rettangolare)

Fare molta attenzione al fatto che il comportamento del blocco NON è da confondere con un
PASSABASSO. Quest’ultimo, infatti, realizza una funzione “finestra” in frequenza, mentre in
questo caso stiamo dicendo che nel tempo questo blocco deve rispondere ad un impulso con un altro
impulso di durata maggiore.
Analizzando il sistema nel dominio trasformato la sua risposta impulsiva diventerà la seguente (la
comparsa dell’esponenziale è dovuta al fatto che la finestra di partenza è centrata in T/2 e non in
t T 
zero:  2 )
 T 
 

E moltiplicherà il segnale di ingresso di cui già conosciamo il comportamento in frequenza (nel


dominio trasformato). Dal punto di vista grafico succederà che il filtro, nell’analisi in frequenza,
sinc riproporrà in uscita un segnale “smussato” anche in banda base

Per recuperare l’informazione perduta posso inserire un ulteriore filtro, cosiddetto, di ricostruzione
con risposta impulsiva inversa a quella del primo filtro tale che la catena dei due filtri realizzi la
risposta del filtro passa basso ideale.
Andamento in frequenza di modulo e fase del filtro H2():

MODULO FASE

Processo di quantizzazione.

Una volta ottenuto il campione del segnale devo essere in grado di pesarlo in modo da definire una
corrispondenza fra istante di campionamento e valore assunto dal sengale in quello stesso istante.
Nella rappresentazione digitale dell’ampiezza del segnale noi abbiamo a disposizione sempre di un
numero finito valori per rappresentare la variabilità del segnale stesso. Il vincolo nella numerosità di
tali valori è rappresentato dal numero di bit gestiti dal quantizzatore. Indicando con N il numero di
bit, il numero di valori sarà 2^N nell’intervallo da 0 a 2^N-1.

Un importante parametro da considerare è il massimo range di variabilità del segnale analogico che
definiremo S. In base all’ampiezza di tale range (avendo optato per una equiripartizione degli
intervalli di quantizzazione e quindi ad una corrispondenza lineare fra intervalli analogici e
quantizzati) viene impostata la corrispondenza fra valori analogici e valori quantizzati attraverso il
grafico che segue:
D
(digitale)

2N-1
1 LSB

AD
2
1
0
A
S (analogica)

Data una quantizzazione uniforme (con passo costante fra un valore ed il successivo), l’ampiezza
dell’intervallo AD è pari a S/2N (in realtà secondo me dovrebbe errere S/2N-1). Questo viene anche
definito come: LSB (Low singificative bit = bit meno significativo) ovvero con lo stesso nome
dell’intervallo sull’asse digitale.
In questo modo è possibile risalire all’entità dell’errore di quantizzazione. Se, infatti si assume
errore “0” per valori di ampiezza sel segnale analogico coincidenti con il centro di ciascun
intervallo AD, allora min(eq)=-AD/2, max(eq)=AD/2
1 1 S S
ovvero :  qm   AD   N  N 1
2 2 2 2
Questo è quell’intervallo entro il quale la variazione del segnale analogico non genera cambiamenti
nel corrispondente valore quantizzato.
L’errore di quantizzazione è modellabile come un rumore di natura additiva che si manifesta
durante la conversione A/D.

x(t) D(t)

t-nTs) q(t)
Posso anche ricavare un rapporto segnale-rumore tra segnale in ingresso e rumore di
quantizzazione.

Ciascun intervallo AD può essere concepito in termini di una variabile aleatoria continua con
distribuzione statistica uniforme (all’interno dell’intervallo ciascun valore può essere assunto con la
stessa probabilità degli altri).
Ciò è dovuto alla scelta fatta di impostare una relazione lineare fra range del segnale analogico e
range dei valori quantizzati (avrei potuto procedere diversamente, attraverso delle curve differenti,
se fossi stato interessato a incrementare la definizione della quantizzazione in alcuni punti del 
vedi l’esempio in basso impostato per la misurazione della temperatura corporea con incremento di
dettaglio fra i 37 ed i 40 gradi)

50
45
40
39
38
37
32

Con la scelta fatta è possibile calcolare la potenza del rumore di campionamento a partire dalla
varianza della sua distribuzione statistica all’interno di ciascun intervallo AD ovvero, per una
distribuzione uniforme, equivalente al quadrato dell’ampiezza dell’intervallo diviso 12 cioè:
2
 S 
 N
S2
 eq2   2  12 
12  2 2 N

Tale valore si assume valido per qualsiasi forma d’onda in ingresso considerato che l’intervallo AD
è piccolo. A partire da tale valore, tra l’altro, confrontandolo col comportamento in frequenza del
segnale di ingresso sarò in grado di progetttare il filtro antialiasing opportuno valutando una
frequenza di taglio che operi nel punto in cui le due potenze (del segnale e del ruomore) si
equivalgono.

Nel caso di un segnale in ingresso di tipo triangolare si determinerebbe una collimazione fra la
natura lineare del segnale in ingresso e l’impostazione lineare del quantizzatore e quindi sia per il
calcolo della potenza del segnale in ingresso che per quella del corrispondente rumore si
procederebbe con il calcolo delle rispettive varianze di distribuzione uniforme l’una calcolata per
l’intero range S e l’altra per l’intervallo Ad determinando il seguente rapporto segnale rumore:

 A2 s 2 12
SNRq  2  2  22N
 eq s 12  2 2N

non altrettanto è possibile per altre forme d’onda in ingresso la cui distribuzione di probabilità non è
uniforme. Di seguito la tabella indica per differenti forme d’onda il relativo SNRq
Forma d’onda Potenza SNRq SNRq(dB)
segnale
Triangolare S2/12 22N 6N
Sinusoidale S2/8 (3/2) · 22N 6N+1,76
Quadra S2/4 3·22N 6N+4,77
Gaussiana (S/2=3) S2/36 (1/3) · 22N 6N-4,77

Il filtro equalizzatore
I calcoli appena presentati di riferiscono a segnali la cui ampiezza massima coincide con il
fondoscala della quantizzazione. Il rapporto segnale rumore peggiora sia nel caso di segnali Lo
scenario cambia nel caso di segnali.

• Per segnali di ampiezza A (ampiezza) < S (fondo scala)


» SNRq diminuisce proporzionalmente al segnale (-20dB/decade)
• Per segnali di ampiezza A > S
» sovraccarico (overload); SNRq diminuisce rapidamente all’aumentare
dell’ampiezza del segnale
Un esempio che si può riportare è quello della misura di una sinusoide tramite un oscilloscopio
dove se si ha una sinusoide che presenta un’ampiezza maggiore di quella prevista dal range di
rappresentazione dello strumento la sinusoide viene cimata e quindi è come se stessi cambiando
proprio la natura del segnale e quindi il rumore è amplificato.
In una conversione analogico digitale c’è bisogno evidentemente di un sistema di equalizzazione in
grado di ottimizzare il range di conversione del convertitore, in grado ciè di posizionare l’ampiezza
massima in ingresso sul fondoscala. Ciò garantisce la permanenza della soglia di errore di
quantizzazione che in caso di cimatura del segnale (perché più ampio del range a disposizione) o in
caso di variazione che non impieghi tutta la scala crescerebbe. Quindi è un sistema di
amplificazione variabile. Si dice “sistema di precondizionamento” del segnale il quale ha come
compito quello di riportare il segnale nelle migliori condizioni possibili per far avvenire il
campionamento e la quantizzazione. Si tratta di un sistema a compressione di dinamica che
guadagna in modo inversamente proporsionale all’ampiezza del segnale di ingresso.

Sistema di precondizionamento del segnale


L’insieme di equalizzatore e filtro antialiasing costituisce il sistema di precondizionamento del
segnale ovvero il circuito che sovraintende il processamento complessivo del segnale prima della
digitalizzazione determinando le migliori condizioni di banda e di ampiezza utili al campionamento.
LEZIONE 22. Criticità del campionamento reale

Cadenza fissa o cadenza variabile di campionamento.


Esistono sistemi che campionano (ovvero sono attivi) solo al verificarsi di determinate condizioni
(ad esempio riguardanti l’ampiezza del segnale in ingresso o la rapidità della sua variabilità) e
questo per evitare occupazione di troppa memoria per l’archiviazione dei valori campionati. Ad
esempio nella misurazione della variazione della temperatura in un ambiente nel corso di un lungo
periodo di osservazione, risulta inutile campionare variazioni di temperature al di sotto di un certa
soglia di variazione.
I sistemi di acquisizione possono essere realizzati con canali multipli e con un unico convertitore
analogico-digitale.
Criticità legati all’operazione di campionamento
Esistono ulteriori criticità, oltre all’ errore di campionamento (rumore di quantizzazione) intrinseco
nel processo di campionamento ideale per il fatto stesso di operare un’equivalenza fra un insieme
continuo (ampiezze reali) ed uno discreto (scala dei quanti). Approfondiamo tali criticità esplorando
la realizzazione fisica di un processo di campionamento reale.
L’operazione di campionamento prevede il campionamento del segnale ad un certo istante (sample)
e il mantenimento del campione per la durata della conversione(hold).
E’ possibile subarticolare la fase di sample and hold in quattro operazioni ognuna delle quali
passibile di errori caratteristici:
1) Inseguimento (tracking)
fase in cui l’uscita eguale all’ingresso
2) Campionamento (Sample)
passaggio da inseguimento a mantenimento (Track -> Hold)
3) Mantenimento (Hold)
uscita costante, corrispondente all’ingresso campionato
4) Acquisizione
passaggio da mantenimento a inseguimento (Hold -> Track) il sistema cerca di riagganciare
il segnale
Nel momento in cui campiono e mantengo il segnale ad un certo valore intanto il segnale originario
sta evolvendo nel tempo. Questo vuol dire che alla successiva fase di campionamento dovrò
inseguire il suo valore che è ovviamente cambiato. Questo caratterizza la fase di campionamento
detta “tracking”. Una volta raggiunto il segnale devo campionarlo e poi mantenerlo ad un valore
fisso. Infine dopo il mantenimento devo di nuovo riacquisire il segnale originario e reinseguirlo fino
al prossimo campionamento.
Fenomeni particolari fanno sì che il segnale campionato non coincida proprio con quello che io
voglio campionare, oppure il valore che si vuole mantenere fisso vari. Oppure se il circuito ha dei
limiti dovuti alla slew-rate l’uscita non riesce a seguire perfettamente l’ingresso. Per migliorare le
prestazioni si cercherà di ridurre i tempi di tutte e quattro le fasi.
Fase di inseguimento (settling time e guadagno non unitario)
Possiamo immaginare come circuito di base elementare per condurre tutte le operazioni richieste un
circuito composto da segnale di ingresso, interruttore, capacità e uscita.

Questo circuito per interruttore chiuso fa sì che il segnale di ingresso si trasferisca


sull’uscita(tracking). Quando l’interruttore è alto invece la tensione rimane fissa sulla capacità
C(hold). Questo circuito elementare però si basa su ipotesi di componenti ideali quali interruttore e
capacitore. Se, ad esempio, il segnale d’ingresso è a gradino il capacitore registrerà un’uscita che
non è in alcun modo coincidente con l’ingresso ma avrà un andamento più lento a causa del tempo
di carica e questo dipende da R-C.

Quindi se avessimo un fattore RC molto basso avremmo un tempo di carica molto piccolo e di
conseguenza una maggiore capacità di inseguimento della tensione d’ingresso.
Inoltre, il circuito considerato può comportare errori di carattere lineare quali l’offset ed il guadagno
non unitario, fenomeno dovuto per lo più ad elettroni “caldi” rimasti intrappolati nel dielettrico del
condensatore (che li rimangono a meno di reset allo stato iniziale).
Fase di campionamento (sample)
La fase di campionamento comincia con l’invio del segnale di apertura allo switch (pass transistor)
in modo da interrompere la fase di inseguimento e “fotografare” un valore in particolare.
Si determinano in questa fase tre tipologie di errori: di tempo, di ampiezza e legate al transitorio.
S
H

• Errore in tempo
Per quanto riguarda gli errori di tempo (che in realtà possono essere considerati anche come errori
di ampiezza variabili, perché il ritardo t determina valori di ampiezza differenti rispetto agli ideali)
si rileva innanzitutto il tempo di risposta dello switch al segnale di enable che determina uno
scostamento detto “tempo di apertura” fra il tempo dell’hold reale e quello dell’ideale. Tale ritardo
ha carattere sistematico (tempo di propagazione del Mos montato a pass transistor), ma anche
aleatorio. Quest’ultima componente viene definita jitter di aperura.
Per quanto riguarda l’errore in ampiezza definito anche come errore pieditallo considero il concorso
di fattori quali :
1) quando metto a massa la gate del pass-transistor per attivare la fase di hold il capacitore parassita
(tra gate e drain) entra in parallelo con il capacitore del circuito e la capacità equivalente

risulterà alterata perché coincidente con la somma delle due


2) sempre a causa della suddetta capacità parassita stavolta per effetto miller parte della caduta di
tensione dovuta alla Vin si trasferisce direttamente sulla Vout.
Infine c’è da considerare un tempo di assestamento tipica della fase di sample

Fase di mantenimento
Anche successivamente al tempo di assestamento il valore della tensione non rimane costante.
Innanzitutto c’è un problema di imperfetto isolamento tra ingresso e uscita e questo è l’errore di
feedthrough. Sono da tenere in conto effetti di perdite dovuti a correnti di dispersione (leakage)
contrastabili in teoria con impedenze di carico elevate (che impattano sui tempi di scarica del
condensatore dipendenti appunto dalla costante RC) . Ma bisognerà fara attenzione a come il valore
grande di R impatterà negativamente sulla fase di trakking ritardando l’adeguamento della V out alle
variazioni della Vin
Volendo da una parte una resistenza d’uscita nulla (per un buon inseguimento della tensione
d’ingresso) quando l’interruttore è chiuso e infinita quando è aperto( così da mantenere più a lungo
la carica sul condensatore di mantenimento) allora si propone una soluzione circuitale con
operazionali voltage follower che disaccoppiano il comportamento delle resistenze di ingresso e di
uscita grazie alla presenza dello switch: quando è chiuso le due resistenze sono in parallelo e la
resistenza risultante è quella praticamente nulla dell’ingresso, quando lo switch è aperto rimane solo
la resistenza infinita a determinare l’elevato valore della costate RC

Con tale configurazione si rileva però il problema che l’interruttore risulta flottante. La
conseguenza è che eventuali errori di piedistallo andranno a sommarsi progressivamente così come
più incisivo risutlerà l’errore di feedtrought. Un modo per risolverlo è l’uso di un sample-hold ad
integratore tramite cui l’interruttore è dinamicamente a massa infatti uno dei terminali è collegato al
morsetto invertente di un operazionale retroazionato che, attraverso il cortocircuito virtuale in
ingresso con il morsetto non invertente, risulta acnh’esso a massa. Cioè uno dei due terminali
dell’interruttore ha sempre un potenziale di riferimento.

Errori di feedthrough dipendono dalla capacità fra drain e source e capacità di mantenimento e
possono essere risolti aumentando la capacità di mantenimento riducendo così anche l’errore di
decadimento dato che ci vorrà più tempo per lo scaricamento. Errori come quello di piedistallo
basati sul passaggio del segnale di comando sul segnale di uscita possono essere risolti riducendo la
capacità parassita Cgd oppure compensando le cariche iniettate attraverso Cgd con altre di segno
opposto (vedi circuito a Mos complementari).
Riepilogo su Errori di piedestallo e di feedthrough
L’errore di feedthrough deriva dalla partizione di Vi tra capacità parassita Cds e Cm
L’Errore di piedistallo deriva invece dalla partizione di Vg tra Cgd e Cm
LEZIONE 23. Errori di quantizzazione
Un convertitore A/D ha nel proprio nucleo un convertitore D/A. Il segnale in ingresso infatti per
poter essere quantizzato deve essere confrontato con valori di riferimento. Questi valori, per lo più
tensioni, sono generate proprio da un D/A.
Per questo ai fini della classificazione dei comportamenti distorcenti degli A/D è utile comprendere
innanzitutto quelli dei D/A in essi contenuti.
La caratteristica ideale di un convertitore D/A è la seguente:

• Ingresso discreto
– la caratteristica è una sequenza di punti
0– per intervalli Ad costanti i punti sono allineati D

0 1 2 M

Ad ingressi discreti (collocati sull’asse delle ascisse) corrispondono valori puntiformi. Il numero di
punti coincide con il numero (N) di simboli utilizzati dal sistema di codifica. L’intervallo delle
tensioni (S) risulterà diviso (in caso di codifica binaria) in 2 N-1 sub-intervalli (AD) che avranno
S
ampiezza pari a N . Nel caso di intervalli di identica ampiezza i punti risultano allineati fra loro.
2 1
La caratteristica reale presenta punti disposti in maniera maggiormente dispersa. A partire dalla
relazione fra caratteristica ideale e quella reale viene definita la categoria degli errori statici (a
regime) nel funzionamento del D/A .
Dalla caratteristica reale alla caratteristica ideale
Attraverso il metodo dei minimi quadrati (o regressione lineare) si costruisce la retta dei punti le cui
distanze dai punti della caratteristica reale, elevate al quadrato e sommate fra loro, sono
minimizzate

A
fascia di
S non-linearita’
caratteristica
ideale miglior retta
approssimante

caratteristica
reale D
0
0 M
La retta ai minimi quadrati differirà dalla retta ideale per un offset “q” (determinato dal valore della
retta approssimante assunto in “0”) ed un coefficiente angolare m.
Compensazione degli errori lineari
Per ricucire il gap fra retta ideale e retta di regressione si interviene con un opportuno generatore
che integra il valore della continua neutralizzando l’offset e con un sistema di guadagno che
modificherà la pendenza della retta di regressione fino a farla coincidere con la retta ideale.

Errori non lineari


Una volta ottenuta la miglior retta approssimante la caratteristica reale è possibile determinare
l’errore di non linearità integrale definito come l’ampiezza della fascia determinata dalle parallele
alla retta approssimante passante per i punti appartenenti alla caratteristica reale e che assumono i
valori estremi (in eccesso ed in difetto) rispetto ai corrispettivi posti sulla retta approssimante

A
fascia di
S non-linearita’

miglior retta
approssimante

caratteristica
reale D
0
0 M
L’errore integrale non descrive esaustivamente il comportamento di un A/D. Ad esempio si
potrebbe avere un errore integrale dovuto ad un comportamento non lineare concentrato in un tratto
limitato del range dei valori. Il comportamento non lineare potrebbe inoltre essere caratterizzato da
forme differenti: ad esempio saturazione, non monotonicità ecc, ecc,
Per definire in modo più articolato il comportamento di un A/D si introduce un’altra tipologia
d’errore di carattere locale: l’errore di non linearità differenziale.
I punti della caratteristica di conversione dovrebbero essere tutti spaziati di eguali intervalli Ad
(sull’asse A). Nella caratteristica reale, invece, i punti sono spaziati di un intervallo A’dr , diverso da
Ad. Si definisce errore di non linearità differenziale (diverso a seconda del punto del range preso in
considerazione):
Ad – Adr = nld

Nel caso di convertitori realizzati con banchi di resistori in serie (che partizionano il valore della
tensione di riferimento) si può ritenere che il valore degli intervalli all’inizio del range sia affetto da
errore minore visto che alla definizione di esso concorre un numero inferiore di dispositivi
(ciascuno dei quali portatore di un contributo all’errore complessivo).
Se la non-linearitá differenziale é maggiore di 1 LSB (ricordando per estensione che 1 LSB indica
anche il valore Ad) ovvero per A’d negativo , si parla di errore di non monotonicità

A
S
AD
A’D

zona con errore di


non-monotonicitá
D
0
0 M

Gli errori solitamente vengono indicati attraverso


– % del fondo scala S (errore relativo)
– valore (errore assoluto)
– frazioni di LSB (= Ad)

Errori dinamici
Fin qui abbiamo esaminato tipologie di errore cosiddette statiche. Passando a quelle dinamiche
cominciamo ad analizzare l’errore dovuto al tempo di assetto che intercorre allorquando in ingresso
all’D/A viene posta una nuova parola. Facciamo qui riferimento a convertitori di tipo SAR che
confrontano la tensione in ingresso attraverso step successivi con valori di riferimento
progressivamente sempre più vicini alla valore della quantizzazione.
Nel passaggio da un valore all’altro entrano in gioco ritardi dovuti alla capacità che viene caricata e
al ruolo delle capacità parassite. Nel momento in cui vengono impiegati Mos i ritardi dipendono
anche dai valori del parametro di transconduttanza K. Inoltre impattano anche le slew rate degli
eventuali operazionali spesso impiegati per ottenere la migliore approssimazione ad un generatore
equivalente ideale di tensione in uscita.
Il tempo di assetto (settling time) è calcolato tenendo conto del momento in cui le oscillazioni della
tensione sono confinate all’interno di un intervallo di ampiezza LSB (Ad)

Il tempo Ts impatta sul processo complessivo di conversione analogica digitale all’interno della
fase di Hold durante la quale il convertitore esegue il confronto fra il segnale di ingresso e le varie
tensione di riferimento generate dal D/A.
LEZIONE 24. Convertitori D/A modelli a confronto

Rispetto ad una variazione istantanea dell’ingresso l’uscita impiegherà un certo tempo per
commutare. L’intervallo fra la variazione della parola d’ingresso e l’istante in cui l’uscita prende ad
oscillare in un range pari ad 1LSB è detto “tempo di settling” ossia tempo di assesto.
Errore di glitch.
Questo tipo di problema è legato alla variazione dei dati in ingresso. In particolare, quando un
ingresso che è una certa sequenza di bit deve mutare in un’altra sequenza di bit questo passaggio
potrebbe avvenire in vari modi. Nel senso che potrebbe variare prima il bit più significativo oppure
quello meno significativo. La dinamica con cui sta variando la sequenza di bit( che si ripercuoterà
sull’uscita, ovviamente) può essere tale che l’uscita risulterà diversa rispetto a quella attesa per un
certo istante di tempo per poi ritornare al valore atteso. Ecco perché a volte è necessario usare un
segnale di enable che viene attivato solo quando è terminata la fase transitoria di variazione della
sequenza di bit. Ovviamente questo segnale aggiunge un ritardo in più che inciderà sul tempo di
hold.
STRUTTURE DEI CONVERTITORI.
Grandezze uniformi.
La prima tecnica base di costruzione del convertitore è quello a grandezze uniformi. In questa la
grandezza d’uscita è ricavata con la somma di grandezze tutte eguali fra loro. Un primo esempio
circuitale è un convertitore potenziometrico con uscita in tensione. Con 2n -1 resistori e 2n
interruttori esso riesco a rappresentare 2n livelli di tensione analogica (compreso lo 0). Quindi a
seconda della parola di bit in ingresso ci sarà un multiplexer che accende una sola delle linee e
quindi uno solo degli interruttori e presenterà in uscita un solo valore di tensione fra i 2n possibili.
Infatti, a seconda di quale degli interruttori è chiuso prelevo tensioni sempre più alte dal basso verso
l’alto del circuito.

Si può considerare che su ciascun resistore si


V
determini la stessa caduta di potenziale pari a N R .
2 1
Tale grandezza corrisponde proprio al valore del LSB
(bit meno significativo o quanto della misurazione). In
base al punto in cui la tensione viene prelevata bisogna
sommare per ciscun resistore il valore di un LSB

Nel circuito è sempre la stessa resistenza a ripetersi e quindi l’errore relativo che commetto nel
realizzarla si mantiene costante.
Se voglio in uscita la corrente piuttosto che la tensione allora considero un’altra architettura con
delle resistenze tutte in parallelo fra loro. In questo caso all’aumentare del numero di interruttori
connessi aumenta la somma delle correnti in uscita. Cambia il modo di interagire dello switch in
quanto non per forza un solo interruttore deve essere chiuso per ottenere corrente diversa da 0.
Quando tutti gli interruttori sono chiusi si ha il massimo della corrente.

Per quanto riguarda l’errore, nel caso del convertitore serie abbiamo che l’errore relativo tiene conto
sempre dell’errore dovuta all’intera catena di resistori in serie (presente al denominatore nella
formula del partitore di tensione necessaria per calcolare ciascuno dei valori della scala).
Mentre nel secondo caso, l’errore relativo è minore poiché la corrente in uscita terrà conto solo
dell’errore dovuto alle resistenze da cui deriva.

Convertitore a grandezze pesate.


Le grandezze che stavolta producono quella d’uscita sono diverse fra loro. Di queste grandezze che
producono l’uscita solo alcune sono deviate nella direzione dell’uscita per essere sommate fra loro.
Nell’esempio le resistenze sono scelte l’una il doppio di quella che la precede. Vi sono dei deviatori
che si occupano di direzionare o meno le correnti sull’uscita. La corrente derivante dalla resistenza
maggiore di tutte le altre genera l’aliquota relativa al bit meno significativo. Diminuendo la
resistenza invece ci si avvicina sempre più al bit più significativo.
Le resistenze sono sempre tutte percorse da corrente. Solo che alcune di esse sono deviate o meno
sull’uscita. Inoltre, ora le resistenze sono tutte diverse. D’altra parte anche il modo con cui si
propaga l’errore è cambiato rispetto a prima poiché l’apporto di resistenze sempre maggiori per
valore contribuirà a darmi un errore relativo sempre più accentuato. Quindi la propagazione
dell’errore è certamente non-lineare.

Sfruttando il principio di reciprocità tra ingresso e uscita possiamo scambiare tensione e corrente
all’ingresso e all’uscita. Così facendo consentiamo al generatore di tensione di non erogare sempre
il massimo della corrente per dissipare molta potenza. Infatti, la quantità di potenza dissipata
dipenderà dal numero di deviatori chiusi. (la corrente infatti per effetto del parallelo con il corto
presente in uscita si propagherà solo attraverso la resistenza corrispondente allo switch chiuso)
Rete a scala.
Dato un generatore che eroga una corrente pari a 2I e avendo una rete a valle composta da una
resistenza in parallelo alla serie di R e 2R abbiamo che la corrente si suddividerà equamente fra i
due rami.
2I I R

2R R
VR
I I

I = VR/2R

Aumentando il numero di rami in parallelo e aggiungendo su di essi sempre le stesse resistenze ci si


accorge che la corrente si distribuirà in modo da suddividersi a metà tra i due rami che incontra di
volta in volta.

2I I R I/2 R I/4 R I/8 R

2R 2R 2R 2R R
VR
I I/2 I/4 I/8

I = VR/2R

In questa rete invece di usare resistenze l’una il doppio dell’altra utilizzo come resistenze o R o 2R.
La risposta del circuito non è cambiata di fatto perché la corrente nel ramo ennesimo sarà a sua
volta pari alla corrente totale fratto n, in questo caso 2n. Ogni ramo allora contribuisce con un peso
diverso alla corrente totale se gli consento di farlo contribuire.

2I I R R R R

2R 2R 2R 2R

VR I I/2 I/4 I/8 R

MSB

I
Le correnti, tramite i deviatori, possono essere condotte a massa oppure contribuire alla somma
della corrente totale.
Ricorrendo sempre al teorema di reciprocità posso scambiare uscita e ingresso mantenenedo
invariato il rapporto fra tensione e corrente. Ovviamente se applico questa inversione l’uscita la
prelevo all’ ex-ingresso e l’ingresso sarà l’ex-uscita.

I R R R R Con il primo switch chiuso la


V
2R 2R 2R 2R corrente Iout è pari a I  R
R 2R
Con il secondo switch chiuso
IOUT I I/2 I/4 I/8 VR 2 V
I out   R R
( R // 2 R )  2 R 3 4R

MSB

VR

Utilizzando il teorema di Northon posso considerare il circuito come un generatore di corrente


ideale a corrente variabile ( in relazione agli switch chiusi o aperti) con in parallelo la resistenza di
uscita pari a R

Ma posso porcedere anche con la trasformazione di Thevenin. In questo caso, l’uscita sarà prelevata
su Vout e a seconda dei rami connessi essa cambierà espressione.
I R R R R
Con il primo switch chiuso la tensione
2R 2R 2R 2R V
R Vout è pari a R
VOUT 2
I I/2 I/4 I/8 Con il secondo switch chiuso
( R  2 R) // 2 R 2 V
Vout  VR  R R
[( R  2 R) // 2 R]  2 R 3 4
MSB

VR

Se io considero una resistenza di carico la tensione che mi troverò in uscita sarà pari ad R*Itot dove
R è il valore della resistenza di carico mentre I la corrente totale data dalla somma delle correnti dei
rami connessi agli interruttori chiusi. Questa resistenza di carico però altererà a seconda del suo
valore la tensione che insiste su di essa. E allora affinché ciò non accada devo porre un
amplificatore operazionale la cui resistenza d’ingresso essendo infinita mi assorbe tutta la tensione

in uscita al sistema garantendo un risultato corretto.

Reti di peso capacitive


Invece di usare resistenze possono essere utilizzate
capacità. In tal caso sarà valutata la quantità di carica che
insiste su ogni capacità. Ogni capacità avrà un’area
diversa e quindi avranno tutte valore diverso. Tale scelta
risulta più compatibile con esigenze di integrazione
maggiore. Inoltre, si può dimostrare che l’errore relativo
viene compensato dalle singole capacità cosa che non
accade invece per l’errore assoluto delle stesse
(affermazione misteriosa..).
LEZIONE 25. Modelli convertitori D/A 2

Errori con grandezze pesate e uniformi


Nel caso di grandezze pesate l’errore è legato al valore del resistore (o altro componente
elettronico). A parità di errore relativo l’errore assoluto aumenta con la grandezza del resistore. Nei
convertitori D/A a grandezze pesate il resistore più grande è collocato sul ramo che definisce il
contributo del bit meno significativo (LSB), pertanto l’errore (assoluto) maggiore si riscontrerà
proprio nel passaggio da un valore al successivo. Il parametro critico diventa, quindi, l’errore
differenziale.
Nel caso di grandezze uniformi, invece, ciascun ramo apporta lo stesso contributo di errore. In
questo caso il parametro critico diviene l’errore di non linearità integrale in quanto l’ampiezza
dell’errore dipende dal cumularsi del contributo di tutti i rami. Nel primo caso invece, il picco
dell’errore era concentrato sul ramo con i componenti più grandi.

Ricapitolazione sulle sorgenti di errore:


1) Errore di guadagno
˗ variazioni della tensione di riferimento (il valore della tensione di uscita risente della variazione
della Vref che va ad incidere quindi sul guadagno)
˗ errori sistematici nella rete di peso (il contributo di errore dei singoli resistori, ad esempio,
cumulandosi incide sulla pendenza della caratteristica del convertitore)

2) Errore di offset
˗ offset degli operazionali di uscita
˗ corrente di perdita degli interruttori (quando il circuito è aperto, correnti di leakage determinano
un valore dell’uscita diverso da zero)

3) Errori di non-linearità
˗ errori casuali nella rete di peso (NLD)
˗ errore sistematico nelle grandezze uniformi (NLI)

Esempi di convertitori D/A a grandezze pesate e che offre in uscita una tensione

1) Convertitore con sommatore: Utilizzo un operazionale montato in configurazione sommatore.


Ovvero avvalendomi della sovrapposizione degli effetti considero in uscita all’operazionale la
somma delle tensioni applicate in ingresso e pesate per il rapporto fra la resistenza di retroazione e
la resistenza di ingresso.

Considero in ingresso al convertitore una stringa di bit ciascuno dei quali pilota un switch che
abilita la connessione di uno degli N rami.
Su ciascun ramo e presente un resistore il cui valore cresce in ragione 2N .
In ingresso a ciascun ramo è applicata la stessa tensione di riferimento negativa VR .
L’uscita coinciderà con la somma dei contributi abilitati dagli switch.

- VR
1k
a3 1K

a2 2k

4k -
a1 Vu
+
8k
a0
0
2) Convertitore con rete di scala
Ciascun bit della parola di ingresso abilita un ramo. Il contributo di ciascun ramo cresce in ragione
2N. La somma dei contribuiti all’ingresso dell’operazionale è mantenuta invariata grazie alla
configurazione a buffer di tensione.

VX0 VX1 VX2 VX3


- VU
A R B R C R D
+

2R 2R 2R 2R 2R 2R

a0 a1 a2 a3

VR
Funzionamento: se, per esempio, pongo a Vr il nodo a3 allora ottengo in uscita Vr/3. Se a2 Vr/6 e
così via moltiplicando per 2. Bisogna di volta in volta operare per riduzione elettrica e poi
considerare la tensione direttamente in ingresso all’operazionale che sarà identica all’uscita perché
esso è un inseguitore di tensione.

Convertitore A/D a conteggio. Ora si studiano i convertitori analogico digitali completi.


E’ costituito seguenti elementi:
1. Segnale di Clock
2. Convertitore D/A
3. Contatore UP
4. Comparatore
5. Porta AND

SOC: Start

CK Count Clr
CK Q3 Q2 Q1 Q0
Q3
+ EOC : End Q2
Vin Q1
-
Q0

V* VR
D/A
Il segnale di start attivato resetta il contatore che comincia ad inviare al D/A parole di bit a valore
crescente.
Il D/A converte le parole di bit in valori crescenti di tensione e li invia al comparatore.
Il comparatore rimane attivo fino a quando la tensione in arrivo dall’D/A è di valore inferiore
rispetto alla tensione di ingresso. In questa fase la porta AND è trasparente all’andamento del Clock
e consente al contatore di funzionare.
Quando il comparatore rileva il superamento della soglia da parte di V* disabilita la porta AND e
interrompe il contatore(ricordiamo che l’uscita del comparatore è negata e quindi quando si
raggiunge l’uguaglianza allora in uscita abbiamo 0 e quindi si interrompe il conteggio).
Una circuiteria dedicata archivia in memoria il dato presente in uscita al contatore associandolo ad
un tempo corrispondente.
Segue esempio di contatore in cui si impiegano flip-flop JK attivi sul fronte di discesa che
realizzano la funzione di mera commutazione. Il segnale di clock è collegato al solo flip flop
corrispondente al LSB. Gli ingressi dei clock dei flip flop successivi sono pilotati dall’uscita dei flip
flop precedenti. Ciascun flip flop commuta solo se il precedente commuta da 1 a 0

Peculiarità di questo convertitore:


˗ In ingresso deve essere garantita per l’intera durata del processo di conversione una tensione
costante (funzione di hold).
˗ Il tempo di conversione legato al worst case è pari a 2N cicli di clock. Mi lego al worst case perché
convertitori a frequenze variabili sono utili nell’ambito di variazioni del gradiente della tensione
in ingresso piuttosto che a variazioni del suo valore assoluto.

Convertitore ad inseguimento

E’ costituito seguenti elementi:


1. Segnale di Clock
2. Convertitore D/A
3. Contatore UP/DOWN
4. Comparatore

+
Vin U/D Count CK CK
- Q3 Q2 Q1 Q0
Q3
Q2
Q1
Q0

V* VR
D/A
Il comparatore rileva il segno della disuguaglianza fra il segnale in ingresso e quello generato dal
D/A ed in base a questo determina il verso del conteggio per il contatore(cioè se succede che
V*<Vin allora il verso del conteggio è positivo e quindi si continua a sommare, mentre se V*>Vin
allora il segno è down cioè si va a sottrarre. In questo modo si insegue il segnale nel suo andamento
temporale).
La circuiteria dedicata preleva il dato in uscita al contatore ad ogni ciclo di Clock.
˗ Assente la funzione Hold: il comparatore riceve in ingresso il segnale tutt’al più filtrato da un
passa basso che riduce l’impatto di variazioni eccessivamente brusche quali quelle tipiche di un
rumore.
˗ Il contatore è up e down.
˗ Al netto di un tempo iniziale di aggancio il convertitore (in caso di segnale lentamente variabile),
viaggia alla stessa frequenza del clock (produce un valore da memorizzare ad ogni singolo colpo
di clock). In caso di segnale impulsivo si palesa il tempo massimo di funzionamento che come nel
caso precedente sarà pari a 2N cicli di clock.

U/D

Nel grafico l’andamento


dei segnali è correlato al
V*
verso U/D (Up o Down)
assunto dal contatore.

Vin

Convertitore ad approssimazioni successive


CK Count SOC
+ + Logica
Vin Q3 Q2 Q1 Q0 EOC
-
Q3
Q2
Q1
Q0

V* VR
D/A

=
> 1111
1111
1110
Funziona implementando un algoritmo ad albero per >
1110
< 1101
<
1101
1100

l’identificazione del segnale. Il contatore viene resettato >


1100
<
1011
1011
1010
1010 1001
sempre al valore medio per poi assumere valori definiti 1000
1001
1000
0111

all’interno dell’algoritmo. In realtà più che di un contatore è


0111
0110
< 0110
0101
0101
0100
opportuno parlare di una LUT i cui valori vengono attivati in 0100
0011
0011
0010
0010
base ai valori progressivamente assunti dal comparatore. 0001
0001
0000
Si inizia a considerare quindi Vx=Vm/2 dove Vm è il valore massimo. Poi se Vx>Vm/2 allora si
somma Vm/4 altrimenti si sottrae tale cifra. Quindi si cambierà di volta in volta una sola cifra tra le
N possibili. E’ per questo che si dice che il tempo è N cicli di clock.

Il tempo conversione coincide con N (numero dei bit) cicli di clock.

Convertitore FLASH

Vin
VR
+
• Tabella di verità
7/8VR -
COD
+
W 7 W 6 W 5 W 3 W 3 W 2 W 1 X2 X1 X0
X2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
6/8VR -

P
+
0 0 0 0 0 0 1 0 0 1
5/8VR - R
0 0 0 0 0 1 1 0 1 0
+ I
X1 0 0 0 0 1 1 1 0 1 1
4/8VR -
O
0 0 0 1 1 1 1 1 0 0
+
R
3/8VR -
I 0 0 1 1 1 1 1 1 0 1
+
T X0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0
2/8VR -
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
+
A’
1/8VR -

Il segnale di ingresso viene comparato in parallelo (attraverso N-1 compartori) con N-1 tensioni di
soglia generate dal convertiore D/A.
Le uscite dei comparatori risultano attive se il segnale di ingresso è maggiore di quello di
riferimento. Il funzionamento è a termometro: la condizione di attivazione di un comparatore
implica lo stato attivo degli altri comparatori sui livelli inferiori.

Peculiarità:
- è il più veloce grazie all’architettura in parallelo e al fatto che in questo convertitore non c’è una
dimensione dinamica del convertitore D/A da attendere, i valori di soglia sono sempre a
disposizione (in quanto costanti).
- Si avvale di un encoder con priorità fissa che lega le uscite dei comparatori alla sequenza di bit
da assegnare all’uscita.

Convertitore A/D a doppia rampa

S2
off
VX on
C
VK
R
a
-
b Q7 Q0
S1 -
+ Ck
+
VR

Ck
Per un tempo predefinito TA lasciamo in ingresso ad un integratore la Vin. Trascorso TA switcho
l’ingresso dell’integratore sulla tensione di riferimento (che sarà di segno opposto a quella del
segnale di ingresso).
Misuro il tempo TB che trascorre prima che il comparatore a valle dell’integratore segnali la scarica
avvenuta della capacità.

Il numero di colpi di clock che caratterizzeranno il tempo T verrà elaborato da una LUT che
assocerà ad essi il codice della tensione in uscita.

Approfondimento del funzionamento

Il suo funzionamento è il seguente:

 La logica di controllo inizializza il dispositivo scaricando il condensatore (mediante la


chiusura di S2) mantenendo aperto S1 e resettando il contatore.
 Nell'istante t1 la logica di controllo apre S2 e mediante S1 collega la tensione analogica Vin,
all'ingresso dell'integratore invertente costituito dall'operazionale in retroazione negativa col
condensatore C. Supponendo Vin positivo e costante, l'uscita Vout è una rampa decrescente
in quanto risultato di una integrazione invertente di un segnale costante positivo.
Poiché Vout è negativa, l'uscita del comparatore è a livello ALTO. Questo livello abilita la
porta AND e quindi il segnale di CLOCK può giungere al contatore che procede nel
conteggio. Il conteggio si protrae fino al valore massimo consentito dal numero il di bit del
contatore (per esempio, se il contatore ha 4 bit, il conteggio prosegue fino a 1111, cioè fino a
15).
 Nell'istante t2 il contatore raggiunge il conteggio massimo e si resetta. La logica di controllo
fa commutare S1, deviandolo sulla tensione di riferimento VREF, che è una
tensione costante e negativa. In t2, quindi, l'integratore, avendo in ingresso la
tensioneVREF, produce una rampa crescente. Poiché la tensione sul condensatore,
cioè Voutnell'istante t2, ha raggiunto il valore V2, ne deriva che la suddetta rampa crescente
inizia esattamente da V2. Poiché la rampa crescente si mantiene negativa, l'uscita del
comparatore è ALTA e il CLOCK abilita un nuovo conteggio del contatore.
 Tale conteggio si protrae tino all'istante t3 in corrispondenza del quale la tensione Vout
raggiunge il valore 0. Nell'istante t3, quindi, l'uscita del comparatore diventa BASSA e ciò
provoca la commutazione a livello BASSO anche dell'uscita della porta AND. Il CLOCK,
pertanto, non giunge più al contatore, il quale blocca il proprio conteggio.
 Il valore della tensione Vin è proporzionale al conteggio raggiunto dal contatore nell'istante
t3 e quindi tale conteggio corrisponde al valore digitale prodotto in uscita dall'ADC.

La precisione aumenta perchè l’errore non dipende più da componenti circuitali quali resistori,
capacitori … ma da un oscillatore che si assume generalmente molto preciso.

vK
S1 = A S1 = A S1 = B t3’ S1 = A
S2 = on t1 S2 = off t2 S2 = off t3 S2 = on

TA TB
t2 t3

TA  2  TCK
N
v K    VX dt   VR  dt  0
t1 t2

TB n
TA  V X  TB  VR V X  VR  N2 VR
TA 2

Sinossi convertitori A/D su parametri velocità precisione


VELOCITA’ PRECISIONE
Tc FLASH
N  Tc SAR
2  Tc nel caso peggiore
N INSEGUIMENTO
2  Tc
N CONTEGGIO
2  Tc + TB
N DOPPIA RAMPA

FLASH

SAR

velocità INSEGUIMENTO precisione

CONTEGGIO

DOPPIA RAMPA
LEZIONE 26. Introduzione agli amplificatori di potenza

Ci collochiamo nella fase di trasmissione, all’ultimo stadio prima che si alimenti l’antenna,
Ci siamo già serviti di un mixer e di un filtro passa alto per riportare il segnale in banda radio.
Nel caso di trasmissione FM posso utilizzare il VCO per modulare il segnale in frequenza:
l’informazione da trasmettere contenuta nella tensione di controllo del VCO determina la frequenza
variabile del segnale da trasmettere.
Nel caso di trasmissioni digitali posso trasmettere messaggi costituiti da impulsi che poi verranno
trasformati in segnale analogico dopo la ricezione da convertitore D/A (che genera segnali a scala) e
da un filtro passa basso (che ne smussa gli angoli).
La trasmissione digitale, nel caso di segnali periodici, sfrutta la simmetria degli stessi per
ottimizzare i tempi di trasmissione e conversione.

Un segnale caratterizzato da bassa potenza è facilmente gestibile e consente elevati livelli di


integrazione. Ogni transistor al proprio interno genera una potenza termica che necessita di essere
smaltita altrimenti il surriscaldamento del dispositivo determina una riduzione della corrente e la
necessità di incrementare ulteriormente la tensione con retroazioni (feedback positivo) distruttive in
termini di potenza e calore prodotti.

L’incremento dell’integrazione è oggi possibile grazie al maggiore controllo tecnologico raggiunto


nella produzione di dispositivi miniaturizzati in cui la realizzazione di ossido più sottile garantisce
tensione di soglia più bassa e consente alimentazioni con tensioni ridotte e conseguente
abbattimento della potenza dissipata.

Per garantire che un segnale trasmesso sia ricevuto ad una determinata distanza è necessario però
che sia caratterizzato da una potenza sufficientemente consistente (visto che questa decresce in
maniera proporzionale al quadrato della distanza).
Come riesco a gestire una elevata potenza in trasmissione?
Devo cercare di rendere massimamente efficiente il mio sistema di trasmissione per evitare di
aggiungere ulteriore potenza (dissipata) a quella necessaria per la trasmissione. Questo sia per
preservare i dispositivi impiegati che per evitare dispendio di energia (parametro fondamentale in
caso di dispositivi portatili alimentati da batterie).
Posso pensare di limitare temporalmente l’erogazione di potenza ovvero ricondurre l’informazione
da trasmettere ad una sequenza di impulsi (ad energia concentrata) in modo che nell’arco di un
periodo le fasi di non erogazione siano temporalmente prevalenti rispetto a quelle attive. Posso
anche cercare di far lavorare tensione e corrente quasi in controfase (in modo che il loro prodotto
rimanga di entità contenuta.

Gli amplificatori di potenza operano su segnali già ricondotti a radio-frequenza (pronti per essere
inviati attraverso l’antenna): i constraint di funzionamento richiederanno, quindi, prestazioni
ottimali anche a frequenze elevate. Ciò significa che i contributi capacitivi parassiti siano limitati al
massimo.
Si ricorrerà allora a dispositivi realizzati con leghe di semiconduttori che attenueranno l’impatto
delle C e C o che garantiranno resistenze termiche (es. Sylicon carbide – carburo di silicio) molto
più basse.

Classificazione degli amplificatori di potenza:


Vengono utilizzati i parametri canonici:
˗ Guadagno (Il guadagno di un amplificatore è definito come il rapporto tra l’ampiezza del segnale
di uscita (Xo) e l’ampiezza del segnale di ingresso (Xi))

˗ Efficienza (Rapporto percentuale tra la potenza al carico e la potenza erogata dall’alimentazione)

PL
 %
PS
˗ Distorsione (Un sistema distorcente genera in uscita componenti non presenti nel segnale
d’ingresso). Inevitabile alla luce del fatto che si opera con segnali ad ampia dinamica. La
distorsione introduce un ulteriore elemento di inefficienza poiché disperde potenza su armoniche
che non contribuiscono al processo di trasmissione di informazione.
LEZIONE 27. Amplificatori di Classe A, Classe B, Classe AB
Guadagno
Il guadagno di un amplificatore è definito come il rapporto tra l’ampiezza del segnale di uscita (Xo)
e l’ampiezza del segnale di ingresso (Xi), come mostrato nella seguente formula:
X
G o
Xi
dove G, a seconda della natura di X0 e di Xi, può essere guadagno in tensione o in corrente o in
potenza.

Efficienza
L’efficienza di un amplificatore è definita come il rapporto percentuale tra la potenza al carico
rispetto alla potenza erogata dall’alimentazione:
P
 L%
PS
dove PL è proprio la potenza trasferita al carico e PS è la potenza assorbita dall’alimentazione. La
differenza tra la potenza di alimentazione e quella trasferita al carico è definita potenza dissipata:
PD = PS – PL
Da questa definizione si evince che tanto più è maggiore la potenza dissipata sul transistore, tanto
più bassa sarà l’efficienza dell’amplificatore.

Qualità
La qualità di un amplificatore viene misurata da una cifra di merito Fm definita come
P
Fm  C max
PL max
dove PC(max) è la massima dissipazione di potenza sul collettore e PL(max) è la massima potenza in
uscita

Distorsione
Un sistema si dice distorcente se in uscita genera componenti non presenti nel segnale di ingresso.
La distorsione è misurata da un fattore di qualità noto come distorsione armonica totale THD (Total
Harmonic Distortion) indicato con la lettera D. Per definire questa quantità introduciamo il
coefficiente di distorsione di k-esima armonica:
2 AK 2
DK  2  AK
2 A1 
2
A1
2
che rappresenta la radice quadrata del rapporto tra la potenza (2Ak)2/2 della k-esima armonica
prodottasi per distorsione, e la potenza (2A1)2/2 della prima armonica, che viene considerata come
la replica non distorta del segnale d’ingresso (in pratica si tratta del rapporto dei rispettivi rms).
In teoria esistono infiniti coefficienti di distorsione, in pratica però sono rilevanti soltanto quelli di
ordine inferiore (seconda e terza armonica).
Il THD (Total Harmonic Distortion) è invece il rapporto tra la potenza del residuo di distorsione d(t)
e quella della componente utile:
Pd d eff
D 2

(2 A1 ) / 2 2 A1
dove abbiamo definito il segnale distorsione come “residuo” del segnale d’uscita, tolta la
componente utile e quella continua:

d (t )  y (t )  A0  2 A1 cos( 2 f 0t  1 )  2 Ak cos( 2 kf0t   k )
k 2
deff è proprio il valore efficace del residuo d(t):
2

 d (t )
1
d eff 
2

2 0

Distorsione di intermodulazione
Considerando gli effetti non lineari determinati dall’ampiezza del segnale di ingresso possiamo
rappresentare l’uscita di un amplificatore come la sommatoria di una componente lineare più tutti i
contributi non lineari:

Nell’ipotesi in cui il segnale di ingresso non sia un puro tono sinusoidale, ma ad esempio sia
costituito dalla somma di due sinusoidi:

nel momento in cui sostituiamo nel modello polinomiale di non linearità dell’uscita il valore
dell’ingresso otteniamo la presenza di ulteriori armoniche non più solo multiple della frequenza di
ingresso, ma centrate sulle frequenze risultanti dai prodotti delle componenti di ingesso:

Larghezza di banda

Ai sistemi non distorcenti (lineari) è associato il concetto di risposta in frequenza e come


vedremo nel seguito, la classe che meglio si comporta è, senza dubbio la classe A in quanto ha
una risposta in frequenza costante su un ampio intervallo di frequenze.
L’estensione della banda passante, detta banda intermedia, è fissata dalle due frequenze fL e
fH. Queste sono le frequenze per cui il guadagno scende di 3dB sotto il valore assunto nella
banda intermedia. E’ possibile definire la larghezza di banda di un amplificatore come:
BW  f H  f L
Classificazione degli Amplificatori di Potenza

CLASSE A Guadagno elevato


Efficienza bassa.

CLASSE B Guadagno buono


Efficienza Media

Guadagno molto buono


CLASSE AB
Efficienza medio bassa

CLASSE C Guadagno Basso


Efficienza Elevata

Definizione di angolo di conduzione


Assunto per ipotesi un segnale di ingresso di tipo sinusoidale con periodo T, l’angolo di conduzione
è l’equivalente in fase (da 0°a 360°) del periodo T in cui il circuito eroga potenza. Un altro modo
per classificare le tipologie di amplificatori di potenza è quello di metterli in relazione al rispettivo
angolo di conduzione:

CLASSE A = 360°

CLASSE B = 180°

CLASSE AB > 180°

CLASSE C < 1°

Classe A
Un possibile schema di classe A è il seguente

risulta evidente che anche in assenza di segnale sulla base insiste un potenziale sicuramente
maggiore di 0,6 Volt ed il transistor si troverà sempre in RAD dissipando sempre potenza.
Al fine di calcolare l’efficienza di tale dispositivo ricordiamo la formula del parametro di efficienza
e calcoliamo, quindi i valori di Potenza disponibile al carico e potenza erogata dall’alimentazione.
La formula per il calcolo dell’efficienza è:
P
 L%
PS
La potenza media continua richiesta all’alimentazione è
Ps  Vcc I c
La potenza media fornita al carico è il prodotto dei valori rms di corrente e tensione. Trattandosi di
grandezze sinusoidale il valore rms coinciderà con quello della massima ampiezza (VP e IP ) diviso
2 . Per il calcolo delle massime ampiezze si può procedere attraverso le formule:
VCE (max)  VCE (min)
VP 
2
I C (max)  I C (min)
IP 
2
Ipotizzando di aver polarizzato al meglio l’amplificatore collocando il punto di lavoro al centro
della Regione attiva diretta e considerando un segnale di ingresso tale che in uscita V CE(max) = VCC e
VCE(min) = 0, mentre IC(max) = 2IC (sempre perché consideriamo Ic al centro della caratteristica del
BJT polarizzato) e IC(min) = 0 otteniamo che la potenza media fornita al carico è:
V p I p 1 VCC V I
PL    I C  CC C
2 2 2 2 4
Tornando al calcolo dell’efficienza otteniamo:
P V I 1
  L % = CC C  %  25% .
PS 4 VCC I C
Questo valore, quindi, può essere considerato come limite massimo dell’efficienza oltre il quale non
è possibile salire. Nella realtà l’efficienza è più bassa in quanto le ipotesi fatte non sono pienamente
rispettate.

Classe B
Una possibile implementazione di un amplificatore in classe B è la seguente definita come PushPull
a simmetria complementare
Questo tipo di amplificatore è formato da due stadi emitter follower che operano in controfase
attraverso l’impiego di una coppia di BJT, uno npn e l’altro pnp.
Negli amplificatori in classe B, il transistore è polarizzato con una corrente di collettore continua
nulla ed è in regione di conduzione solo per un semiperiodo del segnale d’ingresso; quindi l’angolo
di conduzione è pari a 180°.
Quando il transistore conduce la corrente di collettore sarà pari a
ic  I p sin t
40mA 80mA

0A 40mA

-40mA 0A

-80mA
-40mA
0s 0.5ms 1.0ms 1.5ms 2.0ms
Ie(Q1)
0s 0.5ms 1.0ms 1.5ms 2.0ms
Time Ie(Q2)
Time

Forma d’onda della corrente del transistore PNP Forma d’onda della corrente del transistore NPN

Mentre sul carico rileveremo la seguente forma d’onda:


80mA

40mA

0A

-40mA

-80mA
0s 0.5ms 1.0ms 1.5ms 2.0ms
-I(RL)
Time

Forma d’onda della corrente sul carico

La distorsione presente è rappresentativa del fatto che per valori del segnale di ingresso compresi
nell’intervallo [-0.6V, 0.6V] entrambe i transisto operano in regione di interdizione e la corrente è
nulla.
Per quanto riguarda il calcolo dell’efficienza consideriamo il valore medio della corrente di
collettore per ciascun transistor pari a
 
1 1 I
I C1  
2 0
ic1dt  
2 0
I P sin( t )dt  P

La corrente complessiva fornita dai due transistor avrà, quindi, valore doppio.
Per la corrente erogata dall’alimentazione non ho contributo costante (è pari a zero) così come non
ho un segnale sinusoidale (non è possibile calcolare l’rms in modo tradizionale) e per questo ne
calcolo il valor medio attraverso la formula integrale per ciascun BJT attivo solo per un
semiperiodo poi ottenere la corrente erogata complessiva (Idc) nell’arco di un intero periodo
moltiplicandola per due:
Considerando il contributo di entrambe i transistor avremo nell’arco dell’intero periodo;
IP
Idc = 2 (?)

La potenza fornita dall’alimentazione si calcolerà quindi come:
2I V
PS  I dcVCC  P CC

Per quanto riguarda la potenza di uscita considero la natura sinusoidale della corrente e della
A
tensione sul carico e ne calcolo l’rms attraverso la formula abbreviata: per poi ottenere la
2
potenza media in uscita come
I V
PL  P P
2
ottenendo un efficienza
I V /2 V 
 P P   P 
2 I PVCC /  4  VCC 
che sarà massima scegliendo VP  VCC arrivando ad ottenere un valore di efficienza molto elevato:
  78,5%

Classe AB
Per ovviare alla distorsione realizzata dal circuito precedente nell’intorno dello zero si introduce
una tipologia di amplificatori che consentono di garantire in continua un livello di tensione in base
tale da accendere o spegnere uno dei due BJT al minimo variare del segnale di ingresso.
Un esempio di circuito AB è il seguente:

Il ramo i cui sono presenti i due diodi è alimentato in continua e dissipa un’aliquota di potenza non
presente nel classe B.
In assenza di segnale al centro dei due diodi il potenziale è nullo in quanto i due rami sono
perfettamente simmetrici. I diodi in conduzione determinano all’ingresso delle basi dei due BJT un
potenziale rispettivamente di 0,6 V per l’NPN e di -0,6 V per il PNP. Tali valori sarebbero
sufficienti per accendere i BJT che però, non appena conducono corrente determinano una caduta
sulla resistenza in emettitore che fa scendere la VBE sotto la soglia degli 0,6 Vn mantenendo la
corrente di base vincolata a valori molto bassi.
Non appena inserisco il segnale nel circuito questo produce un effetto sui potenziali presenti in base
andandosi ad aggiungere o sottrae dosi alla caduta sui diodi che rimane pressoché costante.
La forma d’onda (riferita alla corrente e alla tensione) presente sul carico sarà quindi del tipo:
100mA

50mA

0A
Mentre la potenza erogata in uscita è la stessa della classe B
I V
PL  P P
2
per quanti riguarda la potenza erogata dall’alimentazione le cose cambiano a causa di un’aliquota di
corrente di quiescenza che scorre nel ramo con resistori e diodi (le slide parlano di corrente nei
transistor…) per cui la potenza erogata diventa:
2I V  2I 
Ps  P CC  I QVCC  VCC  P  I Q 
   
andando a ridurre la percentuale di efficienza rispetto ad un circuito di classe B
LEZIONE 28. Amplificatori di Classe C

Note:
1) C’è un fraintendimento iniziale fondamentale da chiarire: nella fase di off-
stage la corrente che scorre non è dovuta alla alimentazione, ma
all’induttanza che si scarica e che formando con il capacitore un circuito
risonante emette una corrente alla stessa frequenza del segnale di ingresso.
Solo così si può spiegare un calcolo dell’efficienza in cui la potenza erogata
dall’alimentazione viene contabilizzata solo se il transistor è attivo.

2) Ho modificato la parte sul CLAMPER (circuito condensatore – diodo) era


tutta sbagliata: è stato lui a spiegarla male in classe. D’altronde poi le slide
sulle simulazioni spice confermano l’errore. Ho rifatto anche io le
simulazioni ed ho trovato molte conferme su internet alla voce CLAMPER

3) Nel calcolo della potenza fornita al carico questa viene divisa per 2 non
perché la tensione erogata sia Vdd/2 ma perché sul carico arrivano, per
effetto del filtro, tensione e corrente sinusoidali. Quindi la potenza è il
prodotto delle rispettive ampiezze/2

4) la corrente al carico ha ampiezza Im e, se ci fai caso, è la stessa che circola


nel BJT quando questo è acceso. E’ la corrente che ha caricato
l’induttanza nella fase On-stage e che viene rilasciata dalla stessa
induttanza nella fase Off-stage. QUI SORGE UN PROBLEMA
FONDAMENTALE: perché l’integrale del calcolo della corrente erogata
al carico viene svolto all’interno dell’angolo di conduzione? (la risposta
possibile è che tutta la corrente erogata in fase di carica dell’induttanza è
la stessa che viene rilasciata nella fase di scarica: la differenza fra le due

correnti è che la prima è un impulso rettangolare e va calcolata base  
 
per altezza I m la seconda è una sinusoide e viene calcolata con un integrale
normalizzato al periodo lungo una fase di 2
Amplificatore di classe C.
Si premette che in questa configurazione circuitale il bjt o mosfet viene considerato come
interruttore. Ciò vuol dire che durante il funzionamento del circuito esso dovrà passare fisicamente
dalla regione di saturazione a quella di interdizione e viceversa.

Il funzionamento di questo circuito si divide in due fasi: on-stage e off-stage. Essere in una fase
piuttosto che nell’altra dipende dal valore assunto in quell’istante dal segnale d’ingresso.
Prima fase:
In questo primo periodo il segnale d’ingresso è positivo e il bjt è in fase di conduzione. Scorre
sull’emettitore una corrente sostenuta da due contributi. Il primo legato alla corrente di scarica del
capacitore C che sarà negativa in quanto uscente dal carico. Il secondo legato alla corrente che
scorre nell’induttanza sul collettore. Tale corrente che scorre nell’induttore permette allo stesso di
generare un campo magnetico dipendente dall’ampiezza della corrente.
Seconda fase:
In questo secondo periodo il segnale d’ingresso assume valori negativi e il bjt è spento. Abbiamo la
circolazione di una sola corrente che è quella di carica del condensatore ed è, stavolta, entrante
positiva nel carico. L’induttore e il capacitore sono accordati in frequenza a quella del segnale
d’ingresso e quindi nel carico circolerà una corrente alla stessa frequenza del segnale d’ingresso,
che è proprio ciò che vogliamo.

Analisi dell’amplificatore di classe C.


Dopo aver visto lo schema elementare più semplice dell’amplificatore di classe C, si mostra ora il
circuito amplificatore con l’introduzione di ulteriori componenti reattivi.
Notiamo che il segnale d’ingresso non è direttamente applicato alla base del bjt. Sono presenti un
condensatore ed un resistore in parallelo alla giunzione p-n del bjt. Per capire il funzionamento da
interruttore focalizziamo l’attenzione sul circuito costituito da segnale d’ingresso, capacitore,
resistore e giunzione p-n.
Prima di questo però consideriamo l’assenza del resistore attraverso la tipologia di circuito definita
CLAMPER

Durante il primo quarto di periodo T/4 il diodo è ON e il condensatore inizia a caricarsi. Tenendo
conto che il condensatore quando è carico si comporta come una batteria con il + (in questo caso) a
sinistra, la tensione ai capi del diodo sarà: Vo(t) = Vi(t) –Vc. Ovvero si è prodotto l’effetto di
aggiungere al segnale di ingresso una tensione costante negativa di valore pari a Vc
Da T/4 in poi la tensione in uscita è data dall’Eq. Vo(t) = Vi(t) –Vc. e si può determinare per punti:

Supponiamo, per comodità, che la tensione d’ingresso abbia il seguente valore: Vi(t) = 5 sen(t)
[Volt]
La tensione d’uscita sarà ancora quindi una tensione sinusoidale avente 10 V di picco-picco, ma non
più centrata intorno allo zero, bensì attorno a -4.4 V. In altri termini non avrà più valore medio nullo
ma –4.4V.
Nel grafico che segue a fronte di un segnale di ingresso a media nulla con tensione picco picco =10
V si verifica che sul diodo si determina una tensione shiftata verso il basso di una quantità pari a
Vpicco – V = 4.4 V
5V

0V

-5V

-10V
0s 1.0ms 2.0ms 3.0ms 4.0ms 5.0ms
(V(Q1:b)-V(Q1:e))
Time
In questo caso quindi, considerando il diodo come l’equivalente circuitale della giunzione base-
emettitore allora il bjt a meno di una fase iniziale di carica del condensatore rimarrà perennemente
spento. C’è bisogno di una delta di tensione che mi porti ad un valore di tensione superiore a 0,6 V
necessari ad accendere il BJT. Ecco perché nasce l’esigenza di introdurre un elemento come la
resistenza come si mostra di seguito.

In questo circuito vi sarà un certo periodo di tempo tramite il quale la capacità si scaricherà sulla
resistenza R portando di una certa V più in alto la tensione sul nodo sopramenzionato tale da far
accendere il BJT.
zE’ chiaro che il tempo di conduzione del bjt dipenderà dal tempo di scarica del capacitore ( in
particolare, il tempo di conduzione sarà pari al tempo di scarica fino al raggiungimento degli 0,6V).
Maggiore sarà il valore del capacitore e più carica tratterrà e quindi maggiore sarà il tempo di
smaltimento di quest’ultima. Conseguentemente maggiore sarà il tempo di conduzione del bjt. Non
è bene avere il bjt troppo tempo in conduzione poiché ciò aumenterebbe la potenza dissipata nel
circuito a scapito di quella trasferita al carico.
Annotiamo che appena il bjt si accende viene spinto immediatamente in saturazione. Ciò perché la
corrente fluente nell’induttanza (molto alta) forza nella regione di collettore un cospicuo numero di
lacune richiamanti elettroni nella regione di base dove sono, gli elettroni, portatori minoritari. Un
aumento di portatori minoritari porta il bjt in saturazione, quindi, non appena il bjt va in conduzione.
E’ da tenere in considerazione che tale fenomeno si manifesta indipendentemente dalla possibile
azione saturante dovuta al segnale d’ingresso.
Quando, invece, il bjt non è in conduzione, naturalmente, sarà un semplice circuito aperto. Il suo
comportamento è proprio coincidente con quello di un interruttore.
Efficienza.
Calcoliamo la potenza fornita al carico. Stavolta la tensione fornita al carico non è più dipendente
dal segnale d’ingresso ma il suo massimo coincide con la tensione d’alimentazione. Infatti, se il bjt
funziona da interruttore come dovrebbe allora il minimo della tensione su di esso è proprio la
tensione nulla mentre il massimo è la tensione di alimentazione Vcc. Sul carico per effetto del
filtraggio giungeranno tensione e corrente in forma sinusoidale per cui il calcolo della potenza sarà:
V I V I
P0  CC  N  CC N .
2 2 2
Invece, la potenza fornita dall’alimentazione è pari al prodotto fra la tensione d’alimentazione (VCC)
e la corrente fornita da essa (I0).
V I 1 I
Si procede al calcolo dell’efficienza   CC N   N
2 VCC I 0 2 I 0
Vediamo chi sono queste due correnti. Immaginiamo che il bjt lavori con un angolo di conduzione
compreso fra - e +  con  che sarà pari proprio metà dell’angolo di conduzione. Quindi la
corrente in funzione della fase t avrà il seguente grafico:
Questo intervallo di fase corrisponde all’intervallo temporale in cui la tensione sul nodo del diodo
supera 0,6 V e faceva andare in conduzione il bjt.
La corrente media fornita dall’alimentazione durante il periodo sopradetto è pari al rapporto fra la
fase di attività (2) e la fase in un periodo (2) moltiplicati per la corrente supposta costante in fase
di attività:

I0  Im

La corrente fornita all’uscita abbiamo già detto che a causa del filtro risonante sarà di carattere
sinusoidale. Si calcolerà quindi attraverso l’integrale seguente ricordando che l’onda quadra che
genera la sinusoide non è a media nulla. Si procede quindi ad integrare il coseno solo nell’intervallo
di
I  I sin N
I N  m  cos Nt dt  m
2  N

N nella formula soprastante è l’indice dell’armonica ennesima del segnale d’ingresso (dovrebbe
coincidere con l’armonica di risonanza che è la frequenza del segnale d’ingresso…).
L’efficienza risultante è:
I sin N  sin N
 m  
N I m N
Al variare di  (ampiezza dell’intervallo di fase di accensione del BJT) avremo, un andamento
dell’efficienza di tipo sinc con 0 <  <  . Se chiamiamo  = 2 l’angolo di conduzione possiamo
tracciare il seguente grafico
100

90

80

70
efficienza ideale

60

50

40

30

20

10

0
0 50 100 150 200 250 300 350
angolo di conduzione

da cui si evince che per valori di  pari a 90° (= 45°) l’efficienza supera l’80%. L’efficienza è
inversamente proporzionale all’ampiezza dell’angolo di conduzione.
Serie di simulazioni.
Isocronia tra segnale d’ingresso e corrente sul collettore:

Tensione di collettore per R= . Bjt sempre spento e quindi nodo di collettore connesso a Vcc.

Tensione Vbe e tensione d’ingresso a confronto.

Quando il segnale Vbe supera il valore di soglia del bjt esso condurrà e vi sarà potenza dissipata.
Corrente di collettore. Essa ha la forma periodica di impulsi rettangolari tanto più larghi quanto
maggiore sono i valori di R e di C in ingresso ( maggiore sarà il tempo di scarica).
100mA

50mA

0A

-50mA
0s 0.5ms 1.0ms 1.5ms 2.0ms 2.5ms 3.0ms
Ic(Q1)
Time

La capacità non può essere scelta piccola perché non dovrà subire l’influenza dei termini parassiti
del bjt ossia le capacità CBE CBC. (corrispondenti a C e C)

Filtro accordato LC in uscita.


A partire dall’onda quadra di tensione e corrente presente sul collettore, per ottenere in uscita una
sinusoide (sfruttando anche l’efficacia del filtro risonante nel convogliare sull’armonica di
risonanza l’energia presente alle altre frequenze e guadagnare in questo modo in potenza) si
costruisce un circuito L-C risonante con la frequenza fondamentale del segnale d’ingresso.
Questo filtro può essere realizzato tramite microstriscia e quindi usando uno stub chiuso su un
aperto per generare una capacità, ad esempio.
La banda di risonanza risulta influenzata dal rapporto fra resistenza di carico e resistenza d’uscita
del transistore detto “ m”. Se è molto alto si ha una banda stretta di risonanza. (…)
Infine, si mostra il grafico della tensione di collettore che, in condizione di saturazione, non si
spinge mai fino a 0V. Mentre in interdizione arriva fino a 6V.
LEZIONE 29 (adattamento amplificatori di classe C, Classe E)

Adattamento e filtraggio in uscita ad un classe C


Nel passare dai primi amplificatori di potenza come il classe A,B e AB a quelli più moderni come
classe C,E,F ci si rende conto che cambia il ruolo del bjt in quanto esso passa da amplificatore ad
interruttore. Si potrebbe dire che serva a “parzializzare” la corrente.
Un problema su cui porre l’attenzione è che la parte terminale dei circuiti di potenza deve servire
soprattutto a ricostruire un segnale che sia sinusoidale. Altrimenti questo sarebbe fornito
completamente distorto all’antenna che deve fare da trasmittente.
Scopriamo inoltre che questa parte terminale del circuito di potenza deve fare da filtro (per
ricondurre il segnale impulsivo ad uno sinusoidale) e contemporaneamente, al fine di evitare
riflessione di potenza sul carico, essere adattata al carico finale.
Questo adattamento in uscita è necessario per il totale trasferimento di potenza ma non
dimentichiamo che il sistema è distorcente per il segnale d’ingresso e quindi sarà lo stesso circuito
d’adattamento a rispondere all’esigenza di filtrare molto selettivamente in frequenza il segnale per
ottenere un segnale d’uscita sinusoidale da fornire all’antenna.
Quindi questo circuito sarà risonante alla frequenza del segnale d’ingresso (ricostituendo quindi
anche la forma sinusoidale) ed in più adattante.
Inoltre l’adattamento potrà essere meglio garantito in quanto il segnale trasmesso sarà caratterizzato
da banda ristretta. Non ci troviamo, cioè, in trasmissione nella necessità, presente invece in
ricezione, di perseguire un adattamento per un’estensione di banda maggiore necessaria per ricevere
numerosi canali.

Filtro L-C

Ipotizzando di aver inserito un circuito di adattamento del tipo in figura ( filtro LC) calcoliamo il
parametri che lo devono caratterizzare. Un primo vincolo è rappresentato dalla frequenza di
risonanza che dovrà essere quella del segnale di ingresso. Ciò concorre alla definizione di LC dalle
1
quali si ricava il valore di  0  .
LC
Tale filtro infatti pur caratterizzandosi anche come passa basso presenta un picco di risonanza:

Per garantire l’adattamento a questo punto si considera anche un altro parametro


R0
m
RT
con RT = resistenza di uscita dell’amplificatore vista dal filtro.
Il filtro dovrà garantirci che il carico venga visto con valore pari proprio a RT
Il condensatore in parallelo con la resistenza ci permette di intervenire sul valore della parte reale
dell’induttanza di carico:
R0
1 JC  R0 R JCR0  1
R0 //   0
JC
R0 
1 JCR0  1 CR0 2  1
JC
Ora impongo l’uguaglianza fra parte reale e RL
 1  R0 R m 1 m 1
  R L  0  CR0   1  2  C   C 
2 2
Re  R0 // 
 JC  CR0   1
2
RL R0 R0
mentre per annullare la parte immaginaria dovrò sfruttare l’induttanza. Si dimostra che ciò avviene
per: L  RT m  1

Sfasamento tensione corrente


Approfondendo gli amplificatori di classe successiva alla C daremo anche importanza alla fase
relativa fra tensione e corrente sul bjt o Mosfet perché se debitamente relazionate possono favorire
il parametro dell’efficienza.
Nel classe C invece questo problema della potenza dissipata era tenuto in conto dal fatto che si
cercava di ridurre quanto più possibile l’intervallo di conduzione del bjt, ad esempio. Tuttavia,
potrebbe essere una falsa soluzione quella di avere un tempo minimo di erogazione della corrente se
il picco raggiunto, pur per un tempo limitato, fosse di ampiezze molto elevate. Regolando
opportunamente il tempo di sovraelongazione della sinusoide in ingresso, io posso speculare su
questo trade-off insormontabile e cioè tempo di conduzione e potenza dissipata.
Noi però siamo notevolmente interessati alla relazione di fase che si instaura tra tensione di ingresso
e di uscita a proposito della potenza dissipata che si vuole ridurre. Questo perché il segnale di
ingresso (applicato sulla gate) è in fase con la corrente al nodo d’uscita (il drain attraverso il quale
scorre corrente non appena il Mos conduce). Stabilire una relazione in controfase fra tensione di
ingresso (gate) e tensione di uscita (sul drain) significherà estendere questa relazione alla corrente e
alla tensione sul drain.
L’obiettivo è quello di avere una tensione alta e una corrente contemporaneamente bassa o
viceversa per ottenere una potenza dissipata sempre bassa.

Guardando al caso dell’amplificatore di classe C notiamo uno sfasamento tra tensione e corrente sul
collettore dovuto alla presenza dell’induttore:
Classe E
In questa configurazione viene aggiunto anche un condensatore C1 rispetto al classe C. Il circuito
amplificatore di classe E è principalmente usato in modalità mosfet. Questo perché si vuole sfruttare
al meglio la caratteristica di bassa R-on del mosfet (in pratica nel mos non circola mai corrente
statica attraverso la gate a causa dell’ossido sottile).

Non è presente il circuito di clamp. Il mosfet è acceso per tutto il tempo in cui la tensione di
ingresso è superiore a quella di soglia.
In questo circuito, si cerca di fare in modo che tensione di ingresso( corrente sul drain) e tensione
d’uscita siano in controfase fra loro. In tal modo, infatti, potrei ottenere una potenza dissipata molto
bassa. Idealmente, potrei ottenere una efficienza del 100% ma ovviamente avremo sempre, per
quanto piccole, delle sovrapposizioni.
Analizziamo ora le fasi di funzionamento del circuito:
1. Segnale d’ingresso in fase di ascesa, Mosfet attivo, induttanza che si carica, corrente che scorre
nel Mosfet il quale farà da semplice resistenza equivalente ai capi della quale c’è una tensione
bassa pari a Vds che non giunge al volt.
2. Segnale d’ingresso in fase di discesa, Mosfet disattivo, induttanza che si scarica, corrente che
fluisce verso il capacitore C1(diminuendo) e lo carica aumentando il potenziale di
drain(tensione su D che aumenta) fino al picco.
3. Segnale d’ingresso di nuovo in fase di ascesa, Mosfet attivo, induttanza che torna a caricarsi,
corrente che fluisce dal capacitore verso massa tramite il Mosfet e quindi tensione sul drain che
decresce mentre la corrente su di esso aumenta.

Si comprende dal movimento di queste tre fasi che ingresso e uscita sono in controfase più o meno.
In particolare, lo sono corrente di drain e tensione sul drain come mostra anche il seguente grafico.

Si mostra di seguito un grafico in cui è fotografato l’andamento del segnale d’ingresso e quello
d’uscita in perenne controfase.

Il filtro L-C finale pone la possibilità di selezionare sempre la frequenza d’ingresso ricostruendo la
forma d’onda di una sinusoide e, come per il C, matcha l’impedenza d’uscita del mosfet.
L’efficienza ottenuta in questo tipo di circuito non risulta molto alta come per il C. Risulta arrivare
massimo a 60-70% mentre per un classe C si arriva anche all’85%. Però i guadagni sono alti e un
altro aspetto importante è che si riesce a lavorare meglio sulla distorsione.
Attualmente questo tipo di amplificatore è presente in tutti i sistemi di telefonia GSM.
La presente tabella confronta amplificatori di classi A, E ed F alla luce di alcuni parametri
fondamentali: in particolare i classe E ed F non arrivando ai livelli di efficienza di un classe C
riescono a garantire buone prestazioni in termini di guadagno e purezza spettrale (quanto le
armoniche di terzo e quinto ordine impattano in termini di energia dispersa su di esse) quasi
confrontabili con un amplificatore di classe A.
Classi di Pout Efficienza % Guadagno 3rd IM 5th IM
amplificatori (mW) (dB) dBc dBc
A 265 20 22 -51 -55

E 235 51 16 -16.5 -34.5

F 220 56 15.5 -26 -34

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