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Modulazione FM
Nella modulazione FM il segnale trasmesso subisce continue variazioni di frequenza dovute alla
modulante.
Apparentemente dalla formula di un processo di modulazione sembrerebbe che a variare sia la fase
piuttosto che la frequenza. In realtà la frequenza è la derivata della fase e ad una variazione della
legge che caratterizza la fase corrisponde una variazione della frequenza. La variazione della
frequenza è analiticamente la derivata della variazione della fase.
t
ut Ac cos 2 fct 2 kf mt d
Ampiezza Portante
0
Frequenza Portante Segnale modulato
Constante di Modulazione
Per comprendere meglio la formula appena espressa si può partire dalla definizione di frequenza
istantanea di un segnale modulato in frequenza che si può scrivere come
f i (t ) f c k f m(t ) , dove:
k f è una costante che viene detta fattore di sensibilità in frequenza del modulatore
m(t) è il segnale modulante
f c è la frequenza della portante non modulata
t t
i (t ) 2 f i ( )d 2f c t 2k f m( )d
0 0
In definitiva il segnale modulato avrà quindi proprio la forma Ac cos 2f c t 2k f m( )d o
t
0
equivalentemente: Ac cos 2 f c f t 0 con f variazione della frequenza introdotta dalla
modulazione proporzionale a m(t)
Comunicazione stereofonica
F{m(t)} Tono
L+R pilota L-R RDS
15 19 23 38 53 57 f, KHz
Nel nostro corso fra tutti, possibili strumenti di rice-trasmissione, concentreremo l’attenzione su un
sistema radiofonico a medie frequenze.
Dall’immagine è abbastanza immediato osservando la direzione delle frecce individuare due
principali sub - articolazioni dedicate appunto alla ricezione e alla trasmissione.
I simboli dei blocchi presenti in ciascuna delle due sub articolazioni, pur identici, identificano
sistemi circuitali completamente differenti a seconda che operino in trasmissione o in ricezione. I
due blocchi sono progettati in modo completamente autonomo l’uno dall’altro.
I differenti colori utilizzati (trasversali alle due articolazioni principali) identificano la frequenza di
lavoro. Nella modulazione FM si trasmette un segnale che nasce nell’intervallo fra 5 e 20KHz , ma
che viene trasmesso e ricevuto nell’ambito dei Mega Hz per poi tornare alla frequenza media dei 10
KHz. Per ogni range di frequenza i dispositivi assumono configurazioni peculiari impiegando
dispositivi e materiali differenti.
Il cuore del sistema è il PLL. Una fra le principali evoluzioni in ambito radiofonico è stata
l’introduzione della ricezione a supereterodina che ha consentito l’ottimizzazione di impiego della
banda di trasmissione e l’aumento di canali. Un ulteriore evoluzione altrettanto importante è stata
l’introduzione della codifica digitale.
IB
b IB
B C
Nella figura osserviamo una possibile rappresentazione schematizzata del circuito in funzionamento
statico. Si assume la polarizzazione del transistore in regione attiva diretta (VBE > 0,6V e VBC < 0V ):
il diodo rappresenta la caduta di tensione tra base ed emettitore ed il generatore costante di corrente
comandato in corrente esemplifica una delle caratteristiche salienti del funzionamento statico del
transistore. Il BJT si comporta come generatore di corrente: iniettando una corrente in base ne
scorrerà un’altra beta ( = guadagno di corrente ad emettitore comune in forward-diretta) volte più
grande fra collettore ed emettitore
Analisi circuito per piccolo segnale (approfondendo la simbologia delle slide del prof)
Una possibilità è, ad esempio, data dallo scegliere come variabili indipendenti v 1 ed i2 mentre come
variabili dipendenti v2 ed i1. In tal caso i coefficienti della matrice di legame hanno dimensioni che
possono essere sia di impedenze, sia di ammettenze, sia numeri puri. Per questa ragione tali
coefficienti vengono definiti ibridi (hybrid) ed indicati con la lettera “h”:
Applicando tale schematizzazione alle tre possibili configurazioni per i
circuiti a transistori, emettitore comune (CE), base comune (CB), collettore comune (CC), si hanno
tre distinte possibilità di definizione del set dei parametri ibridi. Si adotta quindi la convenzione di
porre due pedici di identificazione dei parametri h, il primo col significato di designare il tipo di
legame:
˗ “i” (input) ossia tra le due grandezze di ingresso
˗ “o” (output) ossia tra le due grandezze di uscita
˗ “f” (forward) ossia una grandezza di uscita rispetto ad una grandezza di ingresso
˗ “r” (reverse) ossia una grandezza di ingresso rispetto ad una grandezza di uscita
Nel caso particolare della tipologia del circuito ad emettitore comune, per la quale:
Dalla definizione stessa dei parametri ibridi può essere ricavato il circuito equivalente di un
transistore. Nel caso della tipologia ad emettitore comune, ad esempio, per la quale valgono le
relazioni riportate nella prima equazione del sistema, la tensione di ingresso vbe è pari alla somma
delle tensioni hie ib ed hre vce, che formano perciò delle tensioni poste in serie. La corrente di uscita ic
è pari invece alla somma delle due correnti hfeib ed hoevce, che formano perciò il parallelo di correnti.
Trascurando gli apporti di hre vce e hoevce si ottiene il modello per piccolo segnale proposto dalle
slide del prof
Con D’Aliento, invece il nostro modello assumeva queste altre nomenclature:
A ben vedere hfe corriponde proprio al parametro (guadagno di corrente ad emettitore comune).
Parametro a cui, invece gm è legata attraverso la relazione: = gm r
Ricordando che
I E IC
I
IB = C
VE RE I E
Valutando la maglia si ottiene che
V VBE VE
I B BB ovvero:
RB
I C VBB VBE I E RE V VBE
I E BB
RB R
RE B
RB
Con la condizione che RE sia >> e che VBB >> VBE
VBB
ottengo che: I E !
RE
Ovvero la corrente di emettitore non dipende in alcun modo dai parametri del transistor.
In generale si dimostra che rispettando i seguenti parametri di dimensionamento del circuito:
˗ rispetto alle variazioni di VBE all’aumentare del valore di VBB (determinato dal partitore di
ingresso)
˗ rispetto alle variazioni di guadagno di corrente hfe ( ) aumentando il rapporto I1/IB
(di solito valori indicativi di progetto sono:1/20 VCC < VE <1/5 VCC e 10 IB < I1 < 100 IB)
il punto di lavoro non dipende dal transistor impiegato ma dalle resistenze (molto più facilmente
controllabili) che lo circondano.
La relazione che lega corrente di collettore a tensione base emettitore in regione attiva diretta è :
v BE VBE vbe VBE vbe vbe
iC = I S e VT
ISe ISe e I e
VT VT VT *
C
VT
v
che be 1 vbe VT (ovvero 25mV a temperatura ambiente) in modo tale che la relazione
VT
possa essere riscritta:
v I*
iC = I C* be 1 I C* C vbe I C* g m vbe
VT VT
I C*
con g m
VT
Inciso: Le capacità non sono state inserite perché si suppone di lavorare a medie frequenze quando
le piccole capacità parassite del transistor sono ancora equivalenti ad un aperto e quindi non le
disegno.
Se hfe >> 1
Nel produrre un diagramma di Bode di un circuito quale quello di un amplificatore con BJT a
emettitore comune un qualunque CAD (Spice, ad esempio) presuppone sempre la linearità del
circuito in analisi e restituirà sempre lo stesso diagramma di Bode delle ampiezze per qualsiasi
valore del segnale di ingresso. Ad esempio
Non valuta se sussistono oppure no le condizioni per l’impiego di un circuito equivalente per
piccolo segnale
In realtà la legge fondamentale che descrive il funzionamento del transistor ( in regione attiva
diretta) è palesemente non lineare.
vBE
IC I E I S e VT
notiamo innanzitutto come il segnale in ingresso sia collegato direttamente in base. Immaginiamo
che il segnale in ingresso sia di natura sinusoidale e di ampiezza massima Vi
vi(t) = Vi cos ωit
V
Posto x = i (rapporto fra ampiezza del segnale di ingresso e la tensione termica)
VT
Considerato che vBE = vi(t) + VE
Riscriviamo la relazione tensione corrente del transistor come segue:
vi VE VE
iC i E I S e VT
I S e e x cos it
VT
A questo punto sviluppo in serie di Fourier la funzione esponenziale in quanto il suo esponente è
una grandezza periodica che rende periodica la funzione stessa
e x cos i t I 0 ( x) 2 I n ( x) cos n i t
1
con I n (x) - coefficiente che pesa il contributo dei coseni - definito in termini di funzione di Bessel
(più precisamente: funzione di Bessel modificata di prima specie di ordine n)
L’aver riscritto l’esponenziale in termini di serie di Fourier con coefficiente ricavato dalla funzione
di Bessel ci consente di verificare che, oltre a disperdersi in frequenza per la non linearità intrinseca
del BJT, tale dispersione avviene secondo un fattore dipendente dall’ampiezza del segnale di
ingresso.
Più è ampio il segnale di ingresso, più armoniche vengono coinvolte in modo significativo e
maggiormente l’ampiezza in ingresso si disperde in frequenza.
Si determina il fenomeno della “compressione”: aumentando il segnale di ingresso il guadagno
(misurato sull’armonica fondamentale) diminuisce.
Approfondendo l’andamento delle funzioni di Bessel (i coefficienti I n (x) ), normalizzate alla
funzione per n=0 ( I 0 ( x) ) al variare di x (e quindi dell’ampiezza del segnale di ingresso) otteniamo
il seguente grafico:
da cui si evince che per valori di x molto piccoli solo la prima funzione ha gradiente non nullo. Ciò
significa che per valori piccoli del segnale di ingresso non si registrano fenomeni rilevanti di
dispersione in frequenza del guadagno.
Di seguito è rappresentata l’analisi spettrale dell’uscita per due distinti tipi di segnale in ingresso:
uno la metà della VT (26mV) l’altro il doppio.
Vi1=13 mV ………
Vi2= 52 mV ____________________
Per usare un Cad in modo da analizzare, attraverso l’analisi in frequenza, l’impatto della non
linearità del dispositivo sul guadagno è quello di impostare una analisi del transiente richiedere in
uscita il calcolo della FFT (Fast Fourier Transform)
LEZIONE 4. Compressione, moltiplicatore di frequenza, filtri
antirisonanti, rumore.
Compressore di dinamica
Abbiamo visto come, seguendo il modello non-lineare del bjt, l’uscita non sia una perfetta replica
lineare dell’ingresso ma come questo risulti distorto con la presenza di infinite armoniche.
E’ chiaro che non è più possibile definire il guadagno che per noi ha sempre rappresentato il
rapporto fra l’uscita e l’ingresso di un sistema lineare.
Qui invece il rapporto è fra un’uscita composta di infinite armoniche e un ingresso composto da una
sola. Nella definizione classica di guadagno i due seni avrebbero dovuto avere la stessa frequenza.
Invece, qui non abbiamo un’unica frequenza ma più frequenze.
Si potrà piuttosto definire un nuovo tipo di guadagno definito solo per la componente armonica in
uscita alla stessa frequenza del segnale di ingresso.
Di tutte le armoniche in uscita, allora, consideriamo semplicemente quella che ha la stessa
frequenza dell’ingresso, cioè l’armonica fondamentale. Fare un’estrapolazione simile significa di
fatto implementare un filtro frequenziale.
Si scrive dunque l’espressione della vo in funzione di “Gm“ ed RC. Ricordiamo che
vo g m RC vi . Bisogna capire allora chi è questa “Gm“.
IC V
Dipende da gm che è il guadagno di transconduttanza pari a e da x = I
VT VT
“Gm(x)” rappresenta il guadagno dell’amplificatore a meno di Rc in condizioni non-lineari riferito
alla sola componente armonica in uscita a frequenza identica al segnale in ingresso.
Ovvero “Gm(x)” = transconduttanza per ampio segnale. Potremo quindi scrivere:
v0 (i ) Gm ( x) RCVi ( x) cos ni t Gm ( x) RC vi
Ricordando che in condizioni di non linearità abbiamo espresso il valore dell’uscita come:
VE
v0 = - Rc I S e VT I 0 ( x) 2 I n ( x) cos ni t
1
riconosciamo il contributo di una componente costante (IC = IE) che in realtà è proprio la “I”
prodotta dal generatore di corrente in emettitore:
VE
VT
IC = IE = I = - Rc I S e I 0 ( x)
Se nella formula precedente metto in evidenza questa “I” ottengo
I ( x)
v0 = - RcI 1 2 n cos ni t
1 I 0 ( x)
Isolando la sola armonica a frequenza fondamentale ottengo
I ( x)
v0 = - RcI 2 i cos i t
I 0 ( x)
Per la definizione di guadagno definisco il rapporto fra
vo I ( x) 1 R I I ( x)
- RcI 2 i cos ni t =2 C i
vi I 0 ( x) Vi cos i t Vi I 0 ( x)
V I
Ricordando la definizione di x = i Vi xVT e di gm C riscrivo:
VT VT
vo R I I ( x) R g I ( x)
2 C i =2 C m i
vi Vi I 0 ( x) x I 0 ( x)
v0 (i )
Poiché come già detto prima v0 (i ) Gm ( x) RC vi Gm ( x) posso allora concludere che
RC vi
g m I i ( x)
Gm ( x ) 2
x I 0 ( x)
E’ utile a questo punto valutare l’andamento della transconduttanza normalizzata al valore per
piccolo segnale:
Gm ( x ) 2 I i ( x )
gm xI0 ( x)
Si scopre che per x0 tale rapporto tende ad 1 e questo perché quando l’ampiezza del segnale
d’ingresso diventa sempre più piccola e allora Gm torna a divenire pari a gm che è il guadagno per
piccolo segnale appunto.
Zona di compressione
Il guadagno varia
rapidamente con
l’ampiezza x del segnale
Si vede chiaramente dal grafico che all’aumentare di x il guadagno decrescerà in modo molto
pendente a meno della Rc, ma tanto questa è solo un numero. Ciò vuol dire che il guadagno si
“comprime” al crescere di x. E questo non è proprio un fatto negativo. E’ positivo perché :
1. Un sistema di ricetrasmissione non si può immaginare che lavori sempre con le stesse ampiezze
dei segnali. Queste possono cambiare. Ad esempio un segnale può essere tanto più intenso quanto
più si è vicini ad un’antenna trasmittente e quindi ci può essere una dipendenza dalla distanza.
Quindi il mio sistema dovrà avere a che fare o con segnali molto intensi o con segnali magari più
piccoli. Questo è impredicibile, a priori. Per cui, a causa del comportamento non lineare, il nostro
sistema a base di bjt si comporta in modo tale che se il segnale è ampio vi è una debita
compressione, se invece è alto lo aumenta. Quindi è come se agisse da “regolatore del segnale
d’ingresso”.
2. Abbiamo visto come nell’analizzare il punto di lavoro statico di un bjt , se l’oscillazione del
segnale di uscita non si mantiene all’interno di un certo range possa andare a finire in saturazione o
in interdizione. Questa evenienza può verificarsi soprattutto a valle di una catena di stadi
amplificatori. Quindi, in tal caso, il sistema di compressione visto prima fa da salvaguardia, in
quanto impedisce un aumento eccessivo del segnale che potrebbe far andare, mettiamo, il bjt in
saturazione.
Moltiplicatore di frequenza
Il filtro frequenziale è un circuito RLC antirisonante. Approfondiamo il concetto di risonanza e
antirisonanza per circuiti RLC
R 2 L R 2 L
C C
A questo punto introduciamo il parametro di qualità Q:
L 1 L L C L 1
Q 0
R LC R CR C C R 0 RC
e riscriviamo la funzione del modulo della corrente normalizzata:
I R 1
I max RQ 0 RQ
2
0
2
R 2
1 Q 2
0 0
In un grafico normalizzato in cui sulle ascisse al posto della pulsazione è utilizzata la pulsazione
normalizzata alla pulsazione di risonanza x posso riscrivere la precedente funzione come
0
I 1
f ( x)
I max 1
2
1 Q x 2
x
Considerando il circuito RLC come filtro, per calcolarne la banda passante cerco le pulsazioni
1
normalizzate che rendono la funzione uguale a :
2
2 2 2
1 1 1 1 1 1 1 1
1 Q2 x 2 Q2 x 1 x 2 x
1
2
2 x x x Q x Q
1 Q x
2
x
1 1 x 1 1 1
x x 2 1 0 x1, 2 2
1 x1 x2
x Q Q 2Q 4Q Q
f
Ricordando che x possiamo in definitiva riconoscere che l’ampiezza della banda
0 f R
passante è inversamente proporzionale al fattore di qualità Q
fR
fB fB
Q
Per definizione il valore di Q è inversamente proporzionale alla R. Per valori molto bassi di R
aumenta quindi la selettività del filtro risonante.
E’ interessante valutare il significato fisico del fattore di qualità Q in termini di rapporto fra energia
immagazzinata ed energia dissipata nel circuito.
L’energia dissipata in un resistore in un periodo è pari a RI 2T
L’energia massima accumulata nell’induttore LI 2
In entrambe i casi ci riferiamo alla corrente media circolante.
Ricordando che
L
Q 0
R
moltiplicando numeratore e denominatore per I 2T otteniamo
LI 2T energia accumulata
Q 0 2 2
RI T energia dissipata
Supponiamo di avere un oscillatore che genera una sinusoide quanto più pura possibile, cioè quello
che dicesi “tono puro”. Se questa sinusoide va in ingresso ad un amplificatore che lavora in
condizioni di non-linearità e poi ci metto un filtro frequenziale che trae non l’armonica
fondamentale ma un suo multiplo, ho costruito un “moltiplicatore di frequenza”. Ovviamente c’è
bisogno di mettere prima l’amplificatore perché la sua non-linearità fornisca le infinite armoniche
tra cui potrò scegliere.
Caso dell’amplificatore a Mosfet
La relazione del guadagno di un Mosfet è quadratica e la non linearità si esprimerà con la comparsa
di armoniche solo pari
Rumore elettronico:
Se invece il segnale fosse troppo piccolo in ampiezza a quali rischi andremo incontro? Il rischio è il
rumore elettronico.
Se per esempio consideriamo un filtro che seleziona il segnale presente solo in una certa banda di
frequenze, il filtro restituirà comunque un certo livello di rumore sovrapposto, poiché è il circuito
elettronico (anche quello del filtro) in sé ad essere fonte di rumore. Se il segnale è molto consistente
allora il rapporto segnale rumore sarà molto alto e quindi non dovrò preoccuparmi del suo impatto.
Ma se il segnale è più piccolo allora il rapporto segnale-rumore comincia a divenire minore di 1 e
non si ha più l’intelligibilità del segnale.
Il circuito stesso è sorgente di rumore. Non è sempre possibile avere segnali tanto intensi da
superare il rumore del circuito e quindi mantenere il rapporto sopra 1. E allora si cerca di agire sul
rumore, cioè nel farlo decrescere in modo che esso abbia un impatto minore e il rapporto si
mantenga comunque maggiore di 1.
Ecco perché bisogna stabilire:
1) il limite inferiore del segnale di ingresso che è quello di là dal quale il rapporto non si
mantiene più sufficientemente maggiore di 1.
2) un margine superiore sul guadagno poiché anche il solo rumore, troppo amplificato,
rischierebbe di saturare l’uscita.
Questo problema è particolarmente sentito nel settore del sistema di ricetrasmissione legato ai Low
Noise Amplifier in cui si trattano segnali poco intensi.
Elenchiamo i tipi di rumore più comuni, discriminati in base alle sorgenti che li producono e
descritti attraverso differenti modelli matematici.
1- rumore “shot” (tipico delle giunzioni)
Il rumore granulare è sempre associato con il fluire di una corrente continua ed è presente nei diodi
e nei transistori bipolari. La corrente diretta, nel diodo, è costituita da lacune ed elettroni che
diffondono come portatori minoritari. Il passaggio di ciascun portatore attraverso la giunzione è un
evento puramente casuale e dipende dal fatto che il portatore possegga un’energia sufficiente e una
velocità diretta verso la giunzione; così la corrente esterna, che appare come una corrente continua,è,
in realtà, costituita da un gran numero di impulsi di corrente, casuali ed indipendenti.
La fluttuazione della corrente è chiamata rumore granulare (shot noise) ed ha un valore quadratico
medio che è proporzionale alla larghezza di banda ∆f (in Hertz) della misura; quindi può essere
definita una densità spettrale della corrente di rumore che è costante al variare della frequenza
(rumore bianco):
S I 2qI D
Si può dimostrare infatti che in un conduttore o diodo questo rumore dipende dall’ampiezza della
corrente costante e dalla carica elettrica. Questo perché all’aumentare della corrente il rumore
compete a più cariche e quindi c’è più rumore. Per considerare il funzionamento del diodo con la
componente di rumore sovrapposta c’è bisogno di affiancare in parallelo al diodo un generatore
equivalente di rumore.
Per modellare circuitalmente il rumore termico sostituisco al diodo una resistenza equivalente
(linearizzandolo) ed introduco in parallelo un generatore di corrente con densità spettrale SI.
L’esempio che si fa è di considerare un diodo in un circuito con resistenza e generatore.
Il punto di lavoro del circuito (che definisce il valore di corrente costante circolante nel circuito e la
caduta di tensione sul diodo) è calcolato graficamente dall’intersezione fra caratteristica del diodo e
retta di carico della resistenza:
e corrente
I(t)
I*
I(t)
I*
t
La corrente, supposta costante, è in realtà la risultante del contributo di numerose cariche di natura
corpuscolare che definiscono il proprio apporto al flusso complessivo in termini di sommatoria di
spike. Nel grafico si mostra come alla corrente media sia sovrapposta un’aliquota di rumore che è
continuamente oscillante ed è dovuta proprio alla natura intrinseca della carica elettrica.
Esattamente alla natura quantistica della corrente.
Si mette poi un segnale sinusoidale in ingresso sovrapposto alla tensione costante. Abbiamo ancora
un rumore oscillante che segue sbalzando l’oscillazione sinusoidale come mostrato nel grafico.
Conseguentemente il punto di equilibrio rappresentato dall’intersezione della retta di carico e dalla
tensione del diodo oscilla a sua volta attorno al valore fisso della tensione del generatore costante.
In particolare varierà la pendenza della retta di carico.
Ovviamente alla corrente nel tempo sarà sempre sovrapposto un rumore come prima. Ora però c’è
la presenza anche di una resistenza che non è mai fissa cioè non è un numero statico nel tempo.
Anche R varia nel tempo. La resistenza cambia in maniera aleatoria. Essa impone un’inerzia diversa
da quella del vuoto al passaggio di cariche tra due punti a diverso potenziale.
Una resistenza reale è fatta di materia cioè di un aggregato amorfo di reticoli cristallini. La carica
elettrica che si muove in tale luogo sbatte con i vari reticoli fissi. E queste collisioni generano
cambiamenti di temperatura. Quindi già gli atomi saranno ad un certo livello di agitazione termica.
Questa poi aumenta quando sono gli elettroni ad attraversarli e quindi ad aumentare l’agitazione e a
far variare la temperatura T e quindi la resistenza R. Il rumore termico risulta direttamente
proporzionale a T secondo un coefficiente di proporzionalità pari a 4 K. Anche’esso si caratterizza
come rumore bianco e lo si può rappresentare equivalentemente attraverso una densità spettrale di
4 KT
corrente SI = o di tensione SV = 4KTR e le relative rappresentazioni circuitali.
R
LEZIONE 5. Rumore Flicker e burst, rumore in ingresso, figura
di rumore, circuiti in cascata.
Rumore flicker (legato ad una corrente e più intenso alle basse frequenze, causato dalle trappole)
Esso e il successivo sono legati alla natura fisica dei semiconduttori. Nasce dal fatto che il mezzo in
cui scorre la corrente ha una struttura cristallina. Un semiconduttore è caratterizzato dalle bande
energetiche che sono quella di valenza e di conduzione. Esiste un intervallo detto bandgap che è una
sorta di buco energetico da superare per far avvenire la conduzione. A causa di difetti di produzione
dello stesso materiale ( difettosità processo sporco, mancata attesa dell’esatto tempo di
cristallizzazione ecc.) si creano dei livelli energetici permessi all’interno del bandgap. Questi vanno
sotto il nome di “trappole” perché fanno cadere l’elettrone in livelli energetici di norma non
permessi. Questi livelli non rendono più mobile l’elettrone e quindi non ci sarà più flusso di
corrente.
Questi fenomeni, quindi, provocano lo scostamento della corrente dal suo valore medio. Infatti,
l’elettrone in trappola può sia decadere in banda di valenza, sia, magari per effetto dell’agitazione
termica, passare alla banda di conduzione. Questo rumore dipende dalla corrente continua di
collettore, il coefficiente b è sempre più o meno unitario, in modo inverso alla frequenza e
proporzionalmente dalla costante del dispositivo considerato.
Ia
S I K1 b
f
˗ I è una corrente continua
Lo faccio considerando solo due generatori equivalenti di rumore di tensione e corrente. Quello di
corrente in parallelo e quello di tensione in serie. Solo che l’effetto del forzamento dovuto a questi
due generatori in ingresso deve essere eguale all’effetto che essi avevano quando erano presenti
all’interno della rete rumorosa. Inoltre essi devono inglobare anche il contributo di rumore riferito
al rumore d’uscita della rete. Questa modellizzazione è sempre valida, purché si tenga conto
dell’eventuale correlazione tra i due generatori di rumore: essi, in generale, non sono indipendenti
perché dipendono dallo stesso insieme di sorgenti interne di rumore. In realtà però si può arrivare ad
un risultato abbastanza preciso se il grado di correlazione è basso; ciò accade quando uno dei due
generatori ha peso dominante sull’altro o quando vi sono poche sorgenti in comune..
Abbiamo detto che deve essere data descrizione del rumore sui morsetti d’uscita in modo
equivalente. Per calcolare la potenza del rumore che c’è in uscita devo conoscere anche che tipo di
circuito c’è a monte. La collocazione, cioè dei generatori equivalenti, non può prescindere dal
sistema a monte in cui esso è racchiuso. E quindi ai contributi di rumore dovuti alla rete stessa devo
aggiungere un contributo relativo al circuito a monte della rete dato dall’impedenza di terminazione
all’ingresso della schematizzazione fatta Zs.
SVeq SV S i Z s
2
S Ieq S I SV Z s
2
Adottando, ad esempio il modello Thevenin calcolo la potenza di rumore integrando la densità sullo
spettro.
1
2
N IN SVeq ( )d
Se la densità spettrale è costante rispetto ad allora può essere tirata fuori dall’integrale in e c’è
un rapporto di diretta proporzionalità tra potenza di rumore e densità spettrale di potenza. Quindi
sarà possibile continuare ad analizzare il rumore attraverso l’espressione della sua densità spettrale.
Se penso poi al legame ingresso-uscita sotto forma di guadagno allora trovo che lo spettro in uscita
del rumore è pari a quello in ingresso per il modulo della funzione di trasferimento al quadrato.
SVo SVi A( j )
2
Per confrontare i valori di potenza col livello di tensione o di corrente del segnale si passa al
valore RMS (VRMS):
N RMS N
Figura di rumore
Altro parametro fondamentale del sistema è il rapporto dei rapporti segnale-rumore di ingresso e
uscita che è detto “fattore di rumore” (il valore in decibel è detto figura di rumore) definito
come:
S / N IN
F
S / N OUT
con N OUT N Sout N Aout
ovvero si sommano i contributi del rumore insito nel segnale di ingresso e quello della rete.
Se la rete è non rumorosa allora F = 1 ed il suo logaritmo è nullo (figura di rumore nulla).
Altrimenti il fattore di rumore diventa:
S N IN S IN N IN A 2 N Aout N N
F 2
2
1 Aout2 1 Aout
S IN A N IN S IN A N IN A N OUT
N IN A 2 N Aout
che può essere riscritta anche come:
N A2 N
1 Aout 1 Ain
N In N In
La riscrittura analitica che viene fatta ha un significato concettuale importante. In particolare si fa
riferimento al numeratore NAout/A2 che rappresenta il rumore in uscita della rete riportato
all’ingresso. Quindi è come se bastasse conoscere le caratteristiche del rumore solamente in
ingresso per trovare il fattore di rumore.
Si tratta della stessa espressione, quindi le potenze di rumore possono essere valutate in un punto
qualsiasi della rete, purché ai medesimi morsetti, ottenendo sempre lo stesso valore. La figura di
rumore allora è una proprietà intrinseca della rete, utile per dare una misura di come l’interposizione
della stessa peggiori il rapporto segnale-rumore. Il fattore di rumore non dipende dall’ampiezza del
segnale in ingesso ma dal rumore ad esso associato.
F2 1 Fn 1
F F1 ...
2 2
A1 A1 A2 ...An 1
Noi abbiamo due possibilità di progetto. Posso considerare un filtro (a guadagno unitario in banda
passante) precedente ad un amplificatore. Questo mi permette di avere un rumore diminuito dovuto
al taglio del filtro. Infatti il filtro ci permette di migliorare il rapporto segnale-rumore dato che
suppongo l’energia del segnale concentrata in banda base mentre quella del rumore uniformemente
distribuita in frequenza.
Se invece utilizzo l’amplificatore e poi il filtro conviene di più perché applicando la regola ottengo
che il guadagno del filtro è sempre 1 , invece se utilizzo prima un amplificatore ottengo al
denominatore del secondo termine A2 che mi permette di far diminuire il fattore di rumore come
voglio. Ecco perché conviene amplificare e poi filtrare.
F 1 F 1
1. Filtro – amplificatore F * F1F 2 A2 F1F 2 A F1F F2 A 1
A1F 1
F 1
1. Amplificatore – filtro F * F1 A 2 F 2
A1 A
F 1
Confrontando le due quantità verifico che F1F F2 A 1 > F1 A 2 F 2 in quanto A > 1
A1 A
LEZIONE 6. fattore di rumore e sua minimizzazione in un BJT
VDD
RC
RS vo
VS
Si considera poi il modello per piccolo segnale alle medie-alte frequenze (ecco perché c’è la
presenza delle capacità parassite) C’è poi anche una resistenza di base che sta ad indicare che il
segnale d’ingresso non è direttamente connesso alla giunzione base-emettitore.
Si selezionano dei punti particolari in cui andare ad inserire i generatori di rumore equivalenti.
Associo alla resistenza di base un primo generatore di rumore legato ad effetto termico e lo faccio
con un generatore di tensione in serie che chiamo SVb la cui densità spettrale sarà pari a:
SVb 4kTrb
Poi si considera un generatore di corrente in parallelo ad r che modella gli effetti di rumore
riconducibile alla giunzione (corrispondente nel modello a piccolo segnale proprio a r ). La
giunzione è polarizzata positivamente ed in essa riscontriamo la presenza di rumore Shot, Fliker e
Burst.
A B
S Ib 2qI B 2
f f
Avendo supposto di lavorare a medie-alte frequenze possiamo considerare trascurabili i contributi
di rumore Fliker e Burst quindi S Ib 2qI B
La giunzione collettore-emettitore è inversamente polarizzata quindi abbiamo poche cariche
presenti e allora fenomeni come generazione, ricombinazione sono probabilisticamente meno
influenti e l’unico contributo di rumore che considereremo sarà quello di tipo Shot. Si ricordi che la
corrente di collettore è beta volte maggiore della corrente di base e quindi il rumore Shot peserà di
più per la giunzione collettore-emettitore.
S Ic 2qI C
Prendo i generatori di rumore e li porto all’ingresso in modo che determinino le stesse condizioni di
rumore che impongono i generatori all’interno.
Il primo generatore immesso è in serie con la base come si vede anche nella rete interna del circuito.
Questo generatore di tensione, però, deve conteggiare sia l’effetto del generatore di tensione che era
sulla base nel modello a piccolo segnale sia il contributo dovuto al generatore di corrente presente
tra collettore ed emettitore, cioè quello che esprimeva solo il rumore shot.
In altri termini, nella parte del collettore io ho due contributi di corrente relativi sia al generatore
comandato (V gm) sia al generatore di rumore (SIc). Aggiungendo un ulteriore termine nella
caratterizzazione in termini di densità di potenza del generatore di rumore (in tensione) questo
agendo sulla resistenza r determina, di fatto, l’effetto di rumore nel collettore determinato dal
generatore di corrente. L’ulteriore tensione in ingresso deve essere tale da generare nel collettore
l’equivalente di densità spettrale di corrente pari a 2qIc.
Il nostro generatore di rumore che modella il rumore in ingresso produrrà una certa tensione vv
vv vb v
la relazione di trasformazione fra tensione in ingresso e corrente in uscita nel Bjt è tale che
i
v c
gm
passando a calcolare le potenze del segnale otteniamo che
ic2
vv vb v vb 2
2 2 2 2
gm
esprimendo le potenze in termini di densità ed imponendo le condizioni iniziali (valide cioè prima
di portare in ingresso i generatori di rumore) otteniamo che:
2qI c f
vv2 4kTR f
gm gm
I KT
Ricordando che: g m c e che VT otteniamo:
VT q
2qI c f 2qI c f 2 KT 1
vv2 4kTR f 4kTR f 4kTR f f 4kT Rb f
i i gm 2g m
gm c gm c
VT KT q
Da cui otteniamo:
vi2 1
Sv 4kT Rb che corrisponde al valore di densità spettrale di tensione prodotta dal
f 2 g m
Nel primo si presenta al variare della frequenza qual è il range in cui si può considerare la
t
correlazione bassa ed esso è al di sotto della frequenza .
f
Il secondo grafico testimonia che si può lavorare in un range di frequenze intermedio in cui non
sono più rilevanti i rumori Burst e Fliker e non lo è ancora quello prodotto dall’aliquotà di Ic che
dalla bassa passa direttamente nel collettore attraverso attraverso la capacità C. In questo range il
rumore appare con densità spettrale costante e può essere trattato come rumore bianco
Fattore di rumore in un amplificatore ad emettitore comune
Nella valutazione del rumore al rumore che interessa tutto l’amplificatore (oltre al transistor che ne
rappresenta il nucleo) è ora necessario tenere presenti gli apporti ulteriori provenienti da ciò che
circonda il transistor: il circuiito a monte (che invia il segnale) e la resistenza di collettore. Il
segnale in ingresso prodotto da un circuito a monte è portatore di un rumore che viene modellato
come termico e la cui entità dipende dalla resistenza di uscita del circuito stesso. Anche il rumore
causato dalla resistenza di collettore Rc viene trattato come rumore termico.
Nel disegno che segue sono rappresentati tutti i differenti contributi di rumore distinguendo fra
quelli legati alla rete (di amplificazione) e quello, invece, dovuto al segnale in ingresso.
Non viene rappresentata la resistenza rb (resistenza di base, in serie al generatore di tensione che
modella il rumore termico della resistenza di base) che pure entrerà a far parte successivamente dei
calcoli.
SI 2qI B
SVRC 4kTRC
( )
SAVo = SV × ( gm RC ) + SI × éë RS rp × gm RC ùû + SVRC
2 2
SSVo = SVS × ( gm RC )
2
A partire dalla formula per il calcolo del fattore di rumore inseriamo le espressioni dei generatori
equivalenti:
Avendo già proceduto a semplificare tenuto conto che non c’è r perché soccombe nel parallelo con
RS ed avendo provveduto a dividere tutto per (gm RC)2.
Si procede poi con ulteriori semplificazioni tenendo in conto che:
I KT I
˗ g m c ; VT ; I b c mi consento di riscrivere il rapporto
VT q
2qI b RS2 q I c RS 1 I c RS g m RS
ottenendo quindi:
4 KTRS KT 2 VT 2 2
˗ trascuro il termine con Rc dato che Rc*gm>>1 ottenendo alla fine la relazione:
Per esempio potrei far sì che il mio nuovo RS sia r in modo da ottenere l’adattamento rispetto alla
impedenza d’ingresso del bjt che è proprio r e così farò passare tutta la potenza.
I
Considerando che r B e che g m r sostituendo i valori nel calcolo della figura di rumore
VT
g r r 1 3 1 1
ottengo: F 1 m b rb g m
2 r 2 g m r 2 2
Ovvero che non può essere più piccola di 3/2.
In termini di Figura di Rumore=1.7dB.
Bisogna, allora, cambiare strategia.
L’idea è quella, innanzitutto di calcolare il valore ottimo di Rs tale da minimizzare il fattore di
rumore: viene calcolata la derivata del fattore di rumore considerando Rs come incognita e la si
pone =0.
gm 1 1 2 1
F ( RS ) 2 rb RSOpt rb 1 2 g m rb
2 RS 2g m gm 2g m g m
da cui andando a sostituire ricaviamo il valore minimo della figura di rumore
1 2 g m rb
FMin 1
F
che scopriamo dipendere direttamente da g m rb
A sua volta si dimostra che
I
g m rb C ovvero risulta proporzionale alla corrente di collettore diviso l’area di emettitore ovvero
AE
risulta proporzionale ad una densità di corrente.
Cerco allora di aumentare l’area di emettitore (a parità di fattori e g m ) in modo da definire il
valore di densità di corrente che riduca al minimo la figura di rumore.
Troviamo dunque per la FMIN un grafico in funzione della densità di corrente che risulta essere il
seguente:
Il grafico è molto esplicito sull’esistenza per la FMIN di un minimo che abbiamo chiamato Fo , si
nota inoltre che Fo è in corrispondenza di un valore ottimale per la densità di corrente che abbiamo
chiamato (IC / AE) OPT .
Operando attraverso la rete Loss Less perseguendo il solo obiettivo di minimizzare la figura di
rumore ho ottenuto un valore di Rs sicuramente diverso da r e non riuscendo così a perseguire
l’altro importante obiettivo che è l’adattamento
Per cui l’unica cosa che posso fare è cambiare l’impedenza d’ingresso del bjt (e non quella della
rete loss-less) per farla coincidere con quel valore di Rs che ha minimizzato la figura di rumore .
Deve essere una metodologia di modifica che però non introduca altro rumore. Devo per forza
lavorare nel bjt senza introdurre ulteriori sorgenti di rumore( non posso pensare di utilizzare un’altra
rete loss-less perché questa mi crea adattamento in ingresso ed uscita senza fonte di rumore però
non mi minimizza il fattore di rumore!). Per non introdurre rumore dovrò lavorare con l’aggiunta di
induttanze e capacità all’interno dell’amplificatore.
LEZIONE 7. linee di trasmissione, trasporto, Coefficiente di
rifl., Return loss, Ros
Quando si alza il livello di frequenza delle semplici linee di connessione diventano quelle che si
chiamano “linee di trasmissione” con una certa impedenza caratteristica Zo. Queste linee, cioè, non
sono più dei semplici cortocircuiti. In tali casi le linee rispondono elettricamente come dei
componenti reattivi e quindi il modello circuitale si complica poiché si introducono altri elementi in
serie e parallelo alle resistenze.
Una linea di trasmissione registra le variazioni di tensione e corrente lungo la sua lunghezza e
quindi anche l’impedenza Z.
Una linea di trasmissione può essere disegnata a “parametri concentrati” con induttanze e capacità
che rappresentano le variazioni nel tempo di corrente e tensione.
L’impedenza equivalente alla sezione non è più coincidente con la resistenza dipendente in modo
lineare dalla lunghezza del tratto di linea percorso. Piuttosto dipenderà anche dalle fasi
rispettivamente di corrente e tensione: alla parte reale di impedenza si aggiunge una parte
immaginaria. Questo fatto provoca un meccanismo di riflessione per cui all’onda incidente seguirà
un’onda riflessa. In tal caso, non vi è dissipazione di potenza legata alle perdite ma riflessione di
potenza che è ben diverso come meccanismo fisico.
Lunghezza d’onda efficace
Parametro importante è la lunghezza d’onda efficace da confrontare con la lunghezza del filo per
determinare il modello fisico-matematico da usare.
0
eff
con 0 lunghezza d’onda nel vuoto e costante dielettrica del mezzo
Costante di propagazione
Considerata una linea di trasmissione, si definisce la costante di propagazione
j
in cui α è una costante di attenuazione, indice delle perdite nella linea, e β è una costante di fase,
definita come:
2
eff
La costante di propagazione ha una parte reale legata esclusivamente alle perdite ed una parte
immaginaria legata alla variazione di fase, cioè al movimento in linea di trasmissione.
Onda di tensione e onda di corrente
Si presentano poi la tensione e la corrente come somma di onda progressiva e regressiva.
V ( z ) V e z V e z
I ( z ) I e z I e z
In ciascun punto sia la corrente che la tensione sono determinate dal doppio contributo di un onda
incidente ed un onda riflessa transitanti.
Si è optato per una rappresentazione fasoriale delle onde anche se si deve tener in conto che il
fasore è “nascosto” all’interno di j
L’ impedenza del carico rappresentata dal rapporto fra tensione e corrente sul carico ci dà la
condizione al contorno del circuito.
V
ZL
I z l
Per calcolare l’ impedenza d’ingresso Zi si sfrutta il trasporto dell’impedenza di carico lungo la
linea di trasmissione lunga l.
Ricordando la definizione di tangente iperbolica:
senh e x e x
tanh
cosh e x e x
attraverso una serie di manipolazioni si calcola il valore della resistenza di ingresso della linea come
trasporto del carico lungo la linea stessa:
V ( z) Z L Z 0 tanh( l )
Zi Z0
I ( z) z 0
Z 0 Z L tanh( l )
Nel caso di assenza di perdite con α=0 e j la tangente iperbolica diventa trigonometrica
Z L jZ0 tan( l 2 eff )
Zi Z0
Z 0 jZ L tan( l 2 eff )
(in realtà Z0 è l’impedenza caratteristica della linea e non la resistenza di uscita della linea come
indicato dal disegno precedente)
Nell’ulteriore ipotesi di frequenza di lavoro bassa riscontriamo che
2
eff l l 0
eff
con la conseguenza che le due tangenti si annullano e Zi = Zl.
Utilizzando questa rappresentazione non avere perdite vuol dire che, nella seguente formula, R=0 e
G=0:
R jL
Z0
G jC
La linea non peserebbe sulla connessione tra i due morsetti di ingresso e di carico.
Rappresentando la linea equivalente di quella di trasmissione si trova il legame tra impedenza
caratteristica e resistenza, conduttanza, induttanza e capacità presenti lungo la connessione. Se R e
G sono nulle e quindi non ci sono perdite allora la impedenza caratteristica si esprimerà come:
L
Z0
C
Sono dette linee loss-less. Rimangono così solo i termini reattivi. E non si ha più dipendenza dalla
frequenza dato che si semplifica.
Ecco perché si vogliono linee a perdita nulla perché le perdite comportano rumore termico.
Data una certa impedenza d’ingresso generica possono occorrere due semplificazioni. La prima è
che se non ci sono perdite e cioè alfa è nullo e quindi la tangente da iperbolica diventa reale. E poi
se la frequenza è bassa allora Zi = ZL perché la tangente va a 0. E’ come se la linea di trasmissione
non esistesse più e ci fosse direttamente il carico ZL.
Questa prima semplificazione è possibile farla dal punto di vista della propagazione dei segnali,
cioè quella di approssimare le basse perdite a 0. Ma non è possibile attuare la stessa semplificazione
dal punto di vista del rumore. Anche se la resistenza è bassa il rumore indotto è comunque da tenere
in conto.
Pincidente
Noi vorremmo che entrambi fossero nulli per massimizzare la potenza trasferita al carico. Ma
ricordiamo che tale condizione è raggiungibile solo per una determinata frequenza: volendo
perseguire un adattamento per una definita larghezza di banda viene considerato adattato un circuito
che nella banda di interesse presenta un coefficiente minore di 0,3.
Return loss
Si usa come parametro anche il return loss che indica quanto l’onda riflessa è attenuata rispetto
all’incidente. E’ presentato con l’uso del logaritmo.
P
RL 10 log r 10 log 20 log
2
Pi
Portare a 0 il coeff. di riflessione è fattibile solamente ad una sola frequenza. Mentre noi dovremo
trattare segnali con una certa banda di frequenze.
ROS
Un altro parametro è il VSWR (Voltage Standing Wave Ratio) spesso noto anche come ROS
(Rapporto d’Onda Stazionaria): si definisce come il rapporto fra i moduli del valore massimo e
minimo della tensione sulla linea
V MAX 1
ROS
V MIN 1
Di seguito nel grafico si illustra l’andamento del ROS in funzione del coefficiente di riflessione.
Quando gamma è nullo il ROS è unitario. All’aumentare dl gamma che è compreso fra 0 ed 1 la
funzione diverge.
Adattamento e fattore di rumore
Abbiamo anticipato come sia fondamentale l’uso di reti loss-less che, interposte tra antenna e
amplificatore, trasformano la Rs dell’antenna in una resistenza tale da minimizzare il fattore di
rumore.
Però può accadere che tale resistenza non sia tale da garantire il massimo trasferimento di potenza
al bjt che ha un’impedenza d’ingresso disadattata rispetto a questa.
E allora dicemmo che l’unico modo per garantire ciò era cambiare l’impedenza d’ingresso del bjt
di modo da garantire tale massimo trasferimento di potenza. Questo problema di adattamento
diviene molto importante quando ho livelli di potenza bassi.
Il fatto che una potenza torni indietro (mancato adattamento) è problematico per l’antenna perché
potrebbe attivarla e generare un campo elettromagnetico di interferenza nell’etere.
LEZIONE 8. Adattamento, fattore Q, Coefficiente di riflessione,
carta di Smith.
Adattamento.
La rete interposta per l’adattamento è senza resistori poiché non vi devono essere fonti di rumore.
Avremo solo componenti reattive quindi. Vengono presentate tre reti di adattamento con capacitori
e induttori segnalati dalla JX che può essere disposta a pigreco o a T o ad L. Meno spesso si fa uso
di trasformatori d’impedenza che cambiano l’impedenza. Queste sono soggette a maggiori perdite
ecco perché sono meno utilizzate.
Vi sono reti di matching all’ingresso e uscita per amplificatori a singolo transistore. I rettangolini
presenti rappresentano tratti di linea di trasmissione (in cui per conoscere l’impedenza c’è bisogno
di trasportare). Molti dei dispositivi integrati presenti sono montati a surface mount e cioè avremo
dei chip con delle areole metalliche sottostanti che si vanno a legare con la pasta conduttrice
presente sulla board. Oppure prima venivano praticati dei forellini sulla board in cui inserire le linee
di connessione del chip.
In questo senso, anche realizzare delle linee di connessione tra circuiti non è una tecnica affidabile
perché piccoli errori di lunghezza dei fili possono comportare grandi variazioni di risposta elettrica
delle linee di connessione e quindi cambiamenti nelle funzioni che deve avere il circuito stesso.
Si vede poi un esempio applicativo.
Supponiamo di dover realizzare un tipico adattamento di un elemento circuitale attivo ad una
impedenza d’uscita di una certa antenna che è pari ad R1.
Dobbiamo cioè convertire R2 in R1 tramite il circuito d’adattamento per avere il massimo
trasferimento di potenza.
Ipotizziamo che R2 sia maggiore di R1. Mettendo in parallelo ad R2 un elemento puramente reattivo
cambierò la parte reale e immaginaria dell’impedenza vista da R1.
Diminuiamo R2: è posto un capacitore in parallelo. Si ottiene così una impedenza che ha parte reale
che vogliamo rendere pari ad R1 ed una parte immaginaria.
1
R2
jC R2 R2 R22 C
Z i ( j ) j
R2
1
1 jR2 C 1 R2 C
2
1 R2 C
2
jC
Possiamo agire solo sul parametro C e lo facciamo rendendo la parte reale proprio pari ad R1.
R2 R R 1 1 1
R1 C 2 22 2 1 2 2 2 C
1 0 R2 C 0 R2 R1 0 R2 R1 0 R2 0 R2 R1
2
Poi inseriamo un induttore in serie per annullare la parte immaginaria dell’impedenza. Ovviamente
si considera 0 un parametro fisso di progetto e quindi lo possiamo considerare costante.
o R22C 1
o L L R1 R2
1 (o R2 C ) 2
o
Prima di tutto calcoliamo l’impedenza equivalente in ingresso alla nostra rete loss-less attraverso il
metodo operatoriale (impiegando la trasformata di Laplace). Per calcolare Zi (s),nel nostro caso
abbiamo la resistenza R2 in parallello con il capacitore ed entrambi in serie con la induttanza.
1
Applicando la trasformata di Laplace (capacitore = ; induttore = sL ) otteniamo
sC
1 L
R2 LC s 2 s 1
Cs R2 R2
Z i ( s) Ls Ls R2
1 1 R2 C s 1 R2 C s
R2
Cs
1
Sostituendo s con j riconosco immediatamente un polo per P mentre al numeratore
R2 C
ottengo il polinomio:
L
1 j LC 2
R2
1
Si tratta di un polinomio che comporta una coppia di zeri alla frequenza z1, 2 n .
LC
Infatti nel caso di un polinomio del tipo
2 2
1 j
n n2
la regola del calcolo dei poli e degli zeri vuole che in corrispondenza della frequenza n ci sia un
aumento di pendenza pari a 40 db. ( come se a tale frequenza risultassero due zeri reali coincidenti).
Per quanto riguarda l’impatto della (zita), detto anche coefficiente di smorzamento, si dimostra
che è responsabile di picchi di risonanza in prossimità della pulsazione n alle seguenti condizioni:
il picco risulta sempre più pronunciato per 0. Per =1 il coefficiente non ha impatto sul
normale andamento del diagramma. Di seguito si riporta un diagramma elaborato nel caso in cui il
polinomio in questione sia al denominatore. Nel nostro caso il risultato andrà RIBALTATO
=1
Risulta dal grafico che alla frequenza di lavoro, a cui abbiamo assegnato un valore fisso durante
tutti i nostri conti, l’ impedenza risulta pari ad R1.
In rosso la curva così come dovrebbe essere disegnata con un polo in p1 che determina una
inclinazione di -20 db. In concomitanza della pulsazione la sottoelongazione determinata dal
coefficiente di smorzamento , la coppia di zeri che annulla l’inclinazione negativa e ne determina
una positiva a + 20 db.
RIMANE MISTERIOSO IL MOTIVO PER CUI LA FREQUENZA DI LAVORO COINCIDA
CON QUELLA DELLA COPPIA DI ZERI…
Forse l’assunto che si fa è il seguente: sono partito da un valore di resistenza più alto R2 e sto
cercando di abbassarne l’entità. Lo faccio impiegando una rete (che è di tipo risonante)ed otterrò
alla frequenza di lavoro definita un valore di R2 più basso coincidente proprio con il minimo valore
possibile per quel circuito di adattamento risonante. Per questo quando adatto ad una determinata
frequenza di lavoro attraverso un circuito risonante sono sicuro che sto facendo in modo che alla
frequenza di risonanza del circuito di adattamento venga vista l’impedenza necessaria
all’adattamento.
Spostandoci da tali frequenze ci discostiamo dal valore della R1. Possiamo discostarci molto o poco.
Infatti, come abbiamo già detto, un buon adattamento non lo si ha solo per Γ= 0 come coefficiente
di riflessione. Possiamo anche discostarci da questo sotto una certa soglia di sicurezza.
Il fattore Q.
Il fattore di qualità Q pari alla metà dell’inverso di (zita, coefficiente di smorzamento)
corrispondente, quindi a
1 R2
Q
2 R1
è anch’esso espressione diretta del rapporto fra le due resistenze da matchare e mi dà l’idea, con un
andamento opposto a quello di zita, di quanto è larga o meno la campana del grafico di Q.
Più che essere un fattore di qualità è un fattore di non-qualità. Nel senso che più è elevato, più la
curva sarà piccata e quindi stretta e con meno tolleranza ad adattare in un intorno della frequenza di
adattamento. Come detto è approssimabile al rapporto fra l’impedenza che deve essere matchata e
quella che dobbiamo trasformare per l’adattamento.
Si constata che più piccolo è il fattore di qualità e più ampio è il range in cui c’è adattamento.
Quindi più distanti in valore sono le due impedenze( cioè ) minore sarà il range di
adattamento e più alto è Q.
2
Z L Z 0 tan Z L Z 0 tan
4 Z 4 Z Z 0 Z 02
Z in Z 0 Z0 L
2 Z0 Z L Z L
0
Z 0 Z L tan Z 0 Z L tan
4 4
Per cambiare la Z0 se ho un cavo coassiale posso lavorare sul materiale dielettrico tra calza ed
anima sfruttando la relazione:
Z 0 Z in Z L
Se ho una pista metallica lavoro sulle dimensioni geometriche di quest’ultima per esempio la
larghezza.
Si considera una linea di trasmissione con carico finale ed una sorgente riformulata attraverso un
equivalente di Thevenin con generatore di tensione e resistenza serie.
Individuiamo subito due sezioni d’interesse a cui bisognerà fare l’adattamento e cioè quella subito
dopo il generatore e quella subito prima del carico ZL.
Calcolo l’espressione della tensione di ingresso con la regola del partitore
Z in
V ( z ) z z VG
Z G Z in
in
Posso poi trovare anche l’espressione della corrente di ingresso dividendo la tensione per l’
impedenza caratteristica.
Vin
I ( z ) z z I in 1 in
1 in
in
Z0
Si ricava poi il valore della potenza di ingresso con le opportune sostituzioni.
Pin
1 VG2
8 Z0
1 in
2
Insertion loss
Ricordando che il return loss è definito come
P
RL 10 log r 10 log 20 log
2
Pi
viene definito l’Insertion Loss come la differenza fra potenza incidente e riflessa normalizzata
all’incidente espressa in decibel:
P Pr
IL 10 log i
10 log 1 in
2
Pi
Sinossi finale
A questo punto risulta interessante confrontare nei rispettivi range di variazione alcuni fra i
differenti indicatori presentati. In particolare Γ, Return Loss e VSWR (Voltage Standing Wave
Ratio) spesso noto anche come ROS (Rapporto d’Onda Stazionaria di tensione):
da notare come il return loss ed il Ros abbiamo andamenti opposti al crescere di Gamma
Carta di Smith
2Im ( z )
x
1 Re ( z )2 Im2 ( z )
Manipolando la prima equazione riferita alla parte reale ottengo un fascio di circonferenze legate al
parametro r. Ciascuna circonferenza cioè esprime nel piano complesso (piano in cui si trova
gamma) il luogo dei punti di gamma a cui corrisponde un impedenza con parte reale costante = r
Tutte le circonferenze sono tangenti nel punto (1,0) alla retta ΓRe=1. Più mi avvicino al punto (1,0) e
progressivamente incontro circonferenze espressione di una parte reale dell’impedenza associata
crescente.
Muoversi su una delle circonferenze a parte reale costante significa variare la parte immaginaria
solamente del coefficiente di riflessione (PROFONDAMENTE SBAGLIATO!!!)
Facendo variare il coefficiente di riflessione su una determinata circonferenza a parte reale costante
dell’impedenza associata significa che dell’impedenza associata sta variando la sola parte
immaginaria
Manipolando la seconda equazione ottengo due fasci simmetrici di circonferenze legate al
parametro x. Ciascuna circonferenza cioè esprime nel piano complesso (piano in cui si trova
gamma) il luogo dei punti di gamma a cui corrisponde un impedenza con parte immaginaria
costante = x.
In questo caso i fasci sono tangenti nel punto (1,0) alla retta Im 0
Anche in questo caso più mi avvicino al punto (1,0) e progressivamente incontro circonferenze
espressione di una parte immaginaria dell’impedenza associata crescente.
Interessante il caso in cui la parte immaginaria risulti nulla: le circonferenze avranno raggio che va
all’infinito e si “schiacceranno” sull’asse delle ascisse.
Muoversi sulle circonferenze a parte immaginaria costante vuol dire che sta variando solo la parte
reale dell’impedenza associata. A seconda che la parte immaginaria sia maggiore o minore di zero
posso comprendere la natura del contributo reattivo dell’impedenza associata:
sto sopra(x > 0) significa che la reattanza dell’impedenza associata è di tipo induttivo
sto sotto (x < 0) significa che la reattanza dell’impedenza associata è di tipo capacitivo
Il discorso fatto per l’impedenza può essere equivalentemente affrontato con l’ammettenza. Il piano
della
0 gamma sarà ribaltato a sinistra come mostrato.
Nella figura finale della carta di Smith finale con ammettenze e capacità si nota come seguendo la
linea tratteggiata aggiungere una capacità in parallelo voglia dire far variare la parte immaginaria
dell’ammettenza. Mentre per l’impedenza z cambia sia la parte reale che quella immaginaria.
LEZIONE 9. Carta di Smith, Filtri LNA
Conclude la problematica dell’impiego della carta di Smith per la realizzazione di reti di
adattamento.
Nell’impiego di reti loss less, utilizzando solo reattanze mi muovo solo lungo le circonferenze con
parte reale costante. In base al fatto che tali reattanze siano collocate in parallelo o in serie al carico
valuto se impiegare la carta delle Ammettenze o quella delle Impedenze.
Esempio di adattamento
Problema: ho una linea di trasmissione con impedenza caratteristica Z0 che termina su un carico con
valore di impedenza normalizzata pari al valore A = 0,7
Obiettivo: voglio adattare il carico alla linea cioè voglio che all’uscita della linea l’impedenza di
carico trasportata assuma valore normalizzato pari B = 1. (ovvero sto cercando di rendere il mio
carico dello stesso valore dell’impedenza caratteristica della linea di trasmissione).
Sulla carta di Smith ciò equivale a spostarsi sull’asse delle ascisse da sinistra verso destra (perché
ricordiamo che la parte reale dell’impedenza associata cresce al decrescere del raggio delle
circonferenze)
Ricordo, poi che in base a come inserisco elementi aggiuntivi (in serie o in parallelo) devo
considerare specularmente lo sviluppo delle circonferenze a parte reale costante, in base al fatto che
sita considerando il comportamento delle impedenze (figura di sopra) o delle ammettenze ( figura di
sotto)
Mi avvalgo per raggiungere lo scopo di una reter loss less di adattamento di tipo T:
1) Il primo induttore in serie mi fa muovere in senso orario (perché sto aumentando il valore
della parte immaginaria della impedenza associata) sulla circonferenza a parte reale costante
(0,7) di un arco pari al valore equivalente della sua induttanza.
3) il terzo capacitore in serie realizza nuovamente una rotazione in senso orario nel piano iniziale
delle circonferenze a parte reale costante
Problematica: a volte gli archi da descrivere potrebbero essere troppo grandi ovvero richiedere
valori di impedenze e capacità troppo grandi per le dimensioni del circuito che sto realizzando.
2) Realizzo una rete Less Loss (senza perdite) che agganciata al mio generatore equivalente
(antenna + linea di trasmissione) abbia come resistenza di uscita proprio Rs-ott.
3) Ora scatta l’adattamento vero e proprio: prima sono intervenuto per realizzare una determinata
resistenza di uscita di un generatore.
A questo punto, quindi devo rendere il mio amplificatore/carico uguale a Rs-ott in modo che risulti
adattato. In questo modo rendo la linea completamente adattata e tutta la potenza del generatore
entra nell’amplificatore.
Per intervenire sulla resistenza di ingresso dell’amplificatore considero (per semplificare) che in
partenza ho Rb (la resistenza in base): aggiungendo un induttore in emettitore
Nel modello equivalente per piccolo segnale eliminiamo r perché nel paralello con C non da
contribuiti avendo supposto di lavorare a frequenze elevate:
1 1
r //
j C j C
La resistenza in ingresso è per definizione data dal rapporto
v
Zi I
iI
jLE iI gmv iI RB iI
1 1 1
vI iI RB v vE iI RB iI jLE iI g miI
jC jC jC
gm 1
iI RB iI LE jiI LE
C C
v g 1
Z i I RB LE m j LE
iI C C
g
Definendo la quantità m T Volendo rendere la parte reale dell’impedenza di ingresso pari a Zopt
C
porrò la relazione:
Z RB
Re Z i I RB LET Z opt LE opt
v
iI T
me ne ritroverò, quindi, l’effetto in termini di riflessione in base della resistenza di emettitore ed
avrò ottenuto la modificazione desiderata della parte reale dell’impedenza dell’amplificatore
(ovvero Re[Zamplificatore] = Rs-ott).
Con un ulteriore induttore in base ottengo l’eliminazione del contributo immaginario ovvero
Zamplificatore = Rs-ott.
Un buon LNA possiede una bassa cifra di rumore (come 1 dB) ed un guadagno abbastanza grande
(come 20 dB). Per ottenere un rumore sufficientemente basso, bisogna produrre un'amplificazione
al primo stadio abbastanza consistente. Vengono quindi utilizzati, in genere, transistor come JFET o
HEMT, impiegati in un regime ad alta intensità di corrente, che non è efficiente dal punto di vista
economico, ma permette di ridurre la quantità relativa di rumore shot.
A questo punto potrei avere due diversi effetti: o il segnale raggiunge l’antenna e viene trasmesso
disturbando la frequenza o in concomitanza di qualche discontinuità della linea (che è adattata in
forward e non in back) può essere ulteriormente riflesso, rientrare nell’amplificatore e generare
rumore.
Soluzione amplificatore Cascode:
primo stadio (Q1) emettitore comune, secondo stadio (Q2) base comune. La base in comune
consente di scaricare a terra il segnale che dal collettore torna indietro attraverso la capacità C .
Altra ipotesi è quella di impiegare un amplificatore differenziale il cui guadagno in reverse è
talmente basso da neutralizzare il tono di modulazione del mixer.
La frequenza di transizione (frequenza per la quale il valore del guadagno diventa unitario) è, come
nel caso dei Bjt , dipendente dagli elementi capacitivi secondo la seguente relazione.
gm g
t m
2CGS CGD 2CGS
Mosfet e rumore
- Rumore termico della Gate che, realizzata in polisilicio, costituisce un fattore resistivo al
passaggio di corrente.
˗ Rumore di canale:
o Rxumore termico (il canale è pur sempre una resistenza) e di un rumore fliker.
o Rumore Fliker è dovuto a quanto accade all’interfaccia fra il canale e l’ossido di
silicio. Il reticolo molecolare dell’ossido è più chiatto con capacità di esercitare forze
rilevanti all’interfaccia, capaci di fa apparire livelli energetici trappola all’interno del
bandgap.
Adattemento e cascode
Operiamo nello stesso modo in cui abbiamo fatto per i BJT. Scegliamo una topologia cascode e
impieghiamo un induttore in emettitore ed un in base per adattare in ingresso.
Un filtro LRC sul collettore dello stadio a base comune garantisce l’adattamento in uscita.
Seguono indicazioni qualitative sul comportamento in termini di guadagno di un tipo LNA a Mosfet.
Criteri realizzativi
Preferenza per la tecnologia MOS.
Utilizzo di configurazioni circuitali semplici.
Minimizzazione dell’uso di resistori.
Selezione di componentistica di qualità.
Scelta di circuiti accordati ad elevata amplificazione.
Implementazione di una rete di adattamento.
Utilizzo di alimentazioni a basso voltaggio.
1 modello con resistenza in emettitore
Vantaggi Svantaggi
Il coefficiente di riflessione in tensione alla Elevata figura di rumore
porta di ingresso S11 è costantemente pari a -40
db: è adattato ad ogni frequenza
Guadagno a banda piatta in un ampio range di Di difficile realizzazione
frequenze
2 modello con induttanza in emettitore e generatore di corrente ideale
3 modello con induttanza in emettitore + cascode + generatore di corrente ideale
4 modello con induttanza in emettitore + cascode + generatore di corrente a specchio
5 modulo con induttanza divisa su più componenti
Vantaggi Svantaggi
Bassa figura di rumore Adattamento selettivo
Di facile realizzazione Guadagno selettivo
Rumore di intermodulazione.
Abbiamo visto come quando gli amplificatori lavorano fuori linearità si crea un problema di
distorsione del segnale. In caso di amplificazione non lineare la funzione di trasferimento a cui fare
riferimento diventa:
o a1 i a 2 i2 a3 i3 ...
Supponiamo di ricevere nel tratto di banda ricevuto numerosi canali contigui in frequenza. Può
accadere che le frequenze spurie provenienti da altri canali si sovrappongano a quella fondamentale
che si deve ricevere.
Se il segnale d’ingresso fosse un solo canale (rappresentato da una sinusoide alla frequenza ω1) non
avremmo problemi di distorsione alcuna, perché le componenti spurie che genererebbe la funzione
di trasferimento non lineare cadrebbero tutte fuori banda utile.
I problemi nascono invece quando ci sono più canali contigui . Vediamo qualcosa in dettaglio e
consideriamo due sinusoidi (toni), aventi appunto frequenze prossime e uguale ampiezza per
semplicità:
i Ai cos1t Ai cos2 t
Quando questo somma viene amplificata ogni coefficiente della funzione di trasferimento dà luogo
a componenti spurie di varia frequenza secondo lo schema:
a1 ω1 , ω2
a2 2ω1 , 2ω2 , (ω1 + ω2), (ω1 - ω2)
a3 ….., (2ω1 - ω2) , (2ω2 - ω1), …
Come si può notare le uniche componenti che cadono in banda sono dovute ai coefficienti di ordine
dispari. Di fatto a1 è il mio segnale a2 è filtrato e a3 sono le spurie che posso trovare in banda.
Spesso nel considerare questi effetti ci si ferma al termine di terzo grado, poiché quelli di grado
superiore hanno livelli di potenza decrescenti, si parla allora di spurie del terzo ordine.
Distorsione di intermodulazione IM3
Un parametro che tiene conto dell’effetto di interferenza della terza armonica rispetto alla frequenza
fondamentale è IM3 cioè il coefficiente di intermodulazione di 3 armonica.
IM 3 20 log o1 Ao1 dB Ao 3 dB
A
Ao 3
Esso mette a rapporto prima e terza armonica e così ho un parametro di bontà dell’amplificatore.
Come si vede dal grafico noi vorremo che l’intersezione (IP3) fra le due rette sia quanto più a destra
(ovvero fuori dalla banda di interesse) possibile perché, quando avviene l’intersezione, vuol dire
che c’è una condizione critica di interferenza tra le due armoniche.
La relazione che lega i due indici:
IM 3
IP3 Ai dB
2
ci informa che IP3 è il valore che dovrebbe assumere il segnale di ingresso per avere IM 3 nullo.
Questo parametro ci informa indirettamente su quanto l’LNA sia immune alla intermodulazione.
Punto di compressione a 1 db (P1db)
Un altro parametro è il punto di compressione ad un decibel. Esso ci dice che il guadagno di
POTENZA dell’amplificatore non è costante e che all’aumentare della potenza del segnale
d’ingresso il guadagno si riduce. Quando scende di un decibel abbiamo un punto particolare detto
punto di compressione.
Moltiplicatore
Questa componente si occupa di traslare in frequenza un segnale in ingresso, ad esempio, tramite
una moltiplicazione dei segnali.
Moltiplicatore con amplificatori logaritmici
Un’ipotesi di implementazione potrebbe consistere nell’impiego di due amplificatori logaritmici che
in ingresso ricevono ciascuno un segnale ed in uscita confluiscono in un sommatore. Ho ottenuto la
somma di due logaritmi e quindi il prodotto degli argomenti. Se poi sfrutto la relazione del diodo
che è di tipo esponenziale ottengo un prodotto come volevo perché esso preleva l’ingresso che è un
logaritmo di un prodotto e lo mette all’esponente del suo termine esponenziale e quindi esce il
prodotto.
X A.L
1 .
+ exp Y = (X1 X1)
A.L
X .
1
Attenzione a non sottovalutare l’importanza (in vista dell’esame) del moltiplicatore analogico che
non coincide con il Mixer. Il Mixer è un tipo di moltiplicatore, ma non ne esaurisce la casistica.
E quindi nello spettro d’uscita troveremo la somma delle frequenze, la differenza e anche le singole
frequenze e altri termini dovuti a problemi di distorsione. I termini aggiuntivi non voluti in generale
saranno più attenuati rispetto a quelli voluti. Ovviamente maggiore è l’attenuazione delle
componenti non desiderate meglio funziona il sistema (tale caratteristica si misura in rapporto in
decibel fra le differenti componenti).
Errori di feedthrough sono errori dovuti al fatto che frequenze dei segnali di ingresso passano
direttamente all’uscita. Sono generalmente legati ad errori di polarizzazione del circuito. Per
risolvere tale problema bisogna bilanciare gli amplificatori del differenziale, cioè renderli
perfettamente simmetrici.
Ci sono poi errori di non-linearità con relative armoniche di ordine superiore che possono essere
eliminate facendole contrastare fra loro in segno con dei circuiti accordati.
Vx
Problemi:
˗ Vincolo sull’ampiezza del segnale in ingresso: deve essere > 0,6 V;
˗ La corrente deve avere segno positivo (al fine di garantire la regione di funzionamento attiva
diretta che consente di mantenere la relazione desiderata fra le grandezze).
In generale anche il segnale vx che controlla gm sarà positivo: in questo modo ho ottenuto un sistema
moltiplicatore cosiddetto ad 1 quadrante in quanto i segnali in ingresso dovranno essere vincolati ad
assumere valori positivi.
Opzione a due quadranti:
Posso però pensare di applicare il segnale di ingresso fra le due basi di due bjt e quindi quando la
Vx è positiva funzionerà il bjt di sinistra e non quello di destra mentre quando è negativa avverrà il
contrario.
E’ l’equivalente di un
generatore di corrente
controllato in tensione
Si ha così una configurazione a 2 quadranti (considero anche il semiasse negativo delle vx). Invece,
la vy sarà sempre positiva perché, se non lo fosse, avremo che il bjt che funziona da generatore di
corrente non risulterebbe più attivo. Per comprendere la dipendenza della corrente di collettore dal
segnale di ingresso si può considerare il modello per piccolo segnale con generatore di corrente
controllato in collettore ic = gm* v con v = vi.
Con questa configurazione avrò ottenuto anche vantaggi in termine di reiezione del modo comune
della vx contrastando alcuni effetti di feedtrough. Ciò sarà tanto più vero quanto effettiva sarà la
simmetria (tecnologica, di polarizzazione, di condizioni ambientali) dei due BJT
Configurazione a 4 quadranti e CELLA DI GILBERT
Però io vorrei usarne 4 di quadranti e allora esce fuori uno schema un po’ più complesso. Abbiamo
4 transistori npn. Questi sono connessi ad un sotto-circuito differenziale con 2 bjt. Il segnale vy è il
segnale che può essere negativo o positivo per far funzionare uno dei due bjt. Poi c’è sempre vx che
fa funzionare il lato sinistro o quello destro. Le uscite di collettore sono legate ai due resistori. Ora
possiamo sfruttare tutti e 4 quadranti.
Si notino i tre tipi di cortocircuito presenti fra i quattro BJT del primo livello:
˗ Gli emettitori sono cortocircuitati a coppie
Cella di Gilbert
Realizzando un focus sul nucleo di questo circuito denominato Cella di Gilbert così come
esemplificato nel disegno che segue
Assunzioni: suppongo eguali i coefficienti di corrente di saturazione inversa perché i bjt sono uguali,
così anche vT e dato che il nodo di emettitore è in comune allora scriverò un solo pedice per le ,
cioè solo B. Suppongo eguali F perché i bjt sono polarizzati alla stessa maniera.
VBE 1
ic1 I S1e VT
VBE 2
ic 2 I S 2 e VT
Come detto assumendo che i transistori sono stati realizzati attraverso lo stesso processo
tecnologico nel fare il rapporto fra le due correnti posso semplificare IS1 e IS2
VBE 1
VBE 1 VBE 2
ic1 e VT
VBE 2 e VT e VT
ic 2
e VT
poiché i bjt hanno l’emettitore in comune e lavorano alla stessa temperatura:
VBE 1 VBE 2 Vid
iC 1
e VT e VT
iC 2
aggiunto un unità ad entrambe i membri dell’equazione:
Vid Vid
iC 1 i i
1 e VT 1 C1 C 2 e VT 1
iC 2 iC 2
Posso scrivere che per entrambe i BJT iC F iE con F
1
Vid
i F iE 2
Vid
iC 1
1 e 1 F E1
VT
e 1 VT
iC 2 F iE 2
Supponendo i due transistor polarizzati nella stessa maniera avrò e di conseguenza uguali.
F i E1 i E 2 i E1 i E 2
Vid
eV 1
T
F iE 2 iE 2
Ma iE1 iE 2 I EE per il secondo principio di Kirchhoff perché entrambe gli emettitori confluiscono
nel nodo a cui è collegato il generatore di corrente. Posso riscrivere allora:
Vid
I EE I EE I EE
e 1 i E 2 Vid
VT
iC 2 Vid
iE 2 VT
e 1
VT
e 1
VBE 2 VBE 1 Vid
i
Riproponendo lo stesso calcolo a partire dal rapporto: C 2 e VT
e VT
otterrò alla fine che
iC 1
I EE
iC1 Vid
VT
e 1
Calcolo ora la differenza fra le correnti:
VVid V
id
I I 1 1 e e VT
T
iC1 iC 2 V EE V EE I EE V V I EE Vid V
VT
id id
VT
id id
id
e 1 e 1
VT
e 1 e 1
VT
2e e
VT VT
2
2VVid Vid
VVid V
id e e
2VT 2VT e e VT
2V T 2
e T e T
V
iC1 iC 2 I EE I
Vid Vid EE 2
VT 2Vid
V
id
V
2e e
VT
e T e 2VT
V
realizzo una sostituzione di variabile: x id che mi consente di riconoscere immediatamente a
2VT
presenza della tangente iperbolica:
e x e x e x e x
iC1 iC 2 I EE I EE tanh x
e x e x 2
riconducendomi al valore di x e inquadrando il circuito differenziale come parte della cella di
Gilbert
Quello appena fatto in tecnologia bjt lo possiamo ripetere in tecnologia mosfet con un singolo o
doppio bilanciamento.
Adesso dobbiamo capire come utilizzare la cella di Gilbert uscita per arrivare a definire un prodotto.
vO K v X vY
Innanzitutto ci vorrà un circuito che converte linearmente la corrente in tensione perché noi per ora
stiamo prelevando solo la corrente da quanto appena visto. E questo è facile da fare. Vogliamo che
sia lineare perché la corrente deve essere proporzionale alla tensione d’uscita altrimenti aggiungo
altri problemi alla realizzazione. Poi ovviamente dovrò trovare un legame non lineare che mi
permette di estrapolare la tensione presente nella tangente iperbolica.
LEZIONE 11. mixer reiezione di immagine e sfasatore.
Come ottenere una relazione lineare attraverso l’impiego della cella di Gilbert fra i sue segnali in
ingresso?
v
Ricordiamo che in uscita alla cella di Gilbert si ha: io F i x tanh Y
2VT
INGRESSO 1
Vy
Utilizzo la cella di Gilbert come impianto fondamentale per ottenere la modulazione del segnale in
ingresso.
Vy sarà il segnale generato internamente, mentre il segnale a radiofrequenza sarà quello entrante in
ingresso 2. Ho bisogno però di un sistema che trasformi la tensione in ingresso in segnale di
corrente.
Allo scopo viene impiegato un sistema differenziale con resistenza in emettitore che assicura una
relazione definita fra tensione e corrente del tipo: guadagno differenziale pari a
g m1,2
i RF i RF 1 i RF 2 v RF
1 g m1,2 RE
Riuscendo a svincolarmi dai parametri tecnologici dei transistor se gm o Re sono grandi, realizzando,
V
di fatto , una relazione i RF RF
RE
vY
io F i x tanh
2VT
v LO
iIF F iRF tanh
2VT
ottengo il prodotto di due funzioni coseno il cui valore è calcolato in base alla formule di werner:
cosA cosB = 0,5 (cos(A-B) + cos(A+B)) ovvero:
2 avendo indicato IF RF LO
i IF i o *
ARF cos(IF t )
ed avendo considerato filtrata la componente di frequenza somma.
Dalla i0 ottengo infine la vIF (vIF2-vIF1) corrispondente al prodotto vIF = RLi0 avendo scelto identiche
le due resistenze di collettore RL
La fase si conserva
Qualora l’informazione del segnale fosse contenuta nella fase e questa fosse presente nel segnale a
radio frequenze in ingresso otterremmo al termine dello stesso processo moltiplicativo un nuovo
segnale a frequenza pari alla differenza delle due frequenze con la stessa fase del segnale RF
ARF cosIF t M (t ) RL
2 g m1,2
v IF
1 g m1,2 RE
A cos IF t M (t )
2 RL
v IF
RE RF
Supereterodine
Con un oscillatore interno regolabile posso ottenere un processo di sintonizzazione sui differenti
canali in banda facendo traslare il segnale di interesse all’interno di un unico filtro fisso operante a
basse frequenze evitando di costruire tanti filtri ad alte frequenze di difficile realizzazione e poco
affidabili.
Frequenza immagine
La frequenza immagine è la frequenza a cui viaggia una delle componenti del segnale di ingresso ed
ha valore:
IM 2LO RF
Per un segnale a tale frequenza infatti il prodotto per il segnale interno del mixer determinerà una
traslazione alla stessa frequenza a cui è stato traslato il segnale principale a frequenza
IF RF LO
RF LO IF
2 LO RF IM IM LO 2 LO RF LO LO RF IF
v IF , I KARF cos IF t kAIM cos( IF )t KARF cos IF t kAIM cos IF t K ARF AIM cos IF t
Aggiungo ora l’effetto dello sfasatore ricordando che cos x sin x :
2
v IF , I K ARF AIM sin IF t
Per quanto riguarda VIF ,Q ricordando che ora oscillazione interna valee ARF sin LO t e che la
formula di werner prevede come risultato del prodotto di seno e coseno una somma di seni (ma con
la frequenza del seno come prima a cui sottrarre quella del coseno: noi invertiremo e cambieremo
segno al secondo seno) otteniamo:
Anche in questo caso si procede alla eliminazione delle componenti a frequenze elevate, si
considerano le stesse relazioni in frequenza per definire IF e si tiene in conto che questa volta il
seno è funzione dispari, per cui , sin( IF t ) sin IF t , per cui si potrà scrivere:
A questo punto la somma dei due segnali attraverso il sommatore ottengo il valore:
v IF , I 2 KARF sin IF t
Sfasatore
Nel mixer è presente uno sfasatore a 𝜋/2. Solitamente, si preferisce utilizzare due sfasatori. Uno a
/4 e l’altro a -/4. In una versione semplificata gli sfasatori sono due circuiti RC
E si verifica se la differenza di fase fra le due funzioni coincida proprio con /2.
Sommatore
Tale circuito realizza la somma o la differenza di due segnali in ingresso. In tal caso, .
Se , allora il guadagno è unitario e ci restituisce la somma dei segnali.
Se, invece, inverto le connessioni collegando Q1 a Q3 e Q2 a Q4 allora ottengo la differenza.
LEZIONE 12. Moltiplicatore, oscillatore
Obiettivo della lezione: illustrare come si realizza un moltiplicatore che mantenga la relazione
lineare fra prodotto dei segnali in ingresso e segnale di uscita qualsiasi sia l’ampiezza (per ampia
dinamica) dei segnali di ingresso. Compensa la distorsione introdotta dalla cella di Gilbert con una
pre-distorsione del segnale di ingresso
Inciso: la moltiplicazione fra due segnali nel tempo coincide con la loro correlazione che a sua
volta è una convoluzione. Il calcolo a volte complesso di un prodotto di convoluzione può essere
risparmiato nel caso si decida di procedere con il calcolo dello spettro di energia (o densità spettrale
di energia
Nel caso di segnali perfettamente sinusoidali. Ci vengono incontro le formule di Verner che
consentono di calcolare il prodotto di due segnali senza passare per la convoluzione
Moltiplicatore
Vorremmo ottenere un moltiplicatore analogico che realizzi nel tempo il prodotto fra due segnali:
V0 (t ) k V X (t ) VY (t )
impiegando sempre la cella di Gilbert la cui caratteristica ricordiamolo è:
V
i0 i X tanh Y
2VT
Abbiamo sempre il problema di rendere lineare il rapporto fra la corrente di uscita e il prodotto di
corrente e tensione in ingresso. Ma bisogna sciogliere il nodo della tangente
e x e x
tanh x x x
e e
per linearizzare la tanh posso rendere logaritmico l’argomento. Per far questo esprimo la tensione in
ingresso alla cella di Gilbert in termini di relazione diodica tensione/corrente facendo in modo che
questa sia effettivamente controllata da due transistor montati a diodi
V
i
A partire dalla caratteristica di un diodo: i I S e VT
ovvero: V VT ln ottengo la Vy come
IS
differenza delle VBE5 e VBE6 ovvero:
i y1 iy2
v y VT 1 ln VT 2 ln
I S1 IS2
se i due transistor operano alla stessa temperatura posso scrivere:
i y1
i i y2 I S1
v y VT ln
y1
ln
VT ln
I S1 IS2 i y2
IS2
se i due transistor sono stati prodotti con lo stesso processo tecnologico posso scrivere:
i
v y v BE5 v BE 6 VT ln Y 1
iY 2
Inserendo questa vy nell’argomento della tanh della formula della cella di Gilbert ottengo:
i y1 i y1
VT ln VT ln
iy 2 iy 2 i y1 iy2
vy e 2VT
e 2VT iy2 i y1 i y1 i y 2
tanh
2VT VT ln
i y1
VT ln
i y1
i i i y1 i y 2
i y2
i y2 y1
y2
e 2VT
e 2VT i y2 i y1
ixiy F
io F (i x i y )
iY 1 iY 2 I BY
vY
iY
F RL
RY
vo v v
x y
v RY R X IBY
iX x
RX
Oscillatore
L’argomento degli oscillatori consiste nello studio di quelli che sono i generatori di segnale. Ad
esso non sarà applicato alcun ingresso ma avrà sicuramente un’uscita da un punto di vista
sistemistico. E’ un circuito intrinsecamente non-lineare. Esso è disposto in una zona del sistema di
ricetrasmissione che è adibita all’elaborazione del segnale d’ingresso.
Generalmente per gli oscillatori si parla di segnali sinusoidali con ampiezza, pulsazione e fase. Però
non sono esclusi segnali periodici con altre forme come a dente di sega, a triangolo e così via. Gli
oscillatori che provvedono a generarli sono detti “armonici”.
Ampiezza, pulsazione e fase tanto più sono stabili nel tempo e migliore è l’oscillatore. Un
parametro che si valuta del segnale prodotto è la purezza spettrale ossia la quantità di frequenze che
affiancano quella centrale sottoforma di armoniche superiori, disturbi ecc. Altro è il rumore di fase
che consiste nella variabilità della fase nel tempo a cui è associata in frequenza l’allargamento della
banda del segnale attorno a quella centrale.
Esistono molti tipi di oscillatori. Un esempio è l’oscillatore ad anello usato come sorgente di clock
per valutare il tempo di propagazione della singola porta logica in cascata.
Guardiamo al sistema “oscillatore”. Per approcciare il problema si può usare o il modello a
retroazione positiva o ad ammettenza negativa. Essi descrivono approssimativamente ciò che
dobbiamo progettare. Noi usiamo quello a retroazione positiva.
Abbiamo detto che l’oscillatore non ha ingressi a meno dell’alimentazione esterna. Consideriamo
però come punto di partenza per la nostra analisi un sistema retro azionato positivamente con
ingresso che si somma alla retroazione. Ricaviamo il legame ingresso-uscita che sarà:
Ora ritorniamo alla nostra idea di oscillatore. Non vogliamo avere l’ingresso ma voglio un’uscita
diversa da 0. Se I è nullo allora l’uscita è nulla a meno che il termine che moltiplica I(s) non è
infinito. E allora deve accadere che:
Ed ecco che, per i nostri fini, deve esistere almeno una s tale che sia soddisfatta l’equazione. Dato
che siamo nel campo complesso essa impone due condizioni e cioè sul modulo e sulla fase:
Abbiamo visto come sia possibile modellare matematicamente un oscillatore tramite un sistema a
retroazione positiva oppure ad impedenza/ammettenza negativa. Noi abbiamo scelto per il momento
di introdurre la prima modellazione. Abbiamo anche visto che per ottenere un oscillatore sottostante
ai nostri fini bisogna soddisfare le due condizioni necessarie ma non sufficienti del criterio di
Barkhausen. Soddisfare a tale criterio vuol dire quindi implicitamente trovare i poli della funzione
di trasferimento H(s) vista nella lezione precedente. Per gli oscillatori non è molto corretto parlare
di poli in quanto si tratta di circuiti non lineari, nonostante ciò, in prima approssimazione, essi
possono essere visti come sistemi aventi poli complessi. Se supponiamo di avere dei poli complessi
e coniugati allora, sul piano complesso, essi saranno posizionati sull’asse immaginario il che vuol
dire che il segnale oscillante ha ampiezza costante stabile. Se sono a parte reale positiva ci troviamo
nel semipiano positivo della parte reale e l’ampiezza del segnale oscillante ha un aumento indefinito,
mentre sull’altro semipiano vi sarà una decrescita fino all’annullamento dello stesso.
Potrebbe però succedere che soluzione del criterio sia un segnale ad oscillazione nulla. Nel senso
che se noi abbiamo a che fare con una piccola oscillazione, data la stabilità del sistema, allora essa
rimarrà piccola. Ecco che allora noi vorremmo che dopo un primo transitorio l’oscillazione
aumentasse in ampiezza il che ci porta a dire che i poli delle funzione di trasferimento devono
essere necessariamente a parte reale positiva. In tal modo, io garantisco una utilizzabilità del
segnale. Questo vuol dire che il sistema non rispetta più il criterio di Barkahausen perché diventa
intrinsecamente instabile a causa di questi poli a parte reale positiva. E allora, dato che il segnale
non può aumentare indefinitamente, vuol dire che dopo questo meccanismo si deve innescare un
sistema di autoregolazione del segnale che mi riconduce al soddisfacimento del criterio di B.
(s)
I(s) U(s)
Vi troviamo un operazionale in configurazione non invertente con retroazione RC parallelo e serie.
Abbiamo un primo blocco che amplifica dato dall’operazionale il cui guadagno per definizione sarà
R
dato da A 1 2 . Il morsetto a cui è applicato il segnale è il morsetto non invertente.. Il fattore
R1
Beta è dato dal partitore di impedenza su Zs e Zp.
(s)
Quindi dovrò rendere Beta un numero reale e cioè eliminare la parte immaginaria presente al suo
denominatore. Esiste allora una sola pulsazione per cui accade ciò che è 1/RC. Abbiamo dunque
verificato il primo criterio. Ma contemporaneamente deve valere anche il secondo criterio che sarà
soddisfatto solo se R2=2R1.
La frequenza d’oscillazione attorno alla quale si è verificata la condizione di Bar. possiede un certo
grado di incertezza.
Infatti, come mostra il grafico alla slide 12 abbiamo una sorta di campana attorno al valore trovato
che testimonia proprio di quanto detto. Si cerca sempre di restringere la campana in modo da avere
una maggiore selettività in frequenza.
Se io cerco di variare il legame tra R2 ed R1 l’ampiezza del segnale d’uscita subisce notevoli
modifiche nel tempo proprio poiché ci allontaniamo dalla condizione di B. che garantisce stabilità
in ampiezza. Cioè sto introducendo una non-linearità. Se abbiamo una A minore di 3 quello che
vedo dal grafico è che l’oscillazione cala in ampiezza fino all’azzeramento. Mentre, viceversa, se ho
una A maggiore vi è un aumento indefinito dell’oscillazione.
Ritornando alla nostra intenzione iniziale, noi vogliamo un circuito che agisce in due fasi distinte.
Una prima nella quale vi è un aumento continuo del segnale in ampiezza grazie ad una componente
non-lineare. Una seconda nella quale questo aumento viene paralizzato da un sistema di
autoregolazione interna( a sua volta non-lineare) che, visto sul piano complesso, significa riportare i
poli dal semipiano positivo all’asse immaginario e quindi “stabilizzare” il sistema.
Una delle possibili soluzioni consiste nell’introduzione dei diodi nel sistema.
La resistenza R2 è stata, appunto, modificata. Se il segnale Vo è molto piccolo verrà introdotta una
corrente nei diodi tale da non accenderli. Quindi il sistema si tramuta in un amplificatore
operazionale non invertente. Se la corrente è più alta sono invece attivi i diodi che faranno da
resistenze equivalenti in parallelo che abbassano il guadagno di tensione dell’operazionale.
Quindi la prima fase: R2>2R1 ( sistema instabile) con diodi spenti aumento dell’ampiezza del
segnale. Seconda fase: l’aumento è tale da far circolare una corrente nei diodi che li attiva e questo
comporta una diminuzione crescente del guadagno dovuta alle resistenze in parallelo comparse con
essi. Questo perché i diodi attivati non sono ideali cortocircuiti ma delle vere e proprie resistenze
che avranno un peso sul guadagno dell’amplificatore.
La diminuzione sarà tale che arriverò ad un punto di stabilità tramite cui ricado nelle condizioni
poste dal criterio di Barkhausen.
Altri modelli
Abbiamo visto che come modello per un oscillatore si può usare anche quello ad
impedenza/ammettenza negativa.
Un primo modello semplice di oscillatore che viene considerato è una cella LC la cui frequenza di
La frequenza del segnale è data da . Per quanto riguarda la pulsazione di risonanza non si vuole
che questa sia unicamente determinata dall’anello LC e quindi sarà anche il a determinarla.
Oscillatore Colpitts
Una possibile realizzazione del blocco beta è mediante due condensatori posti in condizione di
partitore.
Facendosi i conti la pulsazione di risonanza risulta dipendente dagli elementi circuitali C1 e C2,
quindi dal , come si vede:
C1 C2
o
C1C2 L
.
Oscillatore LC parallelo
Si prende poi in considerazione un oscillatore LC parallelo. Abbiamo la cella LC con una resistenza
di perdita RLC inserita all’interno di un amplificatore differenziale.
I due capacitori C1 e C2 ci consentono di non riportare le componenti continue sul circuito. Nel
nostro intento di annullare le perdite bisogna mettere in parallelo ad Rlc una impedenza negativa
capace di ciò.
Se l’impedenza vista ai morsetti di interesse è proprio pari all’impedenza negativa che annulla Rlc il
Il terzo termine è relativo alla corrente dovuta al bjt. Si noti che nelle formule scritte dopo per
trovare la si fa uso della relazione già trovata alla slide 12 del settimo gruppo di slide.
Risposta ad eventuali domande su questa formula suscritta: l’ 1/2 compare perché si sta calcolando
la relativa solo al ramo destro o sinistro che sia affiancato dalla vo.
Il segno meno davanti al terzo termine compare perché nella formula originaria è contemplata una
e non come l’abbiamo scritta noi. Quindi, essendo la corrente legata alla tensione
in modo proporzionale ed essendo la tangente una funzione dispari allora il meno esce fuori e si
ottiene quel termine.
Il guadagno in termini di derivata della corrente rispetto alla vo per =0V viene calcolato quando
il segnale è piccolo e quindi la tangente può essere approssimata al suo argomento. Se poi la vo
cresce ga decresce fino alla stabilità dovuta alla compensazione delle perdite.
Capacità parassite
La frequenza di oscillazione dipende da Ct e da L poiché abbiamo eliminato la resistenza di perdita
tramite il guadagno.
Però nella capacità si tengono in conto anche quelle parassite esterne. C’è una capacità dovuta a C
messa da noi, poi metà di quella fra collettore e substrato( metà perché sono in parallelo le due
capacità parassite dei due bjt a loro volta in parallelo e quindi il parallelo di due capacità mi dà la
metà di una sola).
Ho poi la capacità C del bjt( c’è la metà sempre perché abbiamo due bjt in parallelo). Le C sono
in serie e quindi c’è il 2 davanti(la base di un bjt è collegata al collettore dell’altro).
Queste capacità sono a loro volta variabili in base alle tensioni e quindi posso avere problemi di
stabilità per la pulsazione di risonanza.
Posso cercare di introdurre capacità grandi per trascurare i contributi di quelle parassite però se le
scelgo grandi avrò basse frequenze di risonanza e questo è un problema.
N
LEZIONE 14. VCO, Filtri.
Utilizzando il modello dell’impedenza negativa realizziamo un oscillatore in cui in ingresso alla
cella risonante un circuito differenziale assicura una resistenza negativa che ne bilancia le perdite.
Si tratta di una impedenza negativa variabile a forte componente non lineare. Il segnale nell’arco del
proprio periodo di oscillazione varia di intensità e quella che realizzerà nel tempo non sarà quindi
una sinusoide perfetta. In questo passaggio si gioca il collegamento fra variazione di ampiezza e
comportamento spurio in frequenza: la sinusoide prodotta, che varia in ampiezza nel suo sviluppo
temporale, risulterà distorta e presenterà, quindi, dei contribuiti spuri in frequenza.
La cella RLC, comunque, è di per se un filtro e la parte distorta del segnale viene filtrata
consentendo di aver in uscita un segnale spettralmente più puro.
Per pulire ulteriormente la forma d’onda si può migliorare la selettività della cella risonante,
intervenendo sul fattore Q, ovvero riducendo l’entità delle resistenze parassite di L e di C.
Modificare la frequenza della pulsazione di un oscillatore
Per ottenere un oscillatore a frequenza variabile si interviene sulla capacità da cui dipende la
frequenza di risonanza. Un modo per realizzare una capacità varaibile prevede l’impiego di un
diodo contropolarizzato la cui capacità equivalente dipende dalla tensione applicata secondo la
legge:
La tensione applicata sulla capacità dell’oscillatore non si configura come segnale in ingresso bensì
di controllo. In assenza di tale segnale si parla di pulsazione di free running.
Si cerca di perseguire il più possibile un rapporto lineare tra tensione applicata e pulsazione
definendo un range di valori di tensione applicata entro il quale la linearità del rapporto è conservata.
Il fattore di qualità di un circuito cresce nel caso di realizzazioni integrate che prevedono l’impiego
di processi maggiormente controllati e standardizzati.
Se si persegue una qualità ancora maggiore si deve adottare un differente principio realizzativo: si
utilizza come dielettrico nel condensatore non un elemento passivo (dotato di una propria epsilon
caratteristica...) bensì un materiale che risponde meccanicamente alle sollecitazioni elettriche in
ingresso: un materiale piezoelettrico (in cui campo di tensione e campo di pressione sono
mutualmente inducibili).
Si realizza un condensatore all’interno del quale viene inserito il materiale piezoelettrico,
applicando una determinata tensione varia la pressione e il volume del mateirale cambia la
capacità e si determina una retroazione sulla tensione applicata. C’è una certa inerzia /sfasamento
fra l’azione (applicazione della tensione) e la retroazione (variazione della tensione) questo tipo di
oscillatore può garantire un fattore di qualità dell’ordine di 106-108. Di fatto l’azione di un
piezoelettrico può essere modellizzata attraverso un circuito elettrico del tipo:
di cui si calcolano i valori di capacità e induttanza equivalente ottenendo anche un corrispettivo del
comportamento filtrante in frequenza.
Introducendo quindi un oggetto del genere in un circuito differenziale otteniamo oscillatori con
purezze spettrali molto elevate grazie all’elevato fattore Q.
Filtri
Filtrare un segnale è un obiettivo fondamentale in vista del miglioramento del rapporto segnale
rumore. Filtriamo per eliminare la parte spettrale del segnale che non ha contenuto informativo
ottenendo, in questo modo, la riduzione del valore della potenza del rumore (che solitamente ha
supporto infinito in frequenza) e il consequenziale miglioramento del rapporto segnale rumore.
Dal punto di vista circuitale la realizzazione di un filtro è significativamente diversa se lavoriamo a
basse, medie o alte frequenze.
[Inciso: Un induttore lo realizziamo con un filo avvolto in più spire sfruttando la legge di Faraday
per la quale una corrente variabile che scorre in un avvolgimento genera un campo che se si
concatena al conduttore stesso genera un ulteriore corrente autoindotta. ]
Utilizziamo componenti elettronici solo a medie-basse frequenze.
Per questo nel nostro modello di sistema ricetrasmittente pur rappresentando con lo stesso simbolo i
filtri alle differenti frequenze (facendo riferimento ad un identica funzione svolta) facciamo
riferimento, in realtà a circuiti completamente differenti fra loro:
˗ S = Non posso pensare di avere subito dopo la frequenza di taglio l’attenuazione attesa. Ho
necessariamente un intervallo di frequenza prima che il segnale raggiunga la frequenza
per la quale si realizza l’attenuazione attesa.
˗ P - S = Zona di transizione
˗ Selettività = pendenza nella zona di transizione = P/S . Valore massimo della selettività è
“1”
Riferendoci al tema dei filtri si parla anche di tecnologie che si occupano della loro realizzazione.
Noi ci occuperemo principalmente di filtri analogici. Un primo esempio può essere dato dall’uso di
induttanze e capacità come visto nei circuiti precedenti. Abbiamo riscontrato un problema a questo
proposito in quanto, per basse frequenze, i componenti circuitali diventano ingombranti. Altra
possibilità è rappresentata dai filtri attivi(??) e cioè elementi composti da non solo componenti
passivi ma anche da, per esempio, amplificatori operazionali.
Questi ultimi vengono per lo più impiegati a basse-medie frequenze perché gli operazionali
frequenze elevate hanno un comportamento molto distorcente (banda corta + slew rate).
Particolari configurazioni di questi ultimi possono simulare un comportamento induttivo. Altri sono
i circuiti a capacità commutata e cioè con essi si cerca di simulare comportamenti resistivi con
elementi puramente capacitivi.
Un mondo a parte è quello concernente i filtri digitali. In realtà con filtraggio digitale si intende una
elaborazione numerica su streaming digitali.
Nella fase di progettazione di un qualsiasi filtro ci si deve predisporre a considerare come
imprescindibili le specifiche di progetto commissionate. Tenute presenti, si può scegliere quale
approssimazione( filtro Butterworth, ellittico, Chebyschev ecc.) fare per essere quanto più vicini al
loro soddisfacimento. Dopodiché scelgo la tecnologia di realizzazione. Ed infine quali valori dei
componenti e quali tolleranze dei componenti circuitali ammettere.
Qualsiasi funzione di trasferimento associata ad un filtro può essere approssimata ad un rapporto di
polinomi. Chiamiamo N l’esponente più alto dell’incognita al denominatore. N definisce l’ordine
del filtro.
Si mostrano di seguito vari tipi di filtri che approssimano certe caratteristiche desiderate della
funzione di trasferimento.
Vari filtri
Il primo è quello alla Butterworth. Esso è un filtro passa-basso detto anche “massimamente piatto”.
Questo ha la caratteristica di non presentare oscillazioni nella banda passante(ecco perché
massimamente piatto). Il modulo della funzione di trasferimento dipende dal coefficiente N che, al
suo aumentare, fa incrementare la pendenza della curva di trasferimento come si vede dal grafico.
Si può anche fare una rappresentazione in piano polare dei poli della funzione di trasferimento. Il
settore angolare che separa due poli contigui è pari a . Essendo il filtro stabile i poli sono
N
collocati sul semipiano sinistro della funzione di trasferimento, hanno cioè tutti parte reale negativa.
Altro filtro passa-basso è quello Chebyschef. Esso è caratterizzato da una maggiore selettività
rispetto al Butterworth e per essere descritto necessita di due distinte equazioni prima e dopo la
frequenza di taglio:
1
T ( j ) per p
1 cos N cos 1
2 2
p
1
T ( j ) per p
1 2 cosh 2 N cosh 1
p
A seconda che l’N è pari o dispari parto con una attenuazione o con un incremento dell’ampiezza
della funzione di trasferimento. In banda passante sono però presenti oscillazioni e all’aumentare di
N queste aumentano a loro volta. A seconda che ci si trovi prima o dopo la pulsazione di taglio
cambia il modello analitico a cui fare riferimento.
Filtri del primo e del secondo ordine
Abbiamo detto che un qualsiasi filtro può essere rappresentato da una funzione di trasferimento.
Inoltre, l’ordine del polinomio al denominatore di essa coincide con l’ordine del filtro stesso.
I ORDINE II ORDINE
a1 s a 0
H (s) a2s 2 a1 z s a0z2
s 0 Qz
H (s ) K
s 2 p s p2
Qp
I coefficienti al numeratore sono fondamentali perché al loro variare varia il tipo di filtro che
abbiamo. In particolare, una funzione di trasferimento del secondo ordine può rappresentare tutti i
tipi di filtro di nostro interesse. Ciò non è vero invece per una funzione di trasferimento del primo
ordine.
Un filtro del primo ordine può essere realizzato semplicemente con una coppia resistore-capacitore.
Mentre un filtro del secondo ordine con amplificatori operazionali, con capacità e resistenze.
Riconosciamo però che usare l’amplificatore operazionale a volte è un azzardo perché ad alta
frequenza o con segnali ad ampiezza grande comporta un significativo scostamento dal
comportamento ideale che gli attribuiamo.
Segue tabella per i filtri del secondo ordine in cui al variare dei coefficienti del polinomio al
numeratore cambia il tipo di filtro:
a2s 2 a1 o Q s ao o2
H (s ) K
s 2 o Q s o2
Passa-Alto 1 0 0 s2
H (s ) K
s 2 o Q s o2
Passa- 0 1 0 H(s ) K
o
Q s
Banda s 2
o
Q s o2
Elimina- 1 0 1 s 2 o2
H (s ) K
Banda s o Q s o2
2
Passa- 1 -1 1 s 2 o Q s o2
H (s ) K
Tutto s 2 o Q s o2
Y4 Y5
Y1 Y3
-
VI + Vo
Y2
AO
Con esso si possono realizzare configurazioni passa-basso, passa-alto e passa-banda. Con
opportune elaborazioni algebriche si ottiene la funzione di trasferimento H(s).
Se scelgo al posto delle Y delle resistenze al posto della Y avrò mentre se sono condensatori
avrò .
Fattore Q
Si introduce il “fattore Q”( legato al termine di grado 1 del polinomio di secondo grado al
denominatore) che è indicativo di come si comporta la funzione attorno al valore della frequenza di
taglio e cioè quanto essa è piccata o meno(sovra elongazione).
Nel caso di un filtro passa basso con funzione di trasferimento pari a:
o2
H ( s) K
s 2 o Q s o2
si operato in modo da rendere unitario il coefficiente del termine di secondo grado. Ciò comporta
che il termine noto corrisponda al quadrato della frequenza di taglio, mentre il coefficiente del
termine di primo grado sarà pari a 0
Q
Nella precedente trattazione sui circuiti risonanti avevamo affrontato lo stesso problema giungendo
ad una forma differente di polinomio:
2 2
1 j 2
n n
in cui avevamo rielaborato i termini in modo che fosse il termine noto ad essere unitario. Ciò ci
permetteva di individuare il termine zita dal cui valore misuravamo l’entità della sovra elongazione.
Per rendere confrontabili le due espressioni moltiplichiamo la seconda per n2 :
2 j 2n n2
dal confronto diretto ricaviamo subito che
1 R2
Q
2 R1
1 R2
non dovrebbe, quindi essere esatta la formula sulle slide del prof in cui Q
2 R1
Il prof giustamente ricorda come il parametro zita consenta di valutare la sovra elongazione della
risposta al gradino nel tempo dell’uscita al sistema.
Esempi
Un’altra topologia per il passa-basso è detta “Sallen-Key”.
Abbiamo una configurazione di amplificatore non-invertente connesso ad una cella RC a reiezione
dell’uscita.
R1 RF
|VU/VI|
- (dB)
R2 R3
a
+
AO
C2 C3 Vo
Vi
(rad/s)
n
-
C2 a C3
+
AO
Vo
Vi
R2 R3
- -
C R’
+ +
AO1 AO2
Vo
Vi
C’
R
Mentre un filtro detto “ a guadagno costante” è caratterizzato dal fatto che il suo fattore di
amplificazione K coincide con 1.
Segue un filtro passa-banda stretta realizzato con una cella Sallen-Key dove la retroazione si trova
sopra piuttosto che sotto l’operazionale.
Si nota anche che invertire la posizione della “s” sull’asse delle ascisse vuol dire passare da un
passa-basso ad un passa-alto e viceversa. Un filtro passa-banda si realizza con una sequenza di
passa-alto e passa-basso.
Mentre un elimina-banda si realizza con la sequenza invertita dei due(cioè passa-basso e passa-alto).
Altro filtro è quello passa-tutto che opera non sull’ampiezza ma sulla fase del segnale (vedi circuiti
sfasatori). In particolare, in quest’ultimo, mentre la risposta in frequenza è molto ampia, quella in
fase prevede una curva molto stretta nell’intorno della pulsazione di taglio.
In linea di principio, se voglio ottenere un filtro passa-basso di ordine 4 posso pensare di progettare
un filtro del secondo ordine con in serie un altro del secondo ordine. Singolarmente hanno una
decadenza di 40db/decade. Sommati danno un roll-off di 80 db/decade.
Il problema della frequenza di taglio nelle serie di filtri (si sposta per aumento della sovra
elongazione o anche solo per l’aumento in db dello scostamento (da 3 a 6 db)
Potrei pensare di costruire blocchi uguali da mettere in cascata, però, nella pratica, farlo vuol dire
avere poi una risposta in frequenza che presenta una sovra elongazione doppia rispetto a quella del
singolo blocco attorno alla pulsazione di taglio.
E , inoltre, la frequenza di taglio si sposta rispetto a quella nominale e ciò è tanto più accentuato
quanto più aumenta l’ordine del filtro. Ecco perché non posso usare filtri tutti uguali ma devo
differenziarli.
Per risolvere infatti si cerca di sfasare la risposta in frequenza dei due blocchi così che quando
interagiscono per la generazione della risposta in frequenza totale il primo è un po’ più avanti
mentre il secondo un più indietro rispetto alla frequenza nominale e allora ritorno alla frequenza
desiderata.
Esistono delle tabelle apposite che già hanno schedati i valori dei coefficienti dei vari polinomi utili
a definire tutti i filtri passa-basso dell’ordine voluto in un’approssimazione, ad esempio,
Butterworth o Chebyscev ecc.
A partire da questi si ottengono i valori dei componenti circuitali da considerare per ottenere il
filtro desiderato. I coefficienti sono tarati anche in modo tale che gli scostamenti dalla risposta
passa-basso ideale sia di un certo valore. Infatti, considerare due filtri del secondo ordine in cascata
produce uno scostamento non più di 3db ma di 6db dal valore di guadagno massimo attorno alla
pulsazione di taglio e allora uno dei due blocchi avrà dei coefficienti tali che genereranno una
piccola sovra elongazione che riporterà a 3db lo scostamento.
LEZIONE 16. Filtri, Capacità commutate.
Dai coefficienti restituiti dalla tabella vengono ricavati i valori delle capacità e resistenze da
integrare per la realizzazione del filtro. Quindi io, conoscendo i componenti del filtro, scrivo le
equazioni in funzione delle R,C dei singoli blocchi che sono delle eguaglianze ai parametri a1, b2
ecc. i quali sono ricavabili dalla tabella di riferimento. Le risolvo e ho i valori dei componenti
circuitali. Queste equazioni avranno infinite soluzioni ed io quindi avrò gradi di libertà che mi
permettono di scegliere opportunamente i componenti.
Filtro 1
Filtro 2
Si mostra anche 1°ordine
un passa-banda del quarto ordine.
2°ordine
Filtro passatutto del primo ordine
Guardiamo alla funzione di trasferimento di un filtro passa-alto del secondo ordine generica.
Vhp (s ) Ks 2
H (s )
Vi (s )
s 2 s o o2
Q
Si tratta di un filtro passa alto che conserva le alte frequenze della funzione originaria.
1 o o
2
Vhp Vhp 2 Vhp KVi
Q s s
L’uscita è la componente di ingresso a meno una certa parte del segnale finale.
1 o o2
Vhp KVi Vhp 2 Vhp
Q s s
Dalle conoscenze analitiche sappiamo che moltiplicare per 1/s, nel dominio trasformato, vuol dire
integrare nel tempo. Nella forma dell’H(s) abbiamo che l’uscita è pari al segnale di ingresso
moltiplicato per K a cui viene sottratto il segnale d’uscita integrato prima una volta e poi due volte,
moltiplicati ciascuno per un certo fattore.
Consideriamo il sistema a blocchi. Esso sarà costituito da un nodo sommatore con due blocchi di
integrazione in cascata le cui uscite vanno in ingresso al nodo sommatore. L’uscita del nodo
sommatore è la nostra Vhp.
Se io prelevassi l’uscita dal primo blocco integratore, che è l’integrale del segnale d’ingresso, avrei
l’uscita di un filtro passa-banda in quanto è il risultato della moltiplicazione della prima funzione di
trasferimento che è un passa-alto per 1/s che mi dà un coefficiente moltiplicato per “s” al
numeratore e cioè proprio la funzione di trasferimento di un filtro passa-banda. Stesso discorso vale
per il blocco successivo. Quindi in uscita al primo blocco avrò una componente alle medie
frequenze, in uscita al secondo una componente alle basse frequenze. In questo modo posso ottenere
tutte le componenti in frequenza.
Un circuito integratore è realizzabile tramite un operazionale retro azionato tramite una capacità.
Nello schema elettrico si nota che l’uscita del primo blocco va in ingresso al polo non invertente
dato che è un operazionale invertente. Il secondo blocco inverte di nuovo il segno che diverrà
positivo e quindi l’uscita corrispettiva andrà in ingresso al polo invertente del sommatore.
Capacità commutate.
Supponiamo di avere una capacità che può commutare fra due diversi morsetti, A e B ai capi dei
quali vi sono due diverse tensioni Va e Vb. Si definisce la differenza di carica presente sul
condensatore a causa della commutazione da A a B. Quando lo switch commuta su A la quantità di
carica presente su C è pari a Q = VAC; Quando lo switch commuta su B la quantità di carica
presente su C è pari a Q = VAC. L variazione di carica su C è supposta istantanea considerando
nulla la resitenza (quindi nulla la costante RC).
Supponiamo che questa commutazione non avvenga una tantum ma con una certa frequenza f. Se
pensiamo che il periodo di switch sia pari ad un secondo allora si considererà la quantità di carica
che scorre da A verso B in un secondo che dà luogo ad una corrente IAB. Se c’è una corrente che
scorre tra A e B allora si parlerà di una resistenza equivalente tra i morsetti A e B. La corrente è
proprio pari a I = f *Q. Ma Q = V*C, poiché Req= V /I. Tale resistenza coincide con
l’inverso di f *C. In questo senso, noi possiamo controllare tramite un parametro come C o f un
elemento resistivo. Per cui posso realizzare resistenze tramite capacità commutate.
Con le capacità commutate posso inoltre realizzare filtri variabili agendo sulla variabilità della
resistenza. Non ci poniamo il problema dell’impatto delle capacità sulla funzione di trasferimento
alle alte frequenze perché siamo comunque a medie frequenze per via dell’impiego degli
operazionali.
LEZIONE 17. PPL
Impiego del PLL (Phase-locked loop - anello ad aggancio di fase) sia nell’ambito di comunicazioni
in modulazione FM che AM
A prima vista nel caso nella ricezione della modulazione AM sembrerebbe non essere necessario il
PLL.
MODULANTE
PORTANTE
SEGNALE
MODULATO
Il comportamento in frequenza di questo processo viene analizzato con la trasformata di Fourier per
la quale ad un prodotto nel dominio del tempo corrisponde una convoluzione fra gli argomenti
trasformati. La rappresentazione spettrale della modulazione AM consiste nel riportare il profilo
spettrale del segnale modulante (a meno di qualche alterazione) a sinistra e a destra della frequenza
della portante (Nella traslazione vengono coinvolte anche le frequenze negative della componente
simmetrica a quella in banda base, che non avendo rilevanza fisica non compaiono ):
V
p
A valle di una trasmissione per recuperare il contenuto informativo presente nel segnale modulato
bisogna ricostruirne l’inviluppo.
Per realizzare tal funzione è sufficiente impiegare un circuito del tipo conversione AC- DC ed un
filtro
Ruolo del PLL nel contrastare l’effetto doppler nella ricezione di onde
Ribadendo il modo in cui nella ricezione attraverso il mixer riporto in banda base il segnale a radio
frequenza moltiplicandolo per un opportuno segnale prodotto internamente allo stesso mixer,
notiamo che la frequenza del segnale in ingresso risente dell’impatto della velocità relativa della
stazione ricevente rispetto alla trasmittente. In particolare se la ricevente si avvicina alla sorgente si
determinerà un effetto “red-shift” (aumenta la frequenza ricevuta: a parità di tempo ricevo un
numero di periodi maggiori dell’onda in ingresso). Al contrario, in caso di sorgente in
allontanamento, si avrà un effetto blue-shift con riduzione della frequenza relativa.
Tali variazioni di frequenza possono raggiungere entità dell’ordine dei kHz per velocità relative di
100km/h e necessitano di interventi correttivi per consentire un corretto processo di demodulazione.
E’ necessario quindi servirsi di un sistema che legge la variazione di frequenza in ingresso ed adatta
quella dell’oscillatore interno. Questo sistema è proprio il PLL che ha lo scopo di processare il
segnale in ingresso e generarne uno interno isofrequenziale.
Pulsazione e fase
In un moto armonico, indicata con x(t) la posizione istantanea del punto materiale in moto nel
tempo (o il valore istantaneo del segnale, ad es. la sua tensione), con A l'ampiezza del moto, con
la sua frequenza angolare (detta anche "pulsazione") e con t il tempo, la legge del moto risulta
essere:
La quantità tra parentesi a destra nella formula cioè l'argomento t + 0 del coseno, viene detta
fase del moto , mentre la sola parte 0 si chiama costante di fase oppure fase iniziale. La fase
corrisponde all’angolo percorso durante il moto, la pulsazione corrisponde alla velocità con cui tale
angolo è spazzato: sia per ragioni analitiche che fisiche è immediato riconoscere che la pulsazione
sia la derivata della fase.
Il mutamento di un moto armonico nel corso del suo svolgimento può essere descritto attraverso il
cambiamento della sua fase. A volte a cambiare può essere la componente 0
Dichiarare 0 dipendente dal tempo sembrerebbe contraddittorio: se con 0, infatti si considera un
istante iniziale fisso che funga da punto di riferimento per la descrizione dell’andamento del moto,
come è possibile che tale istante possa variare nel corso del moto? In realtà si tratta di un artificio
per poter rappresentare un moto che si scosta solo momentaneamente dalla propria regolarità e tale
scostamento viene rappresentato non in termini di mutamento occasionale di pulsazione bensì in
termini di uno slittamento della distanza dal punto di riferimento iniziale del moto. Più o meno la
stesa cosa che avviene quando si regola un orologio: non si agisce sulla pulsazione dell’oscillatore
interno ma si anticipa o ritarda il punto inziale del periodo di conteggio (di secondi, di minuti o di
ore).
Dire che varia la fase di un moto sinusoidale significa dichiarare che, in realtà, stia variando la
stessa pulsazione. In che modo, però, il cambiamento di fase ci rivela della natura del cambiamento
di pulsazione occorso?
Se la fase ad un tempo t° cambia in modo impulsivo mantenendo successivamente inalterato tale
mutamento, (processo, questo corrispondente ad una funzione gradino) ciò vuol dire che la
pulsazione ha subito un mutamento di carattere impulsivo che ha determinato una variazione del
moto rispetto ad un ideale sistema di riferimento con conseguente variazione di , componente
costante della fase (ad esempio un orologio prende un colpo, si blocca per un istante e poi riprende
a funzionare con la stessa frequenza di prima: il risultato può essere descritto indifferentemente
dichiarando che è mutata la parte costante della fase - “l’orologio va indietro di qualche secondo” -
oppure che la pulsazione ha subito una variazione di carattere impulsivo – “l’orologio si è fermato
per qualche secondo”).
Il prof a questo punto affermerebbe che in questo caso la relazione fra mutamento della parte
costante della fase e pulsazione è evidentemente coerente con la relazione esistente, dal punto di
vista funzionale, fra il gradino e l’impulso: quest’ultimo è infatti la derivata del primo così come la
pulsazione è la derivata della fase… Ma stavolta per fase si intende la parte costante della fase!!!!
Bisogna fare molta attenzione: quando dichiariamo che la fase varia con il tempo possiamo
intendere due cose in realtà:
1) il valore della fase varia al variare di t. In questa accezione corrisponde alla derivata della
fase
2) varia la pulsazione oppure varia la componente “fissa” della fase 0 al variare del tempo
(ovvero, per dirla in termini fisici, varia la legge oraria del moto).
In questa seconda accezione a noi interessa poter ricondurre, in ogni caso, la variazione della
fase descritta in termini di variazione di 0 a quella descritta in termini di variazione di .
Questo perché dal punto di vista circuitale il PLL ci fornisce un informazione sulla variazione di
0 (in realtà sulla variazione della differenza fra la parte costante di due sinusoidi messe a
confronto) che dobbiamo poter ricondurre ad una variazione di pulsazione da imporre al nostro
oscillatore controllato di modo che ritorni “in fase” con il segnale in ingresso.
Come appena visto, in realtà ad un incremento di tipo gradino di 0 corrisponde una variazione
di tipo impulsivo di .
Ma altrettanto accade, si intuisce facilmente, per altre variazioni di 0 : se 0 varia con
l’andamento di una rampa ciò significa che dovrà variare con un incremento di tipo gradino.
Se 0 varia con andamento quadratico allora dovrà variare con l’andamento di una rampa.
RIMANE LA DOMANDA: c’è una relazione fra il fatto che la pulsazione è la derivata della
fase in un moto armonico costante e il fatto che per un moto descritto dalla relazione
A cos [t + 0(t)]
il mutamento della 0 possa esser descritto dallo stesso mutamento, ma derivato, della omega?
Ovvero in che modo ‘(t)= implica che 0‘(t)= (t)
Isofrequenzialità
Due segnali sono isofrequenziali se oltre ad conservare la stessa pulsazione hanno differenza di fase
costante (non è necessario che questa sia nulla). D’altronde se la fase variasse con il tempo,
abbiamo già visto che questo si ripercuoterebbe sulla frequenza. (anche se con una mera variazione
impulsiva di uno dei due la isofrequenzialità sarebbe comunque garantita…).
Di fatto due generatori di segnali per quanto precisi siano non riescono a generare mai onde
perfettamente isofrequenziali. L’evidenza sperimentale infatti dimostra che due oscillatori collegati
ad un oscilloscopio originano sullo schermo una sinusoide bloccata (corrispondente a quella del
segnale su cui è stato impostato il trigger) e d un’altra che gli scorre sopra. Ciò dipende proprio
dalla impossibilità per due segnali di mantenere fra loro costante lo sfasamento.
Tutti gli oscillatori che si vogliono sincronizzati necessitano, infatti, di ripetuti processi di
sincronizzazione come accade ad esempio al sistema satellitare GPS che comporta sia per i
localizzatori che per i satelliti un continuo processo di risincronizzazione dei propri oscillatori
interni.
VCO
Le uscite possono essere prelevate a seconda degli scopi o su V0 (uscita dell’oscillatore controllato)
o su Vc (segnale di controllo che forza l’oscillatore all’oscillazione desiderata)
Un PLL è un sistema composto per la gran parte da circuiti intrinsecamente non lineari, come il
VCO, il comparatore di fase. Per poterne creare un modello matematico di facile manipolazione è
quindi necessario linearizzare tali componenti in un punto di riposo e studiarne un modello alle
variazioni. Per fare ciò, risulta conveniente utilizzare come variabili di ingresso e uscita
rispettivamente la fase del segnale di riferimento i e quella del segnale di uscita del VCO o. Si
studierà quindi il comportamento dei vari blocchi considerando le variazioni di fase dei segnali
rispetto a dei valori di riferimento.
Essendo inoltre il PLL un sistema in retroazione, le tecniche più adatte a descriverlo sono quelle dei
controlli automatici, in quanto permettono di combinare il funzionamento dei vari componenti in un
modello unico. Per fare ciò, è necessario applicare alle relazioni matematiche trovate la trasformata
di Laplace.
Comparatore di fase
Il primo blocco del PLL è un comparatore di fase o phase detector (PD), cioè un circuito in grado di
fornire un'uscita non nulla se i due segnali che ha in ingresso sono sfasati, ossia genera un'uscita che
è una funzione dell'errore di fase.
In versione analogica, un comparatore di fase non è altro che un miscelatore, ossia un circuito che
produce in uscita un segnale pari al prodotto dei due ingressi. Si immagini di avere due ingressi del
tipo vi Vi sin( i t i ) e vo Vo cos(ot o ) , l'uscita Vd di un miscelatore con guadagno di
conversione sarà la somma di due sinusoidi a pulsazioni pari alla somma e alla differenza delle
pulsazioni dei segnali di ingresso. Per mantenere solo la sinusoide con la pulsazione differenza, il
comparatore di fase è sempre seguito da un filtro passa-basso che elimina la sinusoide con
pulsazione pari alla somma delle pulsazioni, così quando ωi = ωo ed omettendo il termine a 2ωi:
K mViVo K VV
Vc sin( i o ) m i o sin e
2 2
cioè la tensione d'uscita è una tensione anch’essa sinuosoidale, funzione dello sfasamento tra i
segnali. Nel caso in cui lo sfasamento sia abbastanza piccolo il seno può essere confuso con il suo
argomento:
Vc (S) = KD e (S)
Vc (S) = KD e (S)F(s)
Ricordo, ora, che per un VCO è possibile trovare un range di valori per la tensione di controllo tale
che la relazione con la variazione di frequenza indotta sia lineare: K OVC (t )
Poiché abbiamo scoperto che esiste un legame di volta in volta codificabile fra variazione di
fase e variazione di pulsazione ( e ) allora posso scrivere, legando l’uscita del filtro
t
all’ingresso del VCO,
0
K OVC (t ) che nel dominio trasformato diviene
t
s 0 (S)= KO VC (s) = KO F(s) VD (s) = KO KD F(s) e (s)= KO KD F(s) [ I (s)- 0 (s)]
Da cui ricavo la funzione di trasferimento dell’intero PLL:
o (s) K o K d F (s)
H ( s) H ( s)
i (s) s K o K d F ( s)
Ho trovato un legame ingresso uscita fra la fase del segnale prodotto da VCO e la fase del segnale
di ingresso.
Mi accorgo che la funzione di trasferimento ottenuta è essa stessa a sua volta filtrante. Ad esempio
nel caso in cui F(s) sia un filtro passa basso del primo ordine, la H(s) diviene un filtro passa basso
del secondo ordine:
1 K K 1
F (s) H (s) o d
1 sRC RC s 2 s 1 K o K d
RC RC
Il PLL, quindi, nel trasformare due segnali in ingresso in una informazione sull’errore di fase
attenua di quest’ultima le componenti in alta frequenza rendendo tale variazione meno brusca e
consentendo alla stazione ricevente di gestire effetti indesiderati quali ad esempio l’effetto doppler
senza per questo perdere eventuali informazioni contenute in cambiamenti di fase desiderati come
nel caso di comunicazioni in modulazione di fase PSK
VCO possibili implementazioni:
Il criterio di Barkausen verrà soddisfatto per la parte che riguarda la fase dalla condizione:
1
essendo le capacità C1 e C2 (costituite da diodi contropolarizzati) dipendenti dalla
RC (VC )
tensione applicata Vc
2) Oscillatore Colpitts
Vc
3) oscillatore differenziale
Vc
Nella precedente lezione abbiamo ricavato la relazione tra fase del segnale vo e fase del segnale vi
di ingresso e cioè la funzione di trasferimento H(s). La catena di retroazione di demodulatore e
filtro prevedeva che in uscita si ottenesse una differenza di fasi variabile nel tempo che,
opportunamente trasformata, divenisse il segnale di controllo Vc del VCO , il quale in uscita
restituisce un segnale Vo isofrequenziale rispetto al segnale d’ingresso Vi. Demodulatore e filtro,
insieme, danno la possibilità di ottenere una differenza di fase con una componente variabile
attenuata.
1 1
Streaming di bit che si
0 0
vogliono trasmessettere
Variazione impulsiva di Vc
per garantire l’aggancio in
fase da parte di Vo
Ricordando che la variazione della fase è legata a quella della frequenza da un rapporto di
d
derivazione KVc(t ) al cambiamento della fase di tipo gradino corrisponderà un
dt
cambio di frequenza di tipo impulsivo:
avendo supposto inizialmente Vo agganciato in fase a Vi, al netto degli spike di tensione Vc si
troverà ad un valore tale da garantire l’isofrequenzialità dei due segnali.
Successivamente, per la decodifica di un segnale PSK utilizzerò un comparatore a soglia o un flip
flop a fronte di salita che conti il numero di spike generati e li traduca in flusso di dati in ingresso.
Nel caso di un segnale FSK avremo invece:
1 1
Streaming di bit che si
vogliono trasmettere 0 0
Tempo di aggancio
Alle variazioni del segnale d’ingresso sulla pulsazione e fase seguiranno i meccanismi di
generazione di segnali agganciati in fase e frequenza che però non sono istantanei e infatti ci sarà
sempre un certo ritardo (che dipende dal DF, dal filtro e dal tempo di risposta del VCO ) detto
tempo di “setling” o comunque tempo d’aggancio. Nel caso del filtro, ad esempio, un elemento di
incidenza sul ritardo complessivo. Un parametro che influisce sul tempo d’aggancio è lo slew rate
degli amplificatori operazionali impiegati (ad esempio nel filtro).
vi
Vd
DF
ω
or
VCO F(s)
or Vc
Indichiamo come asse delle ascisse la pulsazione del segnale d’ingresso i.
Vc
ωor ωi
ωa
Vista la caratteristica ad anello aperto passiamo poi a quella ad anello chiuso e rappresentiamo
nuovamente l’inviluppo di Vc sull’asse delle i.
Teniamo a mente che un oscillatore, per quanto ben fatto possa essere, non può mai generare
qualsiasi frequenza. Se, infatti, in ingresso si ha un segnale con una pulsazione abbastanza lontana
per rientrare nelle possibilità di funzionamento dell’oscillatore, allora il VCO non riuscirà a
generare un segnale isofrequenziale rispetto a quello d’ingresso.
Noi abbiamo visto che data una certa tensione di controllo Vc il VCO riesce sempre a seguire il
segnale in ingresso generando una . Ma ciò non è sempre vero per quanto detto.
Quello che si nota in questa nuova configurazione è che al crescere della pulsazione d’ingresso il
segnale Vd all’uscita del DF e quindi prima del filtraggio presenta sempre più una maggiore
componente continua sovrapposta all’oscillazione. Tale fenomeno non accadeva nel caso della
configurazione ad anello aperto. Questa parte continua è essenziale perché è quella che “controlla”
effettivamente il VCO, nel senso che è la responsabile del forzamento o “polarizzazione” che mi
garantisce in uscita dal VCO un valore ben definito di pulsazione .
All’aumentare, quindi, della i si manifesterà sempre più accentuatamente questo contributo in
continua tanto da annichilire quello dipendente dal tempo e far sì da farci avvicinare sempre più al
valore di frequenza eguale a quella del segnale d’ingresso. E allora parte continua e variabile mi
genereranno una tensione Vc di controllo per VCO tale da farmi agganciare alla frequenza
d’ingresso.
Quando si arriva al momento dell’aggancio il valore della Vc di controllo rimane costante. Ulteriori
aumenti della pulsazione di ingresso creano variazioni della componente continua della tensione di
controllo.
Vc
Inviluppo di Vc
b
ω ωor ωi
a
Su questo nuovo grafico a farfalla si nota anche che per pulsazione crescente, ad un certo punto, in
concomitanza dell’aggancio, il comportamento della Vc rispetto alla pulsazione diviene lineare e
che solo per una tensione nulla di Vc si ha che la pulsazione i coincide con quella di free-running
del VCO. La caratteristica, per una certa pulsazione alta, giungerà ad un massimo di Vc che è la
massima tensione di controllo per il VCO. E’ quel valore oltre il quale non c’è un segnale di
tensione più alto tale da farmi andare in aggancio con la frequenza di ingresso. Quindi, se io
aumento ancora la pulsazione d’ingresso ma la tensione Vc non riesce ad oltrepassare quella soglia
allora è chiaro che il VCO non riuscirà più ad agganciarsi in frequenza al segnale d’ingresso e
avviene lo sgancio.
Nella figura, in corrispondenza del cerchio rosso il PLL non è agganciato perché i segnali di
ingresso al VCO sono ancora molto rapidamente variabili e quindi non c’è assestamento verso un
valore costante della Vc di controllo tale da generarmi una tensione costante che sia in grado di
seguire la pulsazione del segnale d’ingresso.
Il ragionamento finora condotto partiva da basse e andava verso alte frequenze però può anche
essere fatto facendo il percorso inverso, cioè partendo dalle alte frequenze e andando verso le basse.
In questo caso, io partirò da un valore di pulsazione in cui ho aggancio di fase e quindi già mi trovo
in una condizione di stabilità della componente continua forzante l’oscillatore VCO. Decresce la
pulsazione e giungo ad un valore minimo oltre il quale il VCO riceve una tensione di controllo Vc
negativa che non è sufficiente riesce a generare una pulsazione coincidente con quella dell’ingresso.
– C: campo di cattura
– M: campo di mantenimento
Il valore medio di tutti questi impulsi è pari proprio alla differenza di fase.
Questo demodulatore è costituito da una porta XOR. Nel senso che genera un livello basso quando i
due segnali di ingresso sono eguali mentre ne genera uno alto quando sono in opposizione. Il
massimo, ad esempio, lo si avrà quando l’opposizione è massima ossia pari a .
Si presenta poi la caratteristica del demodulatore con flip-flop SR. Questo agisce invece su segnali
di ingresso di tipo impulsivo.
Infine, altro demodulatore è quello fase-frequenza con circuito a pompa di carica. Questo è
costituito da due flip-flop connessi in uscita ad una porta AND che comanda il segnale di reset di
entrambi. L’arrivo di un segnale alto su vi porta D su A del primo flip-flop. Ora possono avvenire
due fenomeni: o l’uscita B è bassa e quindi la porta AND darà luogo a 0 e quindi l’uscita A rimane
ad 1 e B a 0( in questo senso, l’uscita A rimane alta per un tempo corrispondente al ritardo tra i due
impulsi vi e vo), oppure B era anch’essa ad 1 e quindi la AND darà in uscita 1 che mi resetta
l’uscita sia A che B a 0. Queste due uscite pilotano gli interruttori che caricano e scaricano un
condensatore C. Quindi, se A è alto e B e basso allora il condensatore si carica ed il suo tempo
livello di carica rappresenta la distnza di fase fra i due impulsi mentre quando A e B sono stati
resettati a 0 la capacità rimane carica. Nell’ambito di un perido, quindi, la capcità torna a caricarsi
tante volte quanti sono i fronti di risalita del del segnale di ingresso. Al termine del periodo la
capacità avrà raggiunto un livello che è indice del diuty cycle del segnale.
la capacità C rimane flottante e si scaricherà automaticamente.
Da cui, Vc varierà in base ai tempi di carica e scarica del condensatore. Se il tempo di carica è
molto piccolo rispetto a quello di scarica allora la capacità è mediamente scarica o comunque Vc è
approssimabile a 0V. Quindi più è alto il tempo di carica e più è alto il valore a cui sta mediamente
Vc il che significa che maggiore è la corrispondente distanza temporale(sfasamento) tra i due
impulsi Vi e Vo. In questa maniera, abbiamo effettivamente una proporzionalità tra sfasamento e
tensione Vc( da non confondere con la Vc dell’oscillatore controllato).
Vediamo come si comporta il PLL in presenza di rumore di fase del segnale in ingresso.
Innanzitutto caratteriziamo l’uscita del PLL in termini di potenza quando in ingresso ho solo rumore
(sostanzialmente sto caratterizzando il modo in cui il PLL tratta il rumore in ingresso).
Innanzitutto data la banda del segnale d’ingresso Bi centrata in 0, il rumore, n(t), a cui faremo
riferimento è quello relativo alla stessa banda di riferimento del segnale d’ingresso. Questo perché
vogliamo fare un rapporto segnale-rumore e allora la banda dei due deve essere la stessa.
Questo rumore, rappresentato come additivo, è a banda stretta e posso rappresentarlo attraverso le
sue componenti in fase ed in quadratura: sono le componenti in fase e quadratura del segnale passa-
basso equivalente traslate in banda (si aplica una formula per noi sconosciuta):
n(t ) nc (t ) cos(o t ) ns (t ) sin( o t )
Se in ingresso al PLL ho solo rumore allora in uscita dal demodulatore ho la moltiplicazione fra il
segnale Vo in uscita dal VCO e il rumore additivo n(t).
Vdn (t ) K mVo cos(o t o ) nc (t ) cos(o t ) ns (t ) sin( o t )
Avendo supposto il PLL agganciato (stessa frequenza fra vo(t) e n(t) e non considerando i termini a
frequenza somma, perché filtrati successivamente) otteniamo l’espressione:
Vdn (t ) m o nc (t ) cos o (t ) ns (t ) sin o (t )
K V
2
2
K V
Vdn (t ) m o nc (t ) 2 cos 2 o (t ) ns (t ) 2 sin 2 o (t ) 2nc (t )ns (t ) sin o cos o
2
2
La media della somma la scriviamo come somma delle medie essendo di fronte ad un’operazione
lineare. Poi, essendo statisticamente indipendenti le variabili nc,ns e o allora trasformo la media
del prodotto nel prodotto delle singole medie.
2
K V
Vdn (t ) 2 m o nc (t ) 2 cos 2 o (t ) ns (t ) 2 sin 2 o (t ) 2nc (t ) ns (t ) sin o cos o
2
Il doppio prodotto va via essendo la media del coseno e del seno nulle. Soma di seno e coseno al
quadrato danno risultato unitario. Inoltre per il rumore a banda stretta si ha che:
n(t ) 2 nc (t ) 2 ns (t ) 2
Si ottiene dunque l’espressione della potenza del segnale all’uscita del demodulatore di fase in
presenza di rumore n(t) all’ingresso.
2
K V
Vdn (t ) 2 m o n(t ) 2
2
Ora valutiamo l’effetto del PLL sul rumore nel caso in cui tale rumore sia un rumore di fase.
In ingeresso avremo quindi un segnale affetto da rumore di fase il cui modello analitico sarà:
vi (t ) Vi sin( i t in (t ))
Supponendo di poter linearizzare la caratteristica del demodulatore, otteniamo una nuova scrittura
della Vdn(t).
K VV
Vdn (t ) m o i in (t )
2
Poi ne calcoliamo il valore quadratico medio.
2
K VV
Vdn (t ) m o i in (t ) 2
2
2
Metto ad uguaglianza i valori quadratici medi dei due rumori per capire quale deve essere la in tale
da determinare la stessa potenza di rumore di n(t).
2 2
K mVo K VV n(t ) 2
n(t ) m o i in (t )
2 2
in (t ) 2 2
2 2 Vi
La trovo e la ridefinisco sottoforma di rapporto fra potenza del rumore in ingresso e quella del
segnale indicando con Pn la potenza del rumore Pn n(t ) 2 e con Ps la potenza del segnale
Vi 2
Ps
2
Pn
in (t ) 2
2 Ps
Poi definisco la densità spettrale di potenza del rumore all’ingresso come il rapporto fra la potenza
del rumore e la banda Bi
n(t ) 2
Ni
Bi
Facciamo lo stesso per il rumore di fase. Sfruttando le relazioni note (ma qualli relazioni
noteeee!!!!) Per il rumore di fase l’ampiezza di banda da considerare è pari alla metà di Bi. Infatti
per un segnale di ingresso a frequenza centrata su il rumore di fase è nullo per poi originare un
rumore di fase perfettamente simmetrico in caso di incremento o deceremento della propria
frequenza. La densità spettrale del rumore di fase sarà quindi:
in (t ) 2
Bi 2
Sostituendo al valore della potenza del rumore di fase il suo equivalente espresso in termini di
rumore ottengo:
n(t ) 2 2 N
2
2 2i
Vi Bi Vi
Che permette di esprimere la densità spettrale di rumore in termini di densità spettrale di
rumore di fase equivalente. Tale relazione ci permette di trattare quantitativamente il
rapporto segnale rumore di un PLL la cui funzione di trasferimento è definita in termini di
fase
Si considera la fase costante e che la banda del PLL sia limitata, per cui estendo l’integrale da 0
all’infinito. Il risultato dell’integrale è il prodotto tra densità di potenza in ingresso e la “banda
equivalente” Bl (sbagliato) del PLL.
on (t ) H ( j ) df BL
2 2
0
Una volta definita H(s), quindi, si definisce BL. E’ evidente come la banda equivalente del PLL
dipenda dal filtro F(S) attraverso il quale si incide direttamente sul valore della funzione di
trasferimento.
Quindi il PLL è caratterizzato come un filtro passa banda ma con alcuni vantaggi in più:
– La frequenza di centro banda è variabile ed è centrata al segnale (purché ci sia
aggancio).
– La larghezza di banda è controllata dal filtro F(s), esso si può scegliere piccolo a
piacere lavorando sulla n
Riscriviamo la potenza del rumore in uscita sostituendo nella densità spettrale di potenza del rumore
in (t ) 2
di fase in ingresso l’espressione ricavata precedentemente ( ):
Bi 2
BL
on (t ) 2 2 in (t ) 2
Bi
tale relazione ci dice che il rapporto fra le potenze del rumore del segnale in uscita ed in ingresso è
direttamente proporzionale al rapporto fra la banda equivalente del PLL e la banda del segnale di
ingresso e ciò conferma ulteriormente l’effetto filtrante del PLL.
E’ possibile determinare la variazione (miglioramento) del rapporto segnale rumore determinata dal
PLL:
P
Per il segnale in ingresso SNRi s
Pn
Possiamo esprimere la potenza del rumore del segnale in ingresso in termini di potenza di rumore di
P
fase ricordando che in (t ) 2 n Pn 2 Ps in (t ) 2 e quindi:
2 Ps
1 1
SNRi in (t ) 2
2 in (t ) 2 2SNRi
Analogamente il rapporto segnale rumore in uscita sarà:
1
SNRo
2 on (t ) 2
B 1
A questo punto sostituendo on (t ) 2 2 in (t ) 2 L e a sua volta in (t ) 2 si ottiene:
Bi 2SNRi
B
SNRo SNRi i
2 BL
Il miglioramento notevole è che qui io posso controllare a mio piacimento la banda passante del
PLL Bl attraverso il filtro F(s) ad esempio diminuendo la sua frequenza di taglio e quindi migliorare
il rapporto segnale-rumore come desideravo.
Applicazione:
supponiamo di voler misurare un segnale costante a cui è sovrapposto un rumore. Per ridurre al
minimo il contributo di rumore bisognerebbe realizzare un filtro che è molto stretto in banda. Non è
possibile realizzare un filtro a 0,01 Hz ad esempio.
E allora parzializzo il segnale costante moltiplicandolo per un treno di impulsi rettangolari
rendendolo nel tempo un’onda quadra che in frequenza diventa la convoluzione fra una delta
(centrata in zero) e un treno di sinc. Posso filtrare in frequenza e prendere all’interno della sinc una
porzione limitata comprendente la delta, ma per quanto piccolo faccia il filtro non riesco ad
estinguere il contributo del rumore
Posso allora inserire il segnale di ingresso nel PLL e filtrare il rumore in virtù della diminuzione
della banda passante del PLL che mi fa crescere il rapporto segnale-rumore.
Ricordiamo che
BL H ( j ) df
2
0
BL quindi sarà determinabile piccolo a piacere agendo sui coefficienti K0 Kd e sulla frequenza di
taglio del filtro F
Sulla base di queste considerazioni funzionano gli amplificatori lock-in
LEZIONE 20. Demodulatore del PLL, Convertitori A/D,
frequenza Niquist.
Transistori montati a
diodo per distorcere il
segnale di ingresso (?)
Il prof sostiene che si tratti di un modello a quattro quadranti ma ci sono delle differenze se
confrontate con lo schema ho inserito a fianco per consentire un confronto.
Caratteristica del DF (inspiegabile a meno che non lo si colleghi in qualche modo con il fatto
che questo DF introduce sempre un ritardo ulteriore di 90° )
Vc [V]
0,8
0,6
0,4
0,2
0 θe [rad]
-6 -4 -2 -0,2 0 2 4 6
-0,4
-0,6
-0,8
Il filtro passa-basso
ha due funzioni:
• attenua le componenti ad alta frequenza all’uscita del demodulatore di fase, migliorando il
rapporto segnale-rumore;
• fornisce al PLL una memoria a breve termine, assicurando una rapida ricattura se il sistema
perde l’aggancio a causa di un rumore transitorio
Dall’ampiezza di banda del filtro dipendono:
• la risposta dell’anello
• il campo di cattura
• la reiezione dei rumori
Si realizzano differenti simulazioni di funzionamento con PLL su cui sono inseriti filtri a differente
banda passante. I tre PLL vengono sollecitati con un segnale in ingresso che subisce lo stesso salto
in frequenza. Si verifica la presenza di un trade off fra tempo di aggancio ed ampiezza del rumore
associato al segnale di uscita del VCO: All’aumentare della banda passante si riduce il tempo di
aggancio ma diventa più consistente la presenza di rumore.
Caratteristica a farfalla
V c [V ]
0 ,4
0 ,3
0 ,2
0 ,1
4
0 ω i [1 0 r a d /s ]
- 0 ,1 1 0 15 20 25 30 35 40 45 50
- 0 ,2 C
- 0 ,3
M
- 0 ,4
- 0 ,5 analisi son emersi i seguenti valori dei parametri fondamentali:
Al termine delle
˗ kd = 0.63 V/rad
˗ k0 = 2.3*105 rad/sV
˗ kv = k0 kd = 145*103 s-1
˗ C = 105 rad/s
˗ M = 1.7*105 rad/s
La centralità della tecnologia digitale oggi è dovuta al fatto, innanzitutto, che la trasmissione
dell’informazione si è progressivamente digitalizzata: ad essere trasmessi sono pacchetti di dati non
più segnali analogici. Ultimamente il processo di digitalizzazione attraverso la fibra ottica ha reso
anche lo stesso canale di trasmissione “digitale” a fronte di altri canali (quali l’etere ad esempio)
che ancora conservano una natura analogica.
Per garantire la digitalizzazione di un informazione in tempo reale devo valutare: il tempo minimo
necessario (definito dalla tecnologia impiegata) per elaborare e trasmettere ciascun campione di
informazione, il tempo massimo che può separare l’acquisizione di due differenti campioni pena la
perdita di informazioni rilevanti.
La valutazione della frequenza di campionamento opportuna per un determinato segnale (al fine di
preservarne il contenuto informativo) viene fatta attraverso un analisi nel dominio della frequenza.
x(t)
xs(t) Ts
Ho ottenuto il prodotto fra la funzione ed un treno di impulsi. Ora ne calcolo la trasformata come
convoluzione fra le due funzioni trasformate ricordando che la trasformata di un treno di impulsi
1
centrato in nTs è ancora un treno di impulsi con periodo (pari alla frequenza di campionamento)
Ts
1
la cui ampiezza è moltiplicata per lo stesso fattore .
Ts
Nel dominio trasformato il segnale avrà la seguente espressione in cui la convoluzione fra lo spettro
1
in banda base ed il treno di impulsi a frequenze multiple di quella di campionamento ( ) origina
Ts
ripetizioni traslate dello spettro in banda base centrate proprio alle frequenze multiple di quella di
1
campionamento ( ):
Ts
1
k
X( f ) X f
TS K Ts
Ciò che emerge è che lo spettro di un segnale campionato è uguale allo spettro del segnale originale
ripetuto periodicamente con periodo (può essere fuorviante parlare di periodo perché si tratta di un
periodo misurato su frequenze…) uguale alla frequenza di campionamento .
A questo punto si comprende che se se la frequenza massima del segnale originale supera la
distanza a cui comincia la successiva ripetizione nello spettro del segnale campionato si determinerà
una sovrapposizione in banda, rendendo impossibile l'esatta ricostruzione del segnale originale, che
risulterà distorta.
A tal proposito bisognerà applicare il teorema si Niquist per il quale la frequenza di campionamento
dovrà essere almeno il doppio della ampiezza della frequenza del segnale originario.
Continua campionamento
C’è un problema però: I segnali reali hanno banda illimitata perché se non altro sono moltiplicati
sempre per una finestra (temporale) che ne rispecchia l’inizio e la fine nel tempo. E la trasformata di
Furier di una finestra è una Sinc ovvero una funzione a supporto infinito.
Dovrei poter intervenire preventivamente al campionamento in modo da dare in ingresso ad un
campionatore un segnale limitato in banda. Per individuare la soglia oltre la quale il segnale ha
contribuiti in frequenza poco significativi al punto di poter essere omessi si usa fare riferimento al
rapporto segnale rumore: quando questo scende al di sotto di 1 allora il rumore sovrasta il segnale
originario e l’apporto informativo a quelle frequenze non sarà rilevante. Fra le tipologie di rumore a
cui fare riferimento viene individuata quella del rumore di quantizzazione in quanto legato a
parametri interni al convertitore e quindi prevedibile e non dipendente da variabili legate al
contesto di impiego .
Per ottenere la limitazione in banda accennata si interviene con un filtro detto “antialiasing” in
ingresso al convertitore.
Non è possibile generare un segnale di carattere impulsivo. Il segnale che più approssima tale
comportamento è un treno di impulsi rettangolari. Ciò tra l’altro consente, a valle del
campionamento di offrire al quantizzatore un valore di tensione sufficientemente stabile in un certo
lasso di tempo da poter essere adeguatamente elaborato.
Introdurre un treno di impulsi rettangolari significa trattare il segnale in ingresso nel modo indicato:
xm(t)
Ottenere un treno di impulsi rettangolari dal punto di vista analitico significa realizzare una
convoluzione fra un treno di impulsi ed una finestra rettangolare. Nel tempo quindi si realizzerà:
t
x(t) (t nT ) che nel domino della frequenza si riscriverà:
n T
X(f) ( f n ) T sin c fT
1 1
T n T
ricordando che la trasformata di una finestra rettangolare centrata all’ascissa “0” e di ampiezza T è
1
una sinc centrata in “0” con valore massimo pari a T e primo valore “0” all’ascissa :
T
1 2 T
X(f) ( f n ) t
T n f 2
Quel che si otterrà in frequenza rispetto al campionamento con un treno di impulsi sarà l’ulteriore
1
prodotto in frequenza per una sinc centrata nell’origine il cui lobo principale scende a zero in
T
Dal punto di vista dei sistemi lineari il processo di campionamento reale può essere rappresentato
attraverso il seguente diagramma ricordando che l’uscita di un sistema lineare tempo invariante può
essere descritta proprio come il prodotto di convoluzione fra l’ingresso (in questo caso il segnale
campionato con la delta) e la risposta impulsiva del sistema stesso (in questo caso un impulso
rettangolare)
Fare molta attenzione al fatto che il comportamento del blocco NON è da confondere con un
PASSABASSO. Quest’ultimo, infatti, realizza una funzione “finestra” in frequenza, mentre in
questo caso stiamo dicendo che nel tempo questo blocco deve rispondere ad un impulso con un altro
impulso di durata maggiore.
Analizzando il sistema nel dominio trasformato la sua risposta impulsiva diventerà la seguente (la
comparsa dell’esponenziale è dovuta al fatto che la finestra di partenza è centrata in T/2 e non in
t T
zero: 2 )
T
Per recuperare l’informazione perduta posso inserire un ulteriore filtro, cosiddetto, di ricostruzione
con risposta impulsiva inversa a quella del primo filtro tale che la catena dei due filtri realizzi la
risposta del filtro passa basso ideale.
Andamento in frequenza di modulo e fase del filtro H2():
MODULO FASE
Processo di quantizzazione.
Una volta ottenuto il campione del segnale devo essere in grado di pesarlo in modo da definire una
corrispondenza fra istante di campionamento e valore assunto dal sengale in quello stesso istante.
Nella rappresentazione digitale dell’ampiezza del segnale noi abbiamo a disposizione sempre di un
numero finito valori per rappresentare la variabilità del segnale stesso. Il vincolo nella numerosità di
tali valori è rappresentato dal numero di bit gestiti dal quantizzatore. Indicando con N il numero di
bit, il numero di valori sarà 2^N nell’intervallo da 0 a 2^N-1.
Un importante parametro da considerare è il massimo range di variabilità del segnale analogico che
definiremo S. In base all’ampiezza di tale range (avendo optato per una equiripartizione degli
intervalli di quantizzazione e quindi ad una corrispondenza lineare fra intervalli analogici e
quantizzati) viene impostata la corrispondenza fra valori analogici e valori quantizzati attraverso il
grafico che segue:
D
(digitale)
2N-1
1 LSB
AD
2
1
0
A
S (analogica)
Data una quantizzazione uniforme (con passo costante fra un valore ed il successivo), l’ampiezza
dell’intervallo AD è pari a S/2N (in realtà secondo me dovrebbe errere S/2N-1). Questo viene anche
definito come: LSB (Low singificative bit = bit meno significativo) ovvero con lo stesso nome
dell’intervallo sull’asse digitale.
In questo modo è possibile risalire all’entità dell’errore di quantizzazione. Se, infatti si assume
errore “0” per valori di ampiezza sel segnale analogico coincidenti con il centro di ciascun
intervallo AD, allora min(eq)=-AD/2, max(eq)=AD/2
1 1 S S
ovvero : qm AD N N 1
2 2 2 2
Questo è quell’intervallo entro il quale la variazione del segnale analogico non genera cambiamenti
nel corrispondente valore quantizzato.
L’errore di quantizzazione è modellabile come un rumore di natura additiva che si manifesta
durante la conversione A/D.
x(t) D(t)
t-nTs) q(t)
Posso anche ricavare un rapporto segnale-rumore tra segnale in ingresso e rumore di
quantizzazione.
Ciascun intervallo AD può essere concepito in termini di una variabile aleatoria continua con
distribuzione statistica uniforme (all’interno dell’intervallo ciascun valore può essere assunto con la
stessa probabilità degli altri).
Ciò è dovuto alla scelta fatta di impostare una relazione lineare fra range del segnale analogico e
range dei valori quantizzati (avrei potuto procedere diversamente, attraverso delle curve differenti,
se fossi stato interessato a incrementare la definizione della quantizzazione in alcuni punti del
vedi l’esempio in basso impostato per la misurazione della temperatura corporea con incremento di
dettaglio fra i 37 ed i 40 gradi)
50
45
40
39
38
37
32
Con la scelta fatta è possibile calcolare la potenza del rumore di campionamento a partire dalla
varianza della sua distribuzione statistica all’interno di ciascun intervallo AD ovvero, per una
distribuzione uniforme, equivalente al quadrato dell’ampiezza dell’intervallo diviso 12 cioè:
2
S
N
S2
eq2 2 12
12 2 2 N
Tale valore si assume valido per qualsiasi forma d’onda in ingresso considerato che l’intervallo AD
è piccolo. A partire da tale valore, tra l’altro, confrontandolo col comportamento in frequenza del
segnale di ingresso sarò in grado di progetttare il filtro antialiasing opportuno valutando una
frequenza di taglio che operi nel punto in cui le due potenze (del segnale e del ruomore) si
equivalgono.
Nel caso di un segnale in ingresso di tipo triangolare si determinerebbe una collimazione fra la
natura lineare del segnale in ingresso e l’impostazione lineare del quantizzatore e quindi sia per il
calcolo della potenza del segnale in ingresso che per quella del corrispondente rumore si
procederebbe con il calcolo delle rispettive varianze di distribuzione uniforme l’una calcolata per
l’intero range S e l’altra per l’intervallo Ad determinando il seguente rapporto segnale rumore:
A2 s 2 12
SNRq 2 2 22N
eq s 12 2 2N
non altrettanto è possibile per altre forme d’onda in ingresso la cui distribuzione di probabilità non è
uniforme. Di seguito la tabella indica per differenti forme d’onda il relativo SNRq
Forma d’onda Potenza SNRq SNRq(dB)
segnale
Triangolare S2/12 22N 6N
Sinusoidale S2/8 (3/2) · 22N 6N+1,76
Quadra S2/4 3·22N 6N+4,77
Gaussiana (S/2=3) S2/36 (1/3) · 22N 6N-4,77
Il filtro equalizzatore
I calcoli appena presentati di riferiscono a segnali la cui ampiezza massima coincide con il
fondoscala della quantizzazione. Il rapporto segnale rumore peggiora sia nel caso di segnali Lo
scenario cambia nel caso di segnali.
Quindi se avessimo un fattore RC molto basso avremmo un tempo di carica molto piccolo e di
conseguenza una maggiore capacità di inseguimento della tensione d’ingresso.
Inoltre, il circuito considerato può comportare errori di carattere lineare quali l’offset ed il guadagno
non unitario, fenomeno dovuto per lo più ad elettroni “caldi” rimasti intrappolati nel dielettrico del
condensatore (che li rimangono a meno di reset allo stato iniziale).
Fase di campionamento (sample)
La fase di campionamento comincia con l’invio del segnale di apertura allo switch (pass transistor)
in modo da interrompere la fase di inseguimento e “fotografare” un valore in particolare.
Si determinano in questa fase tre tipologie di errori: di tempo, di ampiezza e legate al transitorio.
S
H
• Errore in tempo
Per quanto riguarda gli errori di tempo (che in realtà possono essere considerati anche come errori
di ampiezza variabili, perché il ritardo t determina valori di ampiezza differenti rispetto agli ideali)
si rileva innanzitutto il tempo di risposta dello switch al segnale di enable che determina uno
scostamento detto “tempo di apertura” fra il tempo dell’hold reale e quello dell’ideale. Tale ritardo
ha carattere sistematico (tempo di propagazione del Mos montato a pass transistor), ma anche
aleatorio. Quest’ultima componente viene definita jitter di aperura.
Per quanto riguarda l’errore in ampiezza definito anche come errore pieditallo considero il concorso
di fattori quali :
1) quando metto a massa la gate del pass-transistor per attivare la fase di hold il capacitore parassita
(tra gate e drain) entra in parallelo con il capacitore del circuito e la capacità equivalente
Fase di mantenimento
Anche successivamente al tempo di assestamento il valore della tensione non rimane costante.
Innanzitutto c’è un problema di imperfetto isolamento tra ingresso e uscita e questo è l’errore di
feedthrough. Sono da tenere in conto effetti di perdite dovuti a correnti di dispersione (leakage)
contrastabili in teoria con impedenze di carico elevate (che impattano sui tempi di scarica del
condensatore dipendenti appunto dalla costante RC) . Ma bisognerà fara attenzione a come il valore
grande di R impatterà negativamente sulla fase di trakking ritardando l’adeguamento della V out alle
variazioni della Vin
Volendo da una parte una resistenza d’uscita nulla (per un buon inseguimento della tensione
d’ingresso) quando l’interruttore è chiuso e infinita quando è aperto( così da mantenere più a lungo
la carica sul condensatore di mantenimento) allora si propone una soluzione circuitale con
operazionali voltage follower che disaccoppiano il comportamento delle resistenze di ingresso e di
uscita grazie alla presenza dello switch: quando è chiuso le due resistenze sono in parallelo e la
resistenza risultante è quella praticamente nulla dell’ingresso, quando lo switch è aperto rimane solo
la resistenza infinita a determinare l’elevato valore della costate RC
Con tale configurazione si rileva però il problema che l’interruttore risulta flottante. La
conseguenza è che eventuali errori di piedistallo andranno a sommarsi progressivamente così come
più incisivo risutlerà l’errore di feedtrought. Un modo per risolverlo è l’uso di un sample-hold ad
integratore tramite cui l’interruttore è dinamicamente a massa infatti uno dei terminali è collegato al
morsetto invertente di un operazionale retroazionato che, attraverso il cortocircuito virtuale in
ingresso con il morsetto non invertente, risulta acnh’esso a massa. Cioè uno dei due terminali
dell’interruttore ha sempre un potenziale di riferimento.
Errori di feedthrough dipendono dalla capacità fra drain e source e capacità di mantenimento e
possono essere risolti aumentando la capacità di mantenimento riducendo così anche l’errore di
decadimento dato che ci vorrà più tempo per lo scaricamento. Errori come quello di piedistallo
basati sul passaggio del segnale di comando sul segnale di uscita possono essere risolti riducendo la
capacità parassita Cgd oppure compensando le cariche iniettate attraverso Cgd con altre di segno
opposto (vedi circuito a Mos complementari).
Riepilogo su Errori di piedestallo e di feedthrough
L’errore di feedthrough deriva dalla partizione di Vi tra capacità parassita Cds e Cm
L’Errore di piedistallo deriva invece dalla partizione di Vg tra Cgd e Cm
LEZIONE 23. Errori di quantizzazione
Un convertitore A/D ha nel proprio nucleo un convertitore D/A. Il segnale in ingresso infatti per
poter essere quantizzato deve essere confrontato con valori di riferimento. Questi valori, per lo più
tensioni, sono generate proprio da un D/A.
Per questo ai fini della classificazione dei comportamenti distorcenti degli A/D è utile comprendere
innanzitutto quelli dei D/A in essi contenuti.
La caratteristica ideale di un convertitore D/A è la seguente:
• Ingresso discreto
– la caratteristica è una sequenza di punti
0– per intervalli Ad costanti i punti sono allineati D
0 1 2 M
Ad ingressi discreti (collocati sull’asse delle ascisse) corrispondono valori puntiformi. Il numero di
punti coincide con il numero (N) di simboli utilizzati dal sistema di codifica. L’intervallo delle
tensioni (S) risulterà diviso (in caso di codifica binaria) in 2 N-1 sub-intervalli (AD) che avranno
S
ampiezza pari a N . Nel caso di intervalli di identica ampiezza i punti risultano allineati fra loro.
2 1
La caratteristica reale presenta punti disposti in maniera maggiormente dispersa. A partire dalla
relazione fra caratteristica ideale e quella reale viene definita la categoria degli errori statici (a
regime) nel funzionamento del D/A .
Dalla caratteristica reale alla caratteristica ideale
Attraverso il metodo dei minimi quadrati (o regressione lineare) si costruisce la retta dei punti le cui
distanze dai punti della caratteristica reale, elevate al quadrato e sommate fra loro, sono
minimizzate
A
fascia di
S non-linearita’
caratteristica
ideale miglior retta
approssimante
caratteristica
reale D
0
0 M
La retta ai minimi quadrati differirà dalla retta ideale per un offset “q” (determinato dal valore della
retta approssimante assunto in “0”) ed un coefficiente angolare m.
Compensazione degli errori lineari
Per ricucire il gap fra retta ideale e retta di regressione si interviene con un opportuno generatore
che integra il valore della continua neutralizzando l’offset e con un sistema di guadagno che
modificherà la pendenza della retta di regressione fino a farla coincidere con la retta ideale.
A
fascia di
S non-linearita’
miglior retta
approssimante
caratteristica
reale D
0
0 M
L’errore integrale non descrive esaustivamente il comportamento di un A/D. Ad esempio si
potrebbe avere un errore integrale dovuto ad un comportamento non lineare concentrato in un tratto
limitato del range dei valori. Il comportamento non lineare potrebbe inoltre essere caratterizzato da
forme differenti: ad esempio saturazione, non monotonicità ecc, ecc,
Per definire in modo più articolato il comportamento di un A/D si introduce un’altra tipologia
d’errore di carattere locale: l’errore di non linearità differenziale.
I punti della caratteristica di conversione dovrebbero essere tutti spaziati di eguali intervalli Ad
(sull’asse A). Nella caratteristica reale, invece, i punti sono spaziati di un intervallo A’dr , diverso da
Ad. Si definisce errore di non linearità differenziale (diverso a seconda del punto del range preso in
considerazione):
Ad – Adr = nld
Nel caso di convertitori realizzati con banchi di resistori in serie (che partizionano il valore della
tensione di riferimento) si può ritenere che il valore degli intervalli all’inizio del range sia affetto da
errore minore visto che alla definizione di esso concorre un numero inferiore di dispositivi
(ciascuno dei quali portatore di un contributo all’errore complessivo).
Se la non-linearitá differenziale é maggiore di 1 LSB (ricordando per estensione che 1 LSB indica
anche il valore Ad) ovvero per A’d negativo , si parla di errore di non monotonicità
A
S
AD
A’D
Errori dinamici
Fin qui abbiamo esaminato tipologie di errore cosiddette statiche. Passando a quelle dinamiche
cominciamo ad analizzare l’errore dovuto al tempo di assetto che intercorre allorquando in ingresso
all’D/A viene posta una nuova parola. Facciamo qui riferimento a convertitori di tipo SAR che
confrontano la tensione in ingresso attraverso step successivi con valori di riferimento
progressivamente sempre più vicini alla valore della quantizzazione.
Nel passaggio da un valore all’altro entrano in gioco ritardi dovuti alla capacità che viene caricata e
al ruolo delle capacità parassite. Nel momento in cui vengono impiegati Mos i ritardi dipendono
anche dai valori del parametro di transconduttanza K. Inoltre impattano anche le slew rate degli
eventuali operazionali spesso impiegati per ottenere la migliore approssimazione ad un generatore
equivalente ideale di tensione in uscita.
Il tempo di assetto (settling time) è calcolato tenendo conto del momento in cui le oscillazioni della
tensione sono confinate all’interno di un intervallo di ampiezza LSB (Ad)
Il tempo Ts impatta sul processo complessivo di conversione analogica digitale all’interno della
fase di Hold durante la quale il convertitore esegue il confronto fra il segnale di ingresso e le varie
tensione di riferimento generate dal D/A.
LEZIONE 24. Convertitori D/A modelli a confronto
Rispetto ad una variazione istantanea dell’ingresso l’uscita impiegherà un certo tempo per
commutare. L’intervallo fra la variazione della parola d’ingresso e l’istante in cui l’uscita prende ad
oscillare in un range pari ad 1LSB è detto “tempo di settling” ossia tempo di assesto.
Errore di glitch.
Questo tipo di problema è legato alla variazione dei dati in ingresso. In particolare, quando un
ingresso che è una certa sequenza di bit deve mutare in un’altra sequenza di bit questo passaggio
potrebbe avvenire in vari modi. Nel senso che potrebbe variare prima il bit più significativo oppure
quello meno significativo. La dinamica con cui sta variando la sequenza di bit( che si ripercuoterà
sull’uscita, ovviamente) può essere tale che l’uscita risulterà diversa rispetto a quella attesa per un
certo istante di tempo per poi ritornare al valore atteso. Ecco perché a volte è necessario usare un
segnale di enable che viene attivato solo quando è terminata la fase transitoria di variazione della
sequenza di bit. Ovviamente questo segnale aggiunge un ritardo in più che inciderà sul tempo di
hold.
STRUTTURE DEI CONVERTITORI.
Grandezze uniformi.
La prima tecnica base di costruzione del convertitore è quello a grandezze uniformi. In questa la
grandezza d’uscita è ricavata con la somma di grandezze tutte eguali fra loro. Un primo esempio
circuitale è un convertitore potenziometrico con uscita in tensione. Con 2n -1 resistori e 2n
interruttori esso riesco a rappresentare 2n livelli di tensione analogica (compreso lo 0). Quindi a
seconda della parola di bit in ingresso ci sarà un multiplexer che accende una sola delle linee e
quindi uno solo degli interruttori e presenterà in uscita un solo valore di tensione fra i 2n possibili.
Infatti, a seconda di quale degli interruttori è chiuso prelevo tensioni sempre più alte dal basso verso
l’alto del circuito.
Nel circuito è sempre la stessa resistenza a ripetersi e quindi l’errore relativo che commetto nel
realizzarla si mantiene costante.
Se voglio in uscita la corrente piuttosto che la tensione allora considero un’altra architettura con
delle resistenze tutte in parallelo fra loro. In questo caso all’aumentare del numero di interruttori
connessi aumenta la somma delle correnti in uscita. Cambia il modo di interagire dello switch in
quanto non per forza un solo interruttore deve essere chiuso per ottenere corrente diversa da 0.
Quando tutti gli interruttori sono chiusi si ha il massimo della corrente.
Per quanto riguarda l’errore, nel caso del convertitore serie abbiamo che l’errore relativo tiene conto
sempre dell’errore dovuta all’intera catena di resistori in serie (presente al denominatore nella
formula del partitore di tensione necessaria per calcolare ciascuno dei valori della scala).
Mentre nel secondo caso, l’errore relativo è minore poiché la corrente in uscita terrà conto solo
dell’errore dovuto alle resistenze da cui deriva.
Sfruttando il principio di reciprocità tra ingresso e uscita possiamo scambiare tensione e corrente
all’ingresso e all’uscita. Così facendo consentiamo al generatore di tensione di non erogare sempre
il massimo della corrente per dissipare molta potenza. Infatti, la quantità di potenza dissipata
dipenderà dal numero di deviatori chiusi. (la corrente infatti per effetto del parallelo con il corto
presente in uscita si propagherà solo attraverso la resistenza corrispondente allo switch chiuso)
Rete a scala.
Dato un generatore che eroga una corrente pari a 2I e avendo una rete a valle composta da una
resistenza in parallelo alla serie di R e 2R abbiamo che la corrente si suddividerà equamente fra i
due rami.
2I I R
2R R
VR
I I
I = VR/2R
2R 2R 2R 2R R
VR
I I/2 I/4 I/8
I = VR/2R
In questa rete invece di usare resistenze l’una il doppio dell’altra utilizzo come resistenze o R o 2R.
La risposta del circuito non è cambiata di fatto perché la corrente nel ramo ennesimo sarà a sua
volta pari alla corrente totale fratto n, in questo caso 2n. Ogni ramo allora contribuisce con un peso
diverso alla corrente totale se gli consento di farlo contribuire.
2I I R R R R
2R 2R 2R 2R
MSB
I
Le correnti, tramite i deviatori, possono essere condotte a massa oppure contribuire alla somma
della corrente totale.
Ricorrendo sempre al teorema di reciprocità posso scambiare uscita e ingresso mantenenedo
invariato il rapporto fra tensione e corrente. Ovviamente se applico questa inversione l’uscita la
prelevo all’ ex-ingresso e l’ingresso sarà l’ex-uscita.
MSB
VR
Ma posso porcedere anche con la trasformazione di Thevenin. In questo caso, l’uscita sarà prelevata
su Vout e a seconda dei rami connessi essa cambierà espressione.
I R R R R
Con il primo switch chiuso la tensione
2R 2R 2R 2R V
R Vout è pari a R
VOUT 2
I I/2 I/4 I/8 Con il secondo switch chiuso
( R 2 R) // 2 R 2 V
Vout VR R R
[( R 2 R) // 2 R] 2 R 3 4
MSB
VR
Se io considero una resistenza di carico la tensione che mi troverò in uscita sarà pari ad R*Itot dove
R è il valore della resistenza di carico mentre I la corrente totale data dalla somma delle correnti dei
rami connessi agli interruttori chiusi. Questa resistenza di carico però altererà a seconda del suo
valore la tensione che insiste su di essa. E allora affinché ciò non accada devo porre un
amplificatore operazionale la cui resistenza d’ingresso essendo infinita mi assorbe tutta la tensione
2) Errore di offset
˗ offset degli operazionali di uscita
˗ corrente di perdita degli interruttori (quando il circuito è aperto, correnti di leakage determinano
un valore dell’uscita diverso da zero)
3) Errori di non-linearità
˗ errori casuali nella rete di peso (NLD)
˗ errore sistematico nelle grandezze uniformi (NLI)
Esempi di convertitori D/A a grandezze pesate e che offre in uscita una tensione
Considero in ingresso al convertitore una stringa di bit ciascuno dei quali pilota un switch che
abilita la connessione di uno degli N rami.
Su ciascun ramo e presente un resistore il cui valore cresce in ragione 2N .
In ingresso a ciascun ramo è applicata la stessa tensione di riferimento negativa VR .
L’uscita coinciderà con la somma dei contributi abilitati dagli switch.
- VR
1k
a3 1K
a2 2k
4k -
a1 Vu
+
8k
a0
0
2) Convertitore con rete di scala
Ciascun bit della parola di ingresso abilita un ramo. Il contributo di ciascun ramo cresce in ragione
2N. La somma dei contribuiti all’ingresso dell’operazionale è mantenuta invariata grazie alla
configurazione a buffer di tensione.
2R 2R 2R 2R 2R 2R
a0 a1 a2 a3
VR
Funzionamento: se, per esempio, pongo a Vr il nodo a3 allora ottengo in uscita Vr/3. Se a2 Vr/6 e
così via moltiplicando per 2. Bisogna di volta in volta operare per riduzione elettrica e poi
considerare la tensione direttamente in ingresso all’operazionale che sarà identica all’uscita perché
esso è un inseguitore di tensione.
SOC: Start
CK Count Clr
CK Q3 Q2 Q1 Q0
Q3
+ EOC : End Q2
Vin Q1
-
Q0
V* VR
D/A
Il segnale di start attivato resetta il contatore che comincia ad inviare al D/A parole di bit a valore
crescente.
Il D/A converte le parole di bit in valori crescenti di tensione e li invia al comparatore.
Il comparatore rimane attivo fino a quando la tensione in arrivo dall’D/A è di valore inferiore
rispetto alla tensione di ingresso. In questa fase la porta AND è trasparente all’andamento del Clock
e consente al contatore di funzionare.
Quando il comparatore rileva il superamento della soglia da parte di V* disabilita la porta AND e
interrompe il contatore(ricordiamo che l’uscita del comparatore è negata e quindi quando si
raggiunge l’uguaglianza allora in uscita abbiamo 0 e quindi si interrompe il conteggio).
Una circuiteria dedicata archivia in memoria il dato presente in uscita al contatore associandolo ad
un tempo corrispondente.
Segue esempio di contatore in cui si impiegano flip-flop JK attivi sul fronte di discesa che
realizzano la funzione di mera commutazione. Il segnale di clock è collegato al solo flip flop
corrispondente al LSB. Gli ingressi dei clock dei flip flop successivi sono pilotati dall’uscita dei flip
flop precedenti. Ciascun flip flop commuta solo se il precedente commuta da 1 a 0
Convertitore ad inseguimento
+
Vin U/D Count CK CK
- Q3 Q2 Q1 Q0
Q3
Q2
Q1
Q0
V* VR
D/A
Il comparatore rileva il segno della disuguaglianza fra il segnale in ingresso e quello generato dal
D/A ed in base a questo determina il verso del conteggio per il contatore(cioè se succede che
V*<Vin allora il verso del conteggio è positivo e quindi si continua a sommare, mentre se V*>Vin
allora il segno è down cioè si va a sottrarre. In questo modo si insegue il segnale nel suo andamento
temporale).
La circuiteria dedicata preleva il dato in uscita al contatore ad ogni ciclo di Clock.
˗ Assente la funzione Hold: il comparatore riceve in ingresso il segnale tutt’al più filtrato da un
passa basso che riduce l’impatto di variazioni eccessivamente brusche quali quelle tipiche di un
rumore.
˗ Il contatore è up e down.
˗ Al netto di un tempo iniziale di aggancio il convertitore (in caso di segnale lentamente variabile),
viaggia alla stessa frequenza del clock (produce un valore da memorizzare ad ogni singolo colpo
di clock). In caso di segnale impulsivo si palesa il tempo massimo di funzionamento che come nel
caso precedente sarà pari a 2N cicli di clock.
U/D
Vin
V* VR
D/A
=
> 1111
1111
1110
Funziona implementando un algoritmo ad albero per >
1110
< 1101
<
1101
1100
Convertitore FLASH
Vin
VR
+
• Tabella di verità
7/8VR -
COD
+
W 7 W 6 W 5 W 3 W 3 W 2 W 1 X2 X1 X0
X2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
6/8VR -
P
+
0 0 0 0 0 0 1 0 0 1
5/8VR - R
0 0 0 0 0 1 1 0 1 0
+ I
X1 0 0 0 0 1 1 1 0 1 1
4/8VR -
O
0 0 0 1 1 1 1 1 0 0
+
R
3/8VR -
I 0 0 1 1 1 1 1 1 0 1
+
T X0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0
2/8VR -
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
+
A’
1/8VR -
Il segnale di ingresso viene comparato in parallelo (attraverso N-1 compartori) con N-1 tensioni di
soglia generate dal convertiore D/A.
Le uscite dei comparatori risultano attive se il segnale di ingresso è maggiore di quello di
riferimento. Il funzionamento è a termometro: la condizione di attivazione di un comparatore
implica lo stato attivo degli altri comparatori sui livelli inferiori.
Peculiarità:
- è il più veloce grazie all’architettura in parallelo e al fatto che in questo convertitore non c’è una
dimensione dinamica del convertitore D/A da attendere, i valori di soglia sono sempre a
disposizione (in quanto costanti).
- Si avvale di un encoder con priorità fissa che lega le uscite dei comparatori alla sequenza di bit
da assegnare all’uscita.
S2
off
VX on
C
VK
R
a
-
b Q7 Q0
S1 -
+ Ck
+
VR
Ck
Per un tempo predefinito TA lasciamo in ingresso ad un integratore la Vin. Trascorso TA switcho
l’ingresso dell’integratore sulla tensione di riferimento (che sarà di segno opposto a quella del
segnale di ingresso).
Misuro il tempo TB che trascorre prima che il comparatore a valle dell’integratore segnali la scarica
avvenuta della capacità.
Il numero di colpi di clock che caratterizzeranno il tempo T verrà elaborato da una LUT che
assocerà ad essi il codice della tensione in uscita.
La precisione aumenta perchè l’errore non dipende più da componenti circuitali quali resistori,
capacitori … ma da un oscillatore che si assume generalmente molto preciso.
vK
S1 = A S1 = A S1 = B t3’ S1 = A
S2 = on t1 S2 = off t2 S2 = off t3 S2 = on
TA TB
t2 t3
TA 2 TCK
N
v K VX dt VR dt 0
t1 t2
TB n
TA V X TB VR V X VR N2 VR
TA 2
FLASH
SAR
CONTEGGIO
DOPPIA RAMPA
LEZIONE 26. Introduzione agli amplificatori di potenza
Ci collochiamo nella fase di trasmissione, all’ultimo stadio prima che si alimenti l’antenna,
Ci siamo già serviti di un mixer e di un filtro passa alto per riportare il segnale in banda radio.
Nel caso di trasmissione FM posso utilizzare il VCO per modulare il segnale in frequenza:
l’informazione da trasmettere contenuta nella tensione di controllo del VCO determina la frequenza
variabile del segnale da trasmettere.
Nel caso di trasmissioni digitali posso trasmettere messaggi costituiti da impulsi che poi verranno
trasformati in segnale analogico dopo la ricezione da convertitore D/A (che genera segnali a scala) e
da un filtro passa basso (che ne smussa gli angoli).
La trasmissione digitale, nel caso di segnali periodici, sfrutta la simmetria degli stessi per
ottimizzare i tempi di trasmissione e conversione.
Per garantire che un segnale trasmesso sia ricevuto ad una determinata distanza è necessario però
che sia caratterizzato da una potenza sufficientemente consistente (visto che questa decresce in
maniera proporzionale al quadrato della distanza).
Come riesco a gestire una elevata potenza in trasmissione?
Devo cercare di rendere massimamente efficiente il mio sistema di trasmissione per evitare di
aggiungere ulteriore potenza (dissipata) a quella necessaria per la trasmissione. Questo sia per
preservare i dispositivi impiegati che per evitare dispendio di energia (parametro fondamentale in
caso di dispositivi portatili alimentati da batterie).
Posso pensare di limitare temporalmente l’erogazione di potenza ovvero ricondurre l’informazione
da trasmettere ad una sequenza di impulsi (ad energia concentrata) in modo che nell’arco di un
periodo le fasi di non erogazione siano temporalmente prevalenti rispetto a quelle attive. Posso
anche cercare di far lavorare tensione e corrente quasi in controfase (in modo che il loro prodotto
rimanga di entità contenuta.
Gli amplificatori di potenza operano su segnali già ricondotti a radio-frequenza (pronti per essere
inviati attraverso l’antenna): i constraint di funzionamento richiederanno, quindi, prestazioni
ottimali anche a frequenze elevate. Ciò significa che i contributi capacitivi parassiti siano limitati al
massimo.
Si ricorrerà allora a dispositivi realizzati con leghe di semiconduttori che attenueranno l’impatto
delle C e C o che garantiranno resistenze termiche (es. Sylicon carbide – carburo di silicio) molto
più basse.
PL
%
PS
˗ Distorsione (Un sistema distorcente genera in uscita componenti non presenti nel segnale
d’ingresso). Inevitabile alla luce del fatto che si opera con segnali ad ampia dinamica. La
distorsione introduce un ulteriore elemento di inefficienza poiché disperde potenza su armoniche
che non contribuiscono al processo di trasmissione di informazione.
LEZIONE 27. Amplificatori di Classe A, Classe B, Classe AB
Guadagno
Il guadagno di un amplificatore è definito come il rapporto tra l’ampiezza del segnale di uscita (Xo)
e l’ampiezza del segnale di ingresso (Xi), come mostrato nella seguente formula:
X
G o
Xi
dove G, a seconda della natura di X0 e di Xi, può essere guadagno in tensione o in corrente o in
potenza.
Efficienza
L’efficienza di un amplificatore è definita come il rapporto percentuale tra la potenza al carico
rispetto alla potenza erogata dall’alimentazione:
P
L%
PS
dove PL è proprio la potenza trasferita al carico e PS è la potenza assorbita dall’alimentazione. La
differenza tra la potenza di alimentazione e quella trasferita al carico è definita potenza dissipata:
PD = PS – PL
Da questa definizione si evince che tanto più è maggiore la potenza dissipata sul transistore, tanto
più bassa sarà l’efficienza dell’amplificatore.
Qualità
La qualità di un amplificatore viene misurata da una cifra di merito Fm definita come
P
Fm C max
PL max
dove PC(max) è la massima dissipazione di potenza sul collettore e PL(max) è la massima potenza in
uscita
Distorsione
Un sistema si dice distorcente se in uscita genera componenti non presenti nel segnale di ingresso.
La distorsione è misurata da un fattore di qualità noto come distorsione armonica totale THD (Total
Harmonic Distortion) indicato con la lettera D. Per definire questa quantità introduciamo il
coefficiente di distorsione di k-esima armonica:
2 AK 2
DK 2 AK
2 A1
2
A1
2
che rappresenta la radice quadrata del rapporto tra la potenza (2Ak)2/2 della k-esima armonica
prodottasi per distorsione, e la potenza (2A1)2/2 della prima armonica, che viene considerata come
la replica non distorta del segnale d’ingresso (in pratica si tratta del rapporto dei rispettivi rms).
In teoria esistono infiniti coefficienti di distorsione, in pratica però sono rilevanti soltanto quelli di
ordine inferiore (seconda e terza armonica).
Il THD (Total Harmonic Distortion) è invece il rapporto tra la potenza del residuo di distorsione d(t)
e quella della componente utile:
Pd d eff
D 2
(2 A1 ) / 2 2 A1
dove abbiamo definito il segnale distorsione come “residuo” del segnale d’uscita, tolta la
componente utile e quella continua:
d (t ) y (t ) A0 2 A1 cos( 2 f 0t 1 ) 2 Ak cos( 2 kf0t k )
k 2
deff è proprio il valore efficace del residuo d(t):
2
d (t )
1
d eff
2
2 0
Distorsione di intermodulazione
Considerando gli effetti non lineari determinati dall’ampiezza del segnale di ingresso possiamo
rappresentare l’uscita di un amplificatore come la sommatoria di una componente lineare più tutti i
contributi non lineari:
Nell’ipotesi in cui il segnale di ingresso non sia un puro tono sinusoidale, ma ad esempio sia
costituito dalla somma di due sinusoidi:
nel momento in cui sostituiamo nel modello polinomiale di non linearità dell’uscita il valore
dell’ingresso otteniamo la presenza di ulteriori armoniche non più solo multiple della frequenza di
ingresso, ma centrate sulle frequenze risultanti dai prodotti delle componenti di ingesso:
Larghezza di banda
CLASSE A = 360°
CLASSE B = 180°
CLASSE C < 1°
Classe A
Un possibile schema di classe A è il seguente
risulta evidente che anche in assenza di segnale sulla base insiste un potenziale sicuramente
maggiore di 0,6 Volt ed il transistor si troverà sempre in RAD dissipando sempre potenza.
Al fine di calcolare l’efficienza di tale dispositivo ricordiamo la formula del parametro di efficienza
e calcoliamo, quindi i valori di Potenza disponibile al carico e potenza erogata dall’alimentazione.
La formula per il calcolo dell’efficienza è:
P
L%
PS
La potenza media continua richiesta all’alimentazione è
Ps Vcc I c
La potenza media fornita al carico è il prodotto dei valori rms di corrente e tensione. Trattandosi di
grandezze sinusoidale il valore rms coinciderà con quello della massima ampiezza (VP e IP ) diviso
2 . Per il calcolo delle massime ampiezze si può procedere attraverso le formule:
VCE (max) VCE (min)
VP
2
I C (max) I C (min)
IP
2
Ipotizzando di aver polarizzato al meglio l’amplificatore collocando il punto di lavoro al centro
della Regione attiva diretta e considerando un segnale di ingresso tale che in uscita V CE(max) = VCC e
VCE(min) = 0, mentre IC(max) = 2IC (sempre perché consideriamo Ic al centro della caratteristica del
BJT polarizzato) e IC(min) = 0 otteniamo che la potenza media fornita al carico è:
V p I p 1 VCC V I
PL I C CC C
2 2 2 2 4
Tornando al calcolo dell’efficienza otteniamo:
P V I 1
L % = CC C % 25% .
PS 4 VCC I C
Questo valore, quindi, può essere considerato come limite massimo dell’efficienza oltre il quale non
è possibile salire. Nella realtà l’efficienza è più bassa in quanto le ipotesi fatte non sono pienamente
rispettate.
Classe B
Una possibile implementazione di un amplificatore in classe B è la seguente definita come PushPull
a simmetria complementare
Questo tipo di amplificatore è formato da due stadi emitter follower che operano in controfase
attraverso l’impiego di una coppia di BJT, uno npn e l’altro pnp.
Negli amplificatori in classe B, il transistore è polarizzato con una corrente di collettore continua
nulla ed è in regione di conduzione solo per un semiperiodo del segnale d’ingresso; quindi l’angolo
di conduzione è pari a 180°.
Quando il transistore conduce la corrente di collettore sarà pari a
ic I p sin t
40mA 80mA
0A 40mA
-40mA 0A
-80mA
-40mA
0s 0.5ms 1.0ms 1.5ms 2.0ms
Ie(Q1)
0s 0.5ms 1.0ms 1.5ms 2.0ms
Time Ie(Q2)
Time
Forma d’onda della corrente del transistore PNP Forma d’onda della corrente del transistore NPN
40mA
0A
-40mA
-80mA
0s 0.5ms 1.0ms 1.5ms 2.0ms
-I(RL)
Time
La distorsione presente è rappresentativa del fatto che per valori del segnale di ingresso compresi
nell’intervallo [-0.6V, 0.6V] entrambe i transisto operano in regione di interdizione e la corrente è
nulla.
Per quanto riguarda il calcolo dell’efficienza consideriamo il valore medio della corrente di
collettore per ciascun transistor pari a
1 1 I
I C1
2 0
ic1dt
2 0
I P sin( t )dt P
La corrente complessiva fornita dai due transistor avrà, quindi, valore doppio.
Per la corrente erogata dall’alimentazione non ho contributo costante (è pari a zero) così come non
ho un segnale sinusoidale (non è possibile calcolare l’rms in modo tradizionale) e per questo ne
calcolo il valor medio attraverso la formula integrale per ciascun BJT attivo solo per un
semiperiodo poi ottenere la corrente erogata complessiva (Idc) nell’arco di un intero periodo
moltiplicandola per due:
Considerando il contributo di entrambe i transistor avremo nell’arco dell’intero periodo;
IP
Idc = 2 (?)
La potenza fornita dall’alimentazione si calcolerà quindi come:
2I V
PS I dcVCC P CC
Per quanto riguarda la potenza di uscita considero la natura sinusoidale della corrente e della
A
tensione sul carico e ne calcolo l’rms attraverso la formula abbreviata: per poi ottenere la
2
potenza media in uscita come
I V
PL P P
2
ottenendo un efficienza
I V /2 V
P P P
2 I PVCC / 4 VCC
che sarà massima scegliendo VP VCC arrivando ad ottenere un valore di efficienza molto elevato:
78,5%
Classe AB
Per ovviare alla distorsione realizzata dal circuito precedente nell’intorno dello zero si introduce
una tipologia di amplificatori che consentono di garantire in continua un livello di tensione in base
tale da accendere o spegnere uno dei due BJT al minimo variare del segnale di ingresso.
Un esempio di circuito AB è il seguente:
Il ramo i cui sono presenti i due diodi è alimentato in continua e dissipa un’aliquota di potenza non
presente nel classe B.
In assenza di segnale al centro dei due diodi il potenziale è nullo in quanto i due rami sono
perfettamente simmetrici. I diodi in conduzione determinano all’ingresso delle basi dei due BJT un
potenziale rispettivamente di 0,6 V per l’NPN e di -0,6 V per il PNP. Tali valori sarebbero
sufficienti per accendere i BJT che però, non appena conducono corrente determinano una caduta
sulla resistenza in emettitore che fa scendere la VBE sotto la soglia degli 0,6 Vn mantenendo la
corrente di base vincolata a valori molto bassi.
Non appena inserisco il segnale nel circuito questo produce un effetto sui potenziali presenti in base
andandosi ad aggiungere o sottrae dosi alla caduta sui diodi che rimane pressoché costante.
La forma d’onda (riferita alla corrente e alla tensione) presente sul carico sarà quindi del tipo:
100mA
50mA
0A
Mentre la potenza erogata in uscita è la stessa della classe B
I V
PL P P
2
per quanti riguarda la potenza erogata dall’alimentazione le cose cambiano a causa di un’aliquota di
corrente di quiescenza che scorre nel ramo con resistori e diodi (le slide parlano di corrente nei
transistor…) per cui la potenza erogata diventa:
2I V 2I
Ps P CC I QVCC VCC P I Q
andando a ridurre la percentuale di efficienza rispetto ad un circuito di classe B
LEZIONE 28. Amplificatori di Classe C
Note:
1) C’è un fraintendimento iniziale fondamentale da chiarire: nella fase di off-
stage la corrente che scorre non è dovuta alla alimentazione, ma
all’induttanza che si scarica e che formando con il capacitore un circuito
risonante emette una corrente alla stessa frequenza del segnale di ingresso.
Solo così si può spiegare un calcolo dell’efficienza in cui la potenza erogata
dall’alimentazione viene contabilizzata solo se il transistor è attivo.
3) Nel calcolo della potenza fornita al carico questa viene divisa per 2 non
perché la tensione erogata sia Vdd/2 ma perché sul carico arrivano, per
effetto del filtro, tensione e corrente sinusoidali. Quindi la potenza è il
prodotto delle rispettive ampiezze/2
Il funzionamento di questo circuito si divide in due fasi: on-stage e off-stage. Essere in una fase
piuttosto che nell’altra dipende dal valore assunto in quell’istante dal segnale d’ingresso.
Prima fase:
In questo primo periodo il segnale d’ingresso è positivo e il bjt è in fase di conduzione. Scorre
sull’emettitore una corrente sostenuta da due contributi. Il primo legato alla corrente di scarica del
capacitore C che sarà negativa in quanto uscente dal carico. Il secondo legato alla corrente che
scorre nell’induttanza sul collettore. Tale corrente che scorre nell’induttore permette allo stesso di
generare un campo magnetico dipendente dall’ampiezza della corrente.
Seconda fase:
In questo secondo periodo il segnale d’ingresso assume valori negativi e il bjt è spento. Abbiamo la
circolazione di una sola corrente che è quella di carica del condensatore ed è, stavolta, entrante
positiva nel carico. L’induttore e il capacitore sono accordati in frequenza a quella del segnale
d’ingresso e quindi nel carico circolerà una corrente alla stessa frequenza del segnale d’ingresso,
che è proprio ciò che vogliamo.
Durante il primo quarto di periodo T/4 il diodo è ON e il condensatore inizia a caricarsi. Tenendo
conto che il condensatore quando è carico si comporta come una batteria con il + (in questo caso) a
sinistra, la tensione ai capi del diodo sarà: Vo(t) = Vi(t) –Vc. Ovvero si è prodotto l’effetto di
aggiungere al segnale di ingresso una tensione costante negativa di valore pari a Vc
Da T/4 in poi la tensione in uscita è data dall’Eq. Vo(t) = Vi(t) –Vc. e si può determinare per punti:
Supponiamo, per comodità, che la tensione d’ingresso abbia il seguente valore: Vi(t) = 5 sen(t)
[Volt]
La tensione d’uscita sarà ancora quindi una tensione sinusoidale avente 10 V di picco-picco, ma non
più centrata intorno allo zero, bensì attorno a -4.4 V. In altri termini non avrà più valore medio nullo
ma –4.4V.
Nel grafico che segue a fronte di un segnale di ingresso a media nulla con tensione picco picco =10
V si verifica che sul diodo si determina una tensione shiftata verso il basso di una quantità pari a
Vpicco – V = 4.4 V
5V
0V
-5V
-10V
0s 1.0ms 2.0ms 3.0ms 4.0ms 5.0ms
(V(Q1:b)-V(Q1:e))
Time
In questo caso quindi, considerando il diodo come l’equivalente circuitale della giunzione base-
emettitore allora il bjt a meno di una fase iniziale di carica del condensatore rimarrà perennemente
spento. C’è bisogno di una delta di tensione che mi porti ad un valore di tensione superiore a 0,6 V
necessari ad accendere il BJT. Ecco perché nasce l’esigenza di introdurre un elemento come la
resistenza come si mostra di seguito.
In questo circuito vi sarà un certo periodo di tempo tramite il quale la capacità si scaricherà sulla
resistenza R portando di una certa V più in alto la tensione sul nodo sopramenzionato tale da far
accendere il BJT.
zE’ chiaro che il tempo di conduzione del bjt dipenderà dal tempo di scarica del capacitore ( in
particolare, il tempo di conduzione sarà pari al tempo di scarica fino al raggiungimento degli 0,6V).
Maggiore sarà il valore del capacitore e più carica tratterrà e quindi maggiore sarà il tempo di
smaltimento di quest’ultima. Conseguentemente maggiore sarà il tempo di conduzione del bjt. Non
è bene avere il bjt troppo tempo in conduzione poiché ciò aumenterebbe la potenza dissipata nel
circuito a scapito di quella trasferita al carico.
Annotiamo che appena il bjt si accende viene spinto immediatamente in saturazione. Ciò perché la
corrente fluente nell’induttanza (molto alta) forza nella regione di collettore un cospicuo numero di
lacune richiamanti elettroni nella regione di base dove sono, gli elettroni, portatori minoritari. Un
aumento di portatori minoritari porta il bjt in saturazione, quindi, non appena il bjt va in conduzione.
E’ da tenere in considerazione che tale fenomeno si manifesta indipendentemente dalla possibile
azione saturante dovuta al segnale d’ingresso.
Quando, invece, il bjt non è in conduzione, naturalmente, sarà un semplice circuito aperto. Il suo
comportamento è proprio coincidente con quello di un interruttore.
Efficienza.
Calcoliamo la potenza fornita al carico. Stavolta la tensione fornita al carico non è più dipendente
dal segnale d’ingresso ma il suo massimo coincide con la tensione d’alimentazione. Infatti, se il bjt
funziona da interruttore come dovrebbe allora il minimo della tensione su di esso è proprio la
tensione nulla mentre il massimo è la tensione di alimentazione Vcc. Sul carico per effetto del
filtraggio giungeranno tensione e corrente in forma sinusoidale per cui il calcolo della potenza sarà:
V I V I
P0 CC N CC N .
2 2 2
Invece, la potenza fornita dall’alimentazione è pari al prodotto fra la tensione d’alimentazione (VCC)
e la corrente fornita da essa (I0).
V I 1 I
Si procede al calcolo dell’efficienza CC N N
2 VCC I 0 2 I 0
Vediamo chi sono queste due correnti. Immaginiamo che il bjt lavori con un angolo di conduzione
compreso fra - e + con che sarà pari proprio metà dell’angolo di conduzione. Quindi la
corrente in funzione della fase t avrà il seguente grafico:
Questo intervallo di fase corrisponde all’intervallo temporale in cui la tensione sul nodo del diodo
supera 0,6 V e faceva andare in conduzione il bjt.
La corrente media fornita dall’alimentazione durante il periodo sopradetto è pari al rapporto fra la
fase di attività (2) e la fase in un periodo (2) moltiplicati per la corrente supposta costante in fase
di attività:
I0 Im
La corrente fornita all’uscita abbiamo già detto che a causa del filtro risonante sarà di carattere
sinusoidale. Si calcolerà quindi attraverso l’integrale seguente ricordando che l’onda quadra che
genera la sinusoide non è a media nulla. Si procede quindi ad integrare il coseno solo nell’intervallo
di
I I sin N
I N m cos Nt dt m
2 N
N nella formula soprastante è l’indice dell’armonica ennesima del segnale d’ingresso (dovrebbe
coincidere con l’armonica di risonanza che è la frequenza del segnale d’ingresso…).
L’efficienza risultante è:
I sin N sin N
m
N I m N
Al variare di (ampiezza dell’intervallo di fase di accensione del BJT) avremo, un andamento
dell’efficienza di tipo sinc con 0 < < . Se chiamiamo = 2 l’angolo di conduzione possiamo
tracciare il seguente grafico
100
90
80
70
efficienza ideale
60
50
40
30
20
10
0
0 50 100 150 200 250 300 350
angolo di conduzione
da cui si evince che per valori di pari a 90° (= 45°) l’efficienza supera l’80%. L’efficienza è
inversamente proporzionale all’ampiezza dell’angolo di conduzione.
Serie di simulazioni.
Isocronia tra segnale d’ingresso e corrente sul collettore:
Tensione di collettore per R= . Bjt sempre spento e quindi nodo di collettore connesso a Vcc.
Quando il segnale Vbe supera il valore di soglia del bjt esso condurrà e vi sarà potenza dissipata.
Corrente di collettore. Essa ha la forma periodica di impulsi rettangolari tanto più larghi quanto
maggiore sono i valori di R e di C in ingresso ( maggiore sarà il tempo di scarica).
100mA
50mA
0A
-50mA
0s 0.5ms 1.0ms 1.5ms 2.0ms 2.5ms 3.0ms
Ic(Q1)
Time
La capacità non può essere scelta piccola perché non dovrà subire l’influenza dei termini parassiti
del bjt ossia le capacità CBE CBC. (corrispondenti a C e C)
Filtro L-C
Ipotizzando di aver inserito un circuito di adattamento del tipo in figura ( filtro LC) calcoliamo il
parametri che lo devono caratterizzare. Un primo vincolo è rappresentato dalla frequenza di
risonanza che dovrà essere quella del segnale di ingresso. Ciò concorre alla definizione di LC dalle
1
quali si ricava il valore di 0 .
LC
Tale filtro infatti pur caratterizzandosi anche come passa basso presenta un picco di risonanza:
Guardando al caso dell’amplificatore di classe C notiamo uno sfasamento tra tensione e corrente sul
collettore dovuto alla presenza dell’induttore:
Classe E
In questa configurazione viene aggiunto anche un condensatore C1 rispetto al classe C. Il circuito
amplificatore di classe E è principalmente usato in modalità mosfet. Questo perché si vuole sfruttare
al meglio la caratteristica di bassa R-on del mosfet (in pratica nel mos non circola mai corrente
statica attraverso la gate a causa dell’ossido sottile).
Non è presente il circuito di clamp. Il mosfet è acceso per tutto il tempo in cui la tensione di
ingresso è superiore a quella di soglia.
In questo circuito, si cerca di fare in modo che tensione di ingresso( corrente sul drain) e tensione
d’uscita siano in controfase fra loro. In tal modo, infatti, potrei ottenere una potenza dissipata molto
bassa. Idealmente, potrei ottenere una efficienza del 100% ma ovviamente avremo sempre, per
quanto piccole, delle sovrapposizioni.
Analizziamo ora le fasi di funzionamento del circuito:
1. Segnale d’ingresso in fase di ascesa, Mosfet attivo, induttanza che si carica, corrente che scorre
nel Mosfet il quale farà da semplice resistenza equivalente ai capi della quale c’è una tensione
bassa pari a Vds che non giunge al volt.
2. Segnale d’ingresso in fase di discesa, Mosfet disattivo, induttanza che si scarica, corrente che
fluisce verso il capacitore C1(diminuendo) e lo carica aumentando il potenziale di
drain(tensione su D che aumenta) fino al picco.
3. Segnale d’ingresso di nuovo in fase di ascesa, Mosfet attivo, induttanza che torna a caricarsi,
corrente che fluisce dal capacitore verso massa tramite il Mosfet e quindi tensione sul drain che
decresce mentre la corrente su di esso aumenta.
Si comprende dal movimento di queste tre fasi che ingresso e uscita sono in controfase più o meno.
In particolare, lo sono corrente di drain e tensione sul drain come mostra anche il seguente grafico.
Si mostra di seguito un grafico in cui è fotografato l’andamento del segnale d’ingresso e quello
d’uscita in perenne controfase.
Il filtro L-C finale pone la possibilità di selezionare sempre la frequenza d’ingresso ricostruendo la
forma d’onda di una sinusoide e, come per il C, matcha l’impedenza d’uscita del mosfet.
L’efficienza ottenuta in questo tipo di circuito non risulta molto alta come per il C. Risulta arrivare
massimo a 60-70% mentre per un classe C si arriva anche all’85%. Però i guadagni sono alti e un
altro aspetto importante è che si riesce a lavorare meglio sulla distorsione.
Attualmente questo tipo di amplificatore è presente in tutti i sistemi di telefonia GSM.
La presente tabella confronta amplificatori di classi A, E ed F alla luce di alcuni parametri
fondamentali: in particolare i classe E ed F non arrivando ai livelli di efficienza di un classe C
riescono a garantire buone prestazioni in termini di guadagno e purezza spettrale (quanto le
armoniche di terzo e quinto ordine impattano in termini di energia dispersa su di esse) quasi
confrontabili con un amplificatore di classe A.
Classi di Pout Efficienza % Guadagno 3rd IM 5th IM
amplificatori (mW) (dB) dBc dBc
A 265 20 22 -51 -55