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Bofor “Tredita” Barbagranito

Figlio unico di una famiglia di umili origini residente alla estrema periferia della
grande città di Valhar Mor, situata su aspre ed aride colline al confine con il regno del
Calimshan, dominato ormai da decenni dai mezzorchi di Barad Gormul, Bofor “Tre
dita” Barbagranito rimase orfano durante il suo dodicesimo anno di vita, nel corso di
uno dei frequenti attacchi che i mezzorchi portavano alle porte della città con
l’intento di conquistarla.
Nota per le sue alte e possenti mura difensive, la città era vivaio di una delle più
grandi gilde di costruttori dell’intero reame, i famosi Forgia Montagne, i cui membri
addestravano sin dalla nascita i propri figli alla costruzione di edifici, torri, campanili,
fortificazioni difensive e mura, in una tradizione che si tramandava da centinaia di
anni. Oggetto del desiderio dei vicini nemici mezzorchi proprio in virtù della sua
imponente cinta muraria e della sua strategica posizione sopraelevata rispetto alla
valle circostante, la città da sempre era soggetta a razzie ed incursioni da parte
nemica, ma il duro lavoro di perenne rinforzo della cinta muraria da parte dei Forgia
Montagne aveva sempre concesso alla città di non cadere.
Ciononostante, se da un lato il centrocittà era
inespugnabile, altrettanto non si poteva dire
della periferia: pur sempre barricata e ben
difesa, era tuttavia dotata in più punti di
fortificazioni fatte di legno, paglia e fango
erette da contadini e popolani che non si
p o t eva n o p e r m e t t e re d i v i ve re n e l
centrocittà.
Fu nel corso di una razzia alla periferia della
città che persero la vita i genitori di Bofor,
entrambi umili fabbri che producevano
perlopiù strumenti da agricoltore, stoviglie e
utensili domestici. Il padre di Bofor era noto
come Yotur Barbagranito per via del
particolare colore che la sua barba assumeva
quando colpita dai raggi del sole, ricordando
una roccia ignea ricca in potassio nota come “granito felsineo”; la madre di Bofor
invece si chiamava Thowelda Gambaforte per via della peculiare andatura della sua
marcia, zoppicante sin dalla giovane età in seguito ad una brutta caduta mentre
cavalcava una capra. Nel tempo libero che rimaneva tra un incarico e l’altro, il padre
di Bofor spendeva tutte le sue energie a rinforzare la loro dimora e quelle dei loro
vicini con fortificazioni in legno e fango, cercando di rendere quantopiù resistente
possibile anche la periferia della città. Sin da piccolo Bofor sostenne come poteva i
suoi genitori, aiutandoli a portare a termine le mansioni e cercando di imparare l’arte
della forgiatura e della costruzione, curioso di apprenderne ogni segreto per poter
alleviare ai suoi genitori le fatiche di ogni giorno.
Salvatosi grazie ad un nascondiglio che suo padre aveva creato alla sua nascita
appositamente per proteggerlo in situazioni di pericolo, al termine della scorreria dei
mezzorchi Bofor uscì dalla sua capanna e si ritrovò solo.
Venne quindi portato alle porte della città dalla Guardia Cittadina, la quale lo ritrovò
seduto di fronte al corpo del padre, con in pugno il suo martello, durante il conteggio
delle vittime al termine della battaglia. Fu in quel momento che Bofor giurò a se
stesso ed ai suoi defunti genitori che sarebbe diventato un grande mastro costruttore e
che avrebbe eretto, un giorno, due enormi torri difensive alla periferia della città, sulle
quali avrebbe inciso i nomi di suo padre e sua madre.

Come la “legge del Collocamento” di Valhar Mor voleva, gli orfani venivano affidati
agli artigiani ed ai mercanti come forza lavoro, quello sarebbe stato il suo destino; ma
Bofor dimostrò che conosceva già parte dei segreti da costruttore e da fabbro,
nonostante la sua giovanissima età. Urlando di volere costruire, un giorno, mura
possenti ed invalicabili per poter difendere anche contadini ed umili popolani, Bofor
si fece notare per il suo giovane vigore da Jolmiin Spacca Montagne, nuovo giovane
Mastro Costruttore dei Forgia Montagne in cerca dei suoi primi allievi da formare.
Dopo settimane di contrattazione con il Reggente di Valhar Mor, Jolminn lo convinse
a non seguire la legge del Collocamento permettendogli di prendere sotto la sua ala
Bofor ed Ubula, un’altra giovane nana rimasta orfana nel corso della stessa
scorribanda nemica.
Sin dal primo giorno come apprendista
costruttore nei Forgia Montagne Bofor
mise tutto se stesso per apprendere ogni
segreto, trucco ed artificio che Jolminn
avesse da insegnargli, vivendo nel
perenne ricordo del giuramento fatto ai
suoi genitori. Famoso per la sua profonda
conoscenza degli stili di costruzione degli
altri Piani Materiali, appresi grazie agli
anni spesi a studiare le tecniche di lavorazione della pietra utilizzate nelle più grandi
città della Coltre Oscura e della Selva Fatata, Jolminn era divenuto Mastro
Costruttore solo l’anno precedente, e fu proprio per questo motivo che dedicò cure ed
attenzioni a Bofor e Ubula, i suoi primi allievi, come fossero suoi figli; era inoltre
conosciuto per la sua perenne tendenza a rivolgersi alle persone con l’uso di proverbi,
frasi fatte ed aforismi, caratteristica inconsciamente ereditata nel corso della sua vita
dalla convivenza con il suo ormai defunto nonno. Le citazioni ed i proverbi erano
all’ordine del giorno, tanto nei momenti di sollazzo quanto nei momenti di fatica, il
che rendeva l’apprendistato di Bofor colmo di nozioni non solo sull’artigianato ma
anche sulla vita e sulle abitudini dei Nani.
Quando non era in deposito o in cantiere, Bofor spendeva tutto il suo tempo a leggere
ogni libro sull’arte della costruzione presente nella libreria di Valhar Mor: durante le
pause pranzo, nelle locande la sera, al lume di candela prima di coricarsi. Ma se da
un lato l’impegno e la dedizione lavorativa di Bofor gli permisero di mettersi da subito
in mostra tra i giovani apprendisti, lo stesso non si poteva dire della sua posizione
sociale. Bofor era spesso isolato e solitario, non desideroso di stringere rapporti con
nessuno se non con l’arte del costruire. Lo studio e la costruzione occupavano
completamente le sue giornate e lo stesso Jolminn, suo maestro e mentore, aveva
difficoltà a far distrarre quel ragazzo nei momenti di svago.

Opposta a quella di Bofor era la personalità


di Ubula: bassa e robusta, Ubula era una
nana sempre sorridente, piena di energie e
desideri. A tratti sgarbata e spesso indelicata,
Ubula era la classica nana che non si curava
di cosa potessero pensare gli altri. Amava la
birra, gozzovigliare ed ubriacarsi la sera,
finendo spesso per generare risse nelle taverne
presentandosi stanca e malmessa il giorno
dopo al cospetto di Jolminn.
Proprio per questo Bofor, da subito, non
strinse rapporto con Ubula nonostante
vivessero insieme gran parte della giornata:
Ubula non studiava, non ascoltava i consigli
di Jolminn e faceva di testa sua, era pressoché
ul suo esatto contrario. Ciononostante Ubula non notava il distacco di Bofor, o
quantomeno fingeva di non notarlo, e continuava senza sosta ad invitarlo in qualsiasi
attività facesse, dalla taverna per un bicchiere di idromele alle lunghe passeggiate ai
piedi delle mura del centrocittà. Con il passare degli anni, grazie alla supervisione di
Jolminn ed alla convivenza forzata nella stessa stanza del dormitorio di gilda,
l’insistenza di Ubula ebbe la meglio e quest’ultima riuscì a smussare i duri angoli del
carattere di Bofor. Seppur senza rendersene conto, Bofor iniziò lentamente a lasciarsi
andare e cambiò piano piano le sue abitudini, abituandosi all’esuberanza ed alla
vivacità di Ubula; pur sempre continuando ad impegnarsi largamente
nell’apprendistato, ora dedicava qualche ora allo svago ed ai sollazzi della vita, tra
partite di scacchi, storie di draghi e boccali di birra, sempre in compagnia della sua
ormai fedele amica Ubula. Raggiunta ormai l’età di 50 anni divennero lentamente
una coppia di amici inseparabili, noti soprattutto nelle peggiori taverne della città per
le scorrerie serali. Tra boccali tracotanti di birra, pinte di idromele e cosce di pollo,
spesso ad Ubula usciva qualche gesto o parola di troppo, scatenando risse furibonde a
cui prendeva parte anche Bofor, il quale si posizionava immediatamente alla destra di
Ubula come ormai erano abituati: conoscendosi a menadito, i due amici si
muovevano in sinergia ed Ubula proteggeva il fianco sinistro, respingendo gli assalitori
con spinte e calci, mentre Bofor salvaguardava il fianco destro, menando schiaffi e
pugni ovunque poteva. Le risse si risolvevano, quasi sempre, con la loro cacciata dalla
taverna sotto le grida dei commensali; i due se ne ritornavano quindi al dormitorio di
gilda abbracciati, zoppicanti e pieni di lividi, ma sempre ridendo a crepapelle come
Ubula aveva insegnato a Bofor.

Alla soglia del


settantesimo anno dal
loro ingresso nella gilda
dei Forgia Montagne,
Bofor e Ubula erano
diventati l’uno
Intendente Edile e l’altra
Maestra Scalpellista,
posizioni di medio grado
all’interno della gilda
che gli permisero di
ottenere un compenso
tale da potersi
permettere una piccola abitazione all’interno del quartiere della gilda dei costruttori,
dentro le mura del centrocittà. Nonostante il loro apprendistato al seguito di Jolminn
fosse terminato, i due non smisero di mantenere stretti rapporti con il loro maestro:
spesso, la sera, erano soliti recarsi in taverna insieme all’ormai veterano costruttore
per raccontare a quest’ultimo le loro recenti mansioni, i loro dubbi e le loro difficoltà,
in cerca di qualche prezioso aiuto da parte del loro saggio mentore.
Le cose, tuttavia, cambiarono un normale giorno di un freddo autunno.
Mentre Bofor ed Ubula erano impegnati nella costruzione di una bassa cinta muraria
in pietra nella prima periferia della città, i mezzorchi si apprestavano a portare a
termine una delle loro razzie più sanguinose e violente, consci questa volta di avere
dalla loro parte l’aiuto dei Giganti di Hornhill, con i quali avevano stretto un accordo
durante gli anni precedenti. L’incursione avvenne alle prime luci dell’alba, quando
ancora buona parte dei costruttori e dei soldati della Guardia Cittadina erano
impegnati a smaltire l’ubriachezza della serata in taverna; Bofor e Ubula, insieme ad
altri due manipoli di circa 30 lavoratori, si ritrovarono immediatamente circondati dai
nemici, contro i quali poco potevano con i loro soli strumenti da artigiani. Come
ormai avvezzi dopo i tanti anni di risse da taverna che li avevano resi tanto uniti,
Bofor e Ubula si posizionarono fianco a fianco ed iniziarono a difendersi, l’una sul
fianco sinistro munita di corda e scalpello, l’altro sul fianco destro munito di martello
e sega. I due si fecero valere per qualche istante, riuscendo perfino ad intimidire
nemici addestrati sin dalla nascita alla battaglia; ma fu in quell’occasione che Bofor,
mentre era intento a tenere a bada un mezzorco a cavallo di un cinghiale, sentì una
fitta lancinante alla mano sinistra e, voltatosi per accertarsi sull’accaduto, si rese conto
di avere perso le ultime due dita della mano per opera di un fendente nemico. Fu solo
allora che vide, in mezzo al furore dello scontro, il corpo di Ubula a terra, inerme,
trafitto da una lunga lancia. Gli occhi della sua amica erano vitrei, immobili, e fu solo
allora che Bofor capì che aveva perso per sempre la sua fedele protezione del fianco
sinistro.
Riuscì a sopravvivere alla battaglia grazie all’intervento della Guardia Cittadina, ma
sin dai primi giorni si rese conto che la sua vita sarebbe inevitabilmente cambiata.

Cercando di nascondere il peso della sua personale perdita agli occhi degli altri, Bofor
cercò per quanto gli fosse possibile di rimanere fedele agli insegnamenti di Ubula,
sforzandosi di recarsi alle taverne in compagnia di nuovi ma non desiderati compagni.
Tuttavia, oltre al peso legato alla perdita della sua compagna, Bofor era consapevole
anche del gravoso peso che doveva affrontare come artigiano: la perdita di due dita
della mano facevano di lui, agli occhi degli altri, un inefficiente costruttore, non più in
grado di svolgere al meglio le sue mansioni. Fu lì, nelle peggiori taverne della città,
che venne soprannominato Bofor “Tredita”, deriso dai costruttori ma temuto dai
rissosi avventori dei locali.
Con il passare dei mesi dalla morte della sua compagna e sempre più avvezzo a
scatenare risse indispettito dall’immeritato soprannome Tredita, Bofor si rintanò
lentamente in se stesso, costruendosi una abitazione ai margini del centrocittà,
lontano dalla gilda dei costruttori, dalle taverne che frequentava insieme ad Ubula e
dalla casa del loro mentore Jolminn. Ricordandosi del giuramento fatto ai suoi
genitori e sentendo sempre riecheggiare le risate di Ubula, Bofor passava intere
giornata a lavorare, accettava mansioni di ogni tipo e difficoltà, addirittura svolgeva
da solo il lavoro di due uomini, con il solo intento di poter dimostrare a tutti che la
mancanza di due dita non gli avrebbe impedito di diventare il miglior costruttore
della città.

Fu nel corso di quei mesi che venne richiamato al cospetto dei Forgia Montagne. La
gilda dei costruttori, conscia delle innumerevoli voci che circolavano circa le ormai
inabili capacità del giovane nano, decise di privarlo degli attrezzi da artigiano per
cederli ad un più giovane apprendista. A nulla servirono le suppliche e le convinzioni
di Jolminn, il quale difese con tutte le sue forze il suo primo apprendista distaccandosi
apertamente dalle idee dei reggenti della Gilda, conscio che sarebbe anch’esso stato
punito: a Bofor, infatti, furono tolti gli
attrezzi e Jolminn fu declassato di
rango all’interno della gilda,
ritornando a svolgere lavori di bassa
manovalanza nonostante la sua
veneranda età.
La sera seguente, mentre Bofor
rifletteva sugli ultimi avvenimenti della
sua esistenza e su cos’altro potesse
riservargli l’indomani, si presentò al
suo domicilio Jolminn, con in mano un
sacco di juta ed una lettera con il
timbro dei Forgia Montagne. In primis
gli consegnò il sacco, il quale
conteneva i primi attrezzi che il suo
mentore utilizzò da giovane durante il
suo periodo di apprendistato, ancora
arrugginiti e grezzi rispetto ai più
moderni utensili. In un secondo
momento gli consegnò la lettera,
rivelandogli che l’aveva scritta la sera
precedente subito dopo essere stato declassato dal suo rango ma prima che le guardie
lo potessero privare del suo sigillo da Mastro Costruttore; con quella lettera sarebbe
stato ancora, in tutte le città del mondo, un Intendente Edile della gilda dei Forgia
Montagne, nessuno avrebbe saputo la verità a parte le due persone presenti in quella
stanza.
Ringraziandolo di quei preziosi doni, seppur conscio che il suo maestro lo stava
invitando a cercar fortuna altrove, Bofor era tuttavia scettico circa le possibilità del suo
futuro, non conoscendo nulla al di fuori della città dove aveva trascorso tutta la sua
vita. Fu allora che Jolminn lo incitò a visitare le altre dimensioni del Piano Materiale
proprio come aveva fatto lui stesso da giovane, per conoscerne i segreti architettonici,
a partire dalla maestosa edilizia della Selva Fatata, per poi ritornare un giorno a
Valhar Mor e dimostrare a tutti che si sbagliavano. Bofor sarebbe ritornato a Valhar
Mor adulto, saggio e con immense competenze nell’arte della costruzione; la sua
mano sinistra sarebbe diventata il suo marchio di fabbrica ed il suo nome sarebbe
diventato famoso, raccontato in tutte le taverne del mondo da bardi e menestrelli.
Mentre si apprestava ad abbandonare i suoi averi scegliendo attentamente il
necessario per affrontare un lungo viaggio, Jolminn uscì dall’abitazione per poi
rientrarvi con un ultimo dono: era un possente scudo di legno e acciaio sul quale, al
centro, Jolminn aveva incastonato il fermacapelli che indossava sempre Ubula.
Fissandolo intensamente e senza dire una parola Bofor lo agguantò con le tre dita
della mano sinistra, consapevole che da quel momento in poi Ubula sarebbe stata, per
sempre, al suo fianco per proteggerlo.
Fu sotto gli occhi del saggio Jolminn che Bofor Tredita Barbagranito uscì di casa e si
incamminò sotto i lucenti raggi della luna, con Ubula alla sua sinistra ed alle sue
spalle l’eco rimbombante di uno dei tanti proverbi del suo maestro: “chi trova un
amico, trova un tesoro”.

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