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Linternazionalizzazione Delle Pmi Italiane Il Caso Poli A Singapore
Linternazionalizzazione Delle Pmi Italiane Il Caso Poli A Singapore
L’internazionalizzazione
delle PMI italiane: il caso
Poli a Singapore.
Relatore
Ch. Prof. Giuseppe Volpato
Laureando
Stefano Ferronato
Matricola 814786
Anno Accademico
2007 / 2008
Indice
Parte I
Capitolo 1
1 – LE STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
1.1 - Il punto di partenza: un crescente scambio di beni, di servizi e di capitali
tra operatori di paesi diversi ............................................................ pag. 15
1.1.1 - La necessità di interpretare la dinamica spaziale del gioco
competitivo………………………………………………………….. pag. 18
1.1.2 - Le strategie di internazionalizzazione........................................ pag. 20
1.1.3 - Cosa si intende per strategia?................................................... pag. 20
1.1.4 - Come la strategia si sviluppa e se sia “costruibile”raz. ............. pag. 22
1.1.5 - L’internazionalizzazione come sottospecie delle strategie di
espansione geografica ............................................................. pag. 25
1.2 - I tratti specifici delle strategie di internazionalizzazione .................... pag. 28
1.3 - Il processo di formazione delle scelte di internazionalizzazione........ pag. 30
1.4 - Le questioni fondamentali dell’internazionalizzazione....................... pag. 31
Capitolo 2
Capitolo 3
3
Capitolo 4
Capitolo 5
4
Parte II
Capitolo 6
Capitolo 7
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Parte III
Capitolo 8
8 – POLI DISTILLERIE
Capitolo 9
Capitolo 10
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10.11.7 - Coll. con autorevoli marchi del panorama vitivinicolo .......... pag. 241
10.12 - Museo della grappa .................................................................... pag. 242
10.12.1 - Il Museo come marca culturale ........................................... pag. 243
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Introduzione
La presente tesi è il frutto di una collaborazione con l’azienda Distillerie Poli nella
persona di Jacopo Poli in qualità di Presidente dell’azienda. Inoltre sono stati presi
come riferimento una serie di documenti di dominio pubblico inerenti a notizie su
Singapore. Il tema su cui si è focalizzata principalmente l’attenzione è la strategia di
Internazionalizzazione intrapresa dall’ azienda per inserire in un mercato estraneo e
poco favorevole i propri prodotti, al fine di valutare la convenienza e la profittabilità
del progetto. L’idea di realizzare questo progetto è nata durante la visita del Sig.Poli
a Singapore in occasione di Food & Hotel Asia 2008 (uno dei maggiori eventi
fieristici in Asia nel settore del food and beverage). In concomitanza con la fiera la
Camera di Commercio Italiana a Singapore, per la quale prestavo il mio lavoro
come stagista, ha organizzato un Grappa Tasting (un assaggio di Grappe proposto
a possibili importatori/distributori interessati caratterizzato però da una vera e
propria lezione sulla Grappa e la sua storia, realizzata dal Sign. Poli in persona).
Oltre al Tasting la Camera di Commercio ha inoltre presentato il Sign. Poli e i suoi
prodotti a tutta la comunità Italiana che risiede a Singapore.
La tesi è divisa in tre parti principali e si articola in 10 capitoli. La prima parte
analizza i processi di internazionalizzazione: nel primo capitolo viene analizzato il
concetto di internazionalizzazione, le strategie e il processo stesso di
internazionalizzazione.
La parte centrale è dedicata all’ analisi dei fattori che determinano la scelta dei
mercati geografici e le modalità di presenza sui mercati di sbocco.
La terza e ultima parte analizza gli accordi, le alleanze e le acquisizioni come
modalità di crescita internazionale.
Nella seconda parte della tesi, che comprende i capitoli sei e sette, vengono
analizzati rispettivamente i rapporti esistenti tra Asean e UE (il libero mercato e le
prospettive di collaborazione) e tra Singapore, UE e Italia.
La terza ed ultima parte, che comprende i capitoli otto, nove e dieci, introduce
l’azienda e i principali prodotti che essa produce, descrive i principali valori
economici della grappa: presentando una relazione di mercato nazionale, una
relazione riguardo il mercato singaporeano (consumo e importazioni) e infine
analizzando il caso aziendale e la politica commerciale adottata dallla Distilleria Poli.
Vengono descritte inoltre le strategie di brand e di comunicazione adottate
dall’impresa e la possibilità che da esse derivino un duraturo vantaggio competitivo.
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L’analisi del caso aziendale ci permette poi di comporre in un quadro d’insieme gli
aspetti teorici sviluppati nei capitoli precedenti ma, per comprendere al meglio è
necessario un lavoro di analisi dei:
Processi di internazionalizzazione
L'internazionalizzazione delle attività rappresenta nell'attuale contesto economico
una fondamentale modalità con cui l'impresa crea valore, remunera le risorse
investite, estende il proprio vantaggio competitivo, accede a nuove opportunità e
mezzi per la crescita. Talvolta, l'internazionalizzazione è una via obbligata per la
sopravvivenza e il successo, imposta da una nuova ecologia competitiva in cui
concorrenti da ogni parte del mondo mettono in discussione la posizione
dell'impresa sul suo stesso mercato domestico. Le forme dell'internazionalizzazione
sono numerose e si spingono oltre la tradizionale attività di commercio con l'estero:
accordi di cooperazione commerciale,produttiva e tecnologica con partner esteri,
alleanze, joint venture e partecipazioni, presenza diretta con sussidiarie e filiali
commerciali, industriali, di servizio e assistenza tecnica, ecc. Le possibili aree
interessate all'espansione sono altrettanto varie: la globalizzazione coinvolge nello
sviluppo economico capitalistico i paesi di tutti i continenti, ciascuno dei quali può
presentare peculiari vantaggi comparati, in termini di risorse naturali, costo e qualità
dei fattori produttivi, tecnologie e competenze disponibili.
Per l'impresa, l'internazionalizzazione è una decisione complessa, accompagnata
da un processo di trasformazione aziendale fondamentale e spesso irreversibile,
che riguarda gli assetti finanziari, la struttura organizzativa e tecnica, il
posizionamento sul mercato, la gestione delle risorse umane.
Anche per l'impresa meglio dotata di competenze e risorse, il rischio è importante e
non eludibile, poiché le operazioni internazionali vengono spesso decise e
implementate senza la possibilità di esercitare una piena razionalità: troppi e
imprevedibili sono i fattori da considerare, mai perfettamente conosciuti sono i
mercati e le condizioni ambientali all'estero.
Nel passato l'internazionalizzazione era una via seguita quasi esclusivamente dalle
imprese maggiori dei paesi industrializzati, le uniche in grado di realizzare una
presenza diretta sui grandi mercati, superando ostacoli e barriere. Oggi, uno dei
significati profondi della globalizzazione è l'affermarsi di una nuova era di
internazionalizzazione diffusa. I mercati si sono integrati e infrastrutturati, i costi di
trasporto, di comunicazione e degli altri supporti per "andare all'estero" si sono
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drasticamente ridotti, le barriere tra paesi - economiche, tecniche e istituzionali – si
sono abbassate, nuovi protagonisti - imprese, industrie, paesi - si sono affacciati
nell'arena competitiva, le preferenze e i gusti dei consumatori si traducono in una
domanda che si affranca sempre più dagli ambiti strettamente nazionali.
Nessuna impresa, di qualunque dimensione e settore di attività, può così ritenersi
esente da un coinvolgimento nei processi di internazionalizzazione. D'altro canto
l'evidenza di tutti i giorni è buona testimone della nuova condizione.
In questo processo diffuso di internazionalizzazione, le imprese di piccola e media
dimensione (Pmi) soffrono, nel prendere le decisioni, di limiti finanziari, manageriali,
di informazione e di esperienza, in misura assai maggiore delle imprese più grandi.
Le loro risposte e soluzioni sono così talvolta inadeguate o approssimate o frutto di
scorciatoie che inevitabilmente accrescono il rischio di insuccesso delle iniziative
intraprese. Sono peraltro molti i soggetti che si propongono a sostegno e consiglio
delle loro iniziative estere: enti pubblici e privati, agenzie territoriali e associazioni di
categoria, società di consulenza, istituti di credito, ecc. Tutti svolgono un ruolo
prezioso per migliorare lo stato di razionalità in cui le Pmi prendono le decisioni e
per supportare sul piano delle risorse le scelte di investimento.
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economiche, la capacità di vivere un secondo trend positivo che perdura ormai da
più di un quinquennio.
Se questa situazione può essere vista da una parte come il riaffacciarsi sul mercato
di nuovi pericolosi concorrenti per i soggetti economici occidentali, essa può anche
rappresentare d’altro canto, l’esempio più evidente di come economie versatili e
pronte al rinnovo possano offrire nuove e profittevoli opportunità di investimento a
coloro che vogliono, e che vorranno, puntare su di esse.
Singapore, la “Citta’ del Leone”, e’ oggi uno dei centri economici asiatici che
risultano, a livello mondiale, di maggior interesse.
Spesso descritto come un “miracolo economico” a causa degli alti tassi di crescita
realizzati negli ultimi due decenni, Singapore si presenta oggi come un importante
centro finanziario, un punto cardine per il commercio regionale, il porto piu’ attivo del
mondo ed un centro strategico per investire in Asia.
Punti di forza del patrimonio del paese come centro d’affari sono le eccellenti
infrastrutture, l’ubicazione strategica, la forza lavoro preparata e laboriosa ed un
governo che si propone verso il mondo con un approccio nel contempo pragmatico
e flessibile.
I dati del “World Economic Forum” rivelano come l’economia di Singapore sia la
quarta economia al mondo, dietro a Finlandia, Stati Uniti e Canada, in termini di
competitivita’. La classifica e’ da intendersi come indicatore di crescita nei prossimi
cinque anni. Le piu’ grandi aziende internazionali hanno scelto Singapore come
secondo centro per l’investimento in Asia, mentre Hong Kong risulta essere ancora
il primo (inchiesta condotta dall’ ”Economist Intelligence Unit” su un periodo di due
anni, che ha coinvolto all’incirca ottomila aziende nord-americane, europee e
giapponesi con presenza anche in Asia).
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nel corso del tempo in una vera e propria attività produttiva (ufficializzata nel 1898),
in un’arte tramandata di padre in figlio.
La matrice familiare che caratterizza la maggioranza delle imprese venete, definisce
lo stile del management aziendale e determina, da un lato la solidità aziendale,
dall’altro, evidenzia una cultura tipica, ricorrente tra i piccoli imprenditori del nord-est
che “si sono fatti da sé”, e che, ancora oggi, è poco propensa all’aggregazione, alla
collaborazione fra imprese e, anzi, spesso vede come un segno di debolezza, la
condivisione di esperienze e progetti con i concorrenti.
L’obiettivo “qualità” accompagna da sempre la Distilleria Poli, ma è con l’inizio degli
anni ’80, quando si punta a “ricostruire” l’immagine dell’acquavite per farne un
prodotto di levatura internazionale, apprezzato anche dai palati più raffinati ed
esigenti, che diviene una vera e propria missione aziendale. A questo scopo
l’azienda, grazie ad un moderno approccio commerciale e distributivo, pur
rimanendo fedele alla produzione artigianale, si ripropone con una nuova linea di
prodotti di alta fascia destinati al segmento di mercato della ristorazione e delle
enoteche specializzate.
Pertanto l’azienda si riposiziona sul mercato, passando da una distribuzione di
massa, quale quella dei supermercati, ad una nicchia costituita da clientela
specializzata. In circa quindici anni la Distilleria Poli accresce il successo rimanendo
fedele alla propria etica aziendale, basata sulla tradizione e soprattutto sull’essenza
familiare e artigianale della gestione, sulla quale, sono concepiti i programmi, anche
per lo sviluppo futuro. Perciò, nonostante si stia prospettando uno scenario
competitivo segnato da trasformazioni come la globalizzazione dei mercati e la
“smaterializzazione” delle produzioni, sembrano ancora particolarmente decisivi
principi ed esperienze consolidate. Infatti, all’applicazione delle nuove tecnologie
della comunicazione, prevale un modello di business tradizionale, orientato
particolarmente al perfezionamento del prodotto e che affronta, ancora oggi in modo
vincente, la crescente competitività dei mercati. Ed è proprio la particolarità del
prodotto, in questo caso la Grappa, e la sua personalizzazione ed evoluzione in
base alle specifiche esigenze del cliente, a consentire performances tuttora positive
del sistema produttivo veneto.
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CAPITOLO 1
LE STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
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potesse osservare il fenomeno dall’alto, si noterebbe questa dilatazione spaziale,
come se gli anelli delle filiere in cui si articolano le varie attività economiche si
dispiegassero nello spazio alla ricerca di una localizzazione ottimale, creando
intrecci sempre più ampi ed articolati da un lato fra serie di produttori di paesi diversi
che partecipano ciascuno con un proprio ruolo allo stesso processo produttivo,
sparso nello spazio e, dall’altro un tessuto fitto tessuto di rapporti tra produttori e
consumatori appartenenti a paesi diversi. Questo fenomeno viene spesso chiamato
globalizzazione, anche se questo termine dovrebbe essere riservato ad un
fenomeno più specifico, in particolare ad una precisa scelta strategica ed
organizzativa nel modo di condurre le attività internazionali di un’impresa. Va
osservato che questa dilatazione spaziale delle filiere produttive può prendere forme
diverse: in alcuni casi è un’unica impresa integrata verticalmente che disloca nello
spazio in diversi paesi i vari anelli della filiera: la ricerca e lo sviluppo in uno o più
punti, gli approvvigionamenti in altri, la produzione in altri ancora, mentre disperde i
suoi prodotti su più territori.
Oggetto di osservazione degli economisti generali è la struttura dei flussi di fattori
produttivi, di componenti, di beni finali, di servizi, e di capitali che si generano fra
paesi diversi in conseguenza di questa dilatazione spaziale, così come è un loro
specifico obiettivo la ricerca delle cause che determinano questo fenomeno. Per
quali ragioni la filiera produttiva si dispiega sempre più nello spazio; perché in certi
settori questa dilatazione è più marcata; quali sono i benefici che ne derivano e per
chi; qual è l’effetto sul benessere generale e quello di particolari categorie di paesi o
di soggetti; quali gli effetti negativi e su quali classi gli operatori si riversano. Queste
ed altre ancora sono le questioni che vengono indagate dagli economisti che si
interessano di questi fenomeni.
Gli economisti aziendali studiano anch’essi questi processi, ma con una prospettiva
diversa. Il loro punto d’osservazione sono i comportamenti delle imprese a fronte
delle dinamiche sopra illustrate. Essi condividono con gli economisti generali
l’interesse ad individuare le origini e le cause del fenomeno della dilatazione
spaziale. Ma mentre gli economisti generali sono interessati ad indagare sugli effetti
che ne derivano per l’economia di un paese – sull’evoluzione della ricchezza
complessiva, sull’occupazione, sul benessere relativo delle varie classi di operatori-
l’economista aziendale vuole capire come questi fenomeni si riflettono sulle
imprese, come esse possono trarne vantaggio, come possono evitarne i danni, quali
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strategie spaziali devono assumere per massimizzare i primi e minimizzare i
secondi.
Assumendo questo punto di vista è facile rilevare che questa dilatazione spaziale è
frutto di diverse circostanze. Molti dei fenomeni che plasmano la distribuzione
dell’attività economica sul territorio sono esogeni alle imprese: nascono piuttosto
dalle decisioni delle cellule primarie del sistema economico – i singoli e le famiglie-
nel momento nel quale queste manifestano una domanda di beni o servizi prodotti
altrove. Altre volte la spinta verso una diversa collocazione nello spazio nasce da
innovazioni politiche che rimuovono ostacoli artificiali al collegamento fra aree
geografiche diverse oppure rimuovono ostacoli effettivi come quelli delle difficoltà di
collegamento. Ciò accade, per esempio, quando vengono meno barriere normative
in seguito ad accordi di libero scambio, come accade con lo Zollverein che nel 1883
creò una unione doganale fra le varie province tedesche, o più recentemente con la
formazione prima della CEE e poi dell’Unione Europea; o quando nuovi sistemi di
comunicazione o di trasporto riescono a ridurre i costi di collegamento al di sotto
della differenza dei prezzi praticati per gli stessi beni sui diversi mercati. Questi
nuovi sistemi di comunicazione e di trasporto che modificano i punti di convenienza
al movimento delle merci e dei servizi nello spazio sono il frutto della ricerca di
vantaggi competitivi da parte delle imprese che operano in questi campi di attività.
Nella loro genesi potrebbero non avere alcuna esplicita intenzione di alterare la
trama geografica dell’attività economica: ma l’effetto indotto spesso è proprio
questo.
Infine, la dilatazione spaziale delle filiere produttive può essere indotta da scelte ed
azioni deliberate delle imprese – di altre imprese rispetto a quella oggetto di
osservazione- impegnate a cercare un vantaggio competitivo, vuoi attraverso
l’approvvigionamento su mercati esteri più convenienti, vuoi attraverso la
dislocazione di ricerca e sviluppo o di produzioni in luoghi a più basso costo, vuoi
con la vendita dei prodotti su larga scala per acquisire masse critiche che
minimizzano i costi unitari.
Da quanto detto consegue che la trama geografica dell’attività economica subisce
modificazioni continue in seguito ai comportamenti di diversi soggetti, fra i quali
anche le imprese. Dal punto di vista di una specifica azienda, molte delle forze che
influenzano il fenomeno sono pre-esistenti o comunque esterne, nel senso che
hanno un decorso loro proprio. L’impresa può pensare di opporsi o di accelerare
tale decorso, ma ciò che si realizza nei fatti è la risultante che scaturisce dai rapporti
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di forza fra i fenomeni in campo, e non certo il frutto di un mero atto volontaristico.
Stando le cose in questi termini, un’indagine preliminare delle spinte e controspinte
esogene che sollecitano verso un più ampio o un più ristretto dispiegamento
geografico costituisce per ogni impresa il primo passo nell’impostare una strategia
d’internazionalizzazione.
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dell’offerta, oppure da entrambi i lati, elementi che premino sul fronte dei costi o su
quello dei ricavi l’allargamento o il restringimento dello spazio geografico da
presidiare.
Contrariamente a quanto si afferma con troppa insistenza, da queste ricognizioni
non sempre emerge una strutturale ed inarrestabile tendenza verso la
“globalizzazione”, per usare un neologismo ormai diffuso. Negli ultimi anni un
movimento in questa direzione si è effettivamente verificato in diversa attività,
invertendo tendenze localistiche che avevano prevalso nel periodo anteguerra. E’
più che probabile che questa tendenza persista o si accentui in alcuni settori, in
seguito alla formazione del Mercato Unico Europeo, alle aperture del WTO alle
spinte provenienti dai costi fissi sempre più alti della ricerca e sviluppo delle
economie di scala o delle curve di esperienza derivanti dalle nuove tecnologie. Ma
in altre attività la dimensione locale dell’attività può benissimo coesistere o perfino
accentuarsi, pur in presenza di una generalizzata globalizzazione nel resto del
sistema economico. Anzi le tendenze localistiche, proprio poiché corrispondono a
elementari bisogni di sicurezza e di “intimità” continueranno a contrapporsi alle forze
ceh spingono verso allargamento dell’attività nello spazio, lasciando nicchie di
mercato coltivabili da imprese che sappiano adattarsi ad esse. In certe condizioni
potranno perfino riuscire ad invertire la tendenza alla globalizzazione che alla luce
dei fatti di oggi parrebbe irreversibile. Per questi motivi, la ricognizione sul contesto
generale, ed a maggiore su quello specifico nel quale opera l’impresa, deve avere
per primo obiettivo proprio quello di evitare conclusioni preconfezionate per
accertare con oggettività e senza pregiudizi la reale dinamica geografica del gioco
competitivo nello specifico campo sotto esame.
Gli esiti di una simile ricognizione possono indicare che non esiste alcun vantaggio
all’ampliamento dello spazio operativo o ad una diversa dislocazione nello spazio
delle attività dell’impresa. Potrebbe invece emergere che la dinamica della
domanda, le tecnologie, i comportamenti dei concorrenti attuali o potenziali
segnalino la necessità di rivedere il dispiegamento nello spazio dell’attività
dell’impresa. A quel punto non si possono ancora trarre conclusioni sul tipo di
strategia da perseguire, ma si è di fronte alla necessità di avviare un processo
iterativo il cui fine è proprio quello di far emergere elementi necessari per la scelta
della strategia. Questa infatti, non dipende solo dalle condizioni d’ambiente: ma è
l’atto di sintesi che pone l’impresa, con le sue competenze, la sua cultura, le sue
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debolezze, in collegamento con i suoi mercati, alla luce della struttura di questi e del
posizionamento assunto e atteso dei concorrenti.
Se il modo nel quale le imprese dispiegano la loro attività nello spazio determina
vantaggi o svantaggi competitivi in funzione del contesto ambientale e delle leggi
economiche proprie di quello specifico settore, è naturale le scelte in questione
siano oggetto di studio e di attenzione. Le scelte del posizionamento spaziale sono
per loro natura scelte strategiche. Di qui la necessità di riprendere i concetti di base
della strategia sui quali si fondano quelli più specifici relativi alle scelte rispetto allo
spazio e più specificatamente alle scelte spaziali che travalicano i confini di un
paese.
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• Che la strategia consiste in quelle specifiche scelte che determinano il
posizionamento strutturale rispetto ai vari mercati di riferimento. Sono le scelte
meno facilmente reversibili e quelle che segnano il “carattere” (e quindi anche
l’immagine) dell’impresa.
• Che la strategia non riguarda le scelte contingenti, dettata tatticamente da
condizioni momentanee dei mercati, che possono occasionalmente discostarsi
dall’impostazione di fondo.
• Che la strategia, realizzando una posizione di equilibrio, cioè di competitività
difendibile rispetto ai diversi mercati, crea le condizioni per la sopravvivenza e
lo sviluppo dell’impresa.
• Che il problema non è, come troppo spesso si crede, quello di determinare il
posizionamento rispetto al solo mercato di sbocco, ma quello di realizzare
l’equilibrio simultaneo rispetto a tutti i mercati: quello di sbocco, quello di
rifornimento delle materie prime, quello del know-how, quello dei componenti,
quello del lavoro, quello del mercato dei capitali di credito; ed infine quello del
mercato del capitale di rischio.
• Che la strategia richiede anche la ricerca di un equilibrio rispetto agli
interlocutori non commerciali ( per esempio, le autorità pubbliche, i movimenti
di opinione) dai quali dipendono alcune risorse invisibili come: l’accettazione e
la legittimazione, l’immagine, il rifornimento dei servizi strutturali, la difesa in
momenti di necessità.
• Che ciò a cui mira la strategia non è l’equilibrio statico: ma quello dinamico che
tiene conto dell’evolversi delle condizioni interne ed esterne.
• Che la realizzazione di un equilibrio simultaneo e dinamico rispetto sia ai
mercati di rifornimento sia a quelli di sbocco presuppone un certo qual
processo di trasformazione che è anch’esso oggetto di scelta contestuale per
quanto riguarda, l’intensità, la natura, le forme e la localizzazione.
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Il sistema delle scelte che qualifica la posizione strategica di un’impresa si definisce
talvolta formula imprenditoriale proprio per indicare la compresenza di diversi
elementi che si coagulano in una sintesi unica e dotata di una certa stabilità. Il
concetto di formula imprenditoriale lascia anche intendere quanto sia difficile trovare
la combinazione fra i diversi elementi; infine suggerisce che la formula non sia
imitabile senza copiare tutti gli elementi e la combinazione tra gli elementi.
Se si accoglie il concetto di strategia suddetto, risulta chiara la differenza tra
strategia generale, quella a cui ci si riferisce in questo contesto, e strategia
funzionali. Queste ultime hanno l’obiettivo importante, ma delimitato, di trovare i
punti di equilibrio rispetto ai singoli mercati di riferimento: la strategia di marketing,
rispetto al mercato di sbocco; la strategia di approvvigionamento, rispetto ai mercati
delle materie prime o dei componenti; la strategia di ricerca e sviluppo, rispetto al
mercato del know-how; la strategia del personale, rispetto al mercato del lavoro;ecc.
L’avere realizzato un punto di equilibrio sul mercato di sbocco ed in forma disgiunta
su quello di acquisto dei fattori potrà essere un punto di partenza, ma non
garantisce il successo, se l’impresa per l’effetto di questi due equilibri non fosse in
grado di essere competitiva sul mercato del lavoro; oppure se per mantenere l
‘equilibrio su quest’ultimo mercato fosse costretta a sostenere costi che non
lasciano margini per preservare la competitività sul mercato dei capitali.
La ricerca del vantaggio competitivo difendibile e, con esso, del punto di equilibrio
simultaneo richiede un processo che è tutt’altro che il semplice accostamento e
coordinamento delle singole strategie funzionali: come si è già detto è simile per
natura al procedimento adottato nella soluzione di un sistema di equazioni, con
l’aggravante che le variabili sono molte; che diverse di loro non sono qualificabili;
che alcune sono esogene; che tutte sono caratterizzate da un elevato grado di
incertezza. Il fatto che la realizzazione dell’equilibrio strategico abbia questa natura
sistemica e dinamica, e per di più che si debba costruire su un insieme di variabili
altamente aleatorie, ha rilevanti conseguenze sul piano intellettuale e su quello
organizzativo.
Sul piano intellettuale la complessità del processo può condurre a due atteggiamenti
opposti. Il primo è quello di interpretare il problema come una sfida illuministica che
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considera quale unico, eventuale, vincolo al raggiungimento dell’obbiettivo la
disponibilità di informazioni e di strumenti tecnico-elaborativi. Su questa strada si
collocano, per esempio, studiosi come Forrester che da anni lavorano attorno a
modelli capaci di dominare fenomeni complessi di questa natura1. Ma anche tutta la
schiera di quei studiosi che avendo indagato sulla struttura contenutistica del
problema suggeriscono modalità per pervenire al posizionamento corretto2. A
conclusioni opposte giungono invece altri studiosi che possono essere raggruppati
nella “scuola degli scettici”: per costoro la natura del processo è talmente complessa
da non prestarsi a soluzioni razionali. Secondo loro, se alcune imprese realizzano
temporaneamente tale equilibrio, ciò accade per pura combinazione, quasi per
omeostasi, non grazie al processo intellettuale di una o più persone specificamente
impegnate su questo obiettivo. Alcuni studiosi di questa scuola sono tutt’al più
disponibili ad ammettere che sia possibile coltivare l’ambizione di costruire
l’equilibrio strategico, ma non con un procedimento analitico, bensì attraverso un
processo di apprendimento collettivo in itinere fatto di “prove – errori –
aggiustamenti”. Sia per la scuola dei razionalisti sia per quella degli scettici la
complessità del problema strategico ha conseguenza anche sulle modalità
organizzative attraverso le quali si costruisce la soluzione. A questo riguardo, per
alcuni la ricerca del punto ottimale è responsabilità di una mente illuminata, quella
dell’imprenditore o del capo azienda, attraverso un processo di analisi e di sintesi di
informazioni esterne ed interne. Per altri al posizionamento strategico si perviene
attraverso un processo sociale-organizzativo, dove ogni soggetto è portatore di
informazioni e di interpretazioni, più o meno corrette, di interessi più o meno
oggettivi, e di un potere più o meno forte. La qualità della strategia dipende per i
primi dall’intelligenza imprenditoriale e dalla qualità delle informazioni; per i secondi
dipende anche dalla dinamica attraverso la quale le diverse interpretazioni
strategiche si confrontano e si coagulano nella volontà collettiva. Bastano questi
pochi cenni per suggerire che l’ambizione di concepire l’equilibrio strategico può
essere davvero una sfida illuministica, dato che il compito è per sua struttura di una
tale complessità da sembrare senza soluzione. I numerosi esempi di imprese che
hanno raggiunto favorevoli posizioni strategiche potrebbero smentire questi dubbi
ed essere adottati a prova della possibilità di costruire la strategia. Ma nessuno è
1
Forrester J.W., “The CEO as organization designer”, The McKinsey Quarterly, 1992.n°2.
2
Gli autori che seguono questa impostazione sono numerosi, a titolo esemplificativo si
considerino i seguenti due capiscuola, Ansoff H.I. Corporate strategy, Porter E.M.
Competitive Strategy, Techniques for Analyzing Industries and Competitors.
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riuscito a dimostrare in modo conclusivo se il risultato positivo sia stato il frutto
fortuito di una serie di circostanze favorevoli; oppure della capacità di
interpretazione e di sintesi di una mente illuminata, alimentata dalle informazioni di
coloro che controllano i vari mercati di riferimento; oppure la risultante di un
processo ancora più complesso al quale partecipano più soggetti e nel quale si
mescolano intelligenza strategica, sistemi informativi più o meno sofisticati, tabù e
pregiudizi, attriti organizzativi, lotte di potere e dosi di fortuna. Alcuni studiosi come
Pascale e Minzberg propendono chiaramente per quest’ultima interpretazione. Si
spiegano, alla luce delle considerazioni di cui sopra le profonde differenze tra i
modelli di gestione strategica che si incontrano nella letteratura e nella pratica: tali
differenze scaturiscono dal modo di intendere sia la strategia sia le modalità
attraverso le quali essa si forma. Potrebbe sembrare che la definizione di strategia
che qui viene suggerita conduca verso la “scuola degli scettici”, poiché prospetta un
problema di una tale complessità da apparire irrisolvibile. In realtà l’intento non è
affatto questo. Pur riconoscendo che la costruzione di un progetto strategico capace
di sintetizzare la molteplicità delle variabili in gioco costituisce un’ambizione ai limiti
del possibile, si ritiene che intervenendo sia sui processi intellettuali sia sulla
dinamica organizzativa si possano ottenere risultati migliori rispetto a quelli che
un’impresa ottiene lasciandosi portare dalla deriva. Più specificatamente si
riconosce che l’esito dipende dalla disponibilità di informazioni, dai giochi di potere,
dai pregiudizi, dai condizionamenti positivi o negativi dovuti alle strutture
organizzative: ma anche dalla capacità concettuale dei vari soggetti di interpretare
la struttura del gioco competitivo; e della capacità di discernere se un
posizionamento sia di qualità superiore o inferiore rispetto ad un altro. Questa
intelligenza strategica può risiedere in una sola persona oppure può essere diffusa
in più soggetti. Si assume l’ipotesi che quanto più questa capacità è diffusa nel
management, tanto più elevate sono le probabilità che l’impresa pervenga a scelte
strategiche di qualità superiore. Questo modo di affrontare la gestione strategica
consente di separare strumentalmente due momenti che nella realtà sono invece
connessi:
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2. quello di trovare la modalità per far sì che tali contenuti siano intravisti e
condivisi, al di la degli eventuali attriti o interessi personali, dai vari soggetti
che operano nell’impresa ed in particolare da coloro che hanno la possibilità di
farli divenire volontà dominante.
Definita la strategia nei termini suddetti, cosa significa impostare una strategia
d’internazionalizzazione? In prima approssimazione significa individuare il
posizionamento spaziale che consente all’impresa di ottimizzare i suoi risultati, o
come minimo di sopravvivere (ipotesi di comportamento satisficing in condizioni di
razionalità limitata di Herbert Simon). In termini più espliciti significa la scelta dei
mercati geografici di approvvigionamento, dei luoghi nei quali posizionare la ricerca
e lo sviluppo, dei punti nei quali dislocare la produzione, dei paesi sui quali vendere i
prodotti, delle piazze finanziarie dalla quali attingere il capitale di rischio e quello di
credito. Si noti ancora una volta che queste scelte non sono disgiunte l’una
dall’altra: proprio in questo risiede la specificità dell’elaborazione strategica. Per
ottenere un vantaggio competitivo difendibile e quindi i tre equilibri fondamentali di
gestione (quello economico, quello finanziario e quello patrimoniale) è necessario
che vi sia congruenza fra le scelte sui diversi fronti, incluso quello spaziale, su cui si
dispiega l’attività dell’impresa.
Per quanto riguarda la sola internazionalizzazione dal lato del mercato di sbocco la
scelta del mercato o dei mercati geografici ai quali rivolgersi è uno dei vettori di
sviluppo che l’impresa deve considerare, oltre a quello della maggiore penetrazione
del segmento prescelto, alla espansione in altri segmenti più o meno contigui,
oppure all’ampliamento della gamma di prodotti offerto al segmento di origine
(Figura 1.1).
25
Figura 1.1- I vettori di sviluppo
Estensione
spaziale
Mercato
geografico A B C Estensione
gamma prodotti
1
26
americana che vogliono invadere il mercato degli Stati Uniti. Il modo di porsi (ovvero
di posizionarsi) rispetto allo spazio è la base teorica sottostante alle strategie di
internazionalizzazione che diventano tali quando l’impresa nel corso di questa
ricerca di trovare i giusti rapporti con lo spazio finisce con lo scavalcare i confini
nazionali per accedere, dal lato dei fattori di produzione o del prodotto, ad altri
paesi.
Interpretare la strategia di internazionalizzazione come una proiezione oltre confine
delle più generali strategie di espansione geografica offre diversi vantaggi dal punto
di vista interpretativo. In primo luogo consente di inquadrare certi aspetti dei
processi di internaz. In fattispecie strategiche già note e sperimentate nel corso di
espansioni geografiche realizzate dentro i confini nazionali. In particolare consente
di evitare un errore diffuso: quello di pensare che sia possibile modificare uno dei
quattro vettori del posizionamento strategico lasciando invariati gli altri.
In secondo luogo, questa chiave di lettura consente di caratterizzare i problemi di
internazionalizzazione secondo la base di partenza delle imprese. Se l’internaz. è
quel tipo di espansione spaziale che porta a scavalcare i confini, è naturale che le
imprese collocate nei paesi più piccoli si scontrino con questo problema molto prima
delle imprese dello stesso settore sorte nei paesi maggiori. Per le imprese
statunitensi della costa atlantica la prima opzione di sviluppo geografico può
benissimo essere quella di allargarsi al Centro o all’Ovest. E possono diventare
grandi imprese senza doversi misurare con mercati extranazionali. Tutto l ‘opposto
accade per un’impresa svizzera o olandese: queste si possono trovare ben presto
ad avere saturato il mercato locale rimanendo piccole. E sono costrette ad
intraprendere molto prima la sottospecie dell’espansione geografica che si qualifica
come internazionalizzazione se nel settore vi sono inesorabili economie di scala, o
curve di esperienza o altre forze che premiano la grande dimensione.
Vi è infine una terza ragione che consiglia di interpretare l’internazionalizzazione
come una sottospecie delle strategie di espansione geografica: consiste nella
possibilità di sfruttare le esperienze di internazionalizzazione per maturare
competenze e per ricavare concetti utili anche per la fattispecie generale del
problema: quella delle scelte di posizionamento geografico anche interne.
Interpretare l’internaz. come sottospecie della categoria generale delle scelte di
posizionamento geografico consente di sfruttare altri strumenti concettuali sviluppati,
come quelli relativi alla localizzazione produttiva o distributiva. Ma tanto basta. Ora è
27
necessario sottolineare gli elementi differenziali che qualificano
l’internazionalizzazione rispetto alle strategie di espansione geografica interna.
28
localizzate in paesi terzi sono soggette a livelli di rischio diversi da quelle
locali.
4 Le barriere linguistiche. Costituisce un ostacolo rilevante perché influenza
tutto il processo informativo, rendendolo più opaco, più mediato e costoso. Si
pensi ai costi per adeguare il packaging, o nel caso dell’editoria i programmi
televisivi, il costo delle traduzioni o del doppiaggio etc.
5 La discontinuità nel contesto. In certi casi quando si valicano i confini non
cambia molto: né la lingua, né la struttura legislativa, né le abitudini di lavoro,
né le modalità di consumo o i modi di vita. In tal caso l’internaz. finisce con
l’essere una semplice estensione geografica dell’attività dell’impresa. Ma in
altri casi cambia tutto: i modi di condurre gli affari, i sistemi distributivi,
l’organizzazione della produzione, le regole della concorrenza. I questi casi
l’espansione territoriale finisce con l’incontrare un contesto così diverso da
quello di partenza da prospettarsi come una vera e propria diversificazione.
Proprio perché le caratteristiche della domanda, anche se riferite alla stessa
funzione, sono così diverse, o perché sono diversi i comportamenti d’acquisto,
o perché i concorrenti sul nuovo mercato hanno altre dimensioni, si modificano
profondamente i fattori critici di successo e l’assetto d’impresa necessario per
competere. Quando ciò accade l’internaz. comporta un posizionamento su tutti
quattro i vettori di sviluppo dell’impresa. Per questo motivo è necessario
accertare se il passaggio oltre confine comporti mutamenti così radicali,
oppure si tratti di una mera estensione geografica.
29
1.3 Il processo di formazione delle scelte di internazionalizzazione
30
i primi riordini e le richieste di modifica ai prodotti per apprendere le differenze nei
bisogni dei clienti esteri; si apprendono i bisogni dei rivenditori osservando le
modalità di fornitura da questi pretese; si sperimentano le prime difficoltà con le
variazioni dei cambi e si impara a costruire i listini o a coprirsi; si incappa nelle prime
insolvenze e si scoprono le forme di pagamento pregarantite. In breve si mette in
moto un processo di apprendimento che permette di abbandonare o di rinforzare le
ipotesi iniziali; di mettere a punto definitivamente strategie di approvvigionamento
all’inizio tentate sulla base di informazioni sporadiche; di indirizzare con più
precisione gli sforzi di penetrazione su un paese o sull’altro; di attaccare un
segmento di mercato o altri. Nel mentre queste operazioni prendono piede,
l’impresa ha modo di verificare se l’espansione geografica sui mercati esteri (di
approvvigionamento o di sbocco) consenta di rinforzare l’equilibrio basato sul
posizionamento locale, oppure se lo indebolisca disperdendo le risorse su un fronte
troppo ampio. Nelle imprese minori l’internaz. avviene quasi sempre in questo
modo. Alcune di esse gestiscono questo processo di apprendimento con grande
abilità, riducendo al minimo gli errori; altre si destreggiano con maggiore difficoltà,
incapaci di leggere i segnali che via via maturano. Occorre interrogarsi sui modi
attraverso i quali è possibile acquisire al minor costo possibile le informazioni,
riflettere sulle strutture e sui processi organizzativi che facilitano l’apprendimento in
tempo reale nel mentre si sperimentano operazioni di internazionalizzazione.
Questo modo di interpretare il problema riconosce che l’internaz. raramente è una
scelta a sé stante, isolata dalle altre; avverte la necessità di verificare il quadro
complessivo; ammette l’utilità del “pensare strategia a priori” ed il vantaggio di
formulare ipotesi forti (cioè possibilmente documentate) prima di avviare le azioni di
internaz. Ma riconosce anche che molte delle informazioni necessarie per verificare
le alternative possibili non sono acquisibili a condizioni economiche a priori, ma solo
in corso d’opera. Infine pone al giusto posto le condizioni organizzative che
consentono di gestire il processo di apprendimento che permette all’impresa di
sintonizzare le proprie scelte man mano che pervengono le informazioni.
31
tratta di una tipica operazione strategica, in quanto altera la struttura di fondo
dell’impresa. Abbiamo anche sottolineato che l’internaz. non riguarda
esclusivamente i mercati di sbocco: ma si ha internaz. quando un’impresa accede a
paesi diversi nell’approvvigionamento, nella ricerca e sviluppo, nella produzione,
nella vendita, oppure in tutte queste attività simultaneamente. Si è visto inoltre che
in sé e per sé l’internaz. non è altro che il movimento lungo uno dei quattro assi
fondamentali che caratterizzano l’assetto strategico dell’impresa:
1. geografico;
2. del prodotto offerto;
3. dei segmenti di mercato serviti;
4. delle tecnologie impiegate.
I primi problemi, causati dall’internaz., sono dovuti al fatto che lo spostamento oltre
confine conduce in contesti competitivi diversi e sconosciuti, rispetto ai quali c’è un
gap di conoscenza. Quasi a corollario di ciò, l’internaz. non si esaurisce quasi mai in
un semplice movimento lungo l’asse geografico, ma comporta spesso una revisione
dell’intero assetto strategico d’impresa. Si rilevano nella realtà , specialmente nelle
piccole imprese, modalità di internaz. basate sul modello “ prova e impara”, piuttosto
che su forme programmate di tipo razionale e sistematico. Ma la natura del
problema influenza non solamente il modo nel quale viene affrontato il problema
decisionale ma anche le modalità attraverso le quali viene poi realizzato l’accesso ai
mercati esteri. Al di là della complessità delle scelte strategiche internazionali nel
percorso di apre una sequenza di questioni che devono essere prese in
considerazioni:
32
paesi più vicini per andare poi verso quelli più lontani, oppure si devono
seguire altri criteri?
3. Scelto l’anello della filiera da riposizionare nello spazio e individuato il paese
più favorevole, si apre un altro problema: con quali modalità si effettua
l’internazionalizzazione? Ci si affida a transazioni di mercato, quali le
esportazioni o gli acquisti all’estero, oppure è opportuno controllare
direttamente quel pezzo di filiera collocato sul mercato estero? E controllarlo in
che grado? Con contratti strutturati di medio-lungo perido, con partecipazioni
di minoranza, con joint-venture, o con società proprie?
4. Quale assetto organizzativo è necessario per guadagnare i preservare un
vantaggio competitivo difendibile?
Per compiere queste scelte, con le informazioni necessarie per fare una scelta
ponderata, sono necessari diversi elementi: a) un impianto teorico-concettuale che
definisce le relazioni fra una serie di variabili chiave (ciclo di vita del settore e
struttura domanda-offerta nelle varie fasi; impatto dei costi di trasporto etc.); b)
l’esecuzione di una serie di analisi del settore, fattori critici di successo, competenze
distintive dell’impresa e dei suoi punti deboli, infine la ricerca del posizionamento
che consente di raggiungere e mantenere un vantaggio competitivo difendibile e con
esso la realizzazione di un equilibrio economico (fra ricavi e costi), finanziario (fra
entrate e uscite di cassa) e patrimoniale (fra capitale di rischio e capitale di debito).
Gli strumenti concettuali della strategia sono quelli che consentono di gettare il
ponte fra i fattori critici di successo e ciò che l’impresa specifica, in base alla sua
storia, alle sue risorse, alle competenze accumulate o che può accumulare è in
grado di fare (Depperu, D.,L’internazionalizzazione delle PMI, 1993).
33
34
CAPITOLO 2
2.1 Introduzione
35
Figura 2.1 - L'avvio dell'internazionalizzazione
a) Non esistono
motivazioni particolari
Perché
internazionalizzarsi? b) Esistono motivazioni
particolari
Sembrerebbe che tutte le imprese abbiano qualche motivo per andare all’estero ma
in realtà esistono ancora situazioni in cui la motivazione a internazionalizzare non è
così forte. La Tabella 2.1, motivazioni a non internazionalizzare, ne raccoglie
alcune, riferite alle aree della vendita e della produzione.
36
interna fa riferimento alla possibilità di ricercare all’esterno nuove fonti di
vantaggio competitivo per rafforzare la posizione dell’impresa sia sul
mercato domestico che su quello internazionale.
• Motivazioni esterne. Le condizioni ambientali pongono all’azienda una serie
di vincoli ed opportunità tali per cui spesso l’internazionalizzazione
rappresenta una via obbligata per evitare di uscire dal mercato. Uno dei
fenomeni più ricorrenti in questo caso è l’internazionalizzazione “passiva” del
settore(crescente concorrenza sull’import o imprese estere che entrano
attraverso investimenti diretti o acquisizioni) che spinge le imprese nazionali
ad ampliare il proprio raggio di azione oltre i confini nazionali.
Mentre le motivazioni interne sono più razionali e orientate alla soluzione di problemi
specifici, quelle che dipendono da fattori esterni hanno una natura reattiva, colgono
un’occasione e sono meno pianificate o guidate da obiettivi specifici. In un processo
di internaz. sono presenti entrambe le motivazioni. Infatti l’internaz. è il risultato
dell’interazione di una varietà di circostanze e motivazioni che impattano sulla vita
aziendale con tempi e importanza differente. Nella storia di un’impresa spinte
interne ed esterne interagiscono e si condizionano per cui risulta spesso difficile
ricondurre il processo di espansione internazionale ad una sola causa. Va anche
sottolineato che nell’avvio di un processo di internaz. gli stimoli sopra citati non sono
sufficienti per determinare l’azione: per portare l’impresa ad intraprendere un
cammino internazionale è necessario che questi stimoli incontrino atteggiamenti
positivi da parte della proprietà e del management aziendale. Internazionalizzarsi in
modo non occasionale è un processo complesso che richiede il massimo impegno
da parte dell’azienda su un periodo medio-lungo. E’ evidente che senza il supporto
dei vertici aziendali e di un’attitudine positiva rispetto al tema della crescita
internazionale esistono poche possibilità di successo durevole in questa attività,
anche in presenza di stimoli interni ed esterni facilitanti. La letteratura riconduce i
fattori che sono alla base di un atteggiamento positivo nei confronti
dell’internazionalizzazione ai seguenti:
37
La Tabella 2.2 articola i tre fattori nei diversi elementi costitutivi.
Se pure il settore di riferimento, la storia dell’azienda e il suo accesso a fonti
informative sono rilevanti nell’internazionalizzazione, un ruolo di primissimo piano è
giocato dalla personalità e dalla formazione delle persone che stanno a capo delle
aziende. Esistono numerosi esempi di imprese piccole e medie, appartenenti a
settori dove l’attività è poco internazionalizzata, le quali, grazie all’intuito e alla
visione dei propri imprenditori hanno costruito storie di grande successo a livello
internazionale.
38
mercato di sbocco, negli approvvigionamenti e localizzazione dell’attività produttiva
e nella finanza.
Mercato di sbocco
L’attività della catena del valore da cui prende generalmente avvio il processo di
internazionalizzazione è la vendita. Il primo passo in una dimensione internazionale,
per un’ impresa di piccole dimensioni, viene generalmente mosso attraverso ordini
sollecitati da intermediari commerciali esteri in occasione di fiere o esposizioni
internazionali. Man mano che l’impresa consolida il proprio posizionamento sul
mercato estero accanto all’attività di vendita vengono internazionalizzate le attività di
assistenza post-vendita, comunicazione e promozione, marketing locale. Nei capitoli
successivi la strategia di internaz. sui mercati di sbocco verrà analizzata in
profondità nelle sue dinamiche fondamentali. In questa sede si vogliono presentare
le principali motivazioni sottostanti all’avvio di tale processo, elencate in Tabella 2.3.
39
rappresentata dall’insediamento estero di stabilimenti e impianti destinati alla
trasformazione e/o all’assemblaggio di materiali e componenti. Gli obiettivi
sottostanti ad una decisione di localizzazione internazionale della produzione sono
riconducibili a strategie resource-seeking (ricerca di risorse o materie prime), market
seeking ( la localizzazione ricerca una maggiore vicinanza al mercato di sbocco) e
knowlwdge-seeking (si ricerca l’accesso a fonti di conoscenza). La Tabella 2.4
sintetizza le più importanti motivazioni che supportano l’avvio di un processo di
internaz. nella produzione.
Fonti finanziarie
Le decisioni di finanziamento a livello aziendale sono relative ad un trade-off tra due
obiettivi:
Valutare questo trade-off può risultare più complesso per imprese che intendano
internaz. la propria struttura finanziaria. Non solo la normativa fiscale e la struttura
del mercato dei capitali varia da paese a paese ma anche il tipo del rischio
incontrato è maggiore rispetto al mercato domestico. Quindi la valutazione di scelte
di finanziamento a livello internazionale può essere riformulata nel modo seguente:
40
• Gestire il rischio valutario e politico
41
Tipico dei modelli di cambiamento incrementale è l’assunto secondo cui l’impresa:
1. evolve da un basso ad un elevato livello di attività, risorse o impegno sul fronte
internazionale;
2. attraverso stadi;
3. i quali si assumono essere unidirezionali.
42
domestico. La distanza psichica è costituita da tutti i fattori che ostacolano il flusso
informativo tra l’azienda e il mercato estero, come la lingua, il livello di educazione,
le differenze culturali, il livello di sviluppo industriale, gli usi aziendali. Minore è tale
distanza, prima l’impresa entrerà in un certo mercato.
Il modello di Johanson e Wiedersheim-Paul è stato successivamente affinato da
Johanson e Vahlne (1977, 1990) i quali formulano un modello dinamico che cerca di
spiegare le diverse fasi attraverso le quali si articola il processo internazionale.
Secondo tale modello il risultato di un certo ciclo di eventi costituisce l’input per il
ciclo successivo in senso circolare. L’internaz. delle imprese sarebbe il risultato di
un’interazione tra aspetti di stato (riferiti alla conoscenza attuale del mercato
internazionale e l’impiego di risorse) e di cambiamento (riferiti alle future decisioni di
impegno). Si presume che la conoscenza attuale del mercato sia la base per le
future decisioni di impegno che, a loro volta, portano ad un cambiamento nelle
attività internazionali in essere dell’impresa. Queste attività incrementano l’impegno
rispetto al mercato e offrono inoltre un’opportunità di incrementare anche la
conoscenza di mercato attraverso l’esperienza diretta (Figura 2.2). Il modello non
funziona senza la assunta correlazione positiva, da un lato, tra conoscenza
sull’internazionalizzazione e propensione a cambiare i livelli di attività dell’impresa
nella direzione di una maggiore internaz.; dall’altro tra il livello di attività e la
conoscenza acquisita.
Conoscenza Decisioni di
del mercato impegno
43
2.3.2 Caratteristiche e punti di debolezza dei modelli degli stadi
44
fenomeno sempre più complesso che riguarda anche ricerca e sviluppo, finanza,
assetti produttivi. Cambia quindi il livello di coinvolgimento internazionale
dell’impresa: non solo vendita ma stiramento spaziale dell’intera catena del valore
aziendale (Grandinetti e Rullani 1996).
Dall’analisi sin qui svolta appare chiaro che l’impresa internazionale non può essere
analizzata attraverso una prospettiva o un modello unico in quanto assume aspetti
diversi in relazione al o ai processi di internaz. seguiti. Appare anche difficile parlare
di un unico processo di internaz., in un contesto industriale caratterizzato da
imprese che perseguono in misura crescente strategie multi-settoriali; piuttosto
occorre fare riferimento a una serie di processi che riguardano le singole
combinazioni prodotto-mercato-tecnologia che devono essere integrati e ottimizzati
a livello globale. Si è inoltre sottolineato come le fasi attraverso cui passa l’internaz.
di un’impresa sono raramente il risultato di una scelta strategica deliberata: esse
emergono, piuttosto, come il risultato dell’interazione tra varie condizioni, tra cui le
caratteristiche interne dell’impresa, il settore in cui essa opera, i vincoli e le
opportunità ambientali. Ma allora perché le teorie sull’internaz. convergono
nell’adozione di un modello deterministico a stadi? Quale utilità possono avere
questi modelli?
Si è detto come l’internaz. sia un processo ad elevato rischio e incertezza e la
gradualità dell’approccio sembra consentire alle imprese quell’accumulo di
conoscenze e relazioni tale da contribuire a ridurre tale incertezza. In particolare il
tipo di incertezza che l’impresa può incontrare sui mercati internazionali può essere
distinta in due categorie:
45
man mano che un paese procede nello sviluppo industriale e nell’apertura al
mercato internazionale ma risulta comunque significativa.
Nel primo caso risulta possibile, attraverso strumenti di analisi strategica più o meno
consolidati (analisi di mercato, modelli di valutazione), isolare le fonti di incertezza e
definire tendenze sufficientemente chiare in termini di dimensioni e crescita del
mercato potenziale, mosse dei concorrenti, effetti della regolamentazione sull’attività
economica.
Nel secondo caso non esistono invece strumenti consolidati, i modelli tradizionali di
pianificazione strategica non aiutano molto. Piuttosto risultano importanti, oltre
all’intuito imprenditoriale e all’impegno dell’impresa, il tempo e l’esperienza,
entrambi fattori legati alla gradualità dell’ingresso e al processo di apprendimento.
Su ciascun mercato internazionale, in funzione delle sue caratteristiche e del settore
all’interno del quale l’impresa compete, esisterà una certa combinazione di
incertezze dei due tipi presenti e quindi una diversa esigenza in termini di approccio
e strumenti strategici e di strutture organizzative necessarie per realizzare un
posizionamento sostenibile e, nel medio periodo, profittevole. Ecco dunque che un
processo a stadi può ridurre l’incertezza. In questo senso i modelli analizzati
suggeriscono anceh come il processo di internaz. abbia una natura circolare (Caroli
2000): ogni fase del processo si basa sulle conoscenze e relazioni costruite nelle
fasi precedenti le quali, a loro volta, determinano un cambiamento
nell’organizzazione aziendale tale da consentire un ulteriore sviluppo internazionale.
Sembrerebbe che soprattutto le grandi imprese siano favorite in questo processo
ma, se questo è stato vero fino a poco tempo fa, oggi appare sempre più chiaro
come l’internaz. sia un obiettivo raggiungibile da tutte le imprese grazie alla
crescente partecipazione delle stesse a reti transnazionali orientate alla vendita, alla
fornitura, alla ricerca e allo sviluppo congiunto. Sono le reti più che le singole
imprese, a diventare internazionali e questo aspetto rende l’internazionalizzazione
attuale molto più accessibile e pervasiva rispetto al passato.
il progressivo affermarsi del “Made in Italy” nel mondo è stato oggetto, negli anni di
valutazioni contrastanti. Da un lato osservazioni critiche sulla piccola dimensione
46
delle imprese esportatrici e la loro capacità di presidio dei mercati internazionali;
dall’altro un giudizio che vede nelle imprese minori una risposta innovativa e
flessibile alle sfide della globalizzazione. In realtà il caso italiano, dove l’internaz. è
portata avanti soprattutto da piccole e medie imprese collocate all’interno di distretti
produttivi operanti in settori considerati tradizionali e maturi, sembra piuttosto difficile
da spiegare alla luce del processo incrementale appena esaminato. Le imprese
italiane, nonostante esportino da tempo, non hanno ancora perso la propria
caratteristica dimensionale né hanno seguito un’evoluzione del modello di internaz.
secondo la teoria degli stadi. Infatti la maggioranza delle imprese si è fermata a
modelli di internaz. poco strutturati, mantenendo comunque in Italia i centri di ricerca
e produzione non tanto per una questione di dimensione o di orientamento ma
soprattutto in quanto:
47
• l’adattamento del prodotto avvenga solo quando l’impresa vi sia obbligata (ad
es. da una legge locale)
48
CAPITOLO 3
3.1 Introduzione
La scelta delle nazioni che possono costituire i candidati potenziali del processo di
internaz. è determinata dagli obiettivi strategici delle imprese. L’impresa può essere
rappresentata come un’organizzazione che trasforma i fattori produttivi (input), che
acquisisce sul mercato delle risorse, in beni e/o servizi (output) che colloca sui
rispettivi mercati di sbocco. Dal punto di vista economico, l’obiettivo dell’impresa è
pertanto quello di selezionare le risorse, i prodotti ed i mercati in modo tale che la
loro combinazione sia in grado di generare redditività di lungo termine. La principale
spinta all’internaz. delle imprese risiede nella capacità di introdurre e/o sostituire
all’interno della propria combinazione o formula imprenditoriale esistente quelle
componenti internazionali (in termini di risorse, di struttura e di mercati) in grado di
aumentare le proprie prospettive reddituali. Questo si verifica ogni qual volta i
49
mercati esteri presentano un divario significativo e duraturo in termini di costi dei
fattori produttivi o di ricavi potenziali.
Il vantaggio competitivo si fonda su tre fattori: a)il valore che i clienti attribuiscono ad
un bene; b) il prezzo che un’impresa applica a tale bene; c) i costi che l’impresa
sostiene per creare il valore del bene offerto (Saloner, Shepard e Podolny 2001).
Nel caso del mercato di sbocco, le nazioni estere risultano attrattive quando (a
parità di prezzo, il valore del prodotto domestico è superiore al corrispondente
valore dei prodotti esteri concorrenti, o quando (a parità di valore) il prezzo che è
possibile applicare sul mercato estero è superiore al prezzo sul mercato nazionale
ed è inferiore al prezzo dei prodotti esteri concorrenti. Nel caso dei mercati di
approvvigionamento, le nazioni estere risultano attrattive quando i fattori produttivi
presentano una qualità superiore (a parità di costo) o un costo inferiore (a parità di
qualità). In termini generali gli obiettivi strategici di un’impresa possono essere
ricondotti al conseguimento, allo sfruttamento oppure al mantenimento di un
vantaggio competitivo, fondato su una superiorità dei prodott/servizi offerti oppure
su una maggiore efficienza nella loro offerta. Tali obiettvi possono essere
rappresentati come una serie di posizioni e spostamenti lungo o all’interno della
frontiera costo-qualità (Saloner 2001) (Figura 3.1). L’internazionalizzazione Può
quindi essere connessa: 1) alla ricerca di un mercato di sbocco per i propri prodotti;
2) alla ricerca di mercati delle risorse in grado di: a) aumentare l’efficienza; o b) di
aumentare il valore della propria offerta.
50
Figura 3.1 – La frontiera costo-qualità3
Alta qualità
percepita
Bassi costi
Fonte: Saloner (2001)
3
La linea continua indica la frontiera costo-qualità esistente, la linea tratteggiata lo
spostamento futuro della frontiera. L’impresa nel punto A, che non gode di un vantaggio
competitivo rispetto alle imprese B e C, può internaz. al fine di raggiungere la frontiera,
diminuendo i costi (spostamento orizzontale) o aumentando la qualità della propria offerta
(spost. Verticale). Le imprese B e C godono rispettivamente di un vantaggio di
differenziazione e di un vantaggio di costo. In entrambi i casi l’internaz. è volta alla ricerca di
un mercato di sbocco della propria offerta. Nel caso dell’impresa C, che si trova sulla
frontiera attuale ma non in quella futura prevista, l’internaz. può avvenire anceh sul mercato
delle risorse, al fine di diminuire i costi e consentirle di rimanere anche in futuro sulla
frontiera.
51
Tabella 3.1 – Matrice obiettivi/tipologie di nazioni
Mercato Risorse Conoscenza Coordinamento
Aspettative Penetrazione Accesso alle Comprensione Migliorare la
e sviluppo del risorse dello stato funzione
mercato naturali dell’arte della logistica
tecnologia
Accesso alla Accesso al
manodopera Conoscenza mercato dei
a basso costo delle best capitali
practices
Accesso ai
fornitori Imparare a
competere in
contesti difficili
e sofisticati
Indicatori Tasso di Costo Know-how Velocità
chiave crescita
Qualità Grado di Controllo
Quota di innovazione dei
mercato Capacità di prodotti e dei
accesso processi
Tipo di Tutte le Nazioni ricche Nazioni con Nazioni
nazione tipologie in di risorse una elevata riconosciute
funzione del naturali e di intensità di come “hubs”
potenziale di ampi bacini di attività di
mercato e del manodopera ricerca
contesto
competitivo
Fonte: Lasserre (2008)
Nel caso delle risorse naturali, la scelta delle nazioni è determinata dalla loro
collocazione geografica che, nella maggior parte dei casi, non varia nel tempo (per
es. le risorse estrattive) o varia gradualmente (ad es. le risorse agricole o di
allevamento). Il petrolio o il gas naturale, ma anche le risorse agricole come ad
esempio il caffè o le banane, sono risorse che hanno una collocazione geografica
precisa e che richiedono condizioni geologiche e climatiche specifiche. Le imprese
che operano in settori collegati a tali risorse sono vincolate nella scelta delle nazioni
a quelle regioni che presentano tali caratteristiche. Questo non significa che una
volta scelte tali nazioni, queste costituiranno per sempre gli unici riferimenti. Le
risorse del settore primario possono infatti essere sviluppate o scoperte in altre
nazioni. Si pensi ai giacimenti petroliferi del Mare del Nord, o ai nuovi produttori di
vino come l’Australia e il Sudafrica.
Nel caso delle altre risorse (manodopera e conoscenza) e dei mercati di sbocco, la
loro collocazione geografica non è così automatica, come in quello delle risorse
52
naturali: le nazioni devono essere selezionate tenendo conto di altri fattori, in primo
luogo del loro grado di sviluppo e del loro tasso di crescita. Le differenze in tali
variabili classificano le nazioni in diverse categorie: paesi ricchi, poveri, in via di
sviluppo, industrializzati, di recente industrializzazione, emergenti, ecc. Nel caso
della domanda, le nazioni ind. presentano un grado di segmentazione più elevato,
con un segmento medio e medio-alto molto sviluppato e più sensibile a componenti
qualitative; nel caso dei paesi in via di sviluppo, la segmentazione è molto più
schiacciata verso il basso, con una maggiore sensibilità al prezzo. Nel caso della
manodopera, le nazioni ind. possiedono una manodopera qualificata con salari più
elevati; nel caso dei paesi in via di sviluppo, la manonera è in genere meno
qualificata ma presenta salari molto contenuti.
Una volta determinato il cluster di nazioni che presentano i requisiti minimi richiesti
dagli obiettivi strategici perseguiti, la fase successiva consiste nel determinare quali
nazioni presentino un grado di attrattività maggiore. L’attrattività di una nazione può
essere interpretata come la risultante di un insieme di fattori positivi e negativi. In
prima approssimazione tali fattori possono essere ricompresse in cinque categorie
principali: fattori economici, politici, culturali, demografici e competitivi.
53
l’attività del governo, ma la loro performance esercita effetti profondi sull’economia
nazionale e su altri settori.
In riferimento al mercato del lavoro è necessario valutare la quantità e la qualità
della manodopera. Anche in questo caso è necessario distinguere tra paesi in via di
sviluppo, in cui la manodopera è abbondante, ma quella qualificata è generalmente
scarsa, e paesi avanzati in cui si verifica l’opposto. Nello stesso tempo il basso
livello di qualificazione genera problemi di tipo produttivo ed organizzativo; le scelte
tecnologiche sono infatti condizionate da tale livello, che può ostacolare l’uso di
macchinari sofisticati.
Nel caso del capitale, le variabili da considerare sono innanzitutto il reddito ed il
tasso di risparmio. Nei paesi avanzati la distribuzione del reddito assume una forma
piramidale, in cui la classe media costituisce la maggior parte della popolazione e
della domanda dei beni di massa. Nel caso dei paesi in via di sviluppo, la
distribuzione del reddito è asimmetrica e convivono persone con stili di consumo
simili a quelli dei paesi avanzati e persone con redditi di sussistenza.
Un’altra variabile è l’inflazione: nel caso di livelli di inflazione alta, le imprese devono
gestire molto attentamente la finanza e il marketing. La definizione dei prezzi
diventa molto difficile.
L’ultima variabile è rappresentata dal tasso di cambio, la variazione di quest’ultimo
infatti può alterare la struttura dei costi e dei ricavi delle imprese.
L’impresa deve inoltre valutare la distribuzione e la qualità delle infrastrutture di
trasporto e di comunicazione, sia di quelle interne sia di quelle di collegamento
internazionale. La tecnologia infine è un elemento molto importante da considerare:
in particolare è importante comprendere il divario tecnologico tra il livello posseduto
dall’impresa e quello della nazione di destinazione.
Nel caso dei fattori politici è necessario considerare l’instabilità politica, l’ideologia
politica, il tipo di istituzioni, le relazioni internazionali ed il sistema di incentivi.
L’instabilità politica non riguarda tanto il cambiamento di governo, quanto la
transizione da un governo all’altro: se questa si svolge all’interno di un conflitto
democratico oppure attraverso atti insurrezionali o di scontro militare. L’instabilità
politica aumenta l’incertezza e l’incremento dei costi indiretti.
54
L’ideologia politica, ovvero l’insieme dei valori e assunzioni che giustificano il ruolo e
l’azione dello stato all’interno del sistema economico e sociale, può limitare il raggio
di attività delle imprese o possono imporre restrizioni nei confronti delle imprese
straniere.
Un’altra variabile importante è il grado di sviluppo. In genere istituzioni deboli
generano effetti negativi sulle imprese; inefficienza e lentezza nei servizi, arbitrarietà
nel processo decisionale.
Un ulteriore variabile è rappresentata dalle relazioni internazionali che la nazione
intrattiene con latri Stati. Tali legami possono costituire opportunità o restrizioni per
l’attività delle imprese, non solo dal punto di vista economico ma anche dal punto di
vista delle relazioni politiche ad una rete di alleanze e di cooperazione
internazionale.
Infine le nazioni possono prevedere un sistema di incentivi nei confronti delle
imprese straniere al fine di attrarne gli investimenti. Gli incentivi possono essere di
natura fiscale (aliquote ridotte, esenzione), finanziari (sussidi, crediti) oppure
operativi (affitti, tariffe agevolate, ecc).
L’insieme dei fattori politici è catturato dal concetto di rischio politico. Si definisce
rischio politico qualsiasi evento politico nella nazione di destinazione che possa
avere un impatto negativo sulle operazioni dell’impresa. Nello specifico gli eventi
considerati sono: espropriazione, disordini civili, guerra,cambiamento avverso del
regime fiscale, restrizioni alla produzione, svalutazione, restrizioni di rimpatrio degli
utili (Tabella 3.2).
55
assunto dal governo; graduale quando la comportamenti imitativi, relazioni
partecipazione delle imprese locali viene internazionali, burocrazia.
gradualmente aumentata al 100%,
privando l’impresa straniera del controllo
o della proprietà.
4. Controllo dei prezzi, riduzione della Inflazione e supporto politico.
redditività dell’impresa a causa della
decisione del governo straniero di
fissare dei prezzi interni inferiori al livello
internazionale dei prezzi.
5. Cambiamento avverso del regime Cambiamento ideologico, confronto tra
fiscale, aumento della pressione fiscale settori, spese militari, comportamenti
ad un livello tale che avrebbe imitativi.
comportato il mancato investimento in
fase di valutazione.
In genere il rischio politico viene valutato in riferimento ad eventi che hanno luogo
nella nazione in cui sono insediati gli impianti produttivi. Esso però si può
manifestare anche sui mercati di sbocco di tali prodotti. Un tipico esempio sono le
azioni di boicottaggio de parte dei consumatori nazionali e internazionali dei prodotti
di imprese che possiedono insediamenti produttivi in nazioni che non tutelano
sufficientemente i diritti dei lavoratori. Il rischio politico è quindi la risultante sia di
eventi politici interni (relativi alla nazione di destinazione) sia di eventi politici esterni
(relativi alle nazioni in cui l’impresa è presente con i propri prodotti/servizi e/o
attività) in grado di generare direttamente o indirettamente un effetto negativo sulla
posizione attuale e futura dell’impresa (Simon 1984). I fattori che possono
determinare tali eventi sono diversi in base al livello di sviluppo economico delle
nazioni (paesi industrializzati,paesi in via di sviluppo o sottosviluppati) e al grado di
apertura sociopolitico delle nazioni. Per questo i rischi di espropriazione e
nazionalizzazione saranno maggiori nei paesi in via di sviluppo o sottosviluppati;
mentre nelle nazioni con un maggior grado di apertura sociopolitico le
56
manifestazione di dissenso si manifesteranno attraverso attività non violente come
elezioni, proteste o boicottaggi, nelle nazioni maggiormente “chiuse” verranno
represse e potranno quindi esplodere in episodi di violenza. Per valutare il rischio
politico di ciascuno degli eventi di cui sopra è necessario: a) analizzare i fattori che
possono determinarli; b) stimare la probabilità di tali fattori di generare l’evento; c)
valutare l’impatto di tale evento in riferimento al tipo di investimenti potenziali o
esistenti.
57
3.3.4 I fattori demografici
58
3.3.6 La matrice di attrattività
Ciascuno dei fattori sopra analizzati può essere fonte di opportunità e di rischi. In
modo simile ad un’analisi costi/benefici, l’attrattività di una nazione è determinata dal
confronto tra le opportunità che questa offre ed i rischi che questa presenta (Figura
3.2). Da un punto di vista logico, le nazioni più attrattive sono quelle caratterizzate
da elevate opportunità e bassi rischi, mentre quelle meno attrattive sono quelle
caratterizzate da poche opportunità e rischi elevati. In mezzo a queste due estremi
si pongono situazioni intermedie che richiedono opportune valutazioni.
elevate
Elevata attrattività
Opportunità
Bassa attrattività
basse
bassi alti
Rischi
59
metodi e preconcetti che influenzano il comportamento dei decisori. Molte
organizzazioni accettano l’esperienza passata come vincolante, attribuendole il
ruolo di orientare le azioni future (occorre comunque distinguere tra decisioni
assunte in momenti di crisi o decisioni assunte nel corso della normale attività di
pianificazione strategica. Le decisioni di investimento, inoltre, non sono prese in uno
specifico momento. Piuttosto, c’è un lungo processo disperso su un lungo intervallo
di tempo e che interessa più persone a diversi livelli dell’organizzazione. Inoltre
l’ambiente può mutare mettendo in discussione le premesse stesse su cui si fonda il
processo in atto.
La dimensione temporale gioca infatti un ruolo importante in quanto col passare del
tempo le stime e le percezioni del management vengono rivedute e corrette.
Le decisioni di internazionalizzazione sono, infine, prese in condizioni di incertezza:
ignoranza e percezione di cambiamento non precisato. L’ignoranza è di solito
originata dalla mancanza di informazioni ( l’informazione non è disponibile a nessun
costo), e di conoscenza (non sa dove reperire l’informazione).
Nel caso delle decisioni di internaz. molte delle alternative e delle opportunità di
investimento non vengono nemmeno considerate delle imprese, tanto da giustificare
l’esistenza dei numerosi enti pubblici e privati che si dedicano quasi esclusivamente
alla diffusione di conoscenza riferita proprio alle possibilità di investimento nei vari
paesi esteri (Camere di Commercio e l’Istituto per il Commercio Estero).
Una delle fonti principali di incertezza è data dalle azioni intraprese dagli altri attori
(concorrenti, fornitori, clienti, istituzioni e aziende pubbliche) del sistema economico
nazionale ed estero. Spesso nelle dinamiche internazionali si verificano delle vere e
proprie ondate migratorie, in cui un gran numero di imprese vengono attratte da
alcune nazioni (es: caso Cina). E’ fondamentale però comprendere se il fenomeno
migratorio sia giustificato dalle caratteristiche e dalle opportunità che tale nazione
presenta o se sia invece autoalimentato dalla migrazione stessa e non trovi alcuna
giustificazione oggettiva nella destinazione. Non è detto che le condizioni per le
imprese siano altrettanto favorevoli rispetto a quelle che hanno incontrato coloro che
si sono mossi per primi (first movers). I questo caso, ad eccezione del gruppo
iniziale, la migrazione risulterebbe un errore collettivo di massa. Anche in questo
caso è comunque importante comprendere che cosa significa restare fuori da un
fenomeno che coinvolge tutti gli altri soggetti. In sintesi, bisogna opportunamente
valutare se l’esito negativo in caso di non partecipazione risulti essere più dannoso
dell’esito negativo in caso di partecipazione. Nel caso dell’internaz., il non essere
60
presenti in alcune nazioni può generare un danno superiore a quello che si avrebbe
anche in caso di una presenza che si riveli di insuccesso.
61
62
CAPITOLO 4
4.1 Introduzione
63
• I criteri di analisi e selezione del mercato di sbocco;
• I criteri di selezione della migliore modalità di presenza sui mercati di sbocco,
coerentemente con gli obiettivi dell’impresa, le sue risorse, umane e
finanziarie, e le opportunità offerte dal mercato/mercati esteri;
• La fase di attuazione della strategia di internazionalizzazione prescelta.
64
positiva fra il conseguimento di una posizione competitiva di rilievo e la dimensione
dell’investimento; la relazione è così forte da rendere non economica una soluzione
(cella in basso a sx) e addirittura impossibile un’altra soluzione (cella a dx in alto).
Nel presente capitolo si focalizzerà l’attenzione sulle scelte di internaz. di
un’impresa che desideri portare il proprio prodotto all’estero, non necessariamente
mantenendo la produzione nel proprio paese d’origine. Tale scelta porta l’impresa a
focalizzare l’attenzione sulle attività a valle della catena del valore; infatti,
un’impresa che desideri portare il proprio prodotto sui mercati internazionali dovrà
innanzitutto decidere quali attività portare all’estero (marketing, comunicazione, le
vendite all’ingrosso o al dettaglio, ecc), e se controllarne una o più in maniera
diretta, oppure affidare la gestione a terzi.
MOTIVAZIONI STRATEGICHE
DIMENSIONE INVESTIMENTO
- UFFICIO DI - JOINT
Alto RAPPRESENTAN VENTURE
coinvolgimento ZA CON O SENZA COMMERCIALE
finanziario e di CENTRO DI - IDE
capitale umano ASSISTENZA (Investimento
CLIENTI Diretto Estero)
65
attività, nello sviluppo e nella revisione delle strategie e nella risoluzione delle
controversie che si possono generare quando due partner legati da un contratto
perseguono prevalentemente i propri interessi (Davidson 1982). La contropartita del
controllo è costituita dall’assunzione della responsabilità decisionale che non tutte le
imprese sono in grado di gestire, soprattutto in un contesto sconosciuto ed incerto.
Per queste ragioni la ricerca del controllo implica un impegno di risorse, alti costi
fissi e di conversione, aumentando quindi l’esposizione dell’impresa al rischio. Le
modalità di ingresso caratterizzate da un grado elevato di controllo (Tabella 4.1)
sono associate a un profilo di rischio/rendimento elevato, mentre quelle
caratterizzate da un basso grado di controllo minimizzano l’impegno di risorse e
quindi il rischio, seppure a discapito del profilo di rendimento.
Come emerge dalla Tabella 4.1 le sussidiarie interamente controllate o con una
quota di controllo di maggioranza offrono il massimo livello di controllo, mentre le
modalità con azionisti multipli, le partnership paritarie e le forme contrattuali
forniscono un livello di controllo medio, fondato principalmente sulla credibilità
dell’impegno delle parti. Le modalità caratterizzate da un basso livello di controllo e
da interessi diffusi includono contratti non esclusivi e non restrittivi (ad es. licenze
multiple senza esclusiva e distribuzione intensiva) e partecipazioni di minoranza.
Modalità di presenza caratterizzate da un basso grado di controllo rendono più lento
66
l’apprendimento, anche se poi il cambiamento è più veloce e meno costoso. A
conclusione dell’analisi si dedicherà la sezione successiva del capitolo all’analisi
delle principali modalità di presenza alternative a disposizione delle imprese
(Tabella 4.2).
67
specializzati nello svolgimento dell’attività di esportazione in nome proprio ma per
conto di terzi4. Le imprese che ricorrono a tale modalità non trasferiscono alcuna
attività della propria catena del valore all’estero ed esercitano un controllo sui
mercati esteri limitato o nullo. Tale modalità è utile per le imprese che entrino per la
prima volta in un mercato ma non consente a un’impresa di sviluppare ulteriormente
la propria strategia d’ingresso. Infatti, tale modalità richiede e produce una
conoscenza limitatissima, se non nulla, del mercato estero target.
Nel caso di esportazione diretta gli intermediari operano per conto e in nome
dell’impresa non assumendo, quindi, il rischio dell’esportazione come invece accade
nel caso precedente, ma consentendo di accedere alle informazioni sui diversi
mercati. L’esportazione diretta offre parecchi vantaggi all’impresa produttrice, quali
un controllo parziale o completo del prezzo, della distribuzione del prodotto, oltre a
uno sforzo commerciale da parte dell’esportatore locale nel trasferire bilateralmente
le informazioni, e una migliore protezione dei marchi, dei brevetti e di altri elementi
intangibili.
4
In alcuni casi tali operatori, denominati trading companies, possono operare in nome o per
conto proprio, acquistando le merci dai produttori e rivendendole, assumendosi quindi il
rischio dell’invenduto.
68
Figura 4.3 – I principali canali di esportazione diretta e indiretta
Trading
company
internazionale
Esportatore
Acquirente
estero residente
Produttore
Commissione
per le
esportazioni
Produttore
partner Grossista Distribuzione Consumatore
finale finale
Impresa di
export
management
Agente/
distributore
estero
Filiale/
sussidiaria
estera Utilizzatore
industriale/
Distribuzione governo
industriale
L’espansione diretta può essere svolta facendo ricorso a due canali principali:
l’agente/ i canale distributivo estero e la filiale/ sussidiaria estera. Ai due precedenti
se ne può aggiungere un terzo cresciuto grazie alla diffusione delle tecnologie
informative, ovvero il contatto diretto tra il produttore e i clienti finali nel paese
obiettivo. Non si deve dimenticare però che l’impresa venditrice dovrà dotarsi di una
struttura o di un partner locale o globale che le consenta di gestire opportunamente
la logistica. Gli agenti svolgono le transizioni di vendita , gestiscono i flussi fisici e lo
stoccaggio dei prodotti e forniscono i servizi aggiuntivi necessari per consegnare il
prodotto al cliente finale. Nel caso delle filiali, gli agenti sono controllati direttamente
69
dall’impresa perché sono dipendenti di quest’ultima. La differenza tra un agente e
un distributore estero è legata al fatto che il primo è un soggetto indipendente che
rappresenta il produttore nel paese obiettivo per conto ma non in nome del suo
cliente, mentre il secondo acquista i beni del produttore per rivenderli a clienti
intermedi o finali assumendosi il rischio della mancata vendita. Di conseguenza la
remunerazione dell’agente è una commissione legata ai volumi di vendite, mentre
nel caso del distributore è il margine di profitto. Infine, la costituzione di una filiale
prevede un forte impegno da parte dell’impresa, anche dal punto di vista finanziario,
su un orizzonte temporale di medio periodo.
70
Ripartizione dei costi e/o rischi
OEM Accesso al mercato
Copertura di una linea più ampia di prodotti
Reti preferenziali di clienti/fornitori
Franchising e Licensing Motivazione dell’imprenditore locale
Risparmio di investimento
Fonte: Strategie di internazionalizzazione, Egea.
5
Tale concetto è assimilabile al grado di controllo.
71
Entrando nel dettaglio di ciascuna modalità, il management contract è un accordo in
cui l’entrante si occupa della gestione dell’attività quotidiana di un’impresa nel paese
target ed è rappresentato nel comitato manageriale che supervisiona le attività. Tali
contratti non concedono all’impresa l’autorità di effettuare investimenti di capitale,
assumere impegni in lungo periodo, decidere sulle politiche di dividendo,
cambiamenti nella strategia o della compagine sociale.
Il licensing è un accordo contrattuale in cui il licenziante concede al licenziatario il
diritto di produrre/distribuire un prodotto/servizio, a fronte del pagamento di royalties.
Il licenziatario ha piena discrezionalità nella gestione del mercato obiettivo ed il
controllo è garantito da clausole quali il minimo garantito, royalties a volume e la
possibilità di rompere il contratto per qualsiasi violazione delle condizioni in esso
definite (Hill, Hwang e Kim 1990)6. Tale modalità di presenza è accessibile solo a
imprese che possiedano tecnologie di prodotto e/o di processo e marchi che siano
interessanti per i potenziali target. Non va trascurato che tale soluzione è piuttosto
rischiosa perché può contribuire alla creazione di un concorrente locale o alla
perdita del know-how trasferito. Il licensing è spesso utilizzato come alternativa
all’IDE che abbia come obiettivo , non tanto lo sfruttamento di vantaggi locali,
quanto piuttosto la vendita di prodotti sul mercato locale qualora altre forme di
esportazione non fossero economicamente vantaggiose.
Il franchising è una forma di licenza in cui si concede l’uso di un prodotto/modello di
business a un soggetto indipendente in cambio di royalties. Ha una finalità
prettamente distributiva e offre un livello di controllo medio perché gli accordi tipici
prevedono incentivi a rispettare le regole e consentono un elevato grado di
monitoraggio sulle attività svolte dal franchisee da parte del franchisor. Il principale
vantaggio è la velocità di espansione nei mercati internazionali con bassi
investimenti e la grande motivazione del franchisee associata all’autonomia
concessa. Lo svantaggio principale associato a questa forma di cooperazione è la
limitazione del profitto del franchisor, la possibile creazione di concorrenti oltre ad
alcune restrizioni dipendenti dalla normativa locale7. Analogamente al licensing, il
franchising può essere adottato da imprese che non possano esportare il proprio
6
Gli accordi di licenza si compongono di un pacchetto tecnologico (brevetti, marchi, know-
how), di condizioni d’uso (ambito di applicazione, strumenti di controllo), di condizioni di
remunerazione (valuta di pagamento,oneri fiscali, minimo garantito) e altre condizioni
(normativa, durata e rinnovo del contratto, risoluzione dispute).
7
In alcuni paesi il contratto di franchising non è contemplato dall’ordinamento giuridico e
quindi non può essere utilizzato.
72
prodotto, non vogliano investire in capacità produttiva a livello internazionale e
dispongano di un processo produttivo standardizzabile.
Il contract manufactoring è un accordo in cui un’impresa internazionale si
approvvigiona da un produttore locale per servire il mercato locale. A tale scopo
l’impresa trasferisce le proprie specifiche di prodotto, la tecnologia e l’assistenza
tecnica necessaria.
I contratti turnkey sono contratti standard di costruzione di impianti in cui l’impianto
realizzato è pronto per essere messo in moto/attività alla consegna.
Le joint venture possono essere definite come iniziative d’affari globali e centrali,
che hanno come obiettivo il conseguimento di vantaggi competitivi globali,
soprattutto nei settori maturi (Root 1990). Esistono poi joint venture che vengono
attuate nei paesi non ancora sviluppati; in questo caso esse sono uno strumento
d’accesso a questi mercati o di sfruttamento di fattori produttivi a costi ridotti e,
spesso, si caratterizzano per una notevole disuguaglianza fra i partner, a discapito
del partner locale.
A queste si aggiungono le joint venture che si pongono come obiettivo la conquista
di quote di mercato rilevanti su continenti diversi da quello d’origine dell’impresa,
che si pone quindi in posizione di conquista. Questa alternativa viene scelta sia da
imprese di piccola dimensione sia da imprese di grandi dimensioni. Quando si parla
di joint venture si fa quasi sempre riferimento a forme di collaborazione che
richiedono un coinvolgimento di capitale da parte dei due o più partner, sia esso in
forma di strumenti finanziari piuttosto che di immobili ed immobilizzazioni, oppure
incorporato in tecnologie e brevetti. Di solito la joint venture, soprattutto se
internazionale, è accompagnata da una serie di accordi accessori che stabiliscono
la ripartizione di competenze tra i partner e il ruolo di ciascuno nel processo
decisionale.
Un’altra forma di cooperazione internazionale che ha una crescente diffusione,
soprattutto in quei settori che sono in via di globalizzazione o di rapidissima
trasformazione, è la costellazione (es: settore aereo).
Nella Tabella 4.5 si propone una sintesi delle varie tipologie di modalità di
cooperazione internazionale, che sono analizzate utilizzando categorie quali il tipo di
coinvolgimento finanziario (equity/non equity), i limiti temporali della cooperazione
(non limitata,limitata dal contratto, limitata) e i limiti spaziali (a discrezione
dell’impresa, concordata, secondo la natura dell’accordo ecc) e le modalità di
trasferimento (interna all’impresa oppure attraverso il mercato).
73
Tabella 4.5 – Una tipologia di modalità di cooperazione internazionale
Forme di Tipo di Limiti temporali Limiti Trasferimento Modalità di
cooperazione coinvolgimento della spaziali di risorse e trasferimento
finanziario cooperazione diritti
Sussidiarie Equity Illimitata A Intera gamma Interna
estere discrezione
interamente di dell’impresa
proprietà
Joint ventures Equity Illimitata Concordato Intera gamma Interna
Partecipazioni Equity Illimitata Limitato Intera gamma Interna
estere di
minoranza
Accordi di Equity Limitata Natura Intera gamma Interna
“fade out” dell’accordo per un periodo tendente al
limitato mercato
Licenza Non equity Limitata Il contratto Gamma limitata Mercato
contrattualmente può
includere
limitazioni
Franchising Non equity Limitata Si Limitata + Mercato
contrattualmente supporto
Management Non equity Limitata Potrebbe Limitata Mercato
contracts contrattualmente essere
specificato
Turnkey Non equity Limitata Non Limitata nel Mercato
ventures abitualmente tempo
Joint ventures Non equity Limitata Può essere Specificato Mista
contrattuale concordato contrattualmente
Sub- Non equity Limitata Si Piccolo Mercato
contracting
internazionale
Alleanze Non equity Limitata Si Variabile Non mercato
Fonte: Buckley, 1996
74
4.3 I criteri di selezione del mercato estero
• Fattori esterni;
• Fattori interni.
I fattori possono essere classificati come esterni in quanto il punto di vista assunto è
quello dell’impresa che osserva il potenziale paese obiettivo; possono essere distinti
in fattori di mercato del paese obiettivo, fattori di produzione del paese obiettivo,
fattori ambientali del paese obiettivo e fattori del paese di origine dell’impresa.
I fattori di mercato del paese obiettivo sono rappresentati dalla dimensione presente
e futura del mercato obiettivo. E’ facilmente intuibile che un mercato di grandi
dimensioni potrà consentire anche modalità di presenza che richiedano ingenti
investimenti rispetto a un mercato di piccole dimensioni. Oltre alla dimensione è
opportuno considerare le potenzialità di sviluppo di un mercato: infatti, esistono
mercati che, seppur piccoli, possono diventare in futuro, interessanti mercati di
sviluppo. Naturalmente tutto ciò vale per ogni tipologia di prodotto che si desideri
introdurre in un mercato estero. Questo accade perché il livello del reddito pro-
capite attiverà determinate tipologie di consumi e non altre e pertanto è possibile
che in un medesimo paese esista un mercato per un certo tipo di prodotto ma non
per un altro (Figura 4.4). Come si evince dalla figura, il raggiungimento di
determinate soglie di reddito pro-capite attiva alcune tipologie di consumi.
75
Figura 4.4 – La stima delle potenzialità di un mercato
Paesi industriali
ricchi 2.2
30000
Singapore 8.2
arte Hong Kong 7.5
Liberazione e 22700
apertura
ambiente e qualità internazionale,
della vita, beni di Sud Corea 8.4
economia orientata
importazione, turismo ai consumi, share-
Taiwan 8.3
holder
10000
sistemi infrastrutturali (aeroporti,
alta velocità, ponti) resta Malesia 7.4
sistema persona e casa, controllo economia, mercati Tailandia 7.5
auto di qualità, servizi urbani, sviluppo sistemi
distributivi, stake-holder
5000
auto a costo basso, avvio consumi e miglioramento delle Indonesia 6.8
elettrodomestici condizioni di vita (autostrade, energia, Hong Kong 3.6
acqua potabile), crescita città, industrie
Cina 9.1
motorini e TV, beni favorite dal governo, stake-holder
infrastrutturali, 3000
scambio, migrazioni, sviluppo urbano, economia
meccanica orientata alla produzione, intervento e controllo del
strutturale governo 1000
Biciclette
radio autoconsumo, economia rurale, intervento e controllo del governo
I fattori produttivi del paese obiettivo sono rappresentati dalla quantità e dalla qualità
dei fattori produttivi (capitali, materie prime ecc.) e dal livello qualitativo e dal costo
delle infrastrutture (trasporti, comunicazioni ecc.) disponibili localmente. L’esistenza
76
di bassi costi dei fattori produttivi e la difficoltà nella gestione dei mezzi di
comunicazione possono indurre le imprese a investire localmente.
I fattori ambientali del paese obiettivo sono rappresentati dalle caratteristiche sociali,
politiche ed economiche che possono in qualche modo influenzare la modalità di
presenza del mercato ( ad es. in Cina fino a qualche anno fa non era possibile
effettuare un investimento diretto se non coinvolgendo un socio cinese). Anche la
distanza geografica, la cultura, il tipo di economia del paese e l’andamento della
bilancia dei pagamenti sono altri importanti elementi da prendere in considerazione.
I fattori interni che vanno considerati sono di due tipi, quelli legati ai prodotti e quelli
legati alle risorse e all’impiego che l’impresa intende profondere.
Le caratteristiche e la tipologia di prodotto possono condizionare la scelta della
modalità di presenza. Il livello di differenziazione di un prodotto può consentire di
assorbire eventuali costi aggiuntivi associati all’esportazione. Ad esempio, un
prodotto differenziato consente di fissare un prezzo che permette di assorbire
elevati costi di trasporto; solo nel caso in cui l’incidenza del costo di trasporto sul
prezzo del prodotto sia piuttosto elevata, diventerà vantaggiosa la produzione
locale. Anche l’esistenza di vantaggi di costo consistenti, consentono di assorbire
eventuali elevati costi di trasporto, permette di optare per l’esportazione.
8
E’ questo ciò che accade nel caso dei programmi dell’Unione Europea orientati a favorire la
presenza di investimenti di membri dell’unione in paesi dell’est europeo e in paesi in via di
sviluppo. In Italia esiste una società, SIMEST, nata come ente pubblico e ora S.p.a., che
offre finanziamenti e assistenza all’internazionalizzazione delle imprese, partecipando come
azionista all’attività economica.
77
Anche le risorse a disposizione delle imprese possono determinare la scelta della
modalità di presenza, dato che un’abbondanza di risorse consente di esaminare
l’intera gamma delle alternative possibili. Quando si parla di risorse si fa riferimento
a quelle di tipo finanziario, tecnologico e umane che possono essere anche
classificate come tangibili e intangibili (Woodcok e altri 1994); in particolare, il ruolo
delle risorse umane, espresso dalla scelta della persona giusta al posto giusto è
quasi sempre determinante per il successo di qualsiasi operazione internazionale.
L’impegno di risorse è direttamente proporzionale al grado di controllo garantito
dalle diverse modalità d’ingresso. In altri termini, imprese che abbiano a
disposizione risorse adeguate ricorreranno a forme di presenza più impegnative.
La Tabella 4.6 sintetizza le considerazioni esposte in precedenza rispetto alle
diverse modalità.
78
Politiche di investimento X X X X
restrittive
Politiche di investimento X
liberali
Distanza geografica limitata X X
Distanza geografica ampia X X X
Economia dinamica X
Economia stagnante X X X
Controlli restrittivi sugli X X X
scambi
Controlli deboli sugli scambi X
Deprezzamento del tasso di X
cambio
Apprezzamento del tasso di X X
cambio
Distanza culturale limitata X X
Distanza culturale ampia X X X
Basso rischio politico X X
Alto rischio politico X X X
Nota: le crocette segnalano i fattori che favoriscono la scelta di una certa modalità di
presenza
Fonte: Root(1998)
79
Forma Licen Esportazione Investi Contratto
indiretta ed za mediante mento di servizi
esportazio filiale/sussidi equity
ne con aria
agente/dist
ributore
Fattori esterni:
(Paese estero):
Mercato ampio X
Mercati ristretto X X
Competizione frammentata X X
Competizione oligopolistica X
Bassi costi di produzione X X
Alti costi di produzione X X X
Forte promozione delle X X
esportazioni
Restrizione agli investimenti X X X
esteri
Fattori interni:
Prodotti differenziati X X
Prodotti standardizzati X
Prodotti ad alta intensità di X X
servizi
Servizi X X X
Prodotti ad alta intensità X
tecnologica
Basso adattamento di X
prodotto
Elevato adattamento di X X X
prodotto
Risorse limitate X X
Risorse di alto valore X X
Impegno scarso X X X
Impegno elevato X X
80
Nota: le crocette segnalano i fattori che favoriscono la scelta di una certa modalità di
presenza
Fonte: Root(1998)
81
Figura 4.5 – Il processo di selezione della modalità di ingresso ottimale
Modalità di presenza
ottimale
82
associate alla prima fase, permettendo di elaborare le soluzioni ottimali. Anche lo
stile di management svolge un ruolo importante; in particolare modo la maggiore o
minore avversione al rischio può portare alla scelta di una modalità più o meno
impegnativa per l’impresa, così come un approccio reattivo o proattivo nella
gestione del mercato estero dipenderà dalle preferenze del manager/imprenditore.
Le determinanti organizzative, quali le caratteristiche del prodotto e le strutture
presenti in impresa, possono influenzare l’intensità dell’internaz. misurata in termini
di numero di mercati internazionali in cui l’impresa è presente. Ad esempio, un
ufficio vendite estero può costituire una base di partenza per l’ulteriore internaz
dell’impresa. Infine le risorse organizzative, rappresentate dalle risorse finanziarie
ed umane, sono determinanti nella scelta delle modalità di internaz.
In definitiva, il successo che un’impresa può conseguire selezionando una
determinata modalità di ingresso dipende dal management efficiente ed efficace
della relazione tra la casa madre e l’unità estera, che permetta all’impresa di
conseguire nella maniera migliore i propri obiettivi. Il controllo organizzativo dipende
dalla modalità di ingresso selezionata.
Una struttura organizzata che consenta di monitorare le attività estere poi, permette
anceh una revisione continua della strategia di internaz. massimizzando il risultato
competitivo conseguibile. Più un’impresa è internazionalizzata e maggiore sarà la
probabilità che scelga modalità dirette di presenza sui mercati internazionali. La
conclusione a cui si può giungere è che un approccio strutturato o proattivo sia in
grado di garantire, o per lo meno facilitare, il successo di un’impresa nel lungo
periodo e, soprattutto, un migliore utilizzo delle risorse che, nella maggioranza dei
casi, sono scarse.
83
84
CAPITOLO 5
5.1 Introduzione
9
A questo proposito si può ricordare che nei paesi del sud-est asiatico, sono previsti
numerosi e stringenti vincoli al possesso di azioni di imprese locali da parte di imprese
estere, così come negli Stati Uniti, la legge prevede un limite del 25% al possesso di azioni
di imprese statunitensi da parte di imprese straniere.
85
alcuni segmenti dell’economia, oltre a non generare nuovo sviluppo economico, a
differenza di ciò che accade con gli IDE e le joint venture. Fin da queste prime
battute, ci si rende conto delle ampie implicazioni derivanti dalle operazioni di
crescita esterna, sia dal punto di vista strategico, sia dal punto di vista delle politiche
economiche.
In ambito economico l’alleanza strategica può essere definita come “un accordo di
cooperazione fra imprese relativamente durevole, che implica flussi e collegamenti e
che utilizza risorse e/o strutture di governo da organizzazioni autonome per il
raggiungimento congiunto di obiettivi individuali collegati alla missione aziendale di
ciascuna impresa che partecipa” (Parche 1991 e Gulati 1998, p.795). Altri autori
sintetizza no in maniera corretta tale concetto definendo le alleanze strategiche
come gli accordi che “riguardano separatamente o congiuntamente attività verticali a
monte (forniture), attività verticali a valle (intermediari, punti di vendita), attività
laterali (con imprese complementari) e orizzontali (con imprese concorrenti); inoltre
varie ricerche segnalano operazioni di disinvestimento tese a smobilizzare alcune
attività, ma in parallelo a mantenere una relazione durevole con l’investitore (spin-
off, joint venture, cessione di attività etc.)” (Lorenzoni e Sandri 1996, p.66). Le forme
assunte dagli accordi e dalle alleanze sono veramente molteplici e vanno dalle
collaborazioni a breve termine relativamente poco impegnative a forme di
cooperazione (come le joint venture) basate sulla partecipazione patrimoniale ed
orientate a tempi medio-lunghi o lunghi.
Le alleanze sono differenti dalle semplici transizioni di scambio; un’alleanza non
può, per definizione, essere caratterizzata dall’esistenza di una parte che riceve solo
denaro, ma essa consiste in una serie di accordi bilaterali che in alcuni casi si
associano alla creazione di una holding con partecipazioni minoritarie di capitale,
consorzi e joint venture.
Invece si definisce acquisizione internazionale qualsiasi operazione fra due imprese
di nazionalità diversa che preveda l’acquisto da parte di una della totalità o della
quota di maggioranza del pacchetto azionario dell’altra impresa. Le acquisizioni
consentono di effettuare integrazioni verticali od orizzontali, a seconda che
riguardino soggetti che operano nel medesimo business o che siano ubicati in
86
posizioni differenti della filiera. Il fatto di interagire con un soggetto di nazionalità
differente rispetto alla propria, attribuisce a tale operazione un elemento ulteriore di
complessità. Per comprendere i confini all’interno dei quali ci si muove parlando di
alleanze a acquisizioni, è opportuno analizzare, da una parte, il problema strategico
che l’impresa si trova ad affrontare e, dall’altra, il tipo di rapporto che esiste tra i
soggetti (Figura 5.1).
Posizionamento
lungo al filiera
Problema
strategico
Gamma di
prodotti offerti
Il problema strategico che deve essere risolto dalle imprese può riguardare il
posizionamento lungo la filiera o la definizione della gamma produttiva10. L’altra
dimensione rilevante è costituita dai rapporti tra i soggetti che possono essere più o
meno sporadici e caratterizzati da un tipo di legame più o meno forte. I due estremi
opposti, gli scambi spot e l’integrazione completa non saranno considerati perché,
mentre i primi non implicano alcun tipo di relazione stabile, la seconda comporta la
creazione di un soggetto giuridico unitario. Le alleanze e le acquisizioni si collocano
nella zona grigia della Figura 5.1. Le alleanze strategiche appaiono una forma
organizzata interaziendale attraente e sempre più frequentemente utilizzata in un
ambiente caratterizzato da una rapida innovazione e trasformazione. In buona
sostanza, le alleanze cooperative costituiscono una valida risposta alla sfida che
10
Il problema strategico e i collegati obiettivi strategici sono approfonditi ne paragrafo 5.3.
87
viene posta da questo tipo di ambiente competitivo per chi si pone come obiettivo il
raggiungimento della profittabilità aziendale e il controllo del mercato. E per questa
ragione gli accordi riguardano, sempre più, le attività fondamentali svolte dalle
imprese quali la ricerca, lo sviluppo della tecnologia, l’attività produttiva e/o di
marketing (Figura 5.2).
88
Figura 5.2 – L’approccio proposto per l’analisi del tema
OBIETTIVI STRATEGICI
SCELTE STRATEGICHE
FORMALI INFORMALI
FUNZIONI
LICENSING PARZIALI TERZISTI
89
L’utilizzo sempre più diffuso di forme di collaborazione e acquisizioni ha posto in
evidenza come, strumenti che sulla carta sembravano offrire numerosi vantaggi, in
realtà si siano tradotti, nella maggior parte dei casi, in fallimenti; alcune operazioni si
concludevano semplicemente perché erano state concepite per durare
limitatamente nel tempo, mentre altre si esaurivano soprattutto a causa
dell’incapacità dei partner/aziende acquirenti di scegliersi reciprocamente e di
optare per la forma più adeguata alle finalità e agli obiettivi, oppure semplicemente
perché i cambiamenti nel contesto competitivo rendevano inefficace la forma
prescelta e la strategia sottostante. Un ulteriore fattore che, in alcuni casi, risulta
essere critico, è rappresentato dalle differenze culturali che rendono spesso difficile,
se non impossibile, la comunicazione e fanno naufragare un gran numero di
operazioni del genere.
Nella prima fase della crescita internazionale soprattutto le alleanze servono alle
imprese per esplorare mercati sconosciuti e rendere più veloce il loro processo di
apprendimento con riguardo alla gestione dei singoli mercati internazionali; è
probabile che le imprese optino per forme di cooperazione meno coinvolgenti dal
punto di vista finanziario e con il passare del tempo la crescita dei mercati
internazionali, induca l’impresa ad effettuare forme di partnership con elevato
coinvolgimento finanziario, come per joint venture.
Nella seconda fase della crescita le partnership e le acquisizioni dovranno essere
utilizzate per consolidare la presenza internazionale. Come si può facilmente intuire,
in questa fase l’impresa deve effettuare un salto qualitativo, non solo nella strategia
ma anche e soprattutto negli strumenti che utilizza per sviluppare la strategia e nella
qualità delle risorse umane, nonché finanziarie, coinvolte.
90
essere liberamente scelte dalle imprese perché esistono vincoli legati al tipo di
attività che deve essere svolta congiuntamente ad un’altra impresa.
Gli obiettivi principali che spingono le imprese a ricorrere ad accordi, alleanze e
acquisizioni possono essere classificati in cinque categorie fondamentali:
91
Anche se le acquisizioni internazionali consentono di ridurre i tempi se confrontate
con gli investimenti diretti esteri ma possono richiedere un impegno finanziario
maggiore rispetto a quello associato all’IDE11 e, soprattutto, impediscono
l’attuazione di una strategia di graduale penetrazione nel mercato dato che, una
volta identificato l’obiettivo da acquisire, si devono immediatamente reperire le
risorse finanziarie e umane per gestire l’operazione e, per questa ragione, spesso le
acquisizioni sono strumenti a cui ricorrono imprese di maggiori dimensioni.
A questo punto l’ultima domanda alla quale rispondere è: come fanno le imprese a
decidere se preferire la crescita esterna oppure la crescita organica? Al termine di
ogni ragionamento sarà la valutazione economica che condurrà l’impresa alla
scelta, se sarà soddisfatta la seguente relazione:
11
In questo caso si deve infatti includere nel costo anche l’avviamento dell’impresa
acquisita.
92
5.4 La costituzione e la gestione delle alleanze strategiche
Quando si parla di alleanze strategiche si distingue tra una fase ex-ante, cioè che
precede la formalizzazione del contratto, da quella ex-post, ovverosia quella che
segue la conclusione del contratto. Entrambe sono fasi piuttosto articolate e
svolgono un ruolo fondamentale nel definire il successo delle alleanze anche se, a
differenza delle acquisizioni, si ritiene che la fase di gestione sia più importante
rispetto a quella di selezione iniziale. Va rilevato comunque che nel caso delle
alleanze internazionali la fase ex-ante assume un’importanza molto maggiore,
soprattutto perché è il momento in cui l’impresa può mettere in campo gli strumenti
che le consentano di superare la forte asimmetria informativa che caratterizza i
mercati internazionali. La prima fase consiste nella definizione degli obiettivi che si
intende raggiungere con l’alleanza, in modo da poter riuscire più facilmente a
identificare un partner complementare e poter così opportunamente definire il profilo
del partner ideale. E’ fondamentale comprendere le caratteristiche del partner in
termini di compatibilità strategica, culturale, finanziaria, dimensionale, tecnologica
ecc.. Questa fase è caratterizzata da una seri di incontri, scambi, confronti e
contestualmente si avvia una negoziazione che riguarda gli aspetti contrattuali
dell’accordo. Una volta siglato l’accordo inizia la difficile fase di implementazione
delle decisioni concordate. Può sembrare ingenuo ma molto spesso le maggiori
difficoltà si riscontrano in questo momento, visto che quasi sempre le alleanze
strategiche sono negoziate ai vertici mentre manifestano i loro effetti sui livelli
aziendali inferiori. E’ la trasformazione di obiettivi generali in politiche ed attività
quotidiane che contribuisce alla costruzione della relazione con il partner, alla
formazione della fiducia e al consolidamento dell’impegno che sono fondamentali
per garantire l’efficacia dell’alleanza.
93
questi cicli di apprendimento tipicamente caratterizzati da un livello superiore di
fiducia e da una flessibilità adattiva, così come di una volontà e di un impegno
sempre più ampio. Se non si vengono a creare questi cicli virtuosi, le alleanze
falliscono. Esistono però diverse motivazioni che portano al fallimento delle
alleanze:
Conduce
all’aggiustamento verso
Condizioni riviste:
• Definizione dei compiti Rivoluzione in merito a:
• Routine dei partner • Efficienza
• Costruzione dell’interfaccia • Equità
• Attese rispetto a: • Adattabilità
• Performance
• Comportamento
• Motivazioni
Consente
94
La rivalutazione dell’alleanza richiede quasi sempre una rinegoziazione dell’accordo
formale e spesso in un contesto internazionale si rischia di dover ricominciare con
complesse negoziazioni, perdendo tempo e rischiando anche lo scioglimento della
relazione. Per questo motivo, molto spesso le imprese introducono opzioni reali nei
loro accordi di partnership che consentono quindi di riconfigurare la relazione (ad
esempio passando da un mero accordo di tipo contrattuale a una joint venture) in
caso di raggiungimento di determinati obiettivi.
Prima di entrare nel vivo dell’analisi delle implicazioni strategiche delle acquisizioni
internazionali, si fornisce un a breve analisi della rilevanza e delle caratteristiche del
fenomeno.
Se si fa riferimento in maniera specifica all’Italia, l’incidenza di tali operazioni sul
totale del valore delle acquisizioni è piuttosto basso e comunque tra i più bassi
nell’ambito dell’Unione Europea. Questo dipende dalla dimensione media delle
imprese italiane. Infatti in Europa oltre l’80% delle acquisizioni sono effettuate da
imprese con un fatturato superiore ai 710 miliardi e la realtà italiana è caratterizzata
da una dominanza delle imprese di piccola e media dimensione, cioè con fatturati
nettamente inferiori.
Il crescente ricorso alle acquisizioni e alle fusioni a livello internazionale, dipende dai
cambiamenti in atto nel contesto economico internazionale e da una serie di fattori
di base (Figura 5.4).
95
Figura 5.4 – Le forze che guidano fusioni e acquisizioni all’estero
96
• L’aumento di efficienza mediante sinergie;
• Le maggiori dimensioni delle aziende;
• La diversificazione (ripartizione dei rischi);
• Le motivazioni finanziarie;
• Le motivazioni personali (comportamentali).
Le fasi elencate precedentemente sono molto simili alle fasi esplorative che devono
essere condotte per identificare un eventuale partner. E non è casuale che le
alleanze strategiche siano spesso utilizzate come strumento preliminare per
selezionare e conoscere il partner e per procedere, in un secondo momento, alla
sua acquisizione integrale. La validità dell’acquisizione dipende dalla possibilità di
valutare la reale compatibilità delle rispettive attività, apprezzare le sinergie e
generare un maggior valore da un’eventuale acquisizione. La determinazione del
prezzo dell’acquisizione è una fase particolarmente delicata perché condiziona
l’effettiva capacità dell’operazione di creare valore. In Figura 5.5 sono indicati tutti i
97
passaggi che consentono di determinare l’entità della generazione del valore
passando, dal valore intrinseco dell’impresa acquisita al valore creato per gli
azionisti dell’impresa acquirente che dipende, primariamente, dalla capacità di
gestione dell’impresa acquirente, cioè dalla sua abilità nell’appropriarsi delle
sinergie. Il valore di mercato e il prezzo d’acquisto dell’impresa dipendono,
rispettivamente, dal prezzo delle azioni, cioè dalla capitalizzazione di borsa, e dal
prezzo, considerato accettabile dagli azionisti dell’azienda target (Eccles, Lanes e
Wilson 1999).
Valore delle
sinergie
Valore
intrinseco
L’acquisizione può determinare una serie di effetti anche molto ampli e diversi,
secondo le scelte effettuate dal management per integrare le attività acquisite nel
proprio business e per alienare, dopo averli scorporati, quei business che invece
non creerebbero valore.
In sintesi, le fonti di potenziale valore (Colombo 1998) sono rappresentate da:
98
In Figura 5.6 è mostrato uno schema riassuntivo che sintetizza l’insieme delle leve
di creazione di valore in un’acquisizione.
12
Può infatti accadere che, in occasione di un’acquisizione, i clienti decidano di
abbandonare il proprio fornitore temendo che il passaggio di proprietà determini
cambiamenti nella qualità dei prodotti e nel livello del servizio offerto.
99
incertezza nel materializzare tali benefici. La determinazione del prezzo diventa,
quindi, un processo molto complesso, che rende spesso probabili errori. Nei mercati
finanziari internazionali, il prezzo di un’acquisizione sarà quasi sempre più alto
rispetto al valore intrinseco dell’impresa obiettivo. L’impresa acquirente deve essere
quindi sicura dell’esistenza di sufficienti risparmi di costo e generatori di ricavi, il
cosiddetto valore delle sinergie, per giustificare il preminum, così che gli azionisti
dell’impresa obiettivo non si approprino dell’intero valore che l’accordo crea.
Il processo di integrazione che segue l’acquisizione fra due imprese è una fase
critica perché determina quanta parte del valore potenziale creato dall’acquisizione
troverà effettiva realizzazione (Cortesi 2000). Contrariamente a ciò che si crede
comunemente, il processo di integrazione non rappresenta l’ultimo passo
dell’acquisizione, bensì richiede lo sviluppo di capacità organizzative specifiche per
la sua gestione e la definizione di strutture specializzate, processi e strumenti
dedicati appositamente a questo scopo.
L’integrazione tra le due imprese può essere effettuata secondo tre approcci
(Haspeslagh e Jemison 1991): l’assorbimento, la preservazione e la simbiosi. Nel
primo caso si prevede una rapida integrazione dall’acquirente all’impresa target di
risorse e capacità, mentre nel secondo caso si tende a proteggere le capacità
dell’acquisito dalle pressioni provenienti dall’acquirente, con l’obiettivo di diffondere
lentamente la conoscenza dell’impresa target nell’impresa acquirente. Infine la
simbiosi tende a favorire lo scambio bilaterale tra le imprese, cercando di
mantenerle distinte. Questa modalità è utilizzata soprattutto nel caso di imprese
simili o concorrenti. La selezione di ciascuna delle modalità precedentemente
descritte dipende dal grado di interdipendenza strategica e dal bisogno di autonomia
organizzativa. Infatti, la simbiosi è adatta nel caso in cui si presenti una forte
necessità di autonomia organizzativa e un’alta interdipendenza strategica, mentre,
negli altri due casi, in cui cioè ci sia bassa interdipendenza organizzativa ma alta
necessità di autonomia organizzativa o viceversa, si opterà, rispettivamente, per la
preservazione e per l’assorbimento, come illustrato in Figura 5.713.
13
L’alternativa in cui ci sia una bassa interdipendenza strategica e una bassa esigenza di
autonomia organizzativa non è stata presa in considerazione perché, in questo caso, non
100
Figura 5.7 – Approcci all’integrazione
Alta
PRESERVAZIONE SIMBIOSI
Necessità di
autonomia
organizzativa
ASSORBIMENTO
Bassa
Bassa Alta
Interdipendenza strategica
101
Analizzando la tavola è possibile notare che la preservazione è l’approccio che,
apparentemente, sembra più semplice da perseguire, anche se è quello che meno
permette di appropriarsi delle sinergie potenzialmente generabili e, quindi, può
sviluppare un valore minimo. L’assorbimento è la modalità di integrazione che
consente di appropriarsi di gran parte del valore creato, anche se richiede un
notevole sforzo da parte dell’impresa acquirente, oltre a una velocità di intervento
molto elevata.
Sintetizzando, la complessità della fase post-acquisizione deriva da:
102
trasferimento di informazioni associato però al coinvolgimento, richiedendo cioè
suggerimenti, codificando le informazioni, pianificando con anticipo le decisioni
future e le modifiche nei tempi e nei programmi.
Numerosi studi hanno dimostrato l’esistenza di una correlazione positiva tra la
capacità di gestire la fase post-acquisizione e il numero di esperienze precedenti
dell’impresa acquirente. Infatti, si può ipotizzare che la numerosità delle esperienze
di acquisizioni favorisca l’accumulazione di routines organizzative specificamente
riguardanti lo sfruttamento delle sinergie e la ristrutturazione aziendale.
103
5.11 Osservazioni conclusive
14
Generalmente gli elementi critici in un business sono specifici dell’impresa piuttosto che
del singolo settore.
104
CAPITOLO 6
105
leader nei confronti degli altri paesi ASEAN permettendo loro di godere di
riflesso dei benefici derivanti dagli ottimi risultati prodotti dalla sua politica
economica.
6.2 L’Asean
Con la dichiarazione di Bangkok del 8 Agosto 1967, venne sancita la nascita della
Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN, Association of South East
Asian Nations), i cui membri, che inizialmente vi presero parte, furono Indonesia,
Thailandia, Malesia, Filippine e Singapore. Negli anni che seguirono questa lista
vide il graduale ingresso degli altri paesi della regione: il Sultanato del Brunei
(1984), il Vietnam (1995), il Laos e il Myanmar (1997) ed, infine, la Cambogia
(1999).
Attraverso questo processo di integrazione, l’ ASEAN si prefiggeva il conseguimento
di determinati obiettivi:
106
Il compito di coordinare, consultare, operare e di supervisionare sulla messa in atto
delle decisioni stabilite dai diversi organi decisionali viene invece così suddiviso:
Risultati importanti si stanno avendo dalle iniziative congiunte di questi paesi. Tra gli
accordi recenti quelli di maggior spicco che testimoniano la volontà di collaborare
sono: l’Accordo di Cooperazione industriale ASEAN (AICO, Basic Agreement on the
ASEAN Industrial Cooperation) operativo dal 1997, l’Accordo sull’ Area di
Investimento ASEAN (AIA, ASEAN Investment Area) sottoscritto dal 1998, nonché
la decisione di accelerare i tempi di completa attuazione dell’ AFTA entro il 2015.
Proprio l’accelerazione di quella che è l’integrazione dei paesi ASEAN, unita al loro
rapido sviluppo economico, ha suscitato l’ interesse di molti investitori esteri che
hanno intravisto nella regione una più che valida alternativa di investimento in Asia
rispetto ai mercati cinese, indiano e giapponese.
Vedremo come, fra questi imprenditori, quelli europei non sono certo rimasti a
15
guardare. Attualmente l’ UE è il secondo maggior partner commerciale per l’
ASEAN, dietro solo agli Stati Uniti, ma davanti sia al Giappone che alla Cina. Grazie
15
I dati e i grafici riportati nel seguente capitolo sono tratti da “EU-Singapore . Trade and
Investment 2007”. Delegation of the European Commission to Singapore, Singapore (2007).
107
al notevole volume di affari che si è instaurato con questa regione, l’UE incide per
l’11,7% sul commercio estero di questi paesi con una percentuale d’acquisto sulle
loro esportazioni totali del 12,9% e con una quota sulle importazione pari al 10,3%.
Si parla quindi di un notevole
interesse da parte delle imprese dei 27 stati dell’ Unione nei confronti di quest’ area.
40
Singapore
35
Malesia
30 Tailandia
25 Indonesia
Filippine
20
Vietnam
15 Cambogia
10 Myanmar
5 Brunei
Laos
0
2003 2004 2005 2006
Basti pensare che nel 2006 gli scambi hanno raggiunto nel complesso l’esorbitante
cifra di 126,6 miliardi di Euro, un volume solo di poco inferiore a quello che è il
commercio dell’ UE con l’intera America Latina. Scendendo nel particolare, i settori
chiave in cui si concentrano le esportazioni europee riguardano, in primis, le
attrezzature per la produzione e il trasporto (55%), seguono poi i prodotti chimici
(13,6%), e prodotti dell’industria manifatturiera (11,5%). Per quanto invece concerne
le importazioni i settori più significativi sono essenzialmente due: attrezzature per
produzione e trasporto con il 46,7% e articoli manifatturieri vari con il 20%.
Viceversa, sempre considerando il sistema dei paesi ASEAN come un’ unica entità
economica, questa Associazione si pone al quinto posto, sopra il Giappone, fra i
partner dell’Unione, raggiungendo una quota di mercato pari al 5% per quanto
108
riguarda il commercio con l’estero. A sottolineare come il Sud-Est asiatico stia
vivendo una seconda congiuntura economica positiva è il fatto che anche il traffico
commerciale dei paesi ASEAN con l’Unione Europea è costantemente aumentato
nell’ultimo quinquennio con un tasso di crescita annuale che si aggira attorno al 4%.
Alla luce di ciò la bilancia commerciale continua a rimanere in deficit per l’ UE
(attorno ad una cifra ormai stabilizzatasi sui 27 miliardi di Euro) e, nel complesso,
con un deficit relativamente elevato nei confronti di tutti i paesi in via di sviluppo dell’
Associazione, una parità della bilancia con Singapore e un surplus commerciale con
Brunei.
0
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Per quanto riguarda gli IDE (Investimenti Diretti Esteri) tra il 2002 e il 2006 gli
investitori europei con più di 30 miliardi di Euro impiegati, circa il 26,3% del totale
degli investimenti esteri fatti nei paesi ASEAN, hanno fatto dell’ UE il maggior
finanziatore dell’ intera area. Infatti , nel 2004, i depositi di Investimenti Diretti Esteri
provenienti dal Vecchio Continente hanno raggiunto i 69 miliardi di Euro, la maggior
parte dei quali concentrati a Singapore.
109
Già da queste prime informazioni si evince l’ importanza strategica di una regione
che, se fino ad un paio di decenni fa era rimasta semisconosciuta ai più e
sostanzialmente defilata ai margini dell’economia mondiale, ora si propone come
una valida alternativa agli enormi (ma ormai affollatissimi) mercati di India e Cina.
Come i dati sembrano confermare l’ Europa, nel suo complesso, sembra aver colto i
segnali positivi lanciati da questo mercato dimostrando piena fiducia nella
cooperazione che i paesi della regione hanno messo in atto fra loro e con i loro
partner, apprezzando le facilitazioni messe a disposizione degli investitori stranieri,
confidando nella bontà dei progetti a lungo termine dei governi ASEAN alcuni dei
quali coinvolgono l’UE in prima persona. (Basti pensare all’apertura nel Maggio
2007 delle negoziazioni per il Free Trade Agreement o gli oltre 80 milioni di Euro di
finanziamento riservati all’ ASEAN Program for Regional Integration Support, allo
scopo di assistere tecnicamente il segretariato dell’Associazione). Sono le stesse
caratteristiche di queste manovre e gli obiettivi che mirano a realizzare a svelare la
generale convinzione che si sia ormai raggiunta nell’ area una rassicurante stabilità
sia economica che politica.
Ma sulla base di ciò, quali sono le prospettive di medio-lungo periodo che vengono
riposte su quest’area? E qual è la ragione pratica che più di ogni altra spinge gli
investitori e le imprese ad investire con fiducia i loro capitali nei paesi ASEAN?
110
verranno messe in atto per rafforzare questa regione sotto il profilo economico e per
consentirle di gestire i modo più efficace gli eventuali shock politici o finanziari a
livello locale. Infatti le maggiori perplessità all’ effettiva realizzazione di tale progetto
derivano proprio dall’enorme divario che intercorre, per stabilità economica e
politica, tra i paesi più sviluppati dell’ Associazione con Singapore in testa, e gli altri
paesi più poveri.
Quindi, se da una parte l’ annuncio di voler creare una Comunità Economica
ASEAN attraverso l’attuazione dell’ AFTA suscita, nell’ immediato, il parallelismo
con quella che nel Vecchio Continente fu la CEE - Comunità Economica Europea -
dall’altra c’è chi, come Ludo Cuyvers, economista di Anversa ed esperto ASEAN,
solleva più di una critica ad un simile paragone.
Innanzitutto mentre la CEE era un’ unione doganale con un organismo di controllo
sui governi, egli osserva che “…i membri dell’ ASEAN sono riluttanti a rinunciare a
politiche economiche nazionali verso Paesi Terzi…16”. Ciò evidenzierebbe come tali
paesi stiano cercando di creare un mercato unico senza aver prima creato un
unione doganale o una qualche autorità di controllo e vigilanza con poteri
sopranazionali. Ad ostacolare un possibile adeguamento del progetto in questo
senso vi sono le profonde differenze interne dei sistemi politici dell’Associazione –
che vanno da monarchie assolute a regimi militari, dalla più grande democrazia
islamica del mondo al primo paese cattolico d’Asia – e che potrebbero rendere
quasi impossibile l’integrazione politica dei suoi membri. Se a questi fattori si
uniscono infine il gran numero di trattati bilaterali che i singoli paesi hanno stretto
con i propri partner commerciali ed il fatto che “…l’ASEAN è stata creata con una
dichiarazione e non con un trattato ed è perciò, a differenza dell’ UE,
completamente priva di personalità giuridica…*” allora, sostiene Cuyvers, tutte
queste debolezze differenziano notevolmente l’esperienza europea dai propositi
dell’ ASEAN. Detto ciò, ammette l’economista, l’ASEAN può vantare dei successi
sia in campo monetario, con l’ accordo sui rapporti monetari noto come iniziativa di
Chiang Mai fondamentale per la stabilità finanziaria nella regione, sia per il fitto
dialogo intrapreso da questi paesi.
Preso atto di queste osservazioni, c’è comunque chi considera ben più rilevanti altri
dati per sottolineare invece il successo e il sentimento di fiducia che il tentativo di
liberalizzazione del commercio sta avendo sull’ intera area.
16
BYRNE K. L’esperto: “Ma l’ ASEAN non sarà mai come l’UE”. (2006)
111
In primo luogo, il fatto che nel 2006 gli investimenti stranieri effettuati nel Sud-Est
asiatico abbiano toccato la cifra record di oltre 105 miliardi di Euro con un
incremento del 28% rispetto all’anno precedente17. In secondo luogo, una relativa
sicurezza per chi opera nell’area viene assicurata dal fatto che l’ASEAN, ottenuti
questi ottimi risultati, non si stia accontentando di quanto fatto, ma stia collaborando
ancor più attivamente con gli altri partner per porre le basi di un successo stabile e
duraturo (si pensi, ad esempio, allo statuto speciale di cui godono Cina, Giappone e
Corea del Sud, il cosiddetto “ASEAN + 3”). Infine il terzo motivo, quello forse più
rilevante: la certezza che entro il 2010-2015 verrà alla luce un’ area di libero
scambio tra Cina e ASEAN con oltre 2 miliardi di persone che potranno operare
liberamente all’interno di un mercato nel quale saranno aboliti i dazi doganali in tutti
quei settori determinati dall’ accordo. All’interno di questa corsia preferenziale, c’è
inoltre la realistica possibilità che in futuro si possa inserire anche l’altro grande
gigante d’ Asia: l’ India. Un processo che potrebbe essere enormemente facilitato
dalla forte presenza nei paesi dell’ Associazione di comunità indiane e cinesi già
completamente integrate fra loro.
Se tutte queste ragioni vengono affiancate ad un simile scenario, il progetto di
creazione di un mercato unico ASEAN con il successivo probabile ingresso degli
altri paesi asiatici, proprio per i numeri che potrebbe essere in grado di mettere sul
piatto della bilancia, rende l’ intera area un’ attrazione irresistibile.
17
Dati tratti da “EU-Singapore Trade and Investment 2007”. Delegation of the European
Commission to Singapore, (2007).
112
hanno già “preso possesso del territorio”, le dimensioni di tali economie prese
singolarmente sembrano invece essere più alla portata delle piccole-medie imprese
italiane. Nonostante ciò, o forse proprio per tal motivo, queste aziende necessitano
comunque di un supporto fattivo da parte delle nostre istituzioni per poter operare
nel continente asiatico.
Da qui nasce la seconda considerazione.
Innegabile è la volontà dei nostri imprenditori di espandere i loro orizzonti all’
esterno di quello che è l’ ambito nazionale e/o comunitario per rimanere competitivi
all’interno del mercato globale. Tuttavia fino ad oggi la presenza delle nostre
aziende e dei nostri investimenti in questa regione così prospera è stata un’
esclusiva di quei pochi capaci di sostenere i costi di una presenza costante su quei
mercati piuttosto che di un’ apertura di una nuova filiera produttiva. Fortunatamente,
anche se con colpevole ritardo, qualcosa inizia a muoversi anche da parte delle
istituzioni che potrebbero intervenire in tal senso. Una prima testimonianza viene dal
fatto che negli ultimissimi anni si sono registrati con maggior frequenza gli arrivi, in
alcuni paesi ASEAN, di brevi “viaggi di rappresentanza” da parte di alcuni organi
istituzionali italiani. Ci si riferisce in particolare agli ottimi risultati delle missioni della
Regione Emilia-Romagna a Singapore nel Novembre 2006, della Regione
Lombardia in Vietnam e Filippine nel Novembre 2007 e a Singapore e Malesia nel
Giugno del 2008, e del Centro Estero Veneto a Singapore nel Novembre del 2008.
Infatti una volta “toccate con mano” le reali possibilità offerte da questi paesi, le
prime immediate conseguenze di tali iniziative sono state, oltre ad accordi di
collaborazione fra università e di scambio delle informazioni fra istituzioni, l’apertura
di fondi comuni per il sostegno al finanziamento delle imprese di queste regioni in
quelle aree. Insomma tali iniziative con il loro seguito di politici, di giornalisti ma,
soprattutto, di cordate di imprenditori, non solo servono a far conoscere il sistema
Italia all’ estero e viceversa, ma servono ad attrarre l’attenzione e l’interesse di
banche e sponsor (istituzioni comprese) che restano gli unici soggetti in grado di
offrire nuove possibilità di sviluppo alle piccole e medie imprese italiane.
113
114
CAPITOLO 7
7.1 Introduzione
“Singapore è il posto ideale dove far crescere il nostro business. Il supporto del
governo ci ha permesso di effettuare investimenti di lungo periodo che rafforzano i
nostri affari in senso non solo regionale ma anche globale”
Dott. Pasquale Pistorio
Presidente onorario di ST Microelectronics, Membro dell’ international advisory
board di EDB e Vice Presidente Confindustria per l’innovazione e la ricerca.
18
Quanto riportato in questo capitolo è tratto da: The Investor’s Guide to Singapore.
2007 Edition. Singapore International Chamber of Commerce, Singapore, (2007).
Singapore partner to Asia and beyond. International Enterprise Singapore, Singapore
(2006). How to do business in Singapore (2007).
115
dell’ intero panorama mondiale. Perciò con il paragrafo che andrà a delinearsi
verranno spiegati tutti gli elementi d’interesse che rendono Singapore così attraente
agli occhi degli operatori esteri.
Verranno trattate nell’ordine: la forma di governo, le assicurazioni per le imprese, la
regolamentazione dell’ import-export, la tassazione, gli incentivi e le agevolazioni.
Una volta aggiornato il lettore sul “modello singaporeano” verranno sottolineati, nei
paragrafi finali di questo capitolo, i risultati che tale strutturazione di Singapore ha
prodotto sia nei rapporti con l’UE, sia nei rapporti con l’Italia.
Già colonia britannica, ha ottenuto l’autogoverno nel 1959 e nel 1963 è entrata nella
Federazione della Malaysia. Nel 1965 è diventata una repubblica indipendente.
Il Paese è governato da sempre dal Pap (Partito d’azione popolare), guidato prima
dal ‘fondatore della patria’ Lee Kuan Yew, quindi dal figlio Lee Hsien Loong. In base
alla Costituzione del 1959, il Presidente è eletto a suffragio diretto per 6 anni, ma ha
limitati poteri esecutivi; il Primo ministro e il governo sono responsabili verso il
Parlamento (84 membri eletti per 5 anni, più 9 nominati). Il sistema giudiziario si
basa sulla Common Law.
Singapore è una solida Repubblica Parlamentare costruita sul modello britannico.
Una Costituzione scritta regola il funzionamento degli organi dello stato, detentori
del potere Esecutivo, Legislativo e Giudiziario:
Potere Esecutivo
L’Esecutivo comprende il Capo di Stato e il Gabinetto dei Ministri. Attualmente il
Capo di Stato è il Presidente della Repubblica, Mr. Sellapan Rama Nathan, la cui
carica durerà 6 anni, dopo la rielezione per il suo secondo mandato ottenuta nel
Settembre 2005. Inoltre la Costituzione prevede che tale carica abbia anche il
compito di presiedere il Parlamento. Il Gabinetto invece è presieduto dal Primo
Ministro Mr. Lee Hsien Loong, in carica dal 12 Agosto 2004. Di nomina
presidenziale, il Primo Ministro in quanto tale, assume la guida del Governo.
Potere Legislativo
116
Il potere Legislativo è detenuto sia dal Presidente che dal Parlamento, ed entrambi
vengono eletti mediante elezioni politiche. Il Parlamento viene eletto ogni 5 anni.
Può essere composto da un massimo di 99 membri, 84 dei quali di elezione
popolare (members of parliament), 6 possibili membri di opposizione (non-
constituency members of parliment) ed un massimo di 9 membri eletti dal
Presidente non appartenenti ad alcun partito politico (nominated members of
parliament). La prima seduta del Parlamento si tenne l’8 Dicembre 1965, mentre le
prime elezioni politiche del Parlamento, espressione della volontà popolare,
avvennero il 13 Aprile 1968. L’attuale Parlamento é stato eletto il 5 Marzo 2006 e 24
sono i partiti politici che lo compongono.
Potere Giudiziario
Il Potere Giudiziario è rappresentato dalla Corte Suprema e dalle Corti Subordinate.
E’ indipendente dall’Esecutivo e questa autonomia viene salvaguardata dalla
Costituzione.
7.3.1 La registrazione
19
Gli statuti a cui ci si riferisce da qui in avanti sono consultabili presso il sito
www.statutes.agc.gov.sg.
20
Ovvero i non maggiorenni (21 anni) che non sono cittadini singaporiani, o non sono
residenti permanenti o non sono in possesso di un employment o di un dependent pass.
21
Employment Pass Department.
117
iscrizione può essere effettuata anche on-line al sito web (www.acra.gov.sg). Una
volta ottenuto il Certificato di Registrazione dall’ACRA, una copia dello stesso deve
essere fatta pervenire, insieme alla Approval-In-Principle letter, agli uffici del MoM
per il rilascio dell’ Employment Pass. Il seguente processo può essere reso più
agevole e sbrigativo rivolgendosi ad una delle numerose società di consulenza che
si occupano di questi tipi di servizi. Fra questi, di particolare interesse risulta la
possibilità di utilizzare un manager locale quale prestanome della società qualora
non si voglia (o non si possa) partecipare e farsi coinvolgere in prima persona nella
vita societaria della neonata attività.
Nella fase di registrazione devono comunque essere specificati:
Il nome della società
I dati personali del proprietario, dell’amministratore o del prestanome
L’indirizzo della sede d’ufficio
Presentazione dello statuto (se previsto dalla forma societaria)
La registrazione avviene al pagamento di una cifra che varia dai 65 S$22 (circa 35
Euro) ai 300 S$ (circa 150 Euro) a seconda della tipologia di società che s’intende
costituire.
Le forme societarie previste dalla legislazione di Singapore si dividono in:
22
Con la dicitura S$ si fa riferimento al dollaro singaporeano.
118
Tabella 7.2 – Disciplina specifica
Tipo di Società e rispettivo Testo Disciplinante
A] Prive di Personalità Giuridica:
- Business Registration Act, cap 32
B] Con Personalità Giuridica (a seconda della forma specifica utilizzata):
- Limited Liability Partnership Act 2005
- Companies Act, cap 50
- Representative Office Scheme
Fonte: The Investor’s Guide to Singapore. 2007.
119
7.3.3 Forme Societarie Prive di Personalità Giuridica
Partnership
Anche in questo caso, non avendo la partnership personalità giuridica, i partner che
la compongono sono personalmente e illimitatamente responsabili dei debiti e delle
obbligazioni contratte dalla società. Il singolo può agire in nome e per conto degli
altri partner solo previa autorizzazione degli stessi.
Joint Venture
Simile alla partnership, la Joint Venture è comunemente costituita da due o più parti,
siano queste persone fisiche o società. Tuttavia, in questo caso, il singolo non
rappresenta la volontà degli altri partner e può agire solo limitatamente ai compiti a
120
lui assegnati da contratto ( in caso contrario sarà l’unico responsabile delle proprie
azioni).
Società
Disciplinate dal “Companies Act”
Società a
Responsabilità Società a
Limitata Responsabilità
Illimitata
La Limited Liability Partnership (LLP), è una forma societaria introdotta nel 2005 nel
sistema giuridico di Singapore. Disciplinata dal LLP Act 2005, essa possiede la
flessibilità per operare come una partnership e gode al tempo stesso della
responsabilità limitata. Perciò i partner delle LLP non sono personalmente
perseguibili né per le obbligazioni contratte dalla società stessa (che saranno carico
dell’entità societaria), né per la negligenza degli altri partner, mentre saranno
121
obbligati a rispondere personalmente per le perdite della società causate dalla
propria negligenza.
Requisiti necessari per registrare una LLP sono:
1. composizione con almeno 2 partner, che possono essere individui o entità
societarie;
2. la nomina di un amministratore delegato di almeno 21 anni residente a
Singapore;
3. tutti i partner devono essere in regola con i pagamenti del medisave23;
4. una sede legale .
La filiale è un’ estensione della società madre e la responsabilità delle sue azioni
ricadono perciò sulla società madre.
La registrazione di una Branch segue quanto stabilito nel Companies Act, Cap. 50.
In particolare, i requisiti necessari per registrare una filiale di società straniera a
Singapore sono:
1. la presenza di almeno due prestanome locali, aventi più di 21 anni e
residenti a Singapore, che risponderanno per tutte le azioni compiute dalla
filiale e saranno personalmente responsabili per essa.
2. essere in possesso dei documenti richiesti dal s368 CA, ovvero:
una copia del Certificato di Incorporazione o Registrazione della sede
principale;
una copia dello Statuto della società madre;
il memorandum della nomina dei prestanome con dichiarazione
scritta e giurata;
dichiarazione legale del prestanome della società straniera;
presentazione di un indirizzo valido dell’ufficio di Singapore;
lista dei direttori della sede principale accompagnata da informazioni
su di essi.
23
Fondo pensionistico obbligatorio dedicato esclusivamente alle spese mediche.
122
La registrazione ha un costo di circa S$300 (pari a 150 euro), per società con
capitale azionario, mentre di S$1200 (600 euro) per società straniere prive di
capitale azionario.
La composizione degli azionisti della filiale dipende da quanto stabilito nello statuto
della società madre.
Società (Company)
La Company è una società il cui capitale sociale viene suddiviso in azioni: è una
forma societaria riconducibile alle nostre S.p.A.. Regolamentate dal Companies Act,
le società possiedono personalità giuridica e, in quanto tali, hanno il diritto ad avere
proprietà intestate a loro nome. Secondo l’ordinamento giuridico singaporeano esse
si suddividono in Private (Pte) o Pubbliche (Plc).
Viene definita società privata ogni società con capitale azionario nel cui atto
costitutivo vengono previsti:
vincoli nel diritto di trasferire le proprie azioni;
limiti del numero dei soci fino a 5024;
divieto per il pubblico di sottoscrivere azioni od obbligazioni;
divieto di raccolta di fondi presso il pubblico.
Questa è la forma societaria più indicata per coloro che operano nel settore
commerciale, manifatturiero o dei servizi. Sono anch’esse regolate dal “Companies
24
Le società a capitale azionario privato possono essere classificate come “Exempt” Private
Company (EPC )se nessuna delle sue azioni è detenuta direttamente o indirettamente da
un’ altra compagnia e se non ha più di 20 azionisti. La principale utilità di una EPC è quella
di poter concedere ai propri direttori dei prestiti.
123
Act 2005” ed, essendo entità legali separate, possono essere loro stesse parti
integranti di un contratto, possono citare od essere citate in giudizio e possono
essere proprietarie di beni immobili e/o mobili.
La Private Limited Company ha responsabilità limitata, pertanto i soci che la
costituiscono rispondono degli obblighi e dei debiti contratti dalla società
limitatamente alla quota da essi sottoscritta.
Nella registrazione della società, che ha un costo di circa S$300 (pari a 150 euro),
sono inoltre necessari:
il nome della società;
almeno un azionista;
un amministratore;
i documenti richiesti dalla procedura di sottoscrizione;
Il segretario e uno dei soci fondatori devono essere “ordinarily resident in
Singapore” ed avere almeno 21 anni.
La Pte Ltd ha inoltre l’obbligo di tenere i propri libri contabili a Singapore per
permetterne in qualsiasi momento il controllo da parte delle autorità.
124
7.4 Assicurazioni per le imprese
125
7.5 Regolamentazione Import ed Export
A Singapore ci sono cinque Zone per il libero commercio (Free Trade Zones), con
una vasta gamma di opzioni per lo stoccaggio e la riesportazione delle merci. Lo
stoccaggio può avvenire in queste zone senza particolare documentazione fino al
momento in cui vengono immesse nel mercato.
Sono zone franche:
■ il Porto di Singapore,
■ il Porto di Jurong,
■ i Moli di Sembawang,
■ i Moli di Pasir Panjang ,
■ il Terminal d’imbarco merci del
Changi Airport
126
7.5.2 Importazione, esportazione e transito merci
Ulteriori informazioni su permessi e sulle liste complete delle varie tipologie di beni
commerciabili o meno a Singapore sono consultabili presso gli indirizzi
www.tradenet.gov.sg e www.stgc.gov.sg.
127
“ad valorem” quando il dazio equivale ad una percentuale sul valore
imponibile delle merci. Tale valore viene stabilito sulla base del costo,
dell’assicurazione, del nolo e di qualsiasi altra spesa connessa alla
vendita e alla consegna delle merci.
Pensato per rendere Singapore più attraente agli occhi degli esportatori
internazionali, il MES permette alla società ad esso registrata, di usufruire di una
serie di agevolazioni al momento dell’importazione delle proprie merci nel mercato
singaporiano.
Per fare domanda di adesione al “Piano per Grandi Esportatori”, è necessario che
una società iscritta al GST importi a Singapore oltre il 51% del totale dei beni da
essa commerciati.
7.6.1 Imposte
Queste sono le principali tipologie di imposte che vengono applicate alle aziende a
Singapore:
Imposta sul reddito societario “CORPORATE TAX”
128
Tassa di proprietà “PROPERTY TAX”
Tassa sui beni e servizi “GOODS AND SERVICES TAX” (GST)
Imposta da bollo “STAMP DUTIES”
La tassazione si basa sulla fonte dei guadagni della singola azienda, che viene
determinata sulla base del luogo:
di conclusione del contratto;
di pagamento;
in cui le operazioni economiche vengono svolte;
in cui il capitale viene impiegato;
in cui i servizi vengono svolti.
Inoltre un’ ulteriore distinzione viene fatta tra “commercio con” e “commercio in”
Singapore, in quanto in base a tale suddivisione i guadagni aziendali possono o
meno essere soggetti a tassazione.
Fra i vari tipi di imposte vigenti a Singapore quella riguardante la tassa sul reddito
fatturato merita sicuramente un’ approfondimento. Le imposte aziendali vengono
infatti calcolate sulla base dei guadagni accumulati dalla società per ogni singola
operazione da essa effettuata, siano essi derivanti da un business in Singapore
129
oppure provenienti dal commercio con l’estero, al netto dei costi deducibili, degli
ammortamenti, delle perdite commerciali e delle donazioni ad enti benefici.
Al momento le aziende sono soggette ad un tasso fisso del 18% sul loro reddito
imponibile.
Per quanto concerne l’esenzione fiscale sul reddito, a Singapore è previsto un
particolare regime di tassazione con lo scopo di agevolare l’ingresso nel mercato
alle aziende che sono in fase di avviamento:
2. Esenzione Fiscale per le aziende appena avviate nei loro primi tre anni
di vita. Per tali aziende, è in vigore la piena esenzione delle tasse sul
reddito imponibile per i primi 100.000 S$ di fatturato. Per i successivi
200.000S$ (da 100.000 a 300.000) solo il 50% di questi è soggetto alla
tassazione al 18%, mentre ulteriori guadagni saranno interamente
soggetti al tasso fisso sovracitato.
130
Withholding Tax
La GST (corrispondente italiano dell’ I.V.A.) è un’ imposta a carico esclusivo degli
importatori e fornitori di beni e servizi. Dal 1 Luglio 2007 l’aliquota d’imposta sui
consumi interni è del 7%. Le società con fatturato annuale superiore ad un milione
di dollari di Singapore hanno l’obbligo di iscriversi presso il registro di imprese
dell’IRAS (Inland Revenue Authority of Singapore). Invece, per le società con
fatturato inferiore a tale ammontare la registrazione è volontaria. Le società
registrate devono emettere fatture su vendite effettuate ad entità soggette ad
imposta, o ricevute su vendite ad entità non soggette ad imposta.
Nello specifico la GST sulle merci, imponibili e non, si calcola sulla base del CIF
(costo, assicurazione e nolo) aumentato di qualsiasi altra spesa, commissione o
dazio (se presente).
Qualora le merci siano messe in deposito doganale per esservi immagazzinate o se
sono importate nell’ ambito del “Major Exporter Scheme” (Piano per grandi
esportatori), il pagamento della GST e del dazio è temporaneamente sospeso in
attesa di essere riscosso dalle autorità doganali una volta che le merci saranno
ritirate per la messa in circolazione nel mercato locale. Si ricorda che, nel caso si
trattino di merci importate nell’ambito del “Major Exporter Scheme”, l’importatore ha
l’obbligo di prelevare parte della GST sulla vendita locale. Per le merci depositate in
una zona franca in attesa di riesportazione o trasbordo, la riscossione della GST è
sospesa, a meno che le merci non siano utilizzate o consumate nella zona franca o
ritirate per la messa in libera pratica sul mercato locale.
131
Vi sono tuttavia delle eccezioni per le quali la GST sulle forniture è pari allo 0%. In
questo caso si parla di Zero GST.
Tutte le forniture di beni e servizi sono tassabili eccezione fatta per:
- l’esportazione dei beni e le forniture di servizi internazionali;
- beni in stoccaggio presso magazzini a Zero GST;
- donazioni, stanziamenti o cessioni di qualsiasi importanza, oppure, qualsiasi
proprietà residenziale;
- servizi finanziari come elencati nella quarta categoria di imposta della legge
sui GST.
La seguente tabella riporta un confronto sui dati relativi al regime di tassazione fra i
maggiori paesi asiatici:
Tabella 7.3 – Confronto tra i vari regimi di tassazione nei diversi paesi
Paese Tassazione Tassazione Guadagni in GST
persone fisiche reddito societario conto capitale
Singapore 20% 18% 0% 7%
Cina 45% 33% 10-60% 17%
Giappone 40% 30% 20% 5%
Corea 35% 25% 10% n.d.
Malesia 28% 28% 30% n.d.
Tailandia 37% 30% 7% 7%
Filippine 32% 35% 10% 10%
Vietnam 40% 28% 25% 10%
India 40% 30-40% 20% 12,5%
Fonte: www.worldwide-tax.com e dall’International Enterprise Singapore 2006
132
l’applicazione di aliquote annuali di ammortamento pari al 33% (per un periodo di 3
anni), sui costi di investimento che riguardano impianti e macchinari, mentre un
ammortamento del 100% della durata di un’ anno può essere richiesto sui costi per
l’acquisto di un computer, macchine d’automazione, strumentazione per il controllo
dell’inquinamento e del consumo energetico, per impianti e macchinari che costino
meno di 1.000 S$ (fino a un tetto massimo di 30.000 S$ l’anno). Il programma per la
doppia detrazione d’imposta incoraggia le imprese ad affacciarsi ed espandere le
loro attività nel commercio internazionale attraverso la doppia detrazione, dal loro
reddito imponibile, dei costi per: partecipazioni a fiere, licenze, franchising, ricerche
di mercato, attività di pubblicazione, promozione e pubblicizzazione.
Esistono inoltre particolari schemi di finanziamento per le piccole e medie imprese
che risultano registrate in Singapore, fra questi:
1. Micro Loan programme: prevede prestiti fino a un massimo di 50.000S$ per
lo sviluppo di aziende neo-costituite composte da meno di 10 dipendenti.
2. Local Enterprise Finance scheme (LEFS): si tratta di prestiti alle aziende che
prevedono scadenza a medio o lungo termine con basso tasso d’interesse.
3. Variable Interest Loan Scheme (V-Loan): è un programma svolto in
collaborazione con 14 delle maggiori banche, internazionali e non, presenti a
Singapore che propone alle imprese prestiti a tassi agevolati.
4. Loan Insurance Scheme (LIS): accordo con 7 importanti istituzioni finanziare
che propone l’ assicurazione degli investimenti in modo da mettere al riparo
l’azienda dal rischio d’impresa.
133
A tal proposito chiari sono dati relativi al PIL che vengono rilasciati dal Monetary
Authority of Singapore, ovvero dalla banca centrale singaporeana.
12
10
6
Variazione %
-2
-4
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Anno
Già da una prima lettura del PIL degli ultimi 7 anni, per quanto questi valori possano
sembrare oscillanti, si nota come l’economia di questo paese stia vivendo una fase
di netta espansione dovuta ad interventi strutturali, più che ad una temporanea
convergenza positiva (in realtà in questo periodo sono stati numerosi gli eventi
internazionali dalle possibili conseguenze destabilizzanti). Analizzando anno per
anno si scopre come già nel 2000, ad appena un biennio dal terribile shock
finanziario che colpì l’intera regione del Sud-Est asiatico, gli ingenti ricavi derivanti
dagli investimenti fatti su scala globale in funzione anti Millennium Bug avessero
spinto l’economia singaporeana ad un impressionante +9,9%. L’improvvisa ed
inaspettata recessione che invece colpisce Singapore l’anno successivo si spiega
facilmente con i tragici eventi dell’ 11 Settembre che provocarono un arresto del
flusso d’ investimenti USA nel paese. Da quell’ anno Singapore non ha più subito
alcuna battuta d’arresto. Già nel 2002 il PIL segna un +2,2%. Nel 2003 nonostante
la minaccia terrorismo (in particolare dopo gli attentati di Bali dell’ ottobre 2002), le
134
tensioni in Medio-Oriente e le psicologiche conseguenze dell’ epidemia di SARS che
ebbe un paio di casi mortali nel paese, l’economia riesce a crescere dell’ 1,1%. Nel
2004 c’è il definitivo salto di qualità in cui il PIL arriva ad un incredibile +8,8%. Negli
anni successivi l’espansione continua, trainata dal forte aumento della domanda
estera su prodotti elettronici, di componentistica, di trasporto, farmaceutici e,
nonostante le preoccupazioni per il caro petrolio, raggiunge un +6,6% nel 2005, un
+7,9% nel 2006, e nel 2007 la crescita del PIL è stata del 7,5%.
Questa positività della crescita viene inoltre accompagnata: da un tasso di
disoccupazione che se nel 2003 si attestava intorno al 5%, oggi è stabile al 2,1%
(2007), da un modesto tasso di inflazione intorno al 1,2% a cui fa da contraltare un
forte aumento sia dei salari reali che del reddito pro capite e da una propensione al
consumo che nel 2007 ha registrato un +4,5%. Questo è possibile perché, sebbene
Singapore, proprio per la sua natura di piccola città-stato, sia fortemente dipendente
dalle oscillazioni dei prezzi sulle materie prime, il rialzo del dollaro singaporeano nei
confronti di quello statunitense, sta limitando l’aumento dei prezzi. Infine, per quanto
riguarda il rischio paese, la già citata solidità finanziaria, l’ ottimo rapporto tra
disavanzo e PIL, la capacità di affrontare eventi capaci di generare shock
economici, e la stabilità del quadro politico, hanno assicurato a Singapore l’assoluta
fiducia di tutti gli organismi internazionali dal FMI alle agenzie di rating (Standard &
Poor’s, Moody,s e Fitch).
Ma quali sono i settori su cui fonda la propria ricchezza di Singapore?
Uno dei settori di maggior rilevanza è senz’altro l’attività di Import-Export.
La propensione di Singapore verso gli scambi internazionali, dovuta sin dalla sua
nascita all’ incredibile posizione strategica che questo stato riveste nell’ intera area
asiatica, resta uno dei cardini dell’ economia del paese. Di conseguenza, in questi
anni, il piccolo stato ha rafforzato la propria leadership commerciale nell’ area
attraverso un continuo potenziamento delle infrastrutture e dei trasporti. Come si è
visto, per quanto riguarda il trasporto su nave, ben quattro sono i terminal container
in zona franca dislocati sull’ isola e questa disponibilità ha contribuito, di fatto, a
rendere il porto di Singapore il più trafficato del mondo e il secondo per il traffico di
trasbordo di container. Se a ciò aggiungiamo due aeroporti ed un terzo, il Changi
Airport (in espansione con la costruzione di un terzo terminal che sarà operativo
entro la fine del 2008), che viene considerato il più efficiente al mondo, è facile
comprendere quanto il commercio con l’ estero del paese possa trarre giovamento
da un simile apparato infrastrutturale.
135
A tutto ciò fa seguito un’ attenta politica del paese sulle agevolazioni per i dazi
doganali e sugli accordi commerciali internazionali. Attualmente sono stati conclusi
da Singapore con i suoi partner ben 13 Free Trade Agreement, mentre sono in
pieno svolgimento le trattative per la conclusione di un Accordo bilaterale di Libero
Scambio con l’ UE.
Favorite da tutto ciò le esportazioni di Singapore continuano a crescere, passando
da circa 270 miliardi di Euro del 2006 ai quasi 290 miliardi di Euro del 2007 e, per
quanto concerne le importazioni, si è arrivati ad un ammontare di circa 198 miliardi
di Euro dell’ ultimo anno. Le esportazioni riguardano soprattutto macchinari,
elettronica, prodotti chimici, manufatti, beni di consumo e combustibili minerali,
mentre le importazioni includono elettronica e macchinari, prodotti chimici,
combustibili e generi
alimentari. Se non si tiene conto dell’ UE nel suo insieme i maggiori partner
commerciali di Singapore sono: Malesia, Stati Uniti e Cina. I maggiori destinatari
delle esportazioni singaporeane sono stati i seguenti Paesi: Malesia, Hong Kong,
Indonesia, Cina, Stati Uniti, Giappone, Tailandia, Australia, Taiwan, Corea del Sud.
Per quanto riguarda i Paesi europei e l’Italia, nel 2007 il Regno Unito ha raggiunto
una quota pari al 2,6% del totale; la Germania il 2,4%, l’Olanda l’1,9%; la Francia
l’1,1%; l’Irlanda lo 0,7%, il Belgio 0,5%, la Svizzera lo 0,3%, l’Ungheria lo 0,25%,
l’Italia si e’ posizionata 34ma nella graduatoria dei mercati esteri destinatari
dell’export singaporeano, con una quota pari allo 0,2% (271 milioni di euro circa) e
settima tra i Paesi europei.
Fra i principali partners commerciali di Singapore i primi 10 fornitori nel 2007 sono
stati i seguenti: Malesia, Stati Uniti, Cina, Giappone, Taiwan, Indonesia, Corea del
Sud, Arabia Saudita, Tailandia e Germania. Per quanto riguarda altri Paesi europei
e l’Italia, la Francia e’ in 11ma posizione, il Regno Unito e’ in 15ma posizione e
l’Italia e’ in 20ma posizione, quarta tra i paesi UE. Singapore ha importato nel 2007
dall’Italia beni per un valore pari a 1.748 miliardi di euro.
Tabella 7.4 – Principali fornitori ed acquirenti
PRINCIPALI % su import PRINCIPALI % su export
FORNITORI ACQUIRENTI
1. Malesia 13,6 1. Malesia 14,8
2. Stati Uniti 12,5 2. Hong Kong 11,6
3. Cina 11,3 3. Stati Uniti 10,0
Fonte: The Investor’s Guide to Singapore. 2007.
136
Altro settore d’importanza fondamentale, che rispecchia la propensione di
Singapore all’ apertura nei confronti dell’economia globale, è la politica di attrazione
degli Investimenti Diretti Esteri (IDE). Il grado di apertura del Paese al commercio ed
agli IDE è massimo ed al contempo permeato di pragmatismo. Singapore è infatti
costantemente schierato in prima linea ad ognuna delle tornate negoziali in ambito
OMC. Singapore ha concluso 13 FTA: Stati Uniti, Giappone, Australia, Nuova
Zelanda, Paesi ESFTA (Svizzera, Norvegia, Lietchtenstein, Islanda), Giordania,
Trans-Pacific SEP (Brunei, Nuova Zelanda, Cile), Asean-Cina, India, Asean-Corea,
Panama, Corea del Sud, AFTA (Asean Free Trade Agreement).
Dal 2001 il governo di Singapore ha proposto di iniziare i negoziati per concludere
un Accordo di Libero Scambio (ALS) UE – Singapore; tale proposta di accordo si
inserisce nell’ambito della politica commerciale di Singapore dell’ultimo quinquennio,
volta a tessere una rete di ALS bilaterali con i principali partner economici.
L’accordo con l’Unione Europea, oltre a rafforzare le relazioni economico
commerciali della UE nel Sud Est asiatico, consentirebbe a Singapore di bilanciare i
due ALS già in vigore con Stati Uniti e Giappone e di completare pertanto la propria
rete di ALS bilaterali. La proposta alternativa dell’Unione Europea è invece quella di
cercare di negoziare un accordo in questa materia UE – ASEAN, cioe’ a livello
regionale. Infatti Bruxelles non intende privilegiare negoziati bilaterali con i singoli
Stati ed ha pertanto proposto un piano di azione commerciale regionale, il
cosiddetto Trans Regional EUASEAN Trade Initiative – TREATI, volto a rafforzare la
cooperazione tra le due regioni sia nel settore commerciale che degli investimenti,
sulla base di un sistema a “geometrie variabili” o a “velocità differenziate”, nel senso
che i Paesi già pronti (sul piano tecnico, normativo ed economico) potranno
intensificare i rispettivi legami in detti settori, mentre gli altri li raggiungeranno non
appena avranno colmato i loro divari.
Per quanto riguarda lo stato di avanzamento dei negoziati per l’Accordo di
Partneraraito e Cooperazione (PCA) UE-Singapore, si segnala che il negoziato ha
subito un rallentamento a causa del perdurante rifiuto della parte singaporeana ad
esaminare la clausola sulla governance in materia fiscale, per ragioni legate al
segreto bancario.
Singapore attua da sempre una lungimirante politica di attrazione di Investimenti
Diretti Esteri (IDE), basata su un ambiente di prim’ordine in termini logistici,
infrastrutturali, normativi (di trasparenza, snellezza burocratica) e fiscale.
137
Secondo gli ultimi dati del Ministry of Trade and Industry di Singapore, gli
investimenti nel settore manifatturiero, soprattutto elettronico e petrolchimico, hanno
registrato un valore pari a S$ 16.1 miliardi nel 2007, di molto superiori agli S$ 8.8
miliardi investiti nel 2006. Si stima che i capitali investiti produrranno un valore
aggiunto di S$ 6 miliardi, portando alla creazione di 16.900 posti di lavoro, dei quali
oltre il 59% verra’ occupato da tecnici specializzati. Nel 2007 i paesi EU
(prevalentemente Olanda, Svizzera, Germania, UK e Francia) hanno investito a
Singapore, secondo quanto reso noto dallo stesso MTI, almeno S$ 8.4 miliardi, pari
al 52% di tutti gli investimenti.
Le grandi multinazionali, che costituiscono la parte piu’ rilevante degli investimenti
nel mercato locale, hanno continuato ad effettuare IDE nei settori merceologici
tradizionalmente piu’ rilevanti, che rimangono, nell’ordine, i seguenti: prodotti
elettronici, prodotti chimico-farmaceutici e biotecnologici, prodotti petrolchimici,
servizi logistici, comunicazioni e trasporti, macchinari industriali e dal settore edilizio
privato.
Quanto detto finora sulla politica di Singapore di aprire le porte alla globalizzazione
del mercato trova conferma anche in quelli che sono i rapporti con l’UE. A
confermarlo, l’obiettivo dichiarato da entrambi i soggetti di raggiungere, quanto
prima, l’intesa sul Free Trade Agreement EU-ASEAN. Questa partnership, anche se
per ragioni diverse, comporterà una serie di indiscutibili vantaggi per chi opera su
questi mercati.
4 Cina 42,6
5 Indonesia 31,4
138
6 Giappone 27,6
10 Corea 15,2
Per quanto riguarda Singapore tali vantaggi riguardano l’ opportunità per le merci
delle proprie imprese di approdare con facilità in un mercato unico composto da 27
paesi, 500 milioni di consumatori e regolamentato da un’ unica tariffa, da un identico
pacchetto di normative commerciali ed amministrative e da quella di ricevere nuovi
ed ingenti afflussi di capitale dal vecchio continente. Per quanto concerne l’ UE essi
derivano dalla possibilità di rimanere da protagonisti all’interno di un mercato
dinamico e ricco di opportunità, dal ruolo fondamentale che Singapore gioca, grazie
al suo porto, nei trasporti commerciali di beni sulle rotte euro-asiatiche, e dal
tentativo di non far cadere l’intera regione sotto l’esclusiva influenza economica
cinese od indiana.
Dal 2003 al 2006 i traffici commerciali fra i soggetti in questione hanno subito un
aumento annuo del +12,2% con una tendenza al rialzo. Attualmente l’ UE
rappresenta per Singapore il secondo maggior partner commerciale (come si
osserva in tabella) e il secondo mercato d’esportazione con una quota del 11,3%,
mentre per l’ Unione la piccola città-stato è il maggior mercato del Sud-Est asiatico
con l’1,7% delle merci esportate nel totale che si concentrano nei tre settori chiave
delle attrezzature per produzione e trasporto (55,0%), dei prodotti chimici (13,4%) e
dei prodotti dell’industria manifatturiera (10,8%).
Se si analizza nel dettaglio quei paesi dell’UE che hanno avuto le maggiori quote di
mercato nel commercio con Singapore nel 2006 troviamo nell’ordine: la Germania
con un volume di traffici di circa 10,2 miliardi di €, il Regno Unito che si attesta a 8,5
miliardi, seguito dai Paesi Bassi, la Francia, l’ Italia (2,2 miliardi di €) e la Svezia25.
25
I dati e riportati nel seguente paragrafo sono tratti da “EU-Singapore . Trade and
Investment 2007”. Delegation of the European Commission to Singapore, Singapore (2007).
139
Figura 7.3 – Quote di mercato nel commercio con Singapore
21% 20%
Regno Unito
2%
Francia
Germania
Italia
15% Paesi Bassi
13%
Svezia
6% Resto UE
23%
Fonte: http://www.singstat.gov.sg
140
focalizzati soprattutto nei servizi finanziari, assicurativi e nel settore manifatturiero,
ha portato Singapore a essere una delle mete privilegiate degli IDE europei in Asia
ed a essere superata solo da Hong Kong e Giappone. E’ stato calcolato che dall’
impiego di capitali a Singapore, gli investitori europei abbiano ricevuto, solo nel
biennio 2004-2005, guadagni per circa il 20% sull’investimento fatto.
Tuttavia se osserviamo il seguente grafico, l’andamento dei depositi IDE sembra
essere un contrasto con quanto detto in precedenza. Infatti, la discrepanza di
risultati fra Singapore ed UE (la prima con un aumento degli investimenti negli ultimi
10 anni ma rimasti apparentemente stabili nell’ ultimo periodo, la seconda con un
trend di crescita quasi di carattere esponenziale) potrebbe far pensare che i
rispettivi investitori respirino un aria di diversa fiducia nei confronti delle due
economie.
50.000
40.000
€ (Millioni)
30.000
20.000
10.000
0
1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Anno
Fonte: http://www.singstat.gov.sg
141
2. è da considerare altresì l’ esiguità del numero di investitori del piccolo
paese asiatico, ed il fatto che il loro numero è di fatto rimasto
sostanzialmente immutato in questi 10 anni.
Ciò significa che se da una parte vi è un piccolo ridimensionamento sul valore più
che quintuplicato degli IDE europei impiegati a Singapore, dall’altra assume una
rilevanza non indifferente il fatto che gli operatori asiatici abbiano raddoppiato il loro
capitale d’investimento in Europa.
Per quanto concerne il rapporto del nostro paese con Singapore, esso presenta
caratteristiche di molto simili a quelli che sono i rapporti tra UE e Singapore
precedentemente descritti. Quanto di positivo è stato già detto sui particolari fattori
logistici, politici e di politica economica (su tutto l’ esigua presenza di barriere
tariffarie nel piccolo paese), trova piene conferme anche nell’ interscambio
commerciale Italia-Singapore.
Le conseguenze di ciò sono che tale mercato risulta essere il principale sbocco
delle merci italiane nel sistema dei paesi ASEAN. Nel 2006 l’export italiano ha
toccato un confortante +14% rispetto all’ anno precedente, mentre per il 2007 le
prime proiezioni parlano di un ulteriore +7%. Se a questo ci si aggiunge anche una
crescita prevista delle importazioni di merci singaporeane di quasi 2 punti
percentuali, si può capire come il traffico commerciale sull’ asse Italia-Singapore
goda di ottima salute a dispetto della situazione d’ incertezza che sta vivendo l’
economia del nostro paese.
In particolare, le merci italiane che trovano sbocco nel mercato del piccolo paese
asiatico si concentrano nei comparti dei macchinari e delle attrezzature, dei prodotti
manufatti, dei prodotti chimici, dei prodotti in metallo, dei prodotti dell’industria
manifatturiera, dei prodotti d’ abbigliamento e tessili, per un totale del volume d’affari
che nel 2006 ha toccato l’ 1,7 miliardi di Euro.
Invece i prodotti singaporeani presenti nel mercato italiano appartengono nell’
ordine: al settore chimico, a quello dei macchinari, a quello energetico, a quello dei
prodotti petroliferi raffinati, al settore alimentare e delle materie plastiche. In tale
contesto è interessante sottolineare come dal 2003, l’esportazione dei prodotti
142
chimici verso l’Italia abbia superato quello delle apparecchiature elettroniche. Esso
infatti è diretta conseguenza della politica di governo di “puntellare” l’economia del
paese, attraverso un’ aumento delle specializzazioni produttive, per renderlo meno
dipendente dalla domanda estera di apparecchiature elettroniche e, soprattutto, per
esporre meno i propri prodotti all’ assimilazione e alla riproduzione che viene messa
in atto dalla grande industria manifatturiera cinese.
Riassumendo, nel mercato singaporeano l’ Italia conferma il proprio dinamismo nei
settori tradizionalmente “forti” della nostra economia. Oltre ad alcuni settori
industriali di componentistica elettronica, auto ed ingegneristica, è il reparto lusso,
grazie all’ aumento del PIL pro-capite nel paese e alla forte propensione di spesa
dei consumatori, a rappresentare il made in Italy nel piccolo paese asiatico nei
settori dell’abbigliamento, calzaturiero, della pelletteria, della gioielleria in oro e delle
autovetture sportive26.
26
Dati ufficiali ICE Singapore 2007.
143
Tabella 7.6 – Graduatoria dei primi settori d’esportazione Italia-Singapore -
Gennaio-Ottobre 2007
ATTIVITA’ ECONOMICHE – Gen-Ott 2006 Gen-Ott 2007 VAR.
GRUPPI
Valvole, tubi ed altri componenti
338.446 260.218 -23,11%
elettronici
Prodotti petroliferi raffinati 104.974 152.472 +45,25%
Macchine e apparecchi per la
produzione e l’impiego di 126.061 122.293 -2,99%
energia meccanica
Altre macchine per impieghi
70.809 74.834 +5,68%
speciali
Altre macchine di impiego
42.543 44.687 +5,04%
generale
Tubi 42.474 43.210 +1,73%
Navi ed imbarcazioni 9.689 39.797 +310,75%
Autoveicoli 21.179 39.351 +85,80%
Altri prodotti chimici 23.083 36.157 +56,64%
Fili e cavi isolati 13.138 34.156 +159,98%
Parti ed accessori per
27.987 34.031 +21,60%
autoveicoli e loro motori
Strumenti ed apparecchi di
misurazione, di controllo, di 32.244 29.479 -8,57%
prova, di navigazione
Gioielli ed articoli di oreficeria 20.858 27.314 +30,95%
Altri prodotti in metallo 29.595 27.230 -7,99%
Mobili 31.773 27.062 -14,83%
Apparecchi e trasmittenti per la
24.990 26.729 +6,96%
radiotelevisione e la televisione
Fonte: Elaborazioni ICE Singapore su dati ISTAT
144
Tabella 7.7 – Graduatoria dei primi settori d’importazione Italia-Singapore -
Gennaio-Ottobre 2007
ATTIVITA’ ECONOMICHE – Gen-Ott 2006 Gen-Ott 2007 VAR.
GRUPPI
Prodotti chimici di base 37.419 58.786 +57,10
Prodotti farmaceutici, chimici e
24.336 28.872 +18,49
botanici per usi medicinali
Valvole, tubi ed altri componenti
15.691 23.704 +51,07
elettronici
Apparecchi medicali, chirurgici ed
20.029 20.016 -0,06
ortopedici
Pesci conservati e trasformati e
14.377 8.082 -43,78
prodotti a base di pesce
Macchine e apparecchi per la
produzione e l’impiego di energia 6.266 7.203 +14,96
meccanica
Altri prodotti chimici 7.905 5.959 -24,62
Navi ed imbarcazioni 3.771 5.478 +45,27
Prodotti della siderurgia 3.120 4.815 +54,32
Apparecchi riceventi per la
4.530 4.414 -2,55
radiodiffusione e la televisione
Macchine per ufficio, elaboratori e
apparecchiature per sistemi 6.312 4.086 -35,27
informati
Apparecchi per uso domestico 3.776 4.015 +6,33
Strumenti ottici ed attrezzature
6.096 3.957 -35,09
fotografiche
Altre macchine per impieghi
4.882 3.844 -21,27
speciali
Metalli di base non ferrosi 10.482 3.470 -66,90
Libri, giornali ed altri stampati 3.732 3.250 -12,93
Fonte: Elaborazioni ICE Singapore su dati ISTAT
145
7.11.1 Andamento degli IDE
Elenchiamo ora le imprese italiane che fino ad oggi hanno investito a Singapore. La
più importante in fatto di IDE è senz’altro la ST Microelecronics, che da ormai quasi
quarant’ anni investe con profitto nel mercato locale. Questa impresa a capitale
misto franco-italiano, con stabilimenti in loco che occupano 7.500 dipendenti e che
si occupa della produzione di componentistica elettronica, è arrivata nel 2006 a
realizzare un investimento pari a 1,7 miliardi di Euro. Le altre imprese che hanno
concentrato i loro investimenti a Singapore sono: Permasteelisa (architettura e
146
rivestimenti esterni per costruzioni), Coim Asia pacific Pte Ltd (prodotti chimici),
Focchi Singapore Pte Ltd ( componentistica e strutture per l’edilizia), Foster Wheeler
Eastern Pte Ltd (settore petrolchimico,chimico e farmaceutico), Mapei Far East Pte
Ltd (prodotti chimici per l’industria edilizia).
Attualmente le aziende italiane presenti nel territorio del piccolo stato con filiali e
uffici di rappresentanza sono oltre duecento. A quelle già citate si aggiungono altre
realtà che operano stabilmente in questo mercato: AGIP, Bulgari, Ferretti, Merloni,
Loro Piani, Piaggio, Pirelli, Snamprogetti, Zegna. Inoltre di recente va segnalata l’
apertura dell’ ufficio regionale di Finmeccanica, Saipem e Prysmian (ex Pirelli Cavi).
Come è noto, il sistema economico italiano è strutturalmente caratterizzato da una
relativa scarsità di grandi imprese capaci di competere con successo sui mercati
internazionali, a cui corrisponde un peso elevato, rispetto agli altri principali paesi
europei, delle imprese di minore dimensione. Da alcuni anni è tuttavia in corso un
processo di lenta evoluzione, con una riduzione di peso delle imprese più piccole,
spesso travolte dai processi di selezione
competitiva indotti dall’integrazione internazionale, e con l’emergere di un gruppo
dinamico di imprese di media dimensione. La quota delle piccole imprese (fino a 49
addetti) sul valore delle esportazioni italiane si è ridotta dal 30,8 al 28,3 per cento tra
il 2001 e il 2006, a vantaggio sia delle medie imprese, passate dal 27,2 al 28,1 per
cento, sia delle grandi (da almeno 250 addetti), salite dal 42 al 43,6 per cento.
È aumentato tendenzialmente anche il numero medio di mercati di esportazione per
impresa, segno del diffondersi di una maggiore capacità di diversificazione
geografica delle vendite, anche se in alcuni mercati (ad esempio in Cina e in India),
la presenza delle piccole imprese appare ancora volatile.
Le medie imprese sono altresì le principali protagoniste del maggiore attivismo
manifestato negli ultimi anni dal sistema economico italiano in termini di
partecipazioni azionarie in imprese estere, soprattutto in settori come meccanica,
alimentari, metallurgia, carta, gomma e plastica. Nei settori tradizionali del made in
Italy è invece aumentato il peso di poche grandi imprese, che hanno spostato
all’estero in misura notevole le fasi più semplici delle loro produzioni e rafforzato le
reti distributive.
Viceversa, il principale IDE di provenienza singaporeana in Italia è la gestione della
movimentazione dei containers nei porti di Genova Voltri, Civitavecchia e Venezia,
affidata alla Port of Singapore Authority, mentre è prevista l’ espansione degli
147
investimenti nel nostro paese anche in altri settori come quello turistico e,
soprattutto, quello farmaceutico.
Da segnalare nel febbraio 2008 l’acquisizione, per circa 400 milioni di euro,
effettuata in Italia da parte di una joint-venture formata da uno dei due fondi sovrani
di Singapore, il Government of Singapore Investment Corporation (GIC), e dalla
Banca olandese ING, del centro commerciale “Roma EST” appartenete al gruppo
PAM, ubicato a Lunghezza, localita’ alle porte di Roma.
Inoltre, che il GIC ha investito circa un miliardo di euro (pari a circa 2,1 miliardi di
dollari di Singapore) per l’acquisizione del 14,3% della holding di investimento
lussemburghese operante nel settore delle infrastrutture Sintonia SA, che e’
controllata da Sintonia SpA, holding appartenente alla famiglia Benetton.
Detto ciò l’Italia suscita ancora uno scarso interesse se confrontato con quello che
rivestono le economie degli altri paesi europei, soprattutto del Nord Europa, in grado
di attrarre gli IDE singaporeani grazie alla fornitura di maggiori garanzie di tutela
dell’ investimento e di limpidezza dei rapporti.
148
che Singapore si è posta. Inoltre, l'EDB aiuta sia le società internazionali sia quelle
nazionali a pianificare strategie globali e a configurare le loro attività da Singapore.
Per affrontare le sfide del prossimo millennio l'EDB ha lanciato il programma
Industriale 21, per assicurare che Singapore rimanga competitiva per gli
investimenti. Il programma è centrato sulle seguenti iniziative strategiche:
• Sviluppo generale dell’economia del Paese;
• Agevolazioni per le aziende locali maggiormente promettenti;
• Sviluppo dell’innovazione;
• Sviluppo delle relazioni commerciali internazionali
• Sviluppo di Singapore come centro dove stabilire una base operativa
strategica per molte imprese per le numerose e qualitativamente avanzate
infrastrutture;
• Sviluppo della ricerca scientifica.
Con effetto dal 1 aprile 2002, il PSB ha cambiato il proprio nome in SPRING di
Singapore, ovvero “Standards, Productivity, ad Innovation for Growth”.
149
Fondo di sviluppo per la specializzazione
Oltre a promuovere e sviluppare nuovi mercati per prodotti e servizi, STDB è anche
responsabile per lo sviluppo della Repubblica come centro commerciale
internazionale. Esso accoglie e dà assistenza sia alle società nazionali che estere
affinché possano fare di Singapore la loro base d’affari principale, anche per cio’
che riguarda il commercio con i paesi in via di sviluppo, o sfruttare il paese come
centro commerciale, countertrade o centro di deposito e di distribuzione regionale.
Le informazioni sulle procedure della documentazione import-export e il certificato
d’origine, tra gli altri, sono disponibili su Internet (http://www.stdb.gov.sg) per aiutare
le società nella comprensione delle procedure di documentazione.
150
Il Singapore Trade Development Board e’ stato rinominato nell’aprile 2002
“International Enterprise Singapore” o “IE Singapore”.
151
• Tuas Biomedical Park: ancora in fase di studio e realizzazione, prevede la
costruzione di dieci siti predisposti per l’attività farmaceutica e
biofarmaceutica. La superficie coperta è di circa 200 ettari e vi trovano gia’
posto alcune tra le principali società che operano nei campi farmaceutici e
biomedici.
152
CAPITOLO 8
POLI DISTILLERIE
8.1 Introduzione
153
quale ricade un’eredità culturale negativa difficile da cancellare, ma che
tuttavia, facendo parte della tradizione regionale, è meritevole di un totale
rinnovamento qualitativo in grado di trasformarlo in un prodotto apprezzato
in tutto il mondo.
8.2 L’azienda
154
A proseguire l’attività di famiglia furono i due figli maschi di Giovanni:
Giobatta (1920-1999) e Antonio, classe 1919; quest’ultimo avrebbe poi
rilevato la quota del fratello e gestito l’azienda con l’aiuto della moglie
Teresa.
Nonostante i tempi difficili in cui si trovò ad operare, Antonio riuscì ad
ingrandire l’attività occupandosi non solo di Grappa e liquori, ma anche di
diverse lavorazioni secondarie, quali l’estrazione del cremor tartaro dalle
vinacce distillate e l’essicazione dei vinaccioli per la produzione dell’olio e
delle mattonelle combustibili che da essi si potevano ricavare.
Certo ne è passato di tempo da quando si portava la Grappa in casse di
legno da Schiavon a Vicenza con la “Vaca Mora”, il treno a vapore che
faceva tappa proprio di fronte alla Distilleria. Difatti nel corso degli ultimi
anni, la Distilleria Poli, gestita dai figli di Antonio, ha dovuto affrontare un
grande salto di qualità per adeguarsi al mutato gusto dei consumatori e alle
nuove motivazioni di consumo, pur restando profondamente legata alle
migliori tradizioni.
A partire dagli anni ’80, in concomitanza con il ricambio generazionale che
porta Jacopo Poli e i fratelli alla conduzione dell’azienda, nelle distillerie Poli
avviene un radicale cambiamento di corso.
Il nuovo management attua infatti alcune trasformazioni riguardanti:
155
si muove sulla linea tracciata dalla Nonino, la prima azienda del settore ad
intraprendere un processo di rinnovamento in termini di qualità intrinseca e
di innovazione di prodotto (creazione grappe monovitigno e acquaviti di
mosto), di presentazione (bottiglie, etichette, packaging accurati) e
soprattutto di politiche di comunicazione (premio letterario) a supporto
dell’investimento effettuato. Il successo delle strategia di differenziazione
intrapresa dalla distilleria friulana determina, infatti, l’espansione e allo
stesso tempo la segmentazione del mercato; di conseguenza si verifica un
cambiamento della funzione di domanda ed una modifica della percezione
dell’offerta.
Poli non crea questo tipo di segmentazione , anche se attua un sapiente ed
originale riposizionamento dei propri prodotti, dal segmento basso al
segmento alto. Pur essendo follower rispetto a Nonino, non lo si può definire
un semplice imitatore. La Nonino, infatti, è un’azienda industrializzata che
ha deciso di entrare in maniera massiccia nella grande distribuzione,
capitalizzando l’immagine creatasi nel corso degli anni. La Distilleria Poli,
invece, rimanendo fedele al suo stile produttivo, fondato su una struttura
aziendale di tipo artigianale, non mira ad uno sviluppo dimensionale
dell’azienda, quanto piuttosto alla creazione di un’immagine di Marca ben
definita, rivolta ad un segmento specializzato, in parte sovrapponibile a
quello individuato dalla distilleria di Percoto, ma specificato in modo diverso,
secondo una segmentazione brand-oriented.
E’ l’orizzonte dei valori, infatti, a rappresentare il campo di applicazione del
progetto comunicativo Poli.
Nel 1983 il ventenne Jacopo Poli riesce a tradurre in strategia aziendale
un’intuizione nata dalla passione per un prodotto legato alla storia della sua
famiglia e del suo territorio.
“Ciò che distingue un nobile- dice Jacopo Poli – è la consapevolezza delle
proprie origini, la volontà di conservare tracce del proprio passato ed avere
propensione per il futuro”.
Prodotti che, come il Cognac e il Whisky, nascono all’interno di contesti
nobiliari, in quanto ottenuti da materie prime costose (quindi rispettivamente
il vino e il malto), si avvalgono di una preparazione culturale ed di un
approccio nella gestione delle vendite totalmente assenti nel settore della
grappa.
156
Questo distillato è storicamente legato al mondo contadino, alla volontà
propria del contesto rurale di sfruttare tutte le risorse naturali a disposizione,
compresi i prodotti di scarto di altre lavorazioni, come la vinaccia.
L’orizzonte temporale contadino, scandito dall’alternarsi delle stagioni, è
limitato e l’approccio miope, non incline all’innovazione per mentalità e
mancanza di mezzi. Anche quando il marketing entra nel settore, ad essere
valorizzati sono inizialmente solo gli aspetti più superficiali, mentre il peso di
un’eredità culturale negativa rimane forte.
La mission aziendale concepita da Jacopo Poli è la “nobilitazione” del
distillato di vinaccia, non secondo una concezione puramente decorativa,
ma in senso globale, attraverso una riscoperta delle sue origini più antiche,
fino alla congiunzione con il mondo affascinante e suggestivo dell’alchimia.
L’obiettivo di Poli non è, però, cercare una discendenza da magnanimi
lombi, quanto piuttosto affrancare il prodotto Grappa dagli stereotipi negativi
e legittimare il suo “discorso di marca” attraverso l’azione di indagine
storica. “Nobilitare” la Grappa significa darle uno spessore, un contenuto
(oltre che un contenitore), un senso. A questo scopo il collegamento alla
tradizione è imprescindibile, ma esso non si realizza solo attraverso il
riferimento empirico a pratiche tramandate nel corso delle generazioni,
quanto piuttosto mediante l’atteggiamento filologico della ricerca delle
tracce documentate.
Con la realizzazione del Museo della Grappa, Jacopo Poli offre al visitatore
la possibilità di entrare in contatto con questo passato sconosciuto e al
contempo gli fornisce la chiave d’accesso “all’anima “ del suo prodotto.
Nella cornice di un palazzo quattrocentesco in cui trovano un’attenta
collocazione i preziosi testi antichi sulla distillazione, le ricostruzioni in vetro
soffiato dei primi alambicchi e adeguati supporti informativi il cliente non
partecipa ad uno scambio economico, ma vive un’esperienza di carattere
culturale e sensoriale se degusta anche i prodotti, in un bicchierino studiato
ad hoc e gratuitamente.
L’azienda, dal primo alambicco, ricavato da Giovanni modificando la
vaporiera a legna di una locomotiva, ha percorso un secolo di storia
tutt’altro che facile, giungendo ai giorni nostri, rafforzata da un successo
riconosciuto anche a livello internazionale e raggiunto grazie alla passione e
alla tenacia trasmessa di padre in figlio. Ancora oggi, la famiglia Poli, alla
157
quarta generazione di distillatori, è impegnata a far capire e apprezzare la
fatica, la perseveranza, ma soprattutto l’amore racchiuso in una bottiglia di
“Grappa”, un amore per la propria arte, per il proprio mondo e, senza il
quale nessun risultato sarebbe stato possibile.
158
Figura 8.2 – Organigramma aziendale
Proprietà
Presidente
Responsabile Responsabile
RSPP e HACCP Assicurazione
Rete
Commerciale
159
Tabella 8.1 – Tabella cariche e compiti aziendali
160
8.3 I prodotti
161
Moscato 40%)
UVAVIVA
AMERICANA
(Fragola)
LAMPONI DI POLI
162
CAPITOLO 9
9.1 La produzione
Il comparto produttivo della grappa e degli altri distillati poggia su circa 135 distillerie
e più di 500 imbottigliatori concentrati non solo nel nord del Paese, da sempre
tradizionale feudo produttivo, ma anche e in misura crescente nel centro- sud.
Nel corso del 2006, la produzione complessiva di acquaviti da prodotti vitivinicoli e
da frutta ha visto, per il terzo anno consecutivo, un deciso incremento (+4,8%) del
totale, passato da 313000 ettanidri27 a 328000 (Fig. 9.1).
Diverse però sono state le dinamiche riscontrate nelle rispettive componenti.
La grappa, infatti, ovvero l’acquavite di vinaccia – il prodotto che più di tutti, tra quelli
delle distillerie, è patrimonio caratterizzante la tradizione italica – ha messo in luce,
dopo almeno un quinquennio di trend crescente, una battuta d’arresto, con una
contrazione sul 2005 pari a -6,4% che ha condotto la quantità totale da 125000
ettanidri a 117000. Si tratta di una frenata da mettere in relazione, come si vedrà in
modo dettagliato nelle pagine seguenti, con un mercato interno stazionario, anche
se le contemporanee buone performance dei mercati esteri inducono a pensare a
tale riduzione come qualcosa di congiunturale, piuttosto che strutturale.
Molto positivo è stato al contrario l’andamento delle acquaviti di vino, cresciute del
13,1% rispetto al 2006 e posizionate su un trend triennale di rapida crescita (+164%
rispetto al 2003, anno in cui avevano raggiunto il livello minimo) che le ha portate a
198000 ettanidri. Tale segmento è comunque da mettere in stretta relazione con la
produzione di vino: nello specifico, tale incremento così sostenuto è da associare
probabilmente alla direzione che sta prendendo la riforma dell’Ocm Vino,
attualmente in corso di discussione, secondo cui dovrebbero essere aboliti o ridotti
sensibilmente i contributi alla distillazione.
Per quanto riguarda le altre acquaviti riportate (uva, frutta) i dati di produzione
appaiono marginali rispetto ai due segmenti principali. Per l’uva, con circa 4300
ettanidri, si registra un incremento del 7,5%, mentre per le acquaviti di frutta il 2006
27
Ettolitri di alcole anidro.
163
ha messo in evidenza, viceversa, un calo del -3,3% (per una produzione pari a 8700
ettanidri).
Nonostante la ripresa economica in atto nel 2006 (+1,9% il Pil), a cui ha contribuito
in misura importante la crescita dei consumi complessivi (+1,6%), nel caso delle
bevande alcoliche nel complesso (compresi i vini e gli spumanti) si registra, al
contrario, un andamento anticiclico con una contrazione pari al -1,3% (Tabella 9.1).
E ciò dopo diversi anni in cui i consumi di bevande alcoliche hanno messo in luce,
viceversa, tassi di crescita ben superiori sia rispetto all’andamento dell’economia
che all’andamento dei consumi totali e dei consumi alimentari.
164
Tabella 9.1 – Andamento del Pil e dei consumi nazionali in valore
Var.% reale su anno 2001 2002 2003 2004 2005 2006
precedente
28
Vendite al dettaglio (iper e supermercati, discount, negozi tradizionali, ecc.)
29
Vendite in esercizi pubblici (hotel, ristoranti, catering, bar, ecc.)
165
La grappa, dopo alcuni anni di costante crescita30, ha dato segnali di stabilizzazione
nel corso dell’ultimo biennio: se nel 2005 si è manifestato un lieve calo pari al -1%,
comunque più ridotto rispetto al generale contesto degli spirits (-2,1%), il 2006 ha
visto, invece, una variazione più marcata per il distillato di vinaccia (-2%) rispetto
all’aggregato complessivo dei superalcolici. Particolarità della stasi nella grappa,
inoltre, è che caratterizza indistintamente i due segmenti individuati, mentre, come si
è visto, nel caso dei superalcolici il calo è intervenuto prima nei consumi fuori casa e
successivamente nei consumi indoor.
Sebbene tale generale tendenza alla riduzione nelle qualità di bevande con elevata
gradazione alcolica possa essere correlata ad una sostanziale maturità del
comparto, vi sono anche altre cause di carattere più congiunturale che meritano di
essere citate.
Nello specifico, la contrazione può essere parzialmente spiegata con le campagne
del Governo e di altre istituzioni contro l’abuso di alcolici: tuttavia, un peso maggiore
è da imputare al continuo innalzamento delle accise sull’alcol (Tabella 9.3) nel
triennio 2004-2006, passate in breve da 645,37 €/ettanidro a 800,01. Questa rapida
evoluzione, dopo diversi anni di stazionarietà, ha determinato certamente un impatto
apprezzabile nei consumi complessivi.
30
Centro documentazione Grappa Luigi Bonollo, Nomisma (a cura di). Grappa e mercato.
Agra editrice. Roma 2005.
166
Nel contesto negativo dell’ultimo biennio si segnalano alcuni casi di controtendenza
(Figura 9.2), nella fattispecie la vodka (+8,3% in totale), la sambuca (+3,6%) e il
rhum (+1,4%).
Dall’altro lato, peraltro, si registrano anche decrementi molto più marcati rispetto al
dato medio: è il caso dei brandy stranieri (-10,4%), dei limoncelli (-8,9%), della
tequila (-7,7%) e del whisky (-6,7%).
La grappa si attesta in una posizione mediana, potendo contare su un mercato di
riferimento meno sensibile a variazioni improvvise influenzate da mode più o meno
estemporanee e più attento al contenuto qualitativo e di gusto veicolato dalla
bottiglia.
In altre parole, gli amanti della grappa sviluppano molto spesso una fedeltà che si
mantiene negli anni, caratteristica che garantisce il perpetuamento di uno “zoccolo
duro” di intenditori e che mette al riparo il mercato del distillato da fluttuazioni
negative eccessive.
167
Figura 9.2 – Variazione delle vendite in volume delle categorie di superalcolici
(var% 2006/2005)
Un’altra caratteristica peculiare dei consumi di grappa, che i dati 2006 confermano
ancora una volta, è quella di una preferenza per i consumi casalinghi rispetto ai
consumi nella ristorazione: infatti, circa il 51,4% dei 20,3 milioni di litri di grappa
consumati viene degustato tra le mura di casa, mentre per gli spirits in generale è
vero il contrario, con il 57,6% del totale nel segmento horeca.
E’ questo il riflesso, d’altronde, della diversa modalità di fruizione della grappa, più
adatta alla degustazione e all’esperienza sensoriale rispetto a molti altri distillati o
168
liquori che vengono apprezzati più frequentemente attraverso la miscelazione con
altre bevande e in contesti più animati (un esempio per tutti, il rhum nei locali serali).
Ciò si traduce, di conseguenza, in una maggior incidenza della grappa nei consumi
retail (13,8%) di superalcolici rispetto a quelli horeca (9,6%), mentre nel complesso
conta per l’11,4% dei volumi (Figura 9.3).
Figura 9.3 – Incidenza della grappa sul mercato dei superalcolici in volume
(2006)
100%
11,40% 13,80% 9,60%
90%
80%
70%
60%
Grappa
50%
88,60% 86,20% 90,40% Altri superalcolici
40%
30%
20%
10%
0%
Totale RETAIL HORECA
Il dato in volume del segmento retail, inoltre, può essere messo in relazione con una
stima in valore del consumo di grappa delle famiglie italiane, desumibile incrociando
i dati Istat di contabilità nazionale31 con la composizione del paniere dell’inflazione
(Figura 9.4).
Tale esercizio rivela un valore indoor dei liquori pari a circa 1,1 miliardi di euro, di cui
la grappa rappresenta poco meno del 21%, in un intorno qualificabile tra 230 e 240
milioni di euro.
Si tratta di una conferma a quanto già espresso e rappresentato in passato32, e cioè
che la grappa ha un prezzo medio sugli scaffali dei supermercati e nei negozi
superiore rispetto ad altri superalcolici, prova ne è la maggior incidenza sul totale
31
Tali elaborazioni analizzano la spesa per famiglie italiane per voci, tra cui la spesa in
bevande alcoliche (approssimabile alla spesa retail) e la spesa per alberghi e ristoranti (tra
cui rientra, senza possibilità di disaggregazione, la spesa horeca di bevande alcoliche).
32
Cfr. Centrp Documentazione Grappa Luigi Bonollo. Nomisma (a cura di), Grappa e
mercato, Agra editrice.
169
degli spirits in termini di valore (21%) rispetto all’incidenza in termini di volume (poco
meno del 14%, solo retail).
Figura 9.4 – Stima incidenza della grappa sui consumi domestici (retail) di
superalcolici in valore (2006)
Grappa
21%
Altri Grappa
superalcolici Altri superalcolici
79%
RETAIL
Totale superalcolici: 1,1 miliardi di euro
9.3 L’export
170
Figura 9.5 – Export di grappa in quantità (ettanidri, 2001 – 2006)
ettanidri
30000
Grappa imbottigliata
20000 Grappa sfusa
10000
0
2001 2002 2003 2004 2005 2006
(.000 di euro)
10000
0
2001 2002 2003 2004 2005 2006
Molto positive appaiono anche le dinamiche relative al valore (Figura 9.6): in questo
caso, però, è la grappa sfusa a denotare il maggiore incremento, con quasi il 18% in
più rispetto al 2005; la grappa imbottigliata ha messo in evidenza nel corso del 2006
una crescita in valore sui mercati esteri più contenuta e pari al +5,4%. La crescita
complessiva in valore ammonta così al +6,1%.
Se si osservano, infine, i primi dati tendenziali relativi all’annata in corso, si evince n
ulteriore consolidamento della dinamica di crescita 2006 (Tabella 9.4). Nei primi
quattro mesi del 2007, infatti, le esportazioni di grappa in quantità hanno messo in
171
evidenza un incremento complessivo pari al +13,4%, con il prodotto in bottiglia al
+11,8% e il prodotto sfuso al +17% rispetto allo stesso periodo dell’anno
precedente.
Nel corso degli ultimi anni si sono affermati e stanno proseguendo diversi trend
caratterizzanti la segmentazione dell’offerta di grappa, volti a soddisfare sempre di
più le richieste e le aspettative di un consumatore intraprendente e abituato e
sperimentare nuove sensazioni, un consumatore evoluto che non si accontenta più
di una generica grappa che gli viene suggerita dall’esercente di turno, ma che si
muove alla ricerca di nuovi prodotti e nuovi marchi, seguendo le strade battute dai
circuiti enogastronomici.
D’altronde, i produttori sono allo stesso tempo parte attiva e passiva in questo
processo di raffinamento della domanda: se fino a non molti anni fa, ogni distillatore
offriva una gamma abbastanza ristretta di grappe, oggi si assiste ad assortimenti
complessi che alle tradizionali grappe plurivitigno hanno visto aggiungersi non solo
le grappe monovitigno, ma anche prodotti a differenti anni d’invecchiamento,
aromatizzati, a differente packaging e formato oppure prodotti plurivitigno ottenuti
però da mix di vinacce corrispondenti alle composizioni in termini di “uvaggi” di
celeberrimi vini (es: Grappa di Brunello, Grappa di Chianti ecc.)
Al fine di individuare e qualificare i trend più importanti, è possibile effettuare
un’analisi (Tabella 9.5) dei diversi segmenti nell’ambito dei punti vendita della
Grande Distribuzione Organizzata (ipermercati e supermercati).
172
Il primo dato che emerge è che il 93,1% del totale delle vendite in valore è costituito
da grappa normale, sia pluri che monovitigno33, comprendendo in tale insieme
anche la grappa invecchiata.
La grappa plurivitigno, in particolare, costituisce circa il 67,1% del totale
complessivo, mentre la monovitigno ammonta al 25,9%. La grappa aromatizzata,
invece, vale circa il 4,3% sul valore totale, mentre ai liquori a base di grappa
compete il rimanente 2,7% del mercato.
Molto significativo appare anche il dato sui volumi in comparazione a quello sui
valori: le grappe plurivitigno, tendenzialmente le meno innovative dal punto di vista
del gusto, vedono aumentata la propria incidenza sul totale fino al 74,5%, mentre,
viceversa, il peso delle altre tipologie diventa minore.
Ciò denota, intuitivamente, un prezzo medio maggiore del prodotto monovitigno e
delle altre tipologie, il che testimonia probabilmente anche di una maggior capacità
dei prodotti più innovativi di generare valore aggiunto.
Tabella 9.5 – Vendite di grappa per principali tipologie nella GDO (A.T. 7-
200634)
A.T. 7-2006 Valore Volume
%su tot. Var.% annuale %su tot. Var.% annuale
Totale grappe 100,0% +1,0% 100,0% -1,5%
35
Grappe normali 93,1% +0,4% 94,0% -2,1%
di cui: plurivitigno 67,1% -5,0% 74,5% -5,9%
monovitigno 25,9% +17,7% 19,6% +15,7%
Grappe aromatizzate 4,3% +15,6% 3,4% +14,2%
Liquori a base di 2,7% +1,6% 2,4% +1,2%
grappa
Fonte: Elaborazioni Nomisma su dati IRI e Infoscan
33
In tale insieme sono comprese le sole grappe realmente monovitigno, con l’esclusione
quindi di tutte le grappe plurivitigno (es: Grappa di Brunello, di Chianti ecc.) basate sullo
stesso mix in termini di vitigni del vino a cui fanno riferimento.
34
Anno terminante a Luglio 2006.
35
Comprese le grappe invecchiate.
173
le grappe aromatizzate hanno messo in luce una crescita in valore del 15,6%
(+14,2% in volume). Al contrario, il prodotto plurivitgno evidenzia chiari segnali di
crisi (-5% in valore e – 5,9% in volume), crisi che però deve essere interpretata più
come una variazione in atto nei gusti del consumatore piuttosto che un problema del
distillato di vinaccia in quanto tale.
A ulteriore conferma di quanto detto è interessante isolare il discorso sulla sola
grappa normale (Figura 9.7): rispetto al 2005, le grappe monovitigno guadagnano
ben 4 punti percentuale in valore e 3,2 in volume, con una tendenza che, se
continuerà anche nei prossimi anni, potrebbe condurre ad un sostanziale pareggio
in termini d’importanza tre le due tipologie principali.
Considerando che il prodotto monovitigno incontra soprattutto i gusti dei
consumatori più giovani, si tratta certamente di uno scenario plausibile nel lungo
periodo.
100,00%
90,00% 17,60% 20,80%
23,80% 27,80%
80,00%
70,00%
60,00%
Monovitigno
50,00%
Plurivitigno
40,00% 82,40% 79,20%
76,20% 72,20%
30,00%
20,00%
10,00%
0,00%
Valore Valore Volume Volume
A.T. A.T. A.T. A.T.
07/2005 7/2006 7/2005 7/2006
174
Per quanto concerne i formati di vendita, continua a rimanere saldamente in prima
posizione, con il 44,2% delle vendite in valore, il formato tra 0,5l e 0,75l, tra cui
rientra la classica bottiglia di vetro da 0,7l.
Parallelamente prosegue il rapido trend incrementale dei formati compresi tra 0,36 e
0,5 litri, passati dal 16,8% del 2003 al 19,6% del 2006 a scapito soprattutto del
“vecchio” formato da 1 l., che, viceversa, è retrocesso nel periodo osservato dal
31,5% al 28,2% del totale delle vendite in valore della GDO.
Gli altri formati denotano quote marginali, non sottraendosi tuttavia alla dinamica
generale che vede i piccoli formati in crescita (dal 4 al 4,5% il formato sotto gli 0,35
l.) e i grandi formati in declino (dal 3% al 2,8% il formato tra 1,0 l. e 1,5 l., e dallo
0,7% allo 0,6% il formato oltre il litro e mezzo).
Appare evidente come questa crescita d’importanza dei formati più piccoli vada
direttamente a soddisfare la richiesta di differenziazione dei consumatori. Attraverso
i formati più piccoli, essi possono, infatti, sperimentare gusti, sensazioni e prodotti
differenti in archi temporali più limitati.
Prova ne è la grande differenza nella struttura dei formati tra prodotto monovitigno e
prodotto plurivitigno. Le vendite del primo segmento, infatti, appaiono molto più
sbilanciate verso i formati più piccoli: il formato preponderante è quello tra 0,36 e 0,5
l. con il 50,8% del totale, seguito con il 44,2% da quello tra 0,5l e 0,75l, in cui rientra
il classico formato da 0,7l., probabilmente la dimensione più diffusa in assoluto. Al
contrario, nelle grappe plurivitigno si registra una netta maggioranza dei formati
medio-grandi, in particolare quello da 0,5l a 0,75l., con il 42,7% delle vendite, e
quello da 0,76 a 1l, con il 40,6%.
E’ interessante notare, infine, come nel contesto del monovitigno, che, come si è
visto, appare in rapida crescita complessiva, si stia affermando uno spostamento del
formato da 0,36-0,5 l, a quello superiore: è probabile che tale evoluzione sia
sintomo, dopo una fase di intensa sperimentazione da parte dei consumatori-
degustatori, di un consolidamento in quanto a fidelizzazione di alcune tipologie. In
altre parole, il consumatore medio ha cominciato ad acquisire una maggiore
consapevolezza rispetto alle proprie preferenze in termini di vitigni e, di
conseguenza, ha cominciato a selezionare con maggiore decisione formati
superiori.
Un’altra caratteristica che si va ad indagare rispetto ai gusti emergenti dei
consumatori di grappa è la segmentazione delle grappe aromatizzate. Si tratta di
una tipologia che sta guadagnando quote di mercato nel corso degli ultimi anni e
175
che è indirizzata ad un pubblico meno avvezzo ai piaceri della grappa liscia. La
situazione nel 2006 vede una netta prevalenza della grappa aromatizzata alla pera
con il 38,2% del totale delle vendite; segue a distanza la ruta, con il 24,2%, mentre,
dal cospicuo e polverizzato gruppo degli altri gusti, il cui totale ammonta al 31,6%,
emergono pesca (3,5%) e mirtillo (2,9%).
9.5 Introduzione
Con un PIL pro-capite di oltre 20,000 Euro, che la pone tra le prime tre economie
asiatiche, un tasso di crescita del 7% annuo, ed una popolazione di 4,5 milioni di
persone, oltre 10 milioni di turisti che la visitano annualmente, Singapore si
caratterizza come punto di riferimento economico, finanziario e turistico del Sud-Est
asiatico e più in generale dell’Asia meridionale, che va dall’India all’Indocina.
Grazie alla sua decennale reputazione di città verde, ordinata e stabile, in un
periodo di forte crescita dell’economia asiatica, Singapore beneficia di un sempre
maggiore flusso di investimenti stranieri che a sua volta attrae una comunità di
manager espatriati che ha superato ormai il milione di persone. La necessità di
intrattenere questa comunità “ad alto reddito”, insieme alla crescita economica del
Paese ed alla sua internazionalizzazione culturale, ha portato la Città Stato a
posizionarsi sempre più in alto, sviluppando importanti progetti nel settore turistico,
sportivo e dell’intrattenimento in generale; che si concretizzeranno con l’apertura di
due resort integrati nel 2009-2010, lo svolgimento del Gran Premio a partire dal
2008 e le Olimpiadi giovanili nel 2010, l’apertura di tre shopping mall del lusso fra il
2009 e il 2011, e altre iniziative di carattere culturale.
In tale contesto il settore della ristorazione riceve naturalmente notevoli benefici, e
questo vale soprattutto per la cucina italiana, che anche a Singapore si è affermata
come cucina internazionale per antonomasia. L’apprezzamento per la cucina
italiana trascina anche un proprio indotto e quindi l’importazione di prodotti, vini e
ingredienti di origine italiana. A oggi si contano circa 140 ristoranti italiani (di cui i più
prestigiosi spesso all’interno dei numerosi hotel di lusso frequentati da uomini
d’affari, turisti ma anche dai residenti in base a una tradizione molto radicata), senza
contare i ristoranti internazionali che spesso propongono piatti italiani. Per
176
accontentare la crescente domanda di prodotti italiani, le principali catene di retail
alimentare di medio-alto livello quali Carrefour, Fair Price, Market Place e Cold
Storage sempre più si indirizzano alle fasce alte della clientela proponendo prodotti
tipici e una gamma di vini sempre più estesa. Accanto a tali catene nascono con
sempre maggiore frequenza punti vendita, talvolta indipendenti, specializzati nella
vendita di prodotti tipici italiani quali Jones, La Fromagerie, the Swiss Butcher, che
sono diventati veri e propri marchi locali frequentati dalla comunità internazionale.
A monte naturalmente i maggiori importatori e distributori si adeguano a questa
tendenza e, nello sforzo costante di aggiungere valore alla loro offerta, ampliano la
loro gamma di prodotti cercando di differenziarsi dai concorrenti.
Come già detto, tutte le merci imponibili importate o prodotte a Singapore sono
soggette ad un dazio doganale e/o ad un dazio di accisa conformemente alla
nomenclatura del decreto di Singapore relativo ai dazi doganali. Le grandi categorie
di merci imponibili a Singapore sono le seguenti: bevande alcoliche, prodotti del
tabacco, autoveicoli e prodotti petroliferi.
Quando le merci sono imponibili, si applicano i dazi ad valorem o specifici. Un dazio
ad valorem equivale ad una percentuale del valore imponibile delle merci, per
esempio 20% ad valorem. Un dazio specifico corrispondente ad un ammontare
specificato per unità di peso o per un altro quantitativo, per esempio $ 293,00/kg.
36
Pubblicazione dell’Ufficio internazionale delle tariffe doganali (Bureau International des
Tarifs Douaniers - B.I.T.D.).
177
soffermeremo solo sui prodotti alcolici (si può consultare l’intero Bollettino dal sito
http://www.bitd.org ).
178
179
9.7 L’import
180
Tabella 9.7 – Quantità di alcolici distribuiti a pagamento d’imposta avvenuto
(decaL)
2006 2007 Apr Mag Giu Lug Ago Sett
2008 2008 2008 2008 2008 2008
Stout & 661,831 687,784 48,982 56,469 61,991 64,414 46,966 68,675
Porter
Si può notare come il consumo di birra prevalga su tutte le altre bevande. Questo
può dipendere sia da gusti personali, sia dal tipo di clima che, essendo tropicale,
porterà al maggior consumo di bevande fresche e dissetanti piuttosto che di Brandy
o Grappa, sia dalla provenienza culturale. A Singapore convivono differenti
connotazioni di carattere culturale, religioso, linguistico, economico ed
etnico.
181
9.8 I consumi interni
Figura 9.8 – Andamento del consumo personale di bevande alcoliche dal 1961
al 2001 (persone con più di 15 anni)
Fonte: FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), World Drink
Trends 2003
Astemi:
L’analisi ha rilevato come il 59,5% (del totale), tra cui il 46.6% dei maschi e il 72,4%
delle femmine siano astemi. Solo il 2,6% del totale, tra cui 4,3% maschi e 0,8%
femmine sono bevitori regolari. Per bevitori regolari si intendono tutti coloro che
bevono almeno 4 giorni a settimana o più.
182
la porzione di adulti maschi e femmine che sono stati o erano astemi, l’anno prima
dell’analisi, era pari al 74% per i maschi e 96% per le donne, quindi si può capire
come gli astemi siano in netta diminuzione ogni anno.
Dipendenti dall’alcohol:
Rappresentano lo 0,6% del totale, l’1,1% maschie e lo 0,2% femmine.
183
Figura 9.9 – Distribuzione della spesa totale dei visitatori, anno 2006
Nel 2006 la spesa dei turisti nel settore del f&b è stata di oltre un miliardo di $S, gli
esercenti operanti nel medesimo settore hanno emesso fattura per oltre 4,173
milioni di $S; gli stabilimenti e le aziende avviate hanno superato le 4000 unità e gli
operatori impiegati nel settore sono oltre 68000. Come si può capire dai dati, il
settore del food & beverages è un settore che attrae elevati investimenti e numerosi
capitali.
184
presenza di porti franchi (vedi cap.7) in cui le merci potranno essere depositate
liberamente per poi essere trasportate in altri paesi (l’imposta sui prodotti viene
pagata solo quando il prodotto è stato immesso nel mercato singaporeano) e dalla
sua posizione centrale rispetto a tutti gli altri paesi asiatici.
In massimo sette ore da Singapore si accede ad un’area con più di 2,8 miliardi di
persone e questo può costituire un’ideale punto di partenza per riuscire a distribuire
e commercializzare i propri prodotti in tutto il sud-est asiatico.
185
186
CAPITOLO 10
10.1 Introduzione
Nel corso degli ultimi vent’anni sono cambiate molte cose: la qualità della
vita si è evoluta e così pure la necessità dei consumatori. Il gusto della
clientela di oggi è, infatti, diverso dal gusto della clientela dei tempi in cui si
beveva la Grappa per riscaldarsi, per nutrirsi, per soddisfare il fabbisogno
energetico necessario a superare la fatica del lavoro nei campi. Oggigiorno
la maggior parte della popolazione non esercita più lavori fisicamente
logoranti, spesso mangia e beve in eccesso e dunque la Grappa sembra
perdere la sua primaria funzione d’uso. E, in effetti, oggi la Grappa ha senso
di esistere solo se è buona, se sa offrire delle gradevoli sensazioni
organolettiche, se dà piacere e quindi se rappresenta uno dei sottili piaceri
che migliorano la qualità della vita.
Queste sono state le motivazioni che hanno spinto l’attuale generazione
187
della famiglia Poli, e in modo particolare Jacopo Poli, responsabile della
distillazione e della parte commerciale dell’azienda, a produrre una Grappa
diversa, meno rude ed aggressiva rispetto a quella passata, più raffinata e
più armonica, in linea con le mutate esigenze del consumatore moderno.
Nel 1983 la Distilleria si trovava in una fase di declino, occorreva quindi
rivitalizzare l’azienda innestando una nuovo ciclo di vita. La strategia per
fare ciò, dopo un’accurata analisi della concorrenza e delle potenzialità
produttive dell’azienda, prevedeva il riposizionamento della Poli in una
fascia alta del mercato in una nicchia che si può definire di “artigianato
colto”.
188
gestione delle consegne e delle fatturazioni e di tutti quegli elementi che,
nel corso del tempo, per un’azienda costituiscono una garanzia
d’affidabilità.
- Aumento della notorietà. La strada intrapresa dalla Poli nell’ambito
dell’informazione/comunicazione, non potendo attuare investimenti
miliardari in campagne pubblicitarie rivolte direttamente al consumatore,
decide di operare sul trade (enoteche e ristoranti) convincendolo a
consigliare i prodotti Poli ai clienti, i quali, una volta apprezzati i distillati,
a loro turno li richiederanno al trade che ancora si rivolgerà all’azienda
per un’ulteriore fornitura. L’azienda si rivolge al trade mediante una
periodica attività di mailing. Questa attività consiste in comunicazioni a
puro scopo informativo dal momento che l’attività commerciale è
strettamente seguita dalla società distributrice Meregalli.
La Distilleria Poli ha comunque modo di dedicarsi al consumatore
organizzando visite dirette in azienda. Si tratta di un’occasione
importante per far conoscere alla potenziale clientela, la qualità che
contraddistingue anche le persone e i mezzi da cui hanno origine i
preziosi distillati.
Pertanto dal 1983, cioè da quando Jacopo Poli e i fratelli sono subentrati al
padre nella conduzione aziendale, si
procede per una rinascita della Distilleria.
E per prima cosa si applicano delle nuove
tecniche di distillazione in grado di creare
dei prodotti che meglio rispondano al
gusto sociale in continuo cambiamento.
Ha così inizio un processo creativo che in
cinque anni, dal 1983 al 1988, progetta e
lancia dodici nuovi distillati. Viene inoltre
modificata l’immagine del prodotto,
proponendo sul mercato bottiglie dalla forma elegante e in vetro fine, in
grado di attrarre anche i consumatori più raffinati.
La capacità di intuire la metamorfosi del consumatore, spinge
l’intraprendenza imprenditoriale di Jacopo Poli ad apportare miglioramenti al
prodotto e soprattutto alla capacità di vendita attraverso un rinnovamento
189
dell’immagine commerciale della Grappa. Egli ritiene estremamente
importante far capire che la sua Grappa si è evoluta
contemporaneamente ai gusti e alle esigenze del
nuovo consumatore. Jacopo Poli, quindi, punta
sull’interazione del binomio qualità, da sempre
prerogativa della Distilleria e immagine, rivisitata
attraverso la creazione di nuove raffinate bottiglie e,
dunque, attraverso una serie di messaggi a livello
estetico che permettono al consumatore, mediante la
valutazione visiva, di immaginare il rinnovamento del
contenuto. E quanto più il contenuto sarà raffinato
corrispondendo all’aspetto visivo, tanto più il
consumatore sarà portato a ripetere la scelta del
distillato.
Il nuovo corso aziendale ha lanciato un gruppo di prodotti che si possono
definire “consolidati”. Questo significa che l’azienda, proprio perché tali
prodotti soddisfano pienamente i gusti della clientela,
ritiene opportuno non modificarli e senz’altro non
eliminarli in futuro. Perciò la nuova filosofia aziendale
è orientata a proporre sul mercato un gruppo, anche
se ben definito, di prodotti apprezzati dai clienti,
piuttosto che ad una continua trasformazione o
espansione del portafoglio prodotti che potrebbe
solamente confondere il potenziale acquirente.
Comunque va detto che dal 1988 ad oggi, il processo
creativo della Distilleria Poli non si è bloccato, anzi è
proseguito con altri prodotti, con una media di uno
ogni due anni.
Attualmente sta per essere lanciato di un nuovo prodotto su cui si sta
lavorando da circa cinque anni: Poli Torcolato Barrique.
La lunga “gestazione” dei prodotti è dovuta, generalmente, sia all’attenta
analisi del mercato e cioè alla verifica dell’effettiva richiesta di un ben
determinato prodotto da parte della clientela, sia alla concreta possibilità di
reperire la materia prima in modo continuativo.
190
10.3 Politica produttiva dell’azienda
I distillati Poli traggono la loro identità da due diversi fattori che si intende
coniugare:
- sistema produttivo nella più ferrea tradizione;
- distillati affini al gusto sociale che continuamente si evolve, e che ora
richiede una maggiore gentilezza ed eleganza organolettica.
Questo difficile equilibrio viene ricercato mediante una rigida selezione della
materia prima e un’attenta distillazione della stessa; a questo proposito, viene
posta particolare cura nella eliminazione di quei componenti dell’aroma della
Grappa il cui eccesso l’ha resa storicamente pesante e ruvida, con l’obiettivo
di ottenere delle grappe dalla raffinata armonia di carattere ed eleganza.
Per quanto riguarda la materia prima, essa deve essere di ottima qualità e
cioè possedere due requisiti fondamentali: freschezza e perfetto stato di
sanità. La distillazione della vinaccia fresca, quindi, consente di creare
un’acquavite di alta qualità, in cui risaltano pienamente gli aromi e i profumi
dell’uva, mantenendo anche inalterata la tipicità del vitigno.
La vinaccia, la buccia dell’uva, è una materia prima solida, spugnosa e molto
delicata: infatti, qualche ora dopo che è stata separata dal vino, il contatto
con l’aria ne provoca l’ossidazione con conseguente perdita di aromi e
profumi. Purtroppo le vinacce arrivano in grande quantità in un periodo molto
corto, quello della vendemmia, e quasi sempre le distillerie non sono in grado
di distillarle subito e perciò sono costrette a ricorrere alla deleteria pratica
dell’insilamento (per un periodo più o meno lungo: da pochi giorni ad alcuni
mesi, per cui i processi di distillazione, a volte, si protraggono fino ad aprile),
in attesa di poterle successivamente distillare. Questa pratica di stoccaggio
della vinaccia provoca gravi alterazioni microbiologiche ai danni della materia
prima e di conseguenza difetti organolettici nella Grappa.
Nel 1983 la nuova gestione aziendale decise di risolvere il problema della
freschezza della vinaccia molto semplicemente, sulla base della seguente
considerazione: se la capacità produttiva è di soli 200 quintali di vinaccia al
giorno, se ne raccoglieranno solamente 200, anche se il mercato ne
offrirebbe molti di più. Pur essendo un’analisi piuttosto semplice, a livello
pratico costringe l’azienda a ridurre la produzione. Infatti, distillando vinaccia
191
fresca nel solo periodo della vendemmia si può ottenere una quantità globale
di Grappa limitata e, per questo motivo molte volte la Distilleria non è in grado
si soddisfare la domanda della clientela.
L’attuale produzione complessiva è cinque volte inferiore rispetto a quella
ottenuta al tempo del fondatore dell’azienda, ma il successo commerciale
riscontrato, fa si che l’azienda prosegua con la sua nuova filosofia, orientata
verso la massima qualità del prodotto piuttosto che ad una sua espansione
quantitativa sul mercato. Con questa concezione la Poli contribuisce a
cambiare l’immagine della Grappa in Italia e nel Mondo, infatti la “ missione
aziendale ” è proprio quella di riscattare l’immagine della Grappa facendone
un prodotto “prezioso ” di levatura internazionale, un simbolo dell’Italia, così
come il Cognac lo è per la Francia e il Whisky per il Regno Unito.
ZONA VITIGNO
Cabernet, Merlot, Pinot Nero,
Breganze (VI) Vespaiolo, Torcola-to (vino passito da
uve Vespaiolo e Tocai)
192
Cabernet, Merlot, Raboso
Piave (TV)
Presso l’azienda Poli si utilizza uno tra i più antichi alambicchi esistenti e
193
rimasti in funzione. L’alambicco è composto da caldaiette a vapore,
completamente in rame, che lavorano a ciclo discontinuo. La vinaccia,
senza aggiunta di acqua, viene caricata su cestelli all’interno della
caldaietta dove viene immesso vapore, e quindi distillata. Si ottiene in tal
modo la cosiddetta “ cotta ”. Dopo circa tre ore, esaurita la materia prima, le
caldaiette vengono scaricate e successivamente riempite di nuovo (per
questo viene definito a ciclo discontinuo) con vinaccia fresca, pronta per
un’altra cotta.
Si tratta di un alambicco artigianale (Fig. 10.2) adatto a distillare solamente
piccole quantità e che richiede molto tempo, ma senza dubbio è quanto di
meglio esista se si considera la qualità del distillato che si riesce ad
ottenere.
194
distillazione industriali completamente automatici che in una sola giornata
possono distillare ingenti quantitativi di vinaccia - circa 300.000 kg – e
soprattutto, permettono di risparmiare sui costi di manodopera.
Alla Poli invece, nel rispetto di un rigore produttivo rivolto alla produzione
della migliore qualità possibile, si preferisce ancora utilizzare questo
sistema di distillazione tradizionale, il quale, se da un lato può lavorare
solamente circa 20.000 kg di vinaccia al giorno, ossia 15 volte di meno
rispetto agli impianti industriali, dall’altro è garanzia di successo ormai da
molti anni.
L’utilizzo di un impianto industriale o artigianale è uno dei fattori che
spiegano il motivo per cui ci sono grappe che costano poco e grappe che
valgono molto.
Dunque i maggiori costi di produzione degli impianti artigianali sono
compensati da una migliore qualità, ed è per questo motivo che la famiglia
Poli ha voluto rimanere fedele allo stesso storico alambicco, pur gestendolo
con uno stile produttivo diverso, al fine di ottenere un distillato più adatto al
gusto sociale di oggi.
E’ interessante notare come dei 123 alambicchi complessivamente operanti
in Italia per la distillazione della vinaccia, 34 siano industriali e 89
artigianali. Questi ultimi tuttavia, a causa della limitata capacità di
distillazione giornaliera, producono appena il 18% della Grappa venduta in
Italia, mentre l’82% è prodotto dai grandi impianti industriali.
Il processo di distillazione viene seguito direttamente da Jacopo Poli che
funge da mastro distillatore e, quindi, rappresenta l’artefice principale della
Grappa. Il suo “decisivo” intervento consiste nel separare il cuore del
distillato, dalla parte di testa (iniziale) e di coda (finale) che vanno scartate
perché costituiscono impurità, che determinerebbero un’acquavite con
caratteristiche organolettiche indesiderate e dunque di livello meno pregiato.
Quindi, poiché la vinaccia oltre ad acqua e alcol, contiene numerosissime
altre sostanze volatili che, se passano nella Grappa in quantità modeste, le
conferiscono tipicità e finezza, mentre se superano un certo limite, la
deprezzano irrimediabilmente o la rendono addirittura fisiologicamente
dannosa, è necessario procedere ad una separazione delle sostanze volatili
di pregio da quelle vili tramite la rettificazione.
Negli impianti industriali, la rettificazione avviene in modo continuo, mentre
195
nella pratica artigianale si esegue invece dividendo la Grappa, in fase di
distillazione, nelle tre frazioni, sopra citate: teste, cuore, code 37.
Il cosiddetto “taglio della testa e della coda”, effettuato in una parte
dell’alambicco chiamata “campana di saggio”, avviene per mezzo di una
serie di valvole che consentono al mastro distillatore, grazie alla sua
sapiente manovra di apertura e di chiusura, di deviare il distillato al
momento opportuno in diversi recipienti di raccolta. Si tratta di un compito
molto delicato, probabilmente il più importante del processo produttivo e può
essere svolto solamente dal distillatore dotato di particolare sensibilità e
grande esperienza.
Una volta ottenuto il distillato grezzo, si procede con la sua riduzione di
grado, la refrigerazione e la filtrazione. Successivamente si prosegue con
l’imbottigliamento del distillato trasformato che è dunque pronto per la
spedizione e la vendita.
Mantenendo ferma la scelta di utilizzare l’impianto artigianale, alla Poli si stanno
attuando una serie di ricerche per individuare delle nuove procedure di distillazione
che siano in grado di fornire prodotti ancora migliori. La sperimentazione avviene
direttamente in azienda, attraverso alcune prove pratiche in relazione all’utilizzo di
37
TESTE: sono per lo più formate dalle sostanze volatili che hanno un punto di ebollizione
inferiore a quello dell’alcol etilico, ma anche da altre (alcoli superiori ed esteri) che formano
fra loro delle miscele che distillano a basso punto di ebollizione. Nella distillazione
discontinua rappresentano la prima frazione di liquido che esce dal refrigerante. Con
un’esatta separazione della frazione di testa, sacrificando un po’ di alcol etilico, si elimina
parte dell’acetato di etile, che nei distillati è il maggiore responsabile dell’odore acetoso. Lo
scarto di appena 4°C tra la temperatura di ebollizi one dell’acetato di etile e quella dell’alcol
etilico, spiega come siano così frequenti i distillati con odore acetoso e quanta importanza
abbia evitare le fermentazioni acetiche delle vinacce.
CUORE o CORPO: comprende la parte finale positiva della “frazione di testa” che contiene
molti aromi fruttati; la parte a gradazione alcolica maggiore della distillazione, che contiene
disciolti soprattutto alcoli alquanto inifluenti sotto il profilo aromatico; la parte iniziale della
“frazione di coda” ove passano ancora altre impurità nobili, residue di quelle non passate
all’inizio della distillazione e favorite da una diversa condizione di temperatura. Se le vinacce
non hanno subito alterazioni, questi composti sono presenti in quantità limitata e non
nuocciono alla Grappa, anzi raprresentano parte del suo bagaglio tipico.
CODE: sono prevalentemente composte dai costituenti volatili che bollono a temperature
relativamente maggiori. Sono prevalentemente costituite da acidi. Gli acidi, in particolare
l’acido acetico che conferisce un sapore pungente alla Grappa ed eventualmente l’acido
butirrico, devono essere separati con molta attenzione perché riescon ad arrivare nel
distillato passando soprattutto in testa e in coda anche se nessuno di essi ha un punto di
ebollizione ai 100°C.
Fonte: “Grappa: Analisi sensoriale & tecnologia”; L. Odello, Ed. Centro Studi e Formazione
Assaggiatori (1997).
196
enzimi di fermentazione38 e lieviti selezionati, alla variazione della temperatura di
fermentazione della vinaccia e allo studio del suo PH. La ricerca richiede molto
tempo, infatti ogni fattore, nell’ambito della procedura di distillazione, va studiato
singolarmente affinché si possa stabilire con precisione gli effetti ottenuti.
38
Si tratta di sostanze che, agendo sulla struttura molecolare della buccia dell’uva,
consentono di ricavare dalla vinaccia dei particolari aromi che migliorano il distillato dal
punto di vista organolettico e che normalmente non si sviluppano.
197
Da sempre, infatti, la Grappa viene vissuta come un prodotto da omaggiare a fine
pasto. Dal punto di vista del marketing un prodotto regalato di per sé non ha valore
e questo significa che il ristoratore, acquistando l’acquavite, è consapevole della
perdita economica che subirà regalando il distillato. Dato ciò, cercherà di acquistare
una Grappa conveniente e quindi spesso di bassa qualità. Purtroppo, questo
atteggiamento non fa altro che maltrattare ulteriormente l’immagine di un prodotto
tipico che, con la fatica e la serietà di alcuni distillatori accreditati, cerca di riproporsi
sul mercato come rinnovato.
Per quanto attiene alla “qualità percepita”, l’esigenza di utilizzare delle nuove
bottiglie è scaturita da una specifica richiesta della clientela: nel 1986 il nuovo stile
produttivo della Poli aveva già dato modo di ottenere grappe dal ricercato equilibrio
di carattere ed eleganza. Tali Grappe erano confezionate inizialmente in normali
bottiglie di stile bordolese e questo impediva ai consumatori di riconoscere la
differenza qualitativa del contenuto, essendo il contenitore simile a quello utilizzato
per la maggior parte delle grappe allora in commercio. Erano i ristoratori e i
proprietari di enoteche che suggerivano al consumatore le Grappe Poli e furono
sempre loro a chiedere a Jacopo Poli di escogitare un modo per far percepire al
cliente la qualità del contenuto fin dal primo approccio visivo. Fu così ideata una
linea di bottiglie la cui leggerezza ed eleganza era indicatrice delle caratteristiche
organolettiche del prodotto stesso. Tale linea, costituita da 4 distillati e rimasta
identica a distanza di 20 anni è considerata un classico nel mondo dei superalcolici.
Molte sono state le imitazioni da parte di chi vedeva nella sola scelta estetica il
segreto del successo commerciale di questi prodotti. Va detto invece che Poli
considera l’imballo della Grappa solo uno dei passi che la portano dal vigneto alle
labbra del cliente. E’ fondamentale innanzitutto, avere chiaro in testa un modello di
qualità in funzione del tipo di cliente a cui ci si vuole rivolgere; di conseguenza
occorre stabilire da quale zona raccogliere la vinaccia, da quali varietà di uva, da
quali produttore e da quali vigneti; bisogna poi opportunamente tarare lo stile e la
tecnica di produzione e, una volta ottenuto il distillato, decidere quali canali
distributivi utilizzare per arrivare al target di clientela che ci si è prefissi, fissare il
prezzo del prodotto, prevederne la promozione, ecc.
Ovviamente non va trascurato il packaging, senza tuttavia pensare che esso
rappresenti l’aspetto determinante per il successo del prodotto. Al contrario, se esso
non viene concepito in modo coerente con tutti gli aspetti che compongono il
198
progetto globale produttivo, il mero ricorso alla bella confezione si può rivelare un
boomerang.
Risulta evidente che la questione “qualità” è un aspetto cruciale per il “bene” Grappa
e, infatti, come sopra detto, tale prodotto è oggetto, oramai da alcuni anni, di un
necessario e profondo rinnovamento.
Un altro importante aspetto da evidenziare riguarda le normative igieniche relative ai
prodotti alimentari. Il consumatore moderno, sempre più tutelato a livello legislativo
da parte dell'Istituzione pubblica, cerca e pretende dai beni destinati al consumo
alimentare la SICUREZZA igienico-sanitaria. Sotto questo punto di vista il
consumatore vuole certezze relativamente alla propria salute e quella dei propri cari.
In questo contesto si inserisce la Direttiva n° 43 sull'Igiene dei prodotti alimentari
emanata dalla Comunità Europea nel 1993; tale documento introduce per la prima
volta l'H.A.C.C.P. (Hazard Analysis and Critical Control Point) come metodo
razionale e preventivo finalizzato a garantire i requisiti igienico-sanitari dei beni
destinati all'alimentazione umana.
Per quanto riguarda la Distilleria Poli, la direzione aziendale ha implementato da
due anni il piano HACCP ritenendo che questo strumento di prevenzione, oltre ad
aver accelerato alcuni interventi strutturali, abbia contribuito a rendere più efficiente
l’azienda stessa.
Fino alla prima metà degli anni ’80, la Distilleria Poli, non dispone di una capillare
rete di vendita, dunque si limita a commercializzare i propri distillati ad una ristretta
cerchia di clienti della realtà vicentina e limitrofa. A livello di mercato nazionale è
dunque inesistente.
I punti deboli dell’azienda, nonostante una valida competenza produttiva e dei
prodotti qualitativamente buoni, oltre alla distribuzione strettamente locale sono:
scarsa cultura imprenditoriale, limitata capacità produttiva, prezzo al di sopra della
media, rispetto a prodotti analoghi, dovuto al particolare sistema di distillazione e
una comunicazione pressochè inesistente.
A partire dal 1983, con la nuova gestione aziendale, alla Poli inizia un processo di
rivitalizzazione che la condurrà, mediante il lancio di una rinnovata linea di prodotti,
ad una espansione, sia sul mercato italiano, sia, successivamente, su quello estero.
199
Anche ciò che può rappresentare uno “svantaggio competitivo”, come l’impianto di
distillazione di antica concezione, viene trasformato in un punto di forza e di
originalità aziendale. Infatti, l’alambicco utilizzato, nonostante rappresenti un limite
alla capacità produttiva, fornisce un distillato di qualità superiore rispetto a quello
ottenuto con impianti di maggiori dimensioni, ed ha sollecitato, perlomeno all’inizio
del rilancio aziendale, una frenetica ricerca dei prodotti Poli, ancora più richiesti
perché somministrati in “dosi contenute”. Chiaramente questo aspetto ha
comportato dei contraccolpi a livello produttivo e ci sono voluti alcuni anni per poter
stabilire un corretto equilibrio fra le richieste del mercato e le limitate capacità
produttive.
La rinnovata gestione, dotata di maggiori competenze tecniche e soprattutto di
migliore preparazione culturale e imprenditoriale, in circa quindici anni è riuscita a
riposizionare l’azienda in una fascia alta del mercato, in una nicchia definibile di
“artigianato colto”. Questo è stato possibile, grazie anche all’espansione degli
orizzonti distributivi aziendali. Infatti, nel 1987, Jacopo Poli, stipula un importante
accordo con una grossa società distributrice, la Meregalli Giuseppe Srl, che è
esclusivista per l’Italia di alcuni marchi internazionali di grande rilievo nell’ambito del
beverage, tra cui: Antica Fratta - Franciacorta, Argiano - Toscana, Argiolas -
Sardegna, Beringer - California, Bollinger - Champagne, Chateau D’Haurets -
Bordeaux, Chateau De Malle - Sauternes, Conti Maniago - Friuli, Fillioux - Cognac,
Florio - Sicilia, Gal Tibor - Ungheria, Gordon & MacPhail - Scozia, Gran Duque
D’Alba - Spagna, Heritiers Clement - Martinique, Marchesi di Barolo - Piemonte,
Nino Franco - Veneto, Pieve S. Sigismondo – Friuli / Toscana, Sassicaia S. Guido -
Toscana, Speri - Veneto, Vinattieri – Ticino / Svizzera e molti altri.
In poco tempo, l’handicap di una distribuzione locale viene superato e i prodotti Poli
presenti nella prestigiosa vetrina Meregalli, vengono diffusi presso la fascia alta
della clientela, attraverso dei canali distributivi specializzati come la ristorazione e le
enoteche. Attualmente la rete di vendita, che copre l’intero territorio nazionale, è
costituita da circa 100 agenti coordinati dalla società distributrice Meregalli.
Pertanto, dall’inizio del nuovo ciclo di vita aziendale, il fatturato ricavato dal mercato
italiano è andato via via crescendo, come dimostra il grafico seguente, fino a
raggiungere i 9 milioni di euro attuali, pari a circa il 65% del fatturato totale annuo.
200
Figura 10.3 – Trend delle vendite in Italia
201
Figura 10.5 – Canali di vendita
202
2000 3446
2001 3958
2002 4430
2003 4595
2004 4900
2005 5053
203
Il mercato italiano di superalcolici si presenta, ormai da anni, con un trend
decrescente. Tuttavia va evidenziato che «la domanda extra-domestica della
famiglia italiana di “prodotti alimentari”, che da anni risulta in forte crescita, coinvolge
direttamente anche il settore liquoristico e dei superalcolici in esame e, soprattutto
quelle bevande che hanno acquisito una forza di immagine trendy tra i giovani.
L’osservatorio Federvini evidenzia appunto, che dalla metà degli anni ottanta la
quota di consumi fuori casa di liquori e superalcolici è in sensibile aumento»39.
Quindi, tornando al caso Poli, la scelta di riposizionarsi sul mercato, spostandosi
dalla distribuzione di massa e concentrandosi su quella specializzata dell’alta
ristorazione e delle enoteche, risulta oggi più che mai positiva in quanto in sintonia
con il “nuovo stile” dei consumi di alcolici (moderato, più raffinato e alla ricerca della
qualità), orientato fuori dalle mura domestiche.
La Distilleria Poli è presente sul mercato nazionale con 4 tipi di distillati, che si
articolano nei seguenti prodotti:
- Distillato di vinaccia, Torcolato, Vespaiolo, Sarpa di Poli, PO’ di Poli
- Distillato d’uva, Moscato, UvaViva di Poli
- Distillato di vino, Arzente, Brandy Italiano di Poli
- Distillato di frutta, ciliegie, pere, lamponi.
Per quanto attiene alla concorrenza, solamente Distilleria Nonino (Udine), nella
specifica nicchia di mercato dell’alta ristorazione, può essere considerata come
concorrente. Questo almeno fino a qualche anno fa. La Distilleria Poli e la Distilleria
Nonino, sono state spesso comparate per motivi riguardanti la somigliante storia
aziendale, la simile tecnica produttiva, l’attenzione per il packaging e per le esigenze
della clientela e, per l’identico segmento di mercato servito. Il rapporto di
concorrenza, pur sempre basato su rapporti di stima, che per anni ha visto la Poli
inseguire la Nonino, da alcuni anni sta perdendo di significato. L’azienda friulana,
infatti, ha deciso di entrare in maniera massiccia nella grande distribuzione,
capitalizzando l’immagine creatasi e quegli sforzi fatti, nel corso degli anni, per
riuscire ad inserirsi nell’alta ristorazione. Nonino oggi è un’azienda industrializzata
che punta alla diffusione quantitativa dei suoi prodotti e all’ acquisizione di maggiore
notorietà.
39
Fonte: Superalcolici sempre meno amati. Tratto da Il Sole24Ore-Rapporti del 31/03/2000.
204
La Distilleria Poli, d’altro canto, rimane ancora oggi fedele al suo stile produttivo,
fondato su di una struttura aziendale di tipo artigianale e rivolta ad un mercato
specializzato.
La famiglia Poli ha ottenuto un distillato diverso da quello prodotto fino ad allora, più
elegante e raffinato, meno aggressivo, più adatto al gusto del consumatore
moderno. Quindi, grazie alla rete di ristoratori italiani all’estero, la nuova Grappa è
stata proposta, con notevole successo, ad una clientela internazionale. Il canale
principale per la diffusione dei distillati Poli all’estero è infatti la gastronomia: la
ristorazione italiana ha fatto conoscere al mondo non solo i tradizionali piatti italiani
e quelli della dieta mediterranea, ma anche tutti i prodotti di pregio provenienti
dall’Italia. Anche i negozi di specialità alimentari esteri si stanno sempre più
interessando alla Grappa, specialmente per soddisfare le richieste di clienti che
magari l’avevano degustata in Italia durante una vacanza.
Fra gli obiettivi dell’azienda Poli rientra la diffusione della conoscenza della Grappa,
non solo presso la ristorazione italiana, ma presso ogni tipo di ristorazione
internazionale al pari dei migliori whisky e cognac, pertanto, ancora una volta
205
bisogna ribadire l’importanza della qualità del prodotto, al fine di non deludere il
consumatore.
La Distilleria Poli raggiunge molti importanti paesi del continente europeo, tra cui
Germania, Svizzera, Austria, Francia, Gran Bretagna, Norvegia, Spagna,
Andorra, Danimarca, Estonia, Turchia, Grecia, Ungheria, Olanda, Belgio,
Lussemburgo, Svezia, Finlandia, Islanda, Cipro, Portogallo, Ucraina, Russia,
Polonia, Rep. Ceca.
Mentre per quanto riguarda i paesi extraeuropei, l’azienda esporta negli Stati Uniti,
dove è l’azienda leader del mercato, in Canada, Bermuda, Brasile, Venezuela,
Messico, Guatemala, Perù, Argentina, Hong Kong, Corea, Cina, Giappone,
Tailandia, Malesia, Singapore, Taiwan, Australia e Nuova Zelanda.
La politica di esportazione, avviata una ventina di anni fa, rappresenta oggi per la
Distilleria Poli il 20% del fatturato totale. Come dimostra il grafico a pagina
successiva, nel 2005, le vendite per area hanno assunto le seguenti percentuali:
80% Italia, 13% Europa, 6% Nord America (USA + Canada), 0.2% Sud America,
0.1% Asia, 0.01% Australia.
206
Il grafico seguente (vedi anche Tab. 10.4), invece, illustra la ripartizione percentuale
delle esportazioni a partire dal 1989, anno in cui la Distilleria Poli inizia una vera e
propria politica commerciale estera.
207
Tabella 10.4 – Ripartizione % vendite all’estero
Anno inizio Europa Nord Asia Australia Sud
Esportazioni (escl. Italia) America America
1989 5%
1990 10% 10%
1991 15% 4% 0.2%
1992 16% 5% 0.2%
1993 26% 2% 0.9% 0.03%
1994 19% 6% 0.8% 0.03%
1995 17% 10% 1.1% 0.03% 0.9%
1996 21% 7% 0.1% 0.04% 1.5%
1997 22% 10% 0.5% 0.03% 1.5%
1998 23% 8% 0.8% 0.04% 1.5%
1999 22% 11% 0.8% 0.05% 1.2%
2000 19% 7,9% 0,4% 0,14% 0,07%
2001 13% 6,7% 2,3% 0,00% 0,09%
2002 12% 3,3% 1,6% 0,00% 0,15%
2003 12% 4,3% 0,9% 0,07% 0,19%
2004 12% 5,6% 0,7% 0,09% 0,25%
2005 13% 5,8% 0,8% 0,01% 0,19%
Fonte: Poli Distillerie
Nei grafici seguenti sono illustrati in dettaglio la ripartizione % delle vendite nei
diversi mercati a partire dal 1989:
208
Figura 10.8 – Ripartizione delle vendite nel mercato Europeo
209
Figura 10.11 – Ripartizione delle vendite nel mercato Australiano
Nei grafici seguenti sono illustrati in dettaglio l’andamento % delle vendite nei diversi
mercati fatto 100 il primo anno di esportazione:
210
Figura 10.13 – Ripartizione delle vendite nel mercato Europeo
211
Figura 10.16 – Ripartizione delle vendite nel mercato Australiano
In ognuno di questi paesi esteri, come pure in Italia, l’azienda si avvale di importatori
- distributori che si rivolgono alla ristorazione qualificata, alle enoteche specializzate
e ai negozi di specialità alimentari.
Nella tabella seguente vengono riportati, per ciascuno Stato, i nomi degli importatori
/ distributori dei prodotti Poli.
212
NEGOCIANTS AUSTRALIA AUSTRALIA
ALOIS MORANDELL & SOHN GMBH AUSTRIA
DEL FABRO AUSTRIA
WEIN & CO. Handelsges.m.b.H AUSTRIA
CLUB VINITALY BELGIO
SELEZIONE VINI ITALIANI BELGIO
LICATA VINI nv-sa BELGIO
GOSLING BROTHERS LTD BERMUDA
EXPAND GROUP BRASIL S/A BRASILE
MAJESTIC WINES CELLARS INC. CANADA
MONTALVIN INC. CANADA
RENAISSANCE WINE & SPIRIT CANADA
WHITEHALL AGENCIES INC. CANADA
FINE VINTAGE (Far East) Ltd. CHINA
MONTROSE INTERNATIONAL CORP. CHINA
CORPORATION VINIFERA COSTARICA
EXES TRADING LTD CYPRUS
PHILIPSON WINE DANIMARCA
BALEN LTD. - CONNOISSEUR ESTONIA
CITTADITALIA SAS FILIPPINE
VINETUM Oy FINLAND
C.E.P.P.O. IDEA VINO FRANCIA
FISCHER & TREZZA GERMANIA
LEGRO GERMANIA
WEIN WOLF GERMANIA
WEINKONTOR FREUND Gmbh GERMANIA
WEINLAND ARIANE ABAYAN GERMANIA
ALPINA BURKARD BOVENSIEPEN GmbH GERMANIA
GENKA COMMERCIAL S.A. GRECIA
PLUS MARKAS GUATEMALA
GIN GALLERY Ltd HONG KONG
FARNETANI SRL HUNGARY
ROLF JOHANSEN & COMPANY ISLANDA
213
FOODLINER LTD. JAPAN
SMILE CORP. JAPAN
CAVES WENGLER-WEBER LUXEMBOURG
Skaraba Food and Beverage MALAYSIA
VININTER S.A. DE C.V. MEXICO
NEGOCIANTS NEW ZEALAND LTD NEW ZEALAND
GAIA WINE & SPIRIT AS NORVEGIA
SERDIS - CENTRE DE GROS NOUVELLE-CALEDONIE
VINITES B.V. OLANDA
GASTRONOMIA S.A. PERÚ
PRESTIGE IMPORT - EXPORT POLAND
SOMMELIER DYSTRIBUCJA Sp.z o.o. POLAND
DELIZIE ITALIANE PORTOGALLO
NEGRINI PORTUGAL Lds. PORTOGALLO
BERKMANN WINE CELLARS REGNO UNITO
PAGENDAM PRATT REGNO UNITO
T.M. ROBERTSON REGNO UNITO
GLOBAL SPIRITS REP. CECA
CAIDESA S.A. REP. DOMENICANA
CANAVAGGIO S.A. REP. OF PANAMA
MB GROUP IMPEX RUSSIA
LE VIGNE SINGAPORE
NMK Schulz Fine Wines & Spirits (Pty) Ltd. SOUTH AFRICA
VINIART S.L. SPAGNA
MEREGALLI GIUSEPPE ESPAÑA, SL SPAGNA
NEGRINI S.L. SPAGNA
TALISMAN IBERICA 2000 SL SPAGNA
MEGA TRADING (PVT) LTD SRI LANKA
VINHUSET BIBENDUM AB SVEZIA
ZANINI & SULMONI S.A. SVIZZERA
MEREGALLI SUISSE SA SVIZZERA
RUDOLPH BINDELLA WEINBAU - WEINHANDEL AG SVIZZERA
VANICHWATHANA (BANGKOK) CO., LTD. THAILAND
214
ADCO GIDA SAN. TIC. A.S. TÜRKIYE
PREMIUMWINE PLC UKRAINA
WINEBOW INC. USA
KOBRAND CORPORATION USA
Fonte: Poli Distillerie
Sud Europa: con dei Paesi, in particolare l’Italia, la Spagna e la Grecia, produttori di
vino che hanno un approccio antico e naturale agli alcolici, di conseguenza non ci
sono particolari tassazioni e vincoli alla loro vendita.
Centro Europa: a parte alcuni Paesi come Austria, Svizzera, dove la tassazione è
più alta, quest’area rispecchia pressoché quella precedente.
Nord Europa: si tratta di paesi, come quelli Scandinavi, non produttori di vino, dove
esiste una “demonizzazione” dell’alcol e come conseguenza vengono applicate
delle tassazioni esorbitanti e la vendita viene gestita tramite il monopolio statale.
Australia: segue l’andamento del Centro Europa, perciò non si presentano
particolari difficoltà fiscali e burocratiche per esportare in questo Paese.
215
Estremo Oriente, in questa area si presentano problematiche dal punto di vista
normativo. Trattandosi di prodotti alimentari sono richiesti documenti e permessi
sanitari.
Sud America, è un mercato per lo più libero senza particolari norme e vincoli alla
vendita.
Nord America, per quanto riguarda il Canada è una realtà in cui il consumo di
alcolici è regolamentato sia da una elevata tassazione che dal controllo statale sulle
vendite.
Il mercato della Grappa negli USA merita alcune osservazioni in più. Così come il
continente europeo, quello nord americano è formato da varie entità geografiche
con differenti connotazioni di carattere culturale, religioso, linguistico, economico,
culturale ed etnico. A fianco di città quali New York dove il commercio dei
superalcolici è liberalizzato, ci sono Stati nei quali la distribuzione di tali prodotti è
affidata a monopoli statali o altri che hanno emanato regole estremamente severe e
restrittive sulla vendita di distillati. Questi diversi approcci legislativi traggono origine
dalle diverse matrici culturali e religiose delle etnie che hanno inizialmente popolato
quelli che oggi sono chiamati Stati Uniti e che un tempo “uniti” non lo erano.
Cattolici, mormoni, protestanti, calvinisti, ebrei davano al consumo di alcol un valore
morale diverso, permettendone o condannandone di conseguenza l’uso e l’abuso.
Lo stesso discorso vale per Singapore e molti paesi asiatici: uno stato con oltre 4
milioni e mezzo di abitanti in cui convivono assieme numerose culture con differenti
religioni (buddismo e taoismo, musulmani e protestanti, cattolici e induisti).
Anche la prevalenza di un particolare gruppo etnico ha incidenza sul consumo dei
distillati, ricavati dall’uva. Mentre, infatti, gli abitanti di origine europea hanno una
propensione al consumo di Brandy e Grappa, viceversa le etnie di origine orientale
non consumano tali distillati e tanto meno quelle di origine africana che, al pari degli
indiani d’America, preferiscono bere whisky o altri distillati.
Da questo quadro generale emerge come la Grappa sia da considerare un
prodotto di nicchia e che, come tale, deve essere gestito da chi intende proporlo
nei mercati esteri.
In relazione all’apertura di nuovi sbocchi commerciali, la Distilleria Poli, è orientata
ad un ampliamento del mercato sud americano, che dal punto di vista economico
sta, sia pur lentamente, emergendo. Esiste pure un crescente interesse per i
mercati dell’Est Europeo.
216
Per rinforzare l’immagine nei mercati esteri del più importante distillato italiano,
l’azienda Poli è coinvolta da alcuni anni in una collaborazione per la produzione di –
Grappe del mondo -. Si tratta di un piano che prevede la creazione di grappe con
la partecipazione dei produttori vitivinicoli più quotati di
ciascuno Stato interessato al progetto.
In particolare la Distilleria Poli collabora con le famiglie
Robert Mondavi, il più importante produttore di vino della
California, e i Marchesi de’ Frescobaldi di Firenze,
assieme alle quali è stata creata una Grappa a firma
congiunta.
Dapprima, nel 1993 nasce la joint-venture Mondavi-
Frescobaldi che si propone la creazione di un vino -
chiamato Luce - di alta qualità.
Successivamente, nel 1997, il rapporto di collaborazione tra i due autorevoli
produttori di vino si estende alla Distilleria Poli, che completa questa importante
cooperazione con il compito di distillare una raffinata Grappa prodotta con le
vinacce del prezioso – Luce -.
Si tratta del primo caso in assoluto di cooperazione internazionale nella storia del
più importante distillato italiano.
Un altro progetto per rafforzare l’immagine della Grappa sui mercati internazionali,
riguarda il rapporto di collaborazione con il Marchese Incisa della Rocchetta,
produttore del Sassicaia, il vino italiano più famoso al mondo, la cui vinaccia viene
distillata presso le Distillerie Poli per ottenerne la relativa Grappa.
217
- la flessibilità rispetto alle esigenze dei clienti, intesa innanzitutto come
tempestività e precisione delle consegne e come assistenza post-vendita;
- l’efficienza / il controllo dei costi, intesi come costi di produzione, con al centro il
costo del lavoro, a cui seguono, la reperibilità di materie prime di qualità a prezzi
convenienti e i costi di trasporto.
La Distilleria Poli si sviluppa da una tradizione familiare centenaria. La pratica della
distillazione, iniziata come semplice passione, ed esercitata per diletto in una stalla
e con mezzi rudimentali, si trasforma nel corso del tempo in una vera e propria
attività produttiva (ufficializzata nel 1898), in un’arte tramandata di padre in figlio.
La matrice familiare che caratterizza la maggioranza delle imprese venete, definisce
lo stile del management aziendale e determina, da un lato la solidità aziendale,
dall’altro, evidenzia una cultura tipica, ricorrente tra i piccoli imprenditori del nord-est
che “si sono fatti da sé”, e che, ancora oggi, è poco propensa all’aggregazione, alla
collaborazione fra imprese e, anzi, spesso vede come un segno di debolezza, la
condivisione di esperienze e progetti con i concorrenti. Infatti, i risultati di una
“recente indagine”40 promossa dall’Associazione Industriali della Provincia di
Vicenza, conferma le resistenze all’integrazione in reti. «La propensione
all’aggregazione appare nel complesso ancora piuttosto moderata. E’ pur vero che il
23% fa parte di un gruppo, ma quando si passa a forme di collaborazione a maggior
valenza strategica, che presuppongono un maggior impegno e coinvolgimento, la
propensione a fondere esperienze e a condividere progetti, idee o servizi appare
limitata, con solo un 19% di imprese che ha fatto accordi di qualche tipo».
La Distilleria Poli, in merito alle alleanze strategiche con altre imprese, si pone nel
modo seguente; l’azienda, in passato, ha creduto nella creazione di consorzi41 fra
produttori, ma successivamente ha ritenuto che produttori con differenti obiettivi,
dimensioni aziendali, culture, prodotti, prezzi, mercati, ecc., molto difficilmente si
accordano accomunandosi sotto un’unica bandiera. Questa posizione dell’azienda,
però, non ha significato una totale diffidenza nei confronti di accordi e cooperazioni.
Pertanto la Distilleria Poli, proprio per promuovere la “rinascita” qualitativa del
prodotto Grappa, ha preso parte ad importanti accordi di collaborazione con alcuni
40
Ricerca realizzata da Icon Intermatrix, in collaborazione con Fondazione CUOA con il
contributo della Banca Popolare di Vicenza, per conto dell’Associazione Industriali della
Provincia di Vicenza.
41
Jacopo Poli ha fatto parte di diversi consigli di amministrazione: Consorzio per la tutela
della Grappa Veneta, dell’Associazione Nazionale Assaggiatori Grappa, del Centro Studi e
Formazione Assaggiatori, del Gruppo Distillatori Artigiani Vicentini e dell’Istituto Grappa
Veneta.
218
prestigiosi partners, operanti nel mercato del vino (Marchesi de’ Frescobaldi e
Marchese Incisa della Rocchetta). Questi accordi, che legano assieme i nomi di
prestigiosi produttori, consentono all’azienda di attivare delle sinergie in più, per
promuovere e commercializzare i suoi prodotti sia in territorio nazionale che estero e
soprattutto per portare avanti il progetto di rivalutazione culturale del più italiano dei
distillati.
L’obiettivo “qualità” accompagna da sempre la Distilleria Poli, ma è con l’inizio degli
anni ’80, quando si punta a “ricostruire” l’immagine dell’acquavite per farne un
prodotto di levatura internazionale, apprezzato anche dai palati più raffinati ed
esigenti, che diviene una vera e propria missione aziendale. A questo scopo
l’azienda, grazie ad un moderno approccio commerciale e distributivo, pur
rimanendo fedele alla produzione artigianale, si ripropone con una nuova linea di
prodotti di alta fascia destinati al segmento di mercato della ristorazione e delle
enoteche specializzate.
Il raggiungimento della qualità assoluta, diviene il principio ispiratore che orienta
l’azienda verso alcuni fattori fondamentali:
- accurata scelta della materia prima (vinaccia freschissima e sana), lavorata
immediatamente;
- tecnica di distillazione artigianale, ma con l’obiettivo di produrre un distillato
“evoluto” quanto le esigenze del consumatore;
- affidabilità aziendale. L’azienda Poli oltre ad offrire la qualità costante del
prodotto, si pone altri obiettivi quali: - corretta gestione delle consegne e delle
fatturazioni, soddisfazione del cliente. Tutti elementi che mirano a dimostrare e,
consolidare nel tempo, la serietà aziendale.
219
della comunicazione, prevale un modello di business tradizionale, orientato
particolarmente al perfezionamento del prodotto e che affronta, ancora oggi in modo
vincente, la crescente competitività dei mercati. Ed è proprio la particolarità del
prodotto, in questo caso la Grappa, e la sua personalizzazione ed evoluzione in
base alle specifiche esigenze del cliente, a consentire performances tuttora positive
del sistema produttivo veneto. E’ fondamentale che l’economia del nord-est sia
potenziata da tutte le nuove conoscenze e strategie collegate alla New Economy,
ma senza ricorrere ad una netta contrapposizione alla “Old Economy” che,
comunque, ha consentito tanti successi alle Pmi venete.
Per affrontare il contesto economico contrassegnato dai cicli di vita sempre più brevi
sia delle aziende che dei prodotti, da un mercato che chiede costantemente novità e
che presenta elevati costi d’innovazione, difficilmente ammortizzabili nel breve
periodo, la Distilleria Poli cerca di proporre, come più volte ricordato, dei prodotti di
qualità, in grado di resistere a lungo nel tempo. Contemporaneamente, è impegnata
a respingere gli attacchi degli imitatori e della concorrenza sleale che propone
prodotti analoghi a prezzi inferiori, non dovendo sopportare costi di innovazione,
ricerca e sviluppo. L’azienda inoltre tenta di far capire ai consumatori la differenza
fra l’originale e la copia e, in questo contesto, ritiene che le alleanze con aziende di
fama consolidata possano giocare un ruolo fondamentale.
La crescente competitività del sistema economico, richiede alla Distilleria Poli e, in
generale a tutte le piccole imprese, un aumento della velocità di risposta al mercato.
Vale a dire che aspetti quali il tempismo, la disponibilità al cambiamento, la rapidità
delle decisioni diventano oggi, una condizione essenziale per non essere tagliati
fuori dal gioco.
Proprio perché i cicli di vita di prodotti e aziende continuano a ridursi, secondo
Jacopo Poli bisogna passare, in brevissimo tempo, dal “saper fare” al “far sapere”.
Questo significa che è necessario accorciare i tempi, sia per quanto riguarda il
periodo in cui si investe per la progettazione e la creazione di nuovi prodotti, sia per
quanto riguarda il momento in cui ci si dedica alla pubblicizzazione e comunicazione
alla clientela. Si tratta di un ciclo che si rinnova sempre più rapidamente e che non
concede mai il lusso di fermarsi, a meno che non si voglia chiudere l’azienda. Per
cui bisognerà ripartire ogni volta dall’inizio, per informarsi, per sperimentare nuovi
modi di fare qualità, per lanciare nuovi prodotti e poi, ancora, per studiare strategie
di immagine in grado di incuriosire e stimolare l’attenzione del consumatore.
220
Jacopo Poli crede infatti che, costanza e determinazione siano fattori decisivi per
raggiungere il successo: la voglia instancabile di lavorare, di continuare ad
impegnarsi, di migliorare ogni più piccolo aspetto, con tenacia, senza mollare mai
La Distilleria Poli sicuramente dispone di tutti i fattori necessari a rafforzare
ulteriormente la posizione e il prestigio ottenuto sia a livello nazionale che
internazionale. Probabilmente questo successo potrebbe essere incrementato
ulteriormente se l’azienda, nella prospettiva di uno sviluppo dimensionale, si
creasse una autonoma rete distributiva e, potesse quindi, gestire in modo diretto la
propria forza vendite e tutte quelle attività collegate al rapporto immediato con la
potenziale clientela.
1. INNOVAZIONE DI PRODOTTO
- Nuovo stile produttivo: qualità e fedeltà alla tradizione
- Attenzione al gusto del consumatore
221
La normativa vigente consente di citare in etichetta sia il mastro distillatore che
l’alambicco con il quale forma un binomio fondamentale per la caratterizzazione del
distillato. Grazie alla valorizzazione di questi aspetti attraverso un’adeguata politica
di comunicazione la debolezza dell’alambicco a ciclo discontinuo viene convertita in
punto di forza dell’azienda.
Per concretizzare questo nuovo stile produttivo gli sforzi si sono focalizzati sulla
cura della materia prima e sulla tecnica di distillazione.
La fedeltà al tradizionale sistema produttivo si coniuga, infatti, con una spiccata
sensibilità verso l’evoluzione del gusto del consumatore che richiede una maggiore
gentilezza ed eleganza organolettica. Questo difficile equilibrio viene ricercato
mediante una rigida selezione della materia prima che deve essere fresca e in
perfetto stato di sanità e un’attenta distillazione della stessa. A questo proposito,
particolare cura viene posta nell’eliminazione di quelle componenti dell’aroma della
grappa, il cui eccesso l’ha resa storicamente aggressiva e ruvida. La grappa, oggi,
deve essere diversa da quella passata, meno rude ed aggressiva, più morbida e
raffinata in linea con le mutate esigenze del consumatore.
Con l’evoluzione della qualità delle vita, infatti, è evoluto anche il gusto della
clientela, cosi che la grappa perde la sua primaria funzione d’uso. Da integratore
nutrizionale per soddisfare il fabbisogno energetico o per scaldarsi, diventa oggetto
di un consumo di tipo voluttuario: ha senso di esistere solo se è buona, se sa offrire
delle gradevoli sensazioni organolettiche, se dà piacere, se assume un suo
significato.
Oltre allo sviluppo in senso qualitativo del prodotto, il nuovo corso aziendale ha
modificato anche la gamma della propria offerta. Sono stati creati prodotti nuovi
(distillati d’uva, distillati di vino, grappe aromatizzate) per avvicinare alla grappa
anche segmenti fino ad allora ostili e la gamma è stata articolata in funzione di
diverse tipologie di acquirente.
Grazie alla distillazione di vinacce ottenute da vitigni selezionati o in seguito a
collaborazioni con produttori di fama mondiale e alle tecniche di invecchiamento in
botte, Poli mira a fare della grappa un prodotto di alto pregio e levatura
internazionale.
222
10.9.2 Identità, conoscenza e patrimonio di marca (Brand Equity)
42
Le attività d’impresa che impattano la conoscenza di marca sono specificamente quelle ad
alto contenuto di comunicazione e tipicamente riguardano il sistema dei flussi attivati in
forma esplicita ed anche le informazioni che implicitamente emergono dai concreti
comportamenti. Ad esempio, con riferimento ad una data offerta, i segnali trasmessi
possono essere veicolati mediante particolari strumenti di comunicazione d’impresa
(pubblicità, promozione, stampati, comunicati stampa, sponsorship, ecc.), oppure utilizzando
altri strumenti di marketing ad elevato contenuto informativo (quali, ad esempio, il prezzo, la
forma di distribuzione, il packaging, ecc.), oppure ancora avvalendosi delle caratteristiche
merceologiche dell’offerta (caratteri funzionali del bene e/o del servizio).
223
Figura 10.18 - Identità di marca, conoscenza di marca e Brand Equity
Elementi
tangibili/intangibili
di offerta
Conoscenza
della marca
Identità della Segnali trasmessi
• Notorietà
marca (comunicazione)
• Immagine
“Rumori interni”
• Concorrenti
• Domanda
• “Rumori” BRAND
EQUITY
In fase di predisposizione di un nuovo marchio non esiste una specifica relazione (in
altre parole una marca) con un definito mercato; con l’introduzione del marchio sul
mercato, tuttavia, i fattori distintivi della relazione tendono a specificarsi, a perdere
gradi di libertà e ad assumere lineamenti più stabili: in altri termini, inizia a definirsi
la relazione di marca.
La costruzione di una marca presuppone innanzi tutto che sia delineato un preciso
profilo di identità in rapporto a determinati caratteri di qualificazione dell’offerta, che
si ritiene possano concretizzarsi per l’effetto congiunto di diversi fattori, quali: le
caratteristiche dei beni, il poter e evocativo del “brand name” e del “corporate
name”, le radici geografiche e storiche dell’offerta, i contenuti dei messaggi
pubblicitari ecc.
I caratteri-obiettivo di qualificazione configurano, nel loro insieme, l’identità di
marca(Brand Identità), cioè “i tratti caratteristici e distintivi dell’offerta che un’impresa
si prefigge di trasmettere a definiti pubblici di riferimento” e che massimizzano i
benefici attesi (in termini di notorietà e immagine) rispetto ai costi da sostenere.
Come evidenziato nella Figura 1, la fissazione del profilo-obiettivo dell’identità di
marca precede la conoscenza di marca. Infatti, il raggiungimento di una certa
conoscenza di marca – associata a definiti livelli di credibilità, legittimità e affettività
224
– richiede, da parte dell’azienda, la preventiva esplicitazione dell’identità di marca
che si intende affermare e la realizzazione di una successione di azioni volte ad
affermare tale identità.
Un’offerta tende ad assumere un proprio profilo distintivo con il collocamento sul
mercato e, nella misura in cui questo profilo è guidato da un progetto aziendale, si
stabilisce “una determinata configurazione quanti-qualificativa di relazione con la
domanda”; si definisce così uno stato di conoscenza della marca (Brand
Perception), che può differire anche sensibilmente dal profilo di identità di marca
desiderato (sia nella componente quantitativa del livello di “notorietà”, sia nella
componente qualitativa dei caratteri distintivi di “immagine”)43.
In altri termini, la progettazione di un’identità di marca e la realizzazione di
programmi diretti ad affermare lo sviluppo pianificato di tale identità nel tempo e
nello spazio, conducono a particolari risultati in termini di conoscenza della marca e
costituiscono il fondamento della politica di marca.
Il profilo di conoscenza della marca discende anche dagli elementi tangibili
dell’offerta (hard product attributes), sebbene tali caratteri – specialmente in
condizioni di eccesso di offerta – tendono ad essere subordinati, nei processi di
scelta della domanda, ai caratteri intangibili di prodotto (soft product attributes).
Inoltre, nei sistemi socio-economici più evoluti, l’accresciuta complessità dei valori
d’uso dei beni e le interrelazioni che caratterizzano i comportamenti di valutazione e
di scelta della domanda, impongono alle imprese di prestare molta attenzione ai
“segnali” di comunicazione implicita e messi dai “media”, dal “trade” e dagli
intermediari finanziari: eventuali incoerenze con i messaggi trasmessi in modo
esplicito tendono infatti a vanificare le azioni dirette a sostenere la notorietà e
l’immagine di marca.
Infine, il profilo di marca si qualifica anche per i comportamenti di soggetti esterni
all’impresa (Figura 2). Fra questi soggetti esterni occorre ricordare:
• Innanzitutto le imprese concorrenti che, per affermare l’identità di proprie
offerte, trasmettono “segnali” di natura antagonista44;
43
“Molto frequentemente il concetto di identità è confuso con quello di
immagine…L’immagine è la percezione che il pubblico ha di una certa impresa…
L’immagine è ciò che vive nella mene del consumatore. L’identità, invece, è la realtà
oggettiva”. v. J. Diefenbach, L’identità aziendale come marca dell’impresa, in J. Murphy
(ed.), Branding. Le politiche di marca, cit., pp. 248-250.
44
Le azioni collettive di comunicazione, a tutela di una data offerta complessiva, ovviamente
superano tale limite, essendo finalizzate ad affermare l’identità di una classe di prodotto.
225
• La domanda finale. Spesso considerata un’insieme di soggetti passivi,
nell’economia ad alta permeabilità dell’informazione tende invece ad influire
sulle valenze di qualificazione dell’identità di marca e soprattutto costituisce,
a sua volta, una fonte di qualificazione nei confronti di altre potenziali
domande45;
• Infine, le modalità di decodifica dell’identità di marca possono essere
influenzate dai “rumori” che provengono dall’ambiente economico-sociale:
tendenze ambientali irreversibili e situazioni contingenti si riflettono sulla
domanda, contribuendo a formare la chiave interpretativa dei diversi
soggetti.
45
Questo mutuato ruolo riscontrabile nel target di riferimento è connesso ad una molteplicità
di fenomeni, tra cui spiccano: il crescente peso di prodotti e/o servizi con un alto numero di
specifiche definite dal cliente (individualizzazione dei consumi e/o “tailored product”);
l’aumentata presenza di beni time-saving e ad utilizzo facilitato (friendlines); l’elevato grado
di infedeltà dei consumatori; il sempre più frequente manifestarsi di stili di vita e di
comportamenti d’acquisto globali; la minore stabilità nel tempo dei segmenti di domanda.
226
altre connotazioni specifiche della marca (quali, ad esempio, brevetti, relazioni con
la distribuzione, ecc.) (Figura 10.19).
Associazioni di
Qualità percepita Marca (diverse dalla
qualità percepita)
BRAND
EQUITY
227
caratterizzazione si traduce, anche per la domanda, in benefici che travalicano il
semplice valore segnaletico del marchio; benefici che specificamente si sostanziano
nella semplificazione del processo di elaborazione delle informazioni, in una
maggiore affidabilità delle scelte e degli acquisti e, non ultimo, nella soddisfazione
di fruizione di una marca affermata.
Nei sistemi ad alta competitività, pertanto, diventa essenziale definire l’identità di
marca sulla base delle esigenze espresse dal mercato di riferimento, per perseguire
un’idonea politica di marca e sviluppare nel tempo un solido patrimonio di marca.
228
Nell’operazione di qualificazione simbolica che trasforma la grappa in veicolo dei
valori depositati sulla Marca, il prodotto non solo perde ogni connotato di merce, ma
viene “personificato”: acquisisce un nome, viene descritto con attributi che si
riferiscono a diverse aree semantiche, diventa esso stesso evocativo. Il prodotto,
dunque, diventa portatore di senso e contribuisce al discorso della Marca.
L’espressione “discorso prodotto” esprime ciò che il prodotto può veicolare da solo,
attraverso il suo aspetto e le sue funzioni contribuendo all’identità di una Marca.
Talvolta, inserito nel contesto della quotidianità del consumatore, il prodotto
costituisce un richiamo continuo ai valori della Marca, diventando così il suo
emblema più efficace e stabile. Soltanto una visione della Marca come vettore di
senso e una concezione integrata della relazione tra prodotto e Marca permettono di
comprendere la capacità del prodotto di generare senso e di contribuire all’identità
di Marca.
L’azienda Poli, consapevole della forza del senso emanato dal prodotto grappa
riesce ad integrarlo coerentemente nella propria strategia di Marca.
La grappa è uno straordinario produttore di senso anche per la sua capacità di
destare emozioni – consce o inconsce – attraverso l’interpretazione che il cervello
fornisce degli stimoli provocati dalle molecole e dalla loro combinazione. Occorre
quindi prendere in considerazione il polimorfismo generato dall’incontro tra la
grappa e i suoi fruitori, anticipandolo a livello visivo. In quanto vettore di senso,
infatti, la Marca è un principio astratto che prende forma solo incarnandosi in
supporti reali e sensibili. Tra i cinque sensi la vista è quella cui spetta il ruolo più
rilevante nella costruzione dell’identità di una Marca, oltre ad avere maggiore
flessibilità di utilizzo.
Per una Marca oltre al bisogno di permanenza, rispetto alla dimensione diacronica,
esiste un bisogno di coerenza rispetto alla dimensione sincronica. L’identità visiva
rappresenta, quindi, sia il filo conduttore che garantisce la continuità nel
cambiamento, sia l’intelaiatura di senso che assicura l’omogeneità dei discorsi di
Marca, la loro gerarchia e sinergia globale.
229
10.10 Obiettivi dell’azienda
Il Sig. Poli, erede di una lunga tradizione, ma molto giovane, attraverso lo studio, le
visite in distillerie di tutto il mondo, la frequentazione di corsi specializzati, l’assaggio
di distillati di altri produttori, si dedica allo sviluppo della competenza tecnica.
E’ inoltre importante cercare di intuire le richieste del mercato in modo da indirizzare
la produzione al soddisfacimento dei clienti secondo i dettami del marketing (la
prima indagine di mercato del settore risale al 1986).
Acquisite le competenze necessarie, occorre operare una trasformazione a livello di
prodotto, a questo fine le Distillerie Poli operano su due fronti: materia prima e
tecnica di distillazione con l’obiettivo di creare un distillato adatto ad un consumatore
moderno.
Un prodotto anche se buono non si vende da sé. Occorre costruire un’immagine di
Marca attorno ad esso, ampliarlo, farne oggetto di una narrazione che rimanda ai
valori che definiscono l’identità dell’azienda. E’ in questa direzione che Poli attua la
trasformazione più significativa: la creazione di un’immagine coordinata dell’azienda
da proporre al pubblico, attraverso un utilizzo appropriato degli strumenti di
comunication mix.
Per quanto riguarda la distribuzione, questa era una delle debolezze maggiori
dell’azienda, Jacopo Poli allora decise di rivolgersi, per il mercato nazionale, ad un
unico distributore esterno. Questa è l’unica via percorribile per un’azienda di piccole
dimensioni, ancora sconosciuta ai più, intenzionata a proporre dei prodotti di
prestigio alla fascia alta della clientela. Si utilizza un canale distributivo specializzato
(ristorazione ed enoteche), lo stesso attraverso il quale l’azienda propone i suoi
prodotti nel mercato straniero. Grazie alla rete di ristoranti italiani all’estero, cui va il
merito d’aver diffuso la conoscenza dei piatti tradizionali e dei prodotti tipici italiani,
la nuova grappa viene proposta a tutta la ristorazione internazionale.
I mercati raggiunti per primi sono quelli europei con un iniziale 5% di export.
Nel 1990 l’azienda inizia ad esportare in Canada e Stati Uniti con un 10% di vendite,
l’anno seguente anche in Asia con lo 0,2%. Nel 1993 e nel ’95 l’azienda si affaccia
anche sul mercato Australiano (0,03%) e quello Sud Americano (0,9%). In ognuno
di questi paesi esteri l’azienda si avvale di importatori-distributori che si rivolgono
alla ristorazione qualificata, alle enoteche specializzate e ai negozi di specialità
alimentari.
230
Gli ostacoli incontrati sui mercati esteri sono dovuti sia ai vincoli di tipo burocratico -
fiscale (tassazioni elevate per scoraggiare il consumo di alcool, controllo della
vendita da parte dello Stato con la predisposizione di negozi specializzati nella
vendita di super alcolici), sia al tipo di immagine associata al prodotto grappa. In
alcuni paesi, infatti, le difficoltà incontrate consistono nel far capire l’evoluzione della
grappa, ancora legata allo stereotipo di prodotto rozzo e qualitativamente mediocre.
In altri (come quelli dell’Estremo Oriente), invece, il problema è rappresentato
“dall’iniziazione” della potenziale clientela. Si comprende dunque il ruolo cruciale di
un approccio comunicativo che sappia sfruttare in modo integrato e mirato tutte le
potenzialità degli strumenti della comunication mix. In quest’ottica le Distillerie Poli
sono coinvolte da alcuni anni in collaborazioni con i più quotati produttori viti vinicoli
di ciascuno Stato per la produzione di “Grappe del Mondo” (Progetto Luce e
Progetto Sassicaia) .
In un mercato difficile come quello della Grappa occorre dare delle garanzie
personali. Non ci sono infatti parametri di riferimento che orientino i consumatori alla
scelta di un distillato. In assenza di tali elementi di valutazione, unico criterio di
scelta rimane la serietà aziendale e la garanzia di affidabilità che si riesce a far
percepire al consumatore. Qualità costante del prodotto, corretta gestione delle
consegne e delle fatturazioni e soprattutto un’adeguata politica di comunicazione
sono i fattori che contribuiscono ad aumentare la confidenza e la fiducia del cliente
nei confronti dell’azienda. La massima onestà nei confronti del distillato e del
consumatore è infatti il valore essenziale che l’azienda vuole trasmettere di sé.
La comunicazione riveste un ruolo fondamentale nelle scelte strategiche del
management finalizzate al riposizionamento aziendale. Una volta acquisite le
competenze tecniche e culturali per intervenire sul versante della produzione,
occorre raggiungere, attraverso un’adeguata strategia di comunicazione, i seguenti
obiettivi:
• Rinnovamento di immagine della grappa e dell’azienda
• Notorietà su scala internazionale della grappa e dell’azienda
Il fatto che la comunicazione sia utilizzata come leva del marketing mix ai fini della
costruzione dell’immagine dell’azienda e allo stesso tempo del prodotto, inteso nella
sua accezione generica di distillato tipicamente italiano, denota:
1. il carattere identitario che azienda e prodotto condividono;
231
2. l’ampiezza del raggio d’azione in cui si articola la politica di
comunicazione, coinvolgendo anche le altre leve del marketing mix
(prodotto, prezzo, distribuzione);
3. l’effetto sinergico che ne deriva.
L’azienda Poli non fa pubblicità nel senso comune del termine, ma comunica a
diversi livelli del mercato. Non disponendo di ingenti risorse finanziarie da investire
in grnadi campagne pubblicitarie, Poli sceglie in primo luogo di spingere il prodotto
dall’alto ( strategia push), attraverso un canale distributivo selezionato, ma anche di
creare un’attrazione dal basso attraverso la Comunicazione personale (visite al
Museo, alla Distilleria, pubblicazioni aziendali, partecipazione ad eventi fieristici), la
presentazione dei prodotti e la collaborazione con partner importanti del mondo
vitivinicolo.
Dal “saper fare” al “far sapere” e di nuovo al “saper fare” e ancora al “far sapere”,
continuamente.
Jacopo Poli è convinto che la sperimentazione di nuovi modi “di fare qualità” debba
procedere parallelamente alla costruzione dell’immagine aziendale, della notorietà,
della distribuzione. Occorre quindi sia introdurre nuovi prodotti, creando nuovi cicli
all’interno della gamma, sia ripensare continuamente a quelli esistenti, inseguendo il
gusto del consumatore, ma anche contribuendo a formarlo.
232
Il prezzo rappresenta il mezzo di comunicazione più elementare di un’impresa,
attualmente soprattutto nel senso di indicatore di qualità.
La produzione di Poli si articola su diverse linee di prodotti e su diversi livelli di
prezzo per raggiungere, almeno nel mercato locale, diverse tipologie di consumatori
(dalla grappa ottenuta da un vitigno distillato in purezza e monoannata al liquore
tradizionale a base di china). Il presupposto della politica di prezzo di Poli è
rappresentata dal motto del nonno Giovanni: “Vendi caro, ma pesa giusto”, in tal
senso non sono previsti sconti sui prezzi al pubblico.
Gli intermediari commerciali che costituiscono i canali distributivi rappresentano al
contempo un pubblico – obiettivo della Comunicazione di marketing dell’impresa, un
mezzo di comunicazione tra l’impresa e i consumatori e anche una sorgente
autonoma di comunicazione. La selezione di un canale, enoteche e ristoranti, è già
infatti una forma di comunicazione del modo di stare sul mercato dell’azienda.
Anche la forza di vendita (nel caso di Poli si tratta di agenti esterni all’azienda con
cui però sono mantenuti stretti contatti) rappresenta un mezzo importante.
A partire dal prodotto, dunque, la Comunicazione di Poli, pur escludendo i mass
media, si articola in modo integrato su uno spettro d’azione molto ampio che
comprende:
• Packaging
• Pubblicazioni aziendali
• Museo della Grappa
• Promozione visite dirette in azienda
• Partecipazione a degustazioni ed eventi fieristici
• Collaborazioni con autorevoli marchi del panorama vitivinicolo
• Selezione dei canali distributivi
10.11.1 Il Packaging
Il packaging, per i prodotti confezionati, costituisce, dal punto di vista del marketing,
un attributo molto importante, dal quale l’acquirente può ricevere distinti benefici: la
protezione e la conservazione del prodotto, la facilitazione nell’utilizzo, l’eventuale
riutilizzo indipendente dalla confezione, la riconoscibilità, le informazioni annesse.
Ma la presentazione del prodotto costituisce anche il livello superficiale della Marca,
233
attraverso il quale essa veicola i valori presenti nel suo nucleo di identità, in altre
parole, il livello operativo del discorso di Marca.
234
Oltre al ruolo di rappresentante del prodotto, però, il packaging, in quanto supporto
del Logo, del nome della Marca, dello slogan, svolge anche la funzione di “richiamo
metonimico” ai valori della Marca.
La linea di punta dell’azienda, uscita sul mercato nell’85, composta da Grappe
ottenute da vitigni distillati in purezza e mono-annata, è caratterizzata da bottiglie in
vetro soffiato che, pur nella continua evoluzione subita nel corso degli anni,
conservano tutt’oggi i tratti originari:
• Raffinatezza: del vetro sottile;
• Eleganza: forma slanciata con un lungo collo;
• Unicità: ogni prodotto è racchiuso da una specifica forma di contenitore e
ogni bottiglia è diversa dalle altre di forma analoga in quanto soffiata a
bocca. Si vuole veicolare attraverso la forma e l’estetica del contenitore il
valore del “fatto a mano” che caratterizza il contenuto e la tipologia di
imbottigliamento e che si esprime coerentemente anche nella cura del
particolare sulla confezione e nella disposizione delle bottiglie sugli scaffali.
• Semplicità: i senso di esclusività apportato dai caratteri precedenti si coniuga
con la ricerca dell’essenzialità. Nell’evitare ogni stucchevolezza risultano
infatti enfatizzati i tratti di eleganza e raffinatezza. Il fatto che non compaia,
sulla confezione, il nome dei fornitori, anche se, come nel caso della soffieria
che produce le bottiglie, potrebbe essere motivo di lustro, è coerente con
l’idea di “riscoprire” e “ripensare” un prodotto piuttosto che di aggiungervi
qualcosa. In quest’ottica, il design interviene sul prodotto, per il contributo
che può fornire all’opera di valorizzazione del prodotto stesso, in termini di
qualità percepita, ma va inteso nella sua accezione più ampia. Non si tratta
infatti di design come progettazione industriale e nemmeno di una sua
variante artigianale. Il design per Poli si configura in un atteggiamento che
sta alla base del suo modo di intendere la comunicazione attraverso il
prodotto. Nel rivolgersi ad un individuo, prima che a un consumatore, egli
mira a suscitarne la curiosità, l’attenzione, l’adesione, è proprio in questo
sforzo che il valore del “bello” e del “ben fatto” risulta determinante. Il primo
premio all’”International Packaging Competition” al 36° Vinitaly ottenuto dalla
Grappa Luce, testimonia la validità delle scelte intraprese.
• Attenzione al dettaglio: la qualità dei materiali, la confezione curata anceh
all’interno, il filo argentato (o dorato nel caso di un distillato invecchiato) che
regge l’etichetta sul collo della bottiglia, la garanzia sul contenuto (in termini
235
di quantità, data l’impossibilità di confrontare tra loro bottiglie uniche) e i
supporti informativi all’interno della confezione sono aspetti che vengono
valorizzati in funzione della loro capacità di rinforzare il discorso di Marca.
• Logotipo: rappresenta l’emblema dell’identità visiva della Marca. Il logo di
Poli, il mastro grappaiolo con la cesta piena di vinacce sulle spalle, emblema
storico della distilleria, subisce un restyling in concomitanza con il
riposizionamento dell’azienda: se, prima della svolta infatti, l’omino si
volgeva a sinistra, dopo, la direzione in cui si dirige è quella opposta, a
significare il cambiamento di corso intrapreso a livello aziendale. Il logo è un
condensato di senso, non soltanto per le sue piccole dimensioni, ma anche
perché, in pochi tratti, riassume la filosofia della Marca, i suoi valori, il suo
impegno nei confronti della clientela. Poli, attraverso l’immagine un po’ naif
del mastro grappaiolo, vuole comunicare la sua adesione ai valori della
tradizione (fonte di legittimazione anche per il Prodotto), ma collocandolo in
un contesto grafico moderno, sottolinea l’aspetto innovativo del modo in cui
questi valori sono interpretati.
• Nome: ciascun prodotto è identificato con un nome che si ricollega a quello
della Marca o allude all’area semantica individuata da un determinato valore-
sentimento, la cui evocazione può essere rafforzata anche da un referente
simbolico sulla bottiglia. (es: Amorosa è il distillato dell’amore).
• Simbologia: sulle bottiglie sono presenti simboli che identificano i prodotti,
come referenti del contenuto (i piccioli di ciliegia o le drupe dei lamponi per
indicare i rispettivi distillati di frutta) o in quanto evocativi di dimensioni
emozionali:
Anello colorato: simbolo dell’amore
Tre anelli: simbolo dei tre tipi di legno in cui invecchia l’Arzente.
Il fulmine: simbolo del distillato di pere in quanto un fulmine colpì realmente
la distilleria nell’86 durante la distillazione di questo frutto.
• Colore: l’uso del colore (nei tappi o nei simboli delle bottiglie), collegato
all’aspetto organolettico, attraverso una cromo-semiologia riportata sulle
brochure, rappresenta uno strumento conoscitivo efficace anche per
consumatori inesperti.
Inoltre l’uso di tre colori- beige, grigio e vinaccia- per i caratteri usati sulle
confezioni e sulle brochure informative, concorre ad esprimere l’idea di
semplicità e a mantenere continuità e coerenza nel proprio discorso.
236
• Uso dell’aggettivazione: nelle etichette sulle bottiglie, ma anche sugli scaffali
dove sono esposte, Poli mira a fornire al consumatore un vocabolario atto al
riconoscimento e alla memorizzazione degli stimoli olfattivi e gustativi del
prodotto. Gli aggettivi scelti per descrivere le caratteristiche organolettiche
sono fortemente evocativi e carichi di senso: “amabile”, “seducente”,
“generosa”, “sincera”, “delicata”, “raffinata”, “vellutata”, “affascinante”,
“suadente”, “avvolgente”, “soffusa”, “provocante”, “aristocratica”, “vibrante”,
“soave”.
• Sicurezza: il valore del packaging in funzione di protezione si rivela molto
importante data la fragilità del contenitore e la preziosità del contenuto. Poli
coniuga nella confezione valenza estetica, semplicità, facilità di stoccaggio
(per il distributore) e sicurezza.
237
ovvero la confezione per una singola bottiglia, rappresenta un interessante esempio
di packaging. Si tratta di un cilindro in rame (lo stesso materiale dell’alambicco),
sulla cui superficie, con una disposizione analoga a quelle delle etichette sulle
bottiglie, è indicato in alto, “Poli”, nella parte mediana lo slogan, con la grafica e la
firma di Jacopo Poli e in basso il logo che raffigura il mastro grappaiolo e la scritta
“Dal 1898 Grappaioli”. Nello spazio compreso tra la Marca e la scritta inferiore, il
valore della tradizione emerge attraverso l’elenco, appena percettibile, in modo da
non appesantire la tonalità calda dello sfondo, dei cento anni trascorsi dal 1898 al
1998. L’affermazione: “fare Buona Grappa è semplice: bastano vinacce fresche e
cento anni di esperienza”, sovrapposta a questo elenco, non è allora solo uno
slogan, è patto di fiducia, scritto e firmato da Jacopo Poli e garantito dalla tradizione.
Il tubo, in relazione alla sua specifica funzione rinforza ulteriormente l’idea della
Marca Poli come affidabile, oltre che originale interprete della tradizione. Inoltre
acquisisce un suo ruolo anche nel “rituale di vendita”. La bottiglia viene avvolta in
una velina con il logo iterato in piccolo in cui sono inseriti un biglietto di
ringraziamento per la scelta del distillato e una scheda tecnica sullo specifico
prodotto. La bottiglia viene quindi inserita nel tubo con le brochure informative
relative e bloccata mediante un “ferma collo”, in cui è riportato il nome della Marca,
che ne impedisce il movimento nel tubo. Anche la busta in carta per il trasporto
riportata il logo, gli anni della tradizione e lo slogan.
Ogni linea di prodotti Poli è caratterizzata da un nome (brevettato), che si riferisce
ad un valore dell’identità di Marca o al nome stesso della Marca:
Sarpa: deriva dal dialetto veneto e significa vinaccia. Identifica un distillato dal
sapore tradizionale, ottenuto da uve rosse.
Po’: significa “un po’ di Poli”.
Grappa Museum: è una linea di Grappe polivitigno, da aromatizzare a casa con un
aroma contenuto nella confezione e dedicate ai Padri della Distillazione. Ogni
personaggio è associato ad un’annata e ad uno specifico aroma. Il piano dell’opera
inizia intitolando l’edizione 1990 allo spagnolo Ramon Llull, seguono Arnaldo da
Villanova, Michele Savonarola, Hieronymus Brunschwig, Andrea Liebant. L’etichetta
sulla confezione riporta alcuni cenni biografici sulla vita del personaggio e il suo
contributo alla storia della distillazione. Nella brochure all’interno si legge: “Grappa
Museum è un invito a scoprire il piacere di creare il proprio infuso seguendo il gusto
238
personale, dosando opportunamente gli ingredienti fondamentali che costituiscono
lo spirito dell’opera: la Grappa, le erbe naturali, il tempo”.
La prima contiene riproduzioni del materiale presente nel Museo e serve da guida
durante la visita. Il secondo, pubblicato in edizione limitata, rappresenta una
ricostruzione storica della distillazione sulla base dei testi antichi e rari che
appartengono alla “Biblioteca Poli”.
Poli attraverso le brochure non vuole solo “mostrare” i suoi prodotti, vuole che il
consumatore impari a conoscerli per poterli apprezzare: “quanto più le
caratteristiche del distillato coincidono con le preferenze di chi lo degusta, tanto
maggiore sarà il piacere dell’assaggio”, sulla base del presupposto per cui “ogni
grappa ha un gusto diverso, ogni persona ha un gusto diverso”.
La cromo-semiologia organolettica attraverso l’uso dei colori mira a fornire, in modo
semplice e intuitivo, dei parametri grazie ai quali anche un consumatore inesperto
può orientarsi nella scelta del distillato più appropriato al proprio palato.
Tali rappresentazioni, disponibili in diverse lingue, semplificano notevolmente
l’informazione sul prodotto che i venditori, sia nei punti vendita diretti, sia nei mercati
esteri, devono comunicare. Per mezzo di uno strumento semplice, ma molto curato
sul piano estetico, il consumatore viene prima incuriosito, poi invitato a sperimentare
239
su di sé il significato di quei colori o delle suggestive coppie oppositive di aggettivi
che definiscono un distillato.
Anche i supporti informativi, come i prodotti e il packaging sono soggetti a una
continua opera di revisione-innovazione per aggiornamenti del portafoglio-prodotti e
per comunicare la modernità dell’azienda.
La Poli-cromia è un diagramma che indica il profilo aromatico prevalente di un
distillato attraverso la combinazione degli aromi primari: fruttato, floreale, erbaceo e
speziato. Rappresenta un’evoluzione della cromo-semiologia per i seguenti motivi:
• l’appropriazione del nome dello strumento informativo da parte della Marca;
• il maggiore impatto visivo;
• il riferimento a stimoli olfattivi e gustativi concreti;
• la presenza di tutta la gamma dei prodotti, comprese le grappe aromatizzate,
prima escluse;
• l’uso di un carattere grafico accattivante;
• un linguaggio semplice, ma che vuole suscitare sorpresa.
“La Grappa non esiste”. Così inizia il breve testo ai lati del diagramma, per
introdurre la specificazione successiva: “Esistono le Grappe, ognuna differente.
Perché differenti sono: il vitigno, l’alambicco, la vinaccia, l’annata, lo stile… Elementi
variabili che creano un universo multicolore di Grappe uniche ed irripetibili.”
Se la Poli-cromia si colloca nella parte interna del pieghevole, sul retro Poli racconta
la propria storia: quella della famiglia, della distilleria, del sistema di distillazione e
del Museo, con il supporto di foto che alleggeriscono il testo e al tempo stesso
rafforzano il discorso.
Il linguaggio usato è semplice, amichevole, quasi confidenziale: i predecessori sono
chiamati per nome e a raccontare è il Sign. Poli in prima persona, chi legge si sente
vicino e partecipe del mondo narrato.
I personaggi sono tratteggiati in modo molto efficace, in poche righe. Attraverso le
caratteristiche loro attribuite traspare il nucleo dei valori su cui si basa l’identità
dell’azienda e della Marca.
240
10.11.5 Promozione e visite dirette in azienda
Per rinforzare l’immagine della Grappa nei mercati esteri l’azienda Poli è coinvolta
da alcuni anni in una collaborazione per la produzione di Grappe dal mondo.
In particolare Poli collabora con le famiglie Mondavi, il più importante produttore di
vino in California, e Frescobaldi di Firenze, assieme ai quali è stata creata una
grappa a firma congiunta. Dapprima, nel 1993, nasce la joint venture Mondavi-
Frescobaldi che si propone la creazione di un vino nuovo, di alta qualità, chiamato
“Luce”. Successivamente, nel 1997, il rapporto di collaborazione tra i due autorevoli
produttori di vino si estende alla Distilleria Poli, che ha in esclusiva il compito di
distillare le vinacce di Luce.
241
Si tratta del primo caso in assoluto di cooperazione internazionale nella storia del
più importante distillato italiano.
Un altro progetto per rafforzare l’immagine della grappa sui mercati internazionali,
riguarda il rapporto di collaborazione con il Marchese Incisa della Boccetta,
produttore del Sassicaia, il vino italiano più famoso al mondo.
Rappresenta lo strumento più originale utilizzato da Poli, oltre che la sintesi del suo
progetto comunicativo. Caso unico nel settore, il Museo della Grappa, collocato a
Bassano, in uno spazio raccolto e suggestivo al paino basso di un nobile palazzo
del ‘400 di fronte al Ponte Vecchio, si configura come un itinerario didattico, breve,
ma esauriente che ripercorre la storia della distillazione e della Grappa, dall’antichità
ad oggi.
L’idea di creare un centro per la promozione del distillato nazionale nasce a Jacopo
Poli in seguito alle visite nelle zone di produzione del Cognac, dell’Armagnac, del
Calvados, del Whisky, dove esiste un’intensa attività di promozione a supporto di
questi distillati. In particolare la Francia si configura come paese all’avanguardia in
una serie di attività che si possono riassumere con il nome di ecomuseo e i cui
presupposti sono:
• Patrimonio culturale da salvare;
• Tecnologia;
• Interesse palese o latente delle persone.
• All’inizio del secolo in Italia c’erano 2000 alambicchi funzionanti mentre oggi
ne sono rimasti solamente 113. E’ evidente come ci sia un’esigenza di tutela
di un patrimonio culturale che sta scomparendo;
• Di questi 113 alambicchi 34 sono industriali e 89 artigianali; questi ultimi si
possono considerare figli dell’antica tradizione alchemica le cui origini si
perdono nella notte dei tempi.
• L’operazione della distillazione è sempre stata circondata da una aurea di
mistero, che affascina i curiosi e nello stesso tempo li tiene distanti.
242
In generale i distillati sono sempre stati fonte di un certo interesse, sfruttato
con maggiore o minore abilità commerciale a seconda dei casi.
Da queste considerazioni nel 1993 è nato il Poli Museo della Grappa (il termine
museo va inteso nella corretta accezione: didattica, non conservativa), la cui
collaborazione si rivela fondamentale dal punto di vista del placement strategico,
tanto da permettere a Poli di insidiare persino il primato di visibilità del famoso
marchio Nardini, che a Bassano ha la sua sede di rappresentanza.
Occorre precisare, però, che in seguito alla strategia di riposizionamento intrapresa,
la Distilleria Poli non si configura come concorrente rispetto all’industria Nardini,
leader sul mercato nazionale per capacità produttiva, in quanto le due aziende si
rivolgono a target di pubblico diversi.
Bassano del Grappa, città d’arte e cultura, è una meta turistica frequentata da
persone provenienti da ogni parte del mondo – basta dare un’occhiata ai guestbook
del Museo – molte delle quali, soprattutto Austriaci e Tedeschi, vi giungono, oggi,
proprio per recarsi al Museo della Grappa (aperto 362 giorni all’anno).
Attraverso il Museo e la Distilleria, Poli comunica direttamente con più di 150000
persone ogni anno, molte delle quali prima di quest’esperienza non sapevano
nemmeno cosa fosse la vinaccia. Dice Jacopo Poli: “Se riusciamo a far si che
queste persone, o l’ignaro viandante che capita per caso nel nostro Museo, ne
escano pensando che nella grappa c’è un po’ più di storia di quanto pensassero, un
po’ più di cultura, un po’ più di tecnologia, insomma che la grappa è un po’ di
più…,noi avremo raggiunto il nostro obiettivo.”
243
3) generare un principio di legittimità (prodotta e riconosciuta).
244
Conclusioni
245
I passi in avanti realizzati negli ultimi anni nel risanamento dei conti pubblici e nelle
riforme per aumentare il grado di concorrenza dei mercati non sono stati sufficienti a
innalzare adeguatamente il tasso di crescita della produzione, che è rimasto
sensibilmente inferiore alla media dell’area dell’euro, frenato principalmente dal
ristagno della produttività.
Risultati relativamente migliori sono stati ottenuti dalle esportazioni, che nel 2007
hanno fatto registrare un leggero aumento della loro quota sul mercato mondiale.
Segni di vitalità sono evidenti nella risposta che molte imprese hanno saputo dare
negli ultimi anni alle accresciute pressioni competitive, affinando le strategie di
prezzo, migliorando la composizione qualitativa delle vendite, imboccando percorsi
differenziati di internazionalizzazione produttiva. Ne deriva anche una graduale
evoluzione del modello di specializzazione delle esportazioni, che attenua i suoi
vantaggi comparati tradizionali
nei beni di consumo per la persona e per la casa, qualificandoli verso i segmenti di
mercato più remunerativi, e si concentra sempre di più in vari comparti dell’industria
metal-meccanica.
Anche il recupero di quota del 2007 può essere letto in questa chiave.
Esso è stato infatti determinato da un effetto favorevole di composizione settoriale
della domanda mondiale, che si è orientata in misura maggiore verso i beni
d’investimento in cui l’Italia è specializzata. È però ancora presto per sapere se si
sia trattato di una circostanza occasionale, simile ad altre occorse in passato, o se si
stia configurando il superamento di quella inefficienza dinamica del modello di
specializzazione dell’economia italiana (la sua concentrazione in settori a domanda
mondiale relativamente lenta), che spiega gran parte del declino di quota delle
esportazioni rispetto agli altri paesi dell’area dell’euro nell’ultimo decennio.
Su questo quadro incerto va proiettato il forte ulteriore rallentamento della
produzione e degli scambi con l’estero, e il concomitante rincaro delle materie
prime, che emergono dai dati del primo trimestre 2008 e delle stime per i prossimi
mesi. È come se il raggelarsi della congiuntura internazionale avesse messo a nudo
la vulnerabilità dell’economia italiana, la fragilità dei progressi conseguiti
recentemente.
I vincoli strutturali che ne frenano la crescita restano, come già accennato, in gran
parte irrisolti. Tra di essi un ruolo importante spetta alle restrizioni della concorrenza
dei mercati, da cui dipendono l’efficacia del processo di selezione delle imprese e
l’intensità degli stimoli all’innovazione.
246
La qualità della concorrenza, a sua volta, riflette quella delle istituzioni e delle
politiche che la regolano. Vi concorre in vari modi l’insieme degli strumenti pubblici
di intervento sulle relazioni economiche internazionali del paese, sia quelli che
mirano a sostenere l’internazionalizzazione delle imprese, sia quelli che
determinano l’esposizione dei mercati interni alla concorrenza delle importazioni e
degli investimenti esteri.
L’Italia soffre di un evidente deficit di apertura internazionale: la quota di produzione
destinata ai mercati esteri e la porzione di domanda interna coperta dalle
importazioni, pur essendo aumentate, restano le più basse tra i grandi paesi
europei. Un numero crescente di imprese italiane, come si è detto, sta imparando i
percorsi dell’internazionalizzazione produttiva, ma il ritardo da colmare appare
ancora ampio e le ridotte dimensioni medie delle imprese ne rendono più difficile il
superamento. La capacità del sistema economico italiano di attrarre investimenti
esteri, anch’essa nettamente inferiore rispetto agli altri paesi europei, sembra
essersi ulteriormente ridimensionata negli ultimi anni.
Le politiche di promozione delle attività internazionali delle imprese – e in primo
luogo i servizi offerti dall’ICE e dagli altri enti nazionali impegnati in questo campo –
possono dare un contributo importante all’apertura e all’ammodernamento del
tessuto imprenditoriale, facilitando la diffusione delle innovazioni organizzative
necessarie per affrontare con successo i mercati esteri. Un ruolo particolarmente
utile spetta ai programmi di formazione, volti ad accrescere le competenze
professionali dei soggetti coinvolti nei processi di internazionalizzazione.
Altre politiche, prevalentemente nazionali e locali, influiscono sulle condizioni
strutturali da cui dipende l’interesse delle multinazionali straniere a investire in Italia,
nonché la capacità di assorbire i benefici che ne derivano da parte delle aree in cui
esse si insediano.
È tuttavia sempre stata decisiva, per l’apertura e lo sviluppo dell’economia italiana,
la qualità della politica commerciale comune dell’Unione europea, la sua capacità di
promuovere una graduale liberalizzazione degli scambi e degli investimenti
internazionali, che generi stimoli competitivi sul mercato interno e opportunità di
espansione su quelli esteri.
I problemi che bloccano, all’interno dell’OMC, i negoziati multilaterali della Doha
Development Agenda, la deriva disordinata verso la moltiplicazione degli accordi
bilaterali, le tentazioni protezioniste sempre in agguato, anche nei confronti degli
investimenti stranieri – in breve, i sintomi di arretramento della globalizzazione –
247
sono un pericolo serio non soltanto per i paesi emergenti, che devono i loro
successi recenti proprio alla maggiore integrazione internazionale, ma anche per gli
interessi dell’Italia.
Il benessere economico e il progresso sociale del nostro paese non sono minacciati
dalla concorrenza straniera. Il vero pericolo viene dall’interno.
È la paura dell’integrazione internazionale, la paura di affrontare le riforme
necessarie per partecipare ai benefici che ne derivano.
Soffermandoci in specifico sul lavoro svolto non posso fare altro che pensare come
il mondo e soprattutto il mercato mondiale stiano cambiando. E’ ormai chiaro come i
ruoli e i soggetti economici in Asia stiano diventando i principali promotori di questo
cambiamento. Non è semplice dare una previsione di quello che potrebbe accadere
nei prossimi anni, i diversi gradi di sviluppo dei diversi paesi che convivono e altri
fattori potrebbero determinare molteplici scenari dal punto di vista economico.
In primo luogo, l’Associazione dell’Asean potrebbe non essere in grado di superare
le difficoltà interne e ciò porterebbe ad una divisione economica dell’area ai due
giganti asiatici, Cina ed India. La Cina, favorita dall’area di libero scambio, dalla sua
capacità di attrarre e veicolare l’attenzione di tutto ciò che sta sotto la sua influenza
(vedi Hong Kong) andrebbe a richiamare a se i paesi meno sviluppati, a lei vicini
(Myanmar, Laos, e Cambogia).
L’India, invece, vedrebbe tra sue file Singapore e i paesi che da essa più dipendono
(Malesia e Indonesia) con cui condividerebbe: la lingua, la tradizione britannica, un’
economia che fa della ricerca e dell’ alta tecnologia i suoi punti di diamante.
Una simile spartizione sembra, ad oggi, lo scenario più probabile vista l’immensa
quantità di risorse da una parte e l’incredibile posizione strategica dall’altra
(Singapore garantisce un canale preferenziale di sbocco sulle Americhe e sull’
Australia).
Se invece si riuscisse nell’intento di tenere i paesi Asean uniti si potrebbe arrivare
alla conclusione del progetto portato avanti sulla falsa riga di quello Europeo.
L’economia mondiale vedrebbe così la nascita di un colosso mondiale costituito da
un mercato interno di oltre 600 milioni di consumatori, tassi di crescita tre/quattro
volte superiori a quelli americani o europei, ricco di risorse sia minerarie sia umane,
punto di passaggio forzato sulle rotte di ben quattro continenti, con grandi centri di
attrazione per gli investimenti e provvisto di un’ economia nel complesso eterogenea
e per questo assolutamente autosufficiente.
248
Questa situazione però potrebbe mettere alle corde Stati Uniti ed Europa, cioè
coloro che hanno trainato l’economia globale, fino ad oggi; le quali stanno attuando
contromisure necessarie affinché le proprie imprese riescano ad adeguarsi a questa
evoluzione.
L’Europa, attraverso i canali politici e accordi d’investimento, sta cercando di
tutelare i propri interessi nel commercio internazionale all’interno dell’Asean ,
nonostante le difficoltà provocate dalle più o meno gravi crisi economiche interne
che a turno stanno colpendo gli stati europei.
Per quanto riguarda l’Italia bisogna fare particolare attenzione alle P.m.i. (vero
motore dell’economia, in Europa le imprese con un numero di addetti inferiori a 250
rappresentano oltre il 99% delle imprese e assorbono circa i due terzi sia del
fatturato sia dell’occupazione totale) le quali necessitano maggiormente di supporto
e di incentivi per realizzare i propri investimenti all’estero altrimenti non potranno
approfittare delle favorevoli condizioni normative, economiche e logistiche offerte dai
paesi del Sud-Est Asiatico e soprattutto da Singapore. Queste iniziative
però,devono trovare appoggio e assistenza dei singoli governi altrimenti sarebbero
pressoché inutili.
Dopo la mia esperienza di stage presso la Camera di Commercio Italiana a
Singapore non ho potuto non notare la volontà da parte degli imprenditori italiani di
rischiare e di tentare di entrare in mercati così lontani e con regole così diverse dalle
nostre, come quello singaporeano. Questo nel nome della globalizzazione che
permette di rimanere competitivi solo innovando e ricercando sempre nuovi mercati.
L’imprenditore italiano, propenso ad uscire dai confini nazionali, si trova spesso di
fronte a disinformazione e mancanza di fiducia nei confronti delle istituzioni, che
portano le P.m.i. a rinunciare ai propri progetti di espansione alla prima difficoltà.
Questo assottiglia ancora di più la lista delle imprese capaci di competere in un
mercato globale.
Di recente, però, qualcosa sta cambiando (si veda le missioni della Regione
Lombardia nel Giugno 2008 e della regione Veneto nel Novembre 2008), tuttavia i
fondi e gli strumenti messi a disposizione alle nostre aziende sono ancora troppo
poco pubblicizzati ed esigui, le imprese sono costrette a basarsi solo sulle proprie
forze se vogliono affacciarsi nel mercato sud-orientale.
Per tutte le P.m.i. che invece non posseggono le capacità di affacciarsi da sole nei
mercati asiatici non resta che concentrare le proprie forze nel produrre prodotti e
249
servizi così detti di nicchia, che si possano far fregio del valore aggiunto del marchio
Made in Italy e ciò che esso rappresenta nel mercato mondiale.
250
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