Sei sulla pagina 1di 26

IRONIA ‘COMICA’ E RISO: QUALCHE ESEMPIO DA E URIPIDE

oiJ […] ejgkalou'si tw'/ Eujripivdh/ favskonte" ejpi;


tragikoi'" proswvpoi" kwmw/divan aujto;n diateqei'sqai
(schol. Eur. Andr. 32, II 254, 11-17 Schw.)

Il mio intervento, come altri in questo incontro, è dedicato ad un versante partico-


lare del comico, quello presente in tragedia. Si ripropone perciò in primo luogo la
stessa questione, la stessa domanda che abbiamo sentito porre (in altri termini, da
altri punti di vista) ieri mattina e questo pomeriggio: è lecito (o fino a che punto è
lecito) usare in questa circostanza lo stesso termine, ‘comicità’, immaginando dun-
que che il riso (o il sorriso) possa essere uno degli obiettivi - certo occasionale, mo-
mentaneo - della tragedia?
Negli ultimi tempi è possibile leggere con sempre maggior frequenza inviti alla
cautela ed alla necessità di riflettere attentamente prima di concludere che un motivo
che appare ‘comico’ 1 ad una sensibilità moderna o un passo che provoca in noi ilari-
tà potesse avere lo stesso effetto su uno spettatore di V secolo, in un diverso sistema
di cultura2 . Ma non manca anche chi, in maniera più o meno esplicita, ritiene che il

1
Comico è qui usato, un po’ estensivamente, nel senso proposto da Seidensticker 1978, 305 (=
2005, 124) come «a general term for the ‘laughable’ (to; geloi'on) in its various manifestations
and tones», per designare o qualificare cioè scene, motivi, singole espressioni di tono divertente o
dal risvolto umoristico, che coniugano, come si dice, ‘ridicule en fait’ e ‘ridicule en dit’, umori-
smo delle azioni ed umorismo delle parole. Vd. anche Seidensticker 1982, 44 s. In esso è ambi-
guamente congiunto, senza tuttavia coincidere integralmente, sia il senso di ‘appartenente alla
commedia’, sia il senso qui più specificamente adottato di ‘atto a suscitare il riso’. Inappropriato
appare esso invece, ad esempio, a Taplin 1996, 189, che annota: «it is important to insist on trans-
lating gevloion as ‘amusing’ or ‘laughter-arousing’, not as ‘comic’» (p. 199 n. 5). Si tratta in ogni
caso di una forma di ‘comico’ che non coincide se non molto parzialmente con quello della com-
media contemporanea, anche se è da osservare che essa si caratterizza per la concomitante presen-
za di una grande varietà di forme, dal turpiloquio e dall’oscenità aggressiva alla parodia più sotti-
le, passando per la caricatura burlesca, la garbata ironia e la fine arguzia. Sull’uso del termine
kwmikov" nella letteratura erudita (scoliastica e lessicografica), utili riferimenti in Trautner 1907,
52 n. 1. Vd. anche Meijering 1987.
2
Si veda in particolare Gregory 2000, 59-74. La studiosa mette in discussione la diffusa opinione
che vede in Euripide un «transgressor of generic boundaries», cominciando con l’osservare che
essa mal si accorda con la sua antica reputazione di tragikwvtatov" ge tw'n poihtw'n (Ar. Poet.
1453a 29 s.). Dall’esame di tre passi euripidei (Andr. 222-27, Tro. 1049-51, Bacch. 506-08) de-
sume al contrario l’inaffidabilità di indizi quali i riferimenti al riso interni al testo o la presenza
del termine gevloio" negli scoli, e rileva che in ciascun caso «their seriousness is vouched for by
some combination of language, context and intertext» (p. 74). Nella convinzione che i tratti distin-
tivi discriminanti fra tragedia e commedia conservino interamente il loro valore, una netta ed ar-
gomentata opposizione ad un’interpretazione in senso ‘comico’ di aspetti e passaggi dell’opera
euripidea ha manifestato in più occasioni anche G. Basta Donzelli (2000, 63-69; 2006, 1-17), che
G.F. Nieddu

‘comico’ sia di per sé incompatibile con il contesto (il rito, il genere, la vicenda)
della tragedia, e dunque non possa avere spazio in essa o produrvi il suo effetto natu-
rale3. Non possediamo purtroppo testimonianze sulla reazione dei primi spettatori ai
passi di tragedia che a noi moderni appaiono ‘comici’ o divertenti 4; non possiamo
contare, se non in casi eccezionali e controversi, sui commenti degli interlocutori in
scena o sull’aiuto di indicazioni di regia5 , e siamo privi di ogni informazione di natu-
ra pragmatica, sulle modalità di esecuzione - l’intonazione, la modulazione della
voce, la mimica gestuale (i cosiddetti segnali prosodici e mimici, cinesici, prossemi-
ci, capaci di rendere esplicita l’intenzione del locutore e dunque dell’autore) - e sulla
realizzazione scenica di un testo. Tuttavia, non mancano, a mio avviso, elementi
concreti ed oggettivi che ci permettano di riconoscere, soprattutto in talune tragedie
della produzione euripidea uno ‘spazio’ destinato al riso - o quantomeno al sorriso6 .

sottopone ad una puntuale analisi gli elementi (il lieto fine, il realismo domestico, gli effetti di
certe scene) ed i singoli esempi addotti a sostegno della tonalità comica di alcuni drammi.
3
Un «obstacle épistémologique» al riconoscimento della presenza del comico nella tragedia greca -
osserva Jouanna 1998, 163-65, riprendendo una questione lungamente dibattuta - è rappresentata
dalla riflessione dei teorici antichi: «les affirmations d’Aristote sur la séparation des genres, co-
médie et tragédie, ainsi que sur la différence de nature entre auteurs tragiques et auteurs comiques,
loin de reposer sur un préjugé, ne sont que la codification d’un usage en vigueur au Ve siècle» (p.
164). Non bisogna dunque trascurare - avverte lo studioso (p. 165) - che «quand on parle
d’éléments comiques dans la tragédie grecque, on s’exprime avec un décalage certain par rapport
aux concepts des Anciens, théoriciens et auteurs tragiques eux-mêmes».
4
Ci sono giunte però alcune preziose annotazioni scoliastiche che sottolineano la novità della
tragedia euripidea e segnalano in particolare l’effetto comico (to; gevloion) di una scena o battuta,
o ne biasimano le cadute di stile: scholl. Hipp. 860 geloi'on pro; " nekro;n to; qavrsei, Tro. 1049
kai; tou'to gevloion, geloiovteron de; o} ajnterei', Andr. 32 oiJ […] ejgkalou'si tw'/ Eujripivdh/
favskonte" ejpi; tragikoi`~ proswvpoi~ kwmw/divan aujto;n diateqei`sqai, Or. 1512 ajnavxia kai;
tragw/diva" kai; th'" ’Orevstou sumfora'" ta; legovmena, 1521 tau'ta kwmikwvterav ejsti kai;
pezav e 1369 ejnteu`qen ejxevsth tou` ijdivou h[qou" oJ Eujripivdh" eJautw`/ ajnoivkeia levgwn. Se è vero,
come nota Gregory 2000, 65 s., che questo genere di annotazioni «does not necessarily reflect a
nuanced understanding either of the context or of tragic conventions», palesemente ingiustificato
è però affermare in generale che il ricorrere in esse del termine gevloio~ «does not provide even
an approximate guide to the presence of comic elements in a tragic text». Qualche perplessità
desta anche il suo richiamo alla necessità di distinguere in maniera netta, in gevloion, tra «joke» e
«ridiculous» o «incongruous»: il senso di ‘scherzo’, ‘facezia’ è sicuramente fuor di luogo per
Hipp. 860 e nessuno, mi sembra, l’abbia proposto, ma non si può dire altrettanto a proposito di
Tro. 1050 (vd. oltre, pp. 239 s.). È da osservare inoltre che il «ridicolo» o l’«incongruo» non sono
comunque assolutamente estranei alla nozione di comico o alla sfera del riso. Indotta da un errore
di dizione invece l’inevitabile esplosione di ilarità seguita all’infortunio occorso all’attore durante
la prima rappresentazione dell’Oreste (schol. v. 279; cf. anche scholl. Ar. Ran.303 s.).
5
Particolarmente significative quelle, esplicite ed implicite, contenute nelle Baccanti (vv. 933 s.,
941 s.; 925 s., 930 s., 937 s., 943 s.): vd. Seidensticker 1982, 125 n. 47.
6
La questione della presenza di elementi ‘comici’ in Euripide, sulla quale si era appuntata
l’attenzione degli studiosi già dagli inizi del secolo scorso (Schmidt 1905, Trautner 1907, Leo
19122 , 165-67, Rearden 1914), ha visto nell’ultimo cinquantennio una considerevole fioritura di

- 230 -
Ironia ‘comica’ e riso

Voglio subito escludere da questa rassegna (una rassegna beninteso parziale) quel
particolare genere di ‘ridicolo’ in cui il riso non può prorompere perché lo spettatore
- quello moderno quanto, possiamo facilmente presumere, quello antico - è sopraf-
fatto dalla pietà e dall’orrore. In questi casi, il senso del tragico non viene meno,
anzi, è accresciuto dall’impossibilità di cedere alla reazione naturale di fronte a quel-
la che, in un diverso contesto, apparirebbe in tutto e per tutto una scena comica. È la
situazione che ci si presenta nella vita di tutti i giorni davanti alle parole insensate o
ai movimenti grotteschi di chi delira, o è fuori di senno.
L’esempio più frequentemente citato è la scena cruciale del quarto episodio delle
Baccanti, quando Penteo, caduto nella rete del dio (v. 848), esce dalla reggia «abbi-
gliato da donna, menade, baccante» (v. 915) con i capelli sontuosamente acconciati,
un peplo lungo sino ai piedi, la mitra e la pelle di cerbiatto. Nella direzione
dell’effetto preannunciato, quello di «esporlo al riso dei Tebani» (v. 854), opera in
maniera determinante il gioco scenico, la serie di gesti e movimenti che caratterizza-
no il momento della toilette (vv. 925-44) 7. Trasformato anche nell’intimo, Penteo
assume atteggiamenti ed attenzioni tipiche di una donna: «come ti sembro?», chiede
al suo interlocutore, e si lascia aggiustare i riccioli fuori posto, la cintura allentata e
le pieghe del peplo che non cadono con la dovuta eleganza. Questi tratti, in sé poten-
zialmente umoristici - come dimostra anche il confronto, spesso richiamato dai
commentatori, con l’analoga scena di travestimento del Parente di Euripide nelle
Tesmoforiazuse (vv. 253-63) 8 - non suscitano certo il riso nel pubblico, avvertito
della fine orrenda già segnata per il re della città (vv. 848-61). Euripide ha eviden-

studi. Si possono ricordare, senza alcuna pretesa di completezza, i nomi di G.M. Grube, L. Biffi,
H.E. Barnes, D.J. Conacher, B.M.W. Knox, A.P. Burnett, A. Morin, B. Seidensticker, Ch. Segal,
H.P. Foley, O. Taplin, A.N. Michelini, K. Matthiessen, M. Fusillo, N.T. Croally, E. Segal, K. Za-
charia, F.M. Dunn, J. Jouanna, G. Basta Donzelli, J. Gregory, M.S. Silk, S. Goldhill. Una rasse-
gna critica in Jouanna 1998, 161-63; Gregory 2000, 60-62. Anche se su singoli casi i giudizi ap-
paiono talora inconciliabili e non è oggettivamente agevole determinare il preciso grado di ‘comi-
cità’, in discussione non è in genere la presenza di elementi ‘comici’, quanto piuttosto la valuta-
zione della loro integrazione e del loro effetto nella dinamica interna della pièce, e più in generale
del loro significato per le opere in questione: sono esse ancora da considerare tragedie o sono di-
ventate qualcosa d’altro (tragicommedie, tragedie ironiche, melodrammi, commedie)?
7
Quasi «un compenso alla mancata messa in atto dell’annuncio», fatto al v. 854, di esporlo al riso
dei Tebani (Di Benedetto 2004, 152).
8
Sul rapporto con le Tesmoforiazuse, e più in generale sulle convenzioni e le funzioni del
travestimento nel teatro greco, vd. Muecke 1982, secondo cui (pp. 32-34) la scena di
travestimento nelle Baccanti segue le convenzioni della tragedia e non della commedia. «More re-
miniscent of comedy» considera invece le due scene di travestimento (vv. 170 ss. e 912 ss.).
Croally 1994, 239 s., che osserva «they also bring to mind (would parody be the wrong word?)
the frequency with which comedy exploits dressing-up in the form of disguise for comic effect».
A parere di Di Benedetto 2004, 40 s., infine, modello per il travestimento è precisamente
Aristofane. Cf. anche Foley 1985, 225-28.

- 231 -
G.F. Nieddu

temente qui voluto sperimentare, mediante l’uso sapiente del ridicolo, un effetto di
allucinata tragicità, che nulla (o ben poco) ha a che fare con la commedia, che cioè
non diversamente dal tragico suscita reazioni di pietà e orrore 9.
Ma questa valutazione non può essere estesa a tutti gli altri casi. Essa non può
valere, mi sembra, ad esempio per la scena iniziale della stessa tragedia (vv. 170-
209), quella in cui Tiresia e Cadmo - uno il venerando indovino, rappresentante
della religione tradizionale, ministro di Apollo; l’altro il fondatore e primo re di
Tebe, «uno più anziano dell’altro» - ci si mostrano a sorpresa abbigliati da baccanti,
con addosso la pelle di cerbiatto, il capo canuto incoronato di foglie di edera ed in
mano il tirso. Essi, «i soli saggi nella città», hanno accolto prontamente l’invito del
dio e si accingono ad andare a rendergli onore. Un vecchio guiderà l’altro,
prendendolo per mano come fosse un fanciullo (v. 193): gevrwn gevronta paidagw-
ghvsw s’ ejgwv; («io, vecchio, condurrò te, un altro vecchio, come un fanciullo?»), si
chiede Cadmo - come sembra - con stupore e imbarazzo10. E così essi si metteranno
in cammino tenendosi stretti, appaiati come una pariglia (vv. 197 s.): - ajll’ ejmh'"
e[cou cerov" | - ijdou', xuvnapte kai; xunwrivzou cevra (- «prendimi la mano»; -
«eccola! congiungila e aggiogala alla tua»). In queste parole ed in questi gesti ci
sono evidenti indizi di una rappresentazione dai risvolti potenzialmente comici 11.
Non esiste una lettura univoca del brano, una valutazione concorde sulla qualità

9
«Eine der komischsten Szenen der griechischen Tragödie - scrive Seidensticker 1982, 125 - ist
zugleich eine der grausamsten und mitleiderregendsten». In essa, osserva acutamente Segal 1982,
255 «Euripides […] depicts the ambiguity of illusionistic representation in the theater, the
paradox that the same mimetic art may give us both pleasure and pain». Che la mescolanza di
gevlw" e fovbo" possa qui essere considerata il frutto di una scelta consapevole dello stesso
Euripide, è avvalorato fra l’altro dalle parole messe in bocca al Messaggero nella descrizione della
reazione degli astanti davanti ai gesti folli di Eracle in HF 950: diplou'" d’ ojpadoi'" h\n gevlw"
fovbo" q’ oJmou'.
10
L’espressione era presente anche in Sofocle (Gell. Noct. Att. 13. 19. 3; Soph. fr. 695 R.): una
coincidenza verosimilmente non dovuta al caso, ma in cui è da ravvisare piuttosto una ‘citazione’
da parte di Euripide della formulazione sofoclea, significativamente modificata in senso interroga-
tivo. Ignoto è però purtroppo il contesto in cui essa originariamente compariva e dunque il preciso
valore dell’operazione compiuta da Euripide sul testo di Sofocle.
11
«Quando dunque Tiresia e Cadmo appaiono sulla scena vestiti da baccanti, essi non hanno fatto
altro che aderire agli inviti del dio e dei suoi seguaci», obietta Basta Donzelli 2006, 4, «perché gli
spettatori avrebbero dovuto vedere in questo qualcosa di comico?». Ma forse la risposta può tro-
varsi nel modo in cui il poeta rappresenta i due vecchi, nelle parole che mette loro in bocca, nel
paradossale accostamento cioè di gevrwn gevronta a paidagwghvsw e soprattutto nella forma in-
terrogativa della battuta, che pongono in particolare risalto l’anomalia e l’incongruenza della si-
tuazione descritta. Osserva opportunamente Foley 1985, 225 che «the theatrical point lies in the
lack of correspondence between the internal and the external, between the state of mind on the
one hand, and body and costume and movement on the other». Cf. anche Wilkins 1993, 137 s. (ad
680).

- 232 -
Ironia ‘comica’ e riso

modale della scena - una scena tragica con evidenti forme comiche 12. Tra gli
studiosi, c’è da un lato chi esalta, onde escludere ogni possibile effetto comico sul
pubblico, la consapevolezza dell’incombente catastrofe, e c’è invece chi sottolinea la
funzione quasi ‘didascalica’, da «testimone oculare e commentatore», delle parole
scandalizzate, di stupore ed indignazione, con cui Penteo commenta l’aspetto
sconcertante dei due vecchi, parole che offrirebbero una precisa chiave di lettura del
brano, suggerendo l’effetto voluto dall’autore13 : «vedo Tiresia, l’indovino, vestito
con pelli screziate di cerbiatto e con lui il padre di mia madre con una canna in mano
che fa il baccante - una cosa veramente ridicola» (polu;n gevlwn, v. 250). È
ragionevole pensare che questo suo atteggiamento di derisione e di scherno non
fosse condiviso dagli spettatori14, ma non è da escludere che lo stravagante
abbigliamento dei due anziani signori e soprattutto le loro battute, i gesti ed i
movimenti possano aver prodotto un iniziale moto di ilarità15: una reazione

12
«The Bacchae, though profoundly serious, contains scenes that appear distinctly comic», osserva
in proposito Segal 1982, 255, precisando che «[…] Euripides gives us a problematical and elusive
shifting of tone. We do not know for certain whether we should laugh or grieve». E così, a Dodds
19602 , 90 appare «evident» che «the slight portrait of Cadmus is touched with humour» (cf. anche
Verdenius 1988, 241 ad 175), mentre secondo Seaford 1996, 167 (ad 170-369) «the mood is not
comic but festive». Cf. anche Roux 1972, II 316 (ad 204 s.): «dans ces deux vers, Euripide répond
par avance aux commentateurs modernes qui voudraient interpréter cette scène comme un inter-
mède comique. Le zèle des deux vieillards n’a rien de risible; ils accomplissent un devoir qui
s’impose à tous, jeunes et vieux».
13
Così Seidensticker 1982, 121. Cf. già Deichgräber 1935, 327-30 («Aber sicher war der Eindruck,
den der hochbetage Seher […] und der uralte Kadmos im Bakchenkostüm machten […]. Als
später Pentheus die Bühne betritt […], kann er das Lachen nicht unterdrücken […]. Ich kann mir
nicht denken, daß der Eindruck bei dem Zuschauer anders gewesen ist, und das wußte der routi-
nierte Euripides […]») ed ora, fra gli altri, Zacharia 1995, 54 e Friedrich 2000, 120 s.
14
Una netta opposizione al riguardo hanno espresso ultimamente Gredley 1996, 206-08 («within the
tragic frame of Bakchai, his is a ‘comic’ reaction misplaced»); Gregory 2000, 67 («whether or not
Pentheus is laughing as he speaks, the audience is unlikely to interpret the scene as comic or hu-
morous on his account»); Basta Donzelli 2006, 9-12 («che essi [gli spettatori] partecipassero allo
scherno manifestato da Penteo per i devoti di Dioniso, e quindi per il dio stesso, è una ipotesi che
appare già prima facie scarsamente credibile», p. 10). Più possibilista Seidensticker 1982, 122
(«Gelächter ist also zumindestens eine mögliche Reaktion. Pentheus könnte natürlich im Unrecht
sein»). È naturalmente possibile pensare ad una risposta emotiva non univoca del pubblico (Gol-
dhill 2006, 95-97 e più in generale Zacharia 1995, 54), o quanto meno convenire con Michelini
1987, 67 che «in these moments of incongruity, the audience will not necessarily laugh, but they
will be aware of comic deflation and of a consequent wave of risibility». Il comportamento di
Penteo ha in ogni caso una sua peculiarità «in that, while the typical tragic character fears scorn,
he dispenses it» (Dillon 1990-91, 351, che molto opportunamente annota: «here and elsewhere it
is impossibile to say whether the laughing actually occurred on stage, and this would also un-
doubtedly vary with each production»).
15
La scena presenta tratti di incongruità in parte simili a quelli che caratterizzano la situazione
descritta in Ion 1171-76, dove il messaggero (il Servo di Creusa) racconta che un moto di
irrefrenabile ilarità (gevlwn d’ e[qhke sundeivpnoi" poluvn ) accolse l’improvvisa comparsa e

- 233 -
G.F. Nieddu

spontanea, involontaria, ad una situazione che si percepisce come ridicola, ancora


possibile in un momento del dramma in cui la minaccia tragica non è così
incombente16 - allo stesso modo, forse, in cui anche il più esperto spettatore della
Bohème può godersi con pieno divertimento, nel primo atto, l’incontro dei quattro
amici con il signor Benoit, pur consapevole degli sviluppi tragici della storia17 . Un
sorriso destinato, nel caso delle Baccanti, a spegnersi immediatamente non appena
entra in scena Penteo, il theomachos condannato, e fa sua quella reazione 18.
La presenza di elementi ‘comici’ nella tragedia euripidea si può tuttavia verifica-
re in maniera forse meno problematica in contesti che non presentano uno sviluppo
‘tragico’, traumatico, né immediato né remoto.
Prendiamo in primo luogo in considerazione il dialogo tra l’ormai vecchio Iolao,
deciso a scendere in battaglia, ed il fido ma perplesso Illo, il servo, o meglio
l’attendente, nel terzo episodio degli Eraclidi (vv. 687, 684, 685-86, 723-29 e 732-
39)19 :

Io. oujdei;" e[m¾ ejcqrw'n prosblevpwn ajnevxetai. -«nessuno dei nemici potrà sostenere il mio sguardo»

Qe. oujk e[st¾ ejn o[yei trau'ma mh; drwvsh" cerov". -«la vista non ferisce, se il braccio è debole!»

Io. tiv d¾; ouj qevnoimi ka]n ejgw; di¾ ajspivdo"; -«e che? non sarei in grado anch’io di colpire trapas-
sando lo scudo?»

Qe. qevnoi" a[n, ajlla; provsqen aujto;" a]n pevsoi". -«sì certo, ma prima potresti essere tu a finire per
[...] terra!» [...]

Qe. eij de; teucevwn fobh'/ bavro", -«se hai paura del peso delle armi, incamminati
nu'n me;n poreuvou gumnov", ejn de tavxesin senza indossarle, le porterò io fino al campo di batta-
kovsmw/ pukavzou tw'd/ ¾: ejgw; d¾ oi[sw tevw". glia»

l’inatteso (ridicolo) affannarsi del Vecchio Pedagogo con boccali d’acqua e coppe di vino nel bel
mezzo del banchetto organizzato da Xuto in onore del figlio.
16
È lo stesso Cadmo del resto a prevedere questa possibile reazione quando, di fronte alla novità
apparentemente sconcertante del suo comportamento, osserva (vv. 204 s.): «si dirà che non rispet-
to la mia vecchiaia, andando a danzare con la testa cinta di edera». Egli sembra qui anticipare la
reazione che sarà propria di Penteo (vv. 248-52).
17
È comune esperienza di quanti frequentano spettacoli teatrali o cinematografici che quote non
irrilevanti di spettatori - non solo all’interno di pubblici numerosi ed indiscriminati (‘popolari’,
come quelli di V secolo), ma anche all’interno di uditori ristretti e selezionati - si lasciano andare
spontaneamente al riso o al commento divertito davanti a scene o battute in sé incongrue o a pri-
ma vista inappropriate, pur nella generale consapevolezza di assistere ad una vicenda seria, preoc-
cupante, dolorosa, anche luttuosa.
18
Goldhill 2006, 91 («when Pentheus enters and laughs at Teiresias and Cadmus, any previous
audience laughter dies in the throat»). Basta Donzelli 2006, 12 («se essi [gli spettatori] ridono,
[...] è un riso che stringe il cuore»). Credo sia opportuno tener conto della differenza intercorrente
tra i due momenti.
19
Seguo la successione dei versi proposta da Zuntz e adottata da Diggle e Wilkins.

- 234 -
Ironia ‘comica’ e riso

Io. kalw'" e[lexa": ajll¾ ejmoi; provceir¾ e[cwn -«hai ragione! [...] mettimi però la lancia in mano e
teu'ch kovmize, ceiri; d¾ e[nqe" ojxvuvhn, sostieni il mio braccio sinistro, dirigendo i miei
laiovn t¾ e[paire ph'cun, eujquvnwn povda. passi»

Qe. h\ paidagwgei'n ga;r to;n oJplivthn crewvn; -«l’oplita dunque ha bisogno del pedagogo come un
[...] fanciullo?» […]

Io. e[peige: leifqei;" deina; peivsomai mavch". -«affretta il passo! non potrei sopportare di mancare
la battaglia»

Qe. suv toi braduvnei", oujk ejgwv, dokw'n ti dra'n. -«ma sei tu, non io, che vai lento, credendo di darti
da fare!»

Io. ou[koun oJra'"/ mou kw'lon wJ" ejpeivgetai; -«non vedi come si muove speditamente il mio pie-
de?»

Qe. oJrw' dokou'nta ma'llon h] speuvdontav se. -«vedo che immagini di andare più velocemente di
quanto non faccia!»

Io. ouj tau'ta levxei", hJnivk¾ a]n leuvssh/" m¾ ejkei' -«non parlerai così quando mi vedrai là...»
[...] […]
Io. di¾ ajspivdo" qeivnonta polemivwn tinav. «colpire qualcuno dei nemici trapassando lo scudo»

Qe. eij dhv poq¾ h{xomevn ge: tou'to ga;r fovbo". -«se mai arriveremo: questa la mia paura!»

È evidente il tono bonariamente irriverente degli interventi del servo che


commentano l’insensato proposito di Iolao di partecipare allo scontro decisivo e
smontano sistematicamente la sua orgogliosa ostentazione di vitalità e vigore
guerriero. Euripide sottolinea il carattere velleitario del progetto mettendo l’accento
sull’inadeguatezza del vecchio e sulle sue assurde pretese di essere capace di
trapassare con l’asta lo scudo dei nemici (un’impresa negata nelle battaglie iliadiche
ad eroi di ben altra prestanza fisica), anzi di poterli atterrire con il solo sguardo,
come avrebbe potuto fare Eracle ai suoi bei tempi, mentre nella realtà il suo corpo
senile non è in grado nemmeno di sopportare il peso dell’armatura e deve farsi
sostenere e guidare lungo il cammino come un fanciullo (paidagwgei'n to;n
ojplivthn)20 . La climax si raggiunge nel quadretto finale, quando i due si mettono
lentamente in cammino ed il vecchio, che procede appoggiandosi da una parte al
servo e dall’altra alla lancia che impugna come un bastone, incita il compagno ad
affrettarsi, non rendendosi conto che la sua convinzione di camminare speditamente
(come del resto quella di poter compiere imprese straordinarie) è solo un’illusione,
poiché come nota con ironica franchezza Illo, di quel passo il rischio concreto è un
altro, quello di non arrivare (eij dhv poq’ h[xomevn ge: tou'to ga;r fovbo")!

20
Ritroviamo qui uno dei motivi esaminati nella scena iniziale delle Baccanti.

- 235 -
G.F. Nieddu

L’innegabile coloritura comica è in questo caso attenuata dalla velata connotazio-


ne patetica: la decisione del vecchio compagno di Eracle di partecipare alla battaglia,
al cui annuncio egli sente riacquistare l’antico vigore, è seguita con un misto di af-
fettuosa commozione e paura, che trasforma il riso aperto in sorriso21 . Notevole è
comunque, anche questa volta, la ‘reazione’ esplicita di un co-protagonista (Illo),
che sembra voler offrire una precisa, inequivocabile, chiave di lettura della scena.
Il contrasto tra un passato glorioso ed un presente tutt’altro che eroico è
l’elemento che accomuna, nella ‘dimensione comica’, il vecchio Iolao con un
personaggio di ben diversa caratura, quello di Menelao, cui Euripide riserva invece
una simpatia assai inferiore. Si può parlare di una sorta di progressiva
‘degradazione’ di questo carattere; degradazione che, partendo dall’Andromaca e
dalle Troiane, si sviluppa fino all’Oreste, tragedia in cui, per la sua ingiustificata ed
eccessiva ponhriva, il personaggio si attira la critica di Aristotele (Poet. 1454a 28 s.,
1461b 21)22 .
Questo processo conosce uno dei momenti più significativi nell’Elena, dove egli
compare in scena lacero e malridotto, spogliato anche della sua esteriore dignità re-
gale23 , eppure, in modo patetico (per certi aspetti quasi risibile), cerca di fare valere
davanti alla vecchia Portinaia del palazzo, al quale si è accostato in cerca di aiuto, il
suo illustre passato: «ahimè! dov’è finito il mio glorioso esercito!» (v. 453)24 , escla-

21
Iolao è uno dei non pochi personaggi avanti negli anni che Euripide introduce nelle sue tragedie:
nella loro raffigurazione, a tratti che inducono alla compassione ed alla commozione si mescola
non di rado, come in questo caso, una certa dose di humour, che ne mette in gioco, anche solo per
un momento, la personale timhv. Fra le non molte voci che hanno espresso valutazioni contrarie a
quella che appare, pur nelle differenze di formulazione e di enfasi, la linea interpretativa prevalen-
te (vd. già Decharme 1893, 372 s. e Schmidt 1905, 26 s.), Weil 1897, 128 («il y a dans cette scè-
ne un contraste entre la débilité sénile et les intentions belliqueuses; mais ce contraste est-il comi-
que? Ne sert-il pas à faire admirer un courage digne du miracle que les dieux feront en faveur de
l’héroique vieillard? Les rieurs, s’il y avait dans le public antique [...], se trouvèrent confondus en
apprenant la bravoure de Iolaos») ed ancora Pohlenz 1961, I 408 («Euripide ha descritto con toni
crudi la fiacchezza del vecchio. Tuttavia ebbero torto i critici moderni che trovarono comico simi-
le spettacolo»). Come nota Barnes 1964, 127 «Iolaus’ unrealistic aspirations evoke laughter as
well as pity and fear. Neither the tragic nor the comic attitude can quite exclude its opposite». Cf.
ultimamente anche Gregory 2005, 266 s.
22
«Un modello di malvagità di carattere non necessaria è, per esempio, il Menelao dell’Oreste». È
la ‘debolezza’ della sua qualità eroica che lo consegna o espone in più circostanze al ridicolo.
23
Per togliergli ogni illusione di grandezza il poeta fa in modo che tutti notino i miseri stracci che lo
ricoprono. «Menelaus enters in rags like the best Euripidean kings - nota Bowie 1993, 218 -, but
Euripides writes parts of the scene as if he wished himself to make fun of this habit of so dressing
his heroes, when Menelaus is made to draw attention to his rags in a way that shows an odd con-
cern for couture (414-24)».
24
aijai': ta; kleina; pou' ’stiv moi strateuvmata; Sulle particolarità sintattiche ed espressive della
frase, vd. Kannicht 1969, II 134. A suo giudizio una definizione della battuta come «mock-

- 236 -
Ironia ‘comica’ e riso

ma con tono melodrammatico, soggiungendo: «dio! come siamo ingiustamente ol-


traggiati!» (v. 455) 25. La donna, incurante delle sue proteste, gli sbarra l’accesso, lo
respinge a forza, gli dà del seccante e, minacciando di percuoterlo, lo riduce a pia-
gnucolare miseramente (vv. 437-64)26 ; infine, di fronte alle sue pretese di grandezza,
lo sbeffeggia impietosamente (v. 454): oujkou'n ejkei' pou semno;" h\sq’, oujk ejnqavde
(«sì, certo! altrove magari sei stato un uomo di alto rango, qui non più!») 27. Questa
formulazione, che oppone senso ‘spaziale’ a senso ‘letterario’, sembra avere qui
un’implicita valenza metaletteraria: sembra cioè alludere ad una situazione in cui il
personaggio, spogliato della qualità propria dell'eroe tragico, la semnovth", si trova
come proiettato in una diversa realtà letteraria.
Questa non è l’unica situazione dell’Elena in cui l’eroe di omerica memoria viene
deriso senza pietà. Poco più avanti, proprio lui che, come non si manca di sottolinea-
re più volte, è malamente ricoperto di stracci strappati al naufragio («i pepli e gli
splendidi mantelli di un tempo, tutti gli ornamenti se li è portati via il mare», vv. 423
s.)28, quando Elena, riconoscendolo, si slancia fra le sue braccia (v. 566), la respinge
con un’esclamazione nella quale il timore superstizioso si unisce ad un’alterigia as-
solutamente fuori luogo (v. 567): poiva" davmarto"; mh; qivgh/" ejmw'n pevplwn («ma
quale sposa? non mi toccare i pepli!»). La comicità dell’espressione 29 fa qui parte
della comicità della situazione, nella quale Menelao si sente minacciato da una stra-
niera che è sua moglie e trovandosi per la prima volta dopo tanti anni davanti a sé la

heroic» (Thomson 1939, 150), non terrebbe conto del fatto che «das Pathos nicht in komischem,
sondern - jedenfalls der Intention nach - in tragischem Sinn ironisch zu verstehen ist».
25
w\ dai'mon, wJ" ajnavxi’ hjtimwvmeqa. «Men. redet, im Gegensatz zu dem rohen Ton der Alten, in
höchstem Pathos», commenta Kannicht 1969, II 135.
26
Dopo queste manifestazioni di debolezza esibite senza ritegno davanti all’umile Portinaia, lo
spettatore non avrà mancato di sorridere sentendolo orgogliosamente affermare rivolto a Teonoe:
«non potrei sopportare di prostrarmi ai tuoi piedi, né di versare lacrime» (vv. 947 s.). Nota al ri-
guardo Seidensticker 1982, 179 «die Ironie, mit der Euripides ihn in der Helena präsentiert, hat
nichts von der beißenden Schärfe, mit der er so oft die Heroen des Mythos attackiert [...]. Hier ist
der Ton nicht kritisch aggressiv, wie in dem Menelaos-Porträt der ‘Andromache’, sondern spöt-
tisch; nicht bissig, sondern amüsiert».
27
Su oujkou'n («assentient», «zustimmendes»), vd. Denniston, GP 437 s. e Kannicht 1969, II 134 s.,
che sottolinea la particolare pointe che questa forma piuttosto rara conferisce all’espressione («die
Alte stimmt dem Unkontrollierbaren großmütig zu, um desto brutaler auf dem zu bestehen, was
manifest ist»). Una nuova analisi della scena propone ora Mureddu 2003, 191-204, che individua
chiari segni di un ‘dialogo’ intertestuale tra Euripide e la sua controparte comica, Aristofane.
28
Cf. anche vv. 554, 790, 1024, 1079.
29
Poco eroico appare il tono anche a Burnett 1971, 83 («a hard line for heroic delivery when one
has no such garment to boast of»). Cf. anche Seidensticker 1982, 181 n. 138 («Denn auch, wenn
pevploi ganz neutral jede Art von ‘Körperbedeckung’ bedeuten kann, muß der Aufschrei des ab-
gerissenen Menelaos (nach den Versen 416 f., 421 f., 554) lächerlich wirken»). Al v. 1382 Elena
opporrà nettamente pevploi a stolhv: pevplou" d’ ajmeivyas’ ajnti; naufqovrou stolh`" .

- 237 -
G.F. Nieddu

vera Elena crede di avere un’allucinazione. A determinare il ridicolo, sul piano lin-
guistico, è in questo caso in particolare quel difetto della lexis, che verrà additato
come foriero di insuccesso oratorio da Aristotele (Rhet. 1408a 10-16): quello per cui
la dizione non si rivela «proporzionata» (ajnavlogo") al soggetto, e ci si esprime «con
solennità a proposito di questioni ordinarie», aggiungendo «ornamenti a parole tri-
viali». In questo caso - nota Aristotele - «il risultato sarà da commedia (kwmw/diva
faivnetai), come accadde a Cleofonte, poiché egli componeva frasi che equivarreb-
bero a dire ‘venerando fico’» (povtnia sukh').
Un altro tratto comico di questo Menelao è offerto dalla sua incapacità di
discernere, anche dopo l’avvenuto riconoscimento, la falsa Elena da quella reale, di
intemerata virtù30. Quando, ad esempio, costei si appresta a pronunciare il solenne
giuramento di uccidersi nel caso che il loro piano di fuga fallisca (v. 835), egli la
interrompe con inopportuna (quasi sarcastica) diffidenza (v. 836): «che dici? di voler
morire? che non passerai mai nel letto di un altro?» (tiv fh/v"/ ; qanei`sqai; kou[pot’
ajllavxei" levch;)31, dando ancora per scontata la sua disponibilità a farsi sedurre32.
Nel suo immaginario, Elena continua ad essere l’ideale oggetto di contese cruente,
da strappare al letto di ogni possibile rivale (in questo caso Teoclimeno), come
appare ancora, poco più avanti, dai propositi espressi ai vv. 842-44: «dopo aver
ucciso te ucciderò me. Ma prima combatteremo una grande battaglia per il tuo
‘letto’» (prw'ton d’ ajgw'na mevgan ajgwniouvmesqa | levktrwn uJpe;r sw`n)33 . Qui, al
senso proprio, primario di ‘letto’, luogo dell’eros - prevalente nel passo precedente -
si sovrappone quello traslato, metonimico, già tradizionale, di ‘matrimonio’ 34; ma
non mi sembra improbabile che - dopo il riferimento ai levch di v. 836 - l’altisonante
annuncio della «grande battaglia per il tuo ‘letto’», che rinnova il ricordo della

30
L’eroina, spesso diffamata altrove come «oversexed bitch» (Segal 1983, 248), appare qui para-
dossalmente trasformata in simbolo di fedeltà e di attaccamento all’amore coniugale.
31
Barnes 1964, soffermandosi sulla distinzione fra «tragicomic» («momentary, fleeting; usually
confined at most to a single scene») e «tragicomedy» (Alcesti, Elena, Ione, Oreste), vede nel pro-
posito di Menelao di uccidere la sua Elena, diffidando non senza ragione della sua volontà di mo-
rire piuttosto che di sottomettersi ad un altro uomo, un caso di «keener tragicomedy» (p. 130).
32
L’allusione tutt’altro che benevola alla comprovata non indisponibilità della donna a cambiar letto
(cf. anche Andr. 229-31) fa venire in mente la sboccata rappresentazione che di essa dà il Coro dei
satiri nel Ciclope (vv. 179-86, ad Odisseo): «allora certamente, presa la ragazza, ve la siete sbattu-
ta tutti a turno, visto che le piace andare a letto con molti uomini, la traditrice! Lei che vedendo il
paio di brache variopinte che quello aveva intorno alle gambe e la collana d’oro che portava attor-
no al collo è rimasta a bocca aperta e ha piantato in asso quel bravo uomo di Menelao».
33
Vd. Seidensticker 1982, 187 n. 163.
34
Sull’uso ed il valore di levco" e levktra in Euripide: Dale 1967, 109 (ad 637); Kannicht 1969, II
188 s. (ad 638); Schmiel 1972, 277 n. 3 («levco" is often used in connections with illicit relations,
levktra in comic or mock-heroic passages»); Croally 1994, 87 n. 39.

- 238 -
Ironia ‘comica’ e riso

guerra contro Troia, isolando levktrwn uJpe;r sw`n enfaticamente in enjambement,


potesse suonare ridicolo.
L’Elena, come si è detto, non è l’unica tragedia in cui Menelao fa questa parte.
Mi limiterò qui a citare altre due situazioni in cui Euripide gli infligge una battuta
paradossale, dai risvolti quasi grotteschi. Nell’Andromaca egli replica alle parole
della sventurata donna troiana, schierandosi a fianco di Ermione, con una dichiara-
zione che ha il sapore di una gaffe (vv. 370 s.): «io sto dalla parte di mia figlia: giu-
dico un fatto assai grave l’essere privati del ‘letto’». La frase megavla ga;r krivnw
tavde, | levcou" stevresqai, in bocca al personaggio che incarna la figura mitica del
marito tradìto ed abbandonato, costituisce una sottile malizia di Euripide, che sem-
bra qui divertirsi a fare del suo personaggio un campione dell’umorismo involonta-
rio, incapace di rendersi conto di richiamare alla mente degli spettatori il disastroso
fallimento del suo matrimonio35.
Un altro passaggio palesemente comico, segnalato già dagli scoli, si trova nelle
Troiane (vv. 1049 s.). È la goffa battuta con cui Menelao finge di ignorare
l’implicita accusa di debolezza contenuta nell’imperativa richiesta «non salga sulla
tua stessa nave»36, formulata da Ecuba: tiv d’ e[sti; mei'zon bri`qo" h] pavroiq’ e[cei;
(«ha forse acquistato maggior peso di prima?»), è la sua stravagante risposta (v.
1050). Il verso, la cui esegesi è stata spesso sottilmente tentata, proprio con lo scopo
di ‘espungere’ dalla tragedia un elemento apparentemente estraneo37 , trova invece, a
mio parere, una plausibile collocazione nel quadro delle innovative scelte euripidee

35
Come sappiamo dal già citato scolio al v. 32, c’era già chi nell’antichità biasimava Euripide di
aver attribuito connotati comici ai suoi personaggi, introducendo in tragedia, fra l’altro, «i sospetti
reciproci tra le donne, le gelosie, le ingiurie scambievoli…» (gunaikw`n te ga;r uJponoiva" kat’
ajllhvlwn kai; zhvlou" kai; loidoriva" kai; a[lla o{sa eij" kwmw/divan suntelei' ). L’argomento ad-
dotto dallo scoliaste a difesa di Euripide, che cioè la morte di Neottolemo ed il compianto di Peleo
rappresentano un esito altamente tragico, non annulla tuttavia le osservazioni sul carattere ‘comi-
co’ di certi personaggi, di aspetti o momenti dello sviluppo drammatico. Lo scolio testimonia co-
munque che i dissensi sulla peculiarità di certi drammi euripidei hanno interessato i critici (e ve-
rosimilmente gli spettatori e i lettori) sin dall’antichità.
36
Schol. 1049 kai; tou'to gevloion, geloiovteron de; o} ajnterei'.
37
Numerosi i tentativi di una lettura ‘seria’ del passo, come quelli di Buttrey 1978, 285-87, di Ko-
vacs 1998, 553-56 ed infine di Gregory 2000, 69-72 («there is reason to doubt that he [Menelaus]
is making a joke at all» [p. 71 e anche 70]; «the tone remains in doubt […]. In my own view, Me-
nelaus is genuinely puzzled as to Hecuba’s meaning» [p. 72]). Una puntuale e vivace rassegna
delle varie, talora contrastanti, traduzioni ed interpretazioni proposte (Lee, Murray, Gellie, Wila-
mowitz, Buttrey, Kovacs, Barlow, Seidensticker, Grube, Blaiklock, Croally) offre ora Goldhill
2006, 92-95. A suo parere siamo in presenza di uno di quei casi di fronte ai quali è possibile ipo-
tizzare, così come avviene fra i critici moderni, una reazione non univoca degli spettatori antichi
(pp. 96 s.). La sua conclusione è che «the thrill of misplaced laughter […] seems […] to be a the-
atrical device that Euripides very much liked toying with» (p. 99).

- 239 -
G.F. Nieddu

in campo tragico, di cui proprio Menelao è uno dei principali veicoli38 . La replica,
nella sua apparente bizzarria - che, come nota Biehl 1989, 379 s., determina un sor-
prendente e brusco abbassamento del livello concettuale - non può, mi sembra, in-
tendersi appieno che come una manovra diversiva, con cui Menelao, raffigurato nel
dramma come debole, esitante, inetto, contraddittorio, tenta di eludere la spiacevole
richiesta della vecchia regina, intendendo strumentalmente la sua sollecitazione co-
me un avvertimento tecnico-pratico, volto semplicemente ad evitare i rischi di un
sovraccarico dell’imbarcazione39 .
Gli esempi potrebbero continuare. Negli ultimi casi citati, come può vedersi, non
incombe un’imminente catastrofe a ridimensionare la portata innegabilmente comica
di una situazione, di un elemento caratteriale, di una battuta; né, come nel caso del
vecchio Iolao, la nobiltà intrinseca del gesto dell’eroe vale da sola ad attenuare il
generale senso di ridicolo. Il personaggio di Menelao, al contrario, sembra in queste
situazioni additato allo scherno, presentato apertamente come bersaglio per il diver-
timento del pubblico40 .
Tra le innovazioni con cui Euripide incide nella tessitura tradizionale del tragico,
occupa un certo rilievo il suo modo di trattare ed utilizzare il procedimento retorico

38
«Tratti […] comici» sono stati ravvisati anche nella battuta con cui egli replica alla preghiera di
Ecuba (v. 889 eujca;" wJ~ ejkaivnisa" qew`n): Pepe 1994, 219 n. 80. «Incosciente» - definisce Albini
1983, X - «il saluto con cui inneggia […] alla splendida giornata che si leva sulla città, mentre in-
torno tutto è a ferro e fuoco».
39
Una battuta del genere, che determina una momentanea interruzione della comunicazione, poteva
stare benissimo naturalmente in bocca ad un personaggio di commedia. I commentatori tendono
ad ignorare la prima parte dell’annotazione scoliastica (kai; tou'to gevloion, vd. n. 36) che asse-
gna alla sfera del gevloion anche la richiesta di Ecuba. Secondo Gregory 2000, 70 «the scholiast
was struck by the disparity between Hecuba’s servile status and the peremptory tone of her warn-
ing to Menelaus». Ma un’altra spiegazione è forse possibile. Il gevloion che lo scoliaste riconosce
nella raccomandazione della vecchia regina è probabilmente da individuare nella maniera indiret-
ta, allusiva, con cui essa formula la sua richiesta, dietro la quale non era in effetti difficile intrave-
dere un velato, ma chiaro richiamo alla debolezza del sovrano ed alla sua risaputa incapacità di re-
sistere al fascino ed alla seduzione della moglie.
40
Si tratta di una forma di comicità che si suole definire approssimativamente di ‘situazione’, in cui
comunque vi è, all’origine, un comportamento inaspettato, sorprendente, di uno dei protagonisti
(Iolao, Cadmo, Tiresia, Menelao), che agisce in maniera incongrua o incompatibile rispetto alla
sua età, al suo status, al suo ruolo sociale, all’immagine tradizionale: un vecchio che si dà arie da
giovane nel pieno vigore delle forze; due venerandi anziani che, messo da parte ogni ritegno e in
spregio alla gravitas tradizionalmente connessa al loro figura, si presentano abbigliati da baccanti;
un eroe spogliato di ogni semnovth". È la percezione dell’opposto, la rottura di un equilibrio, lo
scontro tra i diversi codici di comportamento a determinare le condizioni in cui s’insinua il
gevloion. Coerente con questo quadro appare anche l’osservazione di Michelini 1987, 184,
secondo la quale «it is the sudden intrusion of the circumambient world of the ‘everyday’ and of
the image of the self or others, as seen from the outside and without emotive identification, that
creates the explosive force of laughter».

- 240 -
Ironia ‘comica’ e riso

dell’ironia, inteso come particolare forma di anfibologia, come cioè «geminazione di


più significati inerenti a un unico significante, secondo l’opposizione di diversi punti
di vista (o campi informazionali) che vengono sentiti come contemporaneamente
operanti nel testo»41 o, secondo un’altra non meno efficace formulazione, come ma-
nipolazione artificiosa, intenzionale del discorso, «voluta e perseguita […] al fine di
trasmettere un messaggio il cui reale contenuto sia deliberatamente diverso dal senso
apparente al quale sembrerebbe rinviare la parola»42 : uno strumento assai significati-
vo - di impatto altamente emozionale - della tecnica tragica già di Eschilo ed ancor
più di Sofocle, ma che Euripide sembra aver utilizzato con maggior frequenza43 e -
quel che più qui interessa - in forme nuove e con finalità differenti. Diversamente da
Eschilo e Sofocle, nei quali il senso profondo, nascosto delle parole prelude ad un
esito rovinoso, catastrofico della vicenda e suscita dunque negli ascoltatori un sus-
sulto di pietà e di paura, Euripide infatti non si limita ad adoperare tale procedimento
per creare una tragische Stimmung, come pure sa fare con indubbia efficacia44 . Molti
passi delle sue tragedie (specie di quelle a ‘lieto fine’), con i loro costrutti anfibolo-
gici e sensi nascosti, sembrano volti ad ottenere effetti più propriamente pertinenti

41
Paduano 1983, 62.
42
Rispoli 1992, 17. A differenza di quella ‘retorica’, questa particolare forma di anfibologia, più
specificamente ‘poetica’, non si basa tanto sulla pluralità di sensi della parola in sé, quanto piutto-
sto sul diverso livello di informazione e di conoscenza della realtà delle cose in possesso dei pro-
tagonisti (Trautner 1907, 2 s.). Per una recente messa a punto sulle diverse concezioni e definizio-
ni di ironia, si veda Nünlist 2000, 67-87.
43
Vd. Schöne 1897, 17-23 e soprattutto Trautner 1907 (sorprendentemente ‘ignorato’ da Seidensti-
cker), che offre una ricca rassegna con una dettagliata ripartizione: pp. 10-21 (Eschilo); 68-87,
111-16 e 126/V (Sofocle); 21-68; 87-90 e 126/VI (Euripide). Nel rilevare il valore altamente e-
mozionale del procedimento, non produttivo di semnovth", ma capace di ‘trascinare’ il pubblico,
la critica antica (schol. Soph. OT 264) osservava che, mentre Sofocle se ne avvale con modera-
zione, Euripide ne fa un uso a volte eccessivo: aiJ toiau'tai e[nnoiai oujk e[contai me;n tou' sem-
nou', kinhtikai; dev eijsi tou' qeav trou: ai|" kai; pleonavzei Eujripivdh", oJ de; Sofoklh`" pro;"
bracu; movnon aujtw'n a{ptetai pro;" to; kinh'sai to; qevatron («siffatti concetti non contribuisco-
no a rendere il testo più austero e venerando, ma trascinano gli spettatori; Euripide attinge ad esse
in abbondanza, mentre Sofocle se ne serve solo per brevi tratti, per indurre emozione nel pubbli-
co», trad. Rispoli 1992, 49). La testimonianza è evidentemente espressione di una tradizione criti-
ca favorevole a Sofocle, elogiato per le sue scelte non solo sul piano della religione e della morali-
tà, ma anche dello stile e della tecnica drammatica. Sul valore e l’attendibilità del giudizio estetico
espresso, vd. Trautner 1907, 5; 102-11; 116-19; Bain 1975, 17.
44
Si pensi solo alla terribile promessa di Dioniso all’inconsapevole Penteo in Bacch. 968 ferovme-
no" h{xei" («ritornerai trasportato!»), che preannuncia il suo ritorno sulla scena in brandelli,
dopo lo sparagmov". Ma cf. anche v. 934 ([Penteo a Dioniso] ijdou', su; kovsmei: soi; ga;r ajnai-
keivmesqa dhv: «siamo nelle tue mani/dedicati a te»); Med. 958, dove Medea annuncia i doni che
invierà alla nuova sposa ([…] ou[toi dw'ra mempta; devxetai: «doni nient’affatto spregevoli ella
riceverà»); Ion 978 ([il Vecchio a Creusa] nu'n d’ ajlla; pai'da to;n ejpi; soi; pefhnovta: «uccidi
almeno il ragazzo che ti è apparso all’improvviso»). Per una più ampia illustrazione, vd. Trautner
1907, 22-52; Segal 1982, 41 s.

- 241 -
G.F. Nieddu

alla sfera del ‘comico’: non solo non producono infatti apprensione o angoscia, ma
appaiono concepiti allo scopo di suscitare un sottile divertimento anzitutto intellet-
tuale.
Vorrei citare solo alcuni esempi, tratti soprattutto dallo Ione, cominciando da quel
passo che abbiamo sentito analizzare con grande rigore, nella seduta di stamattina,
dalla prof.ssa Basta Donzelli 45. Ritrovandosi davanti, subito all’uscita dal tempio, il
giovane Ione, Xuto, sopraffatto dall’emozione suscitata in lui dal responso del dio,
gli va incontro a braccia aperte, chiamandolo «figlio» (tevknon) e cercando in tutti i
modi di abbracciarlo46 . Respinto dal giovane, che non capisce (ed equivoca) le ra-
gioni di questo singolare comportamento e minaccia di colpirlo con le frecce del suo
arco 47, Xuto si rende finalmente conto della necessità di rivelare la sua identità: egli
è suo padre! Agli iniziali equivoci subentrano la sorpresa, l’incredulità e la diffiden-
za del giovane (pou' dev moi path;r suv; tau't’ ou\n ouj gevlw" kluvein ejmoiv; «come? tu
mio padre? vuoi farmi ridere?», v. 528)48 , che sottopone il sedicente padre ad un
fuoco di fila di domande per accertare la veridicità di quanto ha appena affermato,
sospettando che possa aver frainteso le parole del dio. «E da quale madre ti sarei
nato?» (v. 540), gli chiede più avanti. Xuto non sa rispondere; il dio non l’ha detto
ed egli, nella gran gioia provata al sentire il responso, non ha pensato di porgli que-

45
Vd. sopra, in questo stesso volume, pp. 175-85.
46
Così come in IT 795-803 ed Hel. 566 s., uno dei partner ha riconosciuto l’altro e vuole abbracciar-
lo, ma viene momentaneamente respinto. All’intervento della Basta Donzelli rimando per
l’interpretazione del controverso tevknon (figlio/ragazzo), usato da Xuto nella sua allocuzione al
giovane (v. 517).
47
«Im höchsten Grade kinhtiko;n tou' qeavtrou muß im Ion die Szene zwischen Jon und Xuthos
gewesen sein 517 ff., die sich ganz auf dieser Art von Amphibolien mit objektiver Ironie au-
fbaut», commenta Trautner 1907, 64. Egli riconosce che «auch hier liegt gewiß wieder ein übe-
raus komischer Kontrast zwischen der Illusion und der subjektiven Meinung der Redenden einer-
seits, und der objektiven Wirklichkeit andererseits vor» (p. 65). Equivoca appare anche l’irritata
protesta, con cui il giovane cerca di fermare gli slanci affettuosi di Xuto (v. 520): eu\ fronei'" mevn;
h[ s’ e[mhnen qeou' ti", w\ xevne, blavbh; («sei sano di mente? o un dio ti ha fuorviato?»). Se con
qeou' ti" blavbh Ione allude chiaramente ad Afrodite (e cioè alla smania amorosa), dietro il ri-
chiamo al dio il pubblico poteva intravedere la mano di Apollo.
48
«Ion ist spöttisch bis zur Beleidung» (Leimbach 1971, 53), come lasciano chiaramente intendere
sia l’uso di pou' (che esprime una più forte incredulità rispetto a pw'"), sia la collocazione marcata
del pronome personale suv in posizione finale ed ancora il fatto che il giovane, con una domanda
retorica, qualifichi come ridicola l’affermazione di Xuto. Nella particolare formulazione della
domanda sembra inoltre ravvisabile, come rileva anche Zacharia 1995, 54, una traccia della pos-
sibile reazione del pubblico originario («it seems to me that the use of the word gevlw" in this con-
text, preceded by the negative ouj, may allude to the possibility that members of the audience
might be aware of the lighter tone of the scene - or at least, aware of its potential for misunder-
standing -, which “must have caused, if not outright laughter, at least a smile” [Knox 1979,
264])». Sull’alternativa ejmou' (Murray), ejmoiv (Diggle), attestata dalla tradizione, vd. ancora Za-
charia 1995, 54 n. 40.

- 242 -
Ironia ‘comica’ e riso

sta domanda. «È dunque la terra, la madre da cui sono nato?» (gh'" a[r’ ejkpevfuka
mhtrov"; v. 542), lo incalza allora il giovane con ironica provocazione. Assurda e
paradossale in sé (un ajduvnaton)49, la battuta contiene già ad un primo livello di si-
gnificazione - quello primario, superficiale, soggettivo in cui è intesa da chi la pro-
nuncia avendo un’informazione limitata - una valenza giocosa50. Con un abile gioco
di incastri, tuttavia, la domanda richiama quella che lo stesso Ione aveva in prece-
denza posto a Creusa, quando, tra il curioso e l’incredulo, le aveva chiesto: «è vero
che il capostipite della tua famiglia, il padre di tuo padre, è germogliato dalla terra?»
(Ion 265-67), ed acquista alle orecchie degli spettatori - in possesso di
un’informazione superiore - tutta la sua piena valenza di ‘ironia tragica’51 (o, do-
vremmo dire meglio, di ‘ironia comica’?) 52, perché, in quanto discendente di Eritto-
nio l’inconsapevole Ione era a tutti gli effetti un nato dalla terra! Il divertimento del
pubblico raggiunge l’apice quando il povero Xuto - lui che sedeva sul trono dei nati
dalla terra - seriosamente sentenzia (v. 542): ouj pevdon tivktei tevkna («non genera
figli, la terra»!) 53.
Euripide prosegue il suo gioco ironico anche nello scambio di battute immedia-
tamente successivo, perché alle ulteriori insistenze di Ione («e come sarei tuo?»),
l’ignaro Xuto fornisce ancora un’ingenua risposta dalla duplice possibile lettura (v.
543): oujk oi\d’, ajnafevrw d’ ej" to;n qeovn («non so, mi rimetto al dio»).
L’espressione infatti, oltre a significare «solo il dio [Apollo] potrebbe spiegare tutto
questo», viene a costituire un implicito riferimento alla genealogia, rinviando alla
vera identità del genitore del giovane.
Anche più avanti, nella parte finale della scena, Ione, dopo essersi dichiarato fi-
nalmente disposto ad accettare il responso dell’oracolo ed a riconoscere il padre,
pronuncia a mo’ di conclusione una frase che contiene, ancora una volta, come se-

49
«Perhaps a proverbial phrase for one who doesn’t know his parents (cf. latin terrae filius). Ion
means the expression as a wryly comic adunaton - something which cannot possibly be true»
(Lee 1997, 220 ad 542). Nelle sue intenzioni essa doveva servire a rendere consapevole Xuto
dell’insufficienza delle sue risposte. Per i possibili antecedenti letterari dell'espressione, cf. Od.
19.163 s. (e Plat. Ap. 34d 5 s.).
50
In bocca al giovane Ione, essa appare quasi come una facezia, una spiritosaggine destinata, pur
sullo sfondo di una vicenda seria e dolorosa, a procurare divertimento (tevrpein) all’ascoltatore.
Rosenmeyer 1996, 511 a3 l’annovera fra quelle «simulating naïvety playfully». Di fronte ad essa,
non è forse lontano dal vero quanto, introducendo l’intera scena, nota Matthiessen 1989-90, 276:
«ernst zu bleiben unmöglich ist».
51
Come «tragicamente ironica» la qualifica ultimamente Pellegrino 2004, 242 (ad 542).
52
La prima formulazione del concetto in Trautner 1907, 7 n. 1 («Amphibolie mit objektiver ironie
und komischer Wirkung»).
53
Cf. Seidensticker 1982, 227 n. 93. Come si vede, Xuto assume la frase di Ione (l’adynaton ironi-
co) in senso proprio e non metaforico. Secondo Fusillo 1992, 295 quella di Xuto sarebbe piuttosto
semplicemente una «naive Oberflächlichkeit».

- 243 -
G.F. Nieddu

condo significato la soluzione dell’enigma (vv. 558 s.): kai; tiv boulovmesqav g’ a[llo
[…] h] Dio;" paido;" genevsqai pai'"; («che cosa potremmo desiderare di più che es-
sere figli del figlio di Zeus?») 54 . Queste parole con cui il giovane, dopo lo stupore e
l’incredulità iniziali, commenta l’enormità della fortuna che gli è capitata non si a-
dattano soltanto a Xuto che, in quanto «figlio di Eolo, a sua volta figlio di Zeus»55,
discende da Zeus, e dunque le intende quasi come un complimento ed una gratifica-
zione personali56 : allo ‘spettatore-onnisciente’, informato degli eventi fin dal prolo-
go, esse appaiono sottilmente profetiche, richiamano oggettivamente l’effettiva con-
dizione del giovane Ione, figlio di Apollo, e dunque a sua volta «figlio del figlio di
Zeus».
Voglio aggiungere ancora un altro esempio, sempre dallo Ione, stavolta dal primo
episodio, dalla scena dell’incontro fra la nobile signora, regina di Atene, ed il
giovane servo di Apollo (vv. 237-451): un incontro tutto intessuto di ambiguità, di
misteriosi riferimenti e di allusioni ironiche, sotto il cui velo non è difficile
intravedere «eine latente Solidarität»57. Dopo l’uscita di scena di Creusa, assumono
una particolare pregnanza drammatica le parole con cui il giovane Ione si riscuote
dalle riflessioni in cui è piombato, turbato dal confronto con la donna (vv. 433 s.):
ajta;r qugatro;" th'" ’Erecqevw" tiv moi | mevlei; proshvkei g’ oujdevn («ma della
figlia di Eretteo, cosa m’importa? Non ho niente a che fare io con lei»). Il ricorso
all’ambigua voce proshvkein, insieme «avere in comune» (generico) ed «essere
parente o consanguineo» (proshvkein kata; gevno")58 , come nel caso del già visto
ajnafevrw, porta in primo piano, per lo spettatore attento, il leit-motiv del dramma, i
rapporti genealogici tra i personaggi.

54
Cf. Paduano 1983, 79; Lee 1997, 222 (ad 559).
55
Come Euripide si è premurato di ricordarci ai vv. 63 s., 292.
56
«Ora vedi le cose come devi vederle» (v. 558), «è quanto si avvera per te» (v. 559), interloquisce
compiaciuto e rassicurante.
57
Fusillo 1992, 290. In taluni casi (vv. 250, 284, 286, 288, 306, 338, 368, 385-87, 1311) si tratta di
allusioni consapevoli, come quelle di Creusa, che partecipa con il pubblico di una sfera peculiare
di informazioni, da cui è escluso il giovane; in altri, tanto la donna (vv. 247, 308 e 324, 330, 354,
360, 1307) quanto il giovane (109-11, 136-40, 238 s., 287, 309, 311, 325, 345, 355, 357, 359,
410-12, 433 s., 563, 1286), posti su uno stesso piano di conoscenze, limitato rispetto al pubblico,
pronunciano frasi il cui reale significato travalica il momento scenico.
58
Cf. Trautner 1907, 63 s. Un caso di ambiguità sintattica che può assumere un risvolto comico è
quello di Ion 311 oujk oi\da plh;n e{n: Loxivou keklhvmeqa, dove il costrutto ellittico si presta
evidentemente ad essere inteso anche come «(figlio) del Lossia» (Trautner 1907, 67; vd. anche
Lee 1997, 193 ad 309). Un’ambiguità simile si produce anche nello scambio di battute fra Ione e
Creusa ai vv. 1286 s. (- ka[peit’ e[kaine" farmavkoi" to;n tou` qeou`; - ajll’ oujkevt’ h\sqa Loxivou,
patro;" de; sou' ), con uno slittamento da ‘sacerdote’ a ‘figlio’. Seidensticker 1982, 217 e 224 n.
74 segnala una serie di altri casi di ‘ironia comica’, non tutti però di identico tenore: Ion 82 ss.,
305, 313, 319-21, 324, 328, 330, 338, 345 s., 354, 355.

- 244 -
Ironia ‘comica’ e riso

Come si può vedere, l’ambiguità prodotta è comunque ben lontana dal raggiun-
gere l’effetto proprio dell’ironia tragica 59. Nessuna angoscia, nessun timore per la
sorte dei protagonisti è l’esito atteso di queste sequenze; anzi, il pubblico seguiva il
sapiente gioco di allusioni abilmente intessuto dall’autore con sicuro diletto. La si-
tuazione è rovesciata rispetto ai classici casi di ‘ironia tragica’: Euripide disgiunge il
procedimento dal senso di sgomento al quale era fin qui associato, lo ‘piega’ in altra
direzione, ne modifica la logica, ricercando puramente l’effetto di interessare e di-
vertire (magari colpire) il suo pubblico60 , anche solo per la sottigliezza della relazio-
ne linguistico-formale istituita.

Quelli appena richiamati sono casi di ironia oggettiva - inconsapevole, eterodiret-


ta - in cui il punto di vista parziale del locutore inconscio si oppone al punto di vista
del pubblico onnisciente, ben informato per via del prologo e della sua generale
competenza mitica. Ma in Euripide vi sono anche intere scene costruite secondo un
altro modello di ironia - soggettiva, consapevole, deliberata - in cui il punto di vista
inadeguato è quello del destinatario del discorso scenico, che viene ingannato. Si
può ad esempio citare quella dell’Alcesti tra Eracle e Admeto (in particolare vv.
1036-1122), dove è fra l’altro interessante notare la consapevolezza che Eracle, il
personaggio che conduce il gioco ironico, manifesta del funzionamento del meccani-
smo: «è perché so qualcosa che mi prendo questa briga» (eijdwv" ti kajgw; thvnd’ e[cw
proqumivan) dice ad Admeto (v. 1107)61, cercando di convincerlo ad accogliere la
donna velata che ha portato con sé 62. Tra i casi più eclatanti si possono ricordare
ancora la lunga sezione dell’Elena (vv. 1193-1300), in cui viene messo in atto
l’intrigo ai danni di Teoclimeno, ed Elena e Menelao, «forti del successo che
l’inganno da loro tramato ha ottenuto, sembrano quasi compiacersi della loro supe-

59
Cf. Trautner 1907, 64 («Wahrlich von der tief ergreifenden Wirkung der tragischen Ironie wie z.
B. bei Sophokles isr hier wenig oder nichts zu verspüren. Aber Euripides liebt das aijnivttesqai
[…] außerordentlich»); Kurtz 1985, 330; Lee 1997, 37.
60
Osservava Winnington-Ingram 1969, 128 «sometimes, certainly, and in some sorts of play, he
wrote to amuse - to amuse himself and his clever friends in the audience - to amuse and perhaps
to shock».
61
Trad. Paduano. Anche Diceopoli, negli Acarnesi, quando rivela il piano («gli spettatori debbono
sapere chi sono; i coreuti, invece, saranno presenti come stupidi: così potrò prenderli per il culo
con le mie paroline», vv. 442-44, trad. Mastromarco) che gli merita le aperte lodi di Euripide («i-
dee sottili ordisci con mente acuta», v. 445), opera una distinzione fra spettatori di primo e secon-
do livello (Bonanno 2006, 74) che sembra alludere scopertamente alla tecnica dell’ironia, impo-
stata sul diverso livello di informazione di cui godono da una parte il pubblico e dall’altra gli atto-
ri ed il coro sulla scena: una situazione che non si verifica frequentemente nella commedia antica
(Lowe 1996, 523).
62
Fra i luoghi dove il gioco ironico si fa più evidente sono i vv. 1055 s., 1061, 1071, 1072-74, 1087,
1092, 1097, 1101, 1103, 1105, 1108 s., 1111, 1113.

- 245 -
G.F. Nieddu

riorità intellettuale, giocando con l’oggetto della loro beffa»63 , e quella parallela
dell’Ifigenia in Tauride, in cui vittima dell’inganno, e destinatario delle relative bat-
tute à double entente, è il barbaro Toante (IT 1153-1233)64 .
In tutti questi casi, che esulano evidentemente dal quadro proprio dell’ironia tra-
gica, non coinvolgendo il futuro dell’eroe in un destino di sventura, Euripide dispie-
ga un’uguale abilità nel ‘giocare con le parole’, il cui scopo supera spesso le necessi-
tà dell’intreccio drammatico e della comunicazione tra i personaggi, è volto piuttosto
a ricercare il plauso del pubblico, offrendo ai suoi spettatori un raffinato diletto intel-
lettuale.

Ho abusato abbastanza della vostra pazienza ed è giunto il momento, avviandomi


alla fine, di cercare di trarre delle conclusioni, per quanto parziali e problematiche.
In questa occasione ho voluto riprendere in considerazione (senza alcuna pretesa di
completezza) alcuni esempi di un fenomeno tuttora aspramente dibattuto, il ‘comico’
in tragedia, appuntando la mia attenzione sui casi che mi sono sembrati più signifi-
cativi.
Distinte per occasione, collocazione nel programma dell’agone, soggetto, perso-
naggi, linguaggio, metro, costumi, maschera, interpreti etc., reciprocamente definite
per contrasto, tragedia e commedia non erano però realtà irrimediabilmente opposte,
impenetrabili, refrattarie l’una all’altra, entità chiuse in se stesse, rigidamente, aprio-
risticamente e quasi ontologicamente contrapposte65: si sviluppavano l’una accanto
all’altra con reciproche interferenze e trasgressioni, che non annullavano le diversità,
ma riflettevano un naturale processo di evoluzione storica 66.

63
Fusillo 1997, 160 n. 191. Vd. anche Fusillo 1992, 277 e 295. Un particolare piacere doveva susci-
tare nel pubblico soprattutto il «gioco linguistico ordito da Elena», con la complicità di Menelao,
nei vv. 1201, 1225, 1273, 1288 s., 1291-93, 1294 s.
64
Anche alla luce di quanto sin qui visto, non del tutto pertinente appare l’osservazione di Fusillo
1992, 295 che i tratti comici presenti nello Ione (Xuto), nell’Ifigenia in Tauride (Toante) e
nell’Elena (Teoclimeno e anche Menelao) non riguarderebbero il livello linguistico, ma la descri-
zione del carattere.
65
I contorni fondamentali dell’opposizione, con una netta distinzione per generi, sono com’è noto
delineati nei loro termini essenziali, in maniera esemplare, da Aristotele nella Poetica. Prevalen-
temente dipendenti dalla sua riflessione si rivelano le più tarde annotazioni erudite, ben più rigide
e schematiche nel biasimare novità e soluzioni che contravvengono al modello tracciato (ajnavxia
tragw/diva" / ajnoivkeia th'" tragikh'" poihvsew" / kwmikwvtera). Sugli aspetti di distinzione dei
due generi, contrassegnati da «mutually exclusive characteristics» e da «their reluctance to
overlap», pone in particolare l’accento, aldilà di ogni possibile forma di sperimentalismo e con-
taminazione, fra gli altri Taplin 1986, 163-74 e 1996, 188-202, in chiara controtendenza rispetto
ad alcune recenti correnti critiche «mistrustful of ‘genres’» e più direttamente interessate alle
«generic interferences and transgressions». Cf. ora anche Seidensticker 2005, 39-43.
66
Un’ampia ed approfondita discussione al riguardo, in particolare, in Silk 2000, 42-97 (vd. soprat-
tutto pp. 52-68) e Mastronarde 2000, 23-39. Cf. anche Knox 1979, 250-74; Seidensticker 1982,

- 246 -
Ironia ‘comica’ e riso

I singoli momenti ‘comici’ della tragedia euripidea devono essere ovviamente va-
lutati in relazione al contesto specifico in cui compaiono ed alla struttura complessi-
va dell’opera, alla sua dinamica interna.
Nell’immediato contesto, essi possono servire a caratterizzare in forme e con
immagini mimeticamente più vicine alla realtà dell’esperienza quotidiana la partico-
lare natura o il comportamento di un personaggio, ritratto secondo una prospettiva
meno rigidamente unilaterale in situazioni in cui il gevloion convive con lo spou-
dai'on ed il semnovn, ne rappresenta una possibile, inattesa (contraddittoria) manife-
stazione, o più semplicemente un modo diverso di guardare la realtà nella sua com-
plessità. E così, ad esempio, l’ossequio alla divinità può esprimersi in atteggiamenti
in sé sconvenienti e sconcertanti, se non francamente ridicoli; l’impulso nobile e
generoso a partecipare alla battaglia decisiva per la sopravvivenza dei propri cari
può apparire realisticamente ridicola presunzione; la rivendicazione di un passato
eroico e glorioso può tradursi in ridicola alterigia, goffa esibizione di sé, umoristico
autolesionismo, comica inettitudine.
Nell’articolazione complessiva dell’opera, tali scene appaiono in pari tempo de-
stinate ad assolvere un ruolo di intensificazione degli effetti delle scene successive 67,
in un gioco di alternanze che non pregiudica la tragicità dell’evento narrato (o la

247 s.; Fusillo 1992, 271. Secondo Gregory 2000, 73 s. la questione se Euripide abbia o no com-
posto «comedies, or tragicomedies, or tragedies containing comic scenes» sarebbe invece destina-
ta a scemare con l’adozione di una definizione di tragedia e di tragico «more flexible and inclusi-
ve»: un’alternativa che però in verità esiste solo nella prospettiva dei ‘moderni’. In un celebre
passo del Simposio (223d 3-5), Platone racconta che Socrate, alla fine della memorabile riunione
conviviale in casa di Agatone, «indusse i due [Agatone ed Aristofane] a riconoscere che lo stesso
autore deve saper comporre sia tragedie che commedie e che chi è per arte tragediografo è anche
commediografo»: una concezione apparentemente ‘nuova’ che all’interno dell’opera platonica si
configura, in forma velatamente allusiva, come una sorta di manifesto poetico-programmatico del
poeta-filosofo che si propone di fondere in una superiore forma d’arte tragedia e commedia (vd.
Gaiser 1990, 34; Segoloni 1994, 197-220; Reale 2001, XV s.), ma che aveva forse un oggettivo
presupposto nell’attività di certi autori d’avanguardia. Significativa al riguardo la tradizione
(schol. Ar. Pac. 835-837a Holw.; Sud. d 1029 A.), secondo cui Ione di Chio, autore quanto mai
multiforme, avrebbe composto, accanto a tragedie, anche commedie (e[graye de; kai; kwmw/diva").
Di Alceo ed Anassandride, due comici di V e IV secolo, sono invece tramandati titoli di opere
nella forma di Kwmw/dotragw/diva (Alc. frr. 19-21; Anax. fr. 26 K.-A.). Di diverso parere Seiden-
sticker 1982, 14 s. n. 6 e 2005, 39 s. Cf. anche Jouanna 1998, 165.
67
Vd. in particolare Seidensticker 1982, 27-37 e 243-45. Su questa linea anche Taplin 1996, 189 («I
would not want to deny the presence on occasion of the gevloion [‘the amusing’] in tragedy,
though it is nearly always there to provide a kind of chiaroscuro to set off the surrounding dark»)
ed, in forma più problematica, Basta Donzelli 2000, 69. Un ruolo di preminente rilievo,
nell’ambito della poetica euripidea, attribuisce loro Michelini 1987, 67, che ne sottolinea l’effetto
di contrasto («these moments […] are keys to the aesthetic structure of the plays; for it is around
them that Euripidean style centers its patterns of reversal, balance, and variation»).

- 247 -
G.F. Nieddu

generale qualità, struttura e coerenza tragica dell’opera)68, né fa venir meno o com-


promette la loro integrazione nello sviluppo tematico e narrativo dell’azione 69.
Viste nell’ottica dell’‘estetica della ricezione’, nella prospettiva cioè del rapporto
autore-destinatario, esse sembrano talora rispondere più propriamente all’esigenza di
introdurre ‘pause distensive o rasserenanti’70 , secondo un’accorta strategia di regola-
zione e sollecitazione delle tensioni emotive cui vengono sottoposti gli spettatori. Le
forme di comicità rappresentate non sono di identico tenore o riconducibili ad un
medesimo effetto: accanto al gevloion che non fa ridere e accresce anzi il senso di
sgomento (come nel caso di Penteo), c’è l’ironia affettuosamente irridente delle bat-
tute di Illo che suscitano insieme preoccupazione e commozione, ma c’è anche
l’umorismo che scaturisce spontaneamente dall’equivoco e dall’incongruo o
dall’inatteso e può sfociare liberamente nell’ilarità (Menelao, ma anche Cadmo e
Tiresia, e qualche figura di anziano), e c’è infine il ‘piacere’ innanzitutto intellettua-
le prodotto del sapiente gioco di allusioni, anfibologie, sensi nascosti, abilmente
intessuto dall’autore (Ifigenia in Tauride, Elena, Ione)71.
Non esiste del resto, se non come nozione artificiale o astrazione ‘moderna’, una
forma tragica ‘pura’, né un modello unico o statico di tragedia. Euripide, nella sua
lunga carriera, ricercando e sperimentando ogni nuova possibilità espressiva 72, non

68
Si possono adottare (anacronisticamente) designazioni diverse (tragicommedia, melodramma,
etc.), ma nell’ottica dello spettatore del tempo anche questo tipo di produzione continuava ad es-
sere percepita come appartenente a pieno titolo al genere tragico. Cambiava piuttosto, soprattutto
in Euripide, la natura o qualità del tragico, per cui egli può apparire ai nostri occhi come colui che
ha ferito a morte la tragedia o viceversa come il precursore di nuove forme letterarie.
69
Non dunque sezioni a sé stanti, che interrompono, contrastano o sciupano il modo tragico del
dramma, ma elementi sapientemente chiamati ad interagire costantemente con esso, come oppor-
tunamente rileva anche Zacharia 1995, 57-62. Meno convincente, nella sua unilateralità, appare
però la sua conclusione che la compresenza di elementi (tragici e comici) non sia da intendere in
un rapporto di «reciprocal intensification» o in funzione di «comic relief», ma come modalità al-
ternative di guardare la realtà, come segno della duplicità di prospettiva tipica del modo di vedere
il mondo da parte di Euripide.
70
Tale appare in particolare la scena degli Eraclidi, con Iolao e Illo. Esse non sono ignote allo stes-
so Eschilo e a Sofocle, come si può vedere, ad esempio, nella scena della nutrice nelle Coefore
(vv. 734-82), posta nel mezzo di una situazione altamente drammatica, ed in quella della guardia
nell’Antigone (vv. 223-331). Cf. Seidensticker 1982, 68-75 e 80-88; Moreau 2000, 397-405; Mi-
ralles 2000, 407-24; Sommerstein 2002, 151-68.
71
Il ‘comico’ in tragedia non è naturalmente il comico in commedia: la sua percezione è influenzata
dall’inclusione in un contesto ed un intreccio ‘seri’ ed è ragionevole pensare che anche di fronte ai
casi più evidenti, e riconosciuti come tali, di irruzione di elementi di gevloion («flash of hu-
mour»), la reazione del pubblico (o di una parte di esso) non doveva dar luogo ad una risata aper-
ta, potenzialmente distruttiva, «nemica della tragedia», come notava la critica antica (Dem. eloc.
169).
72
Come nota Segal 1982, 256, in riferimento in particolare alle Baccanti, «Euripides situates his
play both within and beyond the conventional form of both genres, a place where his text can ex-

- 248 -
Ironia ‘comica’ e riso

solo opera una serie di ‘deviazioni’ contenutistiche e formali, ma finisce con il mo-
dificare intrinsecamente la natura stessa del tragico, convertendo il modello origina-
rio di conflitto fra volontà e destino in scontro di passioni, riducendo il tragico a
patetico, ricercando un effetto di realismo che può talora obiettivamente coincidere
con il ‘comico’ 73, intessendo il suo testo di sottili giochi verbali, volgendo al mero
diletto del pubblico anche un procedimento come quello dell’ironia, fin qui usato in
funzione di un’esasperazione dell’aspettativa della katastrofhv. Il fatto che egli,
come notava già la critica antica, abbia talora impresso connotati comici al compor-
tamento dei suoi personaggi tragici 74 finisce con il rientrare in questo sforzo innova-
tivo, nella sua costante ricerca di un nuovo modo di fare tragedia75 (e non è in con-

plore the power and the limitations of its own mimetic mode». Ad un’ampia area di innovazioni,
messe in luce attraverso l’analisi di alcune scene dell’Elettra e delle Baccanti, volge la sua atten-
zione Goldhill 1986, 244-64, sottolineando «the poet’s self-conscius marking and manipulation of
the conventions of the genre of tragedy» (p. 244). Vd. anche, fra gli altri, Winnington-Ingram
1969, 127-42; Arnott 1973, 49-64; Segal 1983, 244-53; Michelini 1987, 67 s.; Segal 1995, 46-55;
Dunn 1996; Silk 2000, 51; Medda 2005, 119-31 (sulla peculiarità del Coro nelle Fenicie). Una
sintetica, ma lucida e penetrante analisi delle nuove tematiche e delle nuove strutture drammatur-
giche che contraddistinguono la «tragedia nuova» di Euripide si deve più recentemente a Del
Corno 2005, 79-91. A favorire questa linea di innovazione e sperimentazione contribuivano in-
dubbiamente in maniera significativa, accanto agli immancabili cambiamenti nel gusto e nelle at-
tese del pubblico che Euripide promuove ed asseconda (talora sovverte e delude), le più pressanti
esigenze connesse all’affermazione della propria sophia nella competizione con gli altri dramma-
turghi.
73
Ne abbiamo visto qualche esempio nella scena di Iolao ed Illo, ed in quelle che hanno per prota-
gonisti Menelao e singole figure di anziani. Ma tale è il caso anche della scena in cui Elettra (El.
543 s.) respinge l’invito del vecchio aio a considerare la possibilità di riconoscere il fratello dagli
indumenti che lei stessa gli aveva a suo tempo confezionato: la sua risposta (pw'" a]n tovt’ w]n pai'"
taujta; nu'n e[coi favrh, | eij mh; xunauvxoinq’ oiJ pevploi tw'/ swvmati;), non priva di una certa argu-
zia ed animosità polemica, non doveva mancare di provocare una reazione divertita nell’uditorio.
Se il comico in questi casi si associa al realistico, altrove (Ifigenia in Tauride, Elena) il realistico
convive con l’esotico. Sulla relazione fra realistico, quotidiano e comico da una parte, ed esotico,
estraneo, serio dall’altra, interessanti considerazioni svolge Michelini 1987, 182-85.
74
Oltre alla già più volte ricordata nota di commento al v. 32 dell’Andromaca, si veda anche lo
scolio al v. 1369 dell’Oreste, che chiosa l’attacco della monodia del Frigio - quasi una scena di
commedia nel mezzo di un’azione seria - sottolineando come «di qui in avanti Euripide si discosti
dalla sua maniera, dicendo cose per lui non appropriate» (ejnteu`qen ejxevsth tou` ijdivou h[qou" oJ
Eujripivdh" eJautw/̀ ajnoivkeia levgwn). Sia o no da considerare appropriato questo ‘scostamento’, è
innegabile che esso avveniva anche altrove. Mureddu 2006, 215 s. mette significativamente in lu-
ce come Euripide tenda a travalicare i confini del genere anche nell’uso di metafore e similitudini.
75
Polluce (4.111) riporta con un certo rilievo la sorprendente notizia che Euripide avrebbe anche
introdotto ejn polloi'" dravmasin (tra cui la Danae) una tecnica specifica della commedia antica,
la parabasi. Parabasi tragiche avrebbe composto anche Sofocle, ma per spirito di emulazione e del
tutto eccezionalmente.

- 249 -
G.F. Nieddu

traddizione con la fama di cui godeva, nell’antichità, di massimo tragediografo)76.


L’esito di questo processo innovativo non fu un sottogenere della tragedia, una «tra-
gedia divertente» (tragw/diva paivzousa)77, ma un mutato genere di dramma, una
«tragedia nuova», che giustappone tragico e comico come componenti essenziali
della realtà e dell’esperienza di ogni spettatore.
Citando al rovescio la pretesa di Aristofane (Ach. 500 s., Ran. 389 s.) di toccare
argomenti seri anche in commedia, potrei forse concludere che la kainh; tragw/diva
di Euripide sa dire, quando vuole, cose ‘comiche’. È solo una battuta, ma credo con-
tenga un non trascurabile nucleo di verità 78.

Università di Cagliari Gian Franco Nieddu

Bibliografia

Albini 1983 U. Albini, Euripide. ‘Ecuba’, ‘Elettra’, Milano 1983.


Arnott 1973 G. Arnott, Euripides and the Unexpected, G&R sec. ser. 20, 1973, 49-64.
Bain 1975 D. Bain, Audience Address in Greek Tragedy, CQ 25, 1975, 13-25.
Barnes 1964 H.E. Barnes, Greek Tragicomedy, CJ 60, 1964, 125-31.
Basta Donzelli 2000 G. Basta Donzelli, Euripide tra commedia e tragedia, in Poesia e religione
in Grecia, Studi in onore di G.A. Privitera, a c. di M. Cannatà Fera e S.
Grandolini, Napoli 2000, 63-69.
Basta Donzelli 2006 G. Basta Donzelli, Il riso amaro di Dioniso. Euripide, ‘Baccanti’ 170-369,
in Kwmw/dotragw/diva. Intersezioni del tragico e del comico nel teatro del V
secolo a. C., Atti delle giornate di studio Pisa (Scuola Normale Superiore),
24-25 giugno 2005, a c. di E. Medda, M.S. Mirto, M.P. Pattoni, Pisa 2006,
1-17.
Biehl 1989 W. Biehl, Euripides. ‘Troades’, Heidelberg 1989.
Bonanno 2006 M.G. Bonanno, L’ejkkuvklhma di Aristofane: un dispositivo paratragico?,
in Kwmw/dotragw/diva. Intersezioni del tragico e del comico nel teatro del V
secolo a. C., Atti delle giornate di studio Pisa (Scuola Normale Superiore),

76
«Eine Ironie des Schicksals ist es zu nennen, daß der Dichter, den Aristoteles den tragischsten
nennt, doch wie kein anderer auch der Komik reichlichen Tribut entrichtet hat » (Schmidt 1905,
1).
77
Dem. eloc. 169.
78
Così si esprimeva anche Taplin 1996, 188 s.: «I would endorse Aristophanes’ claims to include it
[to; spoudai'on] ... Conversely, I would not want to deny the presence on occasion of the gevloion
(‘the amusing’) in tragedy».

- 250 -
Ironia ‘comica’ e riso

24-25 giugno 2005, a c. di E. Medda, M.S. Mirto, M.P. Pattoni, Pisa 2006,
69-82.
Bowie 1993 A.M. Bowie, Aristophanes. Myth, Ritual and Comedy, Cambridge 1993.
Burnett 1971 A.P. Burnett, Catastrophe Survived. Euripides’ Plays of Mixed Reversal,
Oxford 1971.
Buttrey 1978 T. Buttrey, Epic Illusions, Tragic Realities; or, Was Helen Overweight?,
LCM 3, 1978, 285-87.
Croally 1994 N.T. Croally, Euripidean Polemic. ‘The Trojan Women’ and the Function
of Tragedy, Cambridge 1994.
Dale 1967 A.M. Dale, Euripides ‘Helen’, Oxford 1967.
Decharme 1893 P. Decharme, Euripide et l’esprit de son théâtre, Paris 1893.
Deichgräber 1935 K. Deichgräber, Die Kadmos-Teiresiaszene in Euripides’‘Bakchen’,
Hermes 70, 1935, 322-49.
Del Corno 2005 D. Del Corno, Euripide e la “tragedia nuova”, in Euripidaristofanizein.
Scritti sul teatro greco, Napoli 2005, 79-91 (Monza 2000).
Di Benedetto 2004 V. Di Benedetto, Euripide. ‘Le Baccanti’, Milano 2004.
Dillon 1990-91 M. Dillon, Tragic Laughter, CW 84, 1990-91, 345-55.
2 2
Dodds 1960 E.R. Dodds, Euripides ‘Bacchae’, Oxford 1960 .
Dunn 1996 Fr.M. Dunn, Tragedy’s End. Closure and Innovation in Euripidean
Drama, New York-Oxford 1996.
Foley 1985 H.P. Foley, Ritual Irony. Poetry and Sacrifice in Euripides, Ithaca (N.J.)
and London 1985.
Friedrich 2000 R. Friedrich, Dionysos among the Dons: The New Ritualism in Richard
Seaford’s Commentary on the ‘Bacchae’, Arion 7, 3, 2000, 115- 52.
Fusillo 1992 M. Fusillo, Was ist eine romanhafte Tragödie? Überlegungen zu Eurip-
ides’ Experimentalismus, Poetica 24, 1992, 270-99.
Fusillo 1997 M. Fusillo, Euripide. ‘Elena’, Milano 1997.
Gaiser 1990 K. Gaiser, L’oro della sapienza. Sulla preghiera del filosofo a conclusione
del ‘Fedro’ di Platone, trad. it., Milano 1990 (RhM 132, 1989, 105-40).
Goldhill 1986 S. Goldhill, Reading Greek Tragedy, Cambridge 1986, 244-64.
Goldhill 2006 S. Goldhill, The Thrill of Misplaced Laughter, in Kwmw/dotragw/diva . Inter-
sezioni del tragico e del comico nel teatro del V secolo a.C., Atti delle
giornate di studio Pisa (Scuola Normale Superiore), 24-25 giugno 2005, a
c. di E. Medda, M.S. Mirto, M.P. Pattoni, Pisa 2006, 83-102.
Gredley 1996 R. Gredley, Comedy and Tragedy - Inevitable Distinctions: Response to
Taplin, in Tragedy and the Tragic. Greek Theatre and Beyond, ed. by M.S.
Silk, Oxford 1996, 203-16.

- 251 -
G.F. Nieddu

Gregory 2000 J. Gregory, Comic Elements in Euripides, in Euripides and Tragic Theatre
in the Late Fifth Century, ed. by M. Cropp, K. Lee, D. Sansone, ICS 24-25,
1999-2000, Urbana 2000, 59-74.
Gregory 2005 J. Gregory, Euripidean Tragedy, in A Companion to Greek Tragedy, ed. by
J. Gregory, Oxford 2005, 251-70.
Jouanna 1998 J. Jouanna, Le sourire des Tragiques grecs, in Le rire des anciens, Actes
du coll. int. Rouen, 11-13 janvier 1995, éd. par M. Trédé et Ph. Hoffmann,
Paris 1998, 161-76.
Kannicht 1969 R. Kannicht, Euripides ‘Helena’, I-II, Heidelberg 1969.
Knox 1979 B.M.W. Knox, Euripidean Comedy, in Word and Action. Essays on the
Ancient Theater, Baltimore-London 1979, 250-74 (New Brunswick N. J.
1970).
Kovacs 1998 D. Kovacs, Euripides, ‘Troades’ 1050: Was Helen Overweight?, CQ 48,
1998, 553-56.
Kurtz 1985 E. Kurtz, Die Bildliche Ausdrucksweise in den Tragödien des Euripides,
Amsterdam 1985.
Lee 1997 K.H. Lee, Euripides. ‘Ion’, Warminster 1997.
Leimbach 1971 R. Leimbach, Euripides ‘Ion’. Interpretation. Diss. Frankfurt 1971.
2
Leo 1912 Fr. Leo, Plautinische Forschungen. Zur Kritik und Geschichte der Ko-
2
mödie, Darmstadt 1912 .
Lowe 1996 N.J. Lowe, Tragic and Homeric Ironies: Response to Rosenmeyer, in
Tragedy and the Tragic. Greek Theatre and Beyond, ed. by M.S. Silk, Ox-
ford 1996, 520-33.
Mastronarde 2000 D.J. Mastronarde, Euripidean Tragedy and Genre: The Terminology and
its Problems, in Euripides and Tragic Theatre in the Late Fifth Century,
ed. by M. Cropp, K. Lee, D. Sansone, ICS 24-25, 1999-2000, Urbana
2000, 23-39.
Matthiessen 1989-90 K. Matthiessen, Der ‘Ion’- eine Komödie des Euripides?, SEJG 31, 1989-
90, 271-91.
Medda 2005 E. Medda, Il coro straniato. Considerazioni sulla voce corale nelle ‘Feni-
cie’ di Euripide, Prometheus 31, 2, 2005, 119-31.
Meijering 1987 R. Meijering, Literary and Rhetorical Theories in Greek Scholia, Gronin-
gen 1987.
Michelini 1987 A.N. Michelini, Euripides and the Tragic Tradition, Madison 1987.
Miralles 2000 C. Miralles, Le rire chez Sophocle, in Le rire des grecs. Anthropologie du
rire en Grèce ancenne, sous la diréction de M.-L. Desclos, Grenoble 2000,
407-24.

- 252 -
Ironia ‘comica’ e riso

Moreau 2000 A. Moreau, Rire et sourire dans l’oeuvre d’Eschyle, in Le rire des grecs.
Anthropologie du rire en Grèce ancienne, sous la diréction de M.-L. Des-
clos, Grenoble 2000, 397-405.
Muecke 1982 Fr. Muecke, ‘I Know You - By Your Rags’. Costume and Disguise in Fifth-
century Drama, Antichthon 16, 1982, 17-34.
Mureddu 2003 P. Mureddu, Gli stracci di Menelao. Polemica ed autoironia nell’‘Elena’
di Euripide, Philologus 147, 2003, 191-204.
Mureddu 2006 P. Mureddu, Metafore tragiche, metafore comiche: il gioco delle immagi-
ni, in Kwmw/dotragw/diva . Intersezioni del tragico e del comico nel teatro
attico del V sec., Atti del convegno int. Pisa 24-24 giugno 2005, a c. di G.
Most, E. Medda, M.P. Pattoni, Pisa 2006, 193-224.
Nünlist 2000 R. Nünlist, Rhetorische Ironie - Dramatische Ironie. Definitions- und In-
terpretationsprobleme, in Zwischen Tradition und Innovation, hrsg. von
J.P. Schwindt, München-Leipzig 2000.
Paduano 1983 G. Paduano, Sull’ironia tragica, Atti del IX Convegno int. di studi sul
teatro antico, Dioniso 54, 1983, 61-82.
Pellegrino 2004 M. Pellegrino, Euripide. ‘Ione’, Bari 2004.
Pepe 1994 L. Pepe, Euripide. ‘Troiane’ - ‘Eracle’, Milano 1994.
Pohlenz 1961 M. Pohlenz, La tragedia greca, I-II, trad. it., Brescia 1961 (Göttingen
2
1954 ).
Reale 2001 G. Reale, Platone. ‘Simposio’, Milano 2001.
Rearden 1914 A. Rearden, A Study of Humour in Greek Tragedy, Univ. of California
Chronicle 26. 1, 1914, 30 ss.
Rispoli 1992 G. Rispoli, L’ironia della voce. Per una pragmatica dei testi letterari nella
Grecia antica, Napoli 1992.
Rosenmeyer 1996 Th.G. Rosenmeyer, Ironies in Serious Drama, in Tragedy and the Tragic.
Greek Theatre and Beyond, ed. by M.S. Silk, Oxford 1996, 497-519.
Roux 1972 J. Roux, Euripide. Les Bacchantes. Introduction, texte et traduction par J.
R., I-II, Paris 1970-1972.
Schmidt 1905 J. Schmidt, Euripides’ Verhältnis zu Komik und Komödie, Programm
Grimma 1905.
Schmiel 1972 R. Schmiel, The Recognition Duo in Euripides’ ‘Helen’, Hermes 100,
1972, 274-94.
Schöne 1897 A. Schöne, Über die Ironie in der griechischen Dichtung insbesondere bei
Homer, Aeschylus und Sophokles, Kiel 1897.
Seaford 1996 R. Seaford, Euripides ‘Bacchae’, Warminster 1996.
Segal 1982 Ch. Segal, Dionysiac Poetics and Euripides’ ‘Bacchae’, Princeton 1982.

- 253 -
G.F. Nieddu

Segal 1983 E. Segal, Euripides: Poet of Paradox, in Oxford Readings in Greek Tra-
gedy, ed. by E. Segal, Oxford 1983, 244-53 e 436 s. (Prentice-Hall 1968).
Segal 1995 E. Segal, “The comic Catastrophe”: an Essay on Euripidean Comedy, in
Stage Directions. Essays in Ancient Drama in Honour of E.W. Handley,
ed. by A. Griffiths, BICS Suppl. 66, London 1995, 46-55.
Segoloni 1994 L.M. Segoloni, Socrate a banchetto. Il ‘Simposio’ di Platone e i ‘Banchet-
tanti’ di Aristofane, Roma 1994.
Seidensicker 1978 B. Seidensticker, Comic Elements in Euripides’ ‘Bacchae’, AJPh 99, 1978,
303-20 (rist. in B. Seidensticker, Überin das Vergnügen an tragischen
Gegenständen. Studien zum antiken Drama, hrsg. von J. Holzhausen,
München-Leipzig 2005, 121-40).
Seidensticker 1982 B. Seidensticker, Palintonos Harmonia. Studien zu komischen Elementen
in der griechischen Tragödien, Göttingen 1982.
Seidensticker 2005 B. Seidensticker, Dithyramb, Comedy, and Satyr-Play, in A Companion to
Greek Tragedy, ed. by J. Gregory, Oxford 2005, 38-54.
Silk 2000 M.S. Silk, Aristophanes and the Definition of Comedy, Oxford 2000, 42-
97.
Sommerstein 2002 A.H. Sommerstein, Comic Elements in Tragic Language: The Case of
Aeschylus’ ‘Oresteia’, in The Language of Greek Comedy, ed. by A. Willi,
Oxford 2002, 151-68.
Taplin 1986 O. Taplin, Fifth-century Tragedy and Comedy: a Synkrisis, JHS 106, 1986,
163-74.
Taplin 1996 O. Taplin, Comedy and the Tragic, in Tragedy and the Tragic. Greek
Theatre and Beyond, ed. by M.S. Silk, Oxford 1996, 188-202.
Thomson 1939 G. Thomson, The Postponement of Interrogatives in Attic Drama, CQ 33,
1939, 147-52.
Trautner 1907 L. Trautner, Die Amphibolien bei den drei griechischen Tragikern und ihre
Beurteilung durch die antike Ästhetik (Beilage zum Jahresber. des Königl.
Neuen Gymn. in Nürnberg für das Schuljahr 1906/1907), Nürnberg 1907.
Verdenius 1988 W.J. Verdenius, Cadmus, Tiresias, Pentheus. Notes on Euripides’
‘Bacchae’ 170-360, Mnemosyne 41, 1988, 241-68.
Weil 1897 H. Weil, Études sur le drame antique, Paris 1897.
Wilkins 1993 J. Wilkins, Euripides. ‘Heraclidae’, Oxford 1993.
Winnington-Ingram 1969 R.P. Winnington-Ingram, Euripides: Poiêtês Sophos, Arethusa 2, 1969,
127-42.
Zacharia 1995 K. Zacharia, The Marriage of Tragedy and Comedy in Euripides’ ‘Ion’, in
Laughter down the Centuries, ed. by P.S. Jäkel and A. Timonen, II, Turku
1995, 45-63.

- 254 -

Potrebbero piacerti anche