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Angelo Pagliardini

Banche dati testuali e biblioteche telematiche come implementazione


tecnologica della filologia

1. Premessa

Sopra il leggìo di quercia è ne l’altana,

aperto, il libro. [...]1

Come nell’incipit di questa lirica dai Poemetti di Pascoli, libro e leggio costituivano,
prima dell’avvento del computer, l’unico supporto tecnologico alla lettura del testo
letterario, per un’operazione che si identificava appunto con l’azione di «aprire il libro», in
uno sfondo di accennata sacralità data dalla collocazione della scena all’interno di
un’altana, di una loggia. La pervasiva diffusione delle tecnologie informatiche nel campo
della scrittura e della lettura dei testi ha portato a quella che è stata considerata, nel corso
degli anni Novanta, una rivoluzione del mondo della scrittura paragonabile a quella
avvenuta con l’avvento della stampa, fenomeni complessi indicati con le rispettive
pittoresche metafore galassia Gutenberg e galassia Von Neumann.2 Sullo sfondo di queste
fenomenologie articolate e complesse, si condurranno in questa sede alcune riflessioni
sull’impatto di tali nuove forme di veicolazione e analisi del testo per quanto riguarda la
filologia e gli studi sul testo letterario.

2. La proto-storia dell’informatica umanistica

I manuali di informatica umanistica, nel risalire alle origini della disciplina e delle
tecniche adottate per la consultazione e le analisi dei testi letterari (o dei testi in generale),

–––––––
1 Pascoli (2002: I, 1371).
2 Ad esempio in Gigliozzi (1997) e naturalmente nell’ormai classico MacLuhan (1971); per questo
dibattito molto interessante anche la posizione espressa, a proposito dell’incontro tra letteratura e
informatica, in Ricciardi (1995: 21): «Quando gli umanisti scendono in campo, incontrano gli
ipertesti. È la prima, vera occasione di scambio che coinvolge non solo le due culture ma anche i
principali atti cognitivi con la rivoluzione informatica».
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prendono innanzitutto in esame quei sussidi per l’indicizzazione del testo che vengono
definiti strumenti proto-informatici, e che sono da tempo, in alcuni casi da secoli,
disponibili al filologo, nel momento in cui, come lettore qualificato, si accosta al testo
letterario per ristabilirne la lezione migliore possibile sulla base della tradizione manoscritta
e a stampa, oppure al fine di interpretarlo e commentarlo per una congrua collocazione
linguistica, storico-letteraria e culturale.3
Si tratta dei dizionari storici (e di tutti quei dizionari anche non concepiti come dizionari
storici ma comunque basati sullo spoglio dei testi, a partire dal Vocabolario degli
Accademici della Crusca del 16124), dei rimari, delle concordanze testuali, e dei più recenti
indici di frequenza e repertori statistici, di cui si possono ritrovare alcuni esempi in
bibliografia.5 L’avvento dell’informatica ha favorito e perfezionato l’approntamento di
questi strumenti, ma ha anche suggerito una riflessione generale sulla loro natura: la
caratteristica che li accomuna è che sono basati sull’acquisizione di un testo o di un corpus
di testi, analizzato come aggregato di dati, di singoli elementi individuabili ed isolabili,
assai complesso nella sua struttura globale, tuttavia disaggregabile, e all’interno del quale
sia possibile reperire i vari tipi di dati con procedimenti differenti dalla lettura sequenziale,
ad esempio accorpando tutti i luoghi del testo dove compare una data parola, oppure tutti i
versi con la stessa terminazione in posizione di rima.
In forma più accentuata si presenta la decostruzione informatica del testo nelle
concordanze, strumento filologico dato dalla mera aggregazione delle pericopi del testo
caratterizzate dall’occorrenza di una stessa forma (o delle forme di uno stesso lemma), con
un fenomeno degno di rilievo: il filologo si trova a poter leggere un testo che non è mai
stato scritto, un testo virtuale, risultato della riaggregazione di stringhe testuali isolate dal
testo preso in esame, in sé molto meno esteso delle rispettive concordanze testuali.6 Somma
prudenza e moderazione dovranno quindi governare l’uso di questi strumenti in quanto si
potrebbe essere tentati a leggere i dati risultanti dalle concordanze, tralasciando la lettura
sequenziale del testo, che, sola, dà conto di quell’unicità e individualità propria e
irriducibile che lo caratterizza, come scrive anche Stoppelli:

Ma il testo è dominabile solo attraverso la lettura integrale, il testo frammentato, parcellizato,


così come appare nelle concordanze, può in certi casi addirittura dare un’impressione
fuorviante. Dunque i risultati della ricerca vanno sempre riportati al testo nella sua integrità.7

–––––––
3
Cf. ad esempio Gigliozzi (2003) e Orlandi (1990); parallelamente il pioniere delle applicazioni
dell’informatica all’analisi dei testi, Roberto Busa, a proposito delle prospettive aperte dalle
tecnologie informatiche nell’approntamento di questo tipo di strumenti, parla di «nuova filologia»
(Busa 1987: 35). Utili anche i contributi di riflessione sull’informatica umanistica presenti sul sito
Griselda online (www.griseldaonline.it/informatica/index.htm-16.01.2008).
4 Vocabolario degli accademici della Crusca. Venezia: 1612 [consultabile su Internet all’indirizzo:
vocabolario.signum.sns.it (settembre 2007)].
5 Cf. Buonarroti (1994), Avalle (1992), Mongelli (1989) e i vari repertori di concordanze curati da
Giuseppe Savoca.
6 Si raffrontino ad esempio le concordanze del poema dantesco con il testo in Alighieri (1965).
7
Stoppelli (2001: 821-822).
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Analogo il caso degli indici di frequenza, a proposito delle cui insidie possiamo fornire
un esempio concreto. Se usiamo la LIZ per ricavare i dati relativi alle occorrenze della
congiunzione «ma» nelle Rime di Dante e nel Canzoniere di Petrarca, noteremo che il
valore della frequenza assoluta è rispettivamente di 60 contro 167, e quindi la congiunzione
avversativa sembrerebbe di gran lunga più usata da Petrarca. Ma data la lunghezza
differente dei due testi (in questo caso misurabile attraverso il numero di parole), occorrerà
piuttosto rivolgerci alla frequenza relativa per avere un dato significativo, e potremo notare
allora che l’uso nei due testi è pressoché paritario, con una leggera prevalenza nel testo di
Dante: rispettivamente il 5% contro il 4,6%.8 Peraltro ciò dà conto della sintassi concettuale
più dialettica della poesia dantesca rispetto a quella di Petrarca in cui prevale la
coordinazione cumulativa basata sulla moltiplicazione anaforica della congiunzione e.9

3. Banche dati testuali per lo studio della letteratura italiana: il caso della LIZ

Alla metà degli anni Ottanta, dall’incontro di un filologo, Paquale Stoppelli, con un
informatico del Centro di Linguistica Computazionale del CNR di Pisa, Eugenio Picchi, è
nata l’idea di creare una banca dati testuale formata dai testi canonici della letteratura
italiana, strutturata in modo da poter ricavare informazioni statistiche tramite interrogazioni
costruite ad hoc.10 Il filologo ha cercato di formalizzare, secondo una sequenza di
procedure elementari, le operazioni compiute durante l’analisi e il commento di uno o più
testi, e l’informatico ha potuto così trasferire dall’operatore umano al sistema di
elaborazione automatica dei dati le procedure individuate. Il risultato di tale interazione è
stato il motore di gestione di una banca dati testuale denominato DBT, e il suo utilizzo
all'interno del cdrom LIZ pubblicato da Zanichelli.11
Il primo risultato di tale operazione, del tutto ovvio, è di tipo meramente quantitativo,
data la massa di testi che possono essere racchiusi in un supporto dalle dimensioni minime,
oppure, in uno sviluppo successivo, in quello spazio virtualmente raggiungibile da ogni
soggetto collegato alla rete che è Internet: tuttavia in un caso come questo il rapporto
quantitativo di convenienza e di risparmio di spazio e di dislocazione delle risorse
bibliografiche, è talmente elevato che non potrà non avere anche un impatto qualitativo sul
lavoro del filologo.12
Il secondo risultato è legato alla economicità di aggiornamento degli strumenti
informatici. Basti pensare alla vicenda editoriale di un’impresa monumentale come quella
del Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia e portato a
–––––––
8 I dati sono stati ottenuti da LIZ (2002).
9 Cf. Sheldon / White (1905) e Concordanze del Canzoniere di Francesco Petrarca (1971).
10 Cf. Pagliardini (1995) e anche Reale (2001: 69-70).
11 Sono rispettivamente i cd-rom Picchi (1995) e Stoppelli / Picchi (2002).
12 Alcune riflessioni interessanti sul tema hanno dato luogo al Manifesto per le biblioteche digitali
(2005), a cura dell’Associazione Italiana Biblioteche; sulla natura della biblioteca digitale cf.
anche Ridi (2004).
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termine sotto la direzione di Giorgio Bàrberi Squarotti13, dove il corpus dei testi spogliati
per la redazione delle voci, e la relativa scelta degli esempi, è variato nel corso dei decenni
che hanno visto la progressiva uscita dei diversi volumi, con un allargamento della base per
le voci successive rispetto alle prime, in quanto un eventuale aggiornamento dei primi
volumi con dati ricavati dai nuovi testi spogliati avrebbe comportato o una riedizione, con
costi editoriali insostenibili, oppure l’aggiunta di scomode e pur sempre provvisorie
appendici. Con la banca dati testuale l’aggiornamento avviene a prezzo di sforzi e costi
molto più limitati. Nella prima edizione della LIZ erano presenti 362 testi, nella seconda
500, nella terza 770, per arrivare ai 1000 della quarta edizione. E al momento di svolgere
una singola ricerca, su qualsiasi forma o sequenza sintattica, otteniamo i dati aggiornati
riferiti, a tutti i testi inseriti nell’ultima edizione.14
Il terzo risultato è meno trasparente, e più intrinsecamente informatico: la banca dati
testuale consente una serie di percorsi di accesso e di attraversamento che, a differenza
della normale lettura sequenziale del testo, possono avere un tracciato non lineare. Ad
esempio, con la LIZ possiamo condurre ricerche sulla presenza della ridondanza
pronominale del tipo a me mi piace nelle opere di Giovanni Verga e vedere che le
occorrenze di questa sono molto più fitte nelle opere veriste che nei romanzi giovanili, con
la possibilità ulteriore di fare un confronto con romanzi di altri autori dell’Ottocento.15 In
altri termini, una volta che il testo letterario è stato trasformato in una banca dati testuale,
sarà possibile scegliere e strutturare varie forme di riaggregazione dei singoli dati, che
possono essere costituiti dai caratteri, dalle parole, o anche da elementi contenutistici del
testo che siano stati codificati e indicizzati (ad esempio temi, motivi o personaggi
ricorrenti).16

4. Informatica e filologia testuale

Se consideriamo l’attività d’elezione della filologia testuale, cioè il recupero e il


ripristino della lezione più attendibile per il testo critico pubblicato da un curatore,
potremmo indicare con il termine filologia del macro-testo l’applicazione delle tecniche
informatiche all’attività filologica che mira alla restituzione della lezione a testo più
attendibile sulla base della tradizione del testo e di tutti quegli elementi che possano
consentire la ricostruzione dell’usus scribendi sulla base delle altre opere dello stesso
autore e di quelle coeve o dello stesso genere, supportata non dalla semplice lettura del
testo o dei testi, ma dalla possibilità di interrogare, cioè in un certo senso di leggere
sinotticamente, tutti i testi che interessano per vagliarne gli elementi che interessano. Un
esempio di tali applicazioni possiamo ritrovarlo nella Mandragola di Niccolò Machiavelli,

–––––––
13 Battaglia / Bàrberi Squarotti (1961-2002).
14 Cf. Stoppelli / Picchi (2002), e anche Stoppelli (2001: 825).
15 Mi permetto qui di rimandare per l’esemplificazione a Pagliardini (1998: 138-140).
16
Si parla di applicazioni di questo tipo in Cazalé Bérard (1996).
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in particolare nella recente edizione critica curata da Pasquale Stoppelli.17 Il testo scelto
dall’editore è il seguente:

E quanto la fortuna lo ha favorito! lui ricco, lui bella donna, savia, costumata e atta a governare
un regno.18

La variante scartata riportava il termine natura invece di fortuna. La tradizione del testo
in questione si basa principalmente su due testimoni pressoché coevi, senza interrelazione
gerarchica: il manoscritto Laurenziano Rediano e l’edizione a stampa detta Del Centauro.19
Nell’esempio l’alternativa si presenta fra due parole densissime di rilevanza all’interno
dell’opera di Machiavelli e risulta quindi di grande momento la scelta fra le due lezioni che
la tradizione ci ha fatto pervenire. In un caso come questo, la ricerca di tutte le stringhe di
testo in cui ricorrono le due parole all’interno dell’opera di Machiavelli, o di eventuali
cooccorrenze con altre parole della frase, ci potrà suggerire quale delle due varianti sia
opportuno scegliere in questo particolare co-testo. In particolare lo strumento ci offre la
possibilità di effettuare una ricerca delle occorrenze di «natura» e «fortuna» nell’intero
corpus di Machiavelli. La disamina dei dati forniti da tale interrogazione sarà, in questo
caso, complessa e laboriosa, dato il numero di contesti ottenuti, ma si pensi all’utilità di
questa indagine stilistico-semantica in un caso così importante di esegesi testuale; in
mancanza di questo strumento tali dati sarebbero stati con molta difficoltà estratti nella
lettura integrale delle opere di Machiavelli. Inoltre la LIZ permette al filologo di reperire
un’occorrenza della stessa struttura sintattico-concettuale in Jacopo Passavanti, che aiuta il
filologo a decidere per la scelta da adottare a testo, ma sostiene anche una possibile
congettura basata totalmente su elementi indiretti, cioè che ci sia stato un caso di saut du
même au même e che la variante di un archetipo oggi perduto sia stata:

E quanto la natura <lo ha disfavorito tanto la fortuna> lo ha favorito! lui ricco, lui bella donna,
savia, costumata e atta a governare un regno.20

5. La costituzione e la natura di una banca dati testuale

A questo punto sarà opportuno svolgere alcune considerazioni generali su ciò che accade
quando viene indicizzato ed elaborato un testo scritto con il computer, in quanto la
trasposizione da supporto cartaceo a supporto informatico può essere effettuata secondo
diversi gradi, operando differenti mutamenti nella struttura instrinseca del testo.21
–––––––
17 Stoppelli (2005).
18 Stoppelli (2005: 186-187).
19 Stoppelli (2005: 145-155).
20 Cf. Stoppelli (2005: ibidem).
21 Sulle trasformazioni profonde che opera nello statuto del testo la realizzazione ipertestuale di un
testo dato si può vedere Perissinotto (2000: 58-76); per quanto riguarda le prospettive più avanzate
nel campo delle applicazioni informatiche nella filologia testuale, alcuni spunti in Otto (2004).
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1. Acquisizione della pagina scritta come immagine. Il supporto informatico diventa una
sorta di album fotografico. L’unica strutturazione dei dati è il riferimento bibliografico
o la didascalia di ogni unità di testo che costituisce un’immagine cosicché non si
potranno cercare parole nei testi, bensì ritrovare una pagina oppure la pagina avente
una certa didascalia descrittiva da noi inserita.
2. Scrittura di un testo attraverso un programma di word processing. La visualizzazione
emula il supporto cartaceo, e in particolare l’ambiente dell’ufficio e la scrittura
attraverso la macchina da scrivere, ma il testo è acquisito al computer attraverso una
serie di procedimenti di codifica e decodifica la cui natura non è visibile all’utente. È
possibile eseguire operazioni come il conteggio delle parole del testo, oppure la ricerca
di una parola o di una stringa, ma non elaborazioni più sofisticate come indicizzazioni
o generazione di concordanze.
3. Costituzione di una banca dati testuale. Il procedimento potrebbe essere descritto
metaforicamente come se il sistema immagazzinasse le singole parole (o altri elementi
codificati come unità elementari) all’interno di un contenitore, con l’etichettatura di
ogni elemento che indichi le informazioni per l’identificazione e il reperimento.
La base di quest’ultima applicazione linguistico-filologica dell’informatica è la
rappresentazione del testo come un insieme di dati elementari che possano essere codificati
e trattati attraverso il computer per ottenere risultati che un lettore umano non può ottenere
a causa della sua capacità limitata di analizzare quantità molto elevate di dati. La
costituzione di una banca dati testuale è un’operazione eminentemente filologica, in quanto
saranno da scegliere, al momento dell’indicizzazione del testo, gli elementi rilevanti da
codificare e quelli da tralasciare ai fini delle successive ricerche filologiche.22
A proposito di tali operazioni, negli anni Novanta si è acceso un vivace dibattito che ha
accompagnato anche la nascita e la definizione dell’informatica umanistica come disciplina
accademica, con il riconoscimento nel D.M. 28 novembre 2000, in cui viene inserita, con la
denominazione «Classe delle lauree specialistiche in informatica per le discipline
umanistiche», all’interno dell’attuale e pluriennale riforma dell’università italiana.23
Per quanto riguarda le opinioni in campo in Italia, questo dibattito ha portato alla
polarizzazione di due posizioni differenti.24 Da un lato c’era chi, come il già citato
Stoppelli, ritenevano che la filologia, nell’era dell’informatizzazione, non vedeva mutato il
proprio statuto epistemologico, bensì proseguiva con nuovi potenti sussidi sulle linee
tradizionali, e conseguentemente sostenevano che fosse opportuno progettare applicazioni
concretamente realizzabili e utilizzabili per il lavoro filologico, cercando di reperire sia nel
mondo accademico che nel mondo editoriale risorse e disponibilità verso questi progetti,

–––––––
22 I moderni progetti che realizzano sistemi per l’assistenza informatizzata alla collazione filologica
delle fonti arrivano ad integrare questi vari livelli per costituire un’officina filologica virtuale che
possa mettere a disposizione del filologo sinotticamente sia le fonti utilizzate che i risultati parziali
del proprio lavoro di edizione del testo: basti citare il caso del progetto Pinakes, presentato nella
presente sessione dal congresso CILPR 2007 da Andrea Bozzi [sito Internet:
pinakes.imss.fi.it/index.html (settembre 2007)].
23 Nel D.M. 28.11.2000, disponibile sul sito www.miur.it (settembre 2007), si istituisce la classe di
lauree specialistiche in Informatica per le scienze umanistiche.
24
Cf. Gigliozzi (2003).
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con un percorso teorico fortemente orientato alla pratica applicativa, che ha portato alla
definizione di un sistema di indicizzazione e interrogazione testuale come DBT, che sta alla
base ad esempio della LIZ, già citata.25 A questa posizione si opponevano coloro che, come
ad esempio Tito Orlandi, in primo luogo filologo esperto di copto, dedicatosi allo studio
delle applicazioni dell’informatica in campo umanistico, teorizzavano invece una profonda
rivoluzione della filologia attraverso l’informatizzazione dei procedimenti di trattamento
del testo. In linea con questo secondo orientamento possiamo citare le idee e i progetti del
CRILET, un centro di ricerca fondato e diretto fino alla morte prematura da Giuseppe
Gigliozzi, che ha prodotto degli strumenti informatici, come SEBNET, con cui attraverso
l’attribuzione di nomi e azioni a certi parametri narratologici, si mirava a ricostruire schemi
ricorrenti nella narrativa, ad esempio in Pirandello e in Volponi. Si tratta di prospettive
molto interessanti e stimolanti, tuttavia a volte si ha l’impressione che in questo caso le
analisi preliminari, effettuate sul testo per codificare le varianti e le costanti nello schema
narrativo, costituiscano di per sé il nucleo principale della ricerca, cosicché il computer non
sia utile tanto per l’elaborazione dei dati svolta attraverso la macchina, quanto come
stimolo per queste analisi e codifiche strutturali del testo.26
Un altro punto di discussione molto fecondo ha riguardato la codifica dei testi da
indicizzare all’interno dei corpora testuali. Il sistema di interrogazione della LIZ, e di altre
banche dati testuali curate dallo stesso Stoppelli, da Amedeo Quondam e da altri esperti di
letteratura italiana, prevedeva una codifica dei testi in un formato proprietario, legato ad un
editore e non di libero uso.27 Una evoluzione successiva di queste banche dati si può
ritrovare nella Biblioteca italiana on line, nata da un consorzio interuniversitario e già ricca
di ben 1700 opere della letteratura italiana interrogabili online.28 L’impresa, sotto la
direzione di Amedeo Quondam e Gianfranco Crupi, ha adottato all’inizio il supporto
informatico del DBT, per passare poi ad una codifica dei testi sulla base di uno standard
condiviso a livello internazionale, il linguaggio di codifica della TEI, i cui programmi di
applicazione sono di natura open source.29 Il principio che ha guidato queste operazioni di
codifica è stato quello di selezionare, all’interno dei dati che vanno a costituire il testo (e il
para-testo), quelli che potessero essere i più significativi, in modo da non rendere la
codifica troppo complessa ed artificiosa, oltreché troppo dispendiosa in termini di lavoro e
di energie impiegate. Risponde a questo criterio il fatto che ad esempio si sono tralasciate le
pagine, come scansione topografica del testo, per affidare questa funzione ad elementi che
non variassero da un’edizione all’altra, come il numero del verso o della strofa, la struttura
in capitoli e paragrafi, la scansione del testo teatrale in scene ed atti. In questo campo si è
riscontrata la posizione opposta di chi ritiene la codifica come un sistema assoluto che deve
rendere ragione di tutti gli elementi del testo e del paratesto, comprese caratteristiche
editoriali specifiche e scansione delle pagine. Di fatto l’adozione di una codifica troppo
dettagliata o rigorosa ha portato all’impossibilità di portare a termine alcuni progetti di

–––––––
25 In Stoppelli (2001: 824-825).
26 Il progetto SEBNET e le relative applicazioni vengono descritte in Gigliozzi / Giuliani (1993).
27 Oltre a LIZ, ad esempio Quondam (1997).
28 Oggi consultabile online all’indirizzo: www.bibliotecaitaliana.it (settembre 2007).
29
Si tratta del progetto Text Encoding Initiative [sito Internet: www.tei-c.org (settembre 2007)].
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corpora testuali la cui elaborazione avrebbe richiesto con tali procedure tempi troppo
estesi.30

7. Conclusioni

La diffusione online e l’uso di una codifica standard costituiscono senz’altro la frontiera


più conveniente e potente della banca dati testuale per il filologo, in quanto risulta essere
decisiva, da un lato, la possibilità di vasta applicabilità testuale di uno strumento
informatico di interrogazione testuale, dall’altro la presenza di una biblioteca più vasta
possibile di testi da interrogare. La costituzione di tale rete di biblioteche, siano esse
personali, comuni ad un gruppo di studio, pubblicate su cd-rom, o disponibili in rete,
richiede comunque un’operazione preliminare di trasferimento dei testi da supporto
cartaceo a supporto informatico, per la quale si rende necessaria la competenza e la capacità
operativa specifica di quello che potremmo definire, nell’era attuale di interscambio fra
Gutenberg e Von Neumann, copista informatico. Se prendiamo in considerazione l’altro
polo, quello della fruizione, possiamo descrivere la funzione cui tendono tutti questi
strumenti di de-costruzione e ri-aggregazione dei dati presenti nel testo, come quella di
fornire al lettore la capacità di una lettura simultanea dell’intero testo, e anche di un intero
corpus, cioè dell’intera biblioteca che deve far parte della «memoria filologica» dello
studioso nel corso delle sue ricerche o analisi testuali: in questo senso l’uso di questi mezzi
non produce altro che una potente addizione di memoria messa a disposizione di quel
lettore memore e aperto al futuro del testo che è il filologo.

Bibliografia

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–––––––
30
Cf. Stoppelli (2001: 819).
Banche dati testuali e biblioteche telematiche come implementazione tecnologica della filologia 267

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