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Accademia Editoriale

SUL SENSO INTERNO di IMMANUEL KANT


Author(s): Luca Fonnesu, Claudio La Rocca and IMMANUEL KANT
Source: Studi Kantiani, No. 4 (1991), pp. 123-159
Published by: Accademia Editoriale
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/24344805
Accessed: 10-08-2016 13:59 UTC

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SUL SENSO INTERNO
di
IMMANUEL KANT

a cura di Luca Fonnesu e Claudio La Rocca

Le edizioni kantiane e la riflessione «Sul senso interno»

Nel 1900 prendeva avvio, per iniziativa di Wilhelm Dilthey e a


cura dell'Accademia delle Scienze di Berlino, l'edizione critica
delle opere di Kant, che va ora avviandosi alla sua conclusione1
L'edizione è divisa in quattro distinte sezioni: opere, epistola
rio, Nachlafi e lezioni, e di quest'ultima sezione mancano sol
tanto due volumi, dedicati alle lezioni di geografia fisica e a

3uelle di antropologia
i Gerhard (voli. XXV edelle
Lehmann, l'Accademia XXVI). Dopodi
Scienze la Gottinga
scompar
(attuale responsabile dell'edizione) ha affidato ora a Reinhard
Brandt il compito di portare a termine l'edizione. Va detto che
gli ultimi volumi editi da Lehmann hanno suscitato notevoli
polemiche, non risultando più, secondo alcuni, al livello dovuto
ad un'edizione critica delle opere di Kant2. Inoltre, in un recen
te, equilibrato e preciso intervento, Norbert Hinske ha passato
in rassegna i problemi e le lacune che l'edizione dell'Accademia
presenta, e non solo nella sua ultima sezione3. E accanto alla
richiesta di una revisione dell'edizione se ne può proporre
un'altra: che tutta l'edizione venga resa disponibile, dalla casa

1. Kant's Gesammelte Schriften, hrsg. von der Kòniglich Preufiischen Aka


demie der Wissenschaften und Nachfolgern, Berlin, 1900 e sgg.
2. Si veda ad esempio la polemica tra Werner Stark e Gerhard Lehmann,
svoltasi sulle pagine della «Zeitschrift fiir philosophische Forschung» nel
1985.

3. N. FIinske, Die Kantausgabe der Preufiischen Akademie der Wissen


schaften und ihre Problème, in «Il cannocchiale», 3, 1990, pp. 229-254, cui s
rimanda anche per l'ampia bibliografia sulla questione. Nello stesso numero
della rivista, è da vedere anche: W. Stark, Problème der Edition und Docu
mentation, pp. 255-261.

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LUCA FONNESU

editrice Walter de Gruyter, nella veste economica in cui per


è possibile avere soltanto i volumi della prima sezione. Sa
opera meritoria permettere di procurarsi l'intero corpus
re finora pubblicato sia ai singoli studiosi, sia alle biblio
con fondi relativamente limitati.
Nel frattempo, il panorama della «filologia kantiana» h
nosciuto altre novità, a partire dal lavoro lessicografico d
dallo stesso Hinske presso la Kant-Arbeitsstelle dell'univ
di Trier, sul quale qui non ci possiamo soffermare4. Lo
studioso che sta completando l'edizione dell'Accademia, R
hard Brandt, ha fondato presso l'università di Marburgo,
me con Werner Stark, un nuovo vivace centro di ricerca k
na, il Kant-Archiv5. Fin dalla morte di Kant, il reperimen
manoscritti autografi, di trascrizioni di lezioni ο di altro
riale ha costituito un problema complesso, aggravato in m
notevole dalle distruzioni dell'ultima guerra e dalla divis
della Germania. Anche in seguito alle accresciute difficol
ricerche di materiale sono state, dopo il 1945, ben poco si
tiche: il Kant-Archiv si è assunto il compito di seguire le
e dei manoscritti kantiani e di qualsiasi altro materiale in
riguardante direttamente ο indirettamente il filosofo di K
berg (un caso interessante è quello del Nachlafi di Erich
kes, di cui si è occupato Werner Stark6). Oltre alla ricer
alla pubblicazione di materiali inediti, il Kant-Archiv pr
ve anche, nel suo ambito, indagini di tono più teoretico

4. Si veda però la nota di R. Pozzo, La Kant-Arbeitsstelle della Univer


Trier, nello stesso numero de «Il cannocchiale» citato qui sopra, pp. 20
5. Sul Kant-Archiv cfr.: R. Brandt-W. Starr, Kant-Archiv Marburg
«Information Philosophie», 1983, pp. 49-52; W. Starr, Kantiana in
in «Kant-Studien», LXXVI (1985), pp. 328-335; S. Fabbri Bertole
dizione delle lezioni kantiane, in «Giornale critico della filosofia ita
LXIV (1985), pp. 164-166; R. Brandt-W. Starr, Das Marburger
Archiv, in «Kant-Studien», LXXIX (1988), pp. 80-88; Β. Antoma
Kant-Archiv di Marburgo, in «Il cannocchiale», 1, 1990, pp. 81-
Starr, Zum Verbleib der Kònigsberger Kant-Handschriften: Funde u
siderate, in «Deutsche Zeitschrift fiir Philosophie», XXXIX (1991), p
291.

6. W. Starr, Mitteilung in memoriam Erich Adickes 1866-1928, in


Studien», LXXV (1984), pp. 344-349.

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SUL SENSO INTERNO

quanto preferibilmente su questioni legate alla struttura


dei testi.
Non si può certo dire che il lavoro del centro marburg
sia rimasto allo stato delle enunciazioni programmatiche
buoni propositi. Nel 1987 sono cominciate presso l'edito
lix Meiner di Amburgo le pubblicazioni di una collana, le
Forschungen, il cui ruolo consiste proprio nel comunicar
sultati delle ricerche svolte nell'ambito dell'archivio. Il p
volume contiene un'ampia gamma di contributi, tra cui la ri
sione kantiana che presentiamo qui in traduzione italiana
riflessione kantiana sulla geometria e alcuni importanti c
buti (di W. Stark e T. Pinder) sulle lezioni kantiane di lo
Nel 1988 è uscito il secondo volume, di Bernd Ludwig,
to a motivare e giustificare la nuova disposizione del test
Metafisica dei costumi (l'introduzione e la dottrina del di
pubblicato dallo stesso Ludwig nel 19868. All'inizio del 1
Reinhard Brandt ha pubblicato una monografia sulla tavo
giudizi della prima Critica9. Imminente dovrebbe essere
pubblicazione di altri due volumi della collana: Marie
miiller ha annunciato una nuova edizione critica delle Bemer
kungen in den «Beobachtungen iiber das Gefuhl des Schònen
und Erbabenen» (1764)10, e Werner Stark una ricerca sulle que
stioni filologiche legate alle lezioni kantiane.
Non ci è sembrato fuori luogo, nel presentare in lingua italia
na un frammento inedito kantiano, dare anche conto dello stato

7. R. Brandt-W. Stark, Neue Autographen und Dokumente zu Kants


Leben, Schriften und Vorlesungen - Kant-Forschungen 1, Hamburg, Meiner,
1987.

8. B. Ludwig, Kants Rechtslehre. Mit einer Untersuchung zur Drucklegung


kantiscber Schriften von Werner Stark - Kant-Forschungen 2, Hamburg, Mei
ner, 1988. Cfr. I. Kant, Metaphysische Anfangsgrunde der Rechtslehre, neu
hrsg. von B. Ludwig, Hamburg, Meiner, 1986 (Phil. Bibl. Bd. 360).
9. R. Brandt, Die Urteilstafel. (Kritik der reinen Vernunft A 67-76; Β 92
101 ) - Kant-Forschungen 4, Hamburg, Meiner, 1991. Finora, il lavoro più im
portante sull'argomento era, che io sappia, il libro di Klaus Reich, del 1932:
Die Vollstàndigkeit der Kantischen Urteilstafel, ora ristampato: Hamburg,
Meiner, 1986.
10. Kant-Forschungen 3, neu hrsg. von M. Rischmuller, Hamburg, Mei
ner, 1991.

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LUCA FONNESU

delle edizioni kantiane e dell'attività del Kant-Archiv,


è proprio nell'ambito di quest'attività che il testo ka
stato rintracciato e pubblicato. Si tratta di un manoscr
grafo su due facciate, intitolato dallo stesso Kant Vom
Sinne, rintracciato nella biblioteca di Leningrado (desig
questo come Loses Blatt Leningrad 1) ed appartenuto a
co di Kònigsberg Friedrich Wilhelm Schubert (179
Edito una prima volta in versione russo-tedesca nel 1
frammento ha trovato poi la sua sede più adeguata p
zione accurata, con introduzione e commento di R
Brandt, nel primo numero delle Kant-Forschungenu.
mento ha attirato subito l'attenzione degli studiosi, ed
tradotto già in diverse lingue13.
Non è possibile dare indicazioni sicure sulla datazion
riflessione kantiana. Brandt ha proposto comunque, c
argomenti, di collocare lo scritto dopo la seconda ediz
Critica della ragion pura, intorno al 179014. L'ambito
matico è quello della «confutazione dell'idealismo», co
titola anche un importante paragrafo della Critica, agg
Kant nella seconda edizione. Il contenuto del testo doc
oltre al permanere della «preoccupazione» kantiana su

11. A cura di R. Brandt, W. Starr e A. Gulyga (in «Voprosy


IV, 1986, pp. 128-136). La datazione, poi corretta, del frammento
indicata qui nel periodo di preparazione della seconda edizione de
della ragion pura, e più precisamente intorno al 1786.
12. Cfr. R. Brandt, E in e neu aufgefundene Reflexion Kants «Vo
Sinne» (Loses Blatt Leningrad 1), in R. Brandt-W. Starr, Neue A
phen, cit., pp. 1-30.
13. La traduzione francese, di A. Perrinjaquet, è apparsa nella «
théologie et de philosophie», CXIX, 1987, pp. 421-472, con introd
Brandt e commento di G. Mohr e G. Seel; la traduzione inglese, d
son, è apparsa nello «International Philosophical Quarterly», XX
pp. 252-261 ; una traduzione spagnola, di A. Rosales, è infine stata
nella «Revista Venezolana de Filosofia», 1988, pp. 15-24. Tutte e t
edizioni riproducono anche la trascrizione del testo tedesco curata
Stark. Nell'edizione dello «International Philosophical Quarterly»
anche alcune proposte di trascrizione, di Manfred Baum, alternat
scrizione di Stark. Va ricordata infine una traduzione italiana, pu
«Scienza e società», IV, 1986, pp. 3-4, che è però inutilizzabile.
14. R. Brandt, Eine neu aufgefundene Reflexion, cit., p. 2.

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SUL SENSO INTERNO

tema dopo il 1787, alcuni spunti nuovi del filosofo


mento.

Luca Fonnesu

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IMMANUEL KANT

II

Immanuel Kant
Sul senso interno
(Loses Blatt Leningrad 1)

AVVERTENZA

Traduciamo qui di seguito il testo della riflessione «Sul


interno» basandoci sulla edizione delle «Kant-Forsch
curata da R. Brandt (trascrizione di Werner Stark). Ab
mantenuto la numerazione che indica le righe rispettiv
del recto e del verso (I e II) del manoscritto. Non abbia
portato invece le parole cancellate nel manoscritto, né a
indicato come tali le parole inserite da Kant sopra ο so
riga. Le parentesi tonde sono di Kant; le quadre segnal
nostre integrazioni. I termini latini e le sottolineature
sono in corsivo. Ringraziamo il Prof. Reinhard Brandt p
re cortesemente autorizzato la traduzione.

I
Sul senso interno

Il tempo è il meramente soggettivo della forma dell'intui


zione interna, in quanto noi veniamo affetti da noi stessi;
esso contiene quindi soltanto il modo in cui noi apparia
mo a noi stessi, non il modo in cui
siamo. Possiamo infatti rappresentarci il tempo soltanto
esercitando affezione su noi stessi
per mezzo della descrizione dello spazio e l'apprensione
del molteplice della sua rappresentazione.
Per mezzo della coscienza intellettuale ci rappresentiamo
noi stessi ma non ci
conosciamo affatto, né come appariamo né come siamo; e
la proposizione «io
sono» non è una proposizione d'esperienza, ma la pongo
a fondamento in ogni percezione, e

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SUL SENSO INTERNO

per fare esperienza. (Non è nemmeno una proposizio


conoscitiva). Nella esperienza interna, però, che io
compio, esercito affezione su me stesso portando le
presentazioni dei sensi esterni in una
coscienza empirica del mio stato. Tramite ciò io con
me stesso, però solo in quanto
sono affetto da me stesso, dove io non sono a me fen
no in quanto esercito affezione su me stesso
attraverso rappresentazioni di sensi esterni (queste s
rappresentazioni di fenomeni),
perché sarebbe spontaneità, ma in quanto io vengo affet
da me stesso; perché questa è recettività.
Lo spazio è infatti la rappresentazione di oggetti este
nel fenomeno. Soltanto,
l'apprensione sintetica di queste rappresentazioni1 in
coscienza dello stato delle mie
rappresentazioni è legata al tempo, e la rappresentazione
del tempo è solo la forma soggettiva della mia sensibilità,
come io appaio a me stesso nel senso interno. Da ciò si
può vedere che
non avremmo alcun senso interno e non potremmo deter
minare la nostra esistenza nel tempo
se non avessimo alcun senso esterno (reale) e se non ci
rappresentassimo oggetti nello spazio come
distinti da noi.
Si deve distinguere la appercezione pura (trascendentale)
da quella empirica, la apperceptio percipientis dalla apper
ceptio
percepii2. La prima dice semplicemente «io sono». La se

1. Nell'edizione critica dello «International Philosophical Quarterly» M.


Baum suggerisce, in alternativa alla trascrizione di W. Stark, da noi seguita, di
leggere Vorstellung («rappresentazione») invece del plurale Vorstellungen. In
questo caso la parola «rappresentazione» si riferirebbe allo spazio (cfr. r 15).
2. W. Stark trascrive qui «apperceptiva percepii»; in questo caso si dovrebbe
integrare l'espressione con facultas (come suggerisce R. Brandt nel Kommen
tar alla trascrizione Stark) ο con apperceptio (altra possibilità proposta da G.
Mohr e G. Seel nel Commentaire all'edizione francese): si avrebbe allora fa
cultas apperceptiva percepii ο apperceptio apperceptiva percepii. Ma il mano
scritto consente di leggere «apperceptione» (trascrizione proposta da M.

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IMMANUEL KANT

conda dice «io ero, io sono e io sarò», cioè: «io sono u


24 cosa del tempo passato, presente e futuro», dove q
coscienza «io sono» è comune a tutte le cose [come]3
terminazione della mia esistenza
25 in quanto grandezza. Quest'ultima [appercezione] è co
smologica, la prima puramente psicologica. L'appercezio
ne cosmologica,
26 che considera la mia esistenza come grandezza nel tempo,
mi pone in relazione con altre cose che esistono,
27 esistevano ed esisteranno, dato che la simultaneità non è
una determinazione del reale rispetto al percipiens,
28 bensì rispetto al perception, poiché la simultaneità viene
rappresentata soltanto in riferimento a ciò che può essere
percepito all'indietro come anche
29 in avanti; il che non può essere l'esistenza
30 del percipiens, che può aver luogo soltanto successivamen
te, cioè in avanti. Ciò che deve essere dato prima di essere
31 pensato è dato solo come fenomeno. Dunque un'esistenza
cosmologica è soltanto l'esistenza di una cosa
32 nel fenomeno. In modo immediato io non sono per me
stesso un oggetto, ma solo colui che percepisce in questo
modo un oggetto.
33 Solo in quanto io apprendo oggetti nel tempo, e precisa
mente oggetti dello spazio, determino la mia esistenza
34 nel tempo - è necessario che io possa diventare a priori
cosciente di me come in relazione con altre cose ancora
prima della percezione di esse,
35 e che di conseguenza la mia intuizione, in quanto intui
zione esterna, appartenga alla coscienza stessa prima della
coscienza della mia impressione,

Baum): ciò sarebbe conforme tra l'altro all'uso kantiano di declinare i sostan
tivi latini inseriti nella frase tedesca. Seguiamo la proposta di Baum, lasciando
nella traduzione, secondo l'uso italiano, il termine al nominativo.
3. Il testo suona: «... wo dies Bewufitseyn ich bin alien Dingen Bestimmung
meines Daseyns als Gròfie gemein ist». E necessaria una integrazione; tradu
ciamo sottintendendo un «als» («come»; stessa soluzione nella traduzione di
H. Robinson: «as»). Altra possibilità è quella di integrare con «in der» («nel
la»), come propone R. Brandt (soluzione scelta nella traduzione francese e in
quella spagnola).

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SUL SENSO INTERNO

II

poiché lo spazio è la coscienza di questa relazione reale.


Per quanto io qui venga affetto, tuttavia non è necessaria
un'inferenza per concludere da ciò l'esistenza di un ogget
to esterno, perché questa è richiesta per la coscienza
della mia esistenza nel tempo, dunque per l'autocoscienza
empirica (della simultaneità), e
io dunque la conosco proprio come conosco me stesso. Io
sono in modo immediato ed
originario cosciente di me stesso come di un ente monda
no, e proprio solo per mezzo di ciò la mia propria esisten
za è determinabile, solo come fenomeno, in quanto gran
dezza nel tempo.
Per diventare cosciente dell'esistenza di un ente singolo è
richiesta un'inferenza da poche rappresentazioni determi
nate nello spazio;
che però in generale esista qualcosa fuori di me è dimo
strato dalla stessa intuizione dello spazio, che non può
scaturire
dalla forma del senso esterno, e senza di questo neanche
dalla facoltà di immaginazione; di conseguenza tale intui
zione,
in quanto senso realmente esterno, fonda la sua possibilità
su qualcosa di esterno a noi. Essere affetti presuppone ne
cessariamente qualcosa di esterno,
si basa dunque certamente su di un senso. Che noi si possa
esercitare affezione su noi stessi (il che deve essere almeno
ammesso,
se in generale deve esistere un senso) è possibile soltanto
perché noi apprendiamo le rappresentazioni
delle cose da cui siamo affetti, cioè le rappresentazioni di
cose esterne, poiché tramite ciò noi esercitiamo affezione
su noi stessi,
e il tempo è propriamente la forma dell'apprensione delle
rappresentazioni4 che si riferiscono a qualcosa fuori di
noi.

4. Nel testo Vorstellung è al singolare, ma il verbo è al plurale («welche sich


auf etwas ausser uns beziehen»).

I3I

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IMMANUEL KANT

La difficoltà consiste in realtà in ciò, che non può


compreso come un senso esterno
sia possibile (l'idealista deve negarlo), poiché l'esterno
deve anzitutto essere rappresentato
prima che un oggetto venga posto in esso. Se però non
avessimo alcun senso esterno, allora non avremmo
nemmeno

alcun concetto di esso. Che però qualcos


corrisponda alla mia rappresentazione e
fondamento
della sua esistenza non può essere una per
deve risiedere dunque semplicemente nell
tazione
dello spazio come una forma della intuizione che non
può essere derivata dal senso interno,
nella quale viene pensato il legame ο la relazione delle
cose che sono distinte l'una dall'altra.
Il motivo per cui questa non è da considerare una de
terminazione semplicemente interna e una rappresenta
zione del proprio stato,
è perché a questo manca il permanente nel succedersi
delle rappresentazioni.
La coscienza della nostra recettività in rapporto ai fonda
menti di determinazione interni ο esterni della nostra rap
presentazione e
della forma di intuizione sensibile legata ad essa deve aver
luogo in noi a priori (senza che sia lecito inferire quest'ul
tima da percezioni reali)
perché altrimenti lo spazio non verrebbe rappresentato a
priori.
Lo spazio non può essere derivato da fondamenti interni
di determinazione della facoltà rappresentativa, poiché
tutto in esso verrebbe rappresentato come fuori di noi,
ed è impossibile pensare a rappresentazioni esistenti nello
spazio. Di conseguenza il senso interno
non potrebbe fornire mai tali rappresentazioni spaziali, il
che tuttavia dovrebbe poter accadere, perché deve essere
almeno
possibile diventare coscienti di tali rappresentazioni in
quanto appartenenti al senso interno.

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SUL SENSO INTERNO

30 È quindi impossibile che non ci sia alcun senso ester


solo senso interno e tutt'al più, oltre a questo, infer
31 dalle percezioni reali del senso interno a qualcosa fu
noi, perché altrimenti oggetti del senso interno
32 (rappresentazioni) dovrebbero essere pensati anch
spazio.

Σ33

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CLAUDIO LA ROCCA

Ili

Soggetto e mondo in Kant: la riflessione «Sul senso in


terno»

Kant non era soddisfatto della sua Confutazio


Già prima di dare alle stampe la seconda edi
della ragion pura egli apportò, nella nuova I
modifica al testo. Ma la insoddisfazione dov
anche in seguito, come è testimoniato dalle nu
che egli scrisse in anni successivi, soprattutto
no al 1790, riprendendo e riformulando il t
zioneLa attenzione di Kant per la cogenza
zione, la ricerca di precisione e rigore testimo
ritorno sugli stessi temi non sembrano dovut
valore fondante di queste pagine per la filoso
gerite piuttosto dal loro scopo polemico-dife
la ambizione da parte di Kant di chiudere rea
lo della filosofia» consistente nella mancanza di una dimostra
zione decisiva dell'esistenza delle cose esterne2. La Confutazio
ne non costituiva infatti una reale «aggiunta», dal punto di vista
del contenuto3, alle teorie elaborate nella prima edizione della
KrV, né un tema di importanza «costruttiva» per la critica della

1. Sulla «preistoria» della Confutazione e le vicende che indussero Kant a


scriverla, cfr. R. Brandt, Etne neue aufgefundene Reflexion Kants «Vom
inneren Sinne» (Loses Blatt Leningrad 1 ) (in part, la Einleitung: Kants Wider
legung des Idealismus), in R. Brandt/W. Starr (Hrsg.), Neue Autographen
und Dokumente zu Kants Leben, Schriften una Vorlesungen, Kant
Forschungen, Bd. I, Meiner, Hamburg, 1987, pp. 1 sgg. Le Reflexionen sul
tema (Akademie-Ausgabe, Bd. XVIII, η. 5653-4, 6311-16, 6319, 6320, 6323;
citate in seguito con la sigla R) vengono discusse ampiamente da P. Guyer,
Kant's Intentions in the Réfutation of Idealism, in «The Philosophical Re
view», XCII, 1983, pp. 329-383.
2. Kritik der reinen Vernunft (in seguito: KrV), Β XXXIX, trad. it. di G.
Colli, Critica della ragion pura, Milano, 198 74, pp. 39-40. Si cita quest'opera
col solo riferimento alla pagina della edizione originale (A ο Β), seguita da
quella della traduzione italiana citata. Le traduzioni di questa e altre opere
kantiane sono state qui in qualche occasione modificate, mantenendo però
l'indicazione della pagina corrispondente della traduzione citata.
3. Ibid. L'aggiunta, precisa Kant, è limitata «alla maniera di dimostrare».

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SUL SENSO INTERNO

ragione paragonabile, per esempio, alla deduzione trascenden


tale delle categorie. Le distinte funzioni di queste parti della
critica della ragione si rispecchiano nei diversi rapporti con il
senso comune che le due argomentazioni secondo Kant intrat
tengono. Nella deduzione trascendentale era in gioco una rivo
luzione del modo di pensare, occorreva dunque difendere una
teoria che suonava widersinnisch4 ; nella Confutazione e nei te
sti che la riprendono Kant vuole invece soltanto confermare il
senso comune, che mai mette in dubbio l'esistenza del mondo
esterno. Lo confessa in una pausa del suo faticoso argomentare,
scrivendo: «io mi arrampico anche attraverso difficili sottigliez
ze fino al culmine dei princìpi, non tanto come se il buon senso
non potesse giungervi senza questi rigiri, ma per togliere ogni
forza a tutte le sottigliezze sofistiche che si avanzano contro di
ciò»5
Se il risultato dello sforzo argomentativo kantiano è condivi
so dal senso comune, ciò vale però in misura decisamente mino
re per il suo percorso. Le confutazioni dell'idealismo utilizzano
esplicitamente ο implicitamente teorie che Kant stesso non esita
a definire paradossali6 e che presentano comunque notevoli dif
ficoltà: la dottrina dell'apriorità di tempo e spazio, la idea della
autoaffezione, la tesi del carattere fenomenico della conoscenza
di sé, ecc. Questi elementi sono tessuti insieme in maniera par
ticolarmente densa nel frammento Vom inneren Sinne recente
mente ritrovato, che per questo motivo, ma anche per il fatto di
contenere alcuni elementi di novità, riveste un particolare
interesse7. Cercheremo in seguito di ricostruirne la problemati

4. A 128, it. 208.


5. R 5654, p. 313. Cfr. a questo proposito anche A 387-88, it. 449-50: «Nei
giudizi dove si presenta un equivoco radicato per lunga abitudine, è impossi
bile rettificare subito l'errore con una intelligibilità quale può essere raggiunta
in altri casi, quando cioè il concetto non risulti confuso per opera di una
siffatta illusione inevitabile. Questa nostra liberazione della ragione dalle teo
rie sofistiche avrà quindi difficilmente la distinzione che le è necessaria per
una piena soddisfazione».
6. Cfr. Β 152, it. 187.
7. Sulle diverse edizioni del frammento, pubblicato per la prima volta nel
1986 in «Voprosy Filosofii», con la denominazione «ufficiale» Loses Blatt
Leningrad 1, cfr. in questo fascicolo di «Studi kantiani» la nota introduttiva di
L. Fonnesu alla nostra traduzione (sopra, pp. 123-127). R. Brandt (op. cit., p. 2)

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CLAUDIO LA ROCCA

ca anche in riferimento alle altre pagine kantiane che aff


i temi in esso trattati, sottolineando gli aspetti più int
del testo recentemente rinvenuto e gli elementi che es
buisce a chiarire.

1. Senso interno e autoaffezione

Vom inneren Sinne si apre richiamando il carattere s


del tempo come forma dell'intuizione, in stretta con
con la idea dell'autoaffezione8. L'intera teoria kantian
«interno» distinto da un «esterno» si basa su questi due
chiave. «Senso interno» prima di Kant equivaleva a
scienza ο appercezione9, ossia a concetti che Kant inve
gue dal primo nel modo più netto10. Il senso interno
coscienza intellettuale di sé, ma è quel senso «per m

attribuisce il manoscritto ad un periodo che va dagli ultimi anni de


1780 fino ai primi anni '90. Citerò in seguito il Leningrad 1 con
l'indicazione (riportata in tutte le edizioni del testo originale) della
II) e delle righe del manoscritto.
Oltre alla ricordata Einleitung ed all'annesso Kommentar (ibid.,
di R. Brandt alla edizione del frammento nelle «Kant-Forschun
apparsi finora i seguenti contributi sul Vom inneren Sinne: G.
Seel, Commentaire, in appendice alla edizione e traduzione france
nella «Revue de Théologie et de Philosophie», vol. CXIX, 1987, p
(questa edizione contiene anche la trad. francese della Einlei
Brandt, ed è stata edita anche separatamente: «Du Sense Interne»
inédit d'Immanuel Kant, Cahiers de la Revue de Théologie et de P
Paris, Vrin, 1988); G. Zoeller, Making Sense Out of Inner Sense
tian Doctrine as Illuminated hy the Leningrad Reflexion, in «Int
Philosophical Quarterly», XXIX, 3, 1989, pp. 263-70; H. Robinso
Sense and the Leningrad Reflexion, ibid., pp. 271-279; M. Baum
Cosmological Apperception, ibid., pp. 281-289. Brevi bibliografie
ti tematicamente connessi al frammento (confutazione dell'idealis
interno, tempo) si trovano in appendice all'edizione di R. Brandt (pp
a quella della «Revue de Théologie et de Philosophie» (pp. 471-72
8. Cfr. L I, 2.
9. Cfr. Β 153, it. 187.
10. Cfr. I. Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, in We
hrsg. v. W. Weischedel, Frankfurt a.M., 1968, Bd. XII (in seguito
pp. 430-31, 456, trad. it. di G. Vidari, riv. da A. Guerra: Antrop
matica, Laterza, Roma-Bari, 1985, pp. 25, 45; cfr. anche KrV Β
103-4.

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SUL SENSO INTERNO

quale l'animo intuisce sé stesso ο il proprio stato interno


Β 37, it. 77-78). Questa intuizione di sé da parte dell'an
sottoposta alla condizione della temporalità: «è una for
terminata quella in base alla quale soltanto è possibile l
zione dello stato interno dell'anima, in modo che tutto
appartiene alle determinazioni interne viene rappresent
rapporti di tempo» (ibid., it. 78). L'intuizione del tipo
zioni possibili tra gli stati interni dell'animo è il temp
«non può essere intuito esternamente» (ibid.): esso n
essere considerato una determinazione di fenomeni est
«non appartiene né ad una figura né ad una posizione» (
49-50, it. 89). Si può dire anzi che il carattere temporal
temporale dell'ordinamento delle rappresentazioni defi
l'interno in quanto tale. Che il tempo sia forma del sens
no vuol dire anche che «interno» è ciò che esibisce solo
forma e non altra.
Forma temporale hanno tuttavia anche le intuizioni es
che però presentano anche l'ordinamento formale propr
senso esterno, ο dei «sensi esterni», lo spazio. Il prima
senso interno è dovuto appunto al fatto che esso costitui
«condizione formale a priori di tutte le apparenze in gen
(A 34 Β 50, it. 90), in quanto condizione immediata del
renze interne e condizione mediata di quelle esterne. Infatt
te le rappresentazioni, qualunque sia il loro oggetto (est
interno), «appartengono in sé stesse, in quanto determi
dell'animo, allo stato interno» (ibid.). Da questo primat
tempo sembra allora si possa inferire un primato della e
za interna. Ogni esperienza esterna sarebbe preceduta
autointuizione di sé, di carattere temporale. L'esperienz
na si verrebbe a produrre innestando su questa intuizion
na un quadro di riferimento «esterno»: l'ordinamento f
spaziale.
La dottrina della autoaffezione, esplicitata nella seconda edi
zione della Critica della ragion pura, sembra mettere il sigillo a
questa impostazione. Originario e fondante è l'autoriferimento
intuitivo del soggetto al proprio stato, che ha forma temporale
ed è (ulteriormente) determinato dall'influsso dell'intelletto
sulla immaginazione. La costituzione del mondo esterno, me
diante la «prima applicazione» dell'intelletto ad oggetti dell'in
tuizione (B 152, it. 186), sembrerebbe solo un'operazione svol

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CLAUDIO LA ROCCA

ta in una tale «officina interna» dell'animo. Ma pro


mento in cui introduce esplicitamente la teoria de
zione, confermando almeno in apparenza il primato
interna, Kant formula la sua confutazione dell'ide
mette questo primato radicalmente in questione. C
gano e si conciliano questi due momenti?
L'autoaffezione è una affezione di tipo particolar
to più se si considera quella particolare autoaffezion
chiamare «trascendentale» . Nell'affezione da part
getto questo è «dato» in qualche modo (mai precisa
alla sensibilità. Questa «recettività» è un concetto
definito in opposizione al suo contrario, la spontan
è ciò che non è spontaneamente prodotto, la cui con
non è dovuta ad una operazione autonoma del sogg
autoaffezione, nella quale «noi dovremmo compor
passivi nei confronti di noi stessi» (B 153, it. 187)
della affezione esterna non è però interamente e le
ripreso, e da ciò derivano diverse difficoltà. Il sog
sdoppiarsi. Il soggetto passivo non produce la rapp
ne, ma neanche semplicemente assume dei «dati» in
assumere, il suo «ricevere» è prodotto da una attiv
getto stesso, ovvero dell'altra sua componente,
va»12. Questa attività è sostanzialmente un porre: n
le rappresentazioni nel tempo; tale atto di «porre
rappresentazione» (B 68, it. 103), ossia di ordinarla
altre, comprendendole secondo un ordine temporal
tività propria» dell'animo (B 67, it. 103), la quale e
zione su di esso. La affezione in questo caso no
prodotta dal presentarsi delle apparenze, dal loro es
sensazione, e neanche dal presentarsi di apparenze
ma dall'operazione di porre apparenze nel tempo
quella attività di precomprensione formale e ordin
consiste la decifrazione intellettuale delle forme della intuizio

11. Cfr. G. Zoeller, op. cit., pp. 267 sgg.


12. Kant parla di un «io sensibile» determinato dall'«io intellettuale»: cfr.
Welches sind die wirkliche Fortschritte, die die Metaphysik seit Leibnitzens
und Wolfs Zeiten in Deutschland gemacht bat? (in seguito: Fortsch.), Werk
ausgabe, cit., Bd. VI, p. 602, trad. it. a cura di P. Manganaro: I progressi della
metafisica, Bibliopolis, Napoli, 1977, p. 78.

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SUL SENSO INTERNO

ne, ο meglio della forma del tempo. Il porre non corrispond


alcun modo ad un produrre spontaneo, perché «questa co
za richiede una percezione interna del molteplice, che vi
to in precedenza nel soggetto» (B 68, it. 103-4).
Questo Setzen però non sembra limitato all'atto di r
prendere nella forma dell'intuizione. Una intuizione di
produce infatti anche per mezzo dell'apprensione da part
soggetto intellettuale («la facoltà di divenire cosciente di
ciò che «è contenuto nell'animo», una apprensione che è
un «ricercare» (B 68, it. 104), un identificare secondo rap
temporali logicamente compresi. Questo ricercare stesso
ta affezione sull'animo e «solo in questo modo [la faco
divenire cosciente di sé] può produrre una intuizione di s
sa» (ibid.). La «affezione» è dunque esercitata tramite un
vità di «porre» e «ricercare» esercitata sulle rappresent
che sono originariamente frutto di affezione esterna13.
getto tematico» reale in questa autoaffezione trascende
ovvero ciò che, in quanto esercita affezione, viene «accolt
soggetto sensibile, non sembra dunque essere propriame
rappresentazione interna in quanto tale (ché questa è l'og
di una, ancora indefinita, esperienza interna, mentre la r
sentazione qui in gioco può anche essere esterna), ma piu
il suo luogo all'interno di un ordine temporale logicamen
terpretato. Affezione di sé non è in prima linea coscienza ri
siva di propri fantasmi sensibili interni (un lasciarsi imp
nare non da dati esterni, ma da dati interni), ma percezio
prodursi di un ordine riconosciuto come interno, che è a
tempo percezione del «prodotto» in quanto ordinato seco
forma dell'«interno». In questo senso la affezione è
innen»14: è un ordine delle rappresentazioni date (qualu
origine esse abbiano) che viene prodotto «all'interno». E
scienza del prodotto del proprio porre e ricercare, del pr
un ordine temporale delle rappresentazioni e dunque una
ra» interna.

13. Cfr. Β 67, it. 103: «Le rappresentazioni dei sensi esterni costituiscono
nell'intuizione interna la vera e propria materia con cui riempiamo [besetzen\
il nostro animo».
14. Β 69, it. 104.

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CLAUDIO LA ROCCA

Questa coscienza è possibile solo come coscienza di u


ne interno dato, non è mai coscienza pura di una mer
neità, ma è sempre per così dire coscienza «applicata
la distingue da una appercezione intellettuale è prop
non poter prodursi se non producendo un ordine di d
minati. Non si ha però, come nella affezione esterna,
ne di qualcosa di dato, ma la ricezione di qualcosa di
dall'io stesso, cioè di un ordine intellettuale, nel dato.
to «viene affetto dal proprio gioco di pensieri»15.
Il tempo è dunque il modo della strutturazione d
nuum dell'esperire, quindi un modo della autoaffezio
organizzarsi di un decorso temporale. Questa stretta c
tra tempo ed autoaffezione, già sottolineata nella sec
zione della KrV16, e ribadita in apertura del Leningr
letta come una indicazione del fatto che il tempo non
to» originario della soggettività al quale si «applica» es
mente una operazione intellettuale, ma è il mo
intellettuale (non risolubile in relazioni logiche) del co
di un continuum esperienziale soggettivo. In questo se
quanto sia «logicamente» distinto come intuizione pu
telletto, si può tuttavia dire che non si dà tempo senza
zione. Il Leningrad 1 scrive perciò che «il tempo è il m
soggettivo della forma dell'intuizione interna, in quan
niamo affetti da noi stessi» (I, 2).
L'autoaffezione temporale non esaurisce però la cost
dell'esperienza possibile. Le forme ulteriori di questa
zione chiariranno che l'accento posto sulla autoaffezi

15. Anthr., 456, it. 45. Così, nell'osservazione di sé, che può fu
esempio dell'autoaffezione iiberhaupt, «noi modifichiamo [affiziere
interno mediante la attenzione, in parte anche fino al grado del dis
fatica [der Beschwerlichkeit]» (Fortsch., 602, it. 78), per ottener
scenza di ciò che ci offre il senso interno. La attenzione è un esemp
(richiamato anche in KrV Β 157-58, it. 193) di una «osservazione»
ce - faticosamente - un ordine non di per sé «dato» ο «percepito»
re di «fatica» dell'attenzione cfr. anche R 160, Ak XV p. 59). L
della autoaffezione, anche di quella empirica, non è l'atto di offr
dati, ma quello di organizzarli.
16. Cfr. Β 67-68, it. 103. La forma dell'intuizione «non può esser
il modo in cui [...] l'animo è modificato [affiziert] da sé stesso».

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SUL SENSO INTERNO

«prima applicazione» dell'intelletto alla sensibilità non im


una maggiore originarietà del costituirsi della sfera int
L'autoaffezione indica un momento di un complessivo e
vasto processo di istituzione delle condizioni dell'esperien
cui non si segue un percorso che dall'interno va all'ester

2. Autoaffezione ed esperienza interna

Nel Leningrad 1 Kant riassume l'idea di autoaffezione di


che «nella esperienza interna che io compio, esercito aff
su [afficire] me stesso portando le rappresentazioni dei
esterni in una coscienza empirica del mio stato» (I, 9-11
toaffezione non è dunque l'operazione di registrare una
rienza interna, ma il produrre una esperienza interna in
interna, fare sì che rappresentazioni di sensi esterni con
scano a formare una esperienza del proprio stato. Resta diff
in questo contesto comprendere come si debba continua
parlare di «affezione» e «passività», e quindi di carattere
menico dell'esperienza interna, quando la fonte di tale o
mento è il soggetto stesso17. Tuttavia, il fatto che io resti p
stesso fenomeno non è fondato qui nella distinzione di id
tra ciò che esercita e ciò che subisce affezione (non si po
allora parlare di <2«ioaffezione). Il soggetto attivo e il sog
passivo sono lo stesso soggetto, anche se risulta poco com
sibile come possano esserlo18. Il prodursi di una esperien
proprio stato è sottoposto alla condizione dell'ordine te
le: e questo non può essere considerato come forma pro
delle cose in sé stesse.
E la presenza del tempo a fare della esperienza interna una
esperienza di recettività, per quanto nel suo ambito in teoria

17. Traccia di questa difficoltà è l'affermazione di Kant che «è inspiegabile


come avviene» l'autoaffezione (Ak XVIII, p. 611). Si tratta però per Kant di
una difficoltà «comune ad ogni teoria» che si occupi dell'autoconoscenza del
soggetto (KrV Β 68, it. 103).
18. Anzi: «Come sia possibile che io, che penso, sia a me stesso un oggetto
(dell'intuizione), e possa così distinguermi da me stesso, è assolutamente im
possibile da spiegare»; si tratta tuttavia di «un fatto indubbio» (Fortsch., 601,
it. 77).

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non dovrebbe registrarsi alcuna dualità. Kant è por


pire come affezione il prodursi della esperienza rifless
ia già presupposto il carattere sia «non-oggettivo»
pile» del tempo. Non si può arrivare a concepire il
proprietà anche dell'io che esercita (auto)affezio
qualcosa di cui conosciamo solo che consiste in u
spontanea: infatti, «l'apprensione (apprehensio) de
sioni del primo [il senso interfio] presuppone una
formale della intuizione interna del soggetto, cioè
quale non è un concetto dell'intelletto, e quindi va
come condizione soggettiva del modo in cui, second
dell'anima umana, ci sono date sensazioni interne,
dà a conoscer queste non come oggetto in sé»19.
E importante sottolineare sin d'ora che questa fe
gia kantiana della esperienza interna, nonostante il
essa descritto del senso interno come condizione u
non contribuisce ad attribuire una originarietà on
l'esperienza interna, ma anzi corrode essenzialm
consente qui l'espressione) «dall'interno» questo
mato. Per Kant il «presentarsi» di dati interni non va
al fatto che essi costituiscono il primo «reperto» f
co in cui ci si imbatte in una descrizione del cono
piuttosto ad una attività del soggetto come fonte
recupero e dell'ordinamento) di queste presenta
quanto passivamente recepite. Ciò non costituisce
me pure sembrerebbe, un'ulteriore accentuazione
soggettiva ed una premessa idealistica. Al contrario
dai dati, dalle «rappresentazioni» come reperti prim
to porre il problema della loro origine «oggettiva»
rebbe negata in Kant dall'indicazione del soggetto
di affezione). La soluzione a questo problema pu
quella di Descartes, di Locke, di Berkeley. Ma in re
re, come fa Kant, di assumere come un fatto origin
di dati interni, considerando questi piuttosto come
una attività, vuol dire rinviare fin dall'inizio ad u

19. Anthr. 431, it. 25.


20. Neanche l'esse delle sensazioni interne senza pretesa di o
dunque uguale al loro percipi, al semplice darsi soggettivo.

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complessivo di costituzione dello stesso dato interno, il cui fi


può essere risalito per tracciare la mappa generale dell'istitui
della esperienza iiberbaupt. Il risultato di questo risaliment
messo in moto dalla apparente accentuazione soggettiva del
autoaffezione, sarà quello di un primato ontologico della es
rienza esterna, ο meglio della dimensione dell'esterno in quan
tale.

3. Autoaffezione e spazio

Tra gli scopi principali della teoria dell'autoaffezione c'è certa


mente quello di rendere plausibile l'idea del carattere meramen
te fenomenico dell'io empirico. L'insistenza su questo punto da
parte di Kant è continua, e suo fine è tanto di conservare la
autonomia dell'io intellegibile, non sottoposto a condizioni di
tempo, quanto di negare ogni possibilità di intuizione intellet
tuale: se il prodursi di una esperienza interna non fosse condi
zionato da una componente passiva, l'intelletto intuirebbe. La
passività del soggetto nei confronti di sé stesso è costituita non
dal «darsi» sensibile di rappresentazioni (questa è la passività
esterna), ma, come abbiamo visto, dalla «condizione» tempora
le che è data all'intelletto quando esso produce una esperienza
interna. Una condizione, quella del tempo, che non può essere
considerata propria di qualunque ente in generale e quindi
neanche del soggetto in quanto spontaneità. L'ineludibilità del
tempo come senso interno fa sì che l'operare dell'intelletto sul
soggetto stesso sia affezione, anche se questo operare è sponta
neo, è attività.
L'introduzione in questa problematica del concetto di spazio
avviene inizialmente, nella seconda edizione della KrV, proprio
per confermare il carattere fenomenico dell'io empirico e dun
que la componente di recettività dell'esperienza interna. Il ne
cessario rinvio allo spazio nella rappresentazione del tempo de
ve confermare per analogia il «carattere passivo», fenomenico
della esperienza interna. E significativo che Kant riprenda esat
tamente questo nesso argomentativo, di cui fa uso in Β 154 sgg.,
nel frammento Leningrad 1 : «Noi possiamo infatti rappresen
tarci il tempo soltanto esercitando affezione su noi stessi per
mezzo della descrizione dello spazio e l'apprensione del molte

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CLAUDIO LA ROCCA

plice» (L I, 4-5). Questa annotazione giustifica la af


che il tempo «contiene solo il modo in cui noi appa
stessi e non il modo in cui siamo» (L I, 3-4). Gli
argomentazione qui sottintesi sono esplicitati in
conseguenza dobbiamo ordinare le determinazion
interno, come apparenze nel tempo, proprio allo s
in cui ordiniamo le determinazioni dei sensi ester
zio. Ciò posto, se riguardo a queste ultime determ
ammettiamo di conoscere oggetti mediante esse sol
siamo modificati [affiziert] esternamente, dobbiam
concedere altresì, riguardo al senso interno, che n
mediante esso noi stessi soltanto nel modo in cui siamo modifi
cati internamente da noi stessi, ossia, che per quanto riguarda
l'intuizione interna, noi conosciamo il nostro proprio soggetto
solo come apparenza, ma non secondo ciò che esso è in sé stes
so» (it. 192-93). Il riferimento allo spazio nella rappresentazio
ne del tempo serve qui solo per costruire una analogia. Il rap
porto della rappresentazione del tempo con quella dello spazio
suggerisce che noi anche per il tempo effettuiamo una operazio
ne di «ordinamento»: ci riferiamo a dei rapporti formali che, in
quanto precompresi, non possono essere considerati dati nelle
cose, quindi vanno fatti risalire alla struttura della nostra sensi
bilità, e implicano pertanto un carattere «fenomenico» di quan
to viene ordinato. La tesi della necessità di rappresentare spa
zialmente i rapporti temporali è qui, nell'ambito della deduzio
ne trascendentale, usata soltanto per questa argomentazione
analogica della fenomenicità dell'esperienza interna: non costi
tuisce dunque ancora una anticipazione di argomenti della con
futazione dell'idealismo21, almeno nel senso che non viene uti
lizzata a quel fine. Scopo del richiamo allo spazio non è quello
di mostrarlo come condizione del tempo ma, con movimento
inverso, di esibire per analogia il carattere solo fenomenico di
ciò che si dà nel tempo.
Il rinvio fondante allo spazio assume nella Confutazione, an
ch'essa aggiunta nella edizione B, un'altra forma. Il nucleo della
confutazione non è nell'argomento della necessità del rinvio al
lo spazio per la «rappresentazione» del tempo, per quanto esso

21. Cfr. R. Brandt, op. cit.

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sia collegabile alla confutazione e, come vedremo, legato altro


ve ad esso esplicitamente dallo stesso Kant. Ma questo argo
mento, da solo, non sarebbe sufficiente contro l'ipotesi di un
carattere puramente immaginativo delle rappresentazioni spa
ziali, alle quali potrebbe, come nel sogno ο nella immaginazio
ne, non corrispondere nulla di «esterno». Centrale per la confu
tazione è invece l'idea di un permanente cui la esperienza inter
na necessariamente deve rinviare. Esperienza interna non è me
ro presentarsi di dati interni, è «qualcosa di più dell'essere sem
plicemente cosciente della mia rappresentazione» (B XL, it. 40).
Perché esperienza interna si dia è necessario che avvenga una
identificazione nel tempo: è questa che Kant chiama qui «deter
minazione». Perché questa sia possibile deve aversi uno sdop
piamento, un oltrepassamento del mero (ipotetico) «flusso di
coscienza»22. In questo infatti si darebbe solo un succedersi
(Wechsel) di rappresentazioni. Determinazione, individuazione
è però un circoscrivere e distinguere, un collocare in un ordine
che, se pure è solo temporale, deve essere però oggettivo. Si
tratta, come dice Kant, della determinabilità della mia esistenza
nel tempo, ossia di una porzione della mia esperienza interna 23.
Collocazione nel tempo non può darsi però dove si dà un sem
plice flusso lineare: perché il tempo sia oggettivo e contenga un
«luogo» temporale determinato deve darsi come ordine distinto
da ciò che in esso si succede, deve darsi un permanente che
funga da «misura» dello stream of consciousness, dunque distin
to da esso. Identificare qualcosa nel tempo significa individuare
un qualcosa di permanente, un χ che permane mentre altro mu
ta. Devono cioè essere paragonabili almeno due decorsi tempo
rali, deve darsi in altre parole anche simultaneità e non solo
successione24. E la simultaneità, spiega il Leningrad 1, non può

22. Il termine non è kantiano. Kant parla però di senso interno ο apperce
zione empirica come di un «flusso di apparenze interne» (A 107, it. 173-74), ο
anche di un «fluire» (Anthr. 416, it. 16) che ha luogo nel senso interno.
23. Cfr. Β XL, it. 40.
24. Noi «possiamo percepire ogni determinazione del tempo solo per mez
zo del succedersi [Wechsel] in relazioni esterne (il movimento) in rapporto a
ciò che è permanente nello spazio (per esempio, il movimento del sole rispet
to agli oggetti della terra)» (B 277-78, it. 298). Sul nesso tra simultaneità e
spazio cfr. la R 6312; e la R 6313, p. 614. Traduco qui e in seguito Wechsel con

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CLAUDIO LA ROCCA

essere considerata in rapporto ad un mero percipi


«viene rappresentata soltanto in riferimento a ciò
re percepito all'indietro come anche in avanti»: vien
tata sulla base di una possibile bidirezionalità del ra
cepito, che non può essere mai invece la logica del
stesso25. Questa struttura del percepire ha certo
nomia, una sua irriducibilità (è forma a priori dell'a
ma non costituisce un'esperienza. Scrive Kant nell
5654: «Si può porre certo il tempo in sé, ma non si
stessi nel tempo e determinarsi in esso; in ciò cons
coscienza empirica. Per determinare dunque la prop
za nel tempo ci si deve intuire in una relazione
qualcos'altro, che appunto perciò deve essere consid
permanente»26.
L'idea dunque che si dia un flusso lineare e ori
vissuti soggettivi è una falsa astrazione che non tie
di tale flusso non potrebbe darsi alcuna esperien
mento implica il pensare insieme ciò che nel temp
das Stehende, in simultaneità con il succedentesi, il
to (B XLI, it. 41). In altri termini: una esperienza
che sia tale che si possa asserire l'esistenza di stati inte
ca che sia già data la possibilità di un tempo oggett
mette di assegnare una «lunghezza temporale» ο sem
una «posizione temporale» ; con la possibilità de
gettivo è data in generale la possibilità dell'esperie
articolata nella forma dello spazio. «Infatti solo
poniamo il permanente, nel tempo c'è un succeders
bile. [...] La determinazione dell'essere di una cosa
cioè in un tale succedersi, è impossibile, senza leg
intuizione anche il permanente»28. Il permanente «

«succedersi» per rendere - più di quanto si possa con i termin


ο «variazione» - l'idea di uno «scambio» tra una rappresentazi
assenza di qualcosa che permanga.
25. «Non può essere l'esistenza del percipiens, che può avven
successivamente, cioè in avanti» (L I, 29-30).
26. R 5654, Ak XVIII, p. 313.
27. Cfr. Β 156, it. 192.
28. R 5653, Ak XVIII, p. 307.

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succedersi venga percepito»29. L'esperienza del flusso te


le soggettivo è possibile solo nell'ambito di una «esperie
generale» già costituita, per la quale è essenziale il darsi
permanente esterno, distinto dunque «formalmente» d
mensione delle rappresentazioni solo soggettive. Soltanto
tale «tutto» «in cui io pongo la mia esistenza»30 è possib
che l'esperienza interna. Così «con la realtà del senso int
necessariamente legata quella del senso esterno, per la po
tà di una esperienza in generale» (B XLI, it. 41). La R
dello spazio, ossia il fatto che esso, in quanto dimensio
malmente distinta da quella interna, sia anche «riempito
terminazioni cosali, è un necessario presupposto della au
zione.

4. Spazio e immaginazione. L'esterno in quanto tale

L'idea della necessità di rappresentare spazialmente il t


perde dunque la sua connotazione puramente «psicologic
inserisce nella confutazione dell'idealismo in quanto trac
conduce ad affermare la priorità dello spazio come rappr
zione dell'«esterno» in generale, a sua volta legata alla pr
della simultaneità nella determinazione delle esistenze nel
tempo31. Entrambe queste idee, tra loro chiaramente intercon
nesse, sono particolarmente in evidenza e vengono sviluppate
nel modo più deciso nel Leningrad 1.
La Confutazione della KrV dimostra l'impossibilità di una
esperienza interna che non presupponga già quella spaziale.
L'onnicomprensività del tempo come condizione di tutte le
esperienze definisce l'ambito esperienziale come una sfera es
senzialmente temporale: ma non ne consegue un valore ontolo

29. R 6311, Ak XVIII, p. 611. Il testo continua: «Il tempo stesso è perma
nente, ma esso da solo non può essere percepito, di conseguenza deve esserci
un permanente, in rapporto al quale [woran\ si può percepire il succedersi nel
tempo».
30. R 6313, Ak XVIII, p. 615.
31. Questo uso argomentativo di tale idea ricorre in alcune Reflexionen,
dove la rappresentazione spaziale del tempo non è più usata per rendere ana
logicamente plausibile il carattere fenomenico della esperienza di sé. Cfr. R
6314, Ak XVIII, p. 616; R 5653, Ak XVIII, pp. 308-9.

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gico fondante della sfera solo temporale, quella interna,


a quella anche spaziale. La possibilità della esperien
che sia, della Erfahrung iiberhaupt, si dà solo con l'i
insieme della sfera temporale e di quella spazio-temp
esperienze32. La Confutazione e le argomentazioni
prendono non dimostrano che una singola esperienza
soggetto presuppone il darsi di un oggetto esterno, m
stualità dei due ambiti esperienziali in generale. Quest
è nella Confutazione tuttavia solo implicito, non in p
no. Acquista la massima evidenza nel Leningrad 1,
mente anche in seguito al riproporsi, nelle rinnovate
zioni kantiane delle Reflexionen, della risposta ad una
controbiezione alla confutazione. Il ruolo e le possibi
immaginazione sono qui essenzialmente in questione.
Aver dimostrato la necessità del riferimento allo s
alla simultaneità dimostra davvero l'esistenza degl
esterni? Non potrebbero, come nel sogno ο nel delir
tutti prodotto dell'immaginazione, dunque proiezion
getto stesso33? Le risposte kantiane a queste implicite
di un idealista si basano sull'argomento che, se le rap

32. La sintesi trascendentale della immaginazione rappresenta pe


prima» (B 152, it. 186) applicazione delle categorie, e la operazio
maginazione è caratterizzata come «influsso sintetico dell'intellett
interno» (B 154, it. 189); ciò non significa, tuttavia, che si costituis
una determinatezza soggettiva e poi un mondo esterno: piuttosto, n
«sintesi del molteplice nello spazio» (B 155, it. 190) si dipana qu
dell'intelletto dalla quale derivano, separandosi, tempo soggettiv
oggettivo, e che si configura pertanto come azione sul senso inter
«primo» atto è dunque il costituirsi di tempo soggettivo e temp
nella «descrizione» dello spazio. La successione soggettiva infatti
svolgendo la sintesi del molteplice spaziale e, come scrive Kant, «s
astrazione da questo» (B 155, it. 190). Del resto, è dubbio che la c
zione incidentale dell'operare della immaginazione come «influsso
dell'intelletto sul senso interno» significhi che essa va considerata p
temporale - il che contraddirrebbe anzi la sua natura. La Beschrei
l'atto essenziale della immaginazione, è infatti «un puro atto della
cessiva del molteplice nella intuizione esterna in generale» (B 1
corsivo mio), ed è esso «che per la prima volta produce il concet
cessione» (ibid.). Ma cfr. più in particolare infra, p. 149 sgg.
33. Kant pone a sé stesso questa obiezione nelle Reflexionen 565
6311, 6313, 6315, 6316.

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zioni esterne fossero interamente dovute ad illusion


proiezione immaginativa, allora il senso interno dovre
produrre da sé le caratteristiche formali del senso es
ciò 1) è contraddittorio, poiché la forma dell'intuizio
finisce l'«interno» è il tempo, che è unidimensionale,
dar luogo alla tridimensionalità dello spazio34; inolt
senso esterno fosse un atto di spontaneità rappresent
ra dovrebbe essere possibile avere in qualche modo co
tale atto35. In altri termini, la possibilità di parlare dell
sentazione spaziale come di una rappresentazione int
essere sensata, implica qualcosa che giustifichi una ta
sione, dunque una qualche forma di coscienza del car
terno» della rappresentazione. Se un produrre è da co
«mio», «interno», devono darsi le condizioni per cui
sciuto come tale: «deve essere almeno possibile diven
scienti di tali rappresentazioni in quanto appartenen
interno» (L II, 28-29).
Il primo e il secondo argomento sono concatenati
flexion 6311 :

Posto che si voglia dire che anche la rappresentazione


permanente dato per mezzo del senso esterno è una p
zione data meramente per mezzo del senso interno, la q
solo per mezzo della immaginazione viene rappresentat
me data tramite il senso esterno, allora dovrebbe però
nerale (anche se non per noi) essere possibile divenire
scienti di essa come appartenente al senso interno; ma a
la rappresentazione dello spazio verrebbe trasformata in
rappresentazione del tempo, cioè sarebbe possibile rap
sentarsi lo spazio come un tempo (secondo una dimensi
la qual cosa si contraddice36.

34. Lo spazio è una «forma della intuizione che non può essere d
senso interno» (L II, 19). Cfr. inoltre L II, 25 sgg.; R 6315, pp. 6
Kant scrive tra l'altro: «Ritenere l'immagine [Einbildung] eli ogg
una percezione (sognare) è certo possibile, ma solo sotto il presup
senso esterno, presupponendo cioè che la nostra intuizione esterna
a oggetti che si trovano realmente fuori di noi, perché altrimenti
intuizioni, in quanto in fondo solo interne, avrebbero la forma (e
del tempo e non quella dello spazio» (R 6315, p. 618).
35. Cfr. R 5653, p. 310; R 5654, p. 312; R 6311, pp. 611; R 631
36. R 6311, pp. 611-12.

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Lo sforzo argomentativo kantiano è volto interament


strare il darsi di un senso autenticamente «esterno»,
mensione distinta per principio e per i suoi caratteri f
(«anche se non per noi»: indipendentemente dalle no
cità di riconoscere ciò nella singola esperienza con
quella soggettiva. Il carattere dubbio ο ingannevole d
esperienze non pregiudica, ma anzi presuppone il dar
coscienza «generale» della esistenza di un mondo este
riconducibile alla sfera delle esperienze soggettive, m
necessariamente preliminare ad esse.
Ogni singolo caso può essere messo in questione:
mento della esistenza empirica ha una natura riflessiv
turale, inferenziale, dunque fallibile e dubbia, nel se
dealismo «problematico» cartesiano; ma, «affinché
possa sembrare essere fuori di noi, qualcosa deve ess
mente fuori di noi»38. La tesi che in generale si dia «s
ginazione» e non si dia «alcun senso esterno»39 si app
l'esempio di alcune operazioni della immaginazione
traddice una condizione che rende possibile originaria
suo operare: lo spazio come ambito formalmente dist
quello soggettivo. Per chiarire ulteriormente quest
Kant arriva a declinare in senso spaziale la teoria della
zione, ο comunque a delineare una peculiare autoaffe
tuata dalla immaginazione in riferimento allo spazio:

La materia delle rappresentazioni nello spazio non potre


aver luogo nell'animo senza un senso esterno. Infatti la
cità d'immaginazione può procurare una rappresentazi
dell'esterno solo esercitando affezione sul senso esterno
durch, dafi sie den a ufi eren Sinn afficirt], e non ci sareb
alcun materiale per rappresentazioni esterne nella imma
zione, se non esistesse un senso esterno40.

«Per la sua mera forma» (R 6315, p. 620).


R 6312, p. 613. Cfr. la analoga argomentazione in KrV Β 277,

R 6315, p. 618. Cfr. anche di nuovo KrV Β 277, it. 297.


R 6313, p. 613. Su questa autoaffezione spaziale cfr. anche R
633: «[L'anima] non può determinare il tempo in sé senza rappre
dello spazio e di ciò che è prodotto in questa per mezzo della imm

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La chiave anche di questa costruzione teorica kantian


nuta nelle caratterizzazioni «formali» di «interno» ed «ester
no»: una volta individuato nella temporalità il carattere proprio
dello psichico, ogni operare anche puramente soggettivo che si
riferisca a strutture tridimensionali, ogni «intenzionalità» spa
ziale, presuppone in generale la spazialità come dimensione di
stinta ed indipendente41.
Il darsi dello spazio come tale - come senso «realmente»
esterno, «riempito» per definizione con un permanente - viene
a coincidere con l'apertura originaria e preliminare di un mon
do non soggettivo. Il Leningrad 1 esprime questa concezione di
Kant, come anche altre, se non con le argomentazioni più preci
se, certo con le espressioni più chiare ed icastiche; tanto che
esso va considerato nel complesso un testo più consuntivo che
argomentativo, in cui Kant trae in maniera più decisa e netta che
altrove le conseguenze dei suoi pensieri. «Decisivo» è infatti il
passo seguente:
È necessario che io possa diventare a priori cosciente di me
come in relazione con altre cose ancora prima della percezio
ne delle medesime, e che di conseguenza la mia intuizione, in
quanto intuizione esterna, appartenga alla coscienza stessa
prima della coscienza della mia impressione, poiché lo spazio
è la coscienza di questa relazione reale""1.

Se nella Confutazione della prima Critica poteva sembrare che

Lo spazio è contenuto però nel suo senso esterno, che la immaginazione deve
modificare [afficiren] in una certa maniera, e per questo mezzo viene affetto
anche il senso interno relativamente alla inerenza di questa rappresentazio
ne». Questi testi confermano con evidenza quanto sottolinea G. Zoeller, op.
cit., p. 268 - che cioè l'autoaffezione «non è limitata a casi di esperienza inter
na» - ma in un senso più pregnante: l'autoaffezione non è limitata al senso
interno.

41. Il ragionamento si regge sul carattere solo «successivo», progrediente e


irreversibile del flusso di coscienza: ma non perché questo sia ilprimum onto
logico o, dal punto di vista gnoseologico, la «prima certezza», ma perché (nel
ragionamento regressivo ο nella reductio ad absurdum) se si pone questo si
scoprono come già poste le sue condizioni, e dunque il mondo esterno. La
successione del tempo soggettivo è comunque un risultato, non un 'origine. Io
dovrò «derivare la successione soggettiva dell'apprensione dalla successione og
gettiva delle apparenze» (A 193 Β 238, it. 268).
42. L I, 34 - II, 1 (gli ultimi due corsivi sono miei).

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Kant deducesse la presenza di un quid permanente estern


me condizione della autocoscienza empirica, quindi in qua
modo la preliminarità di una esperienza esterna rispetto a
la interna, qui viene esplicitato invece il fatto che la coscie
priori («immediata» anzitutto nel senso di condizione non
giunta attraverso processi inferenziali, ma presupposta)
«precede» l'esperienza interna e forma l'orizzonte di ogni
rienza in generale è la coscienza dell'aprirsi, prima di ogni
rienza determinata, di un mondo di interrelazioni nel qua
stesso soggetto è ricompreso. Non si tratta dunque di un
porto di priorità tra due tipi di esperienza - per cui Kant
tirebbe semplicemente l'«ordine» del soggettivismo cartes
- ma della preliminarità dell'aprirsi di un orizzonte monda
interrelazioni che abbraccia anche il soggetto psico-fisico
cui esso è originariamente cosciente. Lo spazio in quanto f
dell'intuizione acquista qui una determinatezza per così dir
«spazio vissuto» , che fa sì che Kant possa definirlo appu
con accenti nuovi44, «la coscienza di questa relazione real
Questo nuovo ruolo dello spazio come coscienza a priori
una mondanità del soggetto è dovuto, conviene notarlo, al
che esso ora non viene considerato nel suo «isolamento», c
avveniva nel procedere astraente dell'estetica trascendental
è inserito in un complessivo processo di costituzione. No
caso Kant distingue proprio in L II, 7-8 la intuizione dell
zio [Raumesanschauung\ dalla «forma del senso esterno»:

43. Kant parlerà nell'Opus postumum, sviluppando questa tematica,


fiillter Raum, «spazio riempito» (cfr. p. es. Ak XXII, p. 550). Parlo di
«vissuto» però per esprimere l'idea che questo spazio comprende lo s
soggetto esperiente.
Va in ogni caso notato che il frammento Vom inneren Sinne rappresen
mio avviso, una sorta di cerniera tra la tematica della confutazione del
smo e la Selbstsetzungslehre dell'Opus postumum. Cfr. su questa V.
thieu, Kants Opus postumum, Klostermann, Frankfurt a. M., 1989, p
sgg.; e il bel saggio di E. Forster, Kant's Selbstsetzungslehre, in Kant'
scenderai Déductions, ed. by E. Forster, Stanford, 1989, pp. 217-238
ricostruisce il problema muovendo dal Kant precritico. Entrambi gli
rifiutano una lettura «idealistica» della Selbstsetzungslehre.
44. R. Brandt parla giustamente di Akzentverschiebungen nel testo d
ningrad 1 rispetto alla Kritik der reinen Vernunft, piuttosto che di
proprie novità. Cfr. R. Brandt, op. cit., p. 11.

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[...] in generale esista qualcosa fuori di me è dimostrat


stessa intuizione dello spazio, che non può scaturire dalla
del senso esterno, e senza di questo neanche dalla facol
immaginazione; di conseguenza tale intuizione, in quan
so realmente esterno, fonda la sua possibilità su qualco
esterno a noi». Nella misura in cui è «qualcosa in noi»,
soggettiva, lo spazio non può dar luogo ad alcuna intui
spaziale; è lo spazio «pieno», per così dire, non intes
singola intuizione spaziale, ma come coscienza di un tess
interrelazioni reali che coinvolge anche il soggetto, a pot
re (con un'altra significativa espressione di Kant) «la for
rapporto del nostro sé alla presenza»45 dell'oggetto «sen
getto stesso»46. Questo spazio è lo spazio ricompreso n
ro processo di istituzione di una esperienza in generale c
«tutto».

È solo in quest'ambito che si svolge, abbiamo visto, o


certamento di esistenze empiriche determinate, al qual
riconoscere tranquillamente una natura solo inferenzial
compromettere l'originarietà della coscienza del mondo
frammento sul senso interno è quindi chiaro che «per dive
cosciente dell'esistenza di un ente singolo è richiesta u
renza da poche rappresentazioni determinate nello spa
Ma non è sulla possibilità di accertare l'esistenza di un
sullo status epistemologico di questo accertamento che s
la coscienza dell'esistenza del mondo.

45. R 5653, p. 310.


46. Ibid.
47. L II, 6-7. Tutt'altro che chiara è invece questa distinzione tra coscienza
non-inferenziale della realtà del mondo esterno e carattere inferenziale del
l'accertamento dell'esistenza di oggetti nel Quarto paralogismo della edizione
A della Kritik der reinen Vemunft, il testo che anticipa in questa edizione le
tematiche della Confutazione. Ma la stessa Confutazione non fa parola di un
carattere inferenziale dell'accertamento di singole esistenze, pur distinguendo
tra «esperienza esterna in generale» e «questa ο quella presunta esperienza» (B
279, it. 299). E evidente che solo nel momento in cui distingue chiaramente
tra coscienza dell'esistenza di un mondo e coscienza dell'esistenza di singole
cose Kant può parlare di carattere inferenziale di quest'ultima forma di co
scienza, senza che ciò rappresenti una concessione a posizioni cartesiane.

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5. Il soggetto come ente mondano

L'unità sintetica dell'appercezione, in quanto unità


assolutamente indeterminata, dà luogo dunque, ne
cazione per la istituzione dell'orizzonte della esper
bile, ad una coscienza del mondo come sistema di in
che ricomprende lo stesso soggetto empirico o, il c
so, ad una coscienza di sé «come in relazione con al
I, 34). Questa coscienza, se non è più la pura aut
come coscienza di operazioni logiche e della loro un
non è ancora ο meglio non è affatto la autocoscien
come esperienza di sé, determinazione di stati inte
sua condizione. Come recita di nuovo nel modo più
Leningrad 1

Io sono in modo immediato ed originario cosciente


stesso come di un ente mondano [als Weltwesen], e p
solo per mezzo di ciò la mia propria esistenza è deter
le, solo come fenomeno, in quanto grandezza nel te
II, 4-5).

La coscienza a priori di sé come ente mondano è la


perché possa darsi coscienza riflessiva e determinan
tocoscienza empirica; questa in realtà, si può orma
base di queste elaborazioni kantiane, non è mai in
prio solo coscienza «interna», ma collocazione di sé
ne temporale che è dato anche dalla simultaneità d
cium con altri enti, dal quale si può distinguere un
soggettivo dell'«apprensione» che può eventualm
oggetto di autosservazione48. Per questo motivo, e
che la coscienza a priori di sé come ente mondano

48. La complessità e difficoltà dell'osservazione di sé, che è b


prire un campo di evidenze, è sottolineata da Kant nella Anthro
Rostocker Anthropologiehandschrift (riportata nella edizion
Anthropologie): «L'io osservato da sé stesso è un insieme di cos
della percezione interna che la psicologia ha un gran daffare p
tutto quanto in esso è nascosto e non può sperare di giungere
una fine» (cfr. Anthr., p. 428). Inoltre «l'indagatore del proprio
ce di osservare soltanto, facilmente inserisce qualcosa nella co
{Anthr., p. 431, it. 26).

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zione, la appercezione empirica è in realtà una apper


cosmologica. E di nuovo il Leningrad 1 a trarre espli
questa conclusione:

Si deve distinguere la appercezione pura (trascendental


quella empirica, la apperceptio percipientis dalla apperc
percepii. La prima dice soltanto «io sono». La seconda
«io ero, io sono e io sarò», cioè: «io sono una cosa del te
passato, presente e futuro» [...]· Quest'ultima [appercez
è cosmologica, la prima puramente psicologica. L'appe
zione cosmologica, che considera la mia esistenza c
grandezza nel tempo, mi pone in relazione con altre cose c
esistono, esistevano ed esisteranno (L I, 22-27).

La definizione della appercezione empirica come «ap


ne cosmologica» è un unicum terminologico del fram
senso interno; ma è solo la conseguenza vistosa del f
Kant qui mette in primo piano l'idea del carattere o
della coscienza del mondo e di sé come ente mondan
idea si può considerare legittimamente una conseguen
plicita nella Confutazione dell'idealismo, ma è com
questa occasione e in alcune delle altre tarde Reflex
Kant la trae esplicitamente, sigillandola in più nel Le
con l'uso, applicato a questa peculiare coscienza origi
termine Weltwesen*9.
Nella R 6311 questa conclusione è accennata, prefigu
ancora in forma incerta. Dopo aver riproposto anco
della Confutazione, e aver ripercorso in particolare l'a
per il quale il senso interno possiede necessariamente

49. Il termine è usato altrove da Kant per lo più per indicare un


no, appartenente al mondo sensibile, in opposizione ad un ens e
num (KrV A 561 Β 589) quale Dio, in contesti sia cosmologici che e
es. Kritik der Urtheilskraft, §§ 86-88; Ak VI, pp. 6, 7, 26, 60, 7
440; Ak Vili, pp. 250, 257, 334, 401), senza fare parola però di u
di sé in quanto Weltwesen. Questa idea ritorna invece in un pass
postumum (Ak XXI, p. 63): «Io sono. - Esiste un mondo fuori di
me) nello spazio e nel tempo e io stesso sono un ente mondano:
te di quella relazione, e delle forze motrici di sensazioni (percez
l'uomo, sono per me stesso un oggetto esterno dei sensi, una
mondo».

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quanto condizione del senso interno, il testo conclud


sembra seguire che noi conosciamo la nostra esistenza
po sempre soltanto in commercium»50. La R 6313 pa
esplicitamente della conoscenza empirica di sé come d
noscenza che può configurarsi solo come conoscenz
stesso in quanto essere Wesen] esistente in un mon
nella R 6315 si afferma che noi siamo preliminarment
stessi « un oggetto del senso esterno; infatti altr
noi non potremmo percepire il nostro luogo nel mond
potremmo intuirci in relazione con altre cose»52. Tra
delle riflessioni kantiane si presenta dunque già l'idea
ginarietà della coscienza dello spazio come «rappresen
reale» implica il carattere originario di una coscienza
getto come inserito in un sistema di interrelazioni r
coscienza di sé come entità nel mondo che precede le
esperienze.
Lo spostamento d'accento ο l'esplicitarsi di queste conse
guenze che ha luogo nel tragitto dalla Confutazione dell'ideali
smo al Leningrad 1 e alle riflessioni ad esso tematicamente con
nesse intorno al 1790 rende evidente che il compito di dimo
strare «l'esistenza delle cose fuori di noi»53 finisce per costituire
per Kant il filo conduttore per mostrare il carattere preliminare
della coscienza del mondo, e quindi dell'essere-nel-mondo del
soggetto, in un senso che prefigura per certi versi quello inteso
da Heidegger54. Kant non accetta dunque le premesse cartesia

50. Ak XVIII, p. 612. Trattandosi di uno dei cosiddetti Kiesewetter


Aufsdtze l'attribuzione di questa Reflexion è dubbia (cfr. su ciò la nota di
Adickes, Ak XVIII, pp. 607-10). Ma quello che qui importa è che l'idea del
commercium si presentava (a Kiesewetter, a Kant, ο ai due insieme) come
conclusione del percorso di confutazione dell'idealismo.
Sul commercium, senza riferimenti all'esistenza del soggetto, cfr. A 211 Β
257 sgg., it. 282 sgg.
51. Ak XVIII, p. 615.
52. Ak XVIII, p. 619, corsivi miei.
53. Β XL, it. 39 (corsivo mio).
54. Per il quale cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit, Niemeyer, Tubingen,
197915, § 18 (ma cfr. l'intero capitolo, §§ 14-24); Die Grundbegriffe der Me
taphysik. Welt - Endlichkeit - Einsamkeit, G A, Bd. XXIX-XXX, Frankfurt
a. M., 1983, §§ 64 sgg. Senza insistere sulle differenze, evidenti, si possono

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ne per poi fornire una «dimostrazione» che costituisca u


sicura «dai dati di fatto della coscienza alla realtà esterna»55
sovverte piuttosto il quadro ontologico cartesiano. La c
za a priori non è mai autocoscienza di un interno, ma
natura originariamente «autotrascendente», che intenz
rettamente l'intero ambito, «soggettivo» ed «oggettivo»
glio psichico e fisico, dell'esperienza possibile. L'«esse
senti insieme di fisico e psichico»56 avviene all'interno d
do così aperto.
Nella Confutazione il filo argomentativo si basa sulla
saria distinzione di un «permanente» dal decorso temp
soggettivo per consentire una qualsiasi determinazione; i
dell'attenzione è dunque rivolto ad «una cosa fuori di m

sottolineare le analogie. In Kant come in Heidegger l'aprirsi del mon


condizione di comprensione preliminare ad ogni incontro con l'ent
concepito come relazione ad una totalità di rimandi possibili, che non
tifica con l'insieme degli enti stessi. Rispetto a tale mondo il soggetto
gerianamente, l'«esserci») non vi si contrappone, così da dover in
modo pervenirvi, ma si manifesta originariamente come essere-nel-
Può essere utile sottolineare questa analogia di fondo proprio per
stesso Heidegger dà, com'è noto, una interpretazione del senso dell
tazione kantiana diametralmente opposta a quella che i suoi sviluppi
tati dal Leningrad 1, suggeriscono o, forse, impongono (cfr. Sein und
43; Logik. Die Frage nach der Wahrheit, GA, Bd. XXI, Frankfurt
1976, pp. 292-93, 336-37, 355-56). Heidegger muove dal pregiudizio c
condivida l'impostazione cartesiana e ignori quel «fenomeno» della W
keit in direzione del quale invece chiaramente si muove. Così, se, p
alla vis repraesentativa universi di Leibniz, si può arrivare a dire ch
Heidegger has called the being-in-the-world [...] is a topic of Germ
sophy at least since Leibniz» (M. Baum, op. cit., p. 282), va però sott
che solo in Kant si incontra una tematizzazione del fenomeno del mond
prevede già la struttura di fondo del concetto heideggeriano: il mon
qualcosa di radicalmente diverso dalla totalità degli enti. E un punto
muovendo da una rielaborazione di assunti heideggeriani, ha insist
riprese E. Fink (cfr. E. Fink, Einleitung in die Philosophie, Wiirzbu
Ailes und Nichts. Ein Umweg in die Philosophie, M. Nijhoff, Den
1959). Fink ha insistito in particolare sull'ideale della ragione e il prin
determinazione completa della prima Critica. Una impostazione sim
tracciabile a mio avviso anche nella Kritik der Urtheilskraft (cfr. il m
ture kantiane, ETS, Pisa, 1990, pp. 101-121).
55. Secondo l'espressione di Dilthey riportata da Heidegger (Sein un
cit., p. 205).
56. M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 204.

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275, it. 296). Ma in realtà il parlare di un perma


mezzo per la determinazione di un'esistenza impli
una simultaneità «reale», di un darsi simultaneo d
connessi in cui lo stesso soggetto è dato. E questa
sizione di cui si ha coscienza «immediata», e quindi
mente il principio, come Kant stesso scrive, «che si
te esperienza esterna» (B XLI, it. 41), in quanto asp
unica esperienza» (ibid.).
Il «mondo» che Kant arriva a «dedurre» non è, si
evidenza, un insieme di oggetti intramondani dat
condizione ο il loro orizzonte: l'ordine definito da
pensato come necessariamente «pieno» e riempito d
cessaria interrelazione tra di loro - uno spazio in
pensato il legame ο la relazione delle cose che so
l'una dall'altra» (L II, 20-21). Solo apparentement
così un ritorno a motivi precritici ο leibniziani, qu
una vis repraesentativa universi propria dell'anima5
qui tematizzato non è la series actualium finitorum
tosto l'orizzonte necessario «per comprendere la
delle cose»59.
Non dovrebbe stupire allora il fatto che la confu
l'idealismo (e con essa i testi che la sviluppano e pr
finisca per costituire, com'è stato giustamente nota

57. Cfr. R. Brandt, Kommentar, cit., p. 25, e i luoghi kantian


niani e wolffiani ivi citati. Per Leibniz cfr. Monadologie, §§ 6
58. Cfr. A.G. Baumgarten, Metaphysica, Halle, 17797 (N
Hildesheim, 1963), § 354.
59. KrV Β 291, it. 308. L'intera Annotazione generale al sistem
da cui è tratta questa espressione, si connette direttamente all
dell'idealismo esplicitandone ulteriormente senso e consegue
zione insiste in particolare sul fatto che, affinché siano «conc
prensibili», «pensabili», «afferrabili» la permanenza, il mutam
reciproca, non è possibile riferirsi alla sola temporalità, ma è s
rio il riferimento ad intuizioni esterne (cfr. Β 291-294, it. 30
st'ambito significativamente si riprende anche la critica a Leibn
ricorrere a Dio come garanzia della comunità tra le sostanze, n
do le sostanze come fenomeni e dunque non potendo riferirsi
«contiene già in sé, a priori, relazioni esterne formali in quanto
possibilità di relazioni reali» (B 293, it. 310).
60. Cfr. E. Forster, Kants Metaphysikbegriff: vor-kritisch, k

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SUL SENSO INTERNO

gomentazione che approda ad un giudizio sintetico a priori.


Essa perviene seguendo un'altra via argomentativa - quella apa
gogica ο indiretta, che da sola non è legittima61 - a ribadire
l'orizzonte della esperienza possibile come condizione di com
prensione dei fenomeni messo in luce nella deduzione trascen
dentale delle categorie. Ma il percorso alternativo che segue le
consente di presentare prospettive diverse sullo stesso «ogget
to», la fondazione trascendentale dell'esperienza, che aiutano a
precisarne il senso. Il testo Vom inneren Sinne offre alcuni scor
ci significativi delle vedute che si aprono in questo percorso del
pensiero kantiano.

Claudio La Rocca

kritisch, in Metaphysik nach Kant?, hrsg. v. D. Henrich und R.-P


mann, Klett-Cotta, Stuttgart, 1988, pp. 123-137.
61. Lo ricorda lo stesso E. Forster, ibid. (sui diversi modi di dimos
ne trascendentale cfr. M. Barale, Kant e il metodo della filosofia, ET
1988). Per H. Robinson, The Priority of inner Sense, in «Kant-Stu
LXXIX, 1988, pp. 165-182, la confutazione rientra come caso partico
una più generale argomentazione per la quale ogni unificazione è pro
in una matrice «esterna», e dunque non può darsi priorità del senso i
Certamente la confutazione, in quanto argomentazione «indiretta»,
una assoluta autonomia dimostrativa e rimanda a mio avviso alla ded
trascendentale. Tuttavia non ne va trascurata la funzione euristica e di
ficazione dovuta alla particolare prospettiva che propone, i cui esiti
denti sono forse nel Leningrad l.

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