Sei sulla pagina 1di 4

Un realismo a orologeria

Ladri di biciclette è tratto dall'omonimo romanzo di Luigi Bartolini, ma il testo filmico


non ha quasi nulla in comune con quello letterario, solo lo spunto di partenza è lo
stesso ovvero la ricerca di una bicicletta rubata. Dall'opera di Bartolini, De Sica e
Zavattini hanno mutato la dinamica del furto (la velocità del ladro, il lavoro di supporto
dei complici) e l'affresco dell'ambiente dei ladri.
Non è un'opera all'avanguardia ed è estraneo alla tradizione di Hollywood, ma
nonostante ciò possiede un'organizzazione narrativa. Il romanzo è ambientato durante
l'occupazione americana, dunque l'anarchia che impera a Roma (furti continui,
impotenza della polizia) è dovuta alla contingenza bellica. Il film di De Sica, invece, è
ambientato nel dopoguerra dove la miseria e l'illegalità non sono fenomeni transitori,
bensì radicati nel tessuto sociale.
Il protagonista è un pittore di nome Antonio Ricci che cerca la bicicletta quasi per
gioco e la cerca da solo riuscendo alla fine a trovarla, Il pittore vuole riavere la
bicicletta perchè, in quanto artista, ha la necessità di allontanarsi dalla città e di
recarsi in campagna.
La vicenda di Ladri di Biciclette si svolge nell'arco di 3 giorni, da venerdì a domenica.
Venerdì: Antonio trova il lavoro e, con l'aiuto di Maria, riscatta la bicicletta al monte di
pietà.
Sabato: Antonio prende servizio, ma gli viene subito rubata la bicicletta.
Domenica: Antonio e Bruno cercano invano la bicicletta.
Come si può vedere il film ha un'organizzazione estremamente compatta: un gruppo
molto ristretto di personaggi (Antonio, Bruno e Maria) che svolge un'unica attività
(riprendere possesso della bicicletta), in un tempo limitato.
Non solo la storia di Ladri di biciclette si esaurisce in pochi giorni, ma il film è costruito
in modo da creare, progressivamente, una sempre più forte sensazione di continuità,
fino a far quasi coincidere il tempo della storia e il tempo del discorso.
Nelle prime 18 sequenza, il passaggio da una sequenza all'altra è ottenuto
prevalentemente attraverso una dissolvenza, la quale indica un salto temporale.
Nella seconda parte del film domina invece lo stacco, ovvero una figura di montaggio
che non marca uno iato cronologico.
Infatti, le giornate di venerdì e sabato occupano 30' di proiezione, mentre la domenica
corrisponde a un'ora. Il che significa che la giornata conclusiva è descritta in maniera
molto più distesa rispetto alle prime due.
La prima parte di Ladri di biciclette, dunque, tende fortemente alla sintesi. Basti
pensare alla descrizione del primo e ultimo giorno di lavoro di Antonio. Il tempo della
storia corrisponde a circa 12 ore (da quando Antonio e Bruno, all'alba, si preparano
per uscire, sino a quando i due, al tramonto, tornano a casa a piedi), ma il tempo del
discorso è di soli 10 minuti.
In questo blocco, composto da ben 10 sequenze, ve ne sono soltanto 3: Antonio e
Bruno che escono di casa, il furto e il commissariato, tutte le altre sono micro-
sequenze, legate tra loro da dissolvenze incrociate che servono a far procedere
rapidamente la narrazione.
Nella seconda parte di Ladri di biciclette, come abbiamo detto, nei passaggi da una
sequenza all'altra prevale lo stacco, proprio in virtù della maggiore omogeneità
temporale. Molte scene, infatti, si susseguono senza nessuna cesura cronologica o con
un'ellissi molto breve.
L'esempio più chiaro è rappresentato dalla sequenza 3,31 e 32. Antonio e Bruno vanno
dalla Santona, escono, incontrano il ladro, Antonio lo insegue nella casa di
intolleranza, esce con lui dal postribolo, tenta di farlo arrestare e poi si allontana
sconfitto, insieme al figlio. Tutta questa complessa e lunga azione dura 15 minuti e si
tratta di un quarto d'ora reale in cui non c'è neppure una pausa: il tempo della storia e
quello del discorso coincidono perfettamente.
Dunque le sequenze della seconda parte sono nettamente più lunghe di quelle della
prima: la narrazione è più distesa. In virtù di ciò possiamo affermare che in Ladri di
biciclette esiste una frattura netta tra un prima parte sintetica e una seconda parte
analitica.
La seconda parte del film, inoltre, è quella più significativa e complessa, in quanto è
costruita su un lungo climax che cresce progressivamente e che conduce all'ultima
umiliazione di Antonio.
Questa durata naturale del dispiegarsi del reale di fronte alla macchina da presa, non
è certo casuale, infatti rappresenta l’architrave su cui si basa l'intero impianto realista.
Per quanto riguarda la scelta dei campi di ripresa e dei movimenti di macchina, Kristin Thompson ha scritto
giustamente che, in Ladri di biciclette, non vengono utilizzati né il piano sequenza, né la profondità di
campo (che per Bazin costituivano due stilemi centrali del realismo cinematografico). Ciò comunque non
significa che la messinscena di De Sica non contenga dei tratti realisti. Infatti l’obiettivo di De Sica si
mantiene a distanza, come se fosse lì soltanto per registrare una storia che si dispiega da sola. La meta di
De Sica sembra essere uno stile che cancella sistematicamente la propria presenza. Il problema è che
nell’attuazione di questo progetto vi sono delle palesi contraddizioni.
In Ladri di biciclette vi è un uso frequente di campi medi e lunghi per inquadrare i protagonisti: spesso
vediamo Antonio e Bruno al centro del panorama desolante della città deserta oppure in mezzo alla folla. È
come se la macchina da presa volesse marcare, attraverso la lontananza fisica, un distaccato riserbo
rispetto al dramma del protagonista. La macchina segue i loro movimenti con una panoramica ma senza
avvicinarsi. Sappiamo che i due sono angosciati per la perdita della bicicletta, ma non possiamo vedere
l’angoscia sui volti, la tensione emerge dai loro movimenti. De Sica non enfatizza il dramma di Antonio con
un primo piano ma si limita a registrare la sua camminata nervosa e titubante, per poi escludere il
protagonista dal campo e inquadrare degli spazzini, che non hanno nulla a che vedere con la storia. In
questo modo la macchina da presa si concede il lusso di deviare dalla storia principale e di mostrarci ciò che
sta attorno alla vicenda del protagonista. Anche in altre parti del film Antonio viene escluso dal campo, in
alcune scene viene messo quasi da parte, diventando solo uno tra tanti in mezzo ai passanti.
Ma se in diversi momenti è riscontrabile un uso anti-drammatico della macchina da presa che si limita a
riprendere i personaggi da lontano, bisogna notare che in altre sequenze l’obiettivo insiste sul viso di
Lamberto Maggiorani. In Ladri di biciclette non è raro che la macchina da presa parta da un campo medio,
per poi avvicinarsi al protagonista, con l’intento di far salire la tensione drammatica e rafforzare il processo
di identificazione tra personaggio e spettatore. Si tratta di un impiego convenzionale del primo piano che va
nella direzione opposta rispetto all’oggettività del campo medio/lungo.
Lamberto Maggiorani non era un attore professionista, così come altri attori. Si è spesso lodata infatti la
capacità di De Sica nel dirigere gli attori non professionisti. Ma non bisogna crede che un attore non
professionista sia più vero di un attore professionista.
Innanzi tutto, Lamberto Maggiorani nel film è doppiato (quindi la sua è una recitazione non professionale
solo a metà). In secondo luogo, nonostante egli interpreti un ruolo contiguo al suo vissuto quotidiano,
comunque recita, e a volte recita male. In numerose sequenze fornisce prestazioni molto efficaci. Ma in
alcuni primi piani emerge la sua inesperienza come attore.
È famoso l’episodio di David Selznick (grande produttore americano) che propose a De Sica di finanziare
Ladri di Biciclette, ma solo se il ruolo di Antonio Ricci fosse stato interpretato da Cary Grant. Il rifiuto di De
Sica è stato letto come la volontà di un autore neorealista di usare attori non professionisti. In realtà però
De Sica fece una contro-proposta a Selznick, chiedendo Henry Fonda al posto di Cary Grant, ma Fonda non
era disponibile e il progetto sfumò. Dunque, De Sica non rifiutò l’attore professionista, ma rifiutò uno
specifico attore, che gli sembrava poco adatto al suo film. Henry Fonda probabilmente sarebbe stato un
buon Antonio Ricci ma la sua presenza avrebbe indubbiamente snaturato Ladri di biciclette, non perché
attore professionista ma perché si tratta di una grande star americana che, inevitabilmente, avrebbe
portato con sé il personaggio Henry Fonda. Lamberto Maggiorani invece funziona perché, al di là delle sue
doti recitative, il suo volto, sconosciuto al pubblico, è il segno di una scelta in chiave anti-spettacolare.
Usare un attore non professionista è un modo di trasmettere allo spettatore l’idea che il film cui sta
assistendo è imparentato con la realtà, perché le persone che si muovono sullo schermo non sono dei divi,
ma uomini e donne del tutto simili a quelli seduti in sala.
Abbiamo dunque individuato alcuni degli elementi principali su cui si regge il realismo di Ladri di biciclette:
-la struttura temporale, costruita in modo da fornire l’impressione della durata della realtà;
-l’impiego del campo medio, usato per far emergere naturalmente il dramma dei personaggi, senza un
apparente intervento da parte dell’autore;-gli attori non professionisti, segno del desiderio di realtà che
anima il testo.
Abbiamo anche individuato una prima falla nel tessuto realista del film: all’uso del campo medio/lungo
come strumento di pedinamento del reale, si contrappone la presenza di diversi primi piani, attraverso i
quali l’autore sottolinea apertamente alcuni passaggi particolari, palesando così la propria volontà di
raccontare in prima persona una storia, anziché di limitarsi a registrarla oggettivamente.
Un tratto del film che rientra in un progetto mimetico è l’uso di ambienti reali, invece di scenografie
costruite ad hoc. Ma la Thompson ha smentito l’affermazione di Bazin secondo cui tutto è stato realizzato
per la strada, osservando l’impiego di un trasparente nella scena del camion di rifiuti, e alcuni interni girati
in studio utilizzando tecniche di illuminazione hollywoodiana.
Ovviamente tutto ciò non toglie che la Roma di ladri di biciclette sia quella autentica e non un set
cinematografico, il problema non è però il fatto che le case del quartiere siano delle sagome di cartone
oppure dei palazzi veri ma l'uso che De Sica ne fa. L'utilizzo degli ambienti non ricostruiti risponde a una
logica realista ma in alcuni momenti del film il paesaggio urbano appare fortemente stilizzato assumendo
una chiara valenza simbolica che male si accorda con un progetto di scrittura realista.
Inoltre in alcune scene ritroviamo un utilizzo delle forme architettoniche e della luce che ricorda il cinema
espressionista tedesco.
In ladri di biciclette abbondano antri oscuri e costruzioni minacciose che fungono da allegoria delle angosce
dei personaggi. Il fatto che si tratti di ambienti reali anziché di fondali di studio non è influente, ciò che
conta è che in queste inquadrature sia reperibile un utilizzo dello spazio e delle strutture architettoniche in
funzione marcatamente espressiva.
Parlare di scenografia espressionista a proposito di ladri di biciclette può stupire ma è un fatto che le
inquadrature siano costruite su una logica antitetica rispetto a quella del cinema "senza messa in scena".
Certamente si tratta di una piccola crepa nella costruzione realistica di ladri di biciclette infatti è indubbio
che nell'organizzazione scenografica la dimensione espressionista sia del tutto marginale, essendo invece
l'uso denotativo- descrittivo del paesaggio urbano a risultare predominante. Cionondimeno la presenza di
componenti espressioniste nel decoder del film è indicativa dell'esistenza in alcune porzioni del testo di una
decisa opposizione a una scrittura neutra.
Bazin intuisce che l’apparente casualità con cui si susseguono gli avvenimenti nasce da un lavoro di
sceneggiatura che emerge nell’analisi dell’articolazione narrativa dello stesso: vi sono numerosi rimandi,
dettagli che poi ritornano rivelando un significato preciso di cui un esempio è il ruolo della partita di calcio:
Antonio chiede a Bruno, osservando un camion pieno di tifosi del Modena, se questa sia una buona
squadra. Successivamente, quando i due si recano a casa della Santona, sentono la voce di uno speaker
iniziare la cronaca di Roma – Modena. La scena finale finale si svolge proprio davanti lo stadio, dove
Antonio finisce inevitabilmente (il camion e lo speaker ne erano segni premonitori). Questo tipo di
espedienti abbondano nell’opera.
Lo stesso accade per le interruzioni prive di significato che ricoprono un ruolo molto importante della
ricostruzione del realismo dell’opera; un esempio ne è la scena in cui Bruno si ferma ad orinare o quella
degli spazzini che vanno al lavoro.
Sono dunque i dettagli inutili a dare la concezione di realismo nell’opera.
Nel testo vi sono anche dei paesaggi che sembrano contrapporsi a questo modello designando una visione
non-realista, il cui esempio ne sono la sequenza iniziale e finale del film.
Quest’ultimo inizia con la folla di disoccupati che circonda l’impiegato dell’ufficio di collocamento, posto in
cima ad una scalinata, che chiama Antonio. Il dialogo dei due si costruisce attorno il gioco di campo/contro-
campo in cui Antonio è preso dall’alto mentre il funzionario dal basso, esprimendo la debolezza psicologica
di Antonio. Inoltre, troviamo una valenza simbolica della scala in quanto salire i gradini significa migliorare
la propria condizione psicologica. Troviamo dunque una contrapposizione tra realtà differenti e
contraddittorie.
Nella scena finale, il clima festoso della domenica pomeriggio si contrappone alla
disperazione del personaggio. Vedendo una fila di biciclette usate dai tifosi, e
soprattutto una incustodita, Antonio inizia a camminare davanti e dietro indeciso sul
da farsi mentre la musica aumenta rafforzando la tensione che aumenta man mano
fino a quando lui non decide di rubarla.
Successivamente viene rappresentato un montaggio alternato delle inquadrature di
Antonio, che cerca di rubare la bicicletta e quelle di Bruno che osserva principalmente.
La musica accompagna ancora i passaggi più forti. La sequenza si conclude con
l’incontro dei due personaggi: Bruno corre incontro al padre e le sue lacrime
convincono il derubato che non lo denuncerà.
Tutti questi elementi ricordano il cinema classico.
Queste due sequenze vogliono sottolineare che Ladri di biciclette, seppur
rappresentando un film realista, designa anche influenze del cinema classico e
dell’avanguardia acquisendo quindi il ruolo di spartiacque tra due epoche.

Potrebbero piacerti anche