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Chirurgia app.

gastroenterico
Lezione 2 del professore D’Arpa, parte 1. (Lezione del 06/12/2016)

La lezione di oggi si incentra su un argomento di cui in gran parte o in parte avete già sentito parlare.
Io non vi parlerò dell’ittero in generale ma dell’ittero che riguarda le affezioni dell’apparato digerente, che
vengono trattate sia durante il corso di gastroenterologia che durante quello di malattie digestive di
interesse chirurgico. Di conseguenza stiamo parlando dell’ittero ostruttivo.
Vi dico subito che a lezione, agli esami e anche successivamente, resta nella vostra mente una gran
confusione in merito a due figure eterogenee ma distinte di nozioni: queste sono l’ittero ostruttivo e l’ittero
colestatico.
C’è una sorta di osmosi, reciproca e inversa, per cui all’ittero ostruttivo si assegnano qualità dell’ittero
colestatico e viceversa.
Se questo concetto è vero, lo è fino ad un certo punto perché, come poi vedremo, l’ittero colestatico ha
delle prerogative e l’ittero meccanico ha delle sotto prerogative. La realtà infatti è leggermente diversa:
nell’ambito dell’ittero colestatico c’è un sottogruppo rappresentato dall’ittero di natura meccanica, ovvero
l’ittero ostruttivo.
Possiamo quindi dire che l’ittero ostruttivo è un tipo di ittero colestatico ma non pensiate mai: “Ittero
colestatico = ittero ostruttivo” o che “L’ ittero ostruttivo è sempre, solo ed esclusivamente, connotato dalle
caratteristiche fisiopatologiche e cliniche tipiche dell’ittero colestatico”.

Cominciamo dalle definizioni:

“L’ittero è una condizione patologica che si realizza quando il livello della birilubina nel sangue, o
birilubinemia, aumenta oltre i valori normali, causando colorazione giallastra della cute, delle sclere e delle
mucose visibili”.

Partiamo allora da un concetto di fondo che è una delle cose più difficili da far capire al paziente itterico e
ai parenti del paziente itterico, quando bisogna spiegare perché quel soggetto è diventato giallo. La cosa
ancor più difficile da capire è che ciò che noi vediamo è in realtà la punta dell’iceberg dell’effetto ittero.
L’ittero è l’effetto di un problema, è esso stesso un problema e a sua volta causa altri problemi.
L’ittero è una complicanza che si realizza nel corso di malattie che riguardano il fegato e le vie biliari ed è
necessario capire che può dare luogo a una quantità di effetti che non sono soltanto la colorazione della
cute.
Il paziente si preoccupa perché si guarda allo specchio e si vede giallo, così decide di chiamare il medico o di
andare al pronto soccorso. Tuttavia, la colorazione itterica della cute, della sclera e delle mucose visibili è
soltanto la punta dell’iceberg del problema ittero.
Infatti, la verità è che se potessimo affettare il corpo umano di un paziente itterico, avremmo la sgradita
sorpresa di vedere che il giallo, nella realtà dei fatti, non riguarda solo ciò che è esternamente visibile
(pelle, cute, mucose, lingua e sclere) poiché il paziente itterico oltre ad esserlo fuori lo è anche dentro.
Noi vediamo ciò che si rende manifesto all’esterno ed è ciò che impressiona il paziente e i suoi parenti ma il
vero problema, la vera essenza del problema ittero è il fatto che quando un soggetto diventa itterico, lo
diventa dalla testa ai piedi e in tutte le sue componenti organiche.

[A tal riguardo il professore racconta la propria esperienza: “Io ricordo ancora la prima volta in cui ho visto,
in sala operatoria, operare un paziente itterico. Mi ero fatto l’idea che aperta la pancia di questo paziente,
dentro fosse tutto normale e che la colorazione dei visceri fosse normale così come quella dei muscoli e del
sottocute. In realtà mi ero sbagliato poiché tutto ciò è giallo, come gialla vediamo la pelle del paziente.
Questa cosa mi ha fatto capire quanto sia importate non sbagliare bersaglio e che il vero target delle nostre
attenzioni non può e non deve essere il fatto che il paziente sia giallo. Quando guardiamo un paziente
fortemente itterico non dobbiamo farlo con sensazione quasi di impressione.
Dopo che comincerete ad avere a che fare con un paziente itterico, vi accorgerete che riuscirete a
riconoscere per strada pazienti itterici poichè l’ittero, in quanto tale, è una proprietà che caratterizza una
certa quantità di anomalie, le quali non sono una vera e propria malattia ma fenomeni da poter definire
“paranormali”, fra tutti il famoso ittero di Gilbert o l’ittero che caratterizza alcune malattie di natura
ematologica come per i pazienti con anemia falciforme o talassemici. Ecco, questi riusciamo a vederli per le
strade e ci facciamo più caso quando ci siamo creati una sensibilità per il concetto di ittero.
Anche adesso, quando arrivo in reparto al mattino, mi capita che ancor prima di capire cosa abbia un
paziente e che i miei specializzanti me ne raccontino la storia, mi accorgo già che è itterico e mi faccio
un’idea di quello che mi staranno per dire i miei collaboratori.”]

Quindi, al di là dell’impressione fisica nel vedere un paziente itterico, noi dobbiamo riuscire a spostare la
nostra attenzione a tutto ciò che succede dietro l’aspetto esteriore, che ci può colpire ma che non ci deve
impressionare più di tanto. (Per spiegare tale concetto il professore fa riferimento al detto: “ Quando il
saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”).
Quello che ci deve impressionare è ciò che succede dal punto di vista dell’aspetto fisiopatologico di un
soggetto itterico. Comporta grande difficoltà far capire questa cosa ai pazienti itterici e ai loro parenti che
vogliono sapere perché il loro congiunto è diventato itterico e soprattutto che cosa bisogna fare per farlo
tornare normale e quali sono i rischi che questo stato comporta.
Quindi l’ittero cosa significa, che tipo di prospettive ci pone innanzi?
Il fatto che l’ittero abbia un significato è difficile da far capire ai parenti dei pazienti e per tale ragione
bisogna spiegare loro che se potessimo fare a fette un paziente, vedremmo che tutto è impregnato dalla
bilirubina, uno dei costituenti fondamentali della bile e che resta in circolazione perché c’è un problema a
valle. Dunque, sfiorando la fisiopatologia dell’evento ittero, si vede che c’è un ostacolo che non mette
l’organismo nelle condizioni di poter dismettere la bilirubina, la quale resta quindi in circolazione perché il
fegato non riesce ad immetterla nel torrente biliare, per poi depositarsi nei tessuti.
Quindi, quando parlo con i parenti dei paziente uso questa fisiopatologia “da marciapiede” o “di bassa leva”
per dare loro delle spiegazioni.
Voglio che anche voi capiate che il vero problema del paziente itterico è che tutti gli organi importanti sono
intrisi di bilirubina e non che il paziente possa impressionarci perché è giallo come un limone.
I parenchimi che diventano semi-inservibili sono cuore, fegato, polmoni, cervello e soprattutto reni.
Questi cinque organi sono quelli che mettono a repentaglio la vita del paziente itterico, se l’ittero continua
a salire e se la bilirubina nei tessuti aumenta.
Qual è il valore massimo della bilirubina a cui può arrivare un paziente?
Non c’è un cut-off superiore che può determinare un livello di bilirubina che possa essere definito
“mortale”. Il massimo di bilirubina totale che io abbia visto è di 55 mg/100 mL cioè 55 volte la norma,
partendo dal presupposto che 0,85-1 mg è il valore definito come “normale” per identificare la
bilirubinemia nell’uomo sano. 55 è un bel valore, è elevato ma non assoluto poiché gli organi, a cui prima
ho fatto riferimento, già con valori molto più bassi, possono cominciare ad andare in deficit funzionale ed è
esattamente questo quello che succede nel paziente itterico, nel momento in cui non viene rimossa la
causa che ha determinato l’ittero.
Questo comporta che i nostri sforzi debbano essere rivolti a cercare di rimuovere la causa, perché
apparentemente questa è la cosa più facile da fare. Il grande gap, la grande separazione che c’è tra gli itteri
di natura medica e gli itteri di natura non medica, ovvero gli itteri di natura meccanica in cui la colestasi è
supportata da un elemento che ha determinato il blocco o la riduzione del flusso della bile, sta proprio in
questo: nell’ittero di natura medica le potenzialità terapeutiche sono molto limitate invece per l’ittero di
natura meccanica, teoricamente, basta rimuovere l’ostruzione. Dico “teoricamente” perché poi le cose non
stanno esattamente così, però dal punto di vista della fisiopatologia degli eventi, basta rimuovere la causa
che ha determinato lo stop del flusso della bile, così il flusso riprende e l’ittero colestatico comincia a
regredire come tutti gli indici che si erano alterati.

La seconda cosa che impressiona molto il paziente è il fatto che, dopo essere andato in bagno, trova che le
urine siano diventate scure, di un colore che il paziente definisce “color vino vecchio, vino ambrato,
marsala”. Le urine sono ipercromiche poiché il filtro renale riesce a vicariare quello che non riescono a fare
altri tipi di emuntori ma soltanto entro certi limiti. Il primo emuntorio che viene meno è quello biliare, il
secondo che tende ad eliminare bilirubina normalmente è rappresentato dalle feci.
Infatti, il colore normale delle nostre urine e feci è così poiché al loro interno c’è un’adeguata quantità di
bilirubina. In un esame normale delle urine è presente l’urobilinogeno, che è la giusta quantità di bilirubina
che viene emessa dall’emuntorio renale e che mantiene l’equilibrio del complesso sistema della bilirubina.
Questa evidenza delle urine ipercromiche è la seconda cosa che preoccupa parecchio il paziente e lo
convince che qualcosa non vada.
Non avete idea di quante volte mi senta dire da persone, soprattutto anziane e che vivono da sole, che
sono itteriche da una settimana ma che solo alla fine di questa decidono di contattare un parente lontano
arrivando così dal medico.
Le persone anziane sono molto restie ad andare dal medico per una cosa del genere. Infatti, i pazienti
molto anziani hanno spesso, nella loro esperienza di bambini, avuto a che fare con soggetti itterici. Loro
non sanno cosa significhi la loro condizione di ittero ma ai loro tempi hanno avuto a che fare con persone
che contraevano malattie che facilmente portavano all’ittero, all’itterizia.
Alcune malattie, ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, si esprimevano con l’ittero: era fortemente
endemica l’epatite A, molto più endemica di adesso la talassemia major ed inoltre i nostri nonni avevano
conosciuto la malaria, poiché intere sacche di popolazione vi convivevano. La malaria infatti, provocando
una splenomegalia, dava luogo ad una condizione di ittero legata alla distruzione degli eritrociti e si trattava
di un ittero non colestatico ma emolitico, a bilirubina indiretta.
Così i soggetti anziani avendo conosciuto l’ittero, sanno che non è una buona cosa e questa idea li rende
schivi nell’andare subito dal medico e sperano che passi ma dopo tre quattro giorni capiscono che non è
così, chiamano il loro parente che abita lontano e quando questo arriva si scatena una sequenza di eventi
diagnostici.

Il terzo evento fisiopatologico, dopo la comparsa dell’ittero cutaneo e delle urine ipercromiche è la
comparsa delle feci acoliche.
Questo è un evento che i pazienti riferiscono con molta meno impressione e con meno presenza, in termini
di capacità discriminativa.
Mi spiego meglio: mentre l’emuntorio renale produce un aumento dell’escrezione dell’urobilinogeno e
questo comporta che da subito le urine diventino ipercromiche, quindi particolarmente colorate e
impressionanti per il soggetto che comincia a diventare itterico, le feci acoliche sono un evento che si
realizza con una tempistica non prevedibile e non è detto che il paziente abbia già verificato.
Se noi partiamo dal presupposto che l’ittero ostruttivo realizza una condizione in cui la bile non si riversa
più nell’intestino attraverso la papilla di Vater, capiamo la ragione per cui le feci perdono progressivamente
la loro colorazione che è dovuta proprio alla presenza della bile. Quindi ipotizziamo una serie di eventi per
cui la bile non finisce più nell’intestino e le feci perdono progressivamente la loro colorazione. Tuttavia,
prima di arrivare ad avere delle feci veramente acoliche, deve passare una certa quantità di tempo.
Questa quantità di tempo dipende dalla velocità di transito intestinale ( questa è una buona definizione
tecnica e fisiopatologica).
Ricordiamo che il 65% dei nostri anziani soffre di stitichezza e se oggi evacuano, la volta successiva, se va
bene, sarà tra due giorni.
Noi tecnicamente diciamo che hanno un transito rallentato e che la frequenza di evacuazione è bassa.
Se tale evacuazione si verifica ogni tre giorni, non ci mette subito nella condizioni di poter verificare entro
quanto tempo avvenga la chiarificazione delle feci, poiché questo è un evento che rischia di palesarsi a
distanza di 7-10 giorni. Tenete anche conto del fatto che, dopo che la bile smette di finire nell’intestino,
nella pancia sono ancora presenti feci normocromiche e queste verranno progressivamente espulse con
l’evacuazione. Quindi, se il paziente evacua ogni tre giorni dal tempo “0”, cioè dal momento in cui il
rubinetto del flusso biliare si chiude, le prime due, tre, forse quattro evacuazioni, a seconda di quale
quantità di feci viene espulsa, comportano che l’evento della comparsa delle feci acoliche si trasli nel
tempo, diventando un epifenomeno che il paziente non è in grado di discernere.
Quindi le feci diventano acoliche 10-15 giorni dopo che l’evento che ha determinato meccanicamente il
blocco del flusso biliare si è realizzato.
La presenza di feci acoliche non è un evento che noi possiamo sperare sia sempre presente in ciò che il
paziente ci dice.
Quando chiediamo al paziente come siano le feci, lui risponde che sono assolutamente normali, che forse
all’ultima evacuazione erano un po’ più chiare ma che non ci giurerebbe.
La maggior parte dei pazienti da questo punto di vista non è particolarmente attento poiché non sa legare i
due meccanismi: l’escrezione fecale della bile e l’ittero. Probabilmente, il paziente neanche sa che le feci
sono di quel colore, non riesce a fare una correlazione e non ci fa attenzione.
Quando invece il paziente è itterico da una certa quantità di tempo, forse perché ha memorizzato il fatto
che voi gli avete chiesto di quale colore sono le feci, lui riesce a capire che c’è una correlazione tra l’evento
ittero e le feci acoliche.
Quindi, non stupitevi quando interrogando un paziente itterico vi sentirete dire che le feci sono normali
mentre le urine sono ipercromiche.
Le feci acoliche si presentano soltanto in un caso di ittero colestatico, sia intra che extra-epatico ma
soltanto in una fase tardiva che deriva dal fatto che bisogna rispettare la tempistica intestinale, la quale
detta legge e ci mette nelle condizioni di poter avere questo tipo di risultato, a distanza a volte anche di
diversi giorni.

Continuando con la nostra fisiopatologia da quattro soldi, di base, possiamo dire che l’ittero ostruttivo,
altrimenti detto ittero meccanico, si realizza quando l’escrezione della bile, a valle del polo biliare degli
epatociti, subisce un rallentamento oppure un blocco completo causato da una noxa patogena che altera il
normale flusso della bile. Tale agente causale può intervenire in tutto il decorso dell’albero biliare
compreso fra il polo biliare dell’epatocita e la papilla di Vater, cioè tutto ciò che è compreso
nell’arborizzazione dell’albero biliare. Tale arborizzazione comincia con le più fini ramificazioni, i colangioli, i
quali nascono in corrispondenza del polo biliare degli epatociti, e termina in corrispondenza dello sbocco in
duodeno dell’albero biliare, di quello che io chiamo “il tronco”.
Quando devo fare capire quale sia l’anatomia dell’albero biliare io mi riferisco a questi termini botanici:
dico ai miei pazienti che il fegato è la “ fronda della quercia” (ha una forma che la ricorda) e che all’interno
della chioma ci sono i “rami”, che diventano sempre più sottili e che quanto più diventano sottili tanto più
sono in comunicazione con le “ foglie” che sono gli epatociti. Man mano che si scende verso il tronco i rami
diventano sempre più grossi, fino a convogliarsi tutti in corrispondenza di quello che è il “tronco principale”
dell’albero che è il coledoco.
La maggior parte dei problemi di natura meccanica-ostruttiva si realizza proprio in corrispondenza del
tronco, alla base del tronco, là dove il tronco dell’albero poggia per terra e prende contatto con il suolo. Qui
c’è lo sbocco dell’albero biliare nel duodeno attraverso la papilla di Vater, che è una struttura complessa, di
tipo sfinteriale complesso che regolamenta il flusso biliare con delle modalità che non sempre sono
facilmente comprensibili.
Quindi tutto ciò che può succedere all’albero biliare, compreso fra i ramuscoli più sottili, i colangioli e il
suolo, la papilla di Vater, tutto ciò che può determinare un blocco di escrezione della bile in tutto questo
settore causa un ittero di natura ostruttiva.
Cominciamo a dare un’occhiata alle cause: considerando il fegato cominciamo a trovare i primi problemi
che possono mettere in discussione il flusso biliare. Solitamente sono sempre meccanismi da
schiacciamento e da compressione nei confronti dei colangioli, dei dotti segmentari e subsegmentari e nei
confronti dei dotti intraepatici maggiori.
Voi sapete che il fegato viene rappresentato, dal punto di vista dell’anatomia topografica e chirurgica, come
un complesso di due lobi, dotati ognuno di un funzionamento e l’uno separato dall’altro. Quando questi
due grossi dotti, il dotto epatico destro e il dotto epatico sinistro sono interessati da una manifestazione da
compressione, può verificarsi una sindrome colestatica dovuta a varie cause: per esempio ad una
voluminosa cisti da echinococco o ad una metastasi epatica oppure ad una grossa compressioni da massa
neoplastica primitiva. Queste sono le tre cause principali oltre alla calcolosi intraepatica, cioè alla presenza
di calcoli contenuti all’interno delle vie biliari intraepatiche. Queste sono cause di ittero ostruttivo a livello
intraepatico o a livello delle VBI (vie biliari intraepatiche), che fanno da contraltare alle VBE (vie biliari
extraepatiche) cioè a tutto quello che è compreso dall’ilo epatico in giù, scendendo.
Vi accennavo che circa il 90% delle manifestazioni che riguardano un’occlusione delle vie biliari riguarda le
VBE.
Ricordiamo l’anatomia di queste vie: dalla confluenza del dotto epatico di destra con il dotto epatico di
sinistra, confluenza che avviene in corrispondenza dell’ilo epatico, la zona a cui afferiscono non solo le vie
biliari ma anche l’arteria epatica e il sistema dei venicoli vascolari venosi, si realizza il dotto epatico comune
che è il primo segmento di tronco della via biliare principale (VBP) e va dalla confluenza del dotto epatico di
destra e di sinistra fino alla confluenza con il dotto cistico. La colecisti è una struttura sacciforme, a forma di
pera, dotata di un picciolo. Il dotto epatico comune è un condotto cavo che mette in comunicazione le vie
biliari extraepatiche con la colecisti propriamente detta a livello della confluenza del dotto cistico che più o
meno è a 2/5 del percorso totale della via biliare extraepatica. Dalla confluenza del dotto cistico in giù,
parliamo di coledoco. Nell’accezione generale da parte del mondo medico, il coledoco per accezione non
tecnica ma comune, è considerato tutta la struttura del tronco che comprende anche l’epatico comune,
però da un punto di vista tecnico e di anatomia topografica è sempre bene mantenere separati questi due
elementi, tentando di forzare l’accezione comune dal tentativo di classificazione che considera tutto come
coledoco.
Quindi è coledoco dall’epatico comune in giù, dall’inserzione del dotto cistico, distalmente fino a
raggiungere lo sbocco nel duodeno che è la papilla di Vater.
Altri tipi di manifestazioni che possono provocare una compressione a carico delle varie strutture che
stiamo considerando vanno dal l’ipertrofia del linfonodo di Morgagni, che è un linfonodo che drena la linfa
dalla colecisti e che in condizioni di colecistite acuta può ingrossarsi, andare incontro a ipertrofia e
determinare un’evidente compressione sul versante laterale dell’epatico comune, alla più banale calcolosi
del coledoco. Scendendo, ci sono altri tipi di manifestazioni cliniche che possono provocare ittero
ostruttivo: una flogosi che comporta la crescita di tessuto di cicatrizzazione che a sua volta può stenotizzare
il coledoco, la cosiddetta stenosi infiammatoria della via biliare principale; un’altra manifestazione
caratterizzata da una stenosi è la neoplasia primitiva, il cosiddetto colangiocarcinoma, neoplasia primitiva
del coledoco propriamente detto; neoplasie a carico della testa del pancreas e neoplasie a carico dello
sbocco della via biliare principale nel duodeno cioè neoplasie della papilla.

Il decorso del coledoco propriamente detto è in gran parte intrapancreatico, ovvero il coledoco decorre
contenuto all’interno della testa del pancreas per un tratto di circa3-4 cm fino ad arrivare allo sbocco nella
papilla.
Quindi in condizioni di malattie del pancreas, caratterizzate da una crescita di tessuto tumorale o da
un’anomalia della strutturazione del parenchima pancreatico come si realizza per esempio nel corso di una
pancreatite cronica, avviene una riduzione del calibro del coledoco che comporta una progressiva crescita
del valore della bilirubina e quindi la comparsa dell’ittero.
Il fatto che il decorso del coledoco sia in parte intrapancreatico fa sì che l’ittero ostruttivo caratterizzi la
maggior parte delle neoplasie a carico della testa del pancreas. In questo caso l’ittero insorge in pazienti
che non hanno altri tipi di sintomi e segni clinici. L’ittero che frequentemente si associa alla neoplasia della
testa del pancreas è il cosiddetto ittero “nudo” che avviene in assenza di altri sintomi o segni quali la febbre
e il dolore e che deve far pensare alla possibilità di trovarsi davanti a una malattia del pancreas d natura
neoplastica.
In realtà,nell’80% dei casi, noi possiamo ipotizzare di trovarci davanti a un episodio di ittero ostruttivo già
soltanto intervistando il nostro paziente, qualche volta aiutato in questo dai parenti stretti e dalla cerchia
familiare, e visitando il nostro paziente. Stiamo quindi parlando della fine capacità di discriminazione che ci
è data dalla clinica, dalla possibilità di poter capire pensando, prima ancora di agire e mettere mano a
quelle che sono metodiche di indagine che nella maggior parte dei casi ci mettono in condizione di
confermare la nostra supposizione clinica, di natura medica.
Circa l’80% dei pazienti può aver fatta diagnosi di ittero ostruttivo già soltanto con la clinica e allora qual è il
ruolo che spetta alla diagnostica strumentale?
Noi attualmente, da anni a questa parte, ci siamo adagiati sul concetto che: “Tanto poi il paziente deve fare
la diagnostica strumentale e poi capiremo”.
La diagnostica ci aiuta ma a volte ci confonde, è sbagliato pensare che la diagnostica strumentale possa
arrivare sempre là dove noi non riusciamo ad arrivare con le nostre capacità di discriminazione clinica.
Purtroppo, questo la statistica sanitaria lo insegna, ci sono delle cose che non vanno nell’ambito di quelle
che sono le caratteristiche della diagnostica strumentale e infatti vedremo come non ci aiuti sempre e non
ci dia il 100% delle risposte che noi vorremmo avere.
Questa cosa ci mette nelle condizioni di non poter essere sempre così utili come noi vorremmo.
Anche perché, al di là di quelle che sono le caratteristiche dei vari presidi diagnostici, dobbiamo metterci
nelle condizioni di capire che ci sono dei criteri di invasività e di logica, con cui noi dobbiamo proporre le
procedure diagnostiche e la loro sequenza nei nostri pazienti, e che queste devono essere vagliate dalla
nostra capacità di discriminazione.
Ci sono esami che si possono applicare alla maggior parte dei pazienti e altri invece che devono essere
formulati, proposti solo esclusivamente quando la nostra supposizione ci mette nelle condizioni di pensare
che quello sia il meglio che possiamo proporre per i nostri pazienti.

Torniamo un attimo indietro all’ittero colestatico.


L’ittero ostruttivo, dal punto di vista laboratoristico, rientra tra gli itteri colestatici ma se l’ittero ostruttivo è
l’ittero colestatico come possiamo ipotizzare il comportamento degli esami che ci permettono di capire che
siamo davanti ad un ittero di natura meccanica? Quali sono le caratterizzazioni degli itteri colestatici?
Cominciamo a pensarci: abbiamo detto che l’ittero ostruttivo è caratterizzato da un aumento della
bilirubina ma la colestasi, in quanto tale, è qualcosa di diverso dall’ittero colestatico.
L’ittero compare perché c’è un aumento della bilirubina ma non è solo la bilirubina che deve indicarci da
che parte andare per inquadrare questo tipo di ittero. Cos’altro dobbiamo rilevare nel nostro set di
laboratorio?
Dobbiamo rilevare gli indici di colestasi:
 La bilirubina TOTALE è il punto di partenza: 10 mg di bilirubina.
Poi vediamo come si comporta la bilirubina nell’ittero colestatico: c’è predominante
rappresentazione della bilirubina DIRETTA O CONIUGATA.
(Sapete già perché si chiami DIRETTA? È più giusto chiamarla coniugata ma si chiama DIRETTA
perché un tempo si faceva una reazione molto strana, che permetteva alla bilirubina coniugata di
rivelarsi direttamente alla reazione senza la necessità di aggiungere un determinato reagente.
Quindi, era l’aggiunta del reagente che metteva nelle condizioni di capire se la bilirubina
direttamente si palesava come tale o indirettamente passando attraverso l’aggiunta del reagente.
Quindi la bilirubina diretta è coniugata mentre la bilirubina non coniugata è quella che ha la
necessità dell’aggiunta del reagente per potersi manifestare. Non dovremmo più chiamarle
“diretta” ed “indiretta” però anche se il termine tecnico più corretto è coniugata e non coniugata,
in tutti i laboratori del mondo vedrete che la bilirubina ha queste tre lettere dietro, in maiuscolo
“T= TOTALE; D=DIRETTA; I=INDIRETTA”.)
Devo anche dosare la bilirubina NON CONIUGATA.
Queste tre bilirubine ci mettono in condizione di capire se siamo davanti ad una colestasi oppure
no.
Quindi la colestasi è identificata da un incremento della BIRILUBINA DIRETTA, CONIUGATA a livello
dell’epatocita e pronta per l’escrezione dal polo biliare, ma poi succede qualche cosa per cui una volta dato
per scontato questo processo di glucuronoconiugazione il meccanismo si arresta e lì parte l’inghippo e sta a
noi capire a quale livello questo sia. Si chiama ittero ostruttivo perché c’è un blocco nel rilascio della
bilirubina da parte dell’epatocita.
 Fosfatasi alcalina, la cui sigla internazionale è “ALP”, in italiano “ FA”;
 Gamma-GT: acronimo che sta per Gamma Glutamil Transferasi;
Questi sono tutti enzimi e quando si dice “ facciamo una batteria epatica” qualcuno dice “facciamo
l’enzimologia epatica”.
Ma c’è un problema nell’ittero ostruttivo e negli itteri in generale: non basta quantificare la colestasi ma
bisogna identificare anche un altro criterio, il cosiddetto “criterio di accompagnamento” che esprime il
livello di sofferenza da parte del fegato durante l’evento ittero. Infatti, uno dei parenchimi che va in
sofferenza durante la persistenza dell’ittero è proprio il fegato, che esprime questa sua sofferenza, disagio
metabolico e fisiopatologico, lasciando in circolazione altri enzimi: le TRANSAMINASI.
Abbiamo allora finito di dire che la caratterizzazione laboratoristica dell’ittero ostruttivo è appunto questa:
colestasi, le tre bilirubine, la fosfatasi alcalina e la gamma-GT, citolisi di accompagnamento (= le
transaminasi cioè la GOT e GPT).
Qualcuno può obiettare dicendo che ci sono altri enzimi che possono essere correlati con questo evento ed
è vero: quando la citolisi aumenta, vengono rilasciate in circolazione anche altre sostanze di cui quella più
importante è l’LDH, che in circostanze di ittero molto grave sale molto velocemente e permane per lunghi
periodi.
Questa è la caratterizzazione laboratoristica dell’ittero ostruttivo ma il concetto fondamentale che correla
il concetto di ittero colestatico a quello di ittero ostruttivo è che nell’ittero ostruttivo c’è una componente
di imaging, che è imprescindibile, che è legata al fatto che durante l’ittero ostruttivo nella maggioranza dei
casi è possibile verificare una condizione di dilatazione delle vie biliari.
L’unico evento che possiamo definire ostruttivo o pseudo ostruttivo è un ittero colestatico di natura
meccanica che si realizza all’interno del fegato a causa di manifestazioni microscopiche, cioè quando l’ittero
ostruttivo non è legato ad una grossa manifestazione clinica come la grossa cisti, la grossa neoplasia
primitiva o secondaria del fegato, ma legato ad altre circostanze in cui l’epatocita viene inibito alla sua
escrezione biliare. Tolta questa accezione eccezionale tutto il resto della grossa quantità di itteri ostruttivi
determina sempre, a vario livello, il fenomeno della dilatazione delle vie biliari che è quello che quantifica e
qualifica il concetto di ittero ostruttivo. Quindi possiamo dire che tranne rarissime eccezioni, l’ittero
ostruttivo è caratterizzato, dal punto di vista della sua caratterizzazione nosologica, come un ittero
colestatico cui si associa la dilatazione delle vie biliari in settori a monte dell’ostruzione.
Criterio che può essere accertato solo con una tecnica di immagine specifica.
Ecografia, TAC e RMN sono i tre elementi di tecnica diagnostica e strumentale che devono essere presi in
considerazione quando parliamo di ittero colestatico di verosimile natura ostruttiva.
Noi lo possiamo ipotizzare ma poi sarà l’imaging che ci metterà nelle condizioni di poterlo confermare.
Nel 1975, quando non esistevano ecografia, TAC e RM, era difficile poter fare diagnosi di ittero colestatico
di verosimile natura ostruttiva. Si usavano tecniche di indagine che oggi sembrano preistoriche: la
colangiografia endovenosa che però funzionava fino a certi valori di escrezione della bile, quindi per valori
di ittero molto elevato questa tecnica non faceva raffigurare niente nell’ambito delle ramificazioni
dell’albero biliare e si andava a tentoni.
Fino a circa 40 anni fa, andare avanti a spulciare nelle possibilità diagnostiche era qualcosa di legato alla
fortuna del medico e alla sua capacità di intuizione poiché di tecnica e diagnostica in termini di imaging non
c’era assolutamente nulla.
Dall’ecografia in poi abbiamo cominciato a capire che la dilatazione delle vie biliari è il presidio diagnostico
fondamentale a cui fare riferimento per poter etichettare con serenità il termine di ittero ostruttivo.

L’ittero ostruttivo va distinto da possibili cause di sostanze patolesive che causano l’ittero colestatico.
L’ittero colestatico comprende una gran quantità di itteri in cui esiste l’ittero meccanico ma non esiste
soltanto questo. Abbiamo già detto come le transaminasi e la fosfatasi alcalina, la bilirubina frazionata
siano l’elemento fondamentale per poter contraddistinguere questo tipo di ittero a cui ormai normalmente
si associano con maggior evidenza i marcatori dell’epatite. Tanti anni fa, era più facile fare un prelievo di
sangue per identificare i marcatori virali dell’epatite piuttosto che non un’ecografia ed era molto più facile
aspettare il dosaggio dei markers dell’epatite piuttosto che avere la possibilità di fare un’ecografia.
Oggi l’ecografo è ovunque e abbiamo la possibilità di identificare il concetto di dilatazione delle vie biliari o
meno e questo ci mette già nelle condizioni di capire. Un tempo si facevano i marcatori virali e se questi
erano negativi già cominciavi a pensare che l’ittero potesse essere ostruttivo.
Altri criteri, che possono essere presi in considerazione e che un tempo lo erano anche molto più, sono
parametri che ci dicono come funziona il fegato poiché, se questo funziona poco e male, una certa quantità
delle sue capacità vitali può entrare in difficoltà, per esempio la sintesi proteica o la sintesi di una certa
quantità di elementi che danno poi dei risvolti a volte molto importanti. Infatti, la riduzione
dell’albuminemia, la riduzione del fibrinogeno o della protrombina sono elementi che un tempo
caratterizzavano l’indole dell’ittero colestatico.
In realtà l’ipoalbuminemia molto meno perché l’ittero e le malattie di fegato comportano sempre un deficit
della sintesi delle proteine.
E adesso capiamo qualcosa in più per ciò che intendiamo per colestasi di tipo meccanico.
La colestasi è una delle tre componenti di ittero. L’ittero può essere a bilirubina mista, prevalente a
bilirubina diretta, colestasi in quanto tale o a bilirubina indiretta. La maggioranza degli itteri a bilirubina
mista deriva dalle malattie virali che possiamo mettere da parte ma se abbiamo davanti, dal punto di vista
laboratoristico, la bilirubina diretta o coniugata, dobbiamo sospettare che si tratti di una colestasi
intraepatica o extraepatica. La maggioranza delle manifestazioni cliniche dell’ittero ostruttivo corrisponde
ad una colestasi extraepatica ma è fondamentale, per discriminare l’una e l’altra, identificare con certezza il
concetto di dilatazione di vie biliari, sottoponendo il paziente ad una triade, quando possibile, di ecografia
del fegato e delle vie biliari, altrimenti definita ecografia dell’addome superiore, alla TAC con mezzo di
contrasto e alla risonanza magnetica delle vie biliari o colangio-RM.
Questo ci permette di capire che la dilatazione delle vie biliari si diagnostica solo dopo aver sottoposto il
paziente ad un esame diagnostico.
Non è indifferente poter sottoporre un soggetto a tale triade e ci sono dei criteri attraverso cui bisogna
passare per poter arrivare al risultato sperato.
Togliamo dal novero delle possibilità quella che può essere considerata l’ipotesi di minoranza: la colestasi
intraepatica è più frequente in pazienti giovani, con storia di abuso di alcol o con comportamenti a rischio
per contrarre un’epatite virale. Solitamente sono soggetti che presentano delle strane manifestazioni
cliniche, differentemente dalla maggior parte dei soggetti che ha l’ittero colestatico, e sono
paucisintomatici o asintomatici e presentano delle manifestazioni cliniche che sono quelle dell’epatite:
febbricola, astenia, inappetenza, dolori muscolari, astenia profusa. Questi pazienti dicono al medico di star
male e aver notato una strana colorazione della cute, hanno un modico aumento della fosfatasi alcalina e
assenza di segni clinici a carico delle vie biliari. Quindi, questi pazienti dicono di non aver mai avuto la
manifestazione clinica che in qualche caso può essere patognomonica di una calcolosi biliare, come il
sintomo dolore colico.
Poi abbiamo la sospetta colestasi extraepatica, più frequente in soggetti con: età maggiore di 45 anni; di
solito con un dolore localizzato ai quadranti superiori dell’addome, ipocondrio dx, irradiazione all’epigastrio
e irradiazione alla regione posteriore rispetto all’ipocondrio; la colecisti è discretamente palpabile; possono
essere posseduti da febbre che ha caratteristiche di comparsa nel tardo pomeriggio/sera, con rialzi che
possono arrivare oltre 38°, solitamente preceduta da brividi. I brividi rappresentano una delle
caratteristiche della febbre di natura biliare, precedono la comparsa della febbre e il paziente percepisce un
freddo che non sa definire in maniera adatta, un freddo “ strano” a causa del quale sebbene si copra con 10
coperte continua comunque a ballare nel letto. Ad un certo punto questi brividi si riducono e se noi
mettiamo il termometro al nostro paziente, vediamo che nel giro di un quarto d’ora e poi di un’ora la
temperatura comincia a salire fino ad arrivare ai 38-38.5°.
Questa è la caratterizzazione clinica della colestasi extraepatica.
Ma ciò che ci fa capire che cosa deve differenziare questi due eventi che hanno dato luogo alla colestasi
intraepatica o extraepatica, è l’imaging. Si parte sempre con una diagnostica di primo livello: un’ecografia
del fegato e delle vie biliari. Soltanto quando il risultato dell’esame ecografico non ci soddisfa, si passa a
uno stage superiore che è dato dalla possibilità di potersi rivolge ad una TAC con mezzo di contrasto e/o a
una risonanza magnetica dedicata allo studio delle vie biliari.
Vediamo la caratterizzazione dell’esame ecografico:
l’ECOGRAFIA è un esame caratterizzato da elementi vantaggiosi:
 Non invasività: è un esame che viene eseguito sfruttando la capacità di penetrazione negli organi
parenchimatosi e a volte cavi degli ultrasuoni che, emessi dalla sonda, rimbalzano in
corrispondenza delle strutture che vengono inondate dal fascio di ultrasuoni e sono rilevati dalla
stessa sonda che li ha emessi. Gli ultrasuoni non provocano danno biologico e questo è alla base
del fatto che l’ecografia è ritenuta universalmente come un esame assolutamente non invasivo.
Infatti, le donne in gravidanza possono sottoporsi più volte all’ecografia e questo è l’esame che
caratterizza al meglio la diagnostica delle patologie o della normalità in gravidanza.
Il fatto che non sia invasiva è correlabile con il fatto che sia
- ripetibile, anche a pochissima distanza di tempo, senza dare danno biologico al contrario di altri
tipi di imaging.
 Poco costosa: all’inizio non era così ma adesso con le tecniche che si sono perfezionate, la
commercializzazione e la tendenza del mercato a fruire di prezzi sempre più competitivi per
macchinari di valore, l’ecografia è ritenuta poco costosa e questo è alla base del fatto che sia
- disponibile sul territorio senza particolari problemi. Anche un ospedale zonale è dotato di un
ecografo tecnicamente all’avanguardia;
- di facile reperibilità;
 Utilizzo bed-side cioè al letto dell’ammalato: ci sono apparecchi dotati di batterie a lungo termine
per poter essere utilizzati in circostanze anomale, estreme, in assenza di corrente. Questi ecografi
possono essere utilizzati in ospedali da campo che in quel momento siano sforniti di corrente e
hanno delle batterie tampone che possono consentire un adeguato funzionamento per un certo
periodo anche in assenza di alimentazione con corrente.
L’utilizzo a letto dell’ammalato è fondamentale in circostanze particolari: alcune ecografie devono
essere eseguite in soggetti che non hanno la possibilità di poter essere trasportati e in
rianimazione, in neurochirurgia, in cardiochirurgia, nelle terapie intensive in generale.
In circostanze estreme anche questi pazienti possono essere spostati ed essere portati per esempio
in radiologia per fare una TAC con mezzo di contrasto, visto che tale macchinario è voluminoso e
complesso da non poter pensare di trasportarlo dal paziente. Per l’ecografia il problema non si
pone poiché la maggior parte di questi apparecchi sono carrellabili e altri sono apparecchi portatili,
perciò tutti questi possono essere portati a letto dell’ammalato e l’ecografia può essere fatta senza
spostare necessariamente il paziente.
 È la diagnostica con maggiori capacità di sensibilità per poter rilevare la presenza del segno
patognomonico dell’ittero meccanico cioè la dilatazione delle vie biliari, forse ancor meglio della
TAC e alla pari, in termini di sensibilità, con la risonanza magnetica.

Tuttavia l’ecografia ha anche degli svantaggi:


 È una tecnica “per interpretazione” : c’è sempre un fattore umano che legge, che capisce, che
interpreta e che a volte modifica, secondo la propria interpretazione ed esperienza, quello che è il
reperto che può essere definito oggettivo. La stessa immagine vista da più medici può dar luogo a
sensazioni diverse e quindi a referti di natura diversa. Questo è opportuno per un
- “second look tecnologico e di interpretazione” : per esempio, un’ecografia che viene fatta
all’ospedale di Corleone, con un apparecchio vecchio di 15 anni e con tecnologia obsoleta, può
essere ripetuta in un altro posto dotato di un’altra macchina più recente e tecnologicamente
più avanzata che ci mette nelle condizioni di capire ciò che prima era più difficilmente
comprensibile.
Quindi parliamo di un’indagine tecnologica ragion per cui ci sono delle circostanze in cui
l’ecografia può essere non particolarmente soddisfacente perché non tutte le ecografie, gli
ecografi e le capacità di interpretazione tecnologiche sono adeguate a quella che è la
situazione.

Sbobinatore: Gambino Erika

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