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Storia della filosofia antica

Senso della rivoluzione parmenidea

Dopo Parmenide la riflessione intorno alla physis non poté più essere la
stessa in quanto il sistema da lui introdotto ebbe un’influenza
fondamentale nel pensiero successivo e venne inglobato, innestato, nella
speculazione fisica di Empedocle, Anassagora e Democrito che non
poterono più immaginarsi lo studio della natura alla maniera pre-
parmenidea.
Parmenide è una figura curiosa perché da una parte è una figura di
importanza abissale nella storia del pensiero, si pensi che ancora oggi vi
sono filosofi che parlano di un ritorno a Parmenide e viene considerato,
molto spesso, il padre della filosofia, dall’altra di questo autore, avvertito
con importanza anche dai suoi immediati successori, quali Platone e
Aristotele, noi sappiamo molto poco. Possediamo 154 versi, distribuiti in
20 frammenti pervenutici, alcuni dei quali sono brevissimi, meno di una
riga, altri sono più estesi come il famoso frammento otto che occupa quasi
80 versi; tutti i frammenti, comunque, si presentano misteriosi e pieni di
difficoltà.
Parmenide visse a cavallo tra il VI e V secolo, sono riportate due date di
nascita abbastanza discordanti tra loro, una indica l’anno di nascita intorno
al 540 e l’altra tra il 515-10, forse questa è la più affidabile, ed è anche
quella supposta da Platone, che nono lo dice chiaramente ma lo fa
desumere dal modo in cui presenta i personaggi del Parmenide; tuttavia
Platone non è uno storico, quindi può benissimo essere che pur di rendere
plausibile l’incontro tra Parmenide, vecchio, e il giovane Socrate abbia un
po’ giocato con i numeri.
Egli scrive la sua opera, che ha pretese estreme di razionalità scientifica,
infatti, può essere considerata la prima opera di filosofia, in senso stretto,
in versi, in esametri, che è la forma espressiva di Omero; la sua può essere
stata una scelta dettata dall’intento di arcaicizzare il suo messaggio che,
pur moderno, in qualche modo è arcaico perché si ricollega ad una verità
profonda. Questa potrebbe essere una possibile spiegazione.
È interessante il giudizio che di Parmenide danno Platone e Aristotele i
quali gli riconoscono una grandezza straordinaria, ma di difficile gestione.

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Platone si comporta nei confronti di Parmenide come ci si comporta con
dei bambini che sono straordinariamente dotati ma ancora un po’ rozzi nel
presentare le cose.
Aristotele attribuisce a Parmenide uno stile di pensiero che definisce, sotto
la dicitura di aporeisis arcaicos, come il porre problemi in maniera arcaica
e si riferisce, nella sostanza, alla prima parte del poema di Parmenide. Dice
Aristotele che Parmenide arcaizza, onorifica, l’essere che è una forma
articolata, strutturata (noi usiamo l’essere in modalità diverse: come
sostanza, ad esempio quando diciamo questa è una borsa, come qualità,
quando diciamo questa borsa è marrone, usiamo l’essere secondo il luogo,
quando diciamo ad es che la borsa è sul tavolo, ecc ecc) perché dice
l’essere monokos, in un solo senso, e dire l’essere in un solo senso
produce, secondo Aristotele, tutte quelle aporie arcaicizzanti che poi i
successori di Parmenide avrebbero messo in crisi.
Leggeremo ora alcuni frammenti.
In questo primo frammento la dea annuncia al poeta le due vie, parti, in cui
sarà composto il poema: “Bisogna che tutto tu sappia, sia il sapere
incrollabile, della verità rotonda, sia ciò che appare agli uomini (la
traduzione esatta è: sia le opinioni dei mortali) ”
L’espressione verità rotonda, secondo taluni, si riferisce all’essere che
viene equiparato ad una sfera.
Altri danno un’interpretazione più metodologica e sostengono che la verità
rotonda indichi che tutto si consegue, come nel cerchio non vi è un inizio e
una fine ma essi possono coincidere, così ogni elemento può essere
collegato strettamente all’altro. Vorrebbe essere questa un’allusione al
metodo, a questa stretta connessione relativa delle proposizioni che sono
contenute nel poema.
Dei venti frammenti parmenidea, i primi otto si riferiscono alla verità,che è
rotonda,i rimanenti dodici si riferiscono alle opinioni dei mortali.
Ancora una volta abbiamo, come in Eraclito, l’opposizione tra l’unico
sapiente e i molti dormienti ma Parmenide, pur respingendo le opinioni
come lontane dalla verità, cerca di dare di esse una spiegazione plausibile.
Frammento due in cui la dea espone al poeta e dice : “Ecco che ora ti dico
e tu ascolta il mito (qui mito è inteso in senso generale come racconto, non
è da considerarsi opposto a logos, è in Platone che inizia a farsi strada
questo tema), il mio racconto,ora ti dico quelle che sono le sole due vie di
ricerca:l’una come è e come non è che non è (letteralmente, cioè: come
non è possibile che non sia) ed è la via della persuasione che si

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accompagna alla verità; l’altra come non è e come è necessario che non
sia ed io ti dico che questo è un sentiero su cui nulla si appende….Mai tu
potresti conoscere ciò che non è che è cosa impossibile pronunciare “.
Questo frammento presenta problemi enormi di interpretazione,
apparentemente non c’è un soggetto di questo”è” e “non è”;
probabilmente, come molti hanno inteso, si tratta di un soggetto sottinteso;
Parmenide vorrebbe dire che la prima via è quella per cui il topon(?) è e
non è possibile che non sia ; l’altra via, invece,dice che il non essere non è
e deve per forza non essere, non si può né pronunciare, né conoscere.
Il soggetto è la via: l’una via afferma come è e come deve essere ( cioè che
non può in alcun modo non essere), può essere equivoco e costringe a
dichiararlo, come molti sostengono,che qualcosa come l’essere l’essere,
però non è chiaro se l’essere sia il cosmo, cioè se voglia dire che il cosmo
è e non può non essere, mentre nulla, come opposto al cosmo, non è e non
può in alcun modo essere.
Tutto è lasciato aperto; oppure può essere certamente l’essere il senso del
nucleo ontologico delle cose, cioè le cose posseggono un nucleo
ontologico, che è appunto questo essere,presente in tutte esse e costringe
l’uomo a dichiararle. Tutto rimane estremamente difficile.
Io credo che il punto fondamentale sia che qui Parmenide formula un
divieto : di conoscere e dire ciò che non è, vi è un divieto di pensare il non
essere, di dire il non essere, di conoscere il non essere. Solo l’essere è
conoscibile, dicibile, esprimibile. Infatti nel frammento tre, ripreso da
Platone, Plotino,Hegel, Heiddegger,ecc dice:”stessa cosa è il pensare e
l’essere”.
Frammento sette e otto: “Mai sarà dimostrato che è ciò che non è
( letteralmente: che sono le cose che non sono) tieni lontana la mente da
questa via di ricerca, l’amore del molto sapere non ti induca su questa
strada a mettere in opera occhio accecato, orecchi che rimbomba,e
lingua,ma razionalmente valuta l’astuta polemica da me proferita. Allora
di metodo ne resta uno solo e su questa via ci sono molti segnali (sémata
segnali parmenidea): l’essere è ingenerato e senza morte, è tutto intero e
di un sol genere, è immobile (che non si può scuotere), mai non era, non
sarà, poiché è ora, unico e continuo”
Dice Parmenide che le caratteristiche che questo essere possiede sono: è in
generato, perché se così non fosse sarebbe generato dal non essere,è
incorruttibile, perché se cessasse di essere finirebbe nel non essere; in
entrambi i casi, quindi, dovremmo introdurre quel “non essere”che il

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frammento due aveva descritto come quella cosa che non si può né
pronunciare, né conoscere. Il primo sema dell’essere è, dunque, di essere
ingenerato e immortale, poi è di un solo genere perché se fosse di più
generi, se possedesse più caratteristiche, ciascun genere non sarebbe
l’altro. “Non era e non sarà”perché l’era e il sarà presuppongono un
passaggio, ciò che era non è più adesso,ciò che sarà non è ancora adesso.
Questo essere, qui introdotto come oggetto della riflessione, della via che
bisogna seguire, della via della verità, può essere tante cose: può essere il
cosmo,perché alcune di queste caratteristiche vi si potrebbero adattare,
infatti, possiamo dire che il cosmo è tutto, è ingenerato, è eterno, è
continuo, che c’è una connessione al suo interno, più difficile è dire che il
cosmo è tutto nell’”ora”, cioè che non c’era l’”era” e che non c’è un
“sarà”, che è tutto ora composto in una sorta di presente senza tempo.
Io credo che quello che dice Parmenide si possa applicare a più cose;
Patricia Curter, collega americana, in uno studio recente molto bello e che
io in parte condivido,sostiene che quando Parmenide afferma che l’essere è
uno, tutto insieme, ora, non ha in mente un monismo di natura
cosmologica, non vuole dire che il cosmo è uno e neppure che c’è un solo
essere e che tutti gli esseri che noi vediamo in realtà è apparenza e che
l’unica verità sia un solo essere. Secondo la Curter questa non è una tesi
che si possa assegnare veramente a Parmenide, semmai si ritrova in un suo
successore: Melisso di Samo. Sostiene la Curter che qui Parmendide vuole
dire che ciascuna realtà è una; vi sarebbe cioè una sorta di monismo
predicazionale intendendo che ogni realtà è solo ciò che è,quindi è di un
solo genere,unica, continua. Ogni essere è inequivocabilmente solo se
stesso, questo essere monogenetico ( di un unico genere ) non consente a
ciascuna cosa di essere tante cose; ciascuna cosa è solo una cosa nel senso
che è solo radicalmente se stessa, cioè è solo il predicato ( per questo
diciamo monismo predicazionale ), ciascuna cosa è solo il predicato che la
definisce.Se al libro si attribuissero questi caratteri:cartaceo, alto,
illustrato, ecc cesserebbe di essere un libro. L’”è” che ha in mente
Parmenide è un “è “ unitario. Aristotele, invece, nella metafisica, quando
dice che “l’essere”, “l’ente” si dice in molti modi, dice che dire :”questo è
un libro”è dire l’essere secondo la sostanza ( la sostanza di questa cosa è di
essere un libro ), dire che il libro è alto trenta centimetri, poniamo, è dire
l’essere secondo la quantità, dire che il libro è nelle mie mani è dire
l’essere secondo il luogo, dire che il libro è più grande o più piccolo del

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quaderno è dire l’essere secondo la relazione. Del libro si possono dire
tante cose pur continuando ad ammettere che esso è una sola realtà.
Parmenide, invece, secondo la Curter sembra sostenere che l’essere sia
qualcosa che non si può articolare, che noi di ciascuna cosa possiamo dire
solo una cosa, perché se ne dicessimo tante introdurremmo il non essere,
questa cosa cesserebbe di essere ciò che è e comincerebbe ad essere
qualcos’altro.
Leggiamo la Curter: “ Intendo prendere posizione sia contro la
interpretazione prevalente del monismo parmenidea, sia contro la
spiegazione abituale del suo famoso:” è “. Intendo, invece, sostenere che il
suo tema verta su quale debba essere la natura genuina di qualcosa. Dal
punto di vista che mi accingo ad illustrare il suo “ è “ è un “ è “
predicazionale …..accetto che Parmenide sia un monista ma nego che sia
un monista in senso numerico o cosmologico. ( per monismo numerico si
intende quel monismo per cui si afferma che c’è una sola cosa, il monismo
cosmologico è una variante che afferma che c’è una sola cosa e quella cosa
è il cosmo che è unico ). Affermo che il monismo di Parmenide va nella
direzione di quello che chiamo monismo predicazionale.”
Il monismo predicazionale è l’acclamazione che ogni cosa può essere solo
una cosa e deve esserlo in un senso particolarmente forte per essere una
vera entità, qualcosa di basilare sul piano metafisico. L’essere, quindi, può
essere di un’unica specie, con un’unica definizione di ciò che è; da ciò,
però, non ne consegue che esista soltanto una sola cosa, infatti, ci sono
molte cose, l’importante è che ciascuna cosa risponda a questo criterio.

Empedocle di Agrigento
Filosofo, medico, mago, la cui attività va collocata in pieno nel V secolo. È
una figura di grande interesse, molto affascinante appunto per la
molteplicità di temi e problematiche che ha saputo toccare. Abbiamo già
fatto accenno ad Empedocle per la questione dell’anima, della metepsicosi;
in un frammento molto famoso della sua opera seconda, quella che
generalmente viene classificata con il titolo Katharmoi, egli dice: “Una
volta io nacqui ragazzo, un’altra una fanciulla,un’altra arbusto ed uccello
e muto pesce del mare “. Già questo colloca Empedocle, almeno in parte,
nell’ambito della tradizione pitagorica, infatti, molte testimonianze antiche

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parlano, definiscono, Empedocle come appartenete alla scuola pitagorica
anche se lui non fu membro della scuola. Bisogna tener presente, però, che
fu allievo proprio in quella Sicilia influenzata, per tutto il V secolo dalle
teorie pitagoriche che nacquero, o per lo meno ebbero il primo nuclei di
sviluppo, a Crotone e Taranto ma poi si svilupparono anche in Sicilia.
Empedocle a noi interessa per l’aspetto “scientifico” e questa parola va
presa con tutte le virgolette possibili, interessa per la rivoluzione che lui
compì intorno alla natura del cosmo. Due sono le opere che, seppure in
modo frammentario, ci sono pervenute; la prima è un poema in esametri
omerici, che fanno un po’ il verso a Parmenide, e che intitola:” Intorno alla
natura “;l’altra intitolata “ Katharmoi “ ( purificazione ). Alcuni studiosi
sostengono che in realtà l’opera sia unica, in quanto Katharmoi
apparterrebbe a “ de physis “.
Empedocle riprende il nucleo dell’insegnamento parmenideo che era stato
riformulato da un allievo di Parmenide,Melisso ,nella famosa
affermazione:” nulla viene dal nulla”. Dal niente non può derivare niente,
per cui l’essere è sempre. Anche per Empedocle, quindi, l’essere è
ingenerato, incorruttibile, eterno; a differenza di Parmenide, però, l’essere
è , in qualche modo, molteplice. Le caratteristiche che l’essere possedeva
interamente in Parmenide, vengono da Empedocle distribuite su una
quantità limitata di esseri. Quali sono queste entità originarie che
assumono il carattere dell’essere parmenideo? Sono quelle che egli
chiama:Riza, radici, e che la tradizione successiva chiamerà Stoichea,
elementi,cioè i quattro elementi della cosiddetta tradizione presocratici che
molti, però, chiamano, appunto, della tradizione empedoclea.
Ciascuno di questi elementi possiede il carattere dell’unità ( ciascuno è ),
dell’indistruttibilità, eternità, immodificabilità; questi quattro elementi,
ovviamente, sono: acqua, aria, terra, fuoco. Dice Empedocle che tutto ciò
che “ è “ è determinato dalla mescolanza, Mixis, di questi quattro elementi
che si mescolano e poi si decompongono Diallaxis per formare nuove
composizioni. Tutto ciò che appare è, quindi, per Empedocle un’apparenza
di generazione perché gli elementi fondamentali non si generano, non si
distruggono ma rimangono sempre immutabili. La realtà che appare a noi è
il prodotto della mescolanza di questi quattro elementi. A questo punto
Empedocle aggiunge la tesi secondo cui esistono dei principi, delle forze,
che determinano la mescolanza, l’avvicinarsi e l’allontanarsi degli
elementi. Queste forze sono indicate con una terminologia mitica ( che
indica quanto sia ancora forte in lui il retroterra mitico ): Philia che indica

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la forza di attrazione, amicizia, amore e Neikos che indica la forza di
repulsione, odio. Quando domina il principio della Philia gli elementi si
trovano l’uno su l’altro e formano una massa compatta che Empedocle
chiama Sfero con allusione alla sfera di Parmenide. Quando domina
Neikos gli elementi sono l’uno distante dall’altro. Il mondo che noi
viviamo è dominato da Neikos; non è che c’è uno scontro fra i due
principi, Empedocle ha in mente una ciclicità, ad un ciclo in cui domina
l’attrazione si succede un ciclo in cui domina la repulsione.
Leggiamo il frammento otto di Empedocle:
“ Ma dirò un’altra cosa: non esiste generazione di nessuna delle cose
mortali, né termine alcuno di morte funesta ma solo esiste mescolanza e
separazione. Ma queste cose dagli uomini sono chiamate generazione.”
Le uniche cose che veramente esistono sono mescolanza e separazione.
Frammento undici
“Certo non appartengono a loro lungimiranti pensieri, loro che aspettano
l’ingenerarsi di ciò che prima non c’era e che qualcosa possa morire e si
strugga nel tempo “Questa è la critica a coloro che credono che esista la
generazione.
Frammento diciassette
“Doppia sarà la mia spiegazione ora infatti l’uno si accresce dal
molteplice dell’altro così da essere sopra, ora, all’inverso, il molteplice
dall’uno si getta; fuoco, acqua, e terra e immensa altezza e la contesa
neikos funesta a parte…”Cioè quando si forma l’uno domina la contesa,
quando gli elementi aria, acqua, terra e fuoco si trovano l’uno distante
dall’altro domina la forza di repulsione.
Frammento ventuno
“Durante il regno dell’odio qualcosa ha forma distinta e sta separandosi,
mentre quando regna amicizia si uniscono semi e si presentano l’uno con
l’altro; da essi, infatti, tutte quante le cose che erano, sono e saranno
hanno avuto origine: gli alberi, uomini, donne e fiere.”

Atomismo

È un movimento che si è sviluppato tra la seconda metà del V secolo e la


prima del IV destinato ad avere una grande influenza non solo tra i

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contemporanei ma, almeno terminologicamente, su tutta la tradizione del
pensiero filosofico, scientifico occidentale. I due rappresentanti massimi,
nel periodo presocratico, sono: Leucippo e Democrito, il quale scrisse un
grande numero di opere di cui, però, ci è rimasto molto poco; poco che,
però, occupa almeno la metà di uno dei volumi dei presocratici.
L’atomismo ha avuto un notevole seguito non solo nell’antichità, dopo
Democrito c’è Epicureo, Lucrezio, ma anche nella filosofia moderna,
seppure con modalità diverse. Il nucleo generale consistente è già
presente in Democrito che parte anch’egli dall’accettazione della
riflessione di Parmenide e osserva, esattamente come Empedocle, che
esistono delle realtà primarie che non sono soggette a mutamento, che
sono cioè: eterne, ingenerate, incorruttibili; non sono, però, gli elementi
che ipotizzava Empedocle ma sono realtà, per così dire, ancora più
elementari degli elementi, sono realtà che sono costitutive rispetto agli
elementi stessi e si tratta, ovviamente, degli Atomi. Atomo è una parola
formata dalla A privativa: senza la “tomè”cioè la separazione, quindi
indivisibile cioè non soggetta alla separazione. Ora per Democrito il
mondo, in realtà per lui non esiste un solo mondo ma molteplici,sono il
prodotto dell’aggregazione e della successiva disgregazione di questi
composti primari, gli atomi, che, unendosi e aggregandosi tra loro,formano
singole realtà, singoli eventi e si producono anche le stesse sensazioni.
Democrito afferma che gli atomi si distinguono gli uni dagli altri in base a
tre parametri: forma,direzione e posizione;l’atomo, questo è un
ragionamento che fa Aristotele, ha sia l’utilizzo, sia il modello delle lettere
esse, infatti, sono gli atomi delle parole.
Aristotele, quindi, per presentare la tesi di Democrito dice che gli atomi si
distinguono per:
forma A è ≠ da N
direzione N è ≠ da Z perché la forma è uguale ma è ruotata di 90’ gradi
posizione AN è ≠ da NA.
È attraverso la mescolanza di questi tre parametri fondamentali, cioè la
differenza di forma, direzione e posizione di rapporto che gli atomi danno
luogo alla molteplicità delle cose.
Teofrasto, allievo di Aristotele, in un’opera che si intitola: “ de
sensibus”presenta una lunghissima testimonianza sulla teoria
dell’associazione di Democrito che è interessante perché spiega come
Democroto tenta di ricondurre la natura della percezione alla costituzione
atomica. Dice, ad esempio, che il sapore di aspro che proviamo quando

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mangiamo il limone è determinato dal fatto che il limone è composto
prevalentemente da atomi di forma aguzza mentre il dolce è formato da
atomi di forma rotonda e così via .
È importante tener presente quanto Democrito afferma, in un importante
frammento, perché sembra anticipare la distinzione tra qualità primarie e
qualità secondarie che sarà poi la caratteristica della filosofia moderna.
Dice Democrito: “opinioni sono il dolce, opnione l’amaro, opinione del
gusto; in verità sono atomi”. Stabilisce, quindi, una differenza tra il livello
della percezione ( noi crediamo di vedere i colori, di sentire i sapori, ecc )
e il livello della realtà profonda che è coglibile non con la sensazione ma
con il Nous, pensiero; occorre anche postulare l’esistenza del vuoto che
rende possibile il movimento degli atomi, perché se ci fosse solo il pieno,
se tutto fosse costituito da atomi essi non potrebbero muoversi e quindi
non potrebbero aggregarsi e disgregarsi.

Anassagora di Clazamone
Facciamo un ulteriore salto riguardo al terzo rappresentante del pensiero
fisico post aleatico e parliamo di un autore che, in un certo modo, ha
dovuto tener presente i principi e i divieti eleatici integrandoli nella sua
descrizione del mondo. Quest’autore è Anassagora di Clazomone ed è
importante perché è il primo filosofo ateniese, in senso stretto, in quanto è
il primo che vive a lungo in Atene; fu per circa venti anni, nel cuore del V
secolo, collaboratore e consigliere del grande Pericle ed ebbe, quindi,
anche un incarico di una certa rilevanza dal punto di vista culturale.
Come risponde Anassagora all’attacco mosso dagli Eleati alla concezione
della physis? Risponde in maniera diversa da Empedocle e Democrito
perché dice che sia gli atomi, sia gli elementi primari di Empedocle non
sono in grado di spiegare la ricchezza, la diversità delle cose,
cremata,occorre, invece,postulare delle realtà che sono, anche qui, eterne,
ingenerate, incorruttibili che egli chiama Sperata, semi.
Anassagora cerca di spiegare il processo di formazione e di sviluppo della
realtà dicendo che i semi di cui sono composte le cose sono tutti presenti in
tutte le cose solo che alcuni dominano in una cosa e altri in un’altra cosa,
ad esempio i semi della carta, della stoffa, della pelle, ecc sono tutti
presenti nella cosa ma dominano quelli della pelle se la borsa è di pelle,
ecc. Dice Anassagora: come spiegare il fatto che se io mangio del pane,
questo, una volta dentro di me, si trasforma in capelli, ossa, muscoli, cioè

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mi consente la crescita, c’è una trasformazione; si può spiegare solo
postulando che tutto fosse già contenuto nel pane, cioè erano dominanti i
semi del pane ma vi erano i semi di tutte le altre cose. Anassagora pensa
tutto ciò attraverso un processo di evoluzione e sviluppo del cosmo a
partire da uno stadio in cui, spesso nella formula famosa ed universale:
“Tutte le cose insieme”; poi una sorta di intelletto ordinatore, Nous, ( non è
ben chiaro cosa intendesse ) un intelletto che è probabilmente composto
anch’esso da spermata, però spèrmata sottilissimi non mischiati con le
altre cose, portava al processo di organizzazione del mondo.
Vedete bene, quindi, come Anassagora sostenga una tesi opposta ad
Empedocle, infatti, se per Empedocle il bene consiste quasi nell’andare
insieme delle cose sotto il dominio della phisis, per Anassagora il processo
che genera il mondo è un processo che da un’unità originaria, lenta e
progressiva si partono i corpi e semi simili sono portati ad aggregarsi gli
uni agli altri per cui si formano le cose che sono, come dice Aristotele,
Omeomerie,mere parti simili.
Abbiamo, quindi, tre diversi modi di recepire gli insegnamenti degli
eleatici .
Rispetto a Parmenide viene riconosciuto il movimento ma non è una
generazione: in Democrito è un’aggregazione-disaggregazione, per
Empedocle è una mescolanza e separazione, per Anassagora è
l’aggregazione delle parti simili che si uniscono formando le cose.

Il tempo di Parmenide

Nella filosofia antica, già in Platone, esistono due idee di eternità diverse,
sostanzialmente diverse, che attraversano tutta la speculazione antica: una
è un’idea di eternità cosiddetta durazionale o temporale,l’altra è quella
detta extratemporale.
Per eternità durazionale o temporale si intende che una cosa è eterna nella
misura in cui è sempre stata e sempre sarà: era, è, e sarà.
Per Aristotele, ad esempio, era eterno o è eterno, in questo senso, il cosmo
che si oppone alla temporalità degli individui che non sono eterni; eterne,
dice Aristotele, sono le specie: l’uomo è sempre stato e sempre sarà perché

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è costerno con il mondo ( per Aristototele non c’è evoluzione, non si
formano le specie ma esse sono date per sempre ).
Quest’idea di eternità può essere senz’altro applicata al cosmo e, secondo
alcuni, sarebbe applicabile anche alle idee platoniche. In realtà la cosa non
è del tutto chiara perché in alcuni passi Platone sembrerebbe dire che le
idee siano eterne in questo senso ma, in un altro passo del Timeo, Platone
introduce, probabilmente proprio in riferimento a Parmenide, l’altra
concezione dell’eternità cioè quella extratemporale, puntuale, o assoluta
per cui ciò che è eterno non è no perché :” era, è , sarà “ ma perché è “fuori
dal tempo”nel senso che c’è una concentrazione nell’”ora” per cui il tempo
non esiste. Si parla di un’eternità puntuale ed apparentemente l’essere di
Parmenide ha questa caratteristica perché, come abbiamo visto, non era e
non sarà poiché è ora tutto insieme.
Quando Platone nel passo del Timeo, che vi ho menzionato prima, si
riferisce alle idee dice: è vero che non siamo abituati ad usare un
linguaggio, diciamo, temporale per le idee, ma parlando in senso proprio,
delle idee non si può dire che erano e che saranno ma si dovrà dire solo
che sono, perché l’essere appartiene loro in senso assoluto, extratemporale,
fuori dal tempo.

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