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VASARI AUTORE

E LA QUESTIONE DELLA LINGUA


Marco Ruffini
Northwestern University

Questo saggio abbisogna di una breve premessa, che in sé potrebbe essere oggetto di un
lungo dibattito, sull’annosa questione della paternità delle Vite, ovvero se la scrittura del
libro spetti interamente a Vasari, come sostiene la maggioranza degli studiosi, o se sia da
condividere fra Vasari e i letterati fiorentini che ne curarono le due edizioni del 1550 e del
1568. Io sono di questa seconda opinione. Ma credo innanzitutto che la discussione sulla
paternità del libro sia poco fruttuosa se ridotta all’individuazione di chi ha scritto cosa.
Ciò non solo perché l’analisi del testo dimostra l’impossibilità di distinguere l’informato-
re dallo scrittore, dal revisore, ma soprattutto perché, in generale, la paternità di un’opera
è cosa diversa rispetto all’autografia. L’autore è una funzione del testo.1 Il mio scopo non è
dunque identificare la persona o le persone storiche fisicamente responsabili della scrit-
tura del libro ma chiarire la funzione autoriale che il testo de le Vite attribuisce a Vasari,
l’artista e scrittore che le Vite riconosce, a cominciare dal frontespizio, come unico e solo
autore. Anticipando qui la mia conclusione, tenterò di chiarire come la funzione autoria-
le che Vasari svolge sia strettamente legata alle caratteristiche linguistiche del testo e alle
idee sulla lingua che i suoi amici letterati, curatori de le Vite, sostennero all’interno dell’ac-
ceso dibattito noto come questione della lingua.

La questione della lingua è forse il principale dibattito culturale che ha coin-


volto gli intellettuali della penisola italiana dai tempi di Dante fino alla for-
mazione dello stato nazionale. Dopo aver legittimato l’uso del volgare come
lingua scritta, nella sua successiva fase cinquecentesca, la questione verté prin-
cipalmente su quale forma di lingua volgare utilizzare come modello per la

1
Questo saggio è tratto dal capitolo 5 di Art Without an Author: Vasari’s Lives and Michelangelo’s
Death. Nuova York: Fordham University Press, 2011, al quale rimando per una bibliografia com-
pleta. Sul concetto di autore, vedi innanzitutto Barthes, R., «The Death of the Author», in New-
ton, K.M. (ed.), Twentieth-Century Literary Theory: A Reader. Nuova York: St. Martin’s Press, 1997,
pag. 120-123; Foucault, M., «What Is an Author?» in Foucault, M. (ed.), Language, Counter-Memo-
ry, Practice: Selected Essays and Interviews. Ithaca: Cornell University Press, 1980, pag. 113-138.

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lingua italiana. Questa fase fu caratterizzata, com’è noto, da violenti scontri


e conflitti personali. Su di un punto centrale tuttavia la maggioranza degli
intellettuali che parteciparono al dibattito si trovava d’accordo: la lingua avreb-
be dovuto prendere a modello i migliori esempi letterari. Come scrisse Pie-
tro Bembo nelle Prose della vulgar lingua (1525), «Una lingua parlata senza
scrittori non si può definire lingua».2 Perentoriamente Bembo ribadì, come
punto fermo per ogni discussione sulla lingua, il ruolo centrale svolto dalla
letteratura.
In disaccordo con tale diffusa opinione era una minoranza di intellettuali
fiorentini, i quali sostenevano che lo sviluppo di una lingua dipende innan-
zitutto dall’uso, ovvero dalla lingua parlata (riprendendo e sviluppando le idee
sulla lingua di Machiavelli nel suo Discorso o Dialogo intorno alla nostra lingua).
Fra costoro erano i letterati che si susseguirono nella cura delle due edizioni
de le Vite, soprattutto Pierfrancesco Giambullari, Carlo Lenzoni e Vincenzio
Borghini. Negli scritti frammentari destinati a uno studio sull’argomento mai
portato a termine, Borghini scrisse che «la lingua va imparata dal popolo e non
sui libri» e ancora che «le lingue sono prima parlate che scritte».3 Per Borghi-
ni le opere letterarie derivano dalla lingua come i frutti dall’albero da cui
provengono; un paragone col quale Borghini chiariva un principio fondamen-
tale antitetico rispetto alle idee di Bembo e dei puristi della lingua: sono le
opere letterarie a scaturire dalla lingua e non viceversa; è la lingua che genera,
la letteratura è generata.4
Che una lingua si sviluppi con l’uso e che sia cosa diversa rispetto alla let-
teratura è ora luogo comune. Nella prima modernità tale definizione era inve-
ce contro-intuitiva poiché attribuiva un valore relativo, non assoluto, ad auto-
ri e opere della tradizione culturale di riferimento.Tale ridimensionamento dei
valori autoriali implicito nell’interpretazione antiletteraria della lingua da par-
te dei letterati fiorentini è connesso al coevo processo d’istituzionalizzazione
culturale e politica promosso da Cosimo I che, nelle arti figurative, trova espres-
sione nella fondazione dell’Accademia del Disegno nel 1563 e, per ciò che ri-
guarda le Vite, nell’anti-biografismo della Giuntina, ovvero nel progressivo de-
centramento dell’autore a vantaggio del fenomeno artistico che si avverte nel

2
Bembo, P., Prose della vulgar lingua, in Migliorini, B., Storia della lingua italiana. Milano: Bom-
piani, 1994, pag. 310.
3
Per le due citazioni vedi Pozzi, M., Lingua e cultura del Cinquecento: Dolce, Aretino, Machiavelli,
Guicciardini, Sarpi, Borghini. Padova: Liviana, 1975, pag. 102, n. 17; Borghini,V., Scritti inediti o rari
sulla lingua [Woodhouse, J.R. (ed.)]. Bologna: Commissione per i Testi di Lingua, 1971, pag. 137.
4
Pozzi, M., Lingua e cultura..., pag. 102, n. 17.

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passaggio dalla prima alla seconda edizione.5 Non è comunque mia intenzio-
ne addentrarmi nel rapporto fra lingua e politica, ma solo chiarire da subito
che il dibattito sulla lingua e la sua influenza sulla scrittura de le Vite riguarda
anche il contenuto del libro.
Ma torniamo sul terreno circoscritto della questione della lingua e al ruolo
svolto dagli intellettuali fiorentini coinvolti nel dibattito. Nel 1550, su ordine
di Cosimo I, Giambullari e Lenzoni formarono assieme a Giovambattista Gel-
li, Benedetto Varchi e Lelio Torelli, un comitato accademico per definire le
regole della lingua fiorentina. Seppur non portarono a termine il compito
assegnatogli, i membri del comitato resero note le loro idee attraverso una
serie di pubblicazioni fra loro interconnesse. Nel trattato I capricci del bottaio
(1546, riedito nel 1548) Gelli sostenne l’importanza dell’uso nella formazio-
ne di una lingua. Giambullari sviluppò le idee dell’amico ne Il Gello (1546)
e propose anche una serie di regole per la lingua fiorentina in un trattatello
dal titolo De la lingua che si parla et scrive in Firenze (pubblicato nel 1552 ma
completato già nel 1548). Lo stesso volume contiene anche un secondo trat-
tato di Gelli sulla lingua, il Ragionamento sopra la difficultà di metter in regole
la nostra lingua, scritto per sottolineare, in apparente contrasto con il testo di
Giambullari che lo precede, la difficoltà di imporre regole alla lingua parlata.
Lenzoni, nel trattato In difesa della lingua fiorentina, et di Dante. Con le regole da
far bella et numerosa la prosa (1556), dedicato a Michelangelo, sottolineò invece
l’importanza di Dante, il grande autore trascurato da Bembo e seguaci proprio
per la prossimità della sua lingua con quella parlata. Il trattato, composto da
tre saggi manoscritti al tempo della morte di Lenzoni nel 1551, venne pub-
blicato a cura di Cosimo Bartoli nel 1556. Le idee linguistiche e l’attività edi-
toriale di Bartoli, amico di Vasari e collaboratore a le Vite, erano strettamen-
te connesse a quelle di Gelli, Giambullari e Lenzoni (basti qui ricordare le
sue esemplari traduzioni in lingua fiorentina dell’opera di Leon Battista Al-
berti pubblicate in tandem con le Vite). Fuori Firenze, le idee sulla lingua dei
letterati fiorentini trovarono seguito in Annibal Caro, l’umanista della corte
farnesiana direttamente coinvolto nella genesi de le Vite. Marchigiano natu-
ralizzato fiorentino, Caro promosse un petrarchismo permeabile alla lingua
parlata nella sesta decade del Cinquecento. Borghini partecipò al dibattito
sulla lingua sviluppando ulteriormente le idee di Gelli, Giambullari e Len-

5
Vedi innanzitutto Barocchi, P., «L’antibiografia del secondo Vasari», in Garfagnini, G.C. (ed.),
Giorgio Vasari tra decorazione ambientale e storiografia artistica, Convegno di Studi, 8-10 ottobre de 1981,
Arezzo. Firenze: Leo S. Olschki, 1985, pag. 1-15.

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zoni.Tuttavia i suoi scritti sull’argomento appartengono a una fase evoluta del


dibattito, agli anni ’60 e ’70, quando anche a Firenze si era diffuso, con l’opera
di Leonardo Salviati, un purismo linguistico su base esclusivamente letteraria.
Anche la collaborazione di Borghini a le Vite, com’è noto, riguarda soprattut-
to la seconda edizione.6
Le idee sulla lingua dei letterati fiorentini ebbero un impatto immediato
sulla scrittura de le Vite. In una famosa lettera del 1548, scritta in risposta alla
lettura di porzioni manoscritte del testo, Caro suggerì a Vasari di liberare la
scrittura da stilemi letterari. In sintonia coi suoi amici fiorentini, Caro scrisse
«vorrei la scrittura a punto come il parlare».7 Pochi mesi prima del comple-
tamento della prima edizione, Giambullari, Bartoli e Borghini rifiutarono la
proposta di Vasari di includere poemi dedicatori nel libro (a seguito dell’in-
tenzione nata a Roma di dedicare alcuni esemplari al neoeletto Giulio III). In
tale occasione Giambullari scrisse a Vasari «che gli huomini corrino al vino et
non a la frasca»8 ovvero che si apprezzi il buon vino senza esser tratti in ingan-
no dall’insegna di un’osteria, una volgarizzazione dell’espressione proverbiale
Laudato vino non opus est hedera con la quale Giambullari sottolineava come
l’ornamentazione letteraria fosse superflua e fuorviante in un libro come le Vite:
chi desiderava poesie e abbellimenti letterari avrebbe dovuto cercare altrove.
Vi erano inoltre ragioni pratiche che avvicinavano le Vite alla lingua parlata,
prima fra tutte la necessità di un vocabolario tecnico-artistico che, come ave-
va già osservato Leon Battista Alberti, la letteratura era incapace di fornire.9
In accordo dunque coi suggerimenti dei suoi curatori le Vite furono scritte
in una lingua semplice, a volte colloquiale, vicina a quella allora in uso fra gli
artisti.
Le Vite tratta esplicitamente delle caratteristiche linguistiche del testo nel-
la prefazione (Proemio di tutta l’opera) e nell’epilogo (Conclusione della opera agli

6
Sulla collaborazione di Borghini a le Vite rimane fondamentale Williams, R.,Vincenzo Bor-
ghini and Vasari’s ‘Lives’, Ph. D. dissertation. Princeton University, 1988.
7
Caro, A., Lettere familiari [Greco, A. (ed.)], 3 vol. Firenze: Le Monnier, 1957-1961, vol. 1,
pag. 549.
8
Frey, K., Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, 3 vol. Monaco: Georg Müller, vol. 1, 1923,
pag. 267.
9
Alberti, L.B., De re aedificatoria libri decem [Tappe, E. (ed.)]. Argentorati [Strasburgo]: Excudebat
M. Iacobus Cammerlander Moguntinus, 1541, pag. 92v. Nota che Bartoli, C., ne L’architettura di
Leonbatista Alberti tradotta in lingua fiorentina da Cosimo Bartoli gentil’huomo e accademico fiorentino. Con la
aggiunta de’ disegni. Firenze: Lorenzo Torrentino, 1550, elimina la digressione sulla necessità di inventa-
re vocaboli, perché tecnicamente pertinente solo alla versione originale in lingua latina, ma forse
anche perché ovviata, secondo Bartoli, dal rapporto vivo fra lingua scritta fiorentina e lingua parlata.

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artefici et a lettori nella Torrentiniana e col titolo L’autore agl’artefici del disegno
nella Giuntina). Leggiamo il primo dei due brani tratto dall’ultimo paragrafo
della prefazione nella Giuntina:

Resterebbemi a fare scusa de lo avere alle volte usato qualche voce non ben to-
scana, della qual cosa non vo’ parlare, avendo avuto sempre più cura di usare le voci
et i vocabuli particulari e proprii delle nostre arti, che i leggiadri o scelti dalla de-
licatezza degli scrittori. Siami lecito adunque usare nella propria lingua le proprie
voci de’ nostri artefici, e contentisi ognuno de la buona volontà mia.10

Dichiarando che il libro è stato scritto usando il linguaggio degli artisti, il


brano distanzia le Vite dalla produzione letteraria. I vocaboli «leggiadri o scel-
ti dalla delicatezza degli scrittori» sarebbero stati più gradevoli ed eleganti, ma
le parole usate dagli artisti sono più adatte in un libro scritto da un artista de-
dicato all’arte e agli artisti. L’epilogo della Giuntina ripete lo stesso concetto
ma in modo più esplicito, contrapponendo chiaramente la scrittura de le Vite
a una scrittura ornata basata sull’imitazione di modelli letterari. Si tenga anche
presente che in questo caso vi sono variazioni significative con la prima edi-
zione. In contrasto con la Torrentiniana, il riferimento ai lettori si restringe
unicamente agli artisti nella Giuntina:

Io ho scritto come pittore et con quell’ordine e modo che ho saputo migliore; et


quanto alla lingua, in quella ch’io parlo, o Fiorentina o Toscana ch’ella sia, et in quel
modo che ho saputo più facile et agevole, lasciando gl’ornati e lunghi periodi, la
scelta delle voci, et gli altri ornamenti del parlare e dello scrivere dottamente a chi
non ha, come ho io, più per le mani ai pennelli che alla penna et più capo ai disegni
che allo scrivere. E se ho seminati per l’opera molti vocaboli, proprii delle nostre arti,
de i quali non occorse per aventura servirsi ai più chiari e maggiori lumi della lingua
nostra, ciò ho fatto per non potere far di manco e per essere inteso da voi, artefi-
ci, per i quali, come ho detto, mi sono messo principalmente a questa fatica.11

10
Vasari, G., Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568 [Bet-
tarini, R.; Barocchi, P. (eds.)], 6 vol. Firenze: Sansoni, e SPES dopo il 1971, 1966-1987, vol. 1,
pag. 29 (nella Torrentiniana e Giuntina; T e G nelle note successive).
11
Vasari, G., Le Vite..., vol. 6, pag. 412-413. Si veda invece la Torrentiniana: «io ho scritto come
pittore, e nella lingua che io parlo, senza altrimenti considerare se ella si è fiorentina o toscana, e se
molti vocaboli delle nostre arti, seminati per tutta l’opera, possono usarsi sicuramente, tirandomi a
servirmi di loro il bisogno di essere inteso da’ miei artefici più che la voglia di esser lodato» (idem).
Sono dunque solo abbozzzati nella Torrentiniana i riferimenti espliciti nella Giuntina allo stile e alla

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Tali riferimenti alla lingua nelle Vite sono stati interpretati a conferma dell’ori-
ginalità di Vasari scrittore, autore di una prosa viva, non pedante, o come sinto-
matici del fatto che Vasari, non avendo ricevuto una formale educazione lette-
raria, non avrebbe potuto scrivere altrimenti. Non è stato tuttavia considerato
che i due brani citati sono innanzitutto testimoni di un rapporto fra la scrittura
de le Vite e le idee linguistiche dei suoi curatori. E neanche è mai stata presa
in considerazione la possibilità che i due brani non siano stati scritti dall’artista.
Eppure il primo fa parte di quell’apparato di proemi che, come ha suggerito
per primo Giovanni Nencioni, difficilmente può essere interamente attribu-
ito all’artista (tralascio qui l’attribuzione a Giambullari e Bartoli di sezioni spe-
cifiche dei proemi proposta da Thomas Frangenberg, la quale meriterebbe una
discussione dettagliata).12 E per ciò che riguarda il brano dell’epilogo, la cor-
rispondenza vasariana chiarisce che fu scritto seguendo una traccia redatta da
Borghini, e che tornò assieme all’intero epilogo nelle mani dello stesso, e poi
in quelle di Giambullari, per una revisione finale.13 È dunque molto probabi-
le che le due dichiarazioni di Vasari scrittore dilettante siano state suggerite, se
non addirittura scritte, dai migliori fra i letterati fiorentini.
Un altro brano dell’epilogo, questa volta presente solo nella Torrentiniana,
rafforza il legame fra la scrittura del libro e le idee sulla lingua dei suoi cura-
tori. Il brano venne eliminato nella Giuntina forse a causa del suo eccessivo
tecnicismo, e forse anche perché le questioni ortografico-fonetiche a cui fa
riferimento erano ormai obsolete:
Molto meno ho curato ancora l’ordine commune della ortografia, senza cercare
altrimenti se la Z è da più che il T, o se si puote scrivere senza H: perché rimesso-
mene da principio in persona giudiziosa e degna di onore.14

Vasari (comunque il presunto autore del testo) si presenta ai lettori come uno
scrittore dilettante che si è avvalso dell’aiuto di un revisore anonimo per redi-
mere questioni ortografiche. È interessante notare che il testo si riferisce con
precisione a una discussione tecnica delle lettere Z,T, e H —il cui suono diffe-

struttura del testo che accentuano la distanza fra le Vite e la letteratura. Si rafforza inoltre nella Giun-
tina, come vedremo, la volontà di spogliare Vasari di ogni velleità letteraria.
12
Nencioni, G., Fra grammatica e retorica. Un caso di polimorfia della lingua letteraria dal secolo XIII al XVI.
Firenze: Leo. S. Olschki, 1955, pag. 122-124; Frangenberg,T., «Bartoli, Giambullari and the Prefaces
to Vasari’s ‘Lives’ (1550)», Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 65, 2002, pag. 244-258.
13
Pertinenti all’epilogo (Vasari, G., Le Vite..., vol. 6, pag. 409-413), vedi la lettera di Borghini da
Le Campora a Vasari ad Arezzo del 24 gennaio 1550 (Frey, K., Der literarische..., vol. 1, pag. 255-256)
e la risposta di Vasari da Arezzo (?) a Borghini a Le Campora dell’11 o 12 febbraio (ibidem, pag. 257).
14
Vasari, G., Le Vite..., vol. 6, pag. 412 (solo in T).

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renzia il Latino dalla lingua parlata fiorentina—. Ritroviamo tale discussione


nelle Osservazioni per la pronunzia fiorentina, un breve trattato sull’ortografia scrit-
to da un misterioso autore che si firma con lo pseudonimo di Neri Dortelata.
Tale è anche il nome dell’editore di due libri pubblicati a Firenze nel 1544: De’l
sito, forma, et misure, dello Inferno di Dante di Giambullari, e Marsilio Ficino sopra lo
amore o ver’ convito di Platone, una traduzione del celebre commentario di Ficino
al Simposio, che include le Osservazioni come prefazione. Nelle Osservazioni Dor-
telata elucida i criteri ortografici adottati nella traduzione del commentario di
Ficino. La discussione riguarda soprattutto le lettere Z,T e H. Dortelata affer-
ma che la lettera Z viene usata per il suono Latino T, che egli definisce falso o
adulterato, in parole come attione o actione, che diventano in fiorentino azione.
Dortelata chiarisce anche che la lettera H viene usata nella traduzione solo per
modificare lo spirito delle vocali.15 Le corrispondenze fra le Vite e le Osservazio-
ni riguardano anche principi generali. Il riferimento nella Giuntina a una scrit-
tura «facile et agevole» richiama un altro brano delle Osservazioni in cui Dorte-
lata identifica nella «facilità» e nell’«agevolezza» le qualità fondamentali della
prosa fiorentina. Lo scopo delle Osservazioni, scrive Dortelata

finalmente era il cercare l’agevolezza, et fuggire insieme la necessità del preporre


la difficultà et la debolezza della memoria circa le regole, alla facilità et sicurezza
dell’occhio dello scrittore.16

Vi sono altri riferimenti puntuali fra le Vite e le Osservazioni, ma ciò che


infine colpisce maggiormente è la condivisione di un pragmatismo linguisti-
co nutrito da un forte spirito antidogmatico.
Tali corrispondenze acquistano ancor più valore se si considera che quasi
certamente dietro lo pseudonimo di Neri Dortelata si nasconde Giambullari.
Piero Fiorelli ha identificato il letterato fiorentino sulla base di un confronto
filologico fra le Osservazioni e il trattato di Giambullari Della lingua che si par-
la et scrive a Firenze.17 L’identificazione di Dortelata con Giambullari, nonchè
il rapporto fra le Osservazioni e le Vite, sono ulteriormente rafforzati da un
confronto con la carta dell’apografo riminese della prima edizione de le Vite

15
Ficino, M., Sopra lo amore o ver’ Convito di Platone. Firenze: Neri Dortelata, 1544, pag. 6r.
16
Ibidem, pag. 5r. Il corsivo è mio.
17
Fiorelli, P., «Pierfrancesco Giambullari e la riforma dell’alfabeto», Studi di filologia italiana, 14,
1956, pag. 177-210. Vedi anche Serianni L.; Trifone, P., Storia della lingua italiana, 3 vol. Torino:
Einaudi, 1933, vol.1, pag. 217-218.

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scoperta da Piero Scapecchi.18 Il frammento dell’apografo, una singola carta


copiosamente annotata in cui Scapecchi ha riconosciuto la mano di Giam-
bullari, mostra chiaramente che Giambullari corresse il testo seguendo pedis-
sequamente i precetti ortografici che aveva elucidato nelle Osservazioni.
Lo scopo di Giambullari alias Dortelata era la pubblicazione di una collezio-
ne di libri per coloro che desideravano imparare l’uso e le regole fluide della
lingua fiorentina. Seppur le Vite non poteva essere considerato parte di tale
programma editoriale, servì tuttavia a uno scopo simile unendo in un’unica
categoria di lettori gli «amanti delle nostre arti» e gli «amanti della lingua fio-
rentina» più volte invocati nelle pubblicazioni di Dortelata.19 Almeno in un
caso le Vite raggiunse tale ideale lettore. L’umanista Dominique Lampson di
Liegi scrisse all’aretino di aver trovato con le Vite il modo di unire il suo amo-
re per le arti figurative al desiderio di imparare la lingua italiana. Scrisse Lampson
a Vasari nell’ottobre del 1564:

La mia buona ventura volse, anzi il Signor Dio farmi grazia, che mi venissero alle
mani, non so in che modo, i vostri eccellentissimi scritti degl’architettori, pittori
e scultori. Ma io allora non sapea pure una parola italiana, dove hora, con tutto che
io non habbia mai veduto l’Italia [...] con leggiere detti vostri scritti n’ho imparato
quel poco che mi ha fatto ardire a scrivervi questa. Et a questo desiderio d’impa-
rare detta lingua mi hanno indotto i vostri scritti.20

Vi è dunque un rapporto stretto tra la scrittura de le Vite e le idee sulla lingua


degli amici letterati di Vasari che deve essere tenuto presente nell’analisi delle
varianti fra la prima e la seconda edizione che rendono sempre più esplicita la
vocazione anti-letteraria de le Vite. Senza entrare nel merito dei numerosissi-
mi casi particolari, basti qui ricordare che nel passaggio dalla Torrentiniana alla
Giuntina sintassi e grammatica furono notevolmente semplificate, e che formu-
le e stilemi letterari (come le introduzioni moralistiche e gli epitaffi latini che
incorniciano le biografie della Torrentiniana) vennero drasticamente ridotti.

18
Scapecchi, P., «Una carta dell’esemplare riminese delle Vite del Vasari con correzioni di
Giambullari. Nuove indicazioni e proposte per la torrentiniana», Mitteilungen des Kunsthistorischen
Institutes in Florenz, 42, vol. i, 1998, pag. 101-114, in particolare 109-110.
19
Vedi ad esempio Giambullari, P., De ‘l sito, forma, et misure, dello Inferno di Dante. Firenze: Neri
Dortelata, 1544, pag. 54.
20
Dominique Lampson da Liegi a Vasari a Firenze, 30 ottobre 1564 (Frey, K., Der literarische...,
vol. 2, pag. 114-115.Vasari inserì un riassunto della lettera ne le Vite (Vasari, G., Le Vite..., vol. 6,
pag. 228-229).

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È vero che alcune biografie, come la Vita di Michelangelo, sono scritte


in uno stile letterario. Ma alcune contraddizioni erano inevitabili in un testo
scritto da più autori in tempi diversi e mai oggetto di un’accurata revisione
formale (considerazioni valide soprattutto per la seconda edizione, la cui terza
parte venne scritta quando la prima e la seconda erano già stampate o in cor-
so di stampa).Va infine anche considerata la possibilità che non tutti i colla-
boratori che parteciparono alla stesura e revisione del libro fossero informati
o d’accordo su come doveva essere scritto. La collaborazione di Giovambatti-
sta Cini è a questo riguardo esemplare.
Nel 1567 Borghini chiese all’accademico fiorentino di scrivere una des-
crizione delle decorazioni effimere eseguite per le nozze di Francesco I da
includere ne le Vite come opera di un anonimo amico di Vasari. Ma il risultato
non piacque al priore. Borghini giudicò la prosa troppo ornata ed elegante
e chiese a Cini di semplificarla. Dubitando della buona fede di Borghini, Cini
rispose, seppur in tono ossequioso, che se Borghini e Vasari intendevano pub-
blicare la descrizione come opera di Vasari avrebbero dovuto parlare chiaro.
Egli avrebbe comunque apportato le modifiche richieste. Ma Cini aggiunse,
forse non senza malizia, che sarebbe stato più facile procedere in modo di-
verso, ovvero rivedendo e correggendo una bozza scritta direttamente da
Vasari.

Ma sarebbe meglio che facesse egli da sé che ha ingegno una boza così corrente
et io m’ingegnerei di rifiorirla.21

Vasari non scrisse mai un rigo e Cini si vide costretto a semplificare lo stile
della sua prosa elegante. La descrizione venne stampata col resto de le Vite nel
1568, probabilmente con la supervisione dello stesso Cini, un altro impegno
che il letterato fu controvoglia obbligato ad accettare. Secondo Lorenzoni, il
quale pubblicò la corrispondenza Cini-Borghini nel 1912, i sospetti del lette-
rato erano ben riposti. La critica di Borghini può spiegarsi solo come una frode
intellettuale ai suoi danni. Charles Hope ha recentemente raggiunto la mede-
sima conclusione. Poco sarebbe importato, sostiene Hope, lo stile della prosa
se l’intenzione di Borghini e Vasari fosse stata veramente quella di pubblicare
la descrizione sotto altro nome.22

21
Borghini,V., Carteggio artistico inedito [Lorenzoni, A. (ed.)]. Firenze: Seeber, 1912, pag. 64.
22
Ibidem, pag. 66. Hope, C., «Le ‘Vite’ vasariane: Un esempio di autore multiplo», in Santoni, A.
(ed.), L’autore multiplo. Pisa: Scuola Normale Superiore, 2005, pag. 59-74, in particolare pag. 74.

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Tuttavia, Lorenzoni e Hope hanno trascurato un importante dettaglio che


emerge dalla stessa corrispondenza, ovvero che sin dall’inizio Borghini e Va-
sari avevano espresso la loro intenzione di includere la descrizione nelle Vite
come opera di un anonimo amico delle arti, una «persona oziosa, e che nella
nostra professione non poco si diletta»23 e non come opera di Vasari. Loren-
zoni implicitamente suggerisce che il riferimento all’anonimo autore nelle
Vite sia stato inserito in un secondo momento a causa dei sospetti di Cini. Ma
è alquanto improbabile, considerando la documentata sottomissione di Cini
a Borghini, e il prestigio di quest’ultimo, il principale intellettuale del duca-
to mediceo che godeva dell’indiscusso appoggio da parte di Cosimo I, sup-
porre che Cini possa aver avuto alcuna influenza sulle scelte editoriali riguar-
danti le Vite.
Ne consegue che per Borghini lo stile della descrizione era davvero impor-
tante, e che la sua critica alla prosa di Cini era genuina, almeno tanto quanto
l’incomprensione di quest’ultimo, come si evince dal tentativo di Cini di difen-
dere il proprio lavoro:

Quella ampollosità parlando alla latina che V. S. mi dice [...] secondo me dà una
certa dignità non poco necessaria a si fatte cose che per sé stesse rimangono al-
quanto basse, et che sia il vero benché la sia poesia ella vedrà ne buoni autori tener
questo stile come fra moderni nell’Ariosto e Poliziano.24

Cini invitò Borghini a riconsiderare lo stile della sua prosa enfatizzando la


sua derivazione dai migliori esempi letterari, aggiungendo che uno stile eleva-
to era tanto più necessario considerata la mediocrità del soggetto, le arti figu-
rative. È chiaro che l’incomprensione fra i due non poteva essere maggiore.
D’altra parte Cini non sbagliava supponendo che Borghini volesse che solo
Vasari figurasse come autore de le Vite. Ma tale desiderio, che trova conferma
nella mancanza di riferimenti nel testo alla collaborazione da parte di Giam-
bullari, Bartoli e Borghini, è innanzitutto da imputare alla funzione linguisti-
ca che i letterati medicei attribuirono al libro. Il loro riconoscimento autoria-
le o curatoriale avrebbe compromesso il rapporto univoco fra Vasari autore
e la lingua «facile et agevole» del libro. La speciale referenzialità de le Vite al

23
Vasari, G., Le Vite..., vol. 6, pag. 255.
24
Borghini,V., Carteggio artistico..., pag. 62-64. Tale differenza di opinione non impedì a Bor-
ghini di proporre Cini nel 1572 come membro di un nuovo comitato accademico per la lingua
toscana (Borghini,V., Scritti inediti o rari sulla lingua [Woodhouse, J.R. (ed.)]. Bologna: Commissio-
ne per i Testi di Lingua, 1971, pag. 5, n. 1, 9).

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vasari autore e la questione della lingua

discorso artistico, un libro sull’arte scritto da un artista per gli artisti, serviva
inoltre a proteggere il libro e la sua lingua dalla critica letteraria. La frammen-
tarietà stilistica e tematica e l’ampio uso di termini colloquiali nelle Vite sa-
rebbero stati bersagli fin troppo facili per i castigatori impegnati nel dibattito
sulla lingua. Gli amici di Vasari ne erano certamente consapevoli. Specialmen-
te Borghini, che aveva seguito da vicino gli attacchi violentissimi da parte di
Lodovico Castelvetro agli scritti di Bembo e Caro, e che era intervenuto a loro
difesa, doveva avere compreso appieno l’importanza di tenere le Vite lontane
dalla portata della critica letteraria. Acquistando, com’è documentato dalla cor-
rispondenza, una sempre maggiore conoscenza dei principali argomenti del
dibattito sulla lingua, anche Vasari si allineò con la posizione dei suoi amici.25
Prudentemente, mise da parte ogni ambizione letteraria e chiese ripetutamen-
te nelle sue lettere di essere ricordato come artista, non come scrittore.26
La referenzialità de le Vite al discorso artistico facilitò, come i suoi curato-
ri avevano sperato, anche il riconoscimento delle sue virtù linguistiche. Padre
Guglielmo dellaValle, l’editore dell’edizione senese delle Vite (1791-1794), lodò
la lingua del libro come toscanissima attribuendo tale virtù proprio al fatto che
le Vite fu scritto da un artista. «Questo scrittore», scrive Della Valle nella pre-
fazione alla sua edizione,

merita un luogo distinto tra i padri della lingua, per averla esso arricchita di nuo-
vi vocaboli e di tante nobilissime espressioni del buono, e del bello prodotto dalle
arti del disegno, e da esso lui pubblicate, le quali dal burattello di un artefice, più
che dal frullone di un letterato dovevano ricevere la luce e il pulimento.27

Secondo Della Valle, le Vite ha servito la lingua fiorentina meglio delle edi-
zioni sponsorizzate dall’Accademia della Crusca, l’istituzione fiorentina fon-
data nel 1582 e sotto la cui egida venne compilato il primo dizionario della
lingua italiana nel 1612. Vasari, l’artista scrittore, merita di essere incluso, con-
cluse Della Valle, fra i padri fondatori della lingua italiana.

25
Vedi le due lettere di Borghini a Vasari in Frey, K., Der literarische..., vol. 1, pag. 758; e vol. 2,
pag. 308-310.
26
Sul desiderio di Vasari di essere ricordato come artista e non come scrittore, vedi Vasari, G.,
Le Vite..., vol. 1, pag. 3 (T e G), vol. 6, pag. 410 (solo in T).Vedi anche la lettera di Vasari a Borghini
in Borghini,V., Il carteggio di Vincenzio Borghini [Francalanci, D.; Pellegrini, F.; Carrara, E. (eds.)].
Firenze: SPES, 2001, pag. 302, n. 53.
27
Vasari, G., Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti [Della Valle, G. (ed.)], 10 vol. Siena:
P. Carli e compagno, 1791-1793, vol. 1, pag. iv-v.

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