MATTEO
IL VANGELO
DELLA COMUNITÀ
INTRODUZIONE
La Sacra Scrittura è come uno spartito, la cui musica esiste solo dove e come
sentimenti e i pensieri del cuore, e tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi (Eb
4,12s).
narrato: la Parola fa quello che dice, per chi l’accoglie con fede (cf 1Ts 2,13).
Può essere rivolto al testo, per vedere come esattamente è, qual è la sua
storia, la sua struttura, il suo stile, ecc. È un passo previo. Chi però si ferma
qui è come uno che vuol mangiare la parola “pane” invece del pane. Non sazia
molto!
Può essere anche rivolto a cosa dice il testo: qual è il suo messaggio, come
non sufficiente. Chi si ferma qui è come un figlio che mangia del pane senza
Può essere infine rivolto al Signore: oltre al testo e a ciò che dice, si è attenti
a colui che dice quel testo. Tutta la Scrittura è una lettera che il Padre ha
inviato a ciascuno dei suoi figli; dietro ogni parola c’è chi parla, e il suo dirsi è
un darsi. Chi raggiunge questo terzo livello, ha trovato ciò di cui ha fame.
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Matteo, chiamato ad essere discepolo mentre stava seduto al banco delle
Escludendo i due capitoli iniziali, Matteo usa per lo più lo stesso materiale di
Marco e Luca, riportando parole e azioni compiute da Gesù nel breve periodo
che va dal suo battesimo alla sua pasqua. La sua particolarità è aver
Israele; il discorso in parabole (c.13) mostra come essa agisce nel mondo; il
Figlio che ci rende figli del Padre facendoci fratelli tra di noi. La fraternità è la
realizzazione del nostro essere figli: nel rapporto con l’altro viviamo quello con
l’Altro. Anche per questo è stato il più letto nella Chiesa. Oggi, in un’epoca in
Questo libro vuol essere un manuale per la lectio del vangelo di Matteo.
Come nei precedenti commenti a Marco e a Luca, di ogni singolo passo, dopo
seguono una lettura del testo e indicazioni per pregare il testo (vedi il metodo
Come si vede, al centro sta il testo, che non è solo un pretesto, ma un modo
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Il lavoro che offriamo è il frutto di una lectio continua settimanale, tenuta in
questi anni nella chiesa di S. Fedele (Milano), insieme a Filippo Clerici, con il
Un vivo ringraziamento a lui, dopo che a Dio, come pure a quanti con la loro
Spero vivamente che questo lavoro sia utile per conoscere di più il Signore e
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METODO PER PREGARE IL TESTO
a. Entro in preghiera
pacificandomi
• con un momento di silenzio
• respirando lentamente
• pensando che incontrerò il Signore
• chiedendo perdono delle offese fatte
• e perdonando di cuore le offese ricevute
b. Mi raccolgo
immaginando il luogo in cui si svolge la scena da considerare.
e. Concludo
con un colloquio col Signore, da amico ad amico su ciò che ho meditato
finisco con un Padre nostro
esco lentamente dalla preghiera.
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• se ho osservato il metodo
• se è andata male, perché
• quale frutto o quali mozioni spirituali ho avuto.
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1. GENESI DI GESÙ CRISTO
1,1-17
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lo sposo di Maria,
attraverso la quale fu generato Gesù,
chiamato Cristo.
17 Tutte dunque le generazioni:
da Abramo a Davide
quattordici generazioni,
da Davide fino alla deportazione di Babilonia
quattordici generazioni,
e dalla deportazione di Babilonia fino a Cristo
quattordici generazioni.
“Libro della genesi di Gesù Cristo” è il titolo del vangelo di Matteo, che ci
racconta la nascita nel tempo del Figlio eterno del Padre che si fa nostro
fratello. Gesù è visto come la nuova genesi dell’uomo, principio e fine del
Matteo qui però non commenta un testo biblico con episodi della vita di Gesù,
cristologici.
Davide secondo la carne (vv. 1-17) e Figlio di Dio secondo lo Spirito (vv. 18-
Maria, da cui riceve il Figlio di Dio come proprio figlio (vv. 18-25).
non dai vicini (2,1-12), ripercorre il destino del popolo, che scende nella
schiavitù d’Egitto e ascende alla terra dei padri (2,13-23). Nel “Nazoreo” si
In questi primi due capitoli, per ben 5 volte su un totale di 11, Matteo parla
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punto d’arrivo del disegno divino, colui del quale tutta la Scrittura parla.
Tenendo lo sguardo puntato su ciò che lui ha fatto e detto, la storia d’Israele è
costruire questi racconti, è costituito, oltre che dalle citazioni bibliche, dalle
genealogie, dai nomi dei genitori di Gesù, dalla sua ascendenza davidica, dalla
fede nella sua divinità, dalla concezione verginale per opera dello Spirito
Santo, dalla sua nascita ai tempi di Erode e dalla sua permanenza a Nazareth.
Questo primo brano è una lista di nomi, divisi in tre periodi, che vanno da
Abramo a Gesù: la “carne” del Figlio di Dio passa attraverso coloro che l’hanno
preceduto. Di ognuno si dice due volte “generare”, una volta come figlio e
l’altra come padre. Lo schema costante si interrompe con Giuseppe, per aprire
Del primo patriarca, Abramo, non si dice chi l’ha generato, e dell’ultimo,
Gesù, non si dice né chi lo genera né chi a sua volta egli genera. Si allude al
3.5a.5b.6), anticipo della quinta, Maria, di cui si parlerà nel racconto seguente.
una tensione, quasi l’attesa della novità promessa nel primo versetto, che
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ossia sei volte sette. Con lui, primogenito di una numerosa schiera di fratelli
(Rm 8,29), la storia della promessa raggiunge sette volte sette, la perfezione.
Per noi questa interminabile lista di nomi può risultare arida. Ma ogni persona
destino di libertà. Ogni nome ha valore assoluto, come il Nome da cui viene e
verso cui va. Può essere ignoto a noi; ma sempre vive nella memoria di Dio e
che divora i suoi figli. Da tragico dominio del fato, diventa libero dialogo tra
tra i due fa nascere una novità che costituisce il senso della creazione: il dono
Il Signore la sposa così com’è, con la sua gloria e le sue miserie, facendo
cardo” (la carne è cardine della salvezza), e “quod non est assumptum, non
est redemptum” (ciò che non è assunto non è redento), sono le due
La Chiesa ha in Israele la sua radice santa e nel Figlio il frutto che contiene
ogni benedizione.
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2. Lettura del testo
1,1. Libro della genesi. Matteo sta scrivendo un libro, come quelli dell’AT ,
che narra la “genesi” del mondo nuovo. Questo libro è il “vangelo”, che ricorda
Gesù. Significa “Dio-salva”. Salverà il popolo dai suoi peccati (v. 21). Il nome
indica l’identità di una persona nella sua “vocazione” e nella sua “missione”:
Cristo. In greco, significa “unto”, come “Messia” in ebraico: è il re, che veniva
Quando Israele voleva farsi un re per essere come tutti i popoli, la cosa
monarchia (Gdc 9,7-15!): ricordano che l’unico re è Dio, e non c’è dio o re in
dell’uomo, perché l’unica immagine di Dio è l’uomo libero, suo figlio che ne
ascolta la parola. Di quasi ogni re si dice nella Bibbia: “Fece peggio di tutti i
produce né possiede il suo Messia: viene da lui, ma è anche per lui un dono (cf
2Sam 7,11).
per tutte le genti. Abramo, pagano e primo depositario della promessa, è colui
nel quale sarà benedetto ogni figlio di Adamo (Gen 12,3). Abramo è la
compimento.
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v. 2 Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe. Sono i tre padri di
Israele. Mancano le quattro madri: Sara, Rebecca, Lia e Rachele - tutte sterili,
tranne Lia, la non desiderata! Sono sostituite da quattro straniere, che entrano
renderla madre - lei, vedova trascurata di due suoi figli e senza discendenza. Il
primo marito, Er, era “odioso” agli occhi del Signore. Il secondo, Onan, “fece
terzo figlio, la mandò via per paura che anche questo morisse (Gen 38,1-30).
Messia. Dio non è schizzinoso! Ama questa umanità, non una migliore. Perché
è sua!
esploratori clandestini della terra promessa (Gs 2,1-21). Entra nella storia
regno (21,31)!
casa per condividere la sorte della suocera ebrea. Il libro di Rut ne racconta la
Davide, ucciso da lui che ne desiderava la moglie (2Sam 11-12; Sal 51). È la
alla fine.
L’azione divina passa attraverso il gioco della storia così com’è, estranea e
adulteri e omicidi.
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La prima serie di nomi parte da Abramo, che crede alla promessa, e si chiude
denuncia dei profeti. Da qui l’esilio, dispersione dei figli che non hanno vissuto
la fraternità.
Gesù. Il Figlio è da accogliere: è il dono che il Padre gli fa attraverso Maria. Qui
sottolinea che, attraverso Maria, colui che genera è Dio stesso. Tutto il fare
dell’uomo è attesa dell’accadere di Dio. Non può essere che così, perché ogni
Gesù. Ogni nome della lista è nominato come generato e generante: riceve
dal progenitore la sua identità che trasmette al figlio, arricchita dalla propria.
rispettivamente chi lo genera e chi genera. Il primo, che per fede abbandona
padre e terra, ha come Padre Dio; l’ultimo, che è il Figlio unigenito, creato
come uomo ed increato come Dio, compie ogni paternità e racchiude ogni
13
v. 17 tutte le generazioni dunque, ecc. Gesù è la pienezza di vita: il “dunque”
paragoni la storia di Israele a quella della luna, testimone in cielo della propria
infedeltà che sempre la fa scomparire, e della fedeltà di Dio, il sole che sempre
la ravviva (cf Sal 89,38), con due emicicli di 14 giorni. Come la luna, così anche
il popolo, nato dalla fede di Abramo, cresce nel suo pieno fulgore fino a Davide
Oltre a ciò, tre volte quattordici è uguale a sei volte sette. Sette è il numero
raggiungere il suo riposo nel sette. La storia umana è solo sei volte sette,
Se uno osserva bene, per fare il numero indicato da Matteo mancano due
Dio e quello di ciascuno di noi. Dio è per fede padre di Abramo, e ciascuno di
noi, accogliendo Gesù, diventa figlio di Dio (Gv 1,12). Il generare umano ha
come radice il Padre e come frutto il Figlio. La storia è un inno alla vita,
trasmessa da padre in figlio, che riceve dal Padre la sua paternità e dal Figlio
la sua filialità, nell’unica vita che è il loro amore reciproco, lo Spirito Santo.
che è tutto in tutti (1Cor 15,28), il corpo del Figlio, pienezza di colui che si
14
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come suggerito a p. 5
b. mi raccolgo immaginando tutte le generazioni del mondo, che hanno il
Padre come principio e il Figlio come fine, chiamate in lui a diventare suo
corpo mediante la fede di Abramo e di Giuseppe
c. chiedo ciò che voglio: capire il mistero divino nella storia
d. recito ogni nome, come una litania: è una persona come me, che riceve e
trasmette il mistero di Dio
da notare:
il libro della genesi
Gesù
Cristo
generò
Abramo, Davide
Tamar, Racab, Rut, la moglie di Uria
la deportazione in Babilonia
Giuseppe, lo sposo di Maria, attraverso la quale fu generato Gesù.
4. Testi utili: Gen 49,2.8-10; Sal 72; 89; Gdc 9,7ss; 1 Sam 8; 2 Sam 7; Gen
15
2. NON TEMERE DI PRENDERE CON TE MARIA
1,18-25
16
“Non temere di prendere con te Maria”, dice l’angelo a Giuseppe. Da lei
infatti riceverà Gesù, il Figlio generato dallo Spirito, il Dio con noi.
Questo racconto risponde con chiarezza alle due domande che apre il brano
precedente: chi è il Padre di Gesù, e come Giuseppe entra nella sua parentela?
Il Cristo è il Figlio stesso di Dio, generato per opera dello Spirito e nato dalla
ciò che è ben più grande di lui, anche se per questo è fatto.
La fede nella Parola stabilisce la parentela tra noi e Dio. Per essa, come
Giuseppe, accogliamo colui che ha il potere di farci figli (Gv 1,12). Tutto è
lasciato alla nostra responsabilità, alla nostra capacità di rispondere alla parola
ascoltarlo e di rispondergli.
Il brano precedente dice come Dio entra nella nostra storia, questo come noi
entriamo nella sua: lui assume la nostra carne così com’è, noi assumiamo lui
com-promesso in ogni sua promessa. Il figlio di Davide sarà non solo il Messia
Il Figlio non nasce da noi: viene dallo Spirito, perché Dio è Spirito. Giuseppe
colui che non è suo: è altro, è l’Altro stesso, che attende il suo “sì” per essere
suo figlio, il Dio-con-lui, colui che salva lui e ogni “generare” dalla solitudine
Gesù è il Figlio di Dio, generato nell’eternità dal Padre nello Spirito, e nato
nel tempo dalla carne di Maria, per opera dello stesso Spirito.
17
La Chiesa, come Giuseppe “il sognatore”, realizza il sogno di Dio: in silenzio
Giuseppe. Come diventa la stessa di Gesù, che è Figlio di Dio? Dio non può
“Giuseppe” (in ebraico = Dio-aggiunga) entra nella genesi del Figlio di Dio
l’umile figlia di Sion. Egli è figura di ogni uomo che, “troppo grande per
Dio stesso.
aspetta solo che ci sia uno disposto a riceverlo. Il dono già è fatto, per Israele
racconto è fatto per il lettore, perché avvenga a lui ciò che è avvenuto a
Giuseppe. L’“angelo” per noi è il testo stesso, che ricorda la sua esperienza
così era. La genesi di Gesù così “era”: fu, è e sarà, come viene narrato qui.
“fidanzata” Maria, madre del Figlio. Sta a lui accoglierla, con “fidanza” in lei e
in ciò che di lei la Parola gli comunica. Dicendo “sì” a lei, dice “sì” al dono di
Dio.
Maria è la prima credente: in lei la Parola si è fatta carne. Chi sposa lei,
accoglie il Figlio, che per la potenza dello Spirito in lei è generato dal Padre.
Entrando in comunione con lei, accetta Dio stesso, che attraverso lei è entrato
mediazione storica di chi l’ha già accolto. Solo lì, nel vero Israele, l’uomo trova
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a Giuseppe. Giuseppe, come detto, significa: “Dio-aggiunga!” È il nome
segreto di ogni uomo, finito che desidera all’infinito, anzi l’Infinito - aperto a
ciò che lo trascende e solo può colmarlo. L’uomo è fatto per tale aggiunta
divina: “Ci hai fatti per te, Signore, ed è inquieto il nostro cuore fino a quando
prima che si mettessero insieme. Si sottolinea che Giuseppe non c’entra con
la nascita di Gesù. Non lui, ma Dio stesso lo generò attraverso Maria. Giuseppe
si trovò incinta. Luca 1,26-38 racconta come; Matteo dice semplicemente che
suo Creatore.
per opera dello Spirito Santo. Spirito significa “vita”, Santo “di Dio”. La vita di
produce nulla, ma può accogliere tutto: è quel vuoto assoluto che solo è
v. 19 Giuseppe, suo sposo. L’uomo è fatto per “sposare” colei che gli
poiché era giusto e non voleva, ecc. Giuseppe, sapendo che il dono non gli
rifiutare ciò che non ci spetta di diritto. L’amore non è mai meritato;
dono dell’altro.
19
v. 20 mentre stava rimuginando (cf 9,4; 12,25). Giuseppe non sa che fare;
inquieto.
un angelo del Signore gli apparve in sogno. Quando l’uomo dice: “Ora basta”
(1Re 19,4ss), Dio fa i suoi doni (cf Sal 127,2). Nel sonno lui incontrò Giacobbe,
lui in fuga (1Re 19,1ss). Nel sonno di suo Figlio raggiungerà ogni uomo che
dorme. I sogni interessano giustamente gli psicologi: uno agisce in base a ciò
che ha dentro. Nella veglia ci si difende, censurando ciò che non si vuole. Nel
sonno invece esce tutto in libertà. Il giusto, che ha il cuore puro, ha i sogni
stessi di Dio: la sua parola parla nel sonno delle altre parole, il suo angelo si
Il pericolo è dar credito a sogni che sono semplici bisogni. Ma la parola di Dio,
se entra nel cuore, risveglia nel profondo quel sogno segreto, che è lo stesso
di Dio.
non temere. Le prime parole dell’uomo a Dio sono: “Ho avuto paura” (Gen
3,10). Per questo “Non temere” è la prima parola che il Signore rivolge
della fede.
di prendere con te Maria. Maria media a tutti il dono di Dio. In questi primi
due capitoli “il Figlio” è sempre presentato con sua madre. Chi rifiuta la Madre,
cristianesimo diventa ideologia, “gnosi”, che ha nulla a che fare con il Cristo
20
Israele no; Cristo sì, ma Chiesa no; Cristo sì, e mondo no”, rifiuta Cristo stesso
La storia non è qualcosa di passato che non c’è più; è come le radici per
l’albero: gli danno linfa e gli permettono di innalzarsi al cielo senza crollare al
primo vento.
ciò che in lei è generato è dallo Spirito Santo. Ciò che è in Maria viene da Dio:
entri in relazione con lui e lui con te. Questa è la dignità sublime dell’uomo:
chiamare per nome il “Nome”, essere suo interlocutore, parlare con lui da
amico ad amico.
Gesù. Significa “Dio-salva”. È il nome di Dio, la sua realtà per chi lo chiama.
“Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato” (At 2,21). In nessun
altro nome c’è salvezza (At 4,12), perché è il nome dal quale ogni nome
prende vita. Può essere invocato da chiunque, per quanto perduto: è “Dio-
salva”.
salverà il suo popolo dai suoi peccati. “Tutti mi conosceranno, dal più piccolo
al più grande, perché io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più del
loro peccato”(Ger 31,34). Chiamiamo Dio per nome proprio in quanto perduti
che vengono salvati. Dio è amore senza limiti: lo conosciamo come tale solo
nel perdono.
continuità con quella di Israele, come compimento della promessa a lui fatta.
un figlio, garanzia della fedeltà di Dio. È un segno che il re non osa chiedere, e
che Dio invece vuol dargli. Quanti altri segni invece chiediamo, che lui non ci
vuol dare!
“Dio-con-noi”. E se Dio è con noi e per noi, chi sarà contro di noi? (cf Rm
21
8,32ss). “Con” significa relazione, intimità, unione, consolazione, gioia, forza,
scambio. Lui è sempre con noi, in nostra compagnia (28,20), fino a quando
anche noi saremo sempre in compagnia di Gesù (cf 1Ts 4,17). Con lui, il Figlio,
fece, ecc. Giuseppe “ascolta e fa” la Parola - quella che viene non dalle sue
incubi della menzogna antica, e si ritrova davanti la “sua sposa”, e con essa il
donna secondo la carne, è figlio di Dio secondo lo Spirito, perché ogni carne
dice chi è: è il Cristo, l’atteso figlio di Davide, punto d’arrivo della promessa,
salva, il Dio-con-noi, il Figlio, il dono di Dio, Dio stesso come dono, che
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come suggerito a p. 5
b. mi raccolgo immaginando la perplessità e il sonno di Giuseppe
c. chiedo ciò che voglio: non temere di prendere il dono di Dio in Maria
d. contemplo la scena, immedesimandomi in Giuseppe
da notare:
Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo
Giuseppe, suo fidanzato, cosa pensa e perché
il sonno di Giuseppe e il suo sogno
le parole dell’angelo a lui
il nome di Gesù, Dio-salva
Emmanuele, Dio-con-noi.
cosa fa Giuseppe.
22
4. Testi utili: Is 62,1-5; Sal 89; 72; 127; 2Sam 7,4-16; Is 7,10-14; Ger 23,5-8;
23
3. DOVE È IL RE DEI GIUDEI CHE FU PARTORITO?
(2,1-12)
24
il bambino
con Maria sua madre,
e, prostrati,
adorarono lui;
e, aperti i loro tesori,
offrirono a lui doni,
oro e incenso e mirra.
12 Ammoniti in sogno
di non tornare da Erode,
per altra via si ritirarono nella loro regione.
tra questi anche noi, rappresentati dai Magi, devono fare un cammino, guidati
Signore.
Il cap. 1 parla delle origini di Gesù e di come Israele lo accoglie; il cap. 2 parla
del suo futuro e di come tutti lo incontrano. Anche lui farà un cammino, lo
stesso del suo popolo: la discesa in Egitto con la shoà degli innocenti e
l’ascesa con il ritorno alla “terra”. Il Nazoreo, nella sua discesa e ascesa, nella
La storia dei Magi ha sempre colpito la pietà popolare. Sono diventati “re”, su
suggerimento di Is 60,3 e del Sal 72,10s. Il loro numero nella nostra tradizione
Jafet, i figli di Noè, tutta l’umanità, primizia della Chiesa. Le loro reliquie si
25
divennero Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, che in certe regioni, all’inizio
La loro fortuna è legata al fatto che noi, venuti alla fede dal paganesimo, ci
I temi principali del racconto sono due: la sapienza che guida alla rivelazione
brano traccia il percorso per incontrarlo. Essendo già nato, si tratta di scoprire
del cuore infine indica con precisione “dove” lui si trova. È lì che lo si adora e
alla-bocca), nel bacio di comunione con lui, e nel tesoro di chi dona come lui si
(1Cor 15,28).
nasce “dove” si compie questo cammino. La prima parola che Dio disse ad
Adamo è: “Dove sei?” (Gen 3,9), perché anche lui gli chiedesse a sua volta:
nascita del credente in Dio e di Dio nel credente. È una generazione graduale,
apre a de-siderare e seguire la propria stella, la Scrittura che svela colui che
desideriamo, la gioia del cuore che mostra dove lui è, l’adorazione e infine il
26
Anche se noi sappiamo il luogo materiale “dove” è nato, non basta.
scompare. Diversamente siamo come Erode, che vuole ucciderlo, o come gli
S. Agostino dice: “L’anima è più presente dove ama che nel corpo che
sé. In questo gesto noi nasciamo in lui e lui in noi. Il suo dove diventa il nostro
dove!
Nel brano c’è una divisione drammatica che ognuno si ritrova dentro: giocarsi
o non giocarsi nel seguire i desideri profondi del cuore? Il lontano cerca e
interroga, e così trova e dona con gioia; il vicino sa dove è il Signore, ma non
Ambedue saranno assunte nella storia della salvezza. Proprio il rifiuto, che lo
porterà sull’albero della croce, farà compiere al Figlio che adoriamo il cammino
Gesù è il re dei giudei, il Cristo, luce per le genti, nato per tutti in Bethlem di
Giudea. La luce della ragione e della rivelazione porta a lui l’umanità, che in lui
La Chiesa, oltre che da giudei, è fatta anche da pagani che, come i Magi,
fanno il cammino di ricerca fino a trovarlo, baciarlo e aprire a lui il loro tesoro.
2,1 Nato Gesù. Il-Dio-che-salva c’è già. Matteo descrive come trovare “dove”
27
in Bethlem. È la città di Davide. Luca racconta anche come, a causa del
e vassallo dei romani. È il “re di Giudea”, della terra che possiede; non è “re
dei giudei”, delle persone che vi abitano. Loro re è il Cristo, che libera!
dei Magi. Mago denota un appartenente alla casta sacerdotale di Persia. Più
dall’oriente (Nm 23,7, LXX) e annuncia la stella che sorgerà su Israele (Nm
24,17).
Gli ebrei hanno sempre avuto un’allergia contro il “magico”, così comune
mentalità infantile anche in uno solo dei due ambiti, dimenticando che il
magico si fa sempre tragico! Cristo è visto come la luce, la Parola che pone
In questo racconto i Magi sono visti in termini positivi. Non sono dei “maghi”,
scandisce il succedersi delle stagioni, dei mesi, dei giorni e delle ore, ne
far lutto e il far festa. Misurare il tempo è la scienza prima dell’uomo, cosciente
28
osservare le stelle nel loro apparire, permanere e scomparire: per loro la
scienza non è solo l’osservazione di ciò che c’è, ma anche il chiedersi che cosa
significa.
L’oriente è l’origine del sole e della sapienza, della natura e della cultura.
Tutto ciò che Dio ha fatto, anche l’oriente, trova in Gerusalemme la sua
definito dal tempo e dallo spazio, dal quando e dal dove. Il tempo è la vita; lo
sempre e solo ora - il resto non c’è più o non ancora. Il problema aperto resta
quello del dove. Per questo l’uomo è pellegrino, in cerca del suo “dove”, che lo
centro del popolo depositario della promessa e della Scrittura. La ragione, nel
cercare salvezza, si apre alla rivelazione, là dove essa è data. È in Israele che
si trova il Cristo, per tutti e per sempre. Perdere questa radice, è perdere il
esempio, New age. Chi non riconosce Gesù “nella carne”, non ha lo Spirito di
nuovo, da Maria e dalla Chiesa, è perdere “il vangelo”: la carne del Dio-con
noi. La salvezza viene dai giudei (Gv 4,22); è una persona e ha un nome: Gesù
(1,25).
il re dei giudei. C’è Erode, re di Giudea, e Gesù, re dei giudei. Il primo tiene in
mano tutti; il secondo si mette nelle mani di tutti. Quegli sarà persecutore, e
re. Come in Giudea, così in ogni angolo della terra, ci sono due modi opposti di
29
essere re: uno potente che opprime, l’altro umile, che salva (Mt 20,24-28). I
due stanno tra loro come tenebre e luce. I Magi cercano il re dei giudei, non il
modello di uomo, l’immagine di Dio. Quale re e quale uomo, quale Dio e quale
salvezza cerchiamo?
la sua stella. Ognuno ha una stella, che con lui nasce e si spegne, pensavano
sabato, festa dei giudei. Inoltre apparve la cometa di Halley. Qualunque sia
scrive per giudeo-cristiani, pensa alla stella vista dal pagano Balaam (Nm
24,17).
luce nella notte, è la ragione umana, che, mai soddisfatta di ciò che sa e
aperta a ciò che ignora, guida l’uomo verso una verità sempre più grande.
La Sapienza conduce anche i pagani (cf At 17,26s) nel loro esodo, come “luce
certezze. Chi, come Erode e gli scribi, sta nel palazzo dei propri interessi o
nella città delle sue persuasioni - anche giuste! - non incontra la verità. Anzi, la
per adorare lui. Adorare è il desiderio che muove ogni cammino fin dal
comunione di amore e di respiro. Quanto qui i Magi fanno, faranno alla fine
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v. 3 avendo udito, il re Erode fu turbato. Erode e tutta Gerusalemme
Erode, uguale a quello che hanno tutti, oppure quello che Dio ha promesso.
v. 5 in Bethlem (Mi 5,1). Costoro hanno la risposta esatta. Muovono gli occhi
sulle Scritture, ma queste non muovono i loro piedi verso il Signore. Sanno la
verità, ma ne stanno lontani. Quante volte il sapere serve per difendersi da ciò
che si sa! Dovrebbero “uscire” per andare incontro al Signore. Chi non esce
di Dio che si restringe per lasciare spazio e vita a tutti. Dio sceglie Israele
come suo popolo perché è il più piccolo tra i popoli (Dt 7,7). Così sceglie come
re Davide, il più piccolo tra i suoi fratelli (1 Sam 16,11). Dio sceglie le cose che
non sono “per ridurre a nulla quelle che sono” (1Cor 1,28). Per questo nessuno
dei potenti e dei sapienti di questo mondo può riconoscerlo (1Cor 2,8).
Per trovare “dove” è il Signore, bisogna guardare nella direzione in cui lui è.
E lui, “il più piccolo tra i fratelli” (cf 25,40.45), è tra i piccoli. La ragione fa
cercare il Salvatore, la rivelazione dice dove trovarlo: la prima dice che c’è, la
seconda chi è - dando alla prima nuovi criteri di valutazione, gli stessi di Dio.
davanti alla rivelazione, come le stelle davanti al sole -, ma poi riappare con
Giudea è nemico del re dei giudei. Utilizza per i suoi piani sia la scienza
serve il male, soprattutto del bene! Può sempre considerare a suo servizio gli
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“indifferenti”, e fare degli “impegnati” i suoi alleati più pericolosi, perché
Comunque il Signore resta l’unico Signore della storia, e tutto alla fine esegue
esplorate con cura, ecc. Li vuol coinvolgere nelle sue trame, senza che se ne
accorgano.
segno della Presenza. Dove c’è lui, c’è gioia; la tristezza è segno della sua
chi incontra il Vivente (28,8s). La gioia del cuore indica “dove” sta colui che
cerchi: è dentro di te. Colui che già era presente nel cammino come desiderio
e tensione, nella gioia del cuore si offre come appagamento e distensione. Qui
sua madre. La madre è il cuore di chi già prima l’ha accolto e generato, e
diventa il nostro stesso cuore che gli dà la sua carne. Il Figlio lo trovi in Israele,
32
oro, incenso e mirra. I Magi aprono il loro cuore e offrono ciò che contiene.
L’oro, ricchezza visibile, rappresenta ciò che uno ha; l’incenso, invisibile come
Dio, rappresenta ciò che uno desidera; la mirra, unguento che cura le ferite e
mortalità propria della creatura, tutto ciò che l’uomo ha, ma soprattutto ciò
che desidera e ciò che gli manca, è il suo tesoro. Apre a Dio i suoi averi, i suoi
desideri e le sue penurie. E Dio entra nel suo tesoro. Qui è il “dove” il Figlio è
generato dal Padre. La carne del nostro cuore gli è madre. Dando ciò che sono,
i Magi ricevono colui che è, e diventano essi stessi simili a lui. Dio nasce
messaggio di Dio. Il sogno di Dio influisce sulla storia più del potere di ogni
potente, e lo beffa.
si ritirarono nella loro regione. Tornano dov’erano partiti. Ma “per altra via”:
non più quella di chi cerca uno che non conosce, ma quella di chi ha trovato
colui che cerca. Infatti non sono più quelli di prima; hanno trovato “dove” è
Dio. Si ritirarono da “anacoreti” - dice il testo greco - nella loro stessa terra.
Hanno con sé ormai un nuovo cielo e una nuova terra, seme che porteranno
ovunque andranno.
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come suggerito a p. 5
b. mi raccolgo immaginando il cammino dei Magi: da oriente a Gerusalemme,
da qui a Bethlem
c. chiedo ciò che voglio: trovare il “dove” è generato il Signore, e chiedo
l’aiuto di Maria
d. traendone frutto, ripercorro il cammino dei Magi
da notare:
la stella: i desideri che muovono la ricerca della ragione
l’arrivo a Gerusalemme: la ragione che porta alla fede
le indicazioni degli scribi: la Scrittura che dà nuova luce alla ragione
Bethlem, da te uscirà il capo
l’atteggiamento di Erode, sacerdoti e scribi
33
la gioia grande
nella casa videro il bambino con Maria sua madre
adorarono lui
offrirono a lui i doni
si ritirarono.
4. Testi utili: Is 60,1-6; Sal 72; 87; At 17,24-29; Rm 1,18-23; Sap 13,1-9.
34
4. NAZOREO SARÀ CHIAMATO
2,13-23
35
al posto del padre Erode,
temette di andare là.
Ammonito in sogno,
si ritirò nelle parti della Galilea;
23 e, venuto, fece casa in una città
detta Nazareth.
In questo modo si compì ciò che fu detto dai profeti:
Nazoreo
sarà chiamato.
per mezzo dei profeti. Accolto da Giuseppe e dai Magi (2,1-12), rifiutato dai
sapienti e dai potenti, egli rivive la storia del suo popolo: attraverso l’Egitto e
l’esilio - con l’uccisione degli innocenti, anticipo della sua - torna alla terra
Ogni quadro termina con una citazione biblica, che interpreta il fatto alla luce
della Parola: la storia di Israele è profezia di Gesù. Lui, che scende e risale
dall’Egitto, è il Figlio che realizza il nuovo esodo definitivo (Os 11,1). La shoà
degli innocenti, preludio di quella del Giusto, è vista come il male supremo
causata l’una dal peccato altrui e l’altra da quello proprio: da ambedue libera il
dei pagani, sarà luce per ogni uomo che dimora nelle tenebre e nell’ombra di
morte (4,15s).
Il “Nazoreo” è, allo stesso modo del popolo d’Israele, il Figlio liberato dalla
mano d’Egitto e l’esule che ritorna alla terra. Il male, sia subìto che fatto -
36
promessa di Dio. Anzi, la realizza nel Giusto che non lo fa e lo porta su di sé,
perdente, il male sempre più forte. Ma alla fine vince l’innocente, proprio con il
suo sangue.
del Figlio prediletto, che salva i fratelli che l’hanno venduto (cf Gen 50,20). Le
macchinazioni del male, alla fine, senza saperlo eseguono ciò che la sua mano
e la sua volontà aveva preordinato che avvenisse (At 4,28; Ap 17,17). Dio è
Dio della storia: pur rispettando la nostra libertà, onora divinamente anche la
sua!
2,13 Ora, ritiratisi essi. Viene ripreso il tema “anacoretico” del ritiro (cf v. 12).
venduto dai fratelli, è “sognatore”: nella profondità del suo cuore puro, vede
Dio (cf 5,8). Il sogno a noi sembra irreale; invece è il principio di ogni realtà.
Uno, anche se non lo sa, realizza sempre i suoi sogni. Ma sono quelli di un
cuore puro o impuro? I sogni di Dio alla fine sempre si compiono, anche se a
risvegliati, ecc. L’angelo dice la Parola che ci “risveglia” alla vita con il sogno
di Dio. Giuseppe non risponde alla Parola con parole, ma con la carne. La
risposta è lui stesso, che la esegue alla lettera (vedi v. 14; vv. 20-21; cf 1,21-
24): le dà corpo offrendole il suo corpo. Questo è l’amore coi fatti e nella verità
(1Gv 3,18), il culto gradito a Dio (Rm 12,1). Obbedire (ob-audire) significa
37
ascoltare stando davanti, rivolto all’altro. Chi obbedisce è come il Figlio,
Giuseppe (1,18); poi si parla del “bambino e sua madre” (vv. 11.13.14.20.21),
portano al centro, che è lui! Ma sia lui che la madre sono affidati alle mani di
fuggi in Egitto. Il re dei giudei fugge in Egitto a causa del re di Giudea - come
Erode sta cercando. Erode è figura del Faraone all’interno di Israele, della
Chiesa e di ciascuno di noi. Nella nostra “paganità”, come c’è la ricerca dei
Magi per adorare il Signore, così c’è la ricerca di Erode, che, come il Faraone,
ucciderà i figli. Gesù, miracolosamente salvato come Mosè, entra in Egitto per
si ritirò. Vivrà in Egitto da forestiero (cf vv. 12.13), solidale con la solitudine
v. 15 sino alla fine di Erode. Erode, come il Faraone, finisce; il Figlio, come
Israele, ne vede la fine. Dio dall’alto ride sui potenti e le loro trame (Sal 2,4).
dall’Egitto chiamai mio figlio (Os 11,1). L’uscita dall’Egitto è vista come la
nascita del Figlio dal ventre oscuro della schiavitù. Osea, qui citato, parla del
l’inizio di una nuova primavera tra Dio e il suo popolo, che fiorirà nel deserto
38
v. 16 si adirò molto. È l’impotenza del potente beffato dal riso di Dio (Sal
sangue di tutti i giusti, da Abele a Zaccaria (Lc 11,51), dal primo all’ultimo
innocente di ogni shoà. Prefigurano il sangue del Servo, il Figlio che salverà i
fratelli. Il destino dei giusti - e dei peccatori - è lo stesso dell’unico Giusto che
come dalla madre Rachele, così anche dal Padre. Dio piange per l’esilio
dell’uomo.
perché non sono più. L’esilio è la morte del Figlio: l’infedeltà lo riduce a non
essere più. Io-Sono, nel suo amore, lo ricondurrà all’esistenza; ma non più con
Il cammino del Figlio passa attraverso la solidarietà coi fratelli nella loro
oppressione e nel loro peccato, fino alla maledizione del loro non-essere-più,
facendosi lui stesso abbandono, maledizione e peccato (27,46; Gal 3,13; 2Cor
39
5,21), perché ogni abbandono non sia più abbandonato, neanche l’abbandono
v. 19 finito Erode (v. 15). Erode finisce; il disegno di Dio dura in eterno, e
un angelo del Signore, ecc. È la terza volta che il Signore parla a Giuseppe in
definitiva sarà il sonno stesso del Figlio dell’uomo, “la parola della croce”
(1Cor 1,18).
v. 20s risvegliati, prendi il bambino e sua madre, ecc. Per la terza volta
v. 22 udito che Archelao, ecc. Entrato nella “terra”, rimane aperto al sogno di
“casa” e “nome” nella “terra!” Le quattro tappe del suo ascoltare/fare sono le
stesse di ogni uomo: prendere in sposa Maria, la madre del Figlio di Dio e
chiamarlo per nome (1,24s), compiere con loro sia l’entrata che l’uscita
si compì ciò che fu detto dai profeti: Nazoreo sarà chiamato. Nessun profeta
infatti: “Ciò che fu detto dal profeta” bensì “Ciò che fu detto dai profeti”. Tutta
prima di ogni creatura, nel quale, attraverso il quale e per il quale tutto è stato
fatto (cf Col 1,15-17). Gesù, chiamato dai giudei “il Nazoreo”, che viene da
Nazareth, è colui di cui tutto parla e che tutto definitivamente dice (Gv 1,18).
colui che salva il popolo dai peccati, colui che ripercorre la storia umana per
40
farla uscire dalla tenebre della schiavitù (Egitto) e della morte (esilio),
come veramente Dio compie in lui ogni sua parola, senza lasciarne andare a
assonanza con Is 11,1, in cui si parla di “Neser” il “germoglio” che spunta dal
tronco di Jesse. Sono assonanze sulle quali l’autore ebreo può giocare. Non
solo perché scrive senza vocali, ma soprattutto per ciò che sa di Gesù.
Ciò che conta è che “il Nazoreo” - qui associato da Matteo a Nazareth - è “il
quotidianità - ogni riposo e fatica, ogni gioia e dolore, ogni amore e timore,
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il cammino da Bethlem all’Egitto e dall’Egitto a
Nazareth
c. chiedo ciò che voglio: accogliere il Nazoreo come il tutto della mia vita: in
lui “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9), in lui sono
nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3)
d. traendone frutto, contemplo le varie scene: la discesa in Egitto, la shoà dei
bimbi/servi, l’ascesa alla terra, la casa a Nazareth
da notare:
i sogni di Giuseppe: cosa dicono e come li esegue
la fuga in Egitto
dall’Egitto ho chiamato mio figlio
mandò ad uccidere tutti i bambini
il pianto di Rachele per i suoi figli che non sono più (l’esilio)
Nazoreo sarà chiamato
il mistero della quotidianità di Nazareth.
4. Testi utili: Sir 3,2-6; Sal 128; 1Gv 1,5-2,2; Sal 124; Sal 2; Os 11,1ss.
41
5. IO VI BATTEZZO CON ACQUA PER LA CONVERSIONE
3,1-12
42
Il suo ventilabro ha in mano
e pulirà la sua aia:
e raccoglierà il suo grano nel granaio,
ma la pula brucerà
con fuoco inestinguibile.
“Io vi battezzo con acqua per la conversione”, dice Giovanni a quelli che
vanno da lui. È l’ultimo profeta, l’Elia che deve tornare, per chiamare alla
condotto il peccato - riceveremo il fuoco dello Spirito, la vita nuova dei figli di
Dio.
senza uomo ed infine senza Dio. Dietro la Parola, c’è colui che parla. Non c’è
colui che nella sua parola comunica se stesso. Per questo il profeta chiama “a
guardare in alto” (Os 11,7), a levare lo sguardo dalle cose alla mano e al volto
Il pericolo di una religione della Parola è ridurre questa a feticcio, come nelle
può fare ciò che i pagani fanno con gli altri doni di Dio: dimenticare il rimando
a lui. Al pollo interessa il becchime, non chi glielo dà, se non nella misura in cui
Giovanni è il profeta che sta sulla soglia tra il passato e il futuro. Per lui la
promessa non è la tomba, ma il grembo della novità. Icona dell’AT che passa
43
al suo compimento, è l’Elia che deve venire (Ml 3,23), che anzi è già venuto,
Signore che ha promesso. Non è solo l’asceta o il mistico che incontra Dio nella
solitudine del deserto: è l’apostolo, che vuol aprire tutti ad accogliere colui che
Messia (Gv 1,19s). Marco lo presenta come l’angelo di Ml 3,1s, che prelude la
venuta del Signore (Mc 1,2). Qui Matteo lo presenta come colui che annuncia
la fine dell’esilio (3,3; Is 40,3). Egli, come Elia, è l’uomo davanti a Dio, pronto
rispetto a loro, ha una coscienza nuova. Sa che arriva colui che ha promesso.
Questi ci battezzerà, invece che nell’acqua della morte, nel fuoco del suo
amore.
apre al desiderato che viene, porta che si spalanca al Signore che bussa.
colui che è “avvento”: noi tendiamo a lui, perché lui viene a noi.
Il brano si articola in tre parti: l’apparire di Giovanni nel deserto che annuncia
la venuta del regno e la fine dell’esilio (vv. 1-6), il suo appello alla conversione
(vv. 7-10), l’annuncio del Messia che viene col fuoco del suo Spirito (vv. 11-
12).
Gesù è il Figlio che il Padre manda ai fratelli per ricondurli dall’esilio a casa. È
colui che “deve venire”. E viene per chi lo attende, come il Battista.
44
2. Lettura del testo
3,1 Ora, in quei giorni. È il primo inizio con queste parole. La liturgia ogni
volta che legge il vangelo, comincia così: “In quel tempo, ecc. ”. Quei giorni, o
a ciò che accade, perché accada anche a lui. L’ascolto introduce nell’oggi
immerge l’uomo nella sua verità, perché possa aprirsi alla verità di Dio.
nel deserto. Il deserto, posto tra l’Egitto e “la terra”, è per Israele il luogo del
già e non-ancora: già fuori della schiavitù, non ancora nella libertà. È il luogo
del cammino e del dubbio, dell’ascolto e della ribellione, della fiducia e della
caduta. Nel deserto non c’è nulla, e si va verso il tutto. La solitudine mette
ognuno davanti a sé, agli altri e all’Altro, senza via di scampo. Lì fu data la
una volta passato, ricorda il deserto come il tempo del fidanzamento, in cui
Dio e popolo “si parlavano”. E attende un nuovo deserto, un rifiorire del primo
con-vertirsi a lui, e non “per-vertirsi” in altre direzioni. L’uomo, che fin dal
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pensare e di agire. La conversione più difficile è quella “religiosa”: cambiare il
modo di pensare Dio e di rapportarsi a lui, volgersi dalla nostre idee su di lui - i
nostri idoli! - a lui come si rivela: “Guardate a lui e sarete raggianti” (Sal 34,6).
perché è qui il regno dei cieli (cf 4,17!). È il motivo della conversione. Il regno
di Dio è Dio stesso che regna e libera l’uomo da ogni schiavitù, rendendolo a
sua immagine e somiglianza. Ciò per cui Dio è Dio è la sua libertà. E vuol
è colui che fu detto per mezzo del profeta Isaia (Is 40,3). Giovanni è visto
alla terra. L’esilio è l’esperienza fallimentare del popolo di Dio. I profeti hanno
consumate a partire dal primo re - voluto contro il volere di Dio (1Sam 8,1ss) -
possibile nei confronti di chi riconosce il proprio peccato. Il “ritorno alla terra”,
voce di uno che grida. Giovanni è la voce, Gesù la Parola. Non può esserci
l’uno senza l’altro: senza voce la parola non può esprimersi, senza parola la
annuncio suscita il desiderio del dono impossibile che il Signore sta per fare.
Lo scarto tra la nostra realtà di male e la verità della promessa è il luogo del
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fate diritti i suoi sentieri. È un cammino diritto, sul quale si intrecciano i
vestito di Elia, padre dei profeti (2Re 1,8). Richiama le tuniche di pelle che Dio
aveva fatto ai nostri progenitori (Gen 3,21), in attesa di rivestirci del suo Figlio
stesso (Gal 3,27, Rm 13,14; Ef 4,24; Col 3,10), che resterà nudo per noi sulla
croce (27,35).
I suoi fianchi sono cinti, pronti per l’esodo (Es 12,11; cf Lc 12,35). Suo
nutrimento sono locuste e miele selvatico, cibi del deserto, dove il popolo visse
vittoriosa sulla menzogna del serpente che uccise l’uomo. Anche il miele
richiama la Parola, più dolce del miele al palato (Sal 19,11; 119,103).
Giovanni è l’uomo nuovo, profeta rivestito di Cristo, che della Parola fa il suo
cibo.
Giudea verso il deserto. Anche chi crede di essere in patria deve uscire dai
luoghi sacri e dalle proprie immagini di Dio, per incontrare lui stesso che ci
dono di Dio.
Prestiamo orecchio non alla parola del Padre della luce che dà vita, ma a
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Non basta andare dal Battista - e neanche ricevere i sacramenti cristiani -, se
l’ira imminente. L’ira di Dio non è mai contro di noi, ma contro il nostro male,
perché ci fa male. Quando Dio si adira, l’uomo è salvo. Con essa egli opera il
suo giudizio: la fine del male ed il trionfo del bene, la morte del peccato e la
v. 8 fate dunque frutto (7,15ss). È il frutto dello Spirito (Gal 5,22): la vita
nuova di Dio, in contrapposizione alle opere vecchie della carne (cf Gal 5,19-
21).
Abramo sono quelli che, come lui, ascoltano la parola di Dio, ed entrano nella
sua benedizione mediante la fede (Gal 3,14). C’è una falsa sicurezza data
del regno, perché non vive da figlio e da fratello (7,15-20). Per questo sarà
colui che viene. Il Signore è “colui che viene”. Ma non può arrivare se non
non sono degno, ecc. Giovanni si ritiene meno di un servo che porta i sandali!
nell’acqua, simbolo di morte, bensì nello Spirito, nella vita di Dio. Lo Spirito
Santo è il fuoco del suo amore che tutto purifica, illumina e vivifica. Nulla di ciò
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il ventilabro. Il nostro giudizio è fatto col setaccio: trattiene la crusca e lascia
uscire il grano. Quello di Dio è fatto col ventilabro: trattiene il bene e disperde
suo giudizio sarà la croce, dove brucia ogni nostro male e ci dà la sua vita.
3 Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Giovanni nel deserto e sulle rive del Giordano
c. chiedo ciò che voglio: convertirmi al giudizio di Dio
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
convertitevi, perché il regno di Dio è qui
voce di uno che grida
il luogo, il vestito e il cibo di Giovanni
il battesimo in acqua e quello in Spirito Santo e fuoco.
4. Testi utili: Is 11,1-10; Sal 72; 51; Is 40,1 ss; Ml 3,1ss; Ez 36,22-36; 37,1-
14.
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6. QUESTI È IL FIGLIO MIO, L’AMATO,
3,13-17
3 13 Allora compare Gesù
dalla Galilea al Giordano
davanti a Giovanni
per essere battezzato da lui.
14 Ora Giovanni lo impediva,
dicendo:
Io ho bisogno
di essere battezzato da te,
e tu vieni da me?
15 Ora, rispondendo, Gesù
gli disse:
Lascia per ora,
poiché così conviene a noi
che compiamo ogni giustizia.
Allora lo lasciò.
16 Ora, battezzato, Gesù
subito salì dall’acqua;
ed ecco si aprirono (a lui) i cieli,
e vide lo Spirito di Dio
scendere come colomba
e venire su di lui.
17 Ed ecco una voce dai cieli
che dice:
Questi
è il Figlio mio,
l’amato,
nel quale mi sono compiaciuto!
compiace del Figlio che ha fatto la scelta di immergersi tra i fratelli peccatori.
È la prima volta che parla, confermando Gesù come il Figlio. La seconda volta
aggiungerà per noi: “Ascoltate lui” (17,7). E non dirà più niente. Gesù, Verbo
unico del Padre, con ciò che fa e dice rivela quel Dio che nessuno mai ha
È il Figlio che, conoscendo l’amore del Padre per i suoi figli, si fa loro fratello: si
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mischia tra i peccatori, si immerge nella loro realtà, solidale con loro in un
amore più grande della morte. È necessario per il Figlio è farsi fratello.
Il brano è una miniatura che contiene tutto il vangelo e rivela il mistero più
profondo di Dio: la Trinità, come Amore tra Padre e Figlio, offerto da questo a
tutti i fratelli.
come può essere diversamente, se vuole essere con noi? L’immagine che Dio
come qui nelle acque, là si squarcerà il velo del tempio come qui il cielo, là
darà a tutti lo Spirito che qui riceve, là si rivolgerà al Padre che qui lo chiama,
là sarà riconosciuto Figlio dal fratello più lontano come qui dal Padre (27,51-
che questo modo, il più adeguato ai nostri bisogni e alla sua natura. Il
introduce nella casa di Dio. Non è lui tutto una porta spalancata all’uomo?
scandaloso che il più forte sia battezzato dal più debole, che l’innocente e il
51
giusto si metta dalla parte dei peccatori. Poi ci si presenta Gesù che si
immerge ed esce dall’acqua (v. 16a), il cielo che si apre e lo Spirito che scende
(v. 16b), e infine la voce del Padre che si compiace della scelta del Figlio ( v.
17).
Il Figlio si è fatto con noi e per noi maledizione e peccato (Gal 3,13; 2Cor
5,21), perché noi partecipassimo alla benedizione della sua vita. Non si è
vergognato di chiamarci suoi fratelli (Eb 2,11), per ricondurci nell’amore suo
In questo suo immergersi, in cui si fa solidale con noi nel nostro limite, il
stessi.
Gesù nel battesimo si rivela Figlio di Dio, e rivela chi è Dio: è Padre suo e vuol
3,13 Allora compare Gesù dalla Galilea, ecc. È l’inizio del suo ministero. Gesù
fa battezzare confessando i propri peccati (v. 6). Perché viene anche lui? Che
Nel Giordano, sulla soglia della terra promessa, tutti riversano i loro peccati:
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lordure, uscendone purificati; lui vi si immerge, uscendone carico della nostra
immondezza.
Questa scelta di Gesù, che si mette in fila coi peccatori e si immerge nel
nostro male, rivela Dio come simpatia piena per ogni sua creatura. È la
vuole battezzarlo perché vuole il suo battesimo. Ignora che il suo battesimo
viene proprio dal suo battezzarsi in noi. Noi siamo battezzati nella sua
solidarietà con noi, nella sua morte (Rm 6,3). Se lui, il Giusto, non muore per
ma non riceviamo lo Spirito. Se lui invece si immerge e muore con noi, noi non
siamo più soli: sia che vegliamo sia che dormiamo, siamo sempre con lui (1Ts
bisogno di essere battezzati da Gesù, ma in Gesù che si battezza con noi - lui
non battezzava, precisa Giovanni (Gv 4,2)! È necessario che lui si battezzi
nella nostra morte, perché in essa noi non affoghiamo più nel nostro peccato,
ma veniamo alla luce del suo amore. “Bisogna” che il Figlio dell’uomo riceva
da noi il nostro battesimo (16,21), perché ogni uomo nel proprio battesimo
incontri lui, Signore della vita. Ha scelto di venire nel gorgo del nostro abisso,
perché il fuoco del suo Spirito creatore entri nell’acqua della nostra morte e ci
risusciti.
v. 15 lascia per ora. Gesù chiede a me, come a Giovanni, che non gli
impedisca di entrare nella mia morte. Diversamente non può darmi la sua vita,
così conviene a noi. Così conviene “a noi”, a te e a me, dice Gesù. Conviene a
perché diversamente non sarei l’Emmanuele, il Dio amore. Ciò che per te è
53
conveniente, per me è necessario! In questo modo, non in altro, sei salvato. Tu
avresti fatto diversamente. Questo modo invece ho scelto io, perché è l’unico
che conviene a me, l’Emmanuele, per essere-con-te, e a te, perché tu sia con
me.
compiamo ogni giustizia. Così sia io che tu compiamo ogni giustizia. Nel fatto
che io, il Figlio, sono solidale con i fratelli, tutti si riconoscono figli. La giustizia
è ciò che Dio vuole. E Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati mediante la
conoscenza della loro verità di figli nel Figlio (cf 1Tm 2,4). L’Unigenito, che
conosce la volontà del Padre, viene sulle rive del Giordano per comunicarla a
Mentre tu sei qui per riconoscere il tuo limite e il tuo male, io sono qui per farti
allora lo lasciò. Chi ti ha fatto senza di te, non può salvarti senza di te (S.
Agostino). È necessario il tuo permesso. Perché lui è libertà e non può non
v. 16 battezzato. La sua immersione nelle acque della nostra morte è per lui
Gesù subito salì. Il suo immergersi è anche il suo emergere: il suo essere
ecco si aprirono (a lui) i cieli. Nella sua morte si squarcerà il velo del tempio
(27,51). Dio non è più nascosto; il cielo, prima chiuso, si è aperto. Si compie il
lo Spirito di Dio. Dove c’è solidarietà, il cielo è in terra, il Figlio tra i fratelli! Lo
Spirito che ora scende su di lui, sarà consegnato a noi nella sua umanità a tutti
sul Giordano ricorda lo Spirito di Dio che aleggiava sulle acque e trasse il
cosmo dal caos (Gen 1,2): il battezzarsi del Figlio nel nostro abisso è un nuovo
54
atto creatore. Richiama anche la fine del diluvio (Gen 8,11s): il battesimo di
Gesù è una creazione nuova che porta la pace definitiva - una vita al di là e al
di sopra di ogni male, che non sarà più distrutta (Gen 8,21; 9,8-17). Allude
pure all’Esodo: Dio, come aquila potente, portò il suo popolo oltre le acque del
mar Rosso (Es 19,4); ora, come mite colomba, lo porta alla libertà del Figlio. La
Spirito di misericordia del suo Signore. Ed è infine la sposa del Cantico dei
cantici, il popolo che risponde all’amore del suo Signore per lui (Ct 2,14.16),
Questo Spirito, che da sempre è la vita di Dio, ora è finalmente tra noi nel
v. 17 una voce. Dio non ha volto; non bisogna farsi immagini di lui, come
pure dell’uomo. Perché lui è voce, che esprime la Parola, e il suo volto è il
Figlio, che la realizza. Se ascoltiamo lui (17,5), anche noi diventiamo come lui.
è il Figlio mio, l’amato. Il Figlio è il volto stesso del Padre: chi ha visto me, ha
visto il Padre (Gv 14,9). È la sua parola, perfettamente ascoltata, fatta carne.
re, uomo ideale e ideale di ogni uomo, perché è come Dio - amore che si fa
servo di tutti. L’espressione, presa con ciò che segue, richiama Is 42,1ss, il
“amato”, o prediletto, allude al sacrificio del figlio Isacco (Gen 22,2). Proprio
nella morte del Figlio si rivela sulla terra Dio e la sua regalità di servizio per
ogni uomo.
“Bravo! Sei mio figlio, uguale a me: fai ciò che a me piace fare”. Anche Adamo
voleva essere uguale a Dio; ma non conosceva ciò che a Dio piace.
55
Il Padre in tutto il vangelo parla solo due volte: qui e nella trasfigurazione.
Qui per confermare il Figlio nella sua scelta di servo; là per rivelare a noi la
gloria di questo Figlio, perché lo ascoltiamo e diventiamo anche noi come lui.
Se noi accettiamo che lui si battezzi con noi e ci battezziamo in lui, siamo
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo sulle rive del Giordano, dove tutti, e anche Gesù, si fanno
battezzare
c. chiedo ciò che voglio: la scelta e lo Spirito del Figlio
d. traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono,
che fanno
da notare:
Gesù in fila coi peccatori al Giordano
la protesta del Battista
la risposta di Gesù
così conviene a noi che compiamo ogni giustizia
Gesù battezzato
salì dall’acqua
si aprirono i cieli
lo Spirito di Dio scendere come colomba
la voce del Padre
questi è il Figlio mio l’amato
nel quale mi sono compiaciuto.
4. Testi utili: Is 42,1ss; Sal 2; Gen 1,1ss; Gen 8-9; Gen 22,1ss; Gal 4,4-7; Rm
8,15-17.
56
7. VATTENE, SATANA!
4,1-11
57
11 Allora lo lasciò il diavolo;
ed ecco: angeli si avvicinarono
e lo servivano.
“Vattene, satana!”, dice Gesù a chi gli prospetta un modo di essere figlio che
L’uomo è relazione con cose, con persone e con Dio, che rispettivamente gli
assicurano la vita animale, umana e spirituale. Questi sono gli ambiti della
tentazione, con possibilità di vittoria o di caduta, secondo che siano vissuti con
lo Spirito del Figlio che tutto riceve in dono e dona, o con quello del vecchio
lo stesso di Israele, della Chiesa e di ciascuno di noi: rubare ciò che è donato.
di tutti i mali.
Le tentazioni di Gesù corrispondono alle tre concupiscenze (1Gv 2,16) e ai tre
aspetti seducenti del frutto proibito (Gen 3,6): il possesso delle cose è buono
desiderabile per essere autosufficienti in tutto. Gli idoli dell’avere, del potere e
alla quale Dio risponde rispettivamente con il dare e servire in amore e umiltà.
Gesù ha compiuto la scelta del Figlio: la solidarietà con i fratelli. Ora c’è uno
scontro tra due vie di salvezza: la sua, che porta a unirsi agli altri, e quella
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satana, che è egoismo e divisione. È un’opposizione interna che attraversa il
conseguire meglio l’obiettivo: mostrare che Gesù è “il Figlio di Dio”. Il male è
sempre a fin di bene. Ma non basta agire a fine di bene: i mezzi devono essere
umiliazione e umiltà.
Gesù rifiuta i messianismi correnti della sua e di ogni epoca. Sono i tre idoli
che dominano l’uomo, proiezione dei suoi bisogni: l’idolatria delle cose, con un
Le cose, le persone e Dio sono i tre bisogni vitali: l’uomo può soddisfarli in
del Padre. Questo brano ci svela come noi ci perdiamo nell’illusione di salvarci,
attese.
59
Gesù smaschera satana e gli dice: “Vattene!”. In Pietro, che gli prospetterà
“Satana”. Ma non gli dirà: “Vattene”, bensì: “Va’ dietro di me” (16,23).
ingresso. Sono la lotta che Gesù continuerà tutta la vita, nella fatica di vivere il
Gesù è il Figlio: tutto riceve dal Padre e tutto dà ai fratelli. Il suo rapporto con
le cose non è di rapina, ma di dono - fino al dono di sé, quando si farà pane
per tutti in obbedienza alla Parola del Padre -; il suo rapporto con Dio non è la
suo peccato peggiore: pur amando Gesù, non pensa e non agisce come lui,
come fece anche Pietro (16,23!). Deve sempre stare attenta a non considerare
4,1 Gesù fu portato su nel deserto. Lo Spirito ricevuto nel battesimo lo porta
non in un luogo privilegiato, bensì nel deserto montagnoso che sta sopra il
Giordano. Nel deserto si trovò Adamo dopo il peccato e Israele dopo l’uscita
all’ascolto, per ricondurci alla “terra”. Il Figlio, dopo il battesimo, è portato nel
perduti.
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dall’Egitto e dalle mani del Faraone; gli sarà più difficile liberarlo dall’Egitto e
dal Faraone che è in lui stesso. Non gli basteranno quarant’anni di paziente
lavoro.
ci si oppone a lui. Fino a quando si è con altri, si può sempre pensare che
In greco “tentare” (peiràzo) viene da “peîro” (da cui “punta”), che significa
che impedisce il guado. Tutte queste parole italiane hanno la stessa radice
alla vita filiale, la purificazione della fede (Gc 1,2s; 1 Pt 1,6), la “prova” che
siamo figli e non bastardi (Eb 12,8). Per questo le tribolazioni, invece di
abbatterci, ci danno gioia (cf 5,11; At 5,41; Gc 1,2; 1Pt 1,6). Paolo si vanta di
esse (Rm 5,3-5), sapendo che producono la speranza contro ogni speranza
(Rm 4,18), la sola che non delude. Noi pensiamo che, se non ci fossero, tutto
quale ci opponiamo!
dal diavolo. Diavolo (vv. 1.5.8.11) in greco significa “divisore”: è colui che ci
divide da Dio e ci lascia soli. È chiamato anche il “tentatore “(v. 3): tenta di
farci cadere. È chiamato pure “satana” (v. 10), l’accusatore: una volta che
v. 2 dopo aver digiunato. Considerare il cibo come vita è causa di bulimia nel
riconoscimento che la vita è dono, e viene non dal cibo, bensì dal Padre. Il
digiuno è associato alla preghiera e allo studio della Torà, proprio perché la
61
“simbolico”: non è dieta o controllo sul cibo, ma segno che si riconosce Dio
in cammino verso l’Oreb (Es 34,8; Dt 9,9.18; 1Re 19,1-8). Il numero allude
anche agli anni di Israele nel deserto: è una vita! Tutta la vita è “deserto”,
quaranta notti. Anche nel Ramadan si digiuna quaranta giorni; di notte però
si mangia.
varie fami: di vita animale, garantita dal cibo, di identità personale, garantita
cercare in modo sbagliato. La prima è del principiante, che dice: “Il bene non è
esce contento chi lotta con coraggio. La seconda è dei “perfetti”, che vi
scarso il discernimento.
Le tentazioni hanno sempre l’apparenza del bene: “Se sei Figlio di Dio!” È
quanto Gesù è venuto a provare. Il male peggiore è fatto per i fini migliori. Per
questo gli amici di Dio nuocciono al suo regno più di qualunque nemico! A chi
prima.
È grave usare “a fin di bene” ciò che Gesù rifiutò come male. Quale uomo di
62
Gesù fu non compreso e abbandonato da giudei e da romani, da nemici e da
amici - passati e presenti, e così sarà anche in futuro - solo perché ebbe la
la salvezza è la salute mia e tutto ciò che la può garantire. Il mio corpo è il mio
assolutizzazione del proprio benessere fisico, senza sapere che questo non è il
fine, bensì un mezzo che ha un fine e una fine. La brama di ricchezza, che
dovrebbe esserne garanzia, è vera idolatria (Ef 5,5), radice di tutti i mali (1Tm
6,10).
sta scritto. Alla prospettiva ovvia e naturale dell’uomo, Gesù risponde con la
prospettiva di Dio: “Sta scritto”. Rifarsi alla sua parola è l’unica possibilità per
non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio
tentazione dell’uomo, che consiste nel porre la falsa alternativa tra pane e
Parola, materia e Spirito, uomo e Dio. Questo capita quando si fa delle proprie
fami l’assoluto. L’assoluto non è la vita materiale, ma “il modo” con cui la vivo.
Se ascolto la parola del Padre, vivo da figlio e da fratello. Questo assicura già
63
v. 5 sul pinnacolo del tempio, ecc. È la tentazione centrale: un messianismo
che risponda alle attese religiose, garantendo il “possesso” di Dio con segni
visibili (“Gott mit uns”). La sete del religioso è un’ansia di sicurezza che fa
Dio e alla perversione della fede: si cercano i doni invece del Donatore, si
pretende di essere ascoltati da lui invece di ascoltarlo, si vuole che lui faccia
ciò che piace a noi invece di fare noi ciò che piace a lui. Su questa via non si
arriverà mai al Signore. Non conoscerà mai l’amore dei genitori chi ne cerca
seconda: cerco di garantirmi lui, per avere ogni pane. Senza sapere che il pane
nella sua parola (v. 4). Ora il diavolo, facendosi sottile teologo, cita a proposito
il Sal 91: Gesù si fida davvero della parola del Padre, e questa merita fiducia?
che lui è il Figlio, che si fida del Padre! Se non lo fa, non ha fiducia in lui, e
l’inganno?
v. 7 sta scritto anche. Non si può isolare un aspetto della Parola da un altro: è
una “eresia”, con cui scelgo ciò che Dio dovrebbe fare a mio vantaggio,
I doni sono segno del suo amore; pretenderli, significa non credere al suo
amore. A chi li pretende non sono dati (16,4); chi ama non li richiede e ne
scopre in abbondanza.
64
non tenterai il Signore Dio tuo (Dt 6,16; Es 17,1-7). Gesù risponde
a noi, di comperarlo. Povero Dio, che è amore! Questo è il peccato più grave
essere ascoltato da noi. La sua parola ci è data perché noi, e non lui,
obbediamo ad essa.
v. 8 tutti i regni del mondo e la loro gloria. Il Messia deve dominare da mare
a mare (Sal 2,6.8; 72,8; 110,1s); a lui è stato dato ogni potere, in cielo e sulla
grottesco di Dio e del suo regno. Tolgono la libertà invece di darla, cercano il
“Gloria”.
adora satana, a chi lo ritiene come valore assoluto. Vorremmo che il Messia
fosse il garante divino del potere dell’uomo sull’uomo. Ma Dio non conferma il
Gesù sarà re, ma sulla croce. Lì si rivelerà come libertà assoluta, mettendo la
di questo tipo, e non il crocifisso (16,23). Quanti cristi satanici che rispondono
ai nostri deliri di potenza! La croce è la distanza infinita che Dio ha posto tra se
65
Il potere di satana sul mondo si farà sempre più forte. Cristo lo vincerà sulla
il Signore Dio tuo adorerai. Gesù risponde con Dt 6,13 (cf Es 32,1s), in cui si
richiama il vitello d’oro. Qui c’è la vera alternativa: tra ciò che è e ciò che
coi piedi di argilla (cf Dn 2,31-33) - è spazzato via dal “sassolino” della
debolezza di Dio.
nostra. Tutti, come siamo caduti nella sconfitta di Adamo, siamo vincitori nel
suo trionfo.
ora anche del Figlio dell’uomo. Infatti la sua obbedienza di Figlio lo restituisce
Marco parla anche di fiere (Mc 1,13). Bestie selvagge in noi sono le fami, i
bisogni, gli impulsi. Se li viviamo in modo filiale, anche con esse possiamo
Dio. Il creato torna alla sua purezza originaria, prima della caduta. Se invece li
suo emissario (Ap 13,1ss), che vuol divorarci. La stessa realtà di limite può
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il deserto dove Gesù si trova
c. chiedo ciò che voglio: discernere le suggestioni del nemico “a fin di bene”
d. traendone frutto, considero Gesù portato nel deserto e le tre diverse
tentazioni
da notare:
fu portato su nel deserto dallo Spirito
diavolo (= divisore), tentatore, satana (= accusatore)
66
“se sei Figlio di Dio”/“sta scritto”
pietre/pane/parola
il diavolo cita le Scritture “a proposito”
“sta scritto”/“sta scritto anche”
non tenterai il Signore Dio tuo
tutti i regni del mondo e la loro gloria
vattene, satana
adorerai solo il Signore
gli angeli lo servivano.
4. Testi utili: Gen 2,7-9; 3,1-7; Sal 51; 91; Sir 2; Es 16,2ss (Dt 8,3); Es 17,1-7
67
8. IL REGNO DEI CIELI È QUI.
4,12-17
“Il regno dei cieli è qui”, suona il proclama di Gesù. Vinto satana, arriva il
regno. C’è una contrapposizione tra i regni prospettati dal nemico e quello
voluto dal Signore: la stessa che c’è tra cielo e terra, tra uomo e Dio. I regni
della terra sono quelli di Adamo, che pone come principio di vita le proprie
paure - e le realizza -; il regno dei cieli è Gesù, che ha come principio il Padre
Il brano segna il passaggio tra l’attività del Precursore e quella del Messia.
Dopo il ritiro nel deserto e l’arresto del Battista, Gesù torna in Galilea; non va
però al suo paese, bensì a Cafarnao. L’inizio del suo ministero è visto come il
destino del suo Signore. È profeta non solo con la parola, ma anche con la vita.
68
Gesù si “ritira” dalla Giudea in Galilea per non fare subito la stessa fine, e da lì
centro sul lago, via di comunicazione, è più adatta per il suo ministero.
Nei vv. 14-16, Matteo risponde all’obiezione di chi sa che il Messia viene da
Giuda (cf 2,6), mostrando che la sua “fuga tattica” è compimento della
profezia di Isaia, che aveva previsto il sorgere della luce proprio nella Galilea
dei pagani. Il regno è visto come luce che vince le tenebre e la morte.
Il v. 17 è il proclama di Gesù, identico a quello del Battista. Ciò che prima era
attraverso i fatti e i detti di Gesù, mostrerà il cammino della vita nuova del
regno.
Gesù è la luce promessa a Israele e, per mezzo di lui, a tutti gli uomini. In lui
si realizza il passaggio dalla nostra notte al giorno di Dio, dalla morte alla vita,
dai vari regni della terra che uccidono, all’unico regno dei cieli che fa vivere.
La Chiesa ha in Israele la sua radice santa (Rm 9-11; Sal 87). L’inserimento in
3,7-10).
Infatti è “consegnato”, come Gesù. Questa parola indica sia l’azione degli
uomini, che consegnano il Figlio dell’uomo, sia quella del Padre che lo
consegna a noi, sia quella di Gesù che si consegna nella mani dei fratelli come
senza aggiungervi altro, realizza in essa la sua libertà di donarsi. Con lo stesso
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atto con cui noi gli togliamo la vita, lui ci dà la sua vita: nel nostro furto, lui si
dona! Per questo la storia ha comunque ormai un esito positivo (Rm 8,28).
Con la sua fine, Giovanni non è finito, ma raggiunge il suo fine: diventa
testimone con la vita di ciò che prima aveva detto con la parola. Il martire non
muore, ma è ucciso; così ricorda anche con la sua morte che ciò per cui vive
Gesù si ritirò in Galilea. Gesù passa dal deserto di Giuda alla Galilea. Lì
Battista ne segna l’inizio: quel regno che si realizzerà sulla croce, si compie e
galilaica”. Si trova in un luogo fertile e piano, ricco di villaggi, il più piccolo dei
quali conta 15.000 abitanti - dice Giuseppe Flavio, con evidente esagerazione
regione. Qui nacque il moto messianicoo degli Zeloti, in gran parte galilei.
70
v. 15 Galilea delle genti. Le genti sono i pagani. La Galilea, luogo di
controllo del Tempio, zona di confine, piena di pagani, fa da ponte naturale tra
volge alle genti, le genti alla Giudea (cf Sal 87; Is 2,1-5), perché la salvezza è
per tutti.
v. 16 il popolo che sedeva nelle tenebre, ecc. Nella profezia di Isaia si parla di
Adamo, ebrei e non, che, con o senza legge, sono schiavi del male, privi della
Le tenebre sono il caos primordiale dal quale Dio creò il cosmo con la sua
parola, sono l’oscurità d’Egitto dal quale Dio fece venire alla luce della libertà il
creazione. La sua venuta è “il giorno di Dio”, previsto dai profeti, che pone fine
alla notte del mondo. Anche i pagani hanno visto la luce della sua stella (2,2),
Come la tenebra è simbolo del male e della morte, così la luce è simbolo del
La luce è grande, e si leva nel cuore delle tenebre. La lotta tra luce e tenebre
71
ciascuno in privato, un fatto atteso da sempre: è venuto il giorno di Dio, di cui
il Battista è stato, con gli altri profeti, la stella del mattino (2Pt 1,19).
convertitevi. Convertirsi, volgersi alla luce, aprire gli occhi, è ormai l’unica
condizione per entrare nel giorno che già c’è. È un cambio di mente e di cuore,
di occhi e di vita. “Sentinella, quanto resta della notte?”, chiediamo con ansia
(Is 21,11). Resta ormai solo il tempo del nostro svegliarci dal sonno (cf Rm
13,11).
convertirci a lui. Da sempre lui è rivolto a noi: attende solo che noi ci volgiamo
il regno dei cieli è qui. Se Dio regna sulla terra, comincia la libertà dell’uomo.
Il regno, prima atteso e ora presente in Gesù, è quello del Padre, in cui viviamo
In genere noi viviamo nei ricordi del passato o nella speranza del futuro, nel
“già” che non c’è più o nel “non-ancora” che ancora non c’è. Gesù ci richiama
a vivere “ora”, il tempo tra il già e il non-ancora: è l’unico che c’è, il solo in cui
incontriamo colui che è. Infatti ciò che desideriamo è “qui”, non altrove. Basta
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando la Galilea e Cafarnao, sul lago, dove Gesù inizia
il suo ministero
c. chiedo ciò che voglio: volgermi, qui e ora, a Gesù e alla sua parola
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
la consegna di Giovanni Battista
Gesù lascia Nazareth e va a Cafarnao
il ministero di Gesù come luce nelle tenebre
convertitevi
72
il regno dei cieli è qui.
4. Testi utili: Is 8,23b-9,3; Sal 27; At 4,24-30; Sap 1-5; Ap 5; Sal 87; Is 2,2-5;
73
9. VENITE QUI, DIETRO DI ME
4,18-25
4,18Ora, camminando sulla riva
del mare di Galilea,
vide due fratelli,
Simone chiamato Pietro
e Andrea, suo fratello,
gettare il giacchio nel mare;
erano infatti pescatori.
19 E dice loro:
Venite dietro di me,
e vi farò pescatori di uomini!
20 Ora essi, subito,
lasciate le reti,
seguirono lui.
21 E, andato oltre,
vide altri due fratelli,
Giacomo di Zebedeo
e Giovanni, suo fratello,
nella barca con Zebedeo, loro padre,
a rassettare le loro reti,
e li chiamò.
22 Ora essi, subito,
lasciata la barca
e il loro padre,
seguirono lui.
23 E girava per tutta la Galilea,
insegnando nelle loro sinagoghe
e proclamando l’evangelo del regno
e curando ogni malattia
e ogni infermità del popolo.
24 E uscì la sua fama
per tutta la Siria,
e portarono a lui
tutti i malati,
oppressi da molteplici malattie e tormenti,
e indemoniati e lunatici e paralitici,
e li curò.
25 E lo seguirono numerose folle
dalla Galilea e dalla Decapoli,
da Gerusalemme e dalla Giudea
e da oltre il Giordano.
74
Dio-con-noi, entrare nel regno dei cieli, che già è qui: è lui. Si segue lui per
diventare come lui, figli e fratelli, che vivono il regno del Padre.
personale con Gesù, il mio Signore, che amo perché lui per primo mi ama.
L’amore per lui, che si esprime inorecchi che ascoltano, occhi che guardano,
piedi che seguono, mani che toccano, fiuto che sente, bocca che assapora e
“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo” ( Ger 17,5). L’uomo può seguire
solo Dio e la sua parola, che è “la via”. Seguiamo Gesù perché è Dio, Parola
fatta carne. Il cammino del Figlio dell’uomo tra gli uomini è come l’ordito
attorno al quale cresce la trama del cammino dei fratelli, che, pur errando qua
e là, lo seguono.
vocazione, una chiamata dal nulla. Il suo chiamarmi per nome è il mio stesso
esistere nella mia verità: il mio io è il mio nome detto da Dio! Conoscere come
“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una luce grande” (v. 16). Come
al principio “Dio disse”, e dal caos fu la luce, così il Signore dice il mio nome, e
sono due le chiamate, perché due è il principio di molti. Oltre la prima, ce n’è
i fratelli dall’abisso delle loro perdizioni (vv. 23-24). Pescati da lui, diventano
come lui: figli che si fanno fratelli di tutti i perduti. A loro, immediatamente
loro e del Padre. Capiranno meglio la loro chiamata quando, a loro volta,
75
Le due scene di chiamata (vv. 18-20.21-22) sono gemelle. I diversi dettagli
“lasciano reti”, “barca” e “padre”, e “seguono lui”. Sono gli elementi di ogni
vocazione, che comincia con i piedi di Gesù che cammina per venirci incontro
e termina coi nostri che camminano dietro di lui per seguirlo. Il principio è il
“vedere” e “chiamare” suo, che ci fa “lasciare tutto” e “seguire lui”, per essere
I vv. 23-25 ci presentano Gesù che pesca gli uomini. Il tema verrà ripreso in
9,35, alla fine del discorso sul monte e dei miracoli: il suo dire e fare “pesca”
Gesù è la parola del Padre, il Figlio, che ci guida nel cammino verso la libertà,
come la nube che guida il popolo verso la terra promessa (Nm 9,15-23).
I discepoli sono chiamati a fare il suo stesso cammino, luminoso per chi va
verso la libertà e oscuro per gli altri (Es 14,20). È il passaggio dalle tenebre
alla luce (4,16), il venire alla luce dell’uomo nuovo. Tutto il vangelo racconta
sulla riva del mare. L’acqua richiama sia la Genesi che l’Esodo, la creazione
nuova e la liberazione.
76
vide. L’occhio va dove porta il cuore e porta al cuore ciò verso cui va.
L’occhio di Dio, il suo vedermi, è il mio stesso esistere. Io sono in quanto visto
Come mi vede Dio? Gesù dice di ciascuno di noi al Padre: “Li hai amati come
hai amato me” (Gv 17,23). Vedere come lui mi vede, conoscere come sono da
lui conosciuto, è felicità senza fine (1Cor 13,12; 1Gv 3,2). Sono prezioso ai suoi
occhi, degno di stima, perché mi ama (Is 43,4) di amore eterno (Ger 31,3).
Sono un prodigio per lui che mi è più madre di mia madre (cf Sal 139,13s). Lui
mi turba”, e: “Tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo” (Ct 6,5; 4,9).
Capire la sua “passione per me” - “mi ha amato e ha dato se stesso per me”,
dice Paolo (Gal 2,20) - è capire chi è lui, amore assoluto “per me”, e chi sono
due fratelli. Quattro volte esce la parola “fratello”. La mia chiamata è alla
fraternità, perché sono figlio. In relazione al fratello realizzo il nome datomi dal
Simone chiamato Pietro. Il primo chiamato sarà anche il primo degli apostoli
Andrea, suo fratello. Secondo Giovanni (1,40s) è Andrea che conduce Pietro
gettare il giacchio. È una piccola rete che si getta attorno a forma di cerchio
e si chiude sul fondo come una nassa, nella speranza di pescare qualcosa. È la
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La chiamata avviene nella quotidianità, per quanto profana (pescare) o
chiamata di Paolo). Nulla resiste alla voce di Dio. Infatti egli svela la nostra
inautenticità.
v. 19 dice loro. Nel racconto della creazione (Gen 1,1ss) Dio “dice” e poi
sceglie per essere con lui. La sua parola, come un seme, genera secondo la
sua specie: a quanti l’accolgono ha dato il potere di diventare figli di Dio (Gv
1,12).
toglierlo dall’abisso, farlo vivere. I discepoli, pescati alla vita dal Figlio,
decisione avviene solo quando si decide. Questo istante, come ogni inizio,
“nome”. Quando uno sente il proprio nome, anche l’animale, “subito” si volge
a chi lo chiama.
lasciate le reti. Lasciano tutto, anche i mezzi di lavoro, dai quali, per quanto
di chi ha trovato il tesoro (13,44). Non è privazione, ma scelta di ciò che più di
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Decidere è un tagliare via tante possibilità, per realizzarne una che dà più
è la conferma che la scelta è stata buona. La firma di Dio circa la bontà di una
da Dio e inizia il ritorno. Il tempo del verbo greco (aoristo) indica l’inizio
Si segue chi si ama e si diventa chi si ama! “Sono stato conquistato da Cristo
Gesù, per questo corro anch’io per conquistarlo”, dice Paolo (Fil 3,12). La fede
è essere innamorato di Gesù, come lui lo è di me, per vivere come lui, anzi di
lui, nella reciprocità d’amore: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.
Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e
ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Lui è per me e io per lui (Ct 2,16; 6,3).
v. 21s andato oltre, vide altri due fratelli, ecc. La scena ripete la precedente,
alla prima, con le sue peculiarità. Qui si parla anche di barca, di padre, di reti
v. 23 girava per tutta la Galilea (9,35). Gesù itinerante, il Figlio in pesca dei
Il ministero di Gesù inizia in Galilea e poi si espanderà per tutte le strade del
mondo (28,19s).
79
insegnando. Lui è la Parola fatta carne: ciò che fa e dice è la verità del Figlio,
proclamando. Gesù bandisce la buona notizia del regno. Nei cc. 5-7 dirà
origine degli altri è l’ignoranza della verità sua e di Dio. Tutta l’attività di Gesù
discepoli, quanti saranno chiamati all’ascolto della Parola, esposta nei cc. 5-7.
la Palestina, per estendersi alla fine del Vangelo a tutti i popoli. Gli uomini
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginandomi sulla riva del “mare” di Galilea
c. chiedo ciò che voglio: non essere cieco al suo sguardo, non essere sordo
alla sua voce, sentire il “mio” nome dalla sua bocca
d. traendone gusto, contemplo le persone: chi sono, che dicono, che fanno
da notare:
il mare
Gesù cammina
vede
chiama
venite qui dietro di me
vi farò pescatori di uomini
subito
lasciare reti, barca, padre
seguire lui
Gesù che insegna e cura.
80
4. Testi utili: Sal 23; Sal 119: sostituendo con “Gesù” il termine “Parola” o
81
10. BEATI I POVERI
5,1-10
“Beati”, dice Gesù di quelli che noi consideriamo infelici. Per noi è beato il
ricco, il potente e l’onorato: vale chi ha, può e conta. Per Gesù è beato il
povero, l’umile e il disprezzato: vale chi non ha, non può e non conta. È un
sbagliamo noi, o si sbaglia lui! Per lui sono benedetti quelli che riteniamo
L’inizio del discorso della montagna, che si estende per tre capitoli ( cc. 5-7),
costituisce il manifesto, la “magna charta” del regno: dice chi sono i suoi
cittadini, qual è la loro condizione. I criteri con i quali Dio giudica e agisce sono
oppongono come due modi contrari di valutare e di vivere. Sono due modi
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opposti di essere: quello di Gesù, Figlio del Padre e fratello di tutti, e quello di
Possiamo usare sette chiavi di lettura per entrare nel mistero di questo testo.
fallimento.
cristiana: la regola di vita del Figlio. Ma non è una nuova legge, più impossibile
dell’antica. È il cuore nuovo, promesso dai profeti. Infatti quanto Gesù qui
afferma è quanto lui vive, e con la sua carne comunica ad ogni carne. Le sue
parole non sono legge, ma vangelo; non sono esigenze nobili e difficili, ma il
dono sublime e bello che ci offre, facendosi nostro fratello. Senza il dono del
Gesù non solo dice: dà a noi ciò che dice. L’inclusione 4,23 = 9,35 fa del
discorso sul monte e dei dieci prodigi (nove miracoli e un esorcismo) successivi
un’unità. La parola dei cc. 5-7 ha il potere di farci uomini nuovi: come si
racconta nei cc. 8-9, ci purifica la vita, ci dà la fede, ci rende atti a servire, ci
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libera dalla paura, dal male, dal peccato, dalla malattia e dalla morte, ci fa
essere ciò che siamo: figli; dobbiamo quindi diventare fratelli. L’uomo non ha
altro dovere che diventare ciò che è. È importante innanzitutto cogliere “la
bellezza” di questo discorso, che ci ridona nel Figlio il vero volto nostro e del
Padre.
Queste parole non sono rivolte solo ai discepoli, o addirittura a quelli più
volonterosi. Sono per ogni uomo che cerca la propria verità; gli restituiscono la
5,1 Viste le folle. Il discorso è destinato alle “folle”, all’umanità oppressa dal
male che accorre a lui dai quattro punti cardinali (4,23ss). Le parole che
seguono sono la terapia che li fa uomini nuovi, con la stessa sapienza del
Figlio.
salì sul monte. Dio sul Sinai rivelò la Parola. Qui si manifesta il Figlio,
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messosi a sedere. Gesù “cammina” quando insegna con la vita (cf 4,18);
gli si avvicinarono i suoi discepoli. Sullo sfondo c’è la folla anonima. Discepolo
v. 2 aperta la sua bocca. Apre la bocca per rivelarci se stesso, Verbo eterno
del Padre. Gesù è colui che dice e che è detto, colui che parla e la Parola
stessa.
ci istruisce, e noi siamo da lui istruiti. L’essenza del discepolo (= colui che
v. 3 beati. Per otto volte più una (v. 11) Gesù ripete il ritornello, perché si
Le sue parole hanno una carica eversiva unica: capovolgono il mondo e i suoi
principi. Gesù si congratula con gli svantaggiati, perché hanno “il grande
vantaggio”: Dio è per loro, con loro, uno di loro! La radice della beatitudine,
che viene dal fatto che noi consideriamo beato chi è ricco, possiede e domina.
i poveri. In greco non è scritto: “povero”, che indica uno che ha poco e con
pena, a differenza del ricco, che ha tanto e senza fatica. È scritto: “pitocco”,
sì dono di Dio, ma la povertà è colpa del ricco, che ruba o non condivide col
fratello.
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in spirito. L’espressione per noi è strana. Si tratta degli anawim ruah di
Qumram, i “piegati nello spirito”, gli umili, quelli che hanno il cuore del povero
Il povero è necessariamente umile: vive di ciò che l’altro gli dà. Questa è la
condizione del Figlio, che tutto riceve dal Padre, anche l’essere se stesso.
ha gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (cf Fil 2,5-11). Dio è
essere è essere del Figlio, se è il Padre; essere del Padre, se è il Figlio; essere
di Dio è già dei poveri e dei perseguitati (v. 10). Ma rimane la tensione verso
dandole una meta, che il futuro rende evidente. La pianta viene dal seme che
(Gal 6,7); e chi semina nel pianto, mieterà con giubilo (Sal 126,5). Contro ogni
il regno dei cieli. Il regno di Dio è Dio stesso che regna. Dio è Padre: il suo
v. 4 beati gli afflitti. Il povero è afflitto: a lui va male. Infatti piove sempre sul
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saranno consolati. Il presente di afflizione ha un futuro diverso (cf Is 61,1ss).
“Consolazione” indica la gioia del mondo nuovo, in cui non ci sarà più il male.
Esso c’è ancora, ma non è più la parola definitiva: si può e si deve sperare e
guardando alla gloria che gli era posta innanzi, e ora siede alla destra di Dio.
per questo “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla
v. 5 beati i miti. Mite è chi non fa valere i propri diritti e cede piuttosto che
“grinta”, non vuole dominare, non sopraffà nessuno. Chi ama è sempre mite. Il
dello Spirito, che è vita. La terra promessa è la promessa dello Spirito. Chi ha
Mite è Mosè (Nm 12,3), colui che porta il regno (Zc 9,9), Gesù (11,29; 21,5).
miti.
v. 6 beati quelli che hanno fame e sete di giustizia (Sal 107,5.8s). Fame e
sete sono bisogno di vita - e la vita è “la giustizia”, la volontà di Dio, il suo
amore per tutti. Beato chi ha fame e sete di vivere sulla terra il suo amore di
saranno saziati. La sazietà è pienezza di vita. Gesù, che compie ogni giustizia
facendosi solidale coi fratelli perduti (3,15), è il Figlio, pieno della vita stessa
87
del Padre (3,15-17). Da lui, fatto pane, anche noi prendiamo forza e sazietà
filiali.
v. 7 beati i misericordiosi. Sono coloro il cui cuore si lascia toccare dal male
Mt 5,48). È l’unica beatitudine dove uno trova nel futuro ciò che già ora ha!
v. 8 beati i puri di cuore (Sal 24,4; 73,1). Il cuore, centro della persona,
contiene “l’uomo nascosto” (1 Pt 3,4): il Figlio, che per la fede abita nel nostro
cuore (Ef 3,17). Chi ha il cuore puro, non ottenebrato da tanti desideri e paure,
lo trova.
vedranno Dio. Il cuore puro è un occhio trasparente che vede Dio. E lo vede
si ottiene con la retta intenzione: chi in tutto cerca solo Dio, trova lui, che è
v. 9 beati i pacificatori. Fare pace tra gli uomini significa renderli fratelli.
saranno chiamati figli di Dio. Rendere fratelli è l’opera del Padre e di chi già è
figlio.
v. 10 beati i perseguitati a causa della giustizia (1Pt 3,14; 2,19). Chi ama il
fuori di sé. La pace non è mai pacifica: costa la croce del pacificatore (cf Ef
2,13s) - come a Gesù, così ai suoi discepoli, che ritengono una “dignità”
di essi è il regno dei cieli. Il regno dei cieli, qui sulla terra, permane sotto il
segno della croce. La vita del discepolo è “sotto il vessillo della croce”, luogo
d’incontro tra l’ingiustizia dell’uomo e la giustizia di Dio, amore per tutti gli
88
Dio” (At 14,22). Noi pensiamo che le contrarietà lo ostacolino. Ma la nostra è la
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il monte sul quale Gesù parla alle folle
c. chiedo ciò che voglio; capire il mistero del Signore che pensa il contrario di
me e perché
d. sosto su ogni parola, ne vedo la bellezza e considero come Gesù l’ha
vissuta.
4. Testi utili: Sof 2,3; 3,12-13; Sal 146; 126; Is 55; Sap 3-5; Lc 1,46-55.
89
11. BEATI SIETE, QUANDO VI INSULTERANNO
5,11-16
“Beati siete”, dice Gesù rivolgendosi personalmente a quelli che hanno udito
ascoltano, diventano un “voi” rispetto a lui che parla: è il “voi” della Chiesa,
I vv. 11-12 sono uno sviluppo della precedente beatitudine sui perseguitati
per la giustizia (v. 10). Questa persecuzione fa nascere il “voi” della Chiesa, in
90
proclama l’identità dei discepoli perseguitati: sono “sale della terra”, che
“luce del mondo”, “città posta sul monte”, “lucerna accesa sul lucerniere”.
loro Signore: con gioia vivono la beatitudine di essere con lui e come lui. La
croce li rende conformi a lui, con il suo stesso amore per il Padre e i fratelli. Li
fa “sale della terra”: dà ad Adamo, che è terra, il suo sapore, la sua “identità”
di figlio. E questa si fa “rilevanza”, luce del mondo, che conquista anche gli
quello che ancora manca alla passione del Figlio in favore dei fratelli (Col 1,24)
Gesù, Sapienza di Dio, è il Figlio che dà la vita per i fratelli. Per questo è sale
Cristo. Partecipa del suo destino di passione in quanto sale della terra e di
gloria in quanto luce del mondo - senza dimenticare che è luce solo in quanto
è sale.
5,11 Beati siete. Ora Gesù si rivolge a chi si è lasciato generare dall’ascolto
della Parola. È il “voi” dei fratelli, che gli somigliano in ciò che ha di più
91
perso la faccia e la vita per noi. Per questo gli apostoli, dopo aver per la prima
povertà con Cristo povero, piuttosto che onori, umiliazioni con Cristo umiliato,
e desiderio di essere considerato stolto e pazzo per Cristo, che per primo fu
ritenuto tale, piuttosto che saggio ed accorto secondo il giudizio del mondo”, e
questo “solo per imitare e somigliare più strettamente a Cristo nostro Signore”
(Esercizi spirituali n. 167). Non che uno ami gli insulti - non bisogna darne
rivestire “la sua livrea” (ivi, n. 102), essere con lui e come lui.
prove sono la prova che siamo figli (Eb 12,8), causa di “perfetta letizia” (Gc
diffuso: è la cattiva fama, l’essere “annoverato tra i malfattori” (Lc 22,37), che
mentendo. Non bisogna dare motivo di biasimo, “perché nel momento stesso
in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla
essere non giusti: solo allora sono testimonianza del “Giusto”. Per questo “è
una grazia, per chi conosce Dio, subire afflizioni soffrendo ingiustamente; che
dire che ciò è giusto, e riconoscere così la vicinanza del Giusto che
92
ingiustamente è lì per offrirci il regno (Lc 23,41). Anche la sofferenza ingiusta e
meritata - e come tale riconosciuta - unisce alla grazia del Giusto sofferente.
ricompensa, la più grande che ci sia: “nei cieli” - in Dio! - siamo generati figli, a
così infatti perseguitarono i profeti prima di voi. Non siamo soli, ma in buona
compagnia: innanzi tutto con Gesù, e poi con il “nugolo di testimoni” che ci
della terra. La nostra identità è “sale della terra”: dà senso non solo alla
è per tutti il sapore stesso della vita. Se uno non è figlio e fratello di nessuno,
semplicemente non è.
ma qualora il sale sia scipito. È facile perdere il sapore di Cristo, che è saper
raffredderà” (24,12). Il seme della Parola che ci fa figli può non attecchire, può
a nient’altro vale, ecc. Il discepolo che non ha il sapore di Cristo non vale
93
v. 14 voi siete la luce. Chi “sa” di Cristo, è luce: l’identità è rilevanza. La luce
è il principio della creazione (Gen 1,3). Gesù è visto da Matteo come il sorgere
(4,12-17). In lui siamo illuminati, veniamo alla luce della nostra realtà,
nasciamo come figli. E chi è illuminato, a sua volta fa luce agli altri.
del mondo. Ciò che dà sapore alla terra, illumina il mondo, facendone vedere
strutturato sulla brama di avere, di potere e di apparire (1Gv 2,16), con il suo
La vita filiale fa cadere l’inganno, e gli ridà la verità del suo splendore.
una città. La comunità è una città, la città santa, il luogo in cui si vivono le
posta su un monte. La città santa è sulla cima dei monti, come il tempio del
Signore, che essa è (Is 2,2). Tutti la vedono e dicono: “Venite, saliamo sul
monte del Signore, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i
L’identità non può restare nascosta, anche se non fa nulla per farsi vedere: il
sale non può non salare, e la luce non illuminare. Il problema non è salare o
come la rana che si gonfia per diventare bue. Nessuno dà ciò che non ha: ciò
emerge dall’olio. Solo se è accesa, fa luce. Così anche noi facciamo luce solo
94
sotto il moggio/sopra il lucerniere. Si mette la lampada sotto il moggio per
rivelazione.
quelli di casa. I fratelli si accorgono del fuoco che è in me, se c’è, e ne sono
v. 16 davanti agli uomini, perché vedano, ecc. Gesù dirà subito dopo di non
agire “davanti agli uomini” (6,1) per avere gloria da loro. Qui dice che le
nostre opere buone edificano i fratelli, che nella nostra vita fraterna avvertono
95
12. NON VENNI PER ABOLIRE, MA PER COMPIERE
5,17-20
“Non venni per abolire, ma per compiere” la legge e i profeti, dice Gesù. La
legge infatti è buona: comanda ciò che fa crescere la vita e vieta ciò che la
diviene infine un’abitudine, quasi un imperativo, una coazione a fare ciò che è
96
vietato e a vietarsi ciò che è comandato: è la schiavitù del vizio, tanto difficile
ultima analisi a stuzzicare l’appetito del peccato e far uscire il veleno che c’è in
noi.
Gesù è venuto a liberarci dalla schiavitù della legge non abolendola - sarebbe
superiore, divino.
Infatti dietro la legge, che vieta ciò che sa di morte, c’è il Signore che dà la
vita e risuscita dai morti; dietro la parola che condanna la trasgressione, c’è il
Gesù è il primo che vive l’amore. La sua giustizia non è quella degli scribi e
dei farisei: è quella “eccessiva” del Figlio, uguale a quella del Padre, che fa
Gesù non è la fine, bensì il fine della legge e dei profeti: non l’abolizione, ma
La Chiesa non annuncia la legge, ma il vangelo. “Mosè infatti, fin dai tempi
antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle
eccessiva” del Figlio, che ama come il Padre. Non per questo trasgredisce la
legge. L’amore infatti non fa male a nessuno: pieno compimento della legge è
97
2. Lettura del testo
5,17 Non venni per abolire la legge o i profeti. La legge propone il bene e
ma per compiere. Nessuno fa il bene, neppure uno (Sal 14): tutti, credenti e
non credenti, siamo peccatori, privi della gloria di Dio (Rm 3,23). La Parola,
compie “ogni giustizia” (3,15). Per questo il Padre dice di ascoltarlo (17,5): è il
Verbo fatto carne, venuto tra gli uomini per dare corpo alla legge e ai profeti,
compimento.
v. 18 neppure un solo iota o una sola virgola passerà dalla legge, senza che
tutto sia compiuto. Gesù compie la volontà del Padreamando i fratelli. L’amore
Chi non ama vede le norme come impossibili da osservare o come occasione
per trasgredire. Chi ama compie liberamente tutto, ma non in forza della
proporzionale alla capacità di assolvere quei debiti che solo l’amore conosce.
v. 20 se la vostra giustizia non sarà eccessiva, più degli scribi e dei farisei. Gli
scribi insegnano la giustizia della legge; i farisei la fanno. Gesù dice che per
entrare nel regno non basta conoscere ed eseguire la legge. È necessaria una
giustizia che ecceda i limiti della legge: è quella del Padre, che ama, perdona e
salva gratuitamente i suoi figli. È una giustizia “eccessiva”, perché l’amore che
98
non entrerete nel regno dei cieli. Il regno dei cieli è quello di Dio Padre: vi
entrano i figli - quelli che amano gli altri come fratelli, al di là di ogni bontà o
qualità. Se la nostra salvezza consiste nell’essere perfetti come Dio (v. 48), la
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù sul monte che parla
c. chiedo ciò che voglio: accogliere la “giustizia eccessiva”, pieno
compimento della legge
d. prendo il Sal 119, sostituendo in ogni versetto il termine “parola” (o
“legge”, “precetto” e sinonimi) con “Gesù”, Parola eterna di Dio fatta carne. È
una bellissima contemplazione su Gesù, compimento della legge, rivelazione
piena di Dio.
4. Testi utili: Dt 4,1.5-9; Sal 147b; 119; Ef 1,3-14; Col 1,12-20; Fil 3,1-15.
99
13. IO PERÒ VI DICO
5,21-48
100
31 Ora fu detto:
Chi ripudia sua moglie
le dia l’atto di allontanamento.
32 Io però vi dico:
Chiunque ripudia sua moglie,
eccetto il caso di concubinato,
la espone ad adulterio,
e chi sposa una ripudiata
fa adulterio.
101
e odierai il tuo nemico.
44 Io però vi dico:
Amate i vostri nemici
e pregate per quanti vi perseguitano,
45 perché diventiate figli
del Padre vostro nei cieli,
che il suo sole leva
su cattivi e buoni,
e pioggia dà
su giusti e ingiusti.
46 Infatti se amate quanti vi amano,
che ricompensa avete?
Non fanno così anche i pubblicani?
47 E se salutate solo i vostri fratelli,
cosa fate di più?
Non fanno così anche i pagani?
“Io però vi dico”, dice Gesù dichiarando la giustizia “eccessiva” del Figlio che
Questa sezione, introdotta dal brano precedente, ci spiega in che modo Gesù
compie tutta la legge. Norma del nostro agire è diventare come il Padre (v.
48). Sii ciò che sei: sei figlio, sii dunque figlio, uguale al Padre che ama tutti. Il
discorso sulla montagna rivede, a questa luce, le nostre relazioni coi fratelli
(vv. 21-48). Seguirà l’esposizione dei tre “pilastri del mondo” - l’elemosina, la
Questo brano è strutturato su sei antitesi: “fu detto/io però vi dico”. In realtà
non sono antitesi: Gesù non propone una legge diversa, come appare chiaro
legge non è nuova, ma antica. Il compimento però è nuovo: nessuno mai l’ha
102
proposta e osservata in questo modo, che è quello del Figlio. Principio della
Gesù parla con autorità pari a colui che diede le Dieci Parole. “Io però vi dico”
suona concessione, e passa dalle semplici azioni ai desideri del cuore, da cui
tutto promana. Ma ciò che dice non è un’imposizione legalistica, ancor più
intenzioni. È invece la “buona notizia” di ciò che Dio opera in noi mediante
queste stesse parole, che hanno l’autorità di compiere ciò per cui sono
Alla luce del regno del Padre, proclamato nelle beatitudini, si rivedono ora i
rapporti con gli altri e con l’Altro. Le due tavole del decalogo vengono rivisitate
“Voi”, che avete la sapienza delle beatitudini, siete sale della terra e luce del
mondo proprio perché vivete con gli altri da fratelli, che conoscono il Padre
comune.
I vv. 21-26 riguardano il rispetto dell’altro nella sua vita. Non basta non
ucciderlo: anche l’ira, l’insulto e il disprezzo sono forme di uccisione (vv. 21-
precedenza su ogni culto religioso (vv. 23-24); il non accordo con il fratello è la
I vv. 27-30 riguardano il rispetto dell’altro nel suo bene fondamentale: la sua
relazione di coppia che lo realizza come persona, a immagine di Dio. Non c’è
solo l’adulterio del corpo, ma anche quello del cuore (vv. 27-28). Bisogna
essere decisi nel recidere ciò che induce al male (vv. 29-30)
I vv. 31-32 riguardano il divorzio, concesso dalla legge mosaica; Gesù riporta
103
I vv. 33-37 riguardano il giuramento e la parola, forma fondamentale di
relazione umana, che media e dà senso a ogni altra: il parlare della bocca sia
sostituita da quella della misericordia, che sola vince il male e riscatta chi lo fa.
I vv. 43-47 riguardano l’amore del prossimo (= fratello), che va esteso anche
come la cima più alta da cui si gode tutto il panorama. Ci dice di essere
perfetti come il Padre, perché siamo figli: è l’essenza del vangelo, ciò che Gesù
è venuto a parteciparci.
Gesù qui dice ciò che nel seguito del vangelo puntualmente realizza.
La Chiesa è fatta da uomini peccatori, come tutti. Però si sanno figli del
5,21 Udiste. Israele è la religione dell’ascolto e del dialogo tra Dio e uomo.
fu detto. Il passivo è per non dire il Nome. YHWH parla: l’uomo ascolta, e
non uccidere. È la quinta delle Dieci Parole (Es 20,13; Dt 5,17). Fondamento
chiunque si adira col proprio fratello, ecc. L’ira è omicidio del cuore, moto
104
fraternità, uccido la mia identità di figlio. Per questo l’ira dell’uomo non compie
denigratoria del nemico, come fosse non uomo. Solo allora è possibile
ucciderlo! La stima che devo aggiudicare all’altro è la stessa di Dio, che non ha
oltre che disprezzato, va anche demonizzato, come fosse il male. Così diventa
“bene” eliminarlo!
Gesù per tre volte parla dell’altro come “fratello”: negargli la fraternità è
c’era una volta un altare al dio Moloch, dove si sacrificavano vittime umane.
nell’immondizia.
Padre, devi non solo perdonare il fratello contro il quale hai qualcosa, ma
hai nulla contro di lui. Non puoi celebrare la paternità, se prima non cerchi di
ristabilire la fraternità.
v. 24 va’ prima a riconciliarti col fratello. Se non ti riconcili con il fratello che
ha qualcosa contro di te, sei in colpa tu, anche se hai nulla contro di lui. Non
puoi dire che hai ragione o non ti importa. Il non essere d’accordo è già “il
male”; e se non ti importa di lui, hai già ucciso lui come fratello e te stesso
come figlio.
v. 25 sii d’accordo con il tuo contendente subito. L’altro è sempre colui che
105
perché non ha ciò che vorresti da lui, o perché ti prende ciò che tu vorresti
fin che sei con lui nel cammino. La vita è un cammino di riconciliazione con
l’altro: ha come meta la tua verità di figlio nel tuo vivere da fratello. Se non fai
perché non ti consegni al giudice, ecc. Non importa se hai torto o ragione: se
non vai d’accordo con il fratello, non sei figlio. Con la tua vita scrivi la sentenza
che alla fine il giudice leggerà. Gesù te la legge già ora, perché cambi ciò che
stai scrivendo!
v. 26 non uscirai di lì, ecc. Se non passi dalla logica del debito a quella del
dono e del perdono, perdi la vita di figlio del Padre (cf 18,21-35).
dei cui beni la donna fa parte. L’adulterio è un furto nei confronti del padre, se
più di questo: è appartenenza mutua tra femmina e maschio, che fa dei due
una carne sola, a immagine di Dio. Gli sposi sono l’uno dell’altra e viceversa,
106
adulterio nel suo cuore. L’occhio che desidera per possedere è già adulterio.
cuore ciò che interessa; e al cuore interessa ciò che l’occhio cattura e gli mette
dentro. Una fedeltà che non sia dell’occhio e del cuore è un sepolcro
imbiancato.
v. 29s se il tuo occhio ecc. L’occhio per desiderare e la mano per prendere
sono all’origine di ogni bene e di ogni male, non solo dell’adulterio. Perché
l’occhio e la mano non siano per la morte, bisogna de-cidere (= tagliare) ciò
Gli antichi conoscevano la necessità di una custodia dei sensi (la scimmia con
sei mani!), indispensabile per la custodia del cuore. Se il cuore di chi ama è un
80,14).
v. 31s chi ripudia, ecc. Si tratta del divorzio, fallimento di un’unione. La legge
la buona notizia della vittoria sul male e della possibilità del meglio.
delle regole per tutelare la donna dall’arbitrio del maschio (Dt 24,1). Ai tempi
(Shammai), o qualunque motivo, anche il più futile, che potesse rivelare una
discorso, non come legge, ma come dono del cuore nuovo: in quanto amati
con fedeltà e senza condizioni, possiamo amare con lo stesso amore con cui
siamo amati.
107
Come educare all’amore, come mantenerlo e farlo crescere - se non cresce,
erano veri matrimoni “nel Signore”? E che fare con i risposati, che hanno
soprattutto gli uomini, che sono sempre peccatori e perdonati. Una volta la
Guai al pastore dal cuore duro, legalista e punitivo, che ignora la misericordia
e spegne il lucignolo fumigante. Deve discernere, qui e ora, cosa più aiuta il
principi, non per questo ha imparato come bisogna usarli (cf 1Cor 8,11).
greco c’è porneîa, che può significare sia prostituzione che adulterio. In questo
caso Gesù sarebbe dell’opinione del rigorista Shammai, e non avrebbe senso
dire: “Io però vi dico “. È più probabile che si tratti di unioni tra consanguinei,
usuali nell’antichità e illegittime per gli ebrei (cf Lv 18,16-18; anche in 1Cor 5,1
non è per breve tempo e motivi precisi (1Cor 7,5), è occasione di adulterio:
“espone ad adulterio”. Non si può infatti imporre la verginità a chi non è stata
concessa in dono.
anche al femminile.
108
“Giurare in-vano”, giurare nel nulla, invece che in Dio (Lv 19,12; Es 20,7). È
v. 34 non giurare affatto. Gesù vieta di giurare, perché la parola deve essere
come il cielo!
profani il nome, se dici la verità, lui è già presente in ogni parola vera, senza
alcun giuramento.
testimoni Dio. Sia come il suo: sempre vero, trasparenza del cuore.
sì, sì! no, no! Il nostro parlare sia sì se è sì, no se è no. In mezzo ci può essere
solo il “non so” - ma non come furbizia o pigrizia, bensì come impegno di
ricerca della verità o silenzio di carità. Non dobbiamo fare come lo stolto, che
ha il cuore sulla bocca, ma come il saggio, che ha la bocca sul cuore (Sir
21,26).
un grande incendio (Gc 3,5). Può condurre in porto, oltre ogni burrasca; può
anche distruggere ciò che già è nel porto. Ne uccide più la lingua che la spada
109
(Pr 18,21; Sir 28,13-26; 37,17s). “Se uno non manca nel parlare, è un uomo
Gesù prende occasione dal divieto di spergiurare per dire di non giurare
affatto e per restituire alla parola il suo valore. La menzogna del serpente
se è no al sì e sì al no.
Dio, infinito, è tutto e solo “sì” (2Cor 1,19); l’uomo, finito, conosce anche il
ridarà vita?
v. 38 occhio per occhio e dente per dente (Es 21,24; Lv 24,20; Gen 9,6). È la
selvaggia del più forte (cf Gen 4,23) e ristabilimento di una certa parità. Si
110
suppone il male, e si cerca di contenerlo con il terrore di una pena
corrispondente, o addirittura maggiore (cf Gen 4,15). A noi sembra una forma
che ha rubato miliardi, vediamo che, per certi aspetti, è ancor oggi
speranza, per lo più vana, che ciò serva da deterrente. Infatti aiuta il male a
“eccessiva” del Padre. Solo questa vince il male. Sullo sfondo c’è la croce del
Figlio dell’uomo che si carica del male dei fratelli (8,17; 26,67; Is 53,1ss), e
dell’egoismo. Seguono cinque esempi, che sono anche cinque regole con cui si
non opporti al malvagio. La prima regola per vincere il male è opporsi al male
malvagio, prima vittima del male, è un mio fratello, che va amato con più
cuore. In genere mi oppongo a lui perché mio concorrente: amo il male e odio
chi lo fa come mio antagonista. Il mio odio verso di lui fa da spia alla mia
connivenza col male; il mio amore verso di lui fa da spia alla mia libertà da
esso.
Gesù ama i peccatori perché odia il peccato; io odio i peccatori perché amo il
farsene carico, di patire-con l’altro, come l’Agnello di Dio che porta e toglie il
111
se uno ti colpisce la guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Se la prima
rinunciare al tuo diritto, cosciente del tuo dovere di figlio, quello di non opporti
al fratello. Piuttosto che rivendicare senza amore la tua tunica, sii disposto a
v. 41 se uno ti angarierà per un miglio, va’ con lui per due. La quarta regola
chiunque per portare i suoi pesi. Ogni uomo è figlio di Dio, il gran re, ed tu hai
il dovere di aiutarlo a portare i suoi pesi. I bisogni dell’altro son tuoi doveri. E
La comunione tra tutti viene proprio dal Corpo del Figlio, dato per noi.
112
È raro l’amore gratuito, con cui uno accoglie l’altro così com’è. Tutti ne
abbiamo bisogno - chi non è amato e accolto da nessuno non esiste!- per
contro”, comune anche tra i delinquenti: “cane non mangia cane”. Nella stessa
Bibbia è lenta la comprensione dell’amore di Dio per tutti. Già implicito nel
libro della Genesi, dove Dio è creatore di tutti e Abramo, di origine pagana,
sarà benedizione per tutti, l’amore di Dio per il nemico diviene il tema
4,2).
falci (Is 2,4). Allora anche il lupo dimorerà con l’agnello, e la saggezza del
Signore riempirà il paese come le acque riempiono il mare (Is 11,6-9). Con
Con la ragione si può concludere che è bene amare il nemico e forse anche
amare alcuno, tanto meno il nemico. Al massimo può generare ulteriori sensi
di colpa.
L’amore del nemico è l’essenza del cristianesimo. Amare il nemico vuol dire
aver conosciuto Dio nello Spirito. Dio infatti non ha nemici, ma solo figli, che
113
Come tutti gli imperativi di Gesù, non si tratta di oneri impossibili, ma di doni
liberanti. Chi non ama il nemico, non ha ancora lo Spirito del Signore, che
proprio qui rivela l’infinità e gratuità del suo amore (Rm 5,6-11). Una religione
che non arriva a questo, ha ancora molta strada da fare per capire Dio! Le
guerre sante, chi le vuole se non il nemico? Bisogna dire con chiarezza e forza,
che chi uccide in nome di Dio (o per una causa buona) è doppiamente
prima vista non pare. Un dio che ordina di uccidere, è certamente satanico -
anche se al povero Dio abbiamo potuto attribuire ogni perversità, almeno fino
alla sua morte in croce, che liquida ogni immagine perversa su di lui.
L’amore del nemico è indice della libertà dal male. Se amo la torta, odio il
fratello che l’ha mangiata. Se amo il fratello, mi dispiace per lui, soprattutto se
so che è avvelenata.
L’amore del nemico sa distinguere tra bene e male. Solo non fa l’errore di
dividere tra buoni e cattivi, e sa operare la verità nella carità (Ef 4,15).
lo uccidono: fa suo il perdono del Padre (Lc 23,34). Così rivela chi è lui: il Figlio,
uguale al Padre. I martiri cristiani non danno la vita “per la causa” contro i
cattivi che li uccidono, ma per i fratelli che li uccidono: non invocano per loro
v. 45 perché diventiate figli del Padre. “Diventa quel che sei” è l’imperativo
etico. Ora amando i nemici e pregando per i persecutori, divento ciò che sono:
figlio del Padre. Se non amo il nemico, sono nemico di Dio - non mi considero
il suo sole leva su cattivi e buoni, ecc. Dio non taglia la luce e l’acqua a chi
non paga la bolletta. Il suo sole e la sua pioggia, il suo amore e la sua
misericordia sono per tutti, perché tutti riconosce come figli, in attesa che
114
v. 46 se amate quanti vi amano, ecc. L’amore o è gratuito o non è. L’amore
“grazia” (Lc 6,32 ss). Matteo non usa mai questo termine, per altro implicito
non fanno così anche i pubblicani? Amare con interesse è affare di tutti,
versetto è il punto d’arrivo più alto, la vetta panoramica da cui si vede tutto.
Matteo usa volentieri dei versetti sintetici che chiudono quanto detto e aprono
quanto si dirà.
indicativo: sii quel che davvero sei! Ma chi è l’uomo? È figlio di Dio, chiamato a
è aperto all’Infinito.
perfetti. Significa “compiuto”, che non manca di nulla. “Siate santi perché io
sono santo” (Lv 11,44.45; 17,1; 19,21) è il principio della legge. L’uomo è a
attributo esclusivo di Dio: solo lui è Dio, santo, altro da ogni altro. La sua
“alterità” ci è nota attraverso Gesù: è quella del Padre, che ama giusti e
peccatori. Sulla croce, dove tutto sarà compiuto (Gv 19,30) e lui sarà
115
riconosciuto come il Figlio (27,54), vediamo la “santità” del Padre, della quale
lui è realizzazione perfetta. Questa santità non separa dal mondo e dal
Il cristianesimo non è una religione della legge, ma della libertà: della libertà
di amare come si è amati. In essa si compie “ogni giustizia”. Chi ama è libero e
non fa male a nessuno. Chi fa il male, è ancora schiavo della legge che
trasgredisce.
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il monte delle beatitudini
c. chiedo ciò che voglio: diventare perfetto come il Padre; chiedo in
particolare di comprendere e vivere quanto Gesù dice sulla nuova giustizia del
Figlio
d. Medito su ogni parola di Gesù; vedendo come lui l’ha vissuta e la vive nei
miei confronti.
4. Testi utili: Sir 15,15-20; Sal 119; Lv 19,1-2.17-18; Sal 103; Ez 18,21-28;
39.
116
14. QUANDO TU FAI L’ELEMOSINA
6,1-4
“Quando tu fai l’elemosina,” dice Gesù, non sappia la tua sinistra ciò che fa la
tua destra. L’elemosina, come ogni pratica religiosa, va fatta nel segreto,
L’elemosina, con la preghiera e il digiuno (Tb 12,8), sono i tre pilastri della
religione: definiscono il nostro rapporto con gli altri, con l’Altro e con le cose.
Qualunque nostra azione può essere fatta in due modi opposti: per
Uno vive o muore dello sguardo altrui. Chi non è visto da nessuno, non
vede. Da qui l’ophtalmodoulía (Ef 6,6), la “schiavitù degli occhi” che lo rende
117
servo dello sguardo altrui, della vana-gloria. Solo chi sa di essere figlio di Dio,
non può credere in Dio chi cerca la gloria degli uomini (Gv 5,44).
Le opere, anche quelle “per sé” buone, sono buone “per me” solo se fatte
Dopo aver detto di essere perfetti come il Padre (5,48), Gesù ci fa entrare nel
segreto del suo cuore di Figlio. La sua relazione con il Padre è la sorgente del
suo essere e agire, della giustizia eccessiva che apre la porta del regno
(5,17.20).
Ciò che qui si dice per l’elemosina, verrà ripetuto anche per la preghiera e il
Se lo cerco negli altri, non ne avrò mai abbastanza; resterò sempre schiavo e
del giudizio altrui e del mio tentativo di dare una buona immagine di me; avrò
lo cerco nell’Altro, allora ritrovo la mia realtà in colui che mi ama di amore
(Ger 31,3; Is 43,4; Sal 139,14). Dio ama ciascuno come figlio, come il Figlio. “Li
hai amati come hai amato me” (Gv 17,23), dice Gesù al Padre di ciascuno di
noi.
Padre. Esso mi rende già ora contento di me e di lui, capace di amare come
sono amato.
Gesù è il Figlio, splendore della gloria del Padre, impronta della sua sostanza
La Chiesa è fatta di figli, che sanno come il Padre li ama: questa è la loro
118
2. Lettura del testo
6,1 Attenti a non fare, ecc. Noi facciamo grande attenzione al contrario:
agiamo solo se visti ed approvati. Anche chi si nasconde, è per farsi notare.
davanti agli uomini, ecc. L’uomo è sempre “davanti agli occhi”, “di faccia” a
suo primo specchio ( importante che sia buono!). A noi scegliere davanti a che
libero da ogni schiavitù. “Tanto è uno quanto è ai tuoi occhi, e nulla di più”,
v. 2 quando dunque fai l’elemosina, ecc. Fare l’elemosina, dare del proprio a
chi è figlio, è anche fratello. Nessuno può dire di amare Dio che non vede, se
non ama il fratello che vede (1Gv 4,20). Il Figlio ci riconoscerà davanti al Padre
Nella Bibbia la terra e quanto contiene è di Dio (Sal 24), dono del Padre ai
119
padroni, inizia l’esilio - “la terra” da giardino si fa deserto, da paradiso inferno.
La prima comunità cristiana è vista da Luca come Israele quando entrò nella
terra promessa: non c’è nessun bisognoso, ognuno dà quello che può e riceve
secondo la sua necessità (At 2,42-48; 4,32-35). Addirittura si vende “la terra”,
Nella tradizione biblica i beni del mondo sono destinati al “bene comune”. La
di nazione, di chiesa. Senza tale fraternità sarà sempre più impossibile la vita
sulla terra. Fede e giustizia, paternità di Dio e fraternità tra gli uomini sono
come lo Spirito e il corpo del cristianesimo. Non c’è l’uno senza l’altro. Senza
Nel rapporto con l’altro si gioca quello con l’Altro, da cui ogni alterità prende
nome.
avvenivano col tempo, in Israele venivano spianate con l’anno giubilare, in cui
della giustizia. Oggi da noi è un cardo spinoso che spunta nel deserto
dell’ingiustizia, come alibi a una vera solidarietà. Non si può andare avanti
così!
120
non suonare la tromba davanti a te. In tutte le “Opere Pie” c’è una quadreria
con l’immagine dei benefattori. Se il bene non fosse pubblicizzato con trombe,
come fanno gli ipocriti. È una parola molto usata da Matteo. L’ipocrita è un
litiga con l’altro per primeggiare. Non è un bel vedere né un bel vivere.
ciò che appare, e ciò che appare non esiste affatto! Si ha spesso l’impressione
per essere glorificati dagli uomini. Il fine del mio agire è il riconoscimento
cui si fa di tutto per dare una buona immagine di sé, pur di essere accettati.
amen, vi dico, ecc. Uno trova quanto cerca. Chi cerca di apparire, ha
stesso.
v. 4 la tua elemosina sia segreta, e il Padre tuo, che vede nel segreto. Il
segreto, la parte più intima che nessuno vede, è il tuo cuore, dove tu sempre
sei davanti a Dio e Dio è davanti a te. Lì Dio ti è Padre e tu gli sei Figlio. Lì il
“Restituire” si dice di un debito: Dio, essendo Padre, è con noi in debito della
nostra filialità.
121
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il monte da cui Gesù parla
c. chiedo ciò che voglio: agire non per essere visti dagli uomini, ma solo
davanti a Dio
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
agli occhi degli uomini / agli occhi di Dio
essere ammirato
suonare le trombe
essere glorificato
fare l’elemosina
non sappia la sinistra ciò che fa la destra
il Padre tuo che vede nel segreto.
4. Testi utili: Sal 51; 41; 146; Gl 2,12-18; Lv 25,1ss; Is 1,10-20; Lc 12,33s;
122
15. QUANDO PREGHI
6,5-8
“Quando preghi,” volgiti al Padre tuo nel segreto, dice Gesù. Il brano insegna
come pregare (v. 6) e come non pregare, per essere notato dagli uomini (v. 5)
È l’atto fondamentale con cui riconosco il mio principio come mio fine; è
l’atto “razionale” più alto, con il quale, esplorati i miei confini, conosco me e
l’Altro da cui vengo, accetto me come dono dell’Altro e l’Altro come amore per
me.
123
umano, e solo umano. Può quindi anche essere disumano, maldestro o
lui sono ciò che sono; lontano da lui non sono ciò che sono - sono lontano da
me. Non è un optional per anime devote: è la salvezza dell’uomo come uomo,
me stesso.
Pregare non è parlare di Dio, ma parlare con lui; non è leggere un menu di
Pregare è dialogare: rispondo “tu” a colui che dice il mio nome; esco dal mio
guscio, per realizzarmi nel dono all’Altro; dimentico me per ri-cordare, avere-
nel-cuore lui. Pregare è gioire di Dio che amo. Lui diventa la mia vita: vivo, in
perdono.
La preghiera non autentica, fatta per apparire “davanti” agli uomini o a Dio,
necessario pregare sempre (1Ts 5,17; cf Lc 18,1ss), in ogni tempo (Ef 6,18) e
La preghiera va fatta con insistenza (7,7-11 e par), con fede (21,22 e par),
nel nome di Gesù (18,19s; Gv. 14,13; 15,16; 16,24.26), con familiarità filiale
(v. 8).
124
Noi non sappiamo cosa chiedere (Rm 8,2): lo Spirito prega in noi (Rm
La preghiera, unione con il Padre nel Figlio, è anche solidarietà con i fratelli,
intercessione dell’unico Giusto che salva tutti (cf Gen 18,16-33); è lotta in cui
si vince il male (Es 17,8-15; Rm 15,30; Col 4,12), si riceve il proprio nome (Gen
32,23ss) e Dio stesso riceve il suo vero nome: “Abbà” (Mc 14,36 e par).
ottiene tutto (7,7), perché fa volere ciò che Dio vuole dare, e solo allora può
immagine di Gesù, ci fa vivere la sua stessa vita e portare lo stesso frutto (cf
Gal 5,22). Ci incorpora a lui, dandoci come principio vitale il suo amore
reciproco col Padre (cf 11,25-27). Così il nostro essere, pensare e agire
Dio.
Credere in Dio senza pregare è solo fede demoniaca (cf Gc 2,19). Conoscerlo
La preghiera non è fare qualcosa: è quel “far niente”, quel riposo sabbatico
che ci concede di essere fatti dal Signore e ci fa abitare “la terra” (cf Is
58,13s). Gli empi, al contrario, sono sempre inquieti, come un mare agitato
amore.
La Chiesa è la comunità dei fratelli di Gesù: uniti a lui, vivono il suo stesso
6,5 E quando pregate, non siate come gli ipocriti. L’ipocrita cerca se stesso.
Chi cerca il proprio io, non trova Dio. Solo chi si svuota di sé, si riempie di lui.
125
L’ipocrita si serve di tutto, anche di Dio, per apparire davanti agli uomini. Ma,
c’è un’ipocrisia ancor più profonda: voler apparire davanti a lui. Nella
preghiera non siamo protagonisti. È lui che agisce. Per questo si passa
superbi (Gc 4,6; 1Pt 5,5) e ricolma di grazia gli umili, come Maria. La preghiera
dell’umile penetra le nubi (Sir 35,17) e il suo cuore è il tempio dove Dio fissa il
amano pregare. L’ipocrita “ama” pregare. Ovviamente davanti agli altri, agli
per apparire agli uomini. Questa preghiera è una epifania dell’io, non di Dio.
Invece di stare davanti a lui e rifletterne la gloria, si sta davanti agli uomini per
entra nella tua dispensa. La dispensa è una stanza interna senza finestre,
scaturisce il mio io. Lì io sono me stesso, e Dio è più me di quanto lo sia io. In
quel luogo “segreto” io sono ciò che sono, perché davanti a “Io-sono”; lì
attingo quanto serve per vivere, anzi la sorgente stessa della vita.
dove io sono me stesso, in comunione con Dio e con tutti, presente alla
126
In questa dispensa ricevo la manna nascosta e il segreto del nome mio e di
Dio (Ap 2,17; 3,12). Qui sono figlio; e lo Spirito, con gemiti ineffabili, nel
grande silenzio della notte luminosa, grida: “Abbà, Padre” (Rm 8,15; Gal 4,6).
Questa è la Parola, che rivela il Padre e il Figlio nello Spirito. Detta da noi nel
Figlio, ci introduce in seno alla Trinità: riporta il mondo in Dio portando Dio nel
mondo.
Questa dispensa, in cui si prega, è il nostro cuore, dove sta l’uomo nascosto
del cuore (1Pt 3,4a), l’uomo interiore, il Cristo, che per la fede dimora nei
chiusa a chiave la tua porta. Bisogna chiudere a chiave la porta, dopo esservi
entrati. Ci si entra con l’amore per Gesù, che sta alla porta e bussa, perché gli
apriamo e ceniamo con lui e lui con noi (Ap 3,20). Il chiavistello è dalla nostra
parte: beato chi gli apre, entra, chiude e resta lì, facendo del suo dimorare in
lui la propria dimora. Noi entriamo e usciamo di continuo, senza mai fermarci.
stessi, strattonati qua e là dalle molte occupazioni, come Marta (Lc 10,41). Una
l’uomo nascosto del cuore in uno Spirito incorruttibile, mite ed “esicasta” (cf
il Padre tuo che guarda nel segreto. Il suo occhio è sempre dove è il suo
sguardo - un vedere come Dio mi vede, eternamente amato dal Padre nel
Figlio.
che il Padre gli fa di se stesso, rendendolo figlio, colmo della sua Gloria, perché
vuoto di vanagloria.
127
Uno può ripetere, ritmando sul respiro e sul battito del cuore, una sola
sillaba, e andare in estasi e avere visioni. Uno può anche dire: “Ohm”, e
vibrare in tutto il corpo. Queste tecniche possono servire per avere sensazioni
Il ripetere parole può anche essere una forma di magia o un fatigare deos,
uno “stancare la divinità” per estorcere ciò che vogliamo, un farci notare da
realtà siamo noi che dobbiamo ascoltare lui. Desideriamo che lui ci dia qualche
v. 8 il Padre vostro sa. Dio è Padre e sa. In quanto Dio, vede e può; in quanto
Tuttavia gli faccio le mie richieste, sapendo però che, al di là di ciò che
Questo rivolgersi a lui con fiducia è la sostanza della preghiera, sempre gradita
al suo cuore.
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il monte dal quale Gesù parla
128
c. chiedo ciò che voglio: pregare nel segreto
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
pregare
per apparire davanti agli uomini
entra nella tua dispensa
chiudi a chiave la tua porta
prega il Padre tuo nel segreto
ti restituirà
pregando non blaterate
il Padre vostro sa.
14,32-42.
129
16. COSÌ DUNQUE PREGATE VOI
6,9-15
parole per farmi ascoltare da Dio e piegarlo ai miei desideri, ma è ascolto del
facoltà più alta dell’uomo: produce niente, ma accoglie tutto. Tutto ciò che c’è
130
Dunque. Il “Padre nostro” è il “dunque”: la preghiera davanti al Padre che
modo della volontà, e riguarda un’azione libera. Vogliamo che il Padre ci dia
ciò che lui ci vuol dare. L’imperativo nasce da un indicativo: Dio è Padre, sia
dunque per noi Padre! Lui vuole e noi vogliamo che sia così, per “noi”, per me
e per tutti.
Le prime tre domande (vv. 9-10) riguardano il bisogno che noi qui in terra
abbiamo del Padre celeste; le altre quattro (vv. 11-13) il bisogno che abbiamo
dei suoi doni per vivere il suo dono. Segue un’aggiunta sul perdono (vv. 14-
Esprimiamo i suoi desideri, che sono come un comando interiore dello Spirito
che in noi grida la necessità d’amore che è in Dio: avvenga in noi ciò che da
siamo: uguali a lui, figli nel Figlio, che si rivolgono al Padre con il suo stesso
Spirito.
richieste del Padre Nostro si trovano sparse nel vangelo, particolarmente nella
131
scena del Getsemani (Mc 14,32-42) In Giovanni il cap. 17 può essere
Questa preghiera, pur nella sua novità, ha profonde radici ebraiche nel
col Padre.
La Chiesa è la comunità dei fratelli che nel Figlio conosce il Padre e lo ama a
nome di tutti.
6,9 Padre. In aramaico si dice: “Abbà”. È il grido dello Spirito che Dio ha
mandato nei nostri cuori, la prova che non solo siamo chiamati, ma siamo
si sente figlio di Dio, erede dei suoi beni e della sua stessa vita - l’amore
Nell’AT “padre” è poco usato per indicare Dio, e sottolinea il suo ruolo di
creatore, conservatore e restauratore della vita (cf Dt 32,6; 2Sam 7,14; Sap
14,3; Sir 23,1-4; 51,10; Is 63,16; 64,7; Ger 31,9). Nei vangeli Dio è chiamato
La preghiera cristiana è dire “tu”, chiamando per nome colui che per primo
alla verità sua e mia. In Gesù, nel suo stesso Spirito, conosco Dio come padre
mio e me come figlio suo, e partecipo al dialogo d’amore tra Padre e Figlio,
che è la loro vita. La mia esistenza non è dal nulla e per il nulla, ma dall’amore
132
e per l’amore del Padre. Volgendomi a lui, continuamente attingo da lui me
nostro. Il Padre di Gesù diventa “nostro” - di noi con lui e tra di noi. La
Figlio.
che sei nei cieli. Dio è vicinanza e familiarità, tenerezza e protezione, ma sta
nei cieli: è altro, grande, splendido. Se Dio è mio papà, mio papà è Dio, non un
“paternità del cielo” (Iuppiter = Dio Padre) è comune a molte religioni. Quello
di Dio come principio personale di vita, amore e libertà. L’opinione che uno
avrà di Dio è fortemente condizionata dai suoi genitori; e sarà alla fine quella
che uno ha di sé. La carne di Gesù, il Figlio che si fa fratello di tutti con un
amore senza condizioni, liquida ogni cattiva immagine che di lui ci siamo fatti.
La santità del nome di Dio è riconosciuta quando noi, suoi figli, diventiamo
v. 10 venga il tuo regno. Il regno del Padre è la fraternità tra i figli. È il regno
dello Spirito, il cui frutto è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà,
133
Il regno non è di questo mondo (Gv. 18,36): è in questo mondo, come i
(Gv 17,11.15s).
La venuta del regno sulla terra “santifica il nome” di Dio: la vita fraterna
sia fatta la tua volontà. L’espressione “volontà di Dio” ricorre 6 volte in Mt, 1
stesso del Figlio. Gesù compie pienamente la volontà del Padre nel Getsemani
come in cielo, così in terra. L’amore che è in cielo tra Padre e Figlio, sia in
terra tra gli uomini, e così siano fratelli fra di loro. In questo modo si compie la
volontà del Padre, viene il suo regno, è santificato il suo nome, e tutti
passaggio alla seconda, in cui “il cielo” scende sulla terra come pane e
v. 11 il pane. Il pane è vita. Ma non di solo pane vive l’uomo. Il suo primo
fatta fiorire dallo Spirito sulla nostra bocca, ci fa esistere nella nostra realtà di
figli e di fratelli.
Il “pane di vita”, Parola del Padre fatta carne, è il grande dono: in esso,
prefigurato nella manna e in ogni altro dono, Dio ci fa dono di se stesso nel
Figlio. Anche il pane materiale, come ogni altra cosa necessaria o utile per
134
nostro. Il pane non è “mio”, ma nostro. Se non è condiviso coi fratelli, non è
pane del Padre della vita: è l’idolo che ci avvelena l’esistenza, dividendoci da
lui, tra noi e da noi stessi. L’unica volta in cui Gesù dice di se stesso: “mio”, è
del suo corpo “dato per voi”. Mio è realmente solo ciò che dono.
alla manna, data ogni giorno solo per un giorno, per insegnare che non è
Il pane è solo per oggi, ma è disponibile ogni giorno; fino al giorno senza fine,
vivo l’amore del Padre che dona e quello dei fratelli con cui condivido - e
dacci. Chiedo il dono non solo per me, ma per “noi”, per i fratelli, perché è il
vita è sempre e solo “oggi”. Non può essere accumulata! Se respiro oggi l’aria
stanno addosso come peso gravoso che impedisce di vivere, sono allontanati
dello Spirito. L’amore vive di dono e di perdono: se nel bene è dono, nel male
a noi. Chiedo il perdono non solo per me, ma anche per i fratelli.
Diversamente non raggiungo la fonte del perdono, che è l’amore del Padre per
tutti.
i nostri debiti. Il termine traduce una parola ebraica che significa debito o
peccato. A Dio noi “dobbiamo” tutto ciò che abbiamo e siamo: tutto è ricevuto
135
invece un dono da accogliere e da vivere con gratitudine. Il peccato è
dalla logica del debito e della colpa a quella del peccato e del perdono.
come anche noi abbiamo rimesso ai nostri debitori. Si suppone che, quando
preghiamo il Padre, ci siamo già riconciliati con i fratelli (vv. 14s; 18,21-35). Se
non perdono il fratello, non sono figlio! Perdonare il fratello non è un dono che
a lui faccio, ma che da lui ricevo: perdonando, ricevo lo Spirito del Padre. Per
v. 13 fa’ che non cadiamo in tentazione. Dio non tenta e non induce in
tentazione (Gc 1,13); è invece colui che dà la forza di non cadere (26,41). Le
tentazioni fanno parte del nostro cammino. Dio non ce ne preserva; ma in esse
perdono se cadiamo.
ma liberaci dal maligno. Il maligno (26 volte in Mt, 2 in Mc, 13 in Lc) è colui
con cui ci tenta perché cadiamo nelle sue mani, e vi restiamo. L’opera di Dio è
vv. 14s ma se voi non avrete rimesso, ecc. (cf 18,21-35). Queste parole,
non ho perdonato al fratello, non riconosco Dio come Padre, e non accetto il
suo perdono per me! Giusto non è chi non pecca - tutti pecchiamo - ma chi
Il perdono del fratello è visto con enfasi come il luogo in cui riconosco
davvero Dio come Padre (vedi Lc 15,11-32). Se non perdono, ho pregato con
136
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo unendomi al Figlio, rivolgendomi al Padre con il suo amore
c. gli chiedo ciò che voglio: chiedo e voglio con tutto il cuore tutto ciò che
Gesù mi ha insegnato a chiedere e a volere con questa preghiera: il dono del
suo Spirito di figlio
d. prego lentamente, sul ritmo del respiro, ogni singola parola, sostando su
essa finché trovo pace.
4. Testi utili: Is 55,10-11; Sal 34; 103; 139; Os 11,1-9; Gal 4,1-7; Rm 8,14-
39.
137
17. QUANDO DIGIUNI, PROFUMATI IL CAPO
6,16-18
nei propri confronti: fa accettare se stessi come figli e il proprio limite come
principio di vita.
conversione. È spesso associato alla preghiera e allo studio della Torà (Dt 8,3).
fariseo al tempio, di cui parla Gesù nella parabola, digiuna ben due volta la
138
pia. Ognuno cerca di primeggiare, scegliendo l’ambito dove meglio riesce. Non
politica o la malavita: tutto serve per essere “qualcuno” davanti agli altri.
L’apparire agli occhi degli uomini è il DNA di ogni male, che ha la sua radice
Come in tutte le opere, Gesù guarda l’intenzione. Il cuore del Figlio è puro, e
vede Dio (5,8), perché lui solo cerca. L’ipocrita cerca la propria reputazione, e
Stare davanti agli uomini o al Padre, è l’alternativa del nostro modo di essere
Il digiuno, come ogni opera buona, può essere esibizione davanti agli uomini,
digiuno, gradito a Dio: operare con giustizia e dividere i propri beni coi poveri
(Is 58,1ss).
Gesù ha digiunato nel deserto. Anche per lui “la fame” è stato luogo di
tentazione.
ridotta a bocca che tutto divora, a tubo digerente che tutto assimila, il digiuno
riacquista la sua attualità. E c’è anche un digiuno della mente e del cuore,
dell’orecchio e dell’occhio.
139
6,16 Ora, quando digiunate. Mangiare è alimentare la vita, digiunare
perderla. Il digiuno ha molti aspetti: riguarda le relazioni con l’altro, con l’Altro,
comunicazione e comunione.
propria vita e la propria morte: si accetta quello che c’è come dono di Dio, e lo
servirsi delle cose tanto quanto sono utili per amare Dio e il prossimo. Ciò che
non è utile a tale scopo, serve a odiare e morire. Nella nostra società
cinque canali dei sensi, il digiuno ha un particolare valore. Oltre la sobrietà nel
cibo, c’è quella nell’odorare, gustare, toccare, udire, vedere, e, soprattutto, nel
comunione con l’altro; e non sono regolati dall’istinto. Sono fame infinita, che
si sazia solo trovando il cibo per cui sono fatti - l’altro e l’Altro.
140
restituisce loro la propria funzione. Non tocco e non gusto tutto, non ascolto e
Scelgo di toccare, gustare, ascoltare e vedere nella misura in cui ciò mi aiuta
ad amare l’altro.
Oltre la sobrietà dei sensi c’è anche quella, più difficile, della mente e del
soprattutto, queste facoltà superiori sono per l’altro. Per questo non cerco di
L’uomo o impara a essere signore dei suoi sensi e delle sue facoltà,
ordinandoli al fine, o è schiavo del loro appetito. Lo stimolo del piacere di ogni
tipo, come una droga, lo depossessa della libertà, portandolo a fare ciò per cui
non è fatto e che, in fondo, neanche vuole, e che comunque non lo sazia mai.
bello e desiderabile, ciò che in realtà non lo è (Gen 3,6). Il digiuno, inteso a
l’assolutizzazione del cibo e del corpo. (Ma c’è anche una bulimia e anoressia
niente! Carne senza proteine, latte senza panna, dolce senza zucchero, pasta
senza amido - dove l’importante è l’essere sempre più “senza”, puro apparire -
sono i nuovi idoli, che rendono simili a loro quelli che li adorano (Sal 115,8).
Tanta fame è fame non di pane, ma di vita; non di cibo, ma di affetto. Uno
vive dell’amore che riceve, della parola che gli comunica l’altro. Una società
141
senza amore e senza parola, senza madre e senza padre, sarà sempre più
non siate come gli ipocriti. Ogni azione buona può essere stravolta nel suo
dal volto tetro. Il viso e l’occhio, invece di diffondere la luce del cuore,
farsi vedere, ci si oscura per apparire! L’intento è che gli altri notino che
hanno già la loro ricompensa. Ottengono ciò che vogliono: una bella
profumo di vita. Inoltre non ci si lava, perché lavarsi è rigenerarsi. Gesù ordina
v.18 perché non figuri agli uomini che digiuni, ma al Padre tuo. Davanti agli
uomini ricevo l’immagine, l’idolo del mio io; davanti a Dio ricevo il mio essere
che tutto riceve da lui, anche me stesso e addirittura lui stesso. Il mio digiuno
definitivo - la mia morte - sarà il saziarmi pienamente della sua presenza. Già
fin d’ora, grazie a questo digiuno, sono libero di camminare verso quella
felicità alla quale sento di essere destinato. Perché ho detto a Dio: “Sei tu il
il Padre tuo, che guarda nel segreto, ti restituirà. Il Padre mi restituirà la mia
142
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginandomi nel mio digiuno ultimo
c. chiedo ciò che voglio: capire cos’è la vita e tutto ciò che contiene: non
sono idoli, ma doni di Dio da vivere con libertà e gratitudine di figli
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
significato del cibo e del digiuno
come vivere i miei bisogni e i miei limiti, il mio bisogno di vita e la mia
morte
consumismo ed edonismo: faccio ciò che mi piace
“sobrietà” dei sensi, della mente e del cuore.
143
18. NON POTETE ESSERE SERVI DI DIO E DI MAMMONA
6,19-24
“Non potete essere servi di Dio e di mammona”, dice Gesù. I nostri rapporti
con le cose devono essere da figli di Dio: lui è il nostro tesoro, e le cose non
unica: non si possono avere due padri o due madri. Così Gesù dice che la
nostra vita o dipende da Dio, e allora siamo suoi figli, o dipende da mammona,
Inizia in questo brano la conclusione del corpo del discorso della montagna,
che culmina con il comando dell’amore, sintesi della legge e dei profeti (7,12).
144
sono e dall’ansia quando non ci sono (6,9-24.25-34), e in rapporto alle persone
sia il rapporto quotidiano con le cose e le persone. Chi non si sa figlio di Dio e
fa dipendere la sua vita dalle cose, accumula tesori sulla terra; il suo occhio è
accumula tesori in cielo; il suo occhio è puro e in tutto vede colui che lo ama e
che vuol amare. La fede in Dio si gioca concretamente nel rapporto con le
creature, che può essere filiale e fraterno, oppure padronale e diabolico (cf Lc
12,13-34; 16,1-13).
(13,44ss). Vive ogni cosa come eucaristia: dono ricevuto dal Padre e condiviso
con i fratelli.
6,19 Non tesorizzate per voi tesori sulla terra. L’uomo non è la vita: l’ha
accorgersi che così la immola per procurarsi ciò che dovrebbe garantirla.
Infatti chi fa delle cose il suo dio, le stacca dalla loro sorgente, che è Dio, e dal
pratico, origine di tutti i mali (1Tm 6,10), vera idolatria (Ef 5,5). Nega il valore
quotidiano”. Il pane non è più dono del Padre, ma sostituto del Padre.
dove tignola e ruggine fanno scomparire. I beni in natura, cibo e vestito, col
tempo saranno divorati dalla tignola - e lo stesso corpo dai vermi. I beni in
145
metallo perdono il loro splendore. Ciò che serve per vivere, muore; ciò che
fratelli; presto o tardi, verrà sottratto a chi l’ha rubato. O il dono resta tale e si
fratello.
v. 20 tesorizzate invece per voi tesori nel cielo. Accumula tesori eterni colui
che riceve ringraziando e usa condividendo. In questo modo i beni del mondo
alimentano non solo la vita materiale che perisce, ma anche quella spirituale:
La dimora eterna, il vero tesoro, si gioca qui nel tempo con l’uso corretto dei
beni, dei quali bisogna essere non stolti possidenti, ma amministratori sapienti
almeno quando si chiuderanno gli occhi. L’amore del Padre e per i fratelli
invece accende nell’uomo la gloria eterna di Dio. Non l’oro che ha, ma quello
dove i ladri non scassinano né rubano. Il dono resti sempre tale - e, chi ne è
derubato, non lo richieda indietro (Lc 6,30). Così diventa figlio del Padre, che
tutto dona e perdona. In questo modo il suo tesoro non sarà mai rubato:
v. 21 dove è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore. Una persona abita più
dove è col cuore che con il corpo. Se ami le cose che periscono, sei nella
attraverso cui entra ciò che è fuori. È anche lucerna: la luce che è nel cuore,
146
esce da esso e si proietta sulla realtà. Uno vede con la luce del suo cuore, con
se dunque il tuo occhio è puro, tutto il tuo corpo sarà luminoso. Il modo di
dal cuore, che rende luminosa o oscura non solo la persona, ma anche la
cuore/occhio puro riflette la luce di Dio e porta il frutto dello Spirito (cf Gal
Gal 5,19-21).
diffonde tenebra invece di luce, quanto buio deve avere nel cuore! La luce,
principio della creazione e della vita, esce dalla bocca di Dio, che dice: “Sia la
luce” e la luce fu (Gen 1,3). La tenebra è la bocca del nulla, che tutto mangia e
v. 24 nessuno può essere servo di due padroni, ecc. Nessuno può cavalcare
zoppicando da due parti (1Re 18,21). Dio tollera di essere anche ignorato, ma
non di essere secondo: non sarebbe Dio! Qualunque idolo gli metti davanti,
distrugge. Al bivio non si possono seguire due vie. Bisogna decidere se seguire
Dio o gli idoli (Gs 24,14ss). Se il tuo fine è Dio, diventi come lui; se è l’idolo,
diventi come l’idolo, che ha volto oscuro, bocca muta, occhio spento, orecchio
sordo, naso insensibile, mano chiusa, piede paralizzato, gola serrata e senza
suono. Il fabbricatore di idoli, diventa come loro (Sal 115,4-8). Invece di essere
147
figlio del Dio vivente, diventa una statua morta e fredda: monumento funebre,
Sulla fronte porteremo il numero 666, il marchio della bestia (Ap 13,16-18), o
il nome del Signore (Ap 22,4)? Attenti al pericolo di servire l’idolo, senza
durante tutta la vita, con il culto diretto nel lavoro per produrlo e quello
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il monte delle beatitudini dove il Signore parla
c. chiedo ciò che voglio: scegliere il Signore come mio tesoro
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
non tesorizzare sulla terra
tignola, ruggine, ladri
dove è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore
l’occhio lampada del tuo corpo
occhio puro/occhio malato
luce/tenebra
nessuno può essere servo di due padroni
o Dio o mammona.
4. Testi utili: Sal 49; Sal 115; Sal 16; 23; Gs 24,14-28; Lc 12,13-21; 16,1-13.
148
19. NON PREOCCUPATEVI
6,25-34
149
e tutte queste cose vi saranno aggiunte.
34 Ora dunque non preoccupatevi del domani,
perché il domani si preoccuperà di sé!
Basta al giorno la sua pena!
“Non preoccupatevi”, è il ritornello che Gesù ripete sei volte. Porre la vita
nelle mani del Padre significa essere liberi dall’affanno. Ciò che ne garantisce il
mantenimento è lui, che, come la dà, così la alimenta. L’ansia della previdenza
Gesù non dice di non lavorare; dice di non fare del lavoro l’idolo che toglie il
però che tutto dipende da Dio. È un atteggiamento che toglie l’ansia - tutto
noi! Il fatto che tutto sia dono non è alibi all’impegno, ma antidoto alla
preoccupazione.
nella natura il cibo. Deve necessariamente lavorare. Ma non deve fare dei suoi
sono il mezzo che mette in comunione con Dio e con gli uomini.
e fraterna, la uccidono.
La nostra fede in concreto è riposta o nel Padre che tutto dona, o nell’idolo
Gesù è il Figlio che tutto riceve dal Padre e spezza coi fratelli: la sua
150
La Chiesa vive allo stesso modo: libera dall’ansia di vita, che è paura di
morte - e spesso paura di vivere e ansia di morire -, cerca in tutto il regno del
Padre e la sua giustizia. Invece di tanti ansiolitici (l’attivismo, fin che regge, è il
che c’è, per proiettarsi nel futuro, che ancora non c’è. La preoccupazione ci
faceva vermi per chi l’accumulava (Es 16,17-20). È metafora della vita: ogni
proprio la memoria della morte, che ognuno ricorda come sua eredità, sua
sorte.
L’affanno prende chi, venuto dal nulla e votato al nulla, si sente destinato
alla morte. Unico suo assillo costante è rimandare questo increscioso ritorno.
Se uno sa che viene da Dio e torna a lui, il presente diventa gioia, anticipo di
ciò che sarà anche domani e sempre: comunione con il Padre e i fratelli.
dell’uomo che si chiude in se stesso, senza aprirsi al settimo giorno, a Dio, suo
151
cibo che vita, anzi l’accorciano con lo stress e l’obesità. Il nutrimento è solo
né per il vostro corpo cosa vestirete. Il vestito, oltre e più che per difendersi
d’amore.
che, volente o nolente, mandi all’altro: rende noto ciò che vuoi, devi, o puoi
ricevimento! Senza vestito uno non può presentarsi in pubblico, se non per
v. 26 osservate gli uccelli del cielo. Per il cibo Gesù dice di osservare gli
uccelli del cielo, che non compiono i cosiddetti lavori maschili, quali arare,
il Padre vostro li nutre (Gb 38,41; Sal 147,9). Il Padre, che è “vostro” e non
“loro”, nutre anche loro. La sua tenerezza si espande su tutte le sue creature
(Sal 145,9). Se provvede il cibo ai piccoli del corvo che gridano a lui (Sal
Dio è al lavoro non solo nel dare, ma anche nel mantenere la vita: dà il seme
55,10). Lui, amante della vita (Sap 11,26), desidera solo che i suoi figli
voi forse non contate più di loro? Chi si preoccupa e accumula tanto, in realtà
v. 27 chi di voi, preoccupandosi, può aggiungere una spanna alla sua età? Lo
stesso termine indica in greco sia età che statura. Chi può, preoccupandosi,
aumentare di un solo palmo la sua età o la sua statura, vivere un po’ di più o
152
essere un po’ più alto? La preoccupazione, invece che allungare rattrappisce il
campo, ecc. Faticare e tessere è il lavoro della donna, che fatica per tessere il
I fiori hanno una veste che cresce con loro e li ricopre di splendore. La loro
4,5; 6,2).
v. 30 ora se l’erba del campo che oggi è e domani è gettata nel forno, ecc. Se
Dio fa così con l’erba del campo, che al mattino germoglia e alla sera dissecca
(Sal 90,6), ed è usata per accendere il forno e cuocere il pane, quanto più si
o gente di poca fede. È la definizione del discepolo, che si fida poco del suo
Signore (8,26; 14,31; 16,8; 17,20). Per questo prega, con il padre del
sordomuto: “Credo, ma vieni in aiuto alla mia incredulità” (cf Mc 9,24), e dice
con gli apostoli: “Aumenta la nostra fede” (Lc 17,5). Il discepolo crede e
insieme sempre non crede. La fede non è stabile: è un dono, che cessa quando
vera fede non si fida di sé e della propria certezza, ma di lui e della sua fedeltà
continua.
v. 32 infatti tutte queste cose i pagani ricercano. Il pagano non crede che Dio
è suo padre, e deve pensare a se stesso. Suo fine non è la comunione col
153
sa il Padre vostro celeste che avete bisogno di tutto quanto questo. Il Dio che
È vero che, a differenza degli uccelli e dei gigli del campo, dobbiamo anche
peccato, il sudore della fronte condisce il nostro pane (Gen 3,19). Ma il solo
che sazia è l’amore del Padre, dato nel sonno ai suoi figli (Sal 127,2).
tutto: il regno di Dio e la sua giustizia, l’amore verso il Padre e verso i fratelli.
così, nessuno sarà privo del necessario e nessuno immolerà la vita ai suoi
Ma se non te ne carichi già ora, sperimenterai che sai portare quelle di oggi. E
basta al giorno la sua pena. Ogni giorno ha la sua dose di fatica, sopportabile
in quel giorno, senza aggiungere quella del giorno dopo. Ciò che rende
impossibile vivere qui e ora è l’ansia del dopo. Il male di domani è sempre
154
insopportabile, soprattutto perché ancora non c’è. Normalmente sprechiamo il
novanta per cento delle energie nel cercare di evitare ciò che comunque
Dio, come la manna quotidiana, ci dà ogni giorno la forza per i pesi di quel
scavare cisterne screpolate, che non tengono acqua (Ger 2,13), possiamo
sempre attingere ogni giorno con gioia al Padre, sorgente di vita sempre
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che parla sul monte
c. chiedo ciò che voglio: trasformare le mie ansie e paure in fiducia e
coraggio
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
non pre-occupatevi
per la vita, cosa mangerete
per il corpo cosa vestirete
osservate gli uccelli del cielo
imparate come crescono i gigli del campo
gente di poca fede
come fanno i pagani
cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia
basta al giorno la sua pena.
4. Testi utili: Sal 62; Is 9,14-15; Sal 33; 107; 117; 127; 136; 147; Sap 1,12-
155
20. NON GIUDICATE
7,1-6
coi fratelli la paternità di Dio. Non devo giudicare per due motivi. Primo,
vedo l’altro.
fratello. La mia disistima nei suoi confronti è grave per lui e per me: nega a lui
Dopo aver visto come si vive la “giustizia eccessiva” del Figlio uguale al
Padre nelle opere religiose (6,1-18), nell’uso dei beni (6,19-34), ora vediamo
156
come la si vive in relazione all’altro (7,1-6). Il principio di tutto è la preghiera,
comunione col Padre che concede ogni bene (7,7-11), in particolare quel bene
sommo, che è fare all’altro ciò che voglio che l’altro faccia a me (7,12).
per impadronirmi della sua. Cerco la superiorità per non cadere in inferiorità,
il dominio per non essere dominato. Ogni uomo diventa lupo per l’altro,
confronti del padre, il primo altro, e di ogni “altro” da me. In realtà il volto
dell’altro è quello dell’Altro: nel rapporto con lui, vivo quello con l’Altro, e
viceversa.
Le ultime battute del discorso sul monte richiamano ciò di cui già si è parlato
giudizio buono o cattivo sull’altro è la misura del mio essere figlio o meno del
Padre. Anzi, il giudizio futuro che Dio darà su di me non sarà altro che il
giudizio presente che io do sul fratello. Dio lo lascia scrivere a me; lui alla fine
I vv. 3-5 esortano a giudicare me stesso invece dell’altro. Uno vede l’altro
con il suo occhio, con il suo cuore: l’altro è colui che rispecchia me stesso. Se
autocritica inconsapevole: il piccolo male che vedo in lui è spia del grande che
è in me.
157
Il v. 6 mostra come il non giudicare non tolga il discernimento. Ne è anzi il
dare la vita per coloro che gliela tolgono! La croce è il suo giudizio sul mondo:
sua stessa simpatia illimitata per ogni alterità. Sempre tentata di compiere il
altro, è misurarlo col nostro metro. Quando parliamo con lui, invece di
ascoltarlo, filtriamo ciò che dice con i nostri pregiudizi. Quando poi parliamo di
ricordiamo il male, crocifiggendo l’altro al palo dei suoi errori. Il giudizio di Dio
invece è fatto con il vaglio: trattiene il bene e lascia perdere il resto. Il suo
a noi il suo bene come nostro. Il vento del suo Spirito disperde il nostro male e
Ogni mio giudizio sull’altro è corto: non vede nell’altro ciò che vede Dio.
158
L’uomo vive o muore del giudizio altrui. Uno è come è visto: l’occhio buono è
una porta di luce che accoglie e fa vivere, l’occhio cattivo una lama di ferro
che penetra e uccide. Dio, bontà infinita, con il suo occhio che tutto vede
il mio io al posto di Dio. Se giudico il fratello, giudico la legge, e non sono più
uno che la osserva, ma che la giudica. Ora uno solo è il legislatore e il giudice,
colui che può salvare e rovinare; e chi sono io da farmi giudice del mio
prossimo (Gc 4,11s)? Il mio giudizio contro il fratello è sempre un mio male:
Il Signore ha detto di non giudicare perché lui non giudica, ma giustifica. Lui
è amore infinito per tutti e il suo giudizio è il contrario del mio: ogni uomo ai
suoi occhi riveste il valore dell’amore che ha per lui. Noi abbiamo lo stesso
Ognuno vede con il suo occhio: anzi, nell’occhio dell’altro vede la propria
immagine riflessa. Dio vede l’uomo molto buono (Gen 1,31), perché lui è
Non bisogna giudicare nessuno, neanche se stessi (1Cor 4,3). Chi giudica non
conosce Dio, e non ama né sé né altri! Chi non giudica è come Dio: amore
verso tutti.
lancia. Ogni mio giudizio contro l’altro, è contro di me! Se non stimo l’altro
come fratello, non stimo me come figlio di colui che ama me e l’altro come
Non devo giudicare, non solo per non sbagliare. Anche se ho ragione,
Chi non giudica, salva l’altro come fratello e se stesso come figlio.
159
v. 2 poiché con il giudizio con cui giudicate, sarete giudicati. Dio mi giudica
come voglio io: mi rispetta e lascia ogni libertà - anche quella di scrivere il mio
con il metro con cui misurate, sarà misurato a voi. In questa vita Dio mi lascia
decidere il metro con cui voglio essere misurato: con il suo o con il mio? Se
accetto il suo, scelgo lui e la sua misericordia per me e per l’altro. Se lo rifiuto,
scelgo la condanna. Lui rimane però sempre con il suo giudizio: la sua croce in
pagliuzza nel suo occhio - conficca nel mio una trave. Con una trave
figlio.
è proprio doveroso per me e necessario per l’altro; sempre però devo scusare
il peccatore.
Il mio giudizio su una persona è sempre più grave del suo peccato,
v. 4 come potrai dire a tuo fratello: lascia che tolga, ecc. Come posso
misericordia di Dio!
v. 5 ipocrita! Togli prima dal tuo occhio la trave, ecc. Prima di fare una
correggo, ma lo fisso nel suo male: la mia offesa costringe lui all’autodifesa. Se
160
devo innanzitutto accettarlo incondizionatamente, come anch’io sono
Alla critica devo sostituire l’autocritica. Non quella a buon mercato, con la
conoscenza sofferta del mio male e mi mette sotto il giudizio di Dio, con la sua
stessa tolleranza verso i miei simili, che sono proprio simili a me! La coscienza
rende solidali con i fratelli e con il Padre, che tutti ama e perdona.
v. 6 non date ciò che è santo ai cani, ecc. Ciò che è santo, le perle, sono i
doni di cui vive la comunità: il Pane e la Parola. C’è una “disciplina dell’arcano”
che serve a introdurre nel mistero. “Cani” e “porci” per gli ebrei sono i pagani.
Questi devono essere preparati a ricevere i doni. La proposta della verità deve
essere graduale. Puntare la luce negli occhi non fa vedere, anzi accieca!
l’accoglie. Fare così non è rispetto né per la verità né per l’altro! Gli spots, gli
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il monte da cui parla Gesù
c. chiedo ciò che voglio: voglio e chiedo di smettere di giudicare gli altri, e di
tener sempre ben
presenti i miei peccati
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
smettetela di giudicare
con il giudizio con cui giudicate, sarete giudicati
guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello
161
non consideri la trave che è nel tuo occhio
non date ciò che è santo ai cani.
162
21. CHIEDETE
7,7-12
“la regola d’oro” sull’amore. Il contesto mostra la cosa da chiedere, che Dio
del Padre che ci fa figli: il dono del suo Spirito (Lc 11,13).
(18,21ss).
163
Nella preghiera la sua vita diventa nostra vita. L’unica condizione per
riceverla è volerla e chiederla; volerla perché nessuno può darmi ciò che non
vogliamo ciò che non è bene. In sintesi S. Agostino dice che non otteniamo
perché chiediamo mali, vel male, vel mala, ossia con il cuore cattivo, o senza
S. Giacomo dice: “Se qualcuno manca di sapienza, la domandi a Dio che dona
con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare mossa e
agitata dal vento, e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore un uomo che ha
“Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete
con una fiducia che tutto desidera e nulla ritiene impossibile, con una umiltà
importunare Dio per estorcergli ciò che vogliamo. È invece l’atteggiamento del
figlio: sa che il Padre dà e sa cosa vuol dargli - e questo lui stesso vuole e
chiede. Chiediamo non per forzare la sua mano, ma per aprire la nostra al suo
Il mio chiedere, come è l’unica misura del suo dare, è l’unica misura del mio
nella misura del mio desiderio, io sono me stesso - dono di “colui che in tutto
3,20).
164
I vv. 3-8 dicono di chiedere, cercare e bussare. I vv. 9-11 illustrano
Gesù è il primo che ha fatto agli altri ciò che ognuno vuole che gli altri
essere amato. Questo scaturisce dalla sua unione col Padre, dal quale riceve
La Chiesa è fatta da coloro che, in lui, sono come lui: figli uniti al Padre e
donati ai fratelli.
senza mai stancarsi (cf Lc 18,1). Non perché Dio non doni, ma perché del dono
Non si dice cosa chiedere, perché è da chiedere tutto, anzi il Tutto. Dio non
L’uomo diventa ciò che desidera; se desidera Dio, diventa come lui.
Si chiede ciò che non si può avere se non come dono dell’altro. Infatti
chiediamo l’Altro stesso che si dona: l’uomo è richiesta di Dio, e Dio è dono per
l’uomo.
e vi sarà dato. Non si dice chi dona e cosa è donato: è Dio che ci dona la sua
e la nostra verità - il suo esserci Padre nel nostro essergli figli e diventare
cosa. Chi lo cerca in tutte le cose, trova lui, che è tutto in tutti (1Cor 15,28).
bussate e vi sarà aperto. Si bussa a una porta chiusa. Dietro c’è la sala del
165
perdono. “Dopo” è inutile bussare: resta chiusa (cf 25,1-12). Questa porta è
quella della “dispensa”, la profondità del nostro cuore (6,6), dove lui sta e da
dove noi siamo fuori, ricacciati dalle nostre paure. Bussiamo al nostro cuore fin
chiede con desiderio al Padre, si cerca con amore lui, si bussa per incontrarlo.
v. 9 quale uomo c’è tra voi, che al figlio che gli chiede un pane, ecc. Spesso
abbiamo la sensazione di avere pietre invece di pane (cf 4,3!). Dio sembra
duro d’orecchio! Ma, se tarda ad esaudirci nelle cose buone, è solo per darci la
Noi abbiamo cuori di pietra (pietra e figlio in ebraico si scrivono con le stesse
consonanti). Il dono che lui vuol farci è trasformare il nostro cuore di pietra in
Nella preghiera esce la nostra ostilità verso Dio, che consideriamo nemico. E
v. 10 se gli chiederà un pesce, gli darà una serpe. Nella preghiera noi, figli
del serpente (3,7), otteniamo il pesce, il Figlio che vive nell’abisso e muore
sulla terra per darci vita. Ma, prima di ricevere questo dono, escono dal cuore i
nostri serpenti velenosi. Chi prega scopre in sé il male del mondo, e lo scarica
v. 11 se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare doni buoni ai vostri figli.
Non lui, ma noi siamo cattivi! Eppure nei confronti dei nostri figli brilla in noi
166
un raggio indelebile della bontà del Padre: desideriamo dare loro con gratuità
quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone. A maggior ragione
Dio, che è perfetto nella sua maternità/paternità, darà cose buone ai suoi figli.
Queste “cose buone” sono da Luca sostituite con “Spirito Santo” (Lc 11,13), la
cosa buona per eccellenza, la vita stessa di Dio, il suo amore. Dio non vuole e
non può donarci meno di se stesso. Anche nel minimo dono il donatore si
dona.
La preghiera dunque ci trasforma in figli: è il nostro “sì” che accoglie ciò che
la Parola promette. Solo alla luce della preghiera, che ci dà il cuore nuovo, si
può comprendere il discorso della montagna. Non è una legge nuova, ancor
più esigente dell’antica. È invece il “vangelo”, la buona notizia di ciò che Dio ci
vuol dare, perché noi lo possiamo desiderare e ottenere. Tra il dire e il fare c’è
di mezzo il pregare, che è il mare senza fine del desiderare. Questo realizza in
a coloro che gli chiedono. Si ripete alla fine la parola dell’inizio: “il chiedere”
v. 12 tutto quanto dunque volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi
diventiamo figli, perfetti come il Padre, che è amore per tutti. L’amore si
esprime nel “fare”. L’egoista fa per sé e pretende che gli altri facciano per lui:
pone il proprio io al centro di tutto, come un buco nero che tutto fagocita. Chi
ama fa per l’altro, che ha posto al centro di sé - è come il sole, che diffonde
luce e vita.
verso di lui. Per chi ama i bisogni dell’amato diventano suoi impegni.
167
Questo versetto inverte la tendenza egoistica di porre sé al centro di tutto.
L’uomo è già al centro di Dio. Diventa come lui se, come lui, pone al proprio
profeti (5,17; cf Rm 13,8-10). Lui stesso, che ha portato i nostri pesi sulla
6,2.14), la regola d’oro. Infatti ci lascia come testamento di amarci come lui ci
ha amati (Gv 13,34; cf 1Gv 4,10s). Chi fa come lui, diventa figlio: vive l’amore,
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il monte da dove Gesù parla
c. chiedo ciò che voglio: saper chiedere, cercare e bussare con fiducia, senza
stancarmi
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
chiedere/essere dato-ricevere
cercare/trovare
bussare/essere aperto
cosa fa un padre con i figli?
pane/pietre
pesce/serpe
fa’ agli altri ciò che vuoi che gli altri facciano a te.
Sulla “regola d’oro”: Gal 6,2; Rm 13,8-10; 1Cor 13,1ss; 1Gv 3,11-4,21; Lc 6,27-
38.
168
22. ENTRATE PER LA PORTA STRETTA
7,13-20
“Entrate per la porta stretta”, dice Gesù. Dopo il v. 12 - vetta da cui si gode il
“porta” d’ingresso al regno, la “via” che conduce alla vita, il “frutto bello”
dell’albero buono.
albero/frutto.
169
La parola di Gesù è la “porta” stretta che ci fa entrare nella vita filiale e
fraterna, la “via” angusta che ci conduce alla vita piena (vv. 13-14). Quanti la
conoscono e non la praticano sono “falsi profeti”. Per loro la dissonanza tra il
loro azioni li rivelano, come il frutto mostra la qualità dell’albero (vv. 15-20).
Molte sono le porte, ma una sola quella di casa; tante le vie per perdersi, ma
una sola quella che porta alla meta; mille gli alberi, ma uno solo dà il frutto di
vita.
Come Mosè (Dt 30,15-20), Gesù ci pone davanti al bivio: ci apre la via della
oltre il male che già conosciamo e facciamo - e che la legge denuncia - c’è il
Il brano richiama il Salmo 1, che presenta la via “beata” del giusto e quella
in riva al fiume, e alla pula dispersa dal vento. Fare o meno queste parole, è
Gesù è il Figlio, porta d’accesso alla comunione con il Padre e i fratelli, via
che conduce a una felicità sempre maggiore, albero che porta il dolce frutto,
La Chiesa è la comunità dei figli e dei fratelli che ascoltano la parola che lui
porta (Gv 10,7), l’apertura tra l’uomo e Dio, dove Dio entra nella casa
dell’uomo e l’uomo nella casa di Dio. Essendo insieme Dio e uomo, Gesù è la
170
stretta. Gesù dice così non per scoraggiare, ma per esortare all’impegno.
Dopo il peccato, è facile fare il male, difficile fare il bene. Il male è largo
ma poi si allarga sempre di più all’amore e alla vita. La porta sembra stretta a
dell’amore di Cristo per noi (cf Ef 3,18): è il suo costato aperto sulla croce (Gv
19,34ss).
larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione. Ogni altra
porta e via, che non sia l’amore del Padre e dei fratelli, conduce alla
perdizione. Non basta pensare: abbiamo la sana dottrina, Dio è con noi! Noi
Alla “porta” qui si associa “la via”, che indica il modo concreto di vivere. La
porta larga e la via spaziosa, in termini laici consiste nel fare quello che piace,
ricerche del sensazionale e del prodigioso. C’è una religiosità che non passa
attraverso il cuore del Figlio, la conoscenza del suo amore, la sua carne
molti sono quelli che entrano per essa. Molti, troppi entrano per questa porta
o prendono questa via, che soddisfa solo il loro egoismo materiale e spirituale.
171
pochi quelli che la trovano. La trovano quelli che cercano innanzitutto il
v. 15 guardatevi dai falsi profeti. Nel contesto non sono quelli che dicono
cose sbagliate, ma quelli che non fanno ciò che dicono. È tipico di Matteo
quelli che vengono a voi in vesti di pecora. Parlano come il Cristo, ma non
fanno come lui. Gesù dice di loro: fate ciò che dicono, ma non ciò che fanno
(23,3).
dentro sono lupi rapaci. Sono sepolcri imbiancati: l’interno non è come
Hanno la bocca, ma non il cuore del Figlio. Sono pronti ad accettare il suo
messaggio, ma non amano e non seguono lui, il Signore. Quindi non entrano
eccessiva” di cui si è parlato nel discorso sul monte: le azioni di una vita filiale
e fraterna.
si raccoglie forse uva dalle spine o fichi dai rovi? L’uva richiama Israele, vigna
di Dio, il cui frutto è l’osservanza della Parola (cf Is 5,1-7; Sal 80). Il fico,
gustoso e dolce, che porta frutto in ogni stagione, è segno della perennità
172
dell’amore, compimento della legge. Sono i frutti che germogliano dal cuore
v. 17 ogni albero buono fa frutti belli, ecc. L’albero, che si innalza dalla terra
“molto” bello e buono (Gen 1,31): è immagine di Dio. Ma può essere malato,
guasto e imputridito, senza linfa vitale, senza amore. Allora fa frutti cattivi.
dolce dell’amore di Dio e dell’uomo. Inseriti in lui, albero della vita, anche noi
diamo il suo frutto (cf Gv 15,1-17). L’albero secco germoglia perché l’albero
v. 18 non può un albero buono fare frutti cattivi, ecc. La bontà o meno del
frutto non dipende dalla buona volontà, ma dalla qualità dell’albero. Una vite
sforzi, non farà mai uva! Potrà comunque coronare di spine il suo Signore
(27,29).
v. 19 ogni albero che non fa frutto bello è tagliato, ecc. Spini e rovi devono
essere tagliati e bruciati nel fuoco d’amore del Crocefisso, legno verde che
Io di che legno sono? Che frutto faccio? Se mi scopro spina o rovo, non mi
resta che vedermi conficcato sul capo di Cristo, il Figlio crocifisso dal mio male.
È il mio modo di inserirmi in lui, albero buono, che dalla croce mi dà il suo
Spirito (27,50).
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il monte da cui il Signore parla
c. chiedo ciò che voglio: entrare per la porta stretta, fare la sua parola, avere
il suo Spirito
d. traendone frutto, medito sul testo
173
da notare:
porta stretta/larga
via angusta/spaziosa
vita/perdizione
falsi profeti
dai loro frutti li riconoscerete
quali sono i miei frutti.
174
23. CHIUNQUE ASCOLTA QUESTE MIE PAROLE E LE FA
7.21-29
175
1. Messaggio nel contesto
“Chiunque ascolta queste mie parole e le fa”, dice Gesù, compie la volontà
del Padre mio: edifica qui in terra la sua dimora eterna, costruita su quella
stabile roccia che è Dio stesso. Chi invece le ascolta e non le fa - Matteo si
rivolge a credenti, che ascoltano ma non sempre fanno -, per quanto faccia
cose buone, non fa la volontà di Dio: costruisce sulla sabbia del proprio io la
rovina di se stesso.
dichiarando la sua importanza per il destino dell’uomo. Sono due metafore sul
giudizio (vv. 21-23.24-27), visto prima da parte del Signore che ci riconosce o
“giudizio” sulla nostra vita di credenti è lasciato non all’arbitrio di Dio, ma alla
Ma questo non basta. Infatti, senza l’amore, tutto è nulla (cf 1Cor 13,1-3). E
volontà del Padre”, amando e servendo i fratelli nelle piccole cose di ogni
giorno.
Nel primo quadro (vv. 21-23) Gesù dice che si possono compiere opere
cuore del Figlio. Si può agire nel nome del Signore, ma ancora per amore del
proprio io, senza l’amore del Padre e dei fratelli. In “quel giorno” ognuno
mieterà ciò che ha seminato (Gal 6,7). Se avrà seminato amore, sarà
Nel secondo quadro (vv. 24-27) si ribadisce la stessa cosa con una
176
guarda alla meta dal cammino: la casa che noi ora costruiamo resisterà o
meno “in quel giorno” secondo che avremo fatto o meno “queste parole”. Chi
cade. Il saggio costruisce nel tempo la dimora eterna, che resiste a ogni
avversità; lo stolto invece si costruisce la propria rovina, che gli crolla addosso.
insegnamento: la sua parola non solo spiega, come gli scribi, ma ha l’autorità
di Dio stesso.
entrerà nel regno dei cieli. Non basta la fede e la celebrazione liturgica. La
fede è anche vita quotidiana - la liturgia si celebra nel nostro corpo (cf Rm
12,1s). Anche i demoni credono, ma tremano (Gc 2,19). Una fede e una
preghiera che non fiorisce in vita concreta, non giova a nulla: è morta (Gc
2,24.26).
Richiama Geremia, che parla contro chi si ritiene salvo dicendo: “Tempio del
Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo!”, riponendo in esso
la propria fiducia, senza convertirsi dalle proprie azioni malvagie (Ger 7,3s). La
177
fiducia nel Signore non deve fare da paravento all’iniquità né la sua
ma chi fa la volontà del Padre mio. Gesù chiama Dio: “Padre mio”, perché è il
Figlio che fa la sua volontà e la manifesta a noi, in attesa che noi possiamo
non abbiamo profetato nel tuo nome, ecc. Neanche le profezie, gli esorcismi
e i miracoli fanno entrare nel suo regno. Posso operare nel suo nome cose
buone per gli altri, come gli esorcisti di Efeso, ma senza che questo giovi alla
mia salvezza (cf At 19,11ss). Ciò che mi salva non è fare miracoli, ma fare la
Figlio non riconosce quelli che non vivono da fratelli. Sono “operatori di
iniquità”: sono dei “senza legge”, che ignorano nel loro operare la legge
dell’amore. La fede, la speranza e gli altri doni alla fine cessano; rimane solo
l’amore, che non ha fine (1Cor 13,8ss). Perché Dio è amore, e solo chi ama
sarà simile a un uomo saggio. Saggio è chi edifica sulle parole di Gesù,
edificò la sua casa sulla pietra. La “casa” non è semplicemente la tana dove
La pietra è Dio, stabile come roccia. La differenza tra sapienza e stoltezza sta
nel fare le parole del Signore o le proprie, nello scegliere come fondamento del
proprio agire quella roccia che è Dio, o la sabbia dei propri idoli.
178
v. 25 scese la pioggia e vennero i fiumi, ecc. Le difficoltà, le acque travolgenti
e le bufere della vita, fino alla strettoia finale della morte, non possono
spegnere l’amore (Ct 8,7.6). Questo è la dimora eterna di Dio, del Padre nel
Figlio e del Figlio nel Padre, aperto da Gesù a tutti i fratelli. Alla dogana della
morte nulla passa di ciò che hai: sei ricco solo dell’amore che hai dato. Questo
è il tesoro nel cielo che puoi accumulare sulla terra, che nulla può consumare e
nessuno rapire.
non è sull’ascoltare, ma sul fare! La differenza tra i credenti sta non nella fede,
menzognero.
errato affermare - come spesso si fa - che per lui non conta la fede, ma solo i
fatti! L’eresia prima è staccare il dire dal fare, il pensiero dalla realtà: nega la
edificò sulla sabbia. Chi non fa le parole di Gesù, fa altre parole. Invece di
costruire su Dio, costruisce sugli idoli, i suoi piccoli dèi del momento. La sua
Dio, crolla davanti alle difficoltà. La sua vita si sfascia come una ruota i cui
fu la sua caduta grande. Chi non costruisce sull’amore, viene sepolto proprio
179
v. 28 avendo Gesù compiuto queste parole. Con il termine “compiere, finire”
si concludono i cinque discorsi di Gesù in Matteo (11,1; 13,53; 19,1; 26,1). Lui
nascosta, quella del Figlio. Le sue parole non cadono a vuoto, perché la sua
l’autorità, il potere stesso di Dio, che opera ciò per cui l’ha mandata (Is 55,11).
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il monte sul quale Gesù parla
c. chiedo ciò che voglio: fare queste sue parole che ho udito sul monte
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
non chi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno
nel tuo nome abbiamo profetato, cacciato demoni, fatto miracoli
mai vi conobbi
l’uomo saggio: ascolta e fa “queste” parole
l’uomo stolto: ascolta e non fa
casa sulla roccia/casa sulla sabbia
piogge, fiumi e venti: esito diverso.
4. Testi utili: Sal 31; Dt 11,18-28; Sal 1; Is 55,1ss; Ger 7,1ss; Sap 1-5.
180
24. SE VUOI PUOI MONDARMI
8,1-4
“Se vuoi, puoi mondarmi”, è la richiesta del lebbroso; “Voglio! Sii mondato”,
è la risposta di Gesù.
I cc 5-7 riferiscono ciò che la Parola dice; i cc 8-9 ciò che essa dà: rifà l’uomo
nuovo, a immagine del Figlio, vittorioso su ogni male, sulla malattia e sulla
stessa morte.
Gesù fa quello che dice: Verbo del Padre, nel quale, attraverso il quale e per
181
formano un tutt’uno, incorniciato dall’attività guaritrice di Gesù (4,23=9,35): i
prodigi sono frutto dell’ascolto della Parola, che fa nuove tutte le cose. E sono
dieci (nove miracoli più un esorcismo), numero di totalità, per dodici persone!
I cc 8-9 costituscono una “treccia” di vari filoni. Dei due principali il primo
Lo stile del racconto di Matteo, rispetto agli altri sinottici, è più sobrio ed
Nella prima parte, inquadrata in una giornata (8,1-17), si dice in sintesi cosa
questo. Quello del lebbroso mondato è segno del dono della vita nuova del
Figlio che ha vinto la morte (8,1-4); quello del servo del centurione guarito è
segno della fede nella sua parola, sorgente della vita nuova (8,5-13); quello
della suocera di Pietro, che serve, è segno del contenuto di questa vita nuova:
amare e servire come Gesù il Servo (8,14-17). Chi legge i miracoli fermandosi
al segno è come lo stolto che, se gli indichi la luna, ti guarda la punta del dito.
Noi ci siamo allontanati da Dio. Ci siamo volti verso gli idoli e siamo diventati
come loro: vacuità di vita, con il corpo segnato dalla morte (= lebbra) e le
varie membra - piedi, occhi, mani, bocca, orecchi ecc. - che ne sono infette e
servono solo a diffonderla (cf Sal 115,4-8). Non può essere che così, e
mostra che il bene, per cui siamo fatti, è possibile, reale e donato.
Gesù come Mosè scende dal monte. Ma non più con una parola da osservare
perfetto come il Padre (5,48), che fa grazia ai fratelli. Quanto ha detto non è
182
fa venire la lebbra, come a Maria che invidia il fratello Mosè (Nm 12,1-10) -, la
parola di Gesù è un fiume di acqua viva: chi si immerge e “si battezza” in essa,
ne esce purificato, mondo dalla lebbra, dal peccato e dalla morte, con la carne
Guarire dalla lebbra è azione esclusiva di Dio, padrone della vita e della
morte (2Re 5,7): Gesù, con la Parola appena detta sul monte, rigenera a vita.
uomo che accorre da Gesù per ricevere il dono di una vita finalmente libera
dalla morte. Tutti morti a causa del peccato, “privi della gloria di Dio” (Rm
Gesù è stato prefigurato in Mosè. Per mezzo di questi fu data la legge, per
mezzo suo la grazia della verità, dalla cui pienezza tutti abbiamo ricevuto
8,1 Sceso lui dal monte. Gesù scende dal monte, come Mosè. Non per dare al
la Parola stessa, perfettamente compiuta, che scende per dare la vita a tutti e
dell’anno!).
183
lo seguirono molte folle. Sono coloro che sul monte hanno ascoltato la Parola.
È l’inizio della Chiesa, che, insieme al Figlio, scende con lui verso i fratelli, per
incurabile, anzi mortale. Il lebbroso è il morto civile e religioso, che non può
aver parte con gli altri, per non infettarli (Lv 13,45). Solo dopo la guarigione,
mediazione (cf invece Nm 12,11s, dove Aronne intercede per Maria presso
Mosè, che pure è il più mansueto di ogni uomo che è sulla terra). Titolo
inizia con l’adorazione dei Magi e termina con quella dei discepoli (2,2.11;
28,17). Adorare significa “portare alla bocca, baciare”. Si adora l’oggetto del
Signore. Gesù è il Signore. Infatti può dare la vita: stende la mano e monda
dalla morte.
se vuoi, puoi mondarmi. L’uomo tante cose vuole e non può - e altre può e
non vuole. Solo in Dio volere è potere. E il suo volere è dare la vita. “Sono
forse Dio per dare la morte o la vita?” (2Re 5,7), dice Eliseo a chi pretende che
184
v. 3 tesa la mano. La “mano tesa” indica l’intervento di Dio per salvare
l’uomo. Egli aspetta solo di essere richiesto: è dono che attende la mano che
lo accolga.
toccò. Il Signore tocca l’intoccabile. Dio è Dio proprio per la sua misericordia
(Os 11,9; Gn 4,15), che tocca la nostra miseria - questa è la sua santità. Dio
non è legge che vieta il male e divide buoni da cattivi. Non è neanche la
coscienza che rimprovera. È invece madre e padre, vicino a ogni bisogno del
figlio.
l’altro solo nel proprio limite, così tocchiamo Dio non nella nostra bontà, ma
nella nostra miseria: tutti lo conosciamo, dal più piccolo al più grande, nel
anche tu lo tocchi. Oltre il tocco esteriore, c’è quello interiore, molto più forte e
sensibile. Ciò che ti tocca dentro, ti cambia l’esistenza. Il Signore con la sua
voglio. Da sempre il Signore vuole: aspetta solo che anche noi vogliamo.
“Vuoi guarire?” domanda Gesù al paralitico (Gv 5,6). Noi non vogliamo, per
paura che sia impossibile o che lui non voglia. Arriviamo addirittura a ritenere
che il male sia l’unica realtà. I miracoli mostrano che Dio può e vuole darci ciò
che non abbiamo e neppure osiamo sperare. Il racconto ci apre alla meraviglia
e libera i nostri desideri perché chiediamo ciò che lui ci vuol dare: la nostra
sii mondato! Con la sua parola il Signore creò l’universo. Ora lo ricrea simile a
sé.
morte - non è più immonda: non esclude dalla vita. Non insidia più col suo
185
Il tocco interiore della sua parola ci libera dalla morte: ci guarisce e ci fa figli
e fratelli. È un processo che dura tutta la vita e si compie nella morte. Quando
la lebbra ha fatto il suo corso, allora non c’è più. Ma già ora la morte non è più
Parola ci libera dal suo veleno, che è il peccato (1Cor 15,55ss), nella certezza
che, sia che vegliamo sia che dormiamo, siamo in comunione con lui (1Ts
5,10). Non siamo più schiavi della paura della morte che domina la vita (Eb
2,15).
non si può conoscere il Signore prima della croce. In Matteo, che si rivolge a
credenti, sottolinea solo l’ordine che segue: non fare altro, se non andare
in testimonianza per loro. Il lebbroso testimonia ai sacerdoti che c’è uno che
in Matteo c’è una polemica, essa è da leggere alla luce del tentativo della
non può essere contro la madre, ma neanche può identificarsi con essa.
Purtroppo noi, Chiesa delle genti, abbiamo ripetuto nei confronti di Israele lo
morte, gli abbiamo rubato il dono che lui ci ha offerto. Dopo l’olocausto siamo
186
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b mi raccolgo immaginando il monte dal quale Gesù scende
c. chiedo ciò che voglio: essere liberato dalla paura della morte e
dall’egoismo che ne deriva
d. contemplo la scena, immedesimandomi nel lebbroso: vedo, dico, ascolto e
tocco ciò che lui ha visto, detto, udito e toccato.
187
25. TROVAI TALE FEDE
8,5-13
188
“Presso nessuno in Israele trovai tale fede”. Gesù costata che solo un pagano
crede senza esitazione al potere della Parola (cf 27,54). E si stupisce! Di due
cose il Signore si meraviglia: della nostra fede (v. 10; 27,54) e della nostra
mancanza di fede (Mc 6,6). Ambedue sono per lui qualcosa di inedito, con il
pone infatti qualcosa di imprevedibile, nuovo anche per lui. Dio non ce la toglie
mai, neanche quando è contro di lui e contro di noi - il che per lui è peggio. È il
dono più bello del creato, che rende la creatura simile al suo Creatore.
Siamo al secondo dei dieci prodigi. Il primo rivela il risultato ultimo della sua
parola: guarire la nostra vita dalla lebbra che la avvelena di morte. Questo
I miracoli sono dei segni naturali che hanno un significato spirituale. Il segno
ciò che conta è leggere cosa è scritto. Noi, feticisticamente, diamo importanza
come non bastasse la crudeltà di vivere e morire una volta! Ciò che vale non è
Una rosa rossa per una capra è semplicemente qualcosa da mangiare; per una
189
A una prima lettura è un portento, qualcosa di insolito che richiama
soprannaturale nel naturale, segno del divino che si manifesta nella storia.
A una seconda lettura è segno del mondo nuovo, raggio anticipato del sole
trasformazione a sua immagine: Gesù sana i nostri piedi per camminare come
lui, le nostre mani per accoglierlo, i nostri sensi per ascoltarlo, vederlo,
A una terza lettura è segno dell’amore di Dio che interviene in nostro favore.
A una quarta lettura il miracolo è segno della nostra fiducia: Dio è per noi, e
tutto vuol donarci, anche se stesso. Aspetta solo che noi lo chiediamo con
fede. Questa è alla fine il vero miracolo, che ci porta ad accogliere i doni di
Dio, e Dio stesso come dono. Essa ci guarisce dalla diffidenza di Adamo.
A una quinta lettura, più profonda, propria di chi è illuminato, ogni creatura,
Creatore.
credenti, figura della Chiesa, che, a distanza di spazio e di tempo, per la fede
Sia per Israele che per gli altri, è il credere alla promessa di Dio che viene
accreditato a giustizia (Gen 15,6) e rende figli di Abramo, eredi della promessa
Essa è coscienza del male che non cede né alla delusione dell’impotenza né
all’impossibile.
190
Gesù, oltre che lodare la fede del pagano, rimprovera chi ha ridotto la fede di
per la Chiesa. Non basta appartenere ad essa per entrare nel banchetto (cf
Gesù è la Parola di Dio viva ed efficace (Eb 4,12). Per questo le sue parole sul
Parola.
8,5 Entrato lui in Cafarnao. È il luogo dove ha iniziato la sua attività (4,12).
guarnigione che presidia Cafarnao, città di confine. È pagano di origine (v. 10).
Come il pagano Abramo, entra nella storia della salvezza per la sua fede.
Signore, la cui parola ha l’autorità di Dio. La fede, prima che in ogni nostro
atto, sta nel credere all’efficacia della sua parola in nostro favore. Chi crede
questo, accetta che Dio è suo padre. È quanto fece Abramo, a differenza di
Adamo.
4,7.52).
diniego, se letta in forma interrogativa. Può infatti anche significare: io, che
191
risposta di Gesù alla nostra preghiera è sempre insieme affermativa e
v. 8 Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto. Sono le parole
del nostro rapporto con Dio: il centurione sa di ricevere per dono e non per
dono.
ma solo di’ una parola, e sarà guarito il mio servo. La falsa umiltà di chi spera
v. 9 anch’io infatti sono un uomo sotto potere, e ho soldati sotto di me, ecc. Il
centurione si rifà alla sua esperienza di ufficiale subalterno, che alla parola
potere. Quella di Dio è viva ed efficace, più penetrante di una spada a doppio
taglio (Eb 4,12): è come un soldato che esegue la volontà del suo comandante,
come uno schiavo che esegue gli ordini del suo padrone. Non può essere
bella sorpresa per lui! Grande cosa la nostra libertà di dirgli di sì, invece di no.
giustizia più che della benevolenza di Dio, della propria bontà più che della sua
presso nessuno in Israele trovai tale fede! La fede del pagano Abramo, padre
di Israele, si ritrova in questo estraneo più che nei suoi figli. È un rimprovero,
192
comune nei profeti, alla presunzione di chi pensa sempre di avere un credito
ecc. Il regno dei cieli è quello del Padre. Vi entrano solo i figli - quanti, come
Abramo, hanno fiducia nella sua parola. La fede estende a tutte le famiglie
della terra la benedizione promessa al patriarca (Gen 12,3; Gal 3,8). La fiducia
v. 12 figli del regno. Qui si intende quelli che in Abramo hanno ricevuto la
promessa, ma, come Adamo, rapinarono il dono. Sono quelli che l’ultimo dei
profeti, sulla scia dei suoi predecessori, chiama: “Figli del serpente” (3,7).
Sono quelli dei quali Gesù dice: “Mai vi conobbi”, perché dicono: “Signore,
di Paolo, è mossa da amore (Lc 13,35s; 19,41 ss; 23,27ss; Rm 9,1-3), ed è solo
in vista della misericordia (Rm 11,32). Per altro si tratta di una profezia
saranno gettati nelle tenebre esteriori. Chi non crede nell’amore del
Padre/madre, non è ancora venuto alla luce come figlio. È ancora nelle
gioia, stridore di denti invece che sorriso: tristezza e rabbia di una vita fallita.
Grande è il potere della nostra libertà: decide per la vita o per la morte!
la tua parola” (Lc 1,38). Al centurione, come lei prototipo del credente, il
Signore può dire altrettanto: avvenga secondo la tua parola. La volontà del
Signore e del credente diventano una sola per la fede. La creatura entra
193
liberamente in dialogo col suo Creatore, nell’unica parola e nell’unico amore.
Nella storia tutto avviene secondo la fede del credente nella Parola.
fu guarito il servo in quella stessa ora. La fede è l’“ora” in cui si passa dalle
tenebre alla luce: è la guarigione del centurione stesso, che da schiavo diventa
figlio.
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che entra in Cafarnao
c. chiedo ciò che voglio: il dono della fede nella parola di Gesù
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
gli venne incontro un centurione
la sua umiltà: Signore non sono degno, ecc.
Gesù si meraviglia della sua fede nella Parola
gli estranei sederanno con i Patriarchi
i figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori
come hai creduto, avvenga a te.
194
26. EGLI PRESE SU DI SÉ LE NOSTRE INFERMITÀ’
8,14-17
“Egli prese su di sé le nostre infermità”. Con queste parole del quarto canto
nuovo! Sorgente del suo agire è il suo com-patire - e “la compassione uccide”.
Ogni azione che non nasce da qui non libera l’uomo: è solo esercizio di potere
su di lui.
serve (v. 14s), un sommario dell’attività di Gesù che di sera guarisce tutti (v.
16) e l’interpretazione della sua attività come compimento della profezia sul
Il primo miracolo, quello del lebbroso, è segno della vita nuova che Gesù
porta; il secondo, quello del centurione, è segno della fede, che l’accoglie;
195
questo terzo, con il sommario che segue, mostra l’origine e il fine dei miracoli:
male; e noi a nostra volta, serviti da lui come la suocera di Pietro, diventiamo
comando “nuovo” di Gesù. Il dono dello Spirito del Figlio ci dona di fare agli
altri ciò che vorremmo che gli altri facessero a noi. Questa è la legge e i profeti
(7,12).
per noi: il principio è lui stesso, che è amore, compassione e servizio; il fine è
quindi principio, mezzo e fine di ogni miracolo, che ci rende simili a lui, liberi di
e servire con il servizio della sua croce, dove tutto è compiuto (Gv 19,30).
perché è amata. Si lascia lavare i piedi da Gesù, e così ha parte con lui (Gv
13,8).
8,14 Venuto Gesù nella casa di Pietro. Siamo a Cafarnao, dove Gesù venne
vive da figli e da fratelli, è immagine della Chiesa. In essa noi siamo come la
“vede e provvede”.
196
la sua suocera. Pietro era sposato. Accanto a Paolo, che ha scelto il celibato
per il regno (1Cor 7,1.7s; cf Mt 19,12), c’è pure chi è sposato, e testimonia il
regno nel matrimonio, con quell’amore e quella fedeltà che era “al principio”,
a letto con febbre. Ci sono molte febbri che tengono a letto e servono a farsi
servire. Nella casa di Pietro, come pure per strada, si litiga sempre su chi è il
più grande, su chi deve dominare (cf 18,1ss; 20,20ss; cf Mc 9,33-37). Tutti
siamo peccatori, privi della gloria di Dio (Rm 3,23): nessuno sa amare e servire
v. 15 e toccò la sua mano. Toccò il lebbroso per dargli la vita nuova. Ora con
la propria mano tocca la mano di lei per comunicarle la sua capacità di servire.
La mano significa l’azione: con essa l’uomo può afferrare e divorare, oppure
energia. Al suo tocco si spegne la nostra febbre, guariamo dal nostro egoismo
e diventiamo capaci di servire. La sua mano, che è la stessa del Padre (Gv
“risuscita”. In lei avviene il risveglio dalla morte dell’egoismo alla libertà nel
servizio. È passato l’incubo della notte e viene la luce: “Noi sappiamo che
siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli” (1Gv 3,14).
uomini che servono delle donne! Gesù stesso si definisce “come colui che
serve” (Lc 22,27), ed esorta colui che vuol diventare grande a farsi servo, e chi
vuol essere primo ad essere schiavo, perché il Figlio dell’uomo “non è venuto
197
per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per le
moltitudini” (20,26ss).
si realizza non tanto con le parole, quanto con i fatti e in verità (1Gv 3,18).
Servire è la qualità più profonda di quel Dio che è amore (1Gv 4,18). Gesù,
lavando i piedi, rivela la “Gloria”, la sua essenza di Figlio uguale al Padre (Gv
13,1ss). Dio non è padrone, ma servo delle sue creature - come una madre è a
infinita tra Dio e tutti gli idoli: a differenza di loro che esigono la vita e danno
la morte, lui serve e dà la vita. Per questo il simbolo del messianismo di Gesù
Nella casa di Pietro solo una persona per ora è guarita. Non è Pietro né
alcuno degli altri apostoli, così importanti. È una donna, malata, vecchia e
suocera! Sarà seguita dalla schiera di quanti faranno la sua stessa esperienza,
l’umanità nuova, prototipo a immagine del Figlio/Servo, che gli altri sono
chiamati a imitare.
La suocera di Pietro è il nostro modello. È lei, e quanti sono come lei, che
porta avanti nella Chiesa e nel mondo la storia della salvezza. Ciò che conta
Signore: è “costretto” a servire, come lui. Dio realizza il suo regno servendosi
di ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono (1Cor 1,28). Il povero
serve, come il suo Signore; gli altri sono ancora a letto con la febbre - e più
“Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi”, dice Gesù (28,20). È
con noi nei poveri, che sempre avremo con noi (26,11). E ogni cosa che
198
facciamo a uno dei più piccoli, l’avremo fatta a lui (25,40). Per questo si dice
che la suocera serviva lui: ogni nostro servizio all’altro è fatto al Signore, che
all’azione, destinato alla passione. Venuta la sera, simbolo della morte (27,57;
26,20; cf 14,15.23), l’uomo non fa più nulla: tocca il suo limite, la sua notte.
portarono a lui molti indemoniati; e scacciò gli spiriti con la Parola, ecc.
(27,45). Ma, invece della fine, sarà il principio della sua attività: sarà l’entrata
di lui, luce del mondo (cf 4,16), in tutte le nostre tenebre. E allora ci sarà la
“Parola” - la parola della croce. Se durante il “giorno” della sua vita Gesù fece
qualche esorcismo e miracolo, nella sera della sua morte visitò tutti i perduti e
v. 17 perché si adempisse ciò che fu detto, ecc. Gesù, che con la sua notte
mortali, tutto ciò che in noi c’è di debole, fragile e inaccettabile, lui sulla croce
lo prende su di sé. È il dono che noi facciamo a lui, che in cambio ci dona se
stesso. Come dal Padre “prende” la propria vita, così da noi “prende” la nostra
morte. Nella sua debolezza sulla croce ogni debolezza è accolta nella forza di
Dio.
tutto e solo amore. Portare, in greco bastàzo da cui la parola italiana “il
basto”, è l’azione dell’asino, il somaro che porta “la soma”. Gesù che muore in
croce porta su di sé il peso dei nostri mali. Insieme all’agnello, l’asino è uno dei
primi simboli di Cristo - vedi il crocifisso con la testa d’asino nelle Catacombe.
199
Le nostre infermità e malattie diventano il luogo di comunione con lui, che
con la sua croce si prende cura di noi. Si fa nostro servo perché noi otteniamo
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginandomi nella casa di Pietro
c. chiedo ciò che voglio: guarire dalla “febbre” dell’egoismo per amare e
servire
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
la suocera
la febbre
Gesù tocca la sua mano
fu risvegliata
serviva
la sera
prese su di sé le nostre infermità.
4. Testi utili: Sal 147,1-11; Gal 5,13s; Mt 20,20-28; 1Cor 1,18-31; Is 53,1ss;
Mt 21,1-11.
200
27. SEGUIRÒ TE
SEGUI ME
8,18-22
“Seguirò te”, dice uno scriba a Gesù; “Seguimi”, dice Gesù a un discepolo. Le
mette liberamente a scuola del maestro che lui stesso sceglie per imparare la
tutto. Ciò che per lo scriba è Dio e la sua legge, per il discepolo è Gesù e il suo
201
Matteo è uno scriba diventato discepolo: ha trovato la novità assoluta, il
tesoro, la perla preziosa, e con gioia vende tutto per entrarne in possesso
(13,52.44-46).
Il tema del brano è seguire Gesù. I tre miracoli precedenti ci mostrano ciò
che in noi opera la sua parola. Tutto questo si realizza nel seguire lui: la fede
nella sua Parola ci libera dalla lebbra e ci rende capaci di fare il suo stesso
velleitarismo, amando lui, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la
mente (22, 37s; Dt 6,4s). Questa è la vita (Dt 30,20), il dono che lui fa al suo
discepolo.
Gesù è il Signore.
La Chiesa lo riconosce come unico bene e lo vive come suo primo e unico
amore.
8,18 Vedendo Gesù folla attorno a sé, ordinò di passare all’altra riva. Gesù
discepoli? “Passare all’altra riva”, vincendo il mare che inghiotte (vv. 23-27), il
male che devasta (vv. 28-34), il peccato che paralizza (9,1-8), la malattia e la
questo si cerca maestri o signori tra quanti gli promettono aiuto in questa
v. 19 uno scriba gli disse: Maestro. Non è ancora discepolo di Gesù. Questi è
per lui un maestro, non la Parola stessa, il Signore (v. 21) da seguire.
202
seguirò te. Lo scriba si sceglie lui il maestro da seguire, per imparare la
Parola e diventare a sua volta maestro. Gesù invece dice: “Non voi avete
scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv. 15,16), e: “Uno solo è il vostro maestro”
più di ogni parola. Ma questo scriba ignora dove Gesù va, perché non sa da
dove viene. Ignora che è il Figlio che viene dal Padre e a lui fa ritorno.
v. 20 le volpi hanno tane, gli uccelli del cielo nidi. Tana e nido sono il luogo
da cui ciascuno viene. Sono immagini della madre - casa, vita, cibo, sicurezza,
il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. Gesù non ha tesori sulla terra:
dove è il suo tesoro, lì è anche il suo cuore (6,19.21). Fuori da ogni tana e
nido, è povero e libero. La povertà, facendoci riporre ogni fiducia nel Padre, ci
genera suoi figli. Solo se la povertà è nostra madre, Dio è nostro Padre: la vita
La libertà dalle cose e dal piacere che procurano è il primo dono che Gesù fa
al suo discepolo: lo fa uscire dalla madre, lo fa venire alla luce come figlio del
giudizio. La sua povertà, che lo fa figlio che tutto riceve dal Padre, allora come
adesso è il suo giudizio sul mondo; e rimane il criterio per riconoscerlo come
salvatore presente nella storia: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno
solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! ” (25,40). Nel povero
203
gli disse: Signore. Per il discepolo Gesù non è solo il maestro (v. 19), ma il
Signore. Non ha alcun bene al di sopra di lui (Sal 16,2). Come Paolo, è stato
conquistato da lui (Fil 3,12), fino a dire che lui è la sua vita (Fil 1,21; cf Gal
2,20)
permettimi prima di andare a seppellire mio padre. Anche chi ha capito che
Gesù è il Signore, ha resistenze che vengono dal cuore, affetti che vengono
“prima” di lui. Ma il Signore non può essere secondo a nessuno: non sarebbe
più il Signore. Ciò che viene prima di lui, è praticamente il tuo Signore. Come
la madre, raffigurata dalle tane e dal nido, rappresenta i beni che garantiscono
del dovere.
Come bisogna essere liberi dalla madre per nascere alla vita biologica, così
bisogna essere liberi dal padre per nascere alla vita adulta. Ogni cosa e
relazione, ogni piacere e dovere che si pone come assoluto, “prima” di Dio, ci
toglie la libertà. Solo l’amore per il Signore sopra tutto ci rende liberi davanti
relativizza.
Il discepolo quindi esce dalla madre (tana, nido, piacere) e dal padre
(relazione, realizzazione, dovere), per nascere come uomo libero, figlio di Dio.
v. 22 Gesù gli dice: seguimi! Seguire lui non è pretesa e volontà mia, ma
chiamata e dono suo per me. E la chiamata e il dono di Dio sono irrevocabili
(Rm 11,29), radicati nel suo amore forte e fedele in eterno (Sal 117,2).
lascia i morti seppellire i loro morti. Sono i vivi che seppelliscono i morti! Ma
chi pone un affetto “prima” del Signore, è già morto: manca dell’altra sua
parte, che lo fa vivere. Ogni sua relazione avrà sempre il sapore della morte.
Pur con il colore della “pietas”, la sua vita non sarà che un seppellire morti.
3. Pregare il testo
204
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù sul lago, che comanda di compiere la
traversata
c. chiedo ciò che voglio: la libertà dalle cose e dalle persone, perché Gesù sia
il mio affetto primo, il mio Signore
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
passare all’altra riva
maestro, seguirò te
il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo
Signore, permettimi prima
segui me
lascia i morti seppellire i morti
4. Testi utili: Sal 16; 23; Dt 6,4ss; 30,15-20; Mt 13,44-46; Fil 3,1ss; Gal 2,20.
205
28. PERCHÉ SIETE PAUROSI, O VOI DI POCA FEDE
8,23-27
“Perché siete paurosi, o voi di poca fede!”, dice Gesù ai discepoli che
cala l’altra e viceversa. Sta a noi favorire la fiducia e tenere a bada la paura.
Questa viene dalla coscienza del limite e conta su ciò che noi possiamo, quella
viene dalla conoscenza che Dio ci è Padre e conta su ciò che lui può.
I discepoli lo hanno seguito, ma non sanno ancora che devono posare il capo
La barca è la comunità, dove lui sta con noi. Deve passare difficoltà, burrasche
206
e tempeste. Prima o dopo tutti andiamo a fondo. È l’unica certezza. Numerosi
della fede. I momenti di crisi - fino a quella crisi ultima - sono il luogo stesso
della fede. Diversamente non serve per vivere una vita libera dalla paura della
Una fede che non si misura con la morte, non passa per la verità dell’uomo
Signore che “dorme” e “si sveglia”, che muore e risorge, per rompere
definitivamente il muro che separa la nostra realtà di morte dal suo desiderio
di vita.
sempre più nel Signore, fino a quando, alla fine, ci fa entrare, con lui che
“dorme”, nella sua stessa morte per uscirne con la sua stessa vita (cf Rm 6,1-
11).
noi e si è “risvegliato” per noi. Il suo sonno è la fiducia di chi posa il capo in
seno al Padre. Per questa sua fede “si risveglia” nella potenza di Dio,
dominatore del mare. Anche noi possiamo avere fiducia in lui: è il Signore che
mortali!- bensì “nella” morte, offrendoci il risveglio a una vita nuova che va
La Chiesa è la comunità di coloro che sono battezzati nella sua morte, per
aver parte alla sua medesima vita (cf Rm 6,3-11). Lo seguono e sono con lui
sulla stessa barca: sia che veglino sia che dormano, vivono ormai sempre con
207
2. Lettura del testo
8,23 Salito lui sulla barca. Non è “una”, bensì “la” barca, dove Gesù sta con i
dall’acqua, la barca è il luogo della vita salvata. È immagine della Chiesa, nata
dal legno della croce, dove Gesù per lei e con lei ha dormito e si è risvegliato.
La croce è il legno con cui lui stesso ha compiuto, in solidarietà con tutti e una
volta per tutte, la “traversata” dalla morte alla vita - desiderio impossibile e
lo seguirono i suoi discepoli. I discepoli ora vedono dove lui posa il capo: si
abbandona al Padre della vita oltre la stessa morte. Anche la folla sulla riva è
passaggio. I discepoli sono i primi che lo compiono: con lui, che dorme e si
nelle traversie della vita, vincendo le tempeste della paura della morte. Sono i
primi che, “pescati” dal Figlio, sono chiamati a diventare, come lui, “pescatori
di uomini” (4,19).
loro. Così sarà anche quando Gesù sarà ghermito e poi restituito vittorioso dal
sepolcro (27,54; 28,2). Il mare, simbolo della morte, si leva per inghiottire
tutto e tutti - come sarà alla fine del mondo (24,7). È ciò che temiamo.
Sappiamo che avverrà, anche se ignoriamo il quando. Tutto ciò che noi
la barca era ricoperta dalle onde. La barca è invasa dai flutti, preda della
208
ma egli dormiva. Il suo è l’atteggiamento del bimbo in braccio a sua madre
(Sal 131), che gli permette di abbandonarsi e sperare anche nelle difficoltà
fiducia nel Padre della vita: vive il limite assoluto come comunione con
creature limitate per farsi vicino a noi. Il nostro farci vicini a lui segna il suo
risveglio per noi, ed è principio della nostra salvezza. Nel suo sonno ha vinto la
vicini a lui è invocarlo come “Signore” - e chiunque avrà invocato il nome del
Signore, sarà salvo (At 2,21). Per essere salvati, nessun altro nome è stato
siamo perduti! Dopo il nome di Gesù, ecco quello dei discepoli: “siamo
non era, è sempre sotto la minaccia del non esserci. Ma sulla barca siamo con
il Figlio, che è fin dal principio e sempre sarà. Egli è venuto a condividere il
nostro sonno perché noi potessimo godere del suo riposo, a gustare della
o voi di poca fede. È quasi il soprannome dei discepoli (cf 6,30; 14,31; 16,8;
17,20). La fede è vittoria sulla paura della morte: permette di accoglierla come
Pur paurosi e di poca fede, i discepoli hanno nel Signore quella fede che li fa
209
42,3). È di grande valore anche quella “poca fede” che esce nelle situazioni
L’uomo è coscienza di morte, anche se per lo più rimossa. Essa pone a tutti,
in modo radicale, il problema della fede. Fin che viviamo e ci sentiamo forti,
fede e non fede sono in noi sempre mischiate, come l’oro e la pietra. Le
renderla come l’oro puro (cf 1Pt 1,6ss). Per questo Paolo si vanta delle
Una fede che trascura la realtà della morte, non serve né per vivere né per
la morte”.
allora, risvegliatosi. Dal testo sembra che Gesù abbia parlato prima di
svegliarsi. Ed è vero! Infatti la sua parola di vita è “la parola della croce” (1Cor
La morte non è più vissuta come minaccia della vita. Il mio limite non è il
Il mio limite assoluto non è il nulla di me, ma il contatto con colui che da
riconoscerci figli.
210
e vi fu grande bonaccia. È la grande calma che viene dalle ferite di Cristo
quella pace e gioia che “nessuno può rapire” (Gv. 16,23), e mi permette di
“dormire” in comunione con lui che è morto e risorto per me. È il dono del suo
Spirito. Nella sua forza posso affrontare “la traversata”, sicuro di arrivare nel
porto.
anche gli altri sono colti da meraviglia. Per tutti e per sempre il mare è
placato.
La testa del Figlio già è venuta alla luce. Il resto del corpo sta nascendo,
maledizione della morte, ma sotto il segno della creazione nuova che sta
nascendo. I gemiti del tempo presente sono le doglie del parto (cf Rm 8,18-
30). L’ultimo nostro giorno sarà il “dies natalis”, il nascere alla nostra verità di
da dove è costui? Non viene da nessuna parte a noi nota. Viene dall’ignoto,
dal sonno: emerge addirittura dalla morte quale Signore della vita,
primogenito di coloro che risuscitano dai morti, primo di una numerosa schiera
Lui sa da dove viene e dove va: è il Figlio che viene dal Padre e va verso i
fratelli. Lui, che ha potere sui venti e sul mare, sulla vita e sulla morte, è con
noi sulla nostra stessa barca, e “dorme” per dare anche a noi la fiducia del
Questo è l’atteggiamento del “Figlio”, che compie “la traversata”, ormai non
211
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando la barca in mezzo al mare in tempesta
c. chiedo ciò che voglio: la fede nel Signore che per me ha dormito e si è
svegliato
d. contemplo le persone: chi sono, che dicono, che fanno
da notare:
Gesù in barca coi discepoli
la tempesta che ricopre la barca
Gesù dorme
Signore, salva!
siamo perduti
perché siete paurosi?
o gente di poca fede
Gesù risvegliato minacciò i venti e il mare
ci fu grande bonaccia
da dove è costui?
4. Testi utili: Sal 107; 131; Gn 2,3-10; Sap 2,1ss; Eb 2,14s; Rm 6,1-11; 8,18-
29. ANDATE
8,28-34
212
ed ecco si gettò tutta la mandria
giù dal dirupo nel mare,
e morirono nelle acque.
33 Ora i mandriani fuggirono,
e, andati in città, raccontarono
ogni cosa e il fatto degli indemoniati.
34 Ed ecco tutta la città uscì
per venire incontro a Gesù,
e vedendolo lo supplicarono
di andarsene dai loro confini.
“Andate!”, dice Gesù ai demoni, che entrano nei porci e finiscono nell’abisso.
discepoli, Gesù vince la radice stessa della paura: riduce all’impotenza colui
che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e libera così quelli che per timore
della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita (Eb 2,14s). Il Signore
che “dorme e si risveglia” quieta il mare: placa il terrore della morte e fa finire
Diavolo significa “divisore”: con la menzogna divide l’uomo dalla sua verità di
figlio e di fratello. Gli indemoniati sono “posseduti”, non padroni di sé, in balìa
“assatanati”, pure noi siamo posseduti dall’ignoranza della verità, divisi dalla
nostra libertà.
Gli esorcismi sono parte essenziale dell’attività di Gesù. Il male non è più
uccisi.
Il brano ci presenta prima l’incontro di Gesù con gli indemoniati (vv. 28-29),
poi la richiesta dei demoni e il loro precipitare nel mare (vv. 30-32) e infine
213
L’esorcismo è compiuto mediante la Parola: la semplice verità sbugiarda la
menzogna. Se l’incredulità ci fa figli del padre della menzogna, omicida fin dal
principio (Gv 8,44) - per sua invidia è entrata la morte nel mondo (Sap 2,24) -,
Nella misura in cui abbiamo fede, non siamo schiavi della paura. La nostra
lotta tra diffidenza e fiducia, che dura tutta l’esistenza; si concluderà alla fine,
luce che sconfigge le tenebre, la fiducia nel Padre che toglie la paura della
8,28 Venuto lui all’altra riva, nel territorio dei Gadareni. È un territorio
l’azione del nemico. Gesù porta anche lì la vittoria compiuta nel suo
sonno/risveglio.
gli vennero incontro. Il male non solo non può vincere, ma neanche fuggire.
due. Matteo reduplica volentieri i personaggi (cf i due ciechi di 9,27ss; i due
secondo cieco è colui che legge, chiamato a identificarsi col primo e fare la sua
è per tutti.
214
“Impuro” è ciò che sa di morte; “spirito” significa respiro, vita. “Spirito impuro”
significa una vita di morte, il contrario dello Spirito Santo, che è la vita di Dio.
Dio e nel cuore la sfiducia verso di lui. Come può vivere uno che considera
vita” - il ricordo del Signore che ha dormito e si è svegliato con noi e per noi.
L’uomo, unico animale cosciente di morire, è angosciato dalla sua fine; a meno
che sappia che, proprio in essa, entra in comunione con il suo stesso principio.
tanto furiosi che nessuno poteva passare per quella strada. Chi sta nella
diventata pericolosa, così che nessuno, tranne il Signore della vita, può
passare indenne.
che tra noi e te, Figlio di Dio? Non c’è nulla in comune tra menzogna e verità:
dove c’è l’una, l’altra scompare. La prima reazione davanti alla Parola è di
dolorosa estraneità, come quella dell’occhio che si apre al sole. È una tortura:
non è per me! Eppure il sole è per l’occhio come la musica per l’orecchio!
Gli uomini si chiedevano: “Da dove mai è costui?” (v. 27). I demoni lo sanno:
è il Figlio di Dio! Essi credono, ma tremano (Gc 2,19). La fede infatti non è solo
sapere chi è lui, ma affidarsi a lui. Vedere il cibo e non mangiarlo è il supplizio
di Tantalo: la “pena del danno”, privazione di ciò che sazia la mia fame!
Ma può non affidarsi al Signore chi lo conosce? Può la volontà, fatta per
amare, non acconsentire a ciò che l’intelligenza le fa vedere come bene? Non
215
volontà. Il Signore è venuto a liberare la nostra libertà, a farci aprire gli occhi
della mente e del cuore, che, dilatati nella notte, si chiudono alla luce.
sei venuto qui prima del tempo per tormentarci? La vittoria definitiva sul
male sarà alla fine del mondo - come alla fine della nostra esistenza, che ne è
1,15): finisce il regno di satana e inizia quello di Dio (4,17). Per i demoni il
tempo è finito prima della fine del tempo: già ora la fede in Gesù ci dà la
vittoria su di loro.
La presenza del bene è avvertita con tormento dal male - e dal malato
stesso, che gli presta voce. Il male infatti tende a identificarsi col suo ospite,
che diventa indemoniato, paralitico e cieco, di modo che avverte il bene come
minaccia. Il Signore separa il malato dal suo tumore, il peccatore dal suo
v. 30 c’era lontano da loro una mandria di molti porci. I porci, per gli ebrei,
sono animali immondi, dimora più opportuna per lo spirito impuro che non
abbrutisce.
diffidenza, lascia libero l’uomo, che torna ad essere figlio di Dio. Però, prima di
finire nell’abisso nel quale voleva sommergerci, rimane ancora per un po’ nei
temporanea presenza tra noi? Perché c’è ancora incredulità in noi e attorno a
noi? Perché il male nella nostra storia, piccola e grande? Dio lo lascia per farne
nelle nostre miserie la sua misericordia. Il male c’è ancora; ma ha perso il suo
216
potere di incanto.
usciti, andarono nei porci, ecc. Le onde, con le quali i demoni volevano
della morte, causano sempre in noi paura; ma questa è il luogo della fiducia.
del male è ancora nei mandriani che si allontanano da Gesù, come pure nei
Gadareni che lo allontanano (v. 34). Però c’è un fatto nuovo, che per i due ex
indemoniati è “buona notizia” e per gli altri cattiva: la liberazione dal male.
Il male negli ossessi toglie la maschera e può essere facilmente vinto; negli
Il male, per essere capito come tale, deve aver raggiunto la fase acuta. Esce
allo scoperto ed è vinto di sicuro nella morte. Per questo le situazioni limite,
come quella dei discepoli nella barca e degli indemoniati nei sepolcri, sono le
comodi” - che rivelano il loro aspetto demoniaco solo nel loro risvolto estremo:
v. 34 tutta la città uscì per venire incontro a Gesù. Esattamente come gli
indemoniati .
Davanti a Dio il male non ha nessuna libertà. L’uomo invece può anche
che i mandriani e tutta la città giungano allo stremo, come i discepoli in barca
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando i sepolcri nel dirupo sul lago
217
c. chiedo ciò che voglio: liberami dalla paura della morte
d. traendone frutto, contemplo la scena
da notare:
due indemoniati gli vennero incontro
uscendo dai sepolcri
che tra noi e te?
andate!
entrarono nei porci e morirono nelle acque
i mandriani fuggirono
lo supplicavano di andarsene.
4. Testi utili: Sal 49; Sap 1,12-2,24; Eb 2,14s; Rm 6,1-11.12-23.
218
30 IL FIGLIO DELL’UOMO HA POTERE SULLA TERRA
DI RIMETTERE I PECCATI
9,1-8
9,1 E, salito in barca,
passò all’altra riva;
e venne nella sua città.
2 Ed ecco gli portavano un paralitico
che giaceva a letto.
E, vedendo Gesù la loro fede,
disse al paralitico:
Coraggio, figliolo,
ti sono rimessi i tuoi peccati.
3 Ed ecco alcuni degli scribi
dissero tra sé:
Costui bestemmia!
4 E, vedendo i loro pensieri,
Gesù disse:
Perché pensate cose cattive
nei vostri cuori?
5 Cosa è più facile:
dire:
Ti sono rimessi i tuoi peccati,
o dire:
Sorgi e cammina?
6 Ora perché sappiate
che il Figlio dell’uomo ha potere
sulla terra di rimettere i peccati,
allora dice al paralitico:
Sorgi,
leva il tuo letto
e va’ a casa tua.
7 E, sorto,
andò a casa sua.
8 Ora, visto ciò, le folle temettero
e glorificarono Dio
che aveva dato tale potere agli uomini.
“Il Figlio dell’uomo ha potere sulla terra di rimettere i peccati”. Gesù dice
espressamente per l’unica volta il “perché” dei suoi miracoli: sono un segno
219
mummie.
Quando pensiamo a Dio, subito pensiamo a una legge che giudica e punisce
di espiare. Dovere, colpa ed espiazione sono tipici di ogni re-ligione, che lega e
Ma Dio non è legge, e noi non abbiamo debiti con lui: è lui che ne ha con noi.
Ci ha fatti per amore, e ogni nostro male è un “suo” fallimento, di cui soffre.
Come i genitori con i figli, lui si mette in questione se noi stiamo male o
come diritti suoi e doveri propri. Gesù, il Figlio che conosce il Padre, “deve”
dare la vita per questo mondo di peccato: è venuto sulla terra per portare ai
Questa è una bestemmia. Gesù si fa uguale a Dio, l’unico che perdona. E per
convertirci a lui perché lui per primo si converte a noi - anzi, con mitezza
condannare perdona, invece di punire espia per gli altri. Proprio per questo
(5,20), che è quella del Padre che fa piovere la sua luce e la sua benedizione
I miracoli rifanno l’uomo nuovo (8,1-4: il lebbroso), vengono dalla fede (8,5-
fonte nel “Servo” (8,17) che dorme e si risveglia per vincere la nostra paura
della morte (8,23-27: la tempesta sedata), affogando il male che con essa ci
tiene schiavi per tutta la vita (8,28-34: l’esorcismo). Ora il vangelo mostra
220
come la vita nuova è essenzialmente perdono: la legge ci crocifigge al nostro
Perdonare è miracolo più grande che risuscitare un morto. Lazzaro, una volta
rivela insieme l’identità di Dio, che ama senza misura, e quella dell’uomo, suo
è il significato (Lc 24,46s). La prova che Cristo è risorto, per Paolo consiste
Le prime parole che Dio disse ad Adamo sono: ”Dove sei?” L’uomo non era
più al suo posto, perché si era nascosto da lui. Lontano da lui, è lontano da sé
e dagli altri, estraneo a tutto. Perché “Dio è il suo posto”. Nel perdono ritrova
bestemmia, che sblocca l’uomo dalla sua paralisi, inchioderà il Figlio dell’uomo
sulla croce.
agli altri: sono figli che vivono la misericordia del Padre, suoi ambasciatori
9,1 Venne nella sua città. Cafarnao è ormai la “sua” città adottiva, dove
221
raggiungere Gesù, addirittura calandolo dal tetto (cf Mc 2,1-12 e Lc 5,17-26).
un paralitico. L’uomo è viator. Non è mai di casa dove sta; ovunque si sente
estraneo, perché abita altrove. Non è questa la sua città: è in cerca di quella
futura (Eb 13,13s), perché è della famigli di Dio (Ef 2,19). Chiamato a
diventare perfetto come il Padre (5,48), solo in lui raggiunge la sua casa,
nell’amore reciproco che è la dimora dell’uno nell’altro (cf Gv 14,23s). Fine del
suo cammino è essere in Dio come Dio è in lui, fatti casa l’uno dell’altro.
a letto. L’uomo sta a letto quando soffre o si riposa, quando sta male e
quando muore. La paralisi fissa il paralitico a letto. Questo può essere simbolo
della legge. Buona in sé, è però luogo di contenzione per chi la trasgredisce.
grado di adempiere la legge. Infatti chi è perdonato di più, amerà di più (Lc
vedendo la loro fede. La fede è l’origine dei miracoli: è comunione con Dio,
figliolo. In greco c’è: “genito”. Anche se non lo sai e non lo accetti, Dio ha nei
via da te i tuoi fallimenti di cui fai sempre ri-cordo, quel male che ti aderisce e
mangia come un tumore. Tutto il negativo che hai fatto e che ti porti dentro
222
come una massa oscura, è gettato lontano da te.
l’azione più grande dell’uomo: ci fa essere ciò che siamo - figli del Padre,
può essere ristabilita dal perdono. Se lo accetto, conosco Dio come Padre e me
stesso come suo figlio. Non siamo amati perché bravi - allora saremmo odiati
grazia (Rm 5,20). Non per questo dobbiamo peccare (Rm 6,1.15; 3,8); ma,
lunghezza, l’altezza e la profondità (Ef 3,18) dell’amore del Padre in Cristo per
noi, dal quale nulla ci potrà mai più separare (Rm 8,39). Veramente tutto,
anche il male, coopera al bene (Rm 8,28), per coloro che hanno accolto il suo
amore.
v. 3 alcuni degli scribi dissero tra sé. Parlare tra sé è aborto di dialogo,
difendersi o attaccare.
espiazione (cf Lv 4-5). Gesù perdona, quindi è Dio; e perdona senza espiazione
doppia: che l’uomo Gesù sia Dio, e che Dio sia Dio, altro e santo, proprio
fine della legge e principio del vangelo (5,20-48). Sarà la causa della condanna
223
di Gesù (26,65); ma la sua stessa morte sarà rivelazione di questo Dio che
nessuno ha mai visto, e che il Figlio ha rivelato (Gv 1,18), proprio attraverso la
croce (27,54).
v. 4 vedendo i loro pensieri. Il Signore vede e scruta i pensieri dei cuori (Sal
139,1ss).
perché pensate cose cattive nei vostri cuori? Il cuore cattivo dà frutti cattivi.
( 5,45; cf Lc 6,36).
v. 5 cosa è più facile dire, ecc. Per noi è impossibile sia far camminare il
paralitico che perdonare. Per Gesù il primo miracolo, esterno, è segno del
secondo, interno.
v. 6 perché sappiate. Il motivo del miracolo è render noto “il potere” di Gesù
e di Dio, che è lo stesso. Solo qui Gesù dice il “perché” dei suoi miracoli.
dice secondo che uno è in grado di comprendere del suo mistero. Può
porta il giudizio di Dio (Dn 7,14): ha ogni potere in cielo e in terra (28,18).
l’onnipotente.
sulla terra. Gesù, il Figlio dell’uomo, porta sulla terra il potere stesso di Dio in
rimettere i peccati. Dio non ha altro potere che quello di perdonare, che è il
suo dovere nei nostri confronti - “dovere” che lo porterà alla croce. Dio è dono
e per-dono. La legge, che pure è dono suo, indica il cammino della vita. Ma se
amore assoluto, che assolve da ogni male. Il potere, l’onore e la gloria di Dio si
224
rivelano sulla croce, dove lui, nel perdonare, mostra l’onnipotenza del suo
amore.
leva il tuo letto. Ciò che prima lo portava da malato, ora lui stesso lo porta da
va’ a casa tua. Finalmente l’uomo può giungere a casa: è quella del Figlio, la
stessa del Padre. Il perdono sblocca la sua paralisi: non guarda più il suo
peccatore perdonato che va a casa sua, dove può finalmente mangiare col
Dio che aveva dato tale potere agli uomini. Il Figlio dell’uomo è venuto per
dare agli uomini il potere di Dio: nel perdono vicendevole tra i fratelli, circola
come siamo perdonati, di amare come siamo amati. La storia cessa di essere
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù circondato dalle folle, con il paralitico
davanti
c. chiedo ciò che voglio: conoscere il Figlio dell’uomo e il suo potere di
perdonare
225
d. traendone frutto, contemplo la scena
da notare:
gli portavano un paralitico
giaceva a letto
coraggio
ti sono rimessi i tuoi peccati
costui bestemmia
perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha potere sulla terra di rimettere i
peccati
leva il tuo letto
va’ a casa tua
glorificarono Dio che aveva dato tale potere agli uomini.
4. Testi utili: Sal 103; 130; Is 54,1 ss; Ger 31,31-34; Lc 15,1ss; Mt 18,21-35;
2 Cor 5,14-6,2.
226
31. NON SONO VENUTO A CHIAMARE I GIUSTI,
MA I PECCATORI
9,9-13
Rimesso in piedi dal perdono, può entrare in casa sua e accogliere chi lo ha
sensi: Dio ama di più il peccatore, perché ha più bisogno, e anche il peccatore
227
lo amerà di più, perché ha ricevuto maggiore amore (Lc 7,36-50). Il malato, più
è grave, più ha diritto del medico e maggiori sono i doveri di questi nei suoi
maggiori sono i doveri di Dio nei suoi confronti. Inoltre il suo peccato non gli
impedisce l’esperienza di Dio: anzi, proprio in esso lo chiama per il suo vero
con Matteo; nel v. 10 Gesù, con i suoi discepoli, entra in casa sua e si fa
commensale con lui e con altri suoi colleghi; nei vv. 11-13, all’obiezione dei
invece accetta quelli non ancora convertiti. Non perdona il peccatore perché si
riconosce, perché ne ha bisogno. Il giusto invece gli resiste con tutte le forze.
Deve prima accettare il peccatore come suo fratello, suo gemello, anzi come
per lui (Gal 3,13; 2 Cor 5,21); solo allora conosce Dio e si converte alla
clemente, longanime, che si lascia impietosire (Gn 4,2). Se esclude dal suo
peccatori.
perdizione.
Gesù chiama tutti, ed è commensale con i peccatori non solo convertiti, come
228
Matteo, ma anche con gli altri. Anche Matteo non fu chiamato perché
della sua “grazia”: graziati dal Signore, usano grazia gli uni verso gli altri (Ef
4,32).
9,9 Andando via di là. Gesù aveva guarito il paralitico facendolo camminare
verso casa sua. Ora chiama il peccatore a seguirlo, a essere con lui e come lui.
vide. Il suo occhio, come raggio che fende le tenebre, si volge al peccatore,
di Gesù, come fascio di luce, alza di sorpresa Matteo, sollevandolo dal tavolo
paralitico nel suo letto, ora un uomo seduto al suo banco a contare soldi -
creazione: “Disse, e vide che era buono” (Gen 1,3.12.18.21.31). Ora sguardo e
segui me! Seguire lui è il senso della vita nuova: significa essere figlio. È il
229
alzato. Avrebbe detto: non sono degno di seguirlo! Levarsi è una delle due
Rispondere alla sua chiamata è passare dalla morte alla vita, miracolo
invitandolo in casa sua, come dicono chiaramente Marco e Luca (Mc 2,15; Lc
5,29). Come il paralitico guarito, va a casa sua; e qui accoglie il Signore che lo
ha accolto.
insieme.
considera suoi fratelli sia Pietro e Andrea che Giacomo e Giovanni, sia Matteo il
peccatore appena convertito che gli altri peccatori. La Chiesa non è fatta di
il Signore si è fatto loro fratello, così a loro volta si fanno fratelli degli altri
cattolica (= universale), perché tutti sono figli di Dio, cominciando dagli ultimi.
dicendo: “Signore, non sono degno!” Se fossi degno, non andrei a ricevere il
sono da levare di mezzo a noi! Non dice la Scrittura di non stare in compagnia
degli empi (cf Sal 1,1) e di eliminare ogni mattina tutti gli empi del paese (cf
230
Sal 101,8)?
La commensalità con gli empi fa sempre problema. Gesù invece sta con noi,
senza vergognarsi di chiamarsi nostro fratello (Eb 2,11). Egli odia il peccato e
sa. Noi al contrario siamo duri coi peccatori perché teneri con il male, che
male essere affamati. Ma proprio questo pensa chi affama, e per questo
affama! (Dovremmo pregare più per gli infelici affamatori che per gli affamati,
come tale e alla libertà da esso. Finché sono duro con i peccatori, sono ancora
perché i suoi fratelli sperimentino la stessa accoglienza del Padre che lui ha
Appena il mio peccato non mi sta dinanzi (Sal 51,5), invece di ringraziare Dio,
tra noi e in noi? non è contro la volontà di Dio? non bisogna strappare le
zizzanie (13,24-30) ?
v. 12 egli, udito, disse. La domanda è fatta sempre dal fratello maggiore, che
è in ciascuno di noi; la risposta viene da Gesù, con ciò che lui ha fatto e detto
(At 1,1). Per risolvere i problemi all’interno della Chiesa, il criterio è lasciare la
non hanno bisogno del medico i sani, ma quelli che stanno male. Il medico è
Dio, che cura le ferite del suo popolo (Sal 147,3; Is 61,1). Uno ha il raffreddore,
Gesù è il medico, e privilegia chi sta peggio. Misura alla grazia di Dio non è la
bontà, ma la cattiveria nostra. Il suo amore gratuito è per noi l’unica cura e
231
Il male non è la sconfitta del bene, ma, paradossalmente, luogo di un bene
maggiore. “Perfetto come il Padre” non è chi sbaglia di meno, ma chi ama di
più. E certamente ama di più colui al quale è stato perdonato di più (Lc
7,41.43).
ritorno a colui che grazia e fascia le ferite, e ridà vita al terzo giorno! Bisogna
amore ci guarisce.
La giustizia di Dio non esige il nostro sacrificio: è misericordia, che porterà lui
a sacrificarsi sulla croce. Alla religione della legge e del sacrificio subentra
quella della libertà e dell’amore, che viene dalla conoscenza di questo Dio.
Nessun giusto è salvato, perché nessuno è giusto (Sal 12,2; Rm 3,23) - tranne
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come il solito
b. mi raccolgo immaginandomi a mensa in casa di Matteo
c. chiedo ciò che voglio: convertimi, o Signore, e sarò convertito (Ger 31,18)
d. traendone frutto, contemplo la scena
da notare:
andando via da lì
Gesù vide
un uomo seduto al banco delle imposte
gli dice: segui me!
levatosi
lo seguì
Gesù a mensa in casa di Matteo
232
molti pubblicani e peccatori giacevano a mensa con Gesù
perché il Maestro mangia coi peccatori?
l’obiezione dei farisei ai discepoli trova risposta direttamente in Gesù
non hanno bisogno del medico i sani ma i malati
misericordia voglio e non sacrificio
non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.
4. Testi utili: Sal 12; 50; 51; Os 6,3-6; Giona; Lc 7,36-51; 15,1ss; Rm
233
32. LO SPOSO È CON LORO
9,14-17
“Lo sposo è con loro” , risponde Gesù: per questo i suoi discepoli non
i farisei (cf brano precedente) e i discepoli di Giovanni: tutti sono presenti alle
nozze dell’Agnello, che porta su di sé il peccato del mondo (Gv 1,29). Nessuno
è escluso dalla festa, perché egli è il principio e il fine della creazione: per lui e
in vista di lui tutto è stato fatto e tutto sussiste in lui (Col 1,16s), vita di quanto
esiste (Gv 1,3b-4). Il Signore che mangia con tutti, peccatori convinti o meno,
è il riposo di Dio nella sua creazione e della creazione nel suo Dio. Nascono i
cieli nuovi e la terra nuova, dove ha stabile dimora la giustizia di Dio (2Pt
234
3,13).
il digiuno, l’amore e il vestito, il vino e gli otri. Con Gesù è finito il digiuno, e
digiuno attraverso cui passare per giungere alla meta (v. 15b). La vita nuova
che lui porta non è un aggiustamento di quella vecchia (v. 16); c’è finalmente
qualcosa di nuovo sotto il sole (Qo 1,9): il vino nuovo (v. 17), lo Spirito nuovo
promesso dai profeti (Ez 36,26), effuso nei nostri cuori (Rm 5,5), che esige e
quanti siedono alla mensa del Figlio, si riversa ogni dono di Dio. L’uomo
di amore, vestito, ebbrezza, novità e vita. La venuta del Signore sazia questa
Gesù è il cibo, lo sposo, il vestito nuovo, il vino migliore riservato alla fine. In
La Chiesa non digiuna: fatta di peccatori, fa eucaristia per il dono del perdono
noi e i farisei digiuniamo. I suoi discepoli digiunano: per loro la vita è attesa
del futuro. Anche i farisei, fedeli alla tradizione, digiunano: per loro la vita sta
digiuno: la vita è nel futuro o nel passato, desiderio di ciò che sarà o nostalgia
235
i tuoi discepoli non digiunano. Dio non è uno che era o sarà: egli è. Per
questo i discepoli di Gesù non digiunano: vivono la gioia dell’incontro con lui.
indica gli invitati. Con Gesù partecipiamo al banchetto del Messia, pienezza di
elimina la morte per sempre e asciuga le lacrime su ogni volto (Is 25,8; Ap
7,17).
lo sposo è con loro. Ecco il nostro Dio (Is 25,9): è lui lo sposo, l’Emmanuele,
che è sempre con noi (1,23; 28,20). Il rapporto sposo/sposa, alterità che si
è la realtà più indicata per alludere al rapporto Dio/uomo (cf Is 61,10s; 62,1-5;
Gen 1,27; Os 2,16-25; Cantico dei Cantici; Ap 21-22). In Gesù uomo e Dio sono
una carne sola: l’uno è l’altra parte dell’altro, e nessuno potrà più separare ciò
che fu unito.
lui è anche lo sposo, amore libero e corrisposto che ci rende simili a lui, suoi
partners.
banchetto nuziale: vivere nella pienezza di quell’amore che è Dio stesso, suo
sposo.
Il “principio dei segni” di Gesù è dare l’ebbrezza del vino all’acqua incolore e
(11,18s). Matteo sottolinea anche altrove l’aspetto nuziale del regno (22,1-14;
25,1-13).
quando sarà tolto loro lo sposo, allora digiuneranno. Lo sposo sarà tolto
236
quando sarà elevato sulla croce e levato in cielo. La vita cristiana conosce una
pienezza che però non è ancora compiuta. Le nozze già ci sono state: l’unione
con Dio, già perfetta in Gesù, è l’anticipo di ciò che sarà per ciascuno di noi
alla fine. Ora c’è un’assenza per giungere alla presenza, un digiuno non ancora
sazio, un venerdì santo che introduce alla pasqua. Il suo essere-con-noi, per il
momento, resta sotto il segno della croce: la sua presenza è nei piccoli - negli
situazioni di digiuno che la nostra storia conoscerà sino alla fine (25,35ss). Lì
lui è presente al nostro amore. Il nostro digiuno si sazia, per ora, incontrando
compimento dei tempi (28,10), quando entreremo con lui nelle nozze (25,20),
In questo detto si allude al digiuno del venerdì santo in ricordo della croce.
Ma si allude soprattutto al digiuno che lui desidera da noi: dividere il pane con
catene, spezzare ogni giogo (Is 58,6s). Così incontriamo lo sposo, che si è fatto
è la visibilità della persona, che insieme la vela e rivela - è come un corpo che
237
vecchio. Non si può mischiare luce e tenebra, vita e morte, amore ed egoismo.
morte.
ci riveste giorno dopo giorno. Se il vestito è l’uomo nella sua relazione con
il “di più” necessario per essere felici. L’uomo non è fatto solo per mangiare
come l’animale. È fatto per amare: solo questo lusso gli dà gioia.
Il vino è simbolo del sangue, della vita, dello Spirito. Gesù ha bevuto il vino
acido della nostra morte (27,48), per darci alla fine il vino migliore (Gv 2,10):
beve il nostro calice di morte (26,42), perché noi beviamo il suo calice di vita
(26,27).
Non ubriacatevi di vino, ma siate ricolmi dello Spirito (Ef 5,18). Questo
amore, “sobria ebbrezza dello Spirito”, è l’alleanza nuova ed eterna tra noi e lo
in otri vecchi. L’otre è un sacco di pelle per custodire bevande. L’otre vecchio
non può contenere il vino nuovo: il cuore di pietra non può contenere lo Spirito
d’amore.
si rompono gli otri. Lo Spirito nuovo rompe l’otre vecchio: l’uomo vecchio, il
mettono vino giovane in otri nuovi. I discepoli di Gesù sono otri nuovi, e
vivono nella gioia perché hanno questo vino nuovo: è una gioia che nessun
digiuno può oscurare e nessuna potenza rapire (Gv 16,23), perché nulla ormai
li può separare dall’amore che Dio ha per loro in Cristo (Rm 8,38s). Lo Spirito
238
fa l’uomo nuovo: l’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno proprio con la
“tempio dello Spirito”: noi glorifichiamo Dio nel nostro corpo (2Cor 6,19.20; cf
Rm 12,1)
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il banchetto in casa di Matteo
c. chiedo ciò che voglio: dammi Signore, la sorgente d’acqua che zampilla per
la vita eterna (Gv 4,14)
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
i discepoli di Giovanni digiunano
i farisei digiunano
i discepoli di Gesù non digiunano
lo sposo è con loro
quando sarà tolto lo sposo
toppa grezza e vestito vecchio
vino giovane e otri vecchi
vino giovane e otri nuovi.
4. Testi utili: banchetto: Is 25; 55; Pr 9,1-6; nozze: Cantico dei Cantici; Is
Gv 2,1-12; Ez 36,24-37,14.
239
33. LA TUA FEDE TI HA SALVATA
9,18-26
240
“La tua fede ti ha salvata”, dice Gesù alla donna che lo tocca e guarisce.
Subito dopo, lui stesso tocca la fanciulla e la risuscita. Sono due miracoli a
della donna, posto nel mezzo, dice che cos’è la fede: toccare Gesù; il racconto
della fanciulla morta e risorta, posto all’inizio e alla fine, dice cosa dà la fede:
Signore della vita, che a sua volta ci “tocca” - e il suo tocco è il dono stesso
della vita. Non si evita la morte - siamo mortali! - , ma, proprio in essa, si è
presi per mano da colui che ci risveglia: “Io sono la risurrezione e la vita; chi
crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25). Infatti “chiunque vive e crede
in me, non morirà in eterno” (Gv 11,26). La salvezza del Cristo risorto è già
presente nella comunità come vita affrancata dalla paura della morte e libera
dall’egoismo.
Gesù. Questo “tocco” è lo Spirito Santo, dito di Dio, che scrive nel nostro
cuore il suo nome e lo ferisce col suo amore: è la fede che ci fa amare come
siamo amati, ci fa vivere in comunione con lui, sia che vegliamo sia che
La salvezza dalla morte è “il problema” dell’uomo. Ogni suo sapere e agire
tutto e di tutti.
Il Signore, che con noi sulla barca ha dormito e si è svegliato, placa il mare e
la nostra paura di andare a fondo. Ora, con lui risorto, sciolti dallo spirito del
male, dalle nostre paralisi e peccati, siamo chiamati a mangiare con lui, lo
sposo; anzi, a toccarlo e a vivere del suo tocco. Così, con-morti, con-sepolti e
con-risorti con lui, possiamo già ora vivere la stessa vita nuova di colui che è
morto, sepolto e risorto per noi (cf Rm 6,1-11; Col 2,12-15). “Toccando” lui che
241
“prende” la nostra mano, usciamo dal lutto del digiuno ed entriamo nel
Matteo, come al solito più sobrio di dettagli rispetto agli altri sinottici, rileva
con essenzialità i temi connessi del morire, del toccare (fede), del salvare e del
risorgere.
Gesù libera quelli che abitano nelle tenebre e nell’ombra di morte (4,16; Is
La Chiesa è raffigurata dalle due donne, figlie di Sion, delle quali una tocca il
9,18 Mentre diceva loro queste cose. Gesù sta parlando delle nozze, del
vestito nuovo, del vino giovane, in casa di Matteo il peccatore. Ciò che lui dona
non è un semplice palliativo ai nostri mali, quasi una pezza su vecchi strappi; è
ecco venire uno dei capi. È Giairo, capo delle sinagoga di Cafarnao. La cura di
lo adorava. Adorare Gesù è il fine del vangelo di Matteo: i Magi lo fanno fin
vita. La giovane figlia del capo della sinagoga, come quella di chiunque altro, è
da sempre appena morta: l’uomo non genera che vita per la morte. Ogni
vieni, imponi la tua mano su di lei e vivrà. Questa è la fede del capo della
242
v. 19 risvegliato. Gesù è già risorto. Ma prima di risvegliarsi, anche lui ha
con i suoi discepoli. Con lui sono quelli che già hanno ascoltato la Parola, che
v. 20 ecco una donna che perdeva sangue da dodici anni. Il sangue è la vita.
al Signore. Ma proprio per questo siamo ancor più bisognosi di lui, come il
malato del medico. Ciò che ci manca per guarire è proprio lui, fonte della vita.
sua veste. La veste del Signore è la sua umanità, della quale si è rivestito;
l’orlo della sua veste è la Parola, attraverso la quale noi, ancora oggi,
ogni carne. Nella sua umanità abita tutta la pienezza della divinità (Col 1,19), e
la sua parola è viva ed efficace (Eb 4,12), capace di compiere ciò per cui fu
inviata (Is 55,11). Dio, come ogni persona, lo tocchiamo e ci tocca con la sua
Signore nella sua parola, che opera in chi l’accoglie come parola di Dio (cf 1Ts
2,13).
se solo toccherò il suo mantello, sarò salvata. Non dice: guarita, ma, salvata.
spalle, l’orlo del mantello: gli parla faccia a faccia, bocca a bocca. La sua
parola gli mostra il Volto e gli tocca il cuore penetrandolo con il suo Spirito.
243
dialogo con il Signore, è la fede che salva. La salvezza infatti è il parlare ed
entrare in comunione con lui. Allora la paura della morte lascia il posto al
Signore. La donna constata, come ciascuno di noi, che la sua parola è vera:
opera ciò che promette. Ma solo in colui che crede. In colui che non crede,
manca proprio ciò che solo la Parola accolta può dare. L’ora della salvezza è
Il problema non è che Dio salvi o che la sua parola sia efficace. Lui vuole tutti
salvi e la Parola fa quello che dice. Ma nessun dono può essere fatto a chi non
v. 23 giunto Gesù nella casa del capo, ecc. Nella casa del capo della sinagoga
regna la morte, c’è lamento e strepito. È il lutto con cui chi è ancora vivo
La morte dei genitori è “normale”: la vita continua nei figli. Ma la morte della
già morto.
risveglio nella nuova luce. La morte non è più senza ritorno. Al tocco del
beffardo della morte, che per noi è l’ultima parola. Se la morte produce pianto,
244
la prese per mano. Lo sposo prende per mano la sposa, unito con lei nella
buona come lo fu nella cattiva sorte. La vita strappa alla morte la sua preda, e
la veste di sacco è mutata in abito di danza (cf Sal 30,12). La ragazza, morta
fremito di vita la sconvolge. Ormai è con-sorte del suo Signore, unita a lui in un
terra” giunge fino a noi, perché in essa, - lembo del suo mantello - tocchiamo
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginandomi nel tragitto dalla casa di Matteo alla sinagoga
c. chiedo ciò che voglio: toccare lui, essere preso per mano da lui. Chiedo la
fede nella sua parola
d. traendone frutto, contemplo la scena
da notare:
mia figlia è morta
vieni, imponi la mano su di lei e vivrà
risvegliato, Gesù lo seguiva
ecco una donna che perdeva sangue
tocca di dietro il lembo del suo mantello
diceva: se toccherò, sarò salva
coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata
ritiratevi: la fanciulla non è morta, ma dorme
la prese per mano
fu risvegliata la fanciulla
questa fama uscì.
4. Testi utili: Sal 16; 23; 1Cor 15,1ss; Rm 6,1-11; Col 2,1-15; Mt 22,23-33;
Gv 11,1-44.
245
34. AVVENGA A VOI SECONDO LA VOSTRA FEDE
9,27-34
“Avvenga a voi secondo la vostra fede”, dice Gesù ai due ciechi, guarendo
subito dopo il muto. La fede è vista, l’incredulità cecità. In forza della fede,
colui che, come Zaccaria, era rimasto muto a causa dell’incredulità, può
246
I due miracoli, ultimi della serie dei dieci prodigi e punto di arrivo dell’attività
Così si compie la missione del Figlio, primo apostolo inviato ai fratelli. Quelli
che a loro volta sono illuminati, la continuano nei confronti degli altri.
“Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti, e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14).
ma di occhi nuovi; non consiste nel vedere cose nuove, ma nel vedere nuove
tutte le cose, con gli occhi del Figlio. Chi ha il cuore del Figlio, ovunque vede
l’amore del Padre. Invece delle proiezioni delle proprie paure, scorge ovunque
la bellezza del suo volto: si sveglia dall’incubo della notte e viene alla luce.
“correttamente” (Mc 7,35). Guarito dalla cecità e dall’afasia, può dire, con
gioia sua e altrui, ciò che ha udito, visto e toccato dal Verbo della vita (1Gv
1,2-4).
I ciechi, illuminati dalla Parola, saranno a loro volta luce del mondo (5,14).
Subito dopo, al c. 10, ci sarà la missione dei Dodici, i primi che hanno avuto
occhi nuovi e bocca nuova per proclamare le meraviglie di Dio (At 2,11).
Il brano si articola in due parti: i vv. 27-31 raccontano la guarigione dei due
ciechi, i vv. 32-34 quella del muto e il diffondersi della Parola, che porta
cuore. Lui è venuto per fare un giudizio: perché chi è cieco veda, e chi crede di
Gesù, luce del mondo (Gv 8,12), Parola eterna del Padre, è il Figlio,
primogenito di una numerosa schiera di fratelli (Rm 8,29) illuminati alla sua
luce.
La Chiesa, accesa dal fuoco che lui ha donato il giorno di Pentecoste, è luce
247
del mondo (5,14), e trasmette ai fratelli la Parola che guarisce e rigenera a
9,27 Andando via Gesù di là (cf v. 9). Gesù ha appena risvegliato la fanciulla.
Ora il vangelo mostra come la risurrezione sia la stessa fede, che fa passare
possiamo e dobbiamo seguire Gesù. “Chi segue me, non cammina nelle
tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12b). L’illuminazione inizia col
desiderio di seguirlo - tenue luce che brilla nella notte. Chi poi lo segue, giunge
ciechi. Il cieco è nelle tenebre: non è ancora venuto alla luce. La prima
essere cieco. Un sasso non è cieco! Sapere di essere ciechi significa capire di
non essere fatti per le tenebre, come sapere di essere mortali è capire di non
essere fatti per la morte. La coscienza della cecità e della morte viene dalla
nostra dignità: siamo figli, poema di Dio, creati nel Figlio, destinati a
essere le cose quello che sono. La cecità si oppone alla vista come la tenebra
alla luce, il non-senso al senso, la morte alla vita. La realtà è uguale sia per il
disagio per il male come bisogno del bene. A questo punto del vangelo il grido
sa ciò che desidera e vuole: la luce della fede. La fede stessa è il grande
248
miracolo.
abbi pietà di noi. La fede è chiedere a Dio di vedere lui come pietà e amore
Cristo (1,1).
Infatti consiste nel vedere se stesso come figlio e lui come Padre - il che è
possibile solo nella fraternità. Chi ama il fratello è figlio ed è passato dalla
morte alla vita (cf 1Gv 3,14). L’illuminazione cristiana è per tutti, non per
se ne ascolta la parola.
credete che posso fare questo? Gesù chiede se crediamo che lui può darci la
vista. La fede non è un dono, ma il dono: ci mette in comunione con lui! Come
ogni dono, può essere data solo a chi la desidera e la chiede. Il ritenere che ce
la possa dare e il chiederla, è atto della nostra libertà. Anche l’ateo può e deve
sì, Signore. Il loro “sì” al dono della fede è il semaforo verde alla sua potenza.
In questo “sì” Gesù è il Signore - l’eterno “sì” per noi che attende il nostro “sì”
v. 29 toccò i loro occhi. Il suo “tocco” ci dà occhi nuovi: i suoi stessi di Figlio.
v. 30 si aprirono i loro occhi. Adamo aprì gli occhi sulla sua nudità, e si
nascose alla luce. Gesù ci apre gli occhi sulla nostra gloria di figli, e ci fa
aperto gli occhi per vedere ciò che occhio umano mai non vide (1Cor 2,9).
249
L’illuminato potrà raccontare la sua esperienza ad altri (vedi miracolo
seguente); ma l’illuminazione stessa rimane “il” segreto che conosce solo chi
lo sperimenta.
v. 31 diffusero la sua fama in tutta quella terra. La fama di Gesù esce dalla
casa e si diffonde per tutta la terra, conducendo a lui altri desiderosi di vedere
gli porta un muto. La parola è ciò che dà senso alla realtà: tutto senza di essa
resta assurdo. L’uomo riceve luce dalla parola, e diventa la parola che ascolta.
Il muto è l’uomo in cui si arresta il circuito della parola: per lo più non la può
parlò il muto. Anche lui può dire ciò che ha udito e visto e toccato dal Verbo
della vita (1Gv 1,1). Nel discorso sulla missione, che immediatamente segue,
della promessa.
v. 34 con il capo dei demoni scaccia i demoni. Davanti alla Parola - al muto
La storia della salvezza è uno scontro tra fede e incredulità, fra luce e
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che esce dalla casa di Giairo e torna alla
casa di Pietro
250
c. chiedo ciò che voglio: che io veda! chiedo il dono della fede nella sua
Parola
d. traendone frutto, contemplo la scena
da notare:
lo seguirono
due ciechi
gridando e dicendo
abbi pietà di noi
entrato nella casa, i ciechi gli si avvicinarono
credete voi che posso fare questo?
sì, Signore!
avvenga secondo la vostra fede!
un uomo muto
scacciato il demonio, parlò il muto
mai apparve cosa simile in Israele
con il capo dei demoni scaccia i demoni.
4. Testi utili: Sal 27; 34; Is 42, 7; 60,1 ss; Gv 8,12; 9,1ss; Ef 5,14.
251
35. SUPPLICATE DUNQUE IL SIGNORE DELLA MESSE
9,35-38
“Supplicate dunque il Signore della messe, perché getti fuori operai nella sua
messe”, dice Gesù ai suoi discepoli prima di inviarli a continuare la sua stessa
opera.
Il discorso sulla missione è introdotto allo stesso modo del discorso sul monte
dell’azione dei suoi fratelli: ciò che lui ha detto e fatto, è quanto i discepoli
continueranno a dire e a fare. Unica è la missione: quella del Padre che manda
il Figlio ai fratelli, perché nella fraternità sua e tra di loro diventino figli. I
discepoli, dopo di lui, sono chiamati a trasmetterla nello spazio e nel tempo.
“Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi” (Gv 20,21).
Padre verso il Figlio e il Figlio verso il Padre. Ma il Figlio non può amare il
Padre, se non ama come lui i fratelli. Per questo va verso di loro, per ricondurli
dall’esilio alla casa paterna. L’apostolo, a sua volta, è spinto dal medesimo
252
amore (2Cor 5,14). Mediante la fraternità ognuno diventa figlio: amando i
fratelli, ama il Padre, il cui amore è amare il Figlio e in lui tutti i suoi figli. La
Trinità, che è in cielo, si realizza sulla terra nell’amore reciproco, fino a quando
Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28). Allora il Signore sarà “uno” su tutta la terra
Matteo riunisce nel discorso sulla missione anche quanto gli altri sinottici
esplica nell’annuncio del regno e nella cura dell’uomo (v. 35), e ha nella
siano operai a raccoglierla, perché non vada rovinata (v. 37). Bisogna pregare,
entrare in comunione col Padre, per diventare figli ed essere inviati verso i
Padre.
figli che si sentono inviati ai fratelli. Come Paolo, ogni credente è spinto verso i
lontani dallo stesso amore di Cristo, che ha dato la vita per tutti (2Cor 5,14).
porta verso i fratelli. Lui stesso è la via che va in cerca dei perduti per
ricondurli alla verità e alla vita. Gesù che cammina è modello del discepolo,
253
pellegrinaggio verso la casa del Padre, che si realizza perdendosi in cerca di
ogni fratello.
gratuità e povertà (cf 10,1-15). Prima di istruirli con le parole, li addestra con
l’esempio.
per tutte le città e i villaggi. In ogni luogo, grande o piccolo, ovunque c’è un
insegnando nelle loro sinagoghe. Gesù, come poi anche Paolo, inizia il suo
apostolato nella sinagoga. Da lì la Parola esce per le strade del mondo, fino
il vangelo del regno. È la buona notizia che è giunto il regno del Padre, dove
tutti siamo figli e ci amiamo come fratelli. È quanto Gesù ha proclamato sul
curando. È quanto Gesù ha fatto scendendo dal monte (cc. 8-9). La Parola è
sempre connessa con la “terapia”, che vuol dire: “rispetto, venerazione, cura”.
ogni malattia e ogni morbo. L’uomo ha molte malattie che lo fanno stare
eretto.
v. 36 vedendo le folle. L’occhio del Signore è il suo giudizio, molto diverso dal
muove le sue viscere, fino a com-patire, a patire-con noi il nostro stesso male.
254
come pecore senza pastore. Il pastore conduce ai pascoli e alle sorgenti (Sal
23; Ez 34,1ss; Gv 10,1ss). Senza di lui la pecora muore. Nella Bibbia il gregge è
il popolo e il pastore Dio stesso, oltre che i capi del popolo come suoi
v. 37 allora dice ai suoi discepoli. Gesù rende partecipi della sua compassione
la messe è molta. Il male non è il luogo della disperazione, bensì della gioia
del raccolto! Infatti proprio nella miseria si vive la misericordia - il grande dono
di Dio che è Dio stesso. Il giudizio finale è visto come la mietitura (3,12;
è salvezza nostra, ma anche sua, perché lui non può accettare che i suoi figli si
perdano. Esso si compie nella storia mediante la missione del Figlio e di coloro
che la continuano.
miete (Gv 4,35-38): infatti chi semina misericordia ottiene misericordia (5,7).
ma gli operai pochi. Gesù è il primo operaio, che opera verso i fratelli con la
stessa misericordia del Padre. Attende collaboratori (1Cor 3,9). Dio si serve di
noi per due motivi. Primo, perché, collaborando con lui, diventiamo come lui:
facendoci fratelli, siamo salvi, perché diventiamo figli (per questo ognuno
fraternità gli altri accolgono lo Spirito del Padre, e possono a loro volta farsi
suoi collaboratori nei confronti di altri, e così di seguito fino a quando tutti gli
255
non conclude: “Datevi quindi da fare!”. Chiede invece che si supplichi il Padre,
Signore della messe. Solo la comunione con lui e il dono del suo Spirito (Lc
11,9-13) ci fanno figli come il Figlio, liberi dalle nostre false sicurezze (Lc 9,57-
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che va attorno, in cerca delle pecore
perdute
c. chiedo ciò che voglio: sentire la sua compassione e farmi suo compagno e
collaboratore
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
Gesù andava attorno per tutte la città e i villaggi
insegnando, proclamando il regno e curando ogni male
ebbe compassione
pecore senza pastore
la messe è molta, gli operai pochi
supplicate.
4. Testi utili: Sal 23; 80; 100; Ez 19,2-6a; 34,1ss; Gv 10,1-18; Lc 9,57-62;
10,25-37; 11,9-13.
256
36. CHIAMATI, LI INVIÒ
10,1-15
257
la vostra pace scenda su di essa;
ma se non ne sarà degna,
la vostra pace torni a voi.
14 Se qualcuno poi non vi accoglierà
e non ascolterà le vostre parole,
uscendo da quella casa o da quella città,
scuotete la polvere dai vostri piedi.
15 Amen vi dico:
più accettabile sarà
per la terra di Sodoma e di Gomorra
nel giorno del giudizio
che per quella città.
Gesù chiama a sé operai, che continueranno a fare e a dire quanto lui, prima
di loro, ha fatto e detto. Nasce la Chiesa, che ha nei Dodici la radice che li
unisce alla terra promessa, a Cristo. Essa è apostolica non solo perché fondata
“salvato dalle acque”, salverà dalle acque i fratelli; Elia, “il mio Dio è HYWH”
testimonierà a tutti che solo HYWH è Dio; Gesù, “Dio salva”, salverà il popolo
dai suoi peccati!
mandati a due a due (Mc 6,7). La comunità è punto di partenza e d’arrivo della
missione: realizza la filialità nella fraternità. Solo chi è fratello è figlio, e solo
I Dodici, come sono i depositari del discorso sul monte - tranne Matteo il
peccatore, che ha accolto Gesù in casa sua -, sono i destinatari del discorso
apostolico: sono inviati a portare alle dodici tribù la Parola del Figlio, che poi
258
Nei vv. 1-4 c’è la vocazione dei Dodici e i loro nomi, nei vv. 5-15, le istruzioni che Gesù dà loro:
rivolgersi alle pecore perdute d’Israele (vv. 5-6), annunciare il regno (v. 7), restituire l’uomo a se
stesso (v. 8a) in gratuità e povertà (vv. 8b-10); la loro accoglienza porta la pace messianica (vv. 11-
10,1 Chiamati innanzi. L’uomo è come è chiamato. L’Altro dice il mio nome,
la mia identità. Il mio nome, detto da lui ancora prima che io nascessi, sono io:
i suoi dodici discepoli. Gli apostoli sono discepoli che, in quanto “discepoli”
diede loro potere. È il suo stesso potere, quello di vincere il male col bene.
inviati.
per scacciarli. Fine della missione è liberare dallo spirito immondo e dare lo
259
vv. 2-4 i nomi dei dodici apostoli sono, ecc. La lista dei Dodici è costituita da
sei coppie di nomi. Due è il principio della fraternità. Chi non ha fratelli,
Simone, chiamato Pietro, è “primo”, non solo della lista, ma per il suo ruolo di
pietra (16,18), che confermerà nella fede i fratelli (Lc 22,32). Matteo è il
Zeloti più spinti, che nei tumulti pugnalavano i nemici del popolo.
scribi né a quella dei farisei, non sono dotti che conoscono la legge né pii che
hanno studiato teologia né diritto canonico! Ciò che li unisce è la chiamata del
Matteo, al quale dovevano pagare le tasse, e per di più per conto dell’odiato
tra di loro. È gente la più diversa, che sempre resterà tale, eppure chiamata
alla fraternità nel Figlio. Dio non seleziona secondo criteri di bravura, cultura o
culture (o inculture!) diverse, anche se sempre tentata del contrario. Gesù non
poteva prendere uomini più disparati; e ognuno è rispettato per quello che è,
260
v. 5 Gesù li inviò. Sono inviati a “pescare uomini” (4,19). I pescatori, pescati
dal Figlio alla fraternità, sono chiamati a fare altrettanto coi propri fratelli.
Gesù, gli apostoli e la prima Chiesa sono giudei. Attraverso loro la salvezza
seno a Israele.
v. 6 rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele (cf 15,24). La prima
Signore viene a salvare. Ciò che dicono non lo dimostrano con argomenti, ma
coscienza.
il regno dei cieli. È Dio Padre che regna nell’amore tra i suoi figli. Il suo è
con la Parola nei cc. 5-7 e con l’azione nei cc. 8-9.
v. 8 curate infermi. “Infermo” è colui che non sta in piedi: è l’uomo che perde
la sua posizione eretta, prono sotto il giogo della legge o carponi sotto il peso
nell’altro. Sappiamo infatti che siamo passati dalla morte alla vita perché
mondate lebbrosi (cf 8,1-4). L’amore è una vita nuova, libera dalla lebbra
261
scacciate demoni (cf 8,28-34; 9,32s). Lo Spirito di verità scaccia quello di
così donare a chi lo accoglie il grande tesoro: diventare come Dio che accoglie.
la sicurezza del povero, che in essa ripone le sue provviste. L’apostolo invece
né due tuniche. La seconda non è tua: è del fratello che non ce l’ha (Lc 3,11).
Se vuoi andare in missione, devi averla già data; diversamente puoi essere
né sandali. I sandali sono dell’uomo libero. Tu sei schiavo della Parola (cf Lc
potere di chi ha più mezzi, è anche scettro di dominio sugli altri. Il bastone di
Dio è la croce, che lo rende vicino a tutti e servo di tutti, nessuno escluso.
l’operaio è degno del suo cibo. L’apostolo, che dà in dono come in dono
riceve, mette chi l’accoglie in grado di fare altrettanto ed entrare così nel
262
dell’apostolo, il cibo che lo sazia.
v. 11 fatevi indicare se c’è una persona degna. L’annuncio è per tutti - città e
lì dimorate. L’apostolo dimora presso chi lo accoglie. Come il Figlio, anche lui
si fa piccolo, perché il fratello che lo accoglie sia accolto nel regno del Padre
messianica del regno entra nella casa di chi accoglie il fratello piccolo, che è lo
indietro la terra degli infedeli. Con esso l’apostolo evidenzia che chi non
non aver accolto gli inviati di Dio (Gen 19,24ss). Non accogliere il fratello
piccolo è rifiutare il dono del Padre: è perdere la promessa, essere privi del suo
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che va per città e villaggi proclamando il
vangelo
c. chiedo ciò che voglio: andare ai fratelli in gratuità e povertà, testimone
dell’amore del Padre
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
chiamati innanzi i suoi discepoli
il potere di scacciare gli spiriti immondi
curare ogni malattia e infermità
il “collegio apostolico”: come è formato
le istruzioni di Gesù: camminare, annunciare, fare ciò che lui ha fatto,
prendendosi cura di ogni debolezza, in gratuità e povertà per essere accolti
accogliere il fratello apostolo è diventare figlio: rifiutarlo è non accettare
la propria verità.
263
4. Testi utili: Sal 146; 1Sam 17,32-51; 2Re 5,1ss; Mc 3,13-19; 6,6b-13; At
264
37. IO MANDO VOI COME PECORE IN MEZZO AI LUPI
10,16-25
“Ecco, io mando voi come pecore in mezzo a lupi”, dice Gesù agli apostoli.
265
ferocia del lupo. L’aggressività del male si scarica su di lui, “che porta il
La legge fondamentale della storia è questa: il male lo porta chi non lo fa; e
Servo dalle cui ferite siamo guariti (Is 53,5; 1Pt 2,24s): percosso dalle nostre
addossato le nostre malvagità (Is 53,11). Così compie la volontà di Dio (Is
53,10), che è la salvezza dei peccatori (Is 53,12). Il Signore infatti vuole che
L’Agnello immolato è il solo capace di aprire i sette sigilli del rotolo scritto
Dio e del mondo - è quanto spiegherà ai due di Emmaus il Gesù risorto (Lc
la porta su di sé.
Per questo Paolo condensa la sapienza nella “parola della croce”, e ritiene di
non sapere altro se non Gesù Cristo, e questi crocifisso (1Cor 1,18; 2,2). In lui
vediamo sia la nostra realtà di male - cosa c’è di peggio che crocifiggere il
Signore della gloria, uccidere l’autore della vita? -, sia la verità di Dio, amore
assoluto per noi, che si fa carico del nostro male. La croce, sapienza di Dio e
potenza del suo amore, è la Gloria che entra nel mondo e lo salva.
Il discepolo deve comprendere che il mistero del Maestro è anche il suo. Noi,
facendo male a noi e agli altri. Quando capiremo che il male non è soffrire e
Il male che uno fa “pro-voca” (chiama-fuori) quello latente nell’altro, con una
reazione a catena, che si arresta dove c’è uno tanto forte da non restituirlo. La
che ci fa simili a Dio, capaci di rispondere alla provocazione del male col bene.
266
Gli apostoli testimoniano nel mondo la vittoria dell’Agnello. Le difficoltà, le
lotte e le persecuzioni non devono spaventare: sono i costi della vittoria del
bene, segno della distruzione del male, che esce allo scoperto ed è sconfitto.
Gesù è il Figlio che vince l’inimicizia: come Giuseppe, salva con la sua
simbolo di Dio che, dopo aver dato esistenza e splendore a ogni creatura, sulla
cibo che prende. Alla fine il lupo dimorerà con l’agnello, la pantera con il
capretto, il vitello con il leone, la mucca con l’orsa, il leone si ciberà di paglia
come il bue, e il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide (Is 11,6-8). Sarà il
regno dei fanciulli e dei figli, dove nessuno agirà più iniquamente, “perché la
saggezza del Signore riempirà il paese come le acque ricoprono il mare” (Is
11,9). Tutto questo porterà lo Spirito di sapienza del virgulto di Jesse - l’agnello
267
di chi si espone al pericolo, ma la fiducia del bambino che si affida alla madre.
a causa mia. Non perché malfattori, ma perché giusti, a causa del Giusto.
Compiono così in sé quello che ancora manca alla sua passione, per amore suo
colomba.
sarà dato a voi in quell’ora. All’agnello in mezzo ai lupi sarà dato cosa dire in
vendetta. In lui parla lo Spirito del Padre e del Figlio: l’amore verso i fratelli,
terminale, tocca i legami più stretti, raggiungendo le radici della vita (Mi 7,6).
268
ogni affetto e pietà - è il male sommo, preludio del giudizio di Dio.
v. 22 sarete odiati da tutti, ecc. Chi porta amore, riceve odio. Perché in lui
chi sopporterà sino alla fine, costui sarà salvato. La vita è dono: è salvata
sarebbe masochismo! Martire non è colui che cerca la morte, propria o altrui,
ma colui che vuole la vita e l’amore, qualunque sia il costo che deve pagare.
Se si può, è bene fuggire; ma il bene nella fuga si diffonde (At 8,4; 11,19),
non avrete finito le città d’Israele prima che arrivi il Figlio dell’uomo. Il Figlio
dell’uomo comparirà nella gloria (26,64) per il “suo” giudizio, con il “suo”
segno (24,30), proprio sulla croce (27,51-54). E sarà sempre presente in ogni
sofferenza giusta e ingiusta come colui che offre salvezza (cf 25,31ss). Al
discepolo, come a Stefano, svela la sua gloria nell’ora del martirio (cf At 7,56).
Con queste parole l’evangelista allude, oltre che alla croce del Messia, a
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che invia i suoi discepoli
c. chiedo ciò che voglio: capire e amare la missione dell’agnello immolato e
vittorioso
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
agnelli/lupi
serpenti/colombe
269
il discepolo perseguitato come il suo maestro
lo Spirito del Padre parla in voi
l’odio di tutti a causa del suo amore
il discepolo, mediante la persecuzione, diventa come il suo maestro e
Signore.
4. Testi utili: Sal 131; Is 11,1-9; 53,1ss; Mt 5,11s; 2Cor 11,1-12,10; 4,7-6,10;
Ap 5,1-14.
270
38. NON TEMETE
10,26-31
“Non temete”, dice Gesù agli apostoli, dopo averli mandati come pecore in
oltre i dittatori e i pazzi, non hanno paura; ma c’è d’aver paura per loro e di
loro!
271
Fiducia e paura sono due principi antagonisti, ambedue necessari. Il secondo
fiducia in lui che ci libera dalla paura della morte, con la quale il nemico ci
Siamo mortali; ma il nostro limite non è la fine di noi stessi, come teme il
nostro egoismo, bensì l’inizio dell’Altro e della nostra comunione con lui.
Principio e fine della nostra vita non è il nulla che temiamo, ma il Padre che ci
ama e che amiamo. Il perfetto amore scaccia ogni timore (1Gv 4,18). Finché
viviamo, il nostro amore non è ancora perfetto. Per questo abbiamo anche
L’apostolo, pur sentendo timori e incertezze (1Cor 2,3), non si lascia guidare
da questi, ma dallo Spirito di colui che ha dato la vita per tutti (cf 2Cor 5,14).
La paura della morte non diventi una filosofia di vita. Nostra “filosofia” sia
“l’amore della sapienza” del Padre. L’uomo è sempre conteso tra due amori:
quello della sapienza della carne, che chiude nella paura della morte, e quello
della sapienza dello Spirito, che apre alla fiducia e alla vita. Ogni volta deve
significa innanzitutto che noi siamo effettivamente in preda alla paura. Questo
La Chiesa ha come principio di vita il battesimo, che ci immerge nel Figlio, nel
272
2. Lettura del testo
10,26 Non temete. La situazione di chi annuncia è quella di pecora tra lupi. Il
peggiore è sapere di essere sulla strada giusta e vedere gli altri che vanno
contromano. Il bene non resta mai impunito, o, nella migliore delle ipotesi,
testa e ginocchia? Per una causa vincente si è disposti anche a dare la vita -
tanto la si perde comunque - ma per una causa perdente, vale la pena? Questi
nulla di velato che non sarà svelato. Il fallimento del bene è il grande mistero
nascosto alla sapienza del mondo (1Cor 2,6-16). Ciò che impedisce di vederlo
è il velo della croce, propria del Dio amore, che in essa si rivela. La sua
guarito dalla cecità, vede ciò che occhio umano mai non vide: il dono che Dio
futuro: ciò che è (stato) velato e lo è ancora, proprio questo sarà svelato. Il
e di nascosto, che non sarà conosciuto. “La sapienza divina, misteriosa, che è
rimasta nascosta e che Dio ha preordinato nei secoli per la nostra gloria,
stata rivelata per mezzo dello Spirito di Dio (1Cor 2,8.10). Tutta la storia è
compimento.
v. 27 ciò che vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce. Gesù è la luce venuta
273
Mediante il loro annuncio, il mondo verrà alla luce della verità.
L’apostolo proclama il mistero che per primo lui stesso ha messo nell’orecchio:
presenta sotto il segno del suo contrario, perché contraddice ogni nostra
mistero della croce, rivelazione della gloria di Dio nella storia di contraddizione
dell’uomo.
La nostra paura di fallire nel bene nasconde la paura che abbiamo di fallire
noi stessi. Temiamo la morte del seme, anche se sappiamo che solo così porta
frutto; non ci piace la sorte dell’agnello tra i lupi, anche se sappiamo che è la
sua vittoria.
v. 28 non temete quelli che uccidono il corpo, ecc. I lupi possono uccidere il
corpo. Ma il corpo non è la vita: viene dalla terra e torna ad essa. La vita che
non può essere uccisa è lo Spirito, amore che sa dare anche la vita.
temete piuttosto colui che può e vita e corpo distruggere nella Geenna. Il
timor di Dio, Signore di tutto, è principio di sapienza (Sal 111,10): scaccia ogni
paura. Chi ha paura di perdere la vita animale, non solo la perde, ma ha già
vivere in esso l’amore filiale e fraterno, che è vita eterna. Chi non vive così, è
già morto!
v. 29 due passeri non si vendono per un soldo? Un passero vale ben poco. È
ciò che l’uomo pensa di se stesso. La sua vita passa come un soffio (Sal 90,9),
eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia.
274
Anche la vita e la morte di un passero non sono trascurabili per Dio. Eppure
non è padre loro, ma “vostro”, dice Gesù. Noi, suoi figli, ci consideriamo meno
Siamo nelle sue mani, ben riposti. È inutile che ci preoccupiamo per la morte
e siamo in ansia per la vita: la morte comunque viene, la vita comunque va.
La morte è un fatto biologico. Che non sia la seconda morte, frutto ultimo
della nostra paura, ma un nascere a vita nuova. Nostro pastore non sia la
v. 30 anche i capelli del capo, sono tutti contati. Il capello è parte del corpo
stessa non sa quanti ne ha, né avverte di perderli. Eppure, colui che chiama le
stelle per nome (Sal 147,4), ha contato anche i capelli del tuo capo! Se si
prende cura dei dettagli minimi dei suoi figli, come non si prenderà cura di loro
continuare a temere”. Se non altro, perché pesate più di due passeri: il vostro
“peso” è la “gloria” stessa di figli del Padre. Non siete passeri, ma ben più che
subito.
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il Signore che manda in missione i Dodici
c. chiedo ciò che voglio: la fiducia nel Padre che vince la paura
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
non temete
velato/svelato
nascosto/conosciuto
nelle tenebre/nella luce
udito all’orecchio/proclamato sui tetti
275
gli uomini uccidono il corpo, ma non la vita
distruggere vita e corpo nella Geenna
neanche un passero cade a terra senza che il Padre vostro lo voglia
i capelli del vostro capo, sono tutti contati
valete più di molti passeri.
4. Testi utili: Gen 20,10-13; Sal 69; 23; 33; 49; 131; 139; Is 57,20; 30,15; Es
14,13; Mt 6,25-34; Eb 2,14s.
276
39. DEGNO DI ME
10,32-11,1
277
di dare questi ordini
ai suoi dodici discepoli,
partì di là
per insegnare e proclamare nelle loro città.
“Degno di me”, è il ritornello che Gesù ripete, completando il ritratto del suo
apostolo: inviato come lui in gratuità e povertà (vv. 1-15) - agnello in mezzo a
lupi (vv. 16-25), forte solo della sua fiducia nel Padre (vv. 26-31) -, è chiamato
(vv. 32-33). Con lui è giunto sulla terra il giudizio divino (vv. 34-36): la salvezza
è un amore per lui più grande di qualunque affetto (vv. 37-39), che assimila a
lui, il Figlio affidato nelle mani dei fratelli come in quelle del Padre. Chi lo
accoglie, accoglie il Figlio, e si fa lui stesso figlio che accoglie il Padre (vv. 40-
42). Dopo queste parole, Gesù continua la sua missione ormai non più solo,
il Padre ha mandato lui a testimoniare il suo amore verso i fratelli, allo stesso
modo lui manda quelli che già si sanno figli verso gli altri fratelli, fino a quando
Gesù è il Figlio inviato ai fratelli per testimoniare nella sua carne l’amore del
La Chiesa è fatta da coloro che già l’hanno accolto, e, uniti a lui nell’unico
compio io stesso qui in terra: se, nella quotidianità delle azioni e nella
278
Lo riconosco per riconoscenza d’amore. Lui per primo mi ha amato e ha dato
se stesso per me (Gal 5,20); e io, nel fratello più piccolo, riconosco lui (18,5;
25,40.45) che, per riconoscere tutti, si è fatto ultimo e servo di tutti (Mc 9,35).
Il mio futuro eterno davanti al Padre dipende dal mio riconoscere ora davanti
agli uomini il Figlio, che, nella carne dell’ultimo, sarà presente fino alla fine del
mondo per salvarci (28,20). Il “tremendo” giudizio di Dio, l’unica cosa che
conta e resta della storia, è posto nelle mie mani, affidato alla mia
con la vita.
Pietro (26,70.72.74). Chi rinnega il Figlio, non è suo fratello e rinnega di essere
figlio: perde se stesso! “Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo
anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo
è colui che ha dato la vita per noi peccatori (Rm 5,6-11), dal cui amore nulla
può separarci (cf Rm 8,38s). Infatti “ se noi manchiamo di fede, egli però
rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2Tm 2,13). Lui è il Figlio:
possibile, perché lui è solo “sì” (2Cor 1,19s), come il Padre. La sua fedeltà
senza fine è il motivo per cui sale a Dio il nostro Amen (2Cor 1,20). Anche se lo
rinneghiamo, come Pietro possiamo sempre contare sulla sua fedeltà a noi,
v. 34 non crediate che sia venuto a portare pace sulla terra, ecc. Gesù è
venuto a portare la pace dei figli di Dio (5,9). Ma non è una pace pacifica. Sfida
ben diversa dalla “pace perniciosa” di chi si adegua al male. È la pace del
279
La spada che Gesù userà non sarà quella che estrae Pietro (26,51s), ma la
fiducia nella parola del Padre, spada a due tagli (Sal 149,6).
v. 35 venni infatti a separare, ecc. La Parola è spada affilata (Eb 4,12): entra
nel caos del peccato, che pervade e perverte ogni relazione (cf Mi 7,6), e lì
Come il maestro, anche il discepolo entra nel male del mondo, cominciando
v. 36 nemici dell’uomo, quelli di casa sua. Gesù è venuto tra i suoi, e non
insieme ai capi suoi, in alleanza coi pagani. È stato respinto da tutti quelli che
v. 37 chi ama padre o madre più di me, non è degno di me (cf Lc 14,26s).
Gesù può non essere amato. Ma non può essere amato meno di un altro: non
sarebbe il Signore, da amare con tutto il cuore (Dt 6,5ss). Dio è amore. Amato
non in se stesso, non sarebbe Dio e non sarebbe amore. Amo Cristo, mia vita
(Fil 1,21), perché lui per primo mi ha amato e ha dato se stesso per me (1Gv
4,9; cf Gal 2,20). Alla sua passione per me rispondo con la mia per lui: sono
stato conquistato, e anch’io corro per conquistarlo (Fil 3,12). L’amato diventa
la vita di chi lo ama: gli amanti si conferiscono reciprocamente ciò che hanno e
ciò che sono. Se “sono per lui, come lui è per me” (Ct 2,16; 6,3; 7,11), sono
davvero “degno di lui”, fatto una sola carne con lui nell’unico amore.
v. 38 chi non prende la sua croce (cf 16,24). Ognuno ha la “sua” croce, che
può essere solo sua: la lotta contro il male che è in lui. Solamente Gesù,
l’unico senza colpe, ha portato non la sua, ma la nostra croce. Ciascuno di noi,
dietro di lui, come il Cireneo, porta la croce di Gesù, che è in realtà la nostra,
sulla quale egli morirà al posto nostro. E quando noi siamo incapaci di portarla,
280
e non segue me. Quando portiamo la nostra croce non siamo soli. Lui sta
davanti, portando la parte più pesante, sulla quale sarà innalzato. Noi, dietro,
portiamo la parte leggera, che sarà confitta a terra e su cui scenderà il suo
sangue.
non è degno di me. In questo modo collaboriamo liberamente alla sua lotta e
alla sua vittoria, diventando simili a lui, con la stessa dignità di Dio che è
v. 39 chi avrà trovato la sua vita, la perderà ( cf 16, 25). Ogni uomo vuol
possedere la propria vita. Ma, nella misura in cui ci riesce, diventa egoista, e la
chi avrà perso la sua vita per causa mia, la troverà. La vita è da perdere. Non
solo perché, come ogni animale, siamo mortali; ma soprattutto perché vivere è
amare, e amare è far dono della vita. La vita non si può trattenere: vivere è
riceve.
per causa mia. La vita non è buttata via per disprezzo, ma donata per amore
di Gesù.
v. 40 chi accoglie voi, accoglie me, ecc. L’inviato è uguale al Figlio, che per
L’apostolo si mette come Gesù nelle mani degli uomini che faranno quello
che vorranno. Vive con i fratelli la stessa fiducia che ha con il Padre, e
riconosce a ciascuno la dignità di figlio. Uno, presto o tardi, vive la dignità che
gli è riconosciuta!
281
v. 41 chi accoglie un profeta, ecc. Chi accoglie, più che dare, riceve: riceve la
dignità stessa di chi è accolto. Per questo il Signore si è fatto il più piccolo di
Signore. Di essi è il regno dei cieli (18,3-5). Chi li accoglie, entra nel regno:
11,1 quando Gesù ebbe finito, ecc. Come dopo ogni discorso, Gesù “finisce”:
non solo “termina”, ma “compie” ciò che ha detto (7,28; 11,1; 13,53; 19,1;
26,1).
di dare questi ordini ai suoi discepoli. Sono ordini, non optionals: ciò che lui
partì di là per insegnare, ecc. Gesù continua la sua missione insieme ai suoi
discepoli: lavora dove ancora essi non lavorano, li aspetta nei poveri, nei
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che invia i suoi apostoli
c. gli chiedo ciò che voglio: essere degno di lui, amarlo con tutto il cuore
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
chi mi riconoscerà davanti agli uomini, lo riconoscerò davanti al Padre
chi mi rinnegherà, lo rinnegherò
sono venuto a portare la spada
chi ama padre o madre più di me, non è degno di me
chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me
chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me
chi avrà trovato la sua vita, la perderà
chi avrà perso la sua vita per causa mia, la salverà
chi accoglie voi, accoglie me, accoglie il Padre
chi avrà dato anche un solo bicchiere d’acqua fresca.
282
40. SEI TU?
11,2-6
Signore. Gesù risponde rimandando alle sue opere, come se dicesse: “Io sono
colui che vedi attraverso ciò che faccio”. La salvezza è accogliere lui che viene
Il c. 11 chiude la prima e apre la seconda parte del vangelo. Dopo ciò che
del Battista e la risposta di Gesù (vv. 2-6), continua con l’elogio del Battista da
parte di Gesù (vv. 7-15) e con il suo lamento sulla sua generazione (vv. 16-19)
e sulle città che lo rifiutarono (vv. 20-24), per concludere, in contrappunto, con
i piccoli che accolgono il suo mistero (vv. 25-27) e in lui trovano la gioia e il
283
Il c.11 parla del rapporto dell’uomo con il Figlio dell’uomo: inizia col dubbio, si
Si apre così una nuova sezione, che mostra come il regno si incontra e
con una beatitudine che contiene le nove precedenti (5,3-11): “Beato chi non
come messa in questione delle proprie attese per aprirsi all’ascolto di ciò che
l’altro dice. Giovanni è l’uomo che si fa domanda per ricevere dal Signore la
risposta.
Gesù è il promesso dai profeti, che ci fanno traghettare dalle attese nostre a
quelle di Dio.
con la verità di Dio. Il quale, per fortuna, compie le sue promesse e non le
nostre attese.
11,2 Giovanni in carcere (cf 14,11-12). Giovanni prepara la via del ritorno
venuta del regno (3,2=4,17). Ora è in carcere. Con lui, ultimo dei profeti che
avendo udito le opere del Cristo. Giovanni ha ascoltato il racconto di ciò che
ha detto e fatto colui che nel Battesimo gli era stato rivelato come il Figlio
(3,13-17).
284
mandandogli i suoi discepoli. Gesù ha appena inviato a Israele i suoi apostoli;
Giovanni dal carcere manda i propri discepoli da Gesù, per fargli la domanda
decisiva.
v. 3 sei tu il Veniente? Giovanni annunciò “colui che viene”, il più forte, che
compie il giudizio di Dio tagliando ogni albero cattivo e bruciando ogni male
Giovanni poteva mettere in crisi l’atteso invece della propria attesa. Invece è
restare aperti con una domanda che metta in questione le nostre sicurezze. “I
miei pensieri non sono i vostri pensieri. Le mie vie non sono le vostre vie”, dice
Questa domanda è la radice della fede, che affida a lui la risposta. È l’atto più
alto della ragione - quello che non fecero i nostri progenitori quando, invece di
chiedere a lui, si fidarono di fantasie proprie e suggestioni altrui (cf Gen 3).
Giovanni è sulla soglia della tentazione radicale: credere alle proprie certezze,
non vuol ridurre Dio alle proprie idee su di lui, ingenuamente accettate o
respinte.
Giovanni è il profeta della verità, oltre che di Dio, anche dell’uomo che si
285
domanda che attende risposta. È il più grande tra i nati da donna (v. 11),
perché fa tacere le sue parole e chiede: “Sei tu?”, facendosi ascolto della
Come Dio è infinito, così sono infinite le nostre idee su di lui. Dio è tutto, ma
nulla è Dio. Davanti a lui ogni idolo cade come Dagon davanti all’arca (1Sam
5,1ss). Regge solo la domanda, vuota di risposta: ”Sei tu?”. Ad essa può
interroga su tutto, sino a farsi pura domanda. Il profeta non dà risposte, tanto
meno sul futuro; è invece domanda che apre il presente alla novità di Dio.
c’è un altro da attendere: è l’attesa che deve essere altra, attesa d’altro, anzi
dell’Altro.
domanda “Sei tu?”, il Signore, come con Giobbe (Gb 38-41), risponde
ricordandogli le sue opere. Ciò che si vede di lui è la risposta alla domanda.
Qui si fa la sintesi della sua azione, che continua negli apostoli (10,7s)
v. 5 ciechi vedono (9,27-31; cf Is 29,18; 35,5). Venire alla luce è il primo dei
miracoli. Noi siamo ciechi, perché vediamo le nostre attese, non la realtà.
sordi odono (9,32-34). L’uomo, da Adamo in poi, è sordo alla Parola, abitato
286
poveri sono evangelizzati (5,3). Tutte le situazioni di povertà ricevono la
beatitudine, sintesi delle altre, è accogliere lui, povero, afflitto, mite, puro di
regno.
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il carcere da cui Giovanni attende la risposta
c. chiedo ciò che voglio: mettere sempre in questione le mie attese e pretese
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
Giovanni in carcere
sei tu?
dobbiamo attendere un altro?
annunciate ciò che udite e vedete
beato chi non si scandalizza di me.
4. Testi utili: Is 35, 1-10; Sal 146; Is 55,1ss; 61,1 ss; Mt 3,1-17.
287
41. COSA USCISTE A VEDERE NEL DESERTO?
11,7-15
“Cosa usciste a vedere?”, domanda Gesù alle folle sul Battista. Cerca di far
loro capire l’importanza della sua figura: egli rappresenta il mistero dell’uomo
288
La vita del Precursore è inseparabilmente intrecciata con quella del
Salvatore, come la voce alla Parola, l’attesa all’Atteso, l’acqua allo Spirito, la
diverso dai mezzi busti che si mettono in mostra: è il più grande tra i nati da
donna (vv. 7-11a) - anche più dei patriarchi e dei profeti. Infatti il suo farsi
domanda: “Sei tu?”, lo pone sulla soglia del Veniente, pronto ad accoglierne la
risposta. Però il più piccolo nel regno è più grande di lui: se lui è il punto
d’arrivo della promessa, il più piccolo nel regno è l’inizio del compimento. E
davanti al Volto (Ml 3,1), l’Elia redivivo che ne prepara l’accoglienza (Ml 3,23s).
La Chiesa è fatta dai piccoli che trovano nel più grande tra i nati da donna il
loro patriarca: sono generati dalla sua domanda, vertice di quell’attesa alla
11,7 Gesù cominciò a dire alle folle su Giovanni. Il Battista aveva elogiato
Gesù già prima di conoscerlo (3,11-14). Ora Gesù lo elogia a sua volta. È
l’unica persona di cui parla così a lungo, e in termini così positivi. I due sono
cosa usciste a vedere nel deserto? (3,5s). Attorno a Giovanni si era formato
accogliere il Veniente.
289
una canna sbattuta dal vento? Giovanni non è una banderuola, un
Nessun vento lo muove, se non lo Spirito di Dio. Infatti, come ogni profeta,
“sta” davanti al Signore (cf 1Re 17,1; Gv 1,35). Chi non sta davanti a lui, è
categoria appartieni, che livello occupi in essa e che buon gusto hai. Notifica
nelle case dei re. Il Battista nel deserto ha un altro vestito (3,4). Cristo, il re,
“vedere”: bisogna uscire per vedere il più grande tra i nati da donna. Nei
palazzi del potere ci sono gli aborti di donna, ridicole e tragiche maschere
umane.
un profeta? Giovanni ha la divisa di Elia, padre dei profeti (3,4 = 2Re 1,8). Il
guidò Mosè dall’Egitto (Es 23,20), condusse il ritorno da Babilonia (Is 40,3), e
precederà, come Elia redivivo, la venuta del Signore nel suo tempio (Ml 3,1).
ingiustizia, perché accolga la venuta del Signore. I primi due esodi sono
290
v. 11 tra i nati da donna. Giovanni è il più grande tra i mortali, più di Abramo,
di Mosè e di Elia. In lui la storia precedente confluisce per sfociare nel suo
compimento. I suoi occhi hanno visto, i suoi orecchi udito e le sue mani toccato
colui che gli altri, solo da lontano, hanno desiderato, sognato e annunciato.
il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Chi sta sulla cima del
monte, è più in alto del monte stesso. Il Battista rappresenta il termine del
cammino dell’uomo; ma il più piccolo nel regno sta già in casa come figlio di
Dio. Lui battezza con acqua; ma il più piccolo nel regno ha già ricevuto lo
Spirito che gli fa gridare: “Abbà”. Questa è la dignità dell’uomo nuovo, rinato
dall’acqua e dallo Spirito (Gv 3,5): non solo è chiamato, ma è in realtà figlio di
v. 12 dai giorni di Giovanni il battezzatore fino ad ora il regno dei cieli patisce
regno patisce violenza, nel senso che subisce la violenza del male che si
come accadde a tutti i giusti, da Abele, il primo, a Zaccaria, l’ultimo, ucciso tra
l’altare e il santuario (Lc 11,51). I giusti, con la loro violenza subìta, sono
i violenti ne fanno preda. I regni della terra sono predati dai più violenti:
emergono i peggiori tra gli uomini (Sal 12,9). Il regno dei cieli invece è dei
Gesù stesso sarà re sulla croce (27,37): lì “dei potenti egli farà bottino” (Is
53,12). Il bene è più “violento”, più forte del male. Paolo dice: “Non lasciarti
291
v. 13 tutti i profeti e la legge fino a Giovanni. Con Giovanni termina l’attesa.
Dopo di lui non c’è più profezia, ma la Parola compiuta; non c’è più legge, ma
la libertà del figlio - il suo Spirito d’amore è effuso nei nostri cuori (Ez 36,27;
Rm 5,5).
lui è l’Elia che sta per venire. Gesù è il Veniente, Giovanni colui che sta per
venire per preparare un popolo ben disposto ad accoglierlo (Ml 3,23). Non si
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che parla alle folle
c. chiedo ciò che voglio: capire il mistero di Giovanni, il più grande tra gli
uomini, e il mistero del più piccolo nel regno
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
cosa usciste a vedere?
una canna sbattuta dal vento?
un uomo avvolto in morbide vesti?
un profeta; più che un profeta
mando il mio angelo davanti al tuo volto
il più grande tra i nati da donna
il più piccolo nel regno è più grande di lui
il regno patisce violenza
i violenti ne fanno preda
i profeti e la legge fino a Giovanni
Giovanni è l’Elia che sta per venire.
292
42. A CHI PARAGONERÒ QUESTA GENERAZIONE
11,16-19
generazione, prototipo di ogni altra. Essa rifiuta il gioco di Dio, che invita con
buono si contrista del male e gioisce del bene. Quello cattivo invece gode del
Dopo il peccato - diversamente non sarebbe così - il primo gioco che Dio
l’incisione di un ascesso, anzi una trafittura del cuore malvagio (cf At 2,37),
resistiamo dicendo: “Fa male. È una esagerazione! Dio non ci ha fatto per la
gioia?”
293
Il secondo gioco, riservato a chi ha accettato il primo, è quello di Gesù: la
“Che c’entra con noi?” oppure come le persone pie, che dicono: “Non è giusto,
il gioco di Dio, e alla fine, se stessi (cf vv. 20-24)! Gesù smaschera le nostre
Questo brano ci chiama al discernimento: c’è una tristezza che viene da Dio e
una che viene dal nemico, una gioia autentica e un’altra che ne è la
scegliere ciò che ci rende felici, e respingere ciò che ci rende infelici.
segni con cui Dio parla: il lutto per il male e la gioia per il bene. Il nemico
morte dal profumo di vita. Eppure basta poco perché l’odorato si anestetizzi.
Gesù ci offre la gioia delle nozze tra uomo e Dio. Per accettare la sua danza,
discernimento.
ascoltati.
294
“Questa generazione” ha un significato negativo. Il presente infatti è sotto
“responsabilità” nei confronti del passato, per dargli una nuova direzione, e
nei confronti del futuro, perché non sia tragica ripetizione di ciò che è stato.
gioco di bambini, che mima le realtà fondamentali della vita: la danza per le
nozze e il lutto per la morte. Questi bambini, quando si decide di giocare alle
nozze, per dispetto piangono; quando si decide di far lutto, allora ridono. Così
non riesce nessuno dei due giochi. Invece di giocare, stanno seduti; loro unico
fatto più per stupidità che per cattiveria: è più infantilismo e ripicca che atto di
libertà. Il male non è mai fatto bene! Anche quelli che crocifiggono Gesù, lo
fanno senza saperlo (Lc 23,34; At 3,17; 1Cor 2,8). Ma, anche se infantile, il
lutto. Sono i due giochi dell’esistenza: danza e gioia per l’amore, lamento e
Fin dal principio Dio ci aveva dato di mangiare e godere di ogni albero,
compreso quello della vita - che era nel mezzo -, vietandoci l’albero della
morte. Noi invece, subito, abbiamo messo al centro della nostra attenzione
Allora Dio, con i suoi profeti, viene a rilanciare il gioco della vita, dandoci
295
ha un demonio. Significa : “È pazzo”. A chi dice di convertirsi, si risponde che
la vita è bella e buona, fatta tale da Dio fin dal principio (Gen 1,1ss); non c’è
veleno di morte nelle creature (Sap 1,14), Dio ci ha fatti per la gioia, ecc. Tutto
della morte credendo che dia vita. Noi invece perseveriamo nell’inganno con
Il Battista ci richiama alla “tristezza che viene da Dio” e produce frutto di vita
(2Cor 7,8-10). Ma, mentre lui ci invita al pianto, facciamo una macabra danza
piangere e un tempo per ridere (Qo 3,4). Chi non piange su ciò di cui bisogna
male e dà infelicità.
imbandisce la sua mensa e invita i peccatori: “Non pensate più alle cose
antiche. Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne
accorgete?”(Is 43,19). Al suono del flauto del Figlio dell’uomo, siamo invitati a
ecco un uomo mangione e beone. Per non uscire dal male, prima dicevamo:
“C’è pure il bene: bisogna godere”. Per non gioire del bene, ora diciamo: “C’è
pure il pericolo di restare intrappolati in una tristezza che non viene da Dio:
quando si desidera il bene, ogni tristezza che blocca il cammino, non viene da
296
“Mangione e beone” è la definizione del figlio ribelle, da lapidare (Dt 21,18-
convertirsi dal male sia quando chiama a gioire del suo dono e del suo
perdono.
Questa sapienza sarà accolta da coloro che sono piccoli (vv. 25-27) - ma non
quanto a giudizio, come questi, bensì quanto a malizia (cf 1Cor 14,20).
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che si lamenta di questa generazione
c. chiedo ciò che voglio: avere lacrime e confusione per il male, gioia e
riconoscenza per il dono di Dio
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
bambini seduti che si rimproverano a vicenda
il lutto che propone Giovanni
la danza che offre Gesù.
3. Testi utili: Sal 51; Gen 3,1ss; Is 61-62; Rm 7,14-25; 2Cor 7,8-10.
297
43. GUAI A TE!
11,20-24
“Guai a te!”, sono le dure parole per chi rifiuta il gioco di Dio, nonostante che
luogo di corruzione, che avranno sorte migliore di loro nel giorno del giudizio,
298
responsabilità e colpa, tra colpa e punizione. Si tratta di un’invettiva di stampo
Gesù condanna il male, non chi lo fa. Infatti ha detto di amare i propri nemici,
sé, il Signore lo libera, restando lui stesso inchiodato alla croce, cifra di ogni
Questo testo consente di vedere il tema fondamentale, non solo del vangelo,
Gesù, dando la vita per i peccatori, rivela nella sua misericordia di Figlio il
volto di Padre, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa
lui?
Le minacce di Dio sono come quelle di una mamma. Inducono con autorità un
primo livello di avvertenza per chi ancora non capisce che il male fa male, al di
là delle apparenze.
299
la prima auto che passa - anche se saggiamente può punirlo perché il fatto
non si ripeta.
apparenze.
che, se facciamo il male, Dio ci punisce. Occhio che scruta e giudica, egli è
Tuttavia è positivo pensare che a punire sia chi dà la norma - Dio o genitori.
Ciò fa intendere che la punizione non è fatale, lasciata al male stesso. Spetta
pienezza che gli manca e per la quale si sente fatto. Anche quando sbaglia,
non cerca mai il male: desidera un bene maggiore, una felicità più grande.
300
Tutti sappiamo che cosa significa: basta aprire il giornale, per vedere l’abisso
come Dio non è peccato, ma un sentire profondo inciso a fuoco nel cuore
dall’egoismo e dall’infelicità.
punizione pedagogica.
D’altra parte l’inferno, inteso come perdizione totale, è il luogo unico dove ha
senso parlare di salvezza. Dio ci salva non solo dall’Egitto (male subìto) ma
anche dall’esilio (conseguenza del male fatto da noi), a una sola condizione:
esso. Infatti lo raddoppia nel caso del taglione, o lo moltiplica senza fine nel
Certo Dio è giusto; ma non come noi. La sua è una giustizia “eccessiva”,
quella del Padre che ama i suoi figli (cf 5,20.45ss). Dire che Dio giudica
significa che è bene lasciare che sia lui a fare giustizia, non noi. E della sua
giustizia, l’unica cosa sicura che possiamo comprendere è che non fa e non
abbondantemente.
301
La croce infatti è il suo giudizio, dove lui si rivela Dio, così diverso da noi. Lì
vince il male portandolo su di sé, e salva ogni malvagio. Se fosse giusto come
noi, avrebbe giustiziato tutti. Ma allora non sarebbe buono o non sarebbe
fallimento e un odio eterno dal quale lui non vorrebbe o non potrebbe
riscattare.
Quando parliamo di Dio, ogni nostro concetto è analogico. Significa che lui è
semplicemente diverso da ciò che diciamo - che ha con lui solo un certo
aspetto di somiglianza. Dicendo che è giusto, affermiamo che non vuole, non
tollera e non fa l’ingiustizia, che pure c’è; ma dobbiamo anche dire che la sua
immerso nel nostro peccato, e proprio così compie la volontà del Padre (cf
3,15), la giustizia superiore (5,20). Sulla croce Dio è Dio, tutto e solo amore,
onnipotente, capace di portare amore e vita là dove c’è odio e morte. Lì lui
Giusto, l’uccisione dell’autore della vita (At 3,14s), il non senso assoluto,
del suo amore per colmare tutto e tutti della sua grazia.
La libertà di Dio è amare così, e così salvare tutti. La libertà dell’uomo è dire
“sì” a questo amore. Può dire no, ma solo per ignoranza e schiavitù, cioè per
non libertà.
La mia libertà non è libera fino a quando non conosco l’amore infinito di un
Dio crocifisso per me che lo crocifiggo: sono libero solo quando so di essere
quando non lo soddisfa, resta schiavo del suo bisogno insoddisfatto. Chi fa il
male non è ancora libero. Non conosce l’amore: è ancora nell’inferno dei suoi
302
In noi c’è sempre insieme intelligenza e ignoranza, libertà e schiavitù, amore
nostra esistenza terrena è sotto il segno del giudizio eterno. Tutto si semina
Noi costruiamo nel tempo la nostra dimora eterna (Lc 16,9-12). Il fondamento
di questa casa è già posto, e nessuno può porne un altro: è Cristo, il Figlio. Alla
stesso della croce: l’amore infinito di Dio - brucerà ciò che è da bruciare.
Resterà solo ciò che è eterno e prezioso: l’amore che mai viene meno, e arde
senza consumarsi. Questa sarà la nostra verità di figli simili al Padre - e più
avremo costruito in amore, che mai tramonterà, più la nostra opera resterà, a
gloria sua e nostra. Tutto il resto di ciò che siamo e abbiamo fatto, sarà
distrutto. Noi però, con quel tanto o poco di buono che avremo fatto, saremo
salvati, appunto come attraverso il fuoco (1Cor 3,15). Per questo S. Ambrogio
dice che nel giudizio finale “lo stesso uomo in parte sarà salvato e in parte
La nostra libertà può opporsi a Dio, ma solo finché non lo conosce - finché
non è libera. Alla fine, quando lo conosceremo, saremo liberi solo di amare e di
ovunque. Alla fine del mondo, quando apparirà il “segno” del Figlio dell’uomo -
brucerà dalla vergogna per la sua empietà, e così potrà gioire della grazia del
suo Signore - piangerà il lamento del Battista per danzare al flauto del Figlio
dell’uomo. Che questo non avvenga solo al momento della morte, altrimenti si
può dire che è perfettamente inutile vivere: tanto varrebbe essere nati già
303
È importante parlare dell’inferno. Innanzitutto perché è reale: è il male in cui
Dio, da vivere in questo mondo e sempre. Bisogna però parlarne in modo tale
che chi ascolta non fraintenda Dio e non si chiuda a lui - come per lo più
avviene.
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo davanti alla croce, giudizio di Dio
c. gli chiedo ciò che voglio: capire la sua giustizia e la sua misericordia che in
lui sono la stessa cosa
d. rifletto sull’inferno, fatto dall’uomo: lo vedo nella croce e in tutte le croci, e
considero il giudizio di Dio e la sua giustizia.
4. Testi utili: Sal 51; 103; Mt 25,1ss; 1Cor 3,10-20; le sette parole di Gesù in
304
44. TI BENEDICO, PADRE
11,25-27
“Ti benedico, Padre”: dopo il lutto per chi non accoglie la Parola, c’è la danza
gioisce della stessa gioia del Padre perché i suoi fratelli partecipano del loro
mistero.
La conoscenza che c’è fra il Padre e il Figlio, l’amore mutuo che è la loro vita,
è donato anche agli “infanti”. Ciò che Dio è per natura, noi lo siamo per grazia.
Lo Spirito fa zampillare nel nostro cuore e fiorire sulle nostre labbra la stessa
parola per cui il Verbo è Verbo: “Abbà”. Entriamo nella Trinità, partecipando al
La creazione raggiunge il suo fine, che è il suo principio: al suono del flauto di
Gesù, Figlio di Dio e dell’uomo, danziamo le nozze fra Dio e uomo. Accogliere
lui è la salvezza: nella sua carne ogni carne è unita ormai alla gloria. Beato chi
non se ne scandalizza!
305
I sapienti e i furbi cercano un dio sapiente e potente. I piccoli invece
Il fine della missione del Figlio è aprire ai fratelli e condividere con loro il suo
tesoro, la sua vita di Figlio del Padre. E la nostra salvezza è diventare ciò che
siamo: figli!
Creatore, fra il Padre e i suoi figli; è la scala di Giacobbe, che unisce cielo e
La Chiesa è fatta dai piccoli ai quali è rivelata la loro realtà, che è la stessa
del Figlio.
Gesù partecipa al duplice gioco di Dio: il lamento e la danza. Odio del male e
amore del bene, tristezza per il primo e gioia per il secondo, vanno sempre
contemporaneo all’evento.
altra, non esprime più, a differenza del grido o del pianto, solo paura o disagio,
parola piena di amore, con la quale il Figlio dice il Padre. La sua dolcezza la
capisce solo chi la dice e chi l’ascolta: esprime il mistero di Dio, che è Padre e
306
Questa parola è il centro del cristianesimo. Lo Spirito del Figlio, effuso nei
nostri cuori, grida in noi: “Abbà!” (Rm 5,5; 8,15). Il credente è colui che ha
conosciuto e creduto l’amore che Dio ha per lui (1Gv 4,16; Gv 17,21). Ciò che
Dio è, anche noi lo siamo; per il dono del Figlio, siamo davvero figli di Dio (1Gv
3,1). È il grande mistero, già ora rivelato, anche se come in uno specchio e in
modo enigmatico (1Cor 13,12). Soltanto alla fine lo vedremo faccia a faccia, e
Quando il figlio nasce, si stacca dalla madre e gli pare di morire; invece viene
alla luce e vede il suo volto. Quando ci staccheremo dalla vita terrena,
verremo alla luce del volto del Padre e saremo simili a lui, perché lo vedremo
come egli è (1Gv 3,2). Già ora però, riflettendo la gloria del Signore, veniamo
Signore del cielo e della terra. Il nostro papà, così vicino e tenero, è il Dio
altissimo e onnipotente, Signore del cielo e della terra! Di Dio si parla solo per
misericordioso e giusto. Perché lui è tutto e niente: tutto perché niente di ciò
perché nascondesti. Ciò che è rivelato agli infanti, è nascosto agli altri. La
condizione.
Padre e Figlio.
ai sapienti e agli intelligenti. Sapienti sono coloro che sanno come vanno le
cose, intelligenti coloro che le dirigono come vogliono. La sapienza del Figlio è
307
e le rivelasti. Il privilegio di conoscere Dio è riservato agli ultimi. È un dono
senza. La privazione, il nostro non essere, il nostro essere nulla, è il luogo dove
I sapienti e gli intelligenti si negano ciò che non possono produrre loro stessi,
agli infanti. Diceva Hillel: “Un ignorante non evita il peccato, un analfabeta
non può essere pio”. E il Talmud recita: “Non vi è altro povero, se non chi è
povero di sapere”. Gli infanti non solo ignorano e sono poveri: neanche
Anche in noi, oltre le tante parole, c’è una sapienza silenziosa, propria del
(5,8), ben diversa dalla sapienza ignorante del furbo, al quale Dio resiste. Lui
non è oggetto di rapina della nostra intelligenza, ma principio e fine del nostro
amore: non si affaccia alla finestra della nostra mente, ma bussa alla porta del
nostro cuore.
v. 26 sì, Padre. Gesù è contento di questo: è “sì” non solo al Padre, ma anche
ai fratelli.
così piacque a te. Il piacere del Padre è amare i figli. Il piacere del Figlio è
v. 27 tutto. Tutto quanto il Padre è, è dono al Figlio: il Padre gli dona la sua
natura, il suo amore e se stesso, in unione indissolubile con lui nella sua
mi fu dato. Tutto quanto il Figlio è, è dono del Padre: da lui riceve la sua
natura, il suo amore e se stesso, in unione indissolubile con lui nella sua
Il dare e ricevere reciproco è la loro vita. Ciò che Adamo volle prendere
308
dal Padre mio. Gesù è “il” Figlio, che chiama Dio: “Padre mio”. Se siamo in
Figlio, propria del Padre: l’essere del Figlio è questa conoscenza del Padre nei
suoi confronti.
Padre, propria del Figlio: l’essere del Padre è questa conoscenza del Figlio nei
suoi confronti.
e colui al quale il Figlio lo vuole rivelare. Quel Dio, che nessuno mai ha visto,
ce l’ha rivelato proprio il Figlio unigenito, che è rivolto verso il grembo del
mutua fra Padre e Figlio, il loro amore, il loro unico Spirito che è la vita di
3. Pregare il testo.
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginandomi nel “mio luogo” vero: sono “nel” Figlio, e, in
lui, in seno al Padre, col loro stesso amore.
c. chiedo ciò che voglio: il dono dello Spirito, che mi mette nella conoscenza e
nella comunione tra Padre e Figlio
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
ti benedico
Padre
nascondesti queste cose ai sapienti e agli intelligenti
le rivelasti agli infanti
sì, Padre, perché così piacque a te
nessuno conosce il Figlio se non il Padre
né il Padre alcuno conosce se non il Figlio
e colui al quale il Figlio lo vuole rivelare.
4. Testi utili: Sal 103; 8; Dt 7,6-11; 1Cor 1,17-2,16; Gal 4,1-7; Rm 8,1-39.
309
45. VENITE A ME
11,28-30
“Venite a me voi tutti”. Gesù, offrendoci di entrare con lui nell’amore del
conoscere Dio come Padre e se stessi come figli: è il dono dello Spirito, che fa
godere di una vita filiale e fraterna. Questa è la nuova legge, il giogo di libertà
del Figlio.
Anche la legge data a Mosè è per la vita; ma non dà la vita. È solo un pesante
fardello che ordina, denuncia, giudica e condanna ciò che è contro di essa.
L’amore invece è pieno compimento della legge (Rm 13,8.10; Mt 7,12; 22,34-
Il brano precedente rivela la proposta di Dio: il dono della sua vita nel Figlio.
Prima ci è stato detto ciò che siamo, ora cosa dobbiamo fare. La legge dice: sii
ciò che sei! Il dovere consegue l’essere. Ora il nostro “dovere” è vivere il
La grazia non abolisce il nostro agire; anzi lo rende possibile in modo che
realizziamo ciò che siamo. Il vangelo è dono, quindi gratuito. Ma l’amore vive
salvezza; l’amore non amato è perdizione, dramma di Dio, prima che nostro.
310
All’etica di norme e divieti succede quella della libertà, alla legge subentra il
vangelo!
spiegazione non farà mai fiorire una gemma. Inoltre nessuna legge è in grado
di prescrivere e far eseguire ciò che una madre per amore fa per il figlio.
schiavo ribelle -, ma perché da esso germina tutto. Chi ama è suddito non più
In Gesù, “sì” dell’uomo a Dio e di Dio all’uomo (cf 2Cor 1,20), c’è il passaggio
dalla lettera che uccide allo Spirito che dà vita, dalla legge alla libertà (2Cor
Gesù, il Figlio, è per noi sapienza nuova e riposo. La sua mitezza e umiltà è la
La Chiesa in lui è libera dal fardello pesante delle prescrizioni e sta sotto il
11,28 Venite a me. È l’invito a seguire lui (4,19), a partecipare alle nozze
(22,2-4), a entrare nel regno preparato per noi prima della fondazione del
eterno!
Gesù fa suo l’invito della Sapienza: “Avvicinatevi, voi che siete senza
istruzione, prendete dimora nella mia scuola. Fino a quando volete rimanerne
accogliete l’istruzione. Essa è vicina e si può trovare. Vedete con gli occhi che
poco faticai e vi trovai per me una grande pace” (Sir 51,23-27). Lui stesso è la
311
Sapienza, offerta ai semplici e agli inesperti: è gratuita e soave, facile da
Nella carne di Gesù noi accediamo allo Spirito e attingiamo grazia su grazia
(Gv 1,17). In lui il Verbo si è fatto carne, è venuto ad abitare fra noi e ci ha
aperto l’ingresso all’unica gloria del Padre e dell’Unigenito Figlio (Gv 1,14). La
nella storia, nella legge e nella promessa, ora toglie il velo: è accessibile a
tutti, come amore tra Padre e Figlio offerto a noi nel Figlio.
Attingiamo con gioia alle sorgenti della salvezza (cf Is 12,3), celebriamo le
Non ha detto anche Gesù che la legge è da insegnare e compiere, fin nel
dell’amore, che fa vivere ciò che la legge dice, ma non dà. Ciò che prima era
nuova, che ci fa “mangiare di sabato”, vivere la vita stessa di Dio (cf brano
seguente).
di Dio nella creazione. Il riposo è Dio stesso, vera casa dell’uomo, alla quale
ognuno è invitato a tornare dopo l’affanno delle sue fughe. L’uomo sta di casa
sua forza in modo utile. È come la legge per l’uomo: dura ma necessaria
312
disciplina, canalizza le sue energie perché possa guadagnarsi il “pane di
del Padre, che elargisce doni ai suoi diletti nel sonno (Sal 127,2b). È un giogo
dolce: l’amore con il quale lui mi ha amato e ha dato se stesso per me, diventa
poiché sono mite (cf 21,7). Gesù è il mite, colui che eredita la terra (5,5). La
l’umile, il servo, l’ultimo. Ed è il più grande, perché chi è umile sarà innalzato
(23,12). L’umiltà, per i greci come per noi, non è una virtù: è la condizione
è umile.
troverete riposo per le vostre vite. Così dice il Signore: “Fermatevi nelle
strade e guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada
buona e prendetela, così troverete pace per le vostre vite” (Ger 6,16). La pace
sta nel trovare questa strada, la più antica: quella eterna del Figlio, la via della
mitezza e dell’umiltà, che conduce al riposo del Padre, che è anche il nostro.
v. 30 il mio giogo giova. Altri gioghi sono pesanti ed inutili, anzi dannosi.
un paio di ali che portano. È un peso che non pesa, un carico che scarica e
rende leggeri. L’amore infatti è forza interiore divina: è lo stesso Spirito di Dio,
“grazia” del Signore che salva (At 15,10s). È la legge di libertà (Gc 2,12),
313
quella della nuova alleanza, che ci dà un cuore nuovo (Ger 31,31-34; Ez 36,26-
28).
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando di trovarmi davanti al Figlio che mi invita ad
essere con lui e come lui
c. chiedo ciò che voglio: la conoscenza del suo amore impregni il mio cuore e
che io risponda con lo stesso amore
d. traendone frutto, medito sul testo
da notare:
venite a me
voi affaticati e oppressi
io vi darò riposo
imparate da me
mite e umile di cuore
il mio giogo giova
il mio peso non pesa.
4. Testi utili: Sal 145; 95; Sir 51,23-27; Ger 31,31-34; Ez 36,24-28; Gv 1,1-
314
46. IL FIGLIO DELL’UOMO È SIGNORE DEL SABATO.
12,1-8
“Il Figlio dell’uomo è Signore del sabato”. Gesù, sapienza e forza di Dio, è lo
315
Il c. 12 è un conflitto fra sapienza vecchia e nuova, fra carne e Spirito, fra
sono nel “riposo” di Dio: possono, senza colpa, fare di sabato ciò che è
sacerdotale.
Signore del sabato (v. 8). Chi viene a lui, è come lui: figlio e libero.
altri sinottici: il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato. È il senso di
cibarsi del sabato, di vivere la vita di Dio stesso! Mangiare è vivere; il grano, il
cibo, è la conoscenza del Figlio offerta agli infanti; il sabato è Dio stesso,
Davide è figura del Messia; i discepoli, che mangiano di sabato, non mangiano
il frutto proibito - lo fanno senza colpa, perché compagni del Messia, sacerdoti
che mangiano il pane dell’offerta, che li rende simili a Dio, che vuole
Gesù, Figlio dell’uomo e Signore del sabato, è il nostro pane, la nostra vita.
La Chiesa è fatta da coloro che lo mangiano, vivendo la libertà dei figli che
amano i fratelli. Non sono più schiavi, ma signori della legge, perché vivono la
316
12,1 In quel momento (cf 11,25). La scena è collegata con la precedente, che
parla della rivelazione del Padre e del giogo soave del Figlio. Quando leggiamo
al suo banchetto. Ora il Signore del sabato - è giunto finalmente il suo giorno! -
la nostra terra ha dato il suo frutto (Sal 85,13b; 67,7). “Le valli si ammantano
i suoi discepoli ebbero fame. Fin dall’inizio l’uomo ebbe fame di questo frutto.
L’uomo è fame di vita, a tutti i livelli. Solo il sabato, la vita di Dio, è cibo
degno del figlio. Per questo il cibo che sazia è la parola che esce dalla sua
quel grano che è il Figlio dell’uomo; prendono la sua vita e il suo vigore,
l’amore del Padre. È il banchetto messianico, che elimina la morte per sempre
(Is 25,8). “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Chi ne mangia, non morrà”
(Gv 6,51.50).
solo conoscono la legge come gli scribi, ma anche la fanno. Ma chi conosce e
i tuoi discepoli fanno ciò che non è lecito di sabato. I discepoli fanno una delle
non può normare la vita: è la vita a normare la legge. Chi assume come
principio la legge, sacrifica la vita e muore. Chi assume come principio l’amore
317
Quella dei discepoli non è “una” trasgressione, ma “la” trasgressione, per la
quale l’uomo è fatto: passare dal sesto al settimo giorno, vivere di colui del
Principio nuovo di vita non è più la legge, ma l’amore che è vita e legge a se
stesso. Così era fin dal principio, prima che Adamo fosse ingannato.
v. 3 disse loro: non avete letto. Gesù cita le Scritture per mostrare che la
legge, anche la più sacra come quella del sabato (cf Es 20,8-11; Dt 5,12-15), è
per l’uomo. Qui ricorda a conferma un fatto che riguarda Davide, e un altro
cosa fece Davide e quelli con lui (1Sam 21,7). Gesù paragona se stesso a
Davide, figura del Messia che deve venire. Anche Gesù, a quelli “con lui”,
abitando nella casa del Signore, per gustare la sua dolcezza (Sal 27,4). Di lui
ha fame la mia vita, come la terra riarsa ha sete d’acqua (Sal 63,2).
mangiarono i pani dell’offerta. Il pane è vita. Qui si tratta del pane che sta
che non era lecito a lui mangiare né a quelli con lui, ma ai soli sacerdoti. La
trasgressione di Davide è anticipo di ciò che avverrà col Messia: ciò che fecero
v. 5 non avete letto nella legge che i sacerdoti, ecc. I sacerdoti hanno libero
accesso al tempio. Come Davide è figura di Gesù, i sacerdoti sono figura dei
Questa trasgressione non è una colpa, come quella di Adamo: infatti non è
318
v. 6 qualcosa più grande del tempio c’è qui. Più grande del tempio è solo
Dio, il Santo per il quale il tempio è santo. Gesù è il Figlio, gloria del Padre,
pieno di grazia e verità (Gv 1,14), in cui abita corporalmente la pienezza della
divinità (Col 2,9). È venuto a dimorare tra noi, perché dalla sua pienezza
attingiamo grazia su grazia (Gv 1,16), e diventiamo familiari di Dio (Ef 2,19),
v. 7 se aveste compreso cosa significa. I farisei non hanno colto il senso delle
codice di norme cultuali o morali. È il racconto della “passione folle” di Dio per
l’uomo (Kabasilas), della sua tenerezza che si espande su tutte le sue creature
(Sal 145,9). Tutto ciò che c’è nella natura e nella storia, ha un solo “perché”: la
sua eterna misericordia, come proclama il ritornello del grande Hallel (Sal
136), che Gesù cantò con i suoi dopo aver dato loro in cibo il vero pane, il suo
corpo (26,30).
La “santità”, ciò per cui solo Dio è Dio, diverso da tutti, è la sua misericordia
(cf Os 11,8s). La norma fondamentale: “Siate santi perché io sono santo” (Lv
del tempio: è Signore del sabato, giorno del Signore. Il Gesù di Matteo si
del sabato. Egli è l’Emmanuele, il Dio con noi (1,23), per sempre (28,20), colui
che i Magi sono venuti ad adorare (2,2.11) e che alla fine anche i discepoli
319
adoreranno (28,17). È il Signore che viene nel suo tempio a fare il suo giudizio
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando il campo di grano in cui passò Gesù con i suoi
c. chiedo ciò che voglio: comprendere il dono che Dio mi fa di sé
d. traendone frutto, medito e contemplo
da notare:
Gesù passa di Sabato tra le messi, e i discepoli ne mangiano
il significato di ciò che fece Davide
il significato di ciò che fanno i sacerdoti
mangiare di sabato senza colpa!
qualcosa più grande del tempio c’è qui
misericordia voglio e non sacrificio
il Figlio dell’uomo è Signore del sabato.
4. Testi utili: Sal 63; 136; Es 20,8-11; Dt 5,12-15; 1Sam 21,2-7; Lv. 24,5-9;
Mt 5,17-48.
12,9-14
320
14 Ora, usciti, i farisei
tennero consiglio contro di lui
come toglierlo di mezzo.
“Stendi la tua mano!”, ordina Gesù all’uomo che aveva la mano rattrappita.
In Africa talora si vede uno che, morso da un serpente, rimane con il braccio
rimase con la mano senza linfa. Gesù è venuto a guarirla: chiusa nel tentativo
accoglierlo. Un dono senza una mano aperta a riceverlo, è come la luce senza
l’occhio.
poterlo accogliere.
definitivo tra la lettera che uccide e lo Spirito che dà la vita (2Cor 3,6).
La domanda dei farisei è provocatoria (v. 10). Per loro non è lecito curare in
giorno di sabato, se non in caso di pericolo mortale. Già sanno cosa farà:
secondo la lettera, ma del fare il bene o il male (vv. 11-12). Ciò che lui compie
non è solo un “curare”, ma “salvare la vita”, dice Mc 3,4. Infatti aprire la mano
perché ogni giorno possiamo agire da figli di Dio, nell’amore e nella cura dei
321
fratelli. Questa è la norma suprema di colui che misericordia vuole, e non
Proprio per questo giungerà al sacrificio della croce; lì le sue mani inchiodate
La mano è per l’uomo ciò che è il morso per l’animale: gli media la realtà.
quanto lavora è potenza dello Spirito, in quanto dona è come quella del Padre:
la mano del Figlio dell’uomo, che “prende, spezza e dà”, realizza la vita di Dio
passaggio dalla natura alla cultura. La sua storia è la stessa dell’uomo: può
essere divina e realizzare il sabato di Dio, può essere bestiale e far regredire
tutto al caos.
Gesù pone come principio della legge la misericordia. Non ciò che è lecito o
322
11,9 Venne nella loro sinagoga. La sinagoga è chiamata “loro”. I discepoli di
Gesù, ai quali Matteo si rivolge, ne sono già esclusi. Gesù ci tornerà ancora, a
scandalizzati di lui.
come un ramo secco all’albero; il veleno del serpente la rese arida, senza vita,
anzi seminatrice di morte! Il bene e il male non sta nelle cose, ma nella nostra
è lecito. Il problema dei farisei è cosa vieta la legge. Al centro della loro
attenzione non c’è più l’albero della vita, ma quello del divieto. Un’azione non
morte. Dio ha posto al centro del giardino non l’albero del divieto, ma quello
il sabato.
per accusarlo. Sono sicuri che Gesù trasgredisce; ma, invece di capire perché,
v. 11 quale uomo tra voi, ecc. Se una pecora cadeva nel fosso, il proprietario
v. 12 quanto dunque vale di più un uomo di una pecora! Gesù, il buon pastore
(Gv 10,1-18), si preoccupa dei figli di Israele almeno quanto un pastore delle
sue pecore. L’uomo, immagine di Dio, è ben più di una pecora! Essere legato a
norme e divieti che non sono per la vita, è davvero un pericolo di morte: è la
stesso, con gli altri e con l’Altro: invece di “prendere, benedire, spezzare e
323
dare”, resta chiusa nella maledizione del possesso. Gesù è venuto a restituirci
è lecito di sabato fare il bene. Non la legge è criterio del bene, ma il bene è
criterio della legge. Il sabato stesso, giorno di Dio, celebra la sua misericordia
per l’uomo (cf Es 20,8-11; Dt 5,12-15). Noi siamo chiamati a diventare come
Gesù, che faceva tali cose di sabato dicendo: “Il Padre mio opera sempre, e
anch’io opero”. È il Figlio, che fa ciò che vede fare dal Padre (Gv 5,17.19), fino
a poter dire: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9), perché la mia è la
sua stessa mano, e noi siamo uno (Gv 10,28-30). Gesù non solo viola il sabato,
la stese, e fu rifatta, sana come l’altra. L’uomo, anche dopo il peccato, rimane
figlio di Dio. Una sua mano resta sana; ma usa sempre l’altra. Ora anche
restituita alla sua integrità originaria. Diventa la mano di Adamo prima del
peccato, quella del figlio, che “prende-bene”(eulàbeia) tutto, come Gesù (Eb
5,7).
La creazione torna ad essere bella e buona come Dio l’aveva vista fin dal
principio.
suo sangue, versato su di noi e sui nostri figli (27,25). Dove la mano secca
esalterà il suo potere di dare la vita. Il dono della vita, gli costerà la vita. A
324
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù di sabato nella sinagoga
c. chiedo ciò che voglio: aprire la mano al dono che Dio mi fa di sé
d. traendone frutto, medito e contemplo
da notare:
la mano inaridita
quanto più vale l’uomo di una pecora
è lecito curare di sabato?
è lecito di sabato fare il bene
stendi la tua mano !
fu rifatta sana come l’altra
tennero consiglio contro di lui come toglierlo di mezzo.
4. Testi utili: Sal 103; 107; Mt 5,17-7,12 ci mostra la “mano del Figlio”: come
325
48. PERCHÉ SI COMPISSE QUANTO FU DETTO
12,15-21
un’attività più segreta. Non si tratta, come pare a prima vista, di un fallimento,
bensì del compimento della Scrittura. Attraverso la figura del “Servo” descritta
da Isaia, Matteo ci aiuta a capire ciò che sta accadendo. La medesima realtà
può avere molte interpretazioni, che alla fine si riducono a due: quella
modo più efficace, anche se nascosto: cura “tutti” e impone che non lo si dica
Gesù è il Figlio del Padre in quanto servo dei fratelli; è l’eletto, perché ha il
326
alle persone, alle loro fragilità e incertezze. Così fa trionfare sulla terra la
Questa lunga citazione di “compimento”, presa dal primo Canto del Servo (Is
che interpreta l’azione di Gesù come quella del capro espiatore, che porta su
Dopo la condanna appena decisa, tutto è chiaro. Il bene non resta mai
“tutti” - anticipo di ciò che avverrà nel suo ritiro ultimo (vv. 15-16); così
compie la Scrittura che presenta il Salvatore come il misterioso Servo (vv. 17-
giustizia superiore (5,20), quella del Padre, che fa piovere la sua misericordia
su tutti (5,43-48): è il giogo dolce e soave del Figlio, offerto a tutti i piccoli,
conflitto, finché può. Quando sarà inevitabile, berrà il calice, chiedendo che
Gesù non lotta contro nessuno. Ha altra occupazione: fare il bene, sia di
sabato che in ogni altro giorno (v. 12). Il suo potere non entra in competizione
327
lo seguirono molte folle. Sono le pecore senza pastore, stanche e sfinite
(9,36), che trovano in lui il pastore della vita. Sono gli affaticati e oppressi che
12,32).
e li curò tutti. Ora la sua cura si rivolge a “tutti”. Se nella sua azione si limitò
è dominante: non si può conoscere Dio prima della croce. Matteo, che si
Gesù.
v. 18 ecco il mio Servo, ecc. Colui che nel battesimo fu chiamato il Figlio, ora
è chiamato Servo: infatti è Figlio in quanto è servo dei fratelli. Questi è l’eletto,
l’amato, in cui il Padre si compiace: ciò che il mondo scarta, odia e disprezza,
porrò il mio Spirito su di lui (cf 3,16). Gesù ha lo Spirito di Dio, l’amore tra
annuncerà il giudizio. Gesù porta il giudizio di Dio, crisi di ogni nostro giudizio.
alle genti. Il rifiuto dei capi del popolo, invece che vanificare il giudizio di Dio,
lo estende ai pagani.
v. 19 non litigherà. Gesù si ritira per non contendere. Non fa valere il proprio
restituisce.
328
né griderà. Chi grida di più, si impone e domina. È una legge antica, che oggi
né alcuno udrà la sua voce nelle piazze. Non cerca rilevanza, non si fa
pubblicità. Anche ciò che poi sarà annunciato sui tetti (10,27), sarà sempre
canna mossa dal vento (11,7): è uno che “sta”, davanti a Dio. Gesù è benevolo
però anche con le “canne”, non solo mosse dal vento, ma anche infrante. Si
prende cura di loro, e ne fa l’appoggio della sua attività (11,5), fino a bucarsi
la mano (Is 36,6). Sulla punta di una canna berrà in croce l’aceto della nostra
lo stoppino fumigante non spegnerà. Lui, che è luce del mondo (Gv 8,12), non
finché non porti a vittoria il giudizio. Il suo giudizio di salvezza sarà portato
(alla lettera: “scagliato”) alla vittoria proprio dalla croce, dove tutto sarà
Dio-con-noi (1,21-23). “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome
dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”
(At 4,12). “Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato” (Gl 3,5= At
2,21).
spereranno le genti. Non solo il popolo dei credenti, ma anche i pagani, “le
riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione, se non
3. Pregare il testo
329
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che si ritira
c. chiedo ciò che voglio: conoscere lo Spirito di Gesù, il Figlio servo dei fratelli
d. traendone frutto, medito il testo
da notare:
si ritirò
lo seguirono molte folle e li curò tutti
Gesù, il Servo, l’eletto, l’amato e approvato dal Padre
il mio Spirito è su di lui
il giudizio di Dio
non litiga, non grida
non spezza la canna infranta
non spegne lo stoppino fumigante
così vince e porta speranza a tutti.
4. Testi utili: Sal 22; i Canti del Servo: Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-11; 52,13-
53,12; 1Cor 1-2; Fil 2,5-11.
330
50. CHI NON È CON ME È CONTRO DI ME
12,22-37
331
ma chi dirà
contro lo Spirito Santo,
non gli sarà perdonato,
né in questo secolo
né in quello a venire.
33 Se prendete un albero buono,
anche il suo frutto è buono;
se prendete un albero cattivo,
anche il suo frutto è cattivo.
Dal frutto infatti si conosce l’albero.
34 Progenie di serpenti,
come potete dire cose buone
se siete cattivi?
Infatti dall’abbondanza del cuore
parla la bocca.
35 L’uomo buono
dal tesoro buono
tira fuori cose buone,
e l’uomo cattivo
dal tesoro cattivo
tira fuori cose cattive.
36 Ma vi dico che di ogni parola inutile
che gli uomini diranno,
renderanno conto
nel giorno del giudizio.
37 Poiché sulle tue parole sarai giustificato
e sulle tue parole sarai condannato.
“Chi non è con me, è contro di me”, dice Gesù. Il Signore del sabato si offre: o
Essere con lui, il Figlio, è essere se stessi. Non essere con lui, è perdere se
Questo brano segna l’apice della crisi tra Gesù e i farisei. Appena guarito un
meraviglia (v. 23), e i farisei lo accusano di connivenza col capo dei demoni (v.
24). Gesù risponde con sei argomentazioni progressive: è assurdo che satana
sia contro se stesso (vv. 25-26); inoltre anche i giudei, come lui, fanno
esorcismi (v. 27); il fatto che lui scacci gli spiriti immondi nella potenza dello
Spirito, segna l’inizio del regno di Dio (v. 28); lui è il più forte, che vince la
332
forza del nemico (v. 29): essere con lui o meno è la salvezza o la perdizione
dell’uomo (v. 30); chi lo accusa, mente contro la verità e pecca contro lo
Spirito (vv. 31-32); i farisei sono un albero cattivo che dà frutti cattivi: la loro
(vv. 33-37).
che hanno dentro. Non sono figli di Abramo, ma del serpente (3,7),
Il loro peccato è il peccato: la resistenza alla verità. È più grave del peccato
stesso di Adamo. Come lui, non prestano ascolto a Dio; ma, a differenza di lui,
non lo fanno per errore: coscienti della menzogna, la difendono, come satana,
Con la sua forte denuncia, Gesù cerca di convincerli della loro cecità, per
guarirli (cf Gv 9,39-41). Hanno già deciso di uccidere il Signore del sabato (v.
14). Il loro è il peccato contro lo Spirito: l’indurimento nel male di un cuore che
Gesù porta il giudizio di Dio: essere con lui è la salvezza. Chi è contro, lo
uccide. Ma a chi gli toglie la vita, il Signore la dona, e proprio così compie il
giudizio di Dio - che è amore assoluto per tutti, senza condizioni (cf At 4,28).
12,22 Un indemoniato cieco e muto. Richiama i due ultimi miracoli: quello dei
noi: ciechi, non ancora venuti alla luce della nostra verità, e incapaci di
333
verità, ma le nostre paure. Il Signore del sabato è venuto per guarirci, perché
v. 23 non sarà costui il figlio di Davide? Come in 9,33, la folla si apre alla
così, non può essere il Messia! Dovrebbe essere diverso! La domanda del
Battista è aperta a ogni risposta (11,2); quella della folla rischia di chiudersi
ripetono l’accusa di 9,34. Hanno già deciso di eliminarlo. Per questo, anche
sempre la libertà di pensare il contrario di ciò che capisce. Mistero del cuore! Il
peccato contro lo Spirito è l’uso della libertà per negare la verità, perché
contro i propri presunti interessi. Chi non vuole respingere da sé il male, rifiuta
v. 25s ogni regno diviso contro se stesso va in rovina, ecc. Gesù mostra
non va contro se stesso. Il male ha una sua coesione interna, spesso più del
v. 27 i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Gli stessi farisei si tirano la
v. 28 se per mezzo dello Spirito di Dio io scaccio i demoni, ecc. Gesù scaccia i
demoni, nella forza dello Spirito, ricevuto nel battesimo, che l’ha condotto nel
deserto (4,1), per incontrare e vincere satana. Con lui inizia e si diffonde il
334
ora anche nel cuore dei farisei. La loro resistenza alla verità è satanica. Gesù
ribalta l’accusa dei suoi accusatori: lui effettivamente libera dai demoni,
v. 29 come può uno entrare nella casa del forte, ecc. Il demonio è il forte che
ha preso dimora nell’uomo, facendolo suo schiavo. Ora è giunto il più forte
v. 30 chi non è con me, è contro di me. “Beato chi non si scandalizza di me”
(11,6)! Essere con lui, il Figlio, è accogliere il Padre e la propria identità. Non
essere con lui, è essere ancora posseduti dall’avversario, contro di sé, contro il
Figlio, contro il Padre e contro tutti; è restare ciechi e muti, preda delle proprie
chi non raccoglie con me, disperde. Gesù è venuto a raccogliere le pecore
perdute d’Israele (15,24). In lui, il Figlio, si realizza l’unione dei fratelli. Fuori di
coloro che accusano Gesù di scacciare i demoni in nome del capo dei demoni:
lo Spirito, che è verità (1Gv 5,6). È il peccato di Anania e Saffira, che porta alla
morte (At 5,3.9). Il diavolo, fin dal principio, coscientemente parla contro la
Questo è il male che non può essere perdonato: può solo essere bruciato. Da
vita nostra. E ci riuscirà con la croce, proprio là dove il male raggiungerà la sua
forza estrema.
335
Pecco contro lo Spirito quando so di avere torto e non voglio ammetterlo, o
in mala fede. Solo l’altro può dichiararmi in buona fede, per la mia ignoranza o
che mi chiama alla libertà. Pecco contro lo Spirito anche quando voglio avere
peccato! Ma la stampa è l’esempio più evidente di una realtà molto più grande
v. 32 chi dirà una parola contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma chi
dirà contro lo Spirito, ecc. Il Figlio dell’uomo, nella sua carne, è scandalo
come la parola al cuore. Dal cuore cattivo nasce la parola cattiva, e ciò che ne
consegue: “Ciò che esce dalla bocca, proviene dal cuore. Questo rende
immondo l’uomo. Dal cuore infatti provengono i propositi malvagi, gli omicidi,
(15,18s). Il male peggiore è mentire alla verità che sempre parla nel cuore.
v. 34 progenie di serpenti (cf 3,7). Uno è generato dalla parola che ascolta. Se
è quella di Dio, è figlio di Dio, come Abramo, padre nella fede; se è quella del
336
v. 35 l’uomo buono dal suo tesoro buono tira fuori cose buone, ecc. (cf
13,52). Uno vede con il suo occhio, anzi con il suo cuore, che è il suo tesoro. Il
cattiva.
Gesù denuncia il male del nostro cuore per bruciarlo. La sua è una cura per
cauterizzazione.
v. 36 ogni parola inutile, ecc. La parola non è tutto, ma tutto è parola per
l’uomo. Essa produce verità, offre comunione, genera gioia e vita; oppure,
converte, lo giustifica.
Le parole vere, dove il “sì” è “sì” e il “no” è “no” (5,37), ci salvano. Il “sì” che
non è “sì” e il “no” che non è “no” viene dal maligno e ci condanna.
La mia salvezza è dire: “Sì, è vero, la menzogna è in me. No, non è vero, la
verità non è in me. Mi lascerò convertire”. Vedendo la trave che è nel mio
occhio (7,3), sono salvo: non giudico più nessuno e accetto per tutti la
misericordia di Dio.
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù davanti alle folle e ai farisei
c. chiedo ciò che voglio: conoscere e riconoscere davanti a lui le mie resistenze
alla verità
d. traendone frutto, medito e contemplo
da notare:
un indemoniato cieco e muto
337
la reazione della folla e dei farisei
chi non è con me, è contro di me
chi non raccoglie con me, disperde
qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata
la bestemmia contro lo Spirito Santo
la bocca parla dalla pienezza del cuore
sulle tue parole sarai giustificato o condannato.
338
50. Il SEGNO DI GIONA
12,38-42
“Il segno di Giona”, che sta tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, è
profezia del Figlio dell’uomo, che entrerà nel sepolcro. Chi non crede a lui, chi
non apre la mano per accogliere il dono, chi non vuol riconoscerlo contro ogni
evidenza, lo toglie di mezzo (v. 14) e commette il peccato contro lo Spirito (v.
339
31s). Ma proprio per lui, che non accetta nessuno dei suoi segni, Gesù dà il
Il male provoca (chiama-fuori) ciò che è dentro: in noi provoca altro male, e
brano precedente (vv. 22-32). Chi sceglie contro di lui, conoscendolo, ha scelto
per satana, contro Dio. Ma questo, che è “il” male, pro-voca il Figlio dell’uomo
a entrare per tre giorni nel cuore della terra, in solidarietà assoluta con l’uomo
che lo rifiuta. Segno più grande neppure Dio può dare. In esso rivela la sua
Altro segno non sarà dato, perché questo è il segno dell’Altro, rivelazione
Gesù, con il “suo” segno, è ben più di Giona profeta: ci fa vedere Dio nella
suo banchetto.
dal cielo (Mc 8,11), divino e inequivocabile, che costringa a credere. Dio non lo
farà mai: non costringe nessuno, perché la fede è un atto di libertà. Inoltre,
per chi sa leggere, tutto è segno di Dio; per chi non sa leggere, la Scrittura è la
340
sua paziente scuola di lettura; per chi poi non vuol leggere, nessun segno è
sufficiente.
Anche Israele nel deserto chiede un segno, per sapere se “il Signore è in
moltiplicazione non basta per uscirne. Le azioni e le parole di Gesù sono chiare
per chi è ben disposto. Chi chiede un crescendo di segni, senza accettare ciò
seguirne le indicazioni.
infatti si lascia trovare da quanti non lo tentano, si mostra a coloro che non
ricusano di credere in lui” (Sap 1,2). E i suoi gesti non sono di potere e di
alle sue attese sbagliate. Deve “con-vertirsi”, volgersi-a Dio, e allora ne coglie
i segni. Inoltre ogni generazione è “adultera”: non ama il suo sposo, ma segue
altri amori (Dt 6,6ss; Ez 16). Deve tornare ad amare colui che la ama di amore
compreso! A chi non accetta il suo dono e gli toglie la vita, il Signore dà come
341
segno il dono di sé e la sua vita. La croce è il suo segno, che lo rivela come
v. 40 come infatti rimase Giona nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, ecc.
Matteo centra l’attenzione sul fatto che Giona rimase tre giorni e tre notti nel
ventre del pesce. Come lui, Gesù entrerà per tre giorni e tre notti nel cuore
della terra. È l’unico segno che può guarire dalla cecità questa generazione
adultera e perversa. Il Signore crocifisso, morto e sepolto con noi e per noi
nelle nostre notti e abissi, è rivelazione indubitabile del Dio amore. Chi lo
vede, non può non battersi il petto e tornare a lui (24,30). Volgendo lo sguardo
a colui che abbiamo trafitto (Gv 19,37), anche il nostro cuore è trafitto (At
attirati a lui (Gv 8,28; 12,32). Entrando nel cuore della terra, il Figlio dell’uomo
v. 41 gli uomini di Ninive sorgeranno nel giudizio con questa generazione ecc.
l’incredulità.
Questa minaccia di Gesù contro i suoi ascoltatori, come già quella di Giona
contro quelli di Ninive, è “profetica”: è un avviso perché non si avveri allora ciò
che, purtroppo, ora è vero. La denuncia del male che fanno è invito pressante
a uscirne.
ecco più di Giona qui. Giona, contro la sua volontà, fu profeta della
lontani, sia mal disposti come quelli di Ninive che ben disposti come la regina
342
Giona: non si vogliono convertire a quel Dio misericordioso che invece i lontani
accolgono.
ma il fratello maggiore, che gli sta vicino e non lo conosce (cf Lc 15,1ss!). Per
Dio, il Figlio che invita al banchetto della sua conoscenza col Padre (11,25-30).
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che parla davanti a quelli che hanno deciso
di ucciderlo
c. chiedo ciò che voglio: comprendere il “segno” di Giona
d. traendone frutto, medito il testo
da notare:
vogliamo vedere un segno
generazione perversa e adultera
non sarà dato se non il segno di Giona
il Figlio dell’uomo nel cuore della terra per tre giorni e tre notti
quelli di Ninive si convertirono
la regina di Noto venne dai confini della terra per ascoltare
ecco più di Giona qui
ecco più di Salomone qui.
343
51. COSÌ SARÀ ANCHE PER QUESTA GENERAZIONE PERVERSA
12,43-45
“Così sarà anche per questa generazione perversa”, dice Gesù ai suoi
ascoltatori, allora come adesso. La sua venuta segna l’inizio del regno e la
sarebbe meglio per lui non averla conosciuta: si è vaccinato contro di essa. Per
lui si verifica il proverbio: “Il cane è tornato al suo vomito, e la scrofa lavata è
ricadere nelle sue mani. E ciò avviene quando, invece di convertirci e seguire i
La nostra lotta contro il male dura tutta la vita: è una colluttazione non contro
creature fatte di carne e di sangue, ma contro gli spiriti cattivi, che abitano
quella regione celeste (Ef 6,12) che è il nostro cuore. È una battaglia interiore
vogliamo fare il bene, il male è accovacciato alla nostra porta - anche dopo il
344
battesimo, come attesta Paolo (Rm 7,21.17). Non siamo del mondo, ma
restiamo nel mondo (Gv 17,6.11): anzi, il mondo resta sempre in noi. Siamo
chiamati a vivere da figli della luce proprio nella notte, che non è solo attorno
a noi (1Ts 5,1-11): il sole è sorto, ma la tenebra del dubbio, delle passioni e
contro, anche lui è contro di noi. Le difficoltà e le tentazioni sono la prova che
gli resistiamo. Come sono lo spurgarsi del male che abbiamo subìto e anche
Sia Israele dopo il Mar Rosso che Gesù dopo il battesimo subirono le
tentazioni del deserto. Così anche noi, dopo la nascita nello Spirito, se
impunemente ciò che vorremmo (Gal 5,16s). Dentro di noi c’è sempre una
stare in piedi, stia attento a non cadere (1Cor 10,12). Una volta liberati dal
6,4-6).
Gesù, il più forte che ha vinto il forte, ci ha liberati perché restassimo liberi
(Gal 5,1).
sua stessa lotta contro il male fino alla fine, stando attenta ai colpi di coda del
345
rimane sempre in lui, anche se sepolto tra le immondizie. Anche nel cuore più
perverso c’è nascosto il tesoro: l’amore inalienabile che Dio ha per lui rimane
senza acqua, senza vita. Sia Israele che Gesù l’hanno attraversato. È anche
per noi il passaggio obbligato del ritorno al giardino promesso. Per questo
incontriamo maggiori difficoltà nel deserto che non in Egitto: il cammino verso
abituato al male noto, teme il bene ancora ignoto. Per questo Dio, che in una
notte fece uscire Israele dall’Egitto, non riuscì in quarant’anni a far uscire
riposo. Gli affaticati e oppressi lo trovano nel Figlio (11,28-30). Il nemico non lo
trova, perché non accoglie il Figlio - e così resta inquieto e agitato, nemico di
sé e di tutti.
v. 44 tornerò nella mia casa, dalla quale sono uscito. Invece di tornare a Dio,
sua vera casa, vuol tornare nell’uomo, per renderlo alienato come lui. Chi sta
venuto, la trova libera, pulita e bella. Senza il nemico, l’uomo è libero, non
occupato. Ogni pratica ascetica e mistica è ricerca di questo vuoto, che lascia
spazio allo Spirito, al riposo del settimo giorno. Chi si è svuotato dal male, è
anche pulito: i suoi sensi, la sua mente e il suo cuore sono purificati e
sgomberi. Ed è bello, ornato della bellezza nella quale Dio l’ha fatto - la sua
stessa.
L’uomo che prima era occupato, immondo e orribile, ora è libero, pulito e
bello!
v. 45 prende con sé altri sette spiriti più cattivi di lui, ecc. Se vai di bene in
attacchi, tanto più forti e repentini quanto più sei in armonia con te e con
346
tutto. Arrivi addirittura a pensare che era meglio quando era peggio. Non ti
questo perché tu acquisti pazienza più grande, speranza più pura, gioia più
spaventarti, e metti in conto che sempre senti più forte lo spirito che combatti
e più debole quello che segui. Ma è normale. Non avverti la corrente d’acqua
chiudi fuori casa, forza la porta e fa rumore per entrare; quello che ospiti, sta
la fine di quell’uomo è peggiore di prima. È peggio cadere dalla cima che star
seduti ai piedi del monte. Chi non è disposto a continuare la lotta contro il
purifichi la nostra speranza e raffini il nostro amore (Rm 5,3-5). Dice il Signore:
“Chi persevererà sino alla fine, sarà salvato” (24,13), e: “Con la vostra
lo Spirito. Al Figlio dell’uomo, che sempre è nel profondo del cuore dell’uomo,
347
non resterà che entrare nel cuore della terra, e dare così il “suo” segno, quello
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando la mia verità: sono tempio del Signore, dimora del
suo Spirito, libero, pulito e bello.
c. chiedo ciò che voglio: il dono della pazienza e della perseveranza nelle
difficoltà
d. traendone frutto, medito il testo
da notare:
lo spirito immondo è uscito dall’uomo
se ne va per luoghi senza acqua, cercando riposo
tornerò nella mia casa dalla quale sono uscito
la trova libera, pulita e bella
prende con sé sette spiriti più cattivi di lui
la fine di quell’uomo è peggiore di prima
così accadrà a questa generazione perversa.
4. Testi utili: Sal 95; 106; Dt 8-9; Gal 5,1ss; Eb 6,4-6; 10,26-39; 2Pt 2,20-22;
348
52. ECCO MIA MADRE E I MIEI FRATELLI
12,46-50
“Ecco mia madre e i miei fratelli”, dice Gesù, stendendo la mano su coloro
che hanno steso la mano per mangiare il suo cibo, che è fare la volontà di Dio
(Gv 4,34).
In ognuno di questi versetti si parla di madre e fratello - alla fine anche di
Marco riferisce l’episodio con un’altra intonazione: è l’apice della crisi (Mc
dono sublime spiazza ogni attesa, anche quella del Battista (11,2-15). La sua
349
tralasciando questo particolare negativo, mostra ora chi è il discepolo di Gesù:
I due capitoli si chiudono così con un’apertura positiva: Gesù non è più solo.
Alla parentela nella carne, succede quella nello Spirito. Dice Paolo: “Anche se
abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così”
(2Cor 5,16). Nasce la famiglia del Figlio, con madre, sorelle e fratelli.
C’è una parentela con Dio - “di lui stirpe noi siamo” (At 17,28)! - aperta a ogni
uomo, vicino e lontano: si fonda sul fare la volontà del Padre, che si esprime
nella parola del Figlio. Uno diventa la parola che ascolta e fa: essa è un seme
che genera secondo la propria specie (cf 13,1ss). Quella di Dio ci genera della
specie di Dio, partecipi della sua natura divina (cf 1Pt 1,23; 2Pt 1,4). Chi
di aver parte con colui che è con noi per sempre (28,20). Vero discepolo non è
chi dice: “Signore, Signore!” (7,21), come neppure chi ha la sua carne, ma
colui che ha lo Spirito del Figlio e fa la volontà del Padre. Da questo dipende la
Gesù è il Figlio perché compie la volontà del Padre: ha il suo stesso amore
12,46 Mentre egli parlava alle folle. È la cerchia anonima attorno a lui,
chiamata a decidersi per lui o contro di lui. Non può restare neutrale.
350
Queste folle siamo noi, i lettori, chiamati a diventare come i discepoli che
uccidono.
suoi gli vogliono bene, ma lo ritengono fuori di sé; vanno per prenderlo,
portarlo a casa e curarlo. Anche se lo amano, per loro - come per Pietro e gli
altri - c’è un lungo cammino di conversione per giungere alla sapienza di Dio.
Non accettano il suo modo di pensare e di agire. La sapienza di Dio è follia per
l’uomo (1Cor 1,17-2,16)! Matteo utilizza l’episodio con un’altra ottica: dice
come la famiglia di Gesù è costituita da coloro che fanno, come lui, la volontà
“fuori” dalla casa. Uno può essere parente stretto del Signore - appartenere al
suo popolo da generazioni!- ma non per questo è “dentro” la sua casa. Deve
cercando di parlargli. Non è tanto il parlare con lui che ci fa suoi, quanto
l’ascoltarlo. Il parlare con lui può essere il primo passo, ma non basta.
v. 47 qualcuno gli disse, ecc. Dai suoi che cercano di parlargli, si passa a
questo anonimo che gli parla: è uno della folla, uno di noi. Ma il suo parlargli
v. 48 rispondendo, disse a chi gli parlava. A chi gli parla, Gesù risponde,
chi è mia madre, chi sono i miei fratelli? Gesù mette in questione ogni
ovvietà. Tutto il vangelo, dal principio alla fine, è uno “scrolla-certezze”: toglie
problematizzando un’evidenza scontata: chi sono i suoi? Lui è nato non dalla
carne, ma dallo Spirito (1,20). Sua madre gli è madre perché ha detto “sì” alla
volontà del Padre (Lc 1,38). Chi, come lei, accoglie la Parola, è sua madre: gli
351
dà vita nella propria vita, gli dà carne nella propria carne. Il grande destino
dell’uomo è diventare madre del Signore: dare corpo al Figlio di Dio, fino alla
v. 49 stesa la sua mano sui suoi discepoli. Non è un semplice gesto per
indicare i suoi discepoli. La sua mano è la stessa del Padre, dalla quale
ecco mia madre e i miei fratelli. Il discepolo è in comunione con lui, suo osso
d’amore.
dipendenza. La vita del Verbo incarnato dipende dall’uomo. Come gliela può
togliere, così gliela può dare. Chi chiude la mano, lo uccide; chi la apre al suo
dono, lo fa vivere in sé. Lui si consegna nelle nostre mani: il suo corpo e il suo
sangue sono per noi. L’eucaristia è il luogo pieno della familiarità con lui.
v. 50 colui che avrà fatto la volontà del Padre mio che è nei cieli. La volontà è
sempre in connessione con il Padre: è il suo amore per il Figlio, che gli
Gesù, attraverso il “sì” di una donna, è venuto nella nostra carne per dirci e
questi è mio fratello. Fare la volontà del Padre è la mia identità: mi fa suo
sorella. In Israele la donna non poteva essere discepolo. Per Gesù non c’è
maschio e femmina; tutti in lui siamo uno (Gal 3,28). Chi lo ama e lo ascolta è
originaria di ogni uomo: dire “sì” al Padre, farsi risposta alla sua proposta.
352
Come Dio è Padre del Verbo nei cieli, così in terra gli è madre chi dice “sì” al
Padre.
Come il precedente (11,25-30), anche questo capitolo si chiude con la più alta
prospettiva concessa all’uomo: egli è per grazia ciò che Dio è per natura. La
sua bellezza, sublime e incredibile, è aver parte del segreto di Dio: entrare
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù in casa coi suoi discepoli
c. chiedo ciò che voglio: compiere la volontà del Padre, per essere madre,
sorella/fratello del Figlio.
d. traendone frutto, medito e contemplo
da notare:
le folle
la madre e i fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli
uno lo informa
Gesù risponde
Gesù stende la mano sui suoi discepoli
chi fa la volontà del Padre mio, questi è per me fratello/sorella e madre.
1Gv 3,1-24.
353
53. USCÌ IL SEMINATORE A SEMINARE
13,1-9
spiega il mistero della sua vita: è lo stesso del regno, lo stesso della sua parola
in noi.
La parabola dice qualcosa di noto per far capire qualcosa di ignoto fin dalla
fondazione del mondo (v. 35). Dio nessuno mai l’ha visto (Gv 1,18). La sua
354
(1Cor 2,11). Gesù, quando la comunica ai piccoli (11,25), non può che usare un
Con le parabole illustra l’enigma della storia sua e nostra, che presenta un
duplice scandalo. Primo: il male sembra bene e riesce bene, mentre il bene
Secondo: il bene, anche quando c’è, è sempre frammisto al suo contrario. Che
Gesù con le parabole ci vuol far vedere più in profondità. La crisi, che lui
trova qui una lettura diversa, divina: il bene è vittorioso nella propria sconfitta
Sono parabole di discernimento, che rivelano il modo con cui Dio legge la
realtà: ci danno luce su ciò che avviene in questo nostro tempo pieno di
contraddizioni. Infatti il regno c’è, ma non è ancora compiuto: siamo alla fatica
della semina e della pesca, non ancora nella gioia del banchetto.
stesso entra di nascosto nel regno, che sembra fallire. Eppure - questa è la
sorpresa! -, l’esito positivo è sicuro. Solo Dio è Dio, e alla fine vince, e vince
divinamente.
355
proprio il rovescio di ciò che vorremmo è il segno stesso del Figlio dell’uomo,
(12,14). I miracoli che fa possono anche piacere; ma ciò che dice non piace a
degli altri?
confermando la scelta fatta nel battesimo e corroborata nel deserto. Egli getta
“il seme della parola del regno” con la certezza del contadino, che ne conosce
potenzialità. Che il seme non attecchisca, che se attecchisce non cresca, che
se cresce sia soffocato (vv. 4-7), è la condizione normale di ogni semina, che
poi sarà fruttuosa. Il seme, ora sacrificato, garantisce la vita per il futuro (v. 8).
Gesù spiega il mistero suo e della storia: è quello del seme nella terra.
La Chiesa è la barca dalla quale Gesù parla alle folle: posta sopra l’abisso, è il
semina.
356
13,1 Uscito di casa. “La casa” è dove Gesù dimora con i suoi discepoli. Come
è uscito dal Padre per venire verso i fratelli, così esce di casa per dimorare
presso tutti.
v. 2 si raccolsero attorno a lui molte folle. Lui è la Parola, attorno alla quale si
dalla marea delle folle persone libere, che conoscono e fanno la volontà di Dio.
lui, entrato in barca, si sedette, e tutta la folla stava in piedi sulla spiaggia. La
barca diventa la casa dell’esodo: fragile legno sospeso tra cielo e abisso,
affronta e attraversa le acque fino al termine del viaggio. È l’arca di Noè, che
salva dalla morte l’umanità. Da essa si rivolge alle folle, perché lo seguano nel
nuovo esodo.
La nostra vita è un enigma, una parabola dalla nascita alla morte, del cui
Padre a seminare la fraternità tra gli uomini. Ed è pure il seme, il Verbo eterno
dell’uomo in tutto simile a noi, che finirà nel sepolcro. Ed è il raccolto: in lui la
terra ha dato il suo frutto (Sal 67,7). E sarà sempre seminatore, seme e terra
con l’aratro a chiodo, si ricopriva il seme perché la terra lo custodisse fino alle
357
anche su rovi, che poi sarebbero stati levati. Non è un seminatore stolto che
butta il suo seme su strade, sassi e rovi, ma un seminatore saggio, che con
generosità semina tutto il campo, sapendo per esperienza antica che questo
controllare dove cade ogni seme, non mieterebbe che le proprie ansie.
Così Gesù semina ovunque. Non sceglie terreni, non scarta persone: tutti
parte cadde lungo la strada, ecc. I semi caduti sul sentiero sono visibili, facile
v. 5 un’altra cadde su luogo sassoso, ecc. Il sottile strato di terra con sotto un
v. 7 un’altra cadde sulle spine, ecc. I rovi, anche se tolti nell’aratura, tendono
a invadere e soffocare il resto. Non a caso il rovo si propose “re” tra gli alberi
Gesù descrive con cura le difficoltà, per quattro lunghi versetti. La semina
sembra un fallimento, come il suo ministero. C’è chi non accoglie la parola, chi
l’accoglie senza lasciarla crescere, chi la lascia crescere per poi soffocarla. Il
male richiama l’attenzione più del bene. Ma Gesù, come il contadino, conosce
358
subito come una goccia di rugiada mattutina davanti al sole (Os 6,4). Ma è
sempre figlio di Dio, fatto da lui, in lui e per lui: è sempre terra adatta per
queste ci esasperano.
v. 8 un’altra cadde in terra bella. Il Figlio dell’uomo è gettato nel cuore della
Un seme, anche dopo migliaia d’anni, come quello ritrovato nelle piramidi
l’uomo non perde mai la sua identità di figlio: al di là dei sentieri che lo
attraversano, delle pietre che nasconde e dei rovi che lo dominano, è sempre
terra bella, madre che accoglie il seme. Come la terra è sposa del seme, così
Palestina un sacco dava 7/8 sacchi, al massimo 11/12 - oggi, con i fertilizzanti,
quale il cento, quale il sessanta, quale il trenta. Per mal che vada, la semina
assoluta nel Padre e nella sua parola. Nei momenti di crisi Gesù vede nella
croce la gloria, nella fatica il risultato. Seminare è sempre un atto di fede nel
seme e nella terra, come vivere è sempre un atto di fede in Dio e nell’uomo.
l’accoglie: l’orecchio sia orecchio, la terra sia terra, l’uomo sia uomo!
Anche la parabola appena narrata è seme: il seme stesso della fede e della
359
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che parla dalla barca
c. chiedo ciò che voglio: avere orecchi che odono al di là di ciò che appare
d. traendone frutto, medito il testo
da notare:
Gesù esce di casa e siede lungo il mare
Gesù sale sulla barca e parla alle folle
il seminatore esce a seminare il suo seme
parte cade lungo la strada: gli uccelli la divorano
parte cade su terreno sassoso: subito germoglia, ma subito secca
parte cade tra i rovi: cresce, ma viene soffocata
parte cade su terra bella, e continua a dare il suo frutto
il cento, il sessanta, il trenta per uno.
chi ha orecchi, ascolti!
4. Testi utili: Sal 65; 67; 85;126; Is 55; Gv 1,1-18; 1Ts 1,6-2,13; Eb 4,12s.
360
54. PERCHÉ PARLI LORO IN PARABOLE?
13,10-17
361
“Perché parli loro in parabole?”, chiedono i discepoli a Gesù. “Loro” sono le
Dio”: i loro orecchi e i loro occhi si saziano e si beano di quanto profeti e giusti
“Loro” invece non si avvicinano a lui, non lo seguono, non gli parlano, non ne
ascoltano la risposta: non sono entrati nel mistero della conoscenza del Figlio,
non fanno parte della sua famiglia, non sono ancora con lui, ma contro di lui
(12,30).
gran parte del popolo di Dio. Ma non si tratta di un fallimento, bensì del
compimento di quanto predetto dai profeti. Dio l’ha previsto, facendo di esso il
La durezza di cuore di chi lo rifiuta e uccide alla fine non fa che compiere ciò
che la mano e la volontà del Signore avevano preordinato che avvenisse (At
4,28). Il male estremo dell’uomo sarà il luogo del dono estremo di Dio!
vuole che tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (1Tm 2,4).
Ma chi non lo accetta, non è abbandonato a sé, perduto per sempre. Per lui la
Parola è in parabole. Queste offrono il seme che germinerà quando chi non
362
beatitudine di chi vede il compimento della promessa: bisogna aprire il cuore,
avvicinano a Gesù: sono i destinatari dei misteri del regno. I vv. 13-15 parlano
13,10 Avvicinatisi, i discepoli gli dissero. I discepoli sono sua madre, fratelli e
volontà del Padre suo. Non “stanno fuori” (12,46), ma si lasciano coinvolgere
da lui.
perché parli loro in parabole? “Loro” sono gli altri, ai quali Gesù offre il seme
della Parola, anche se ancora non sanno sgusciarlo dalla pula della parabola. I
non parlare loro. Chi non vuole ascoltare, non è meglio inchiodarlo alla sua
discrezione propongono, in modo che chi vuol capire, se e quando vuole, può
363
chiedere spiegazioni. Chi non vuole, è libero di farlo. Ma gli è sempre aperto lo
v. 11 a voi. Sono i discepoli, che hanno deciso di essere “con lui” (12,30).
conoscere i misteri del regno dei cieli. È la conoscenza della volontà del
“mistero” esce solo qui nei sinottici, e significa il disegno di Dio nella storia
viverne, provocano il segno di Giona invece di seguire i segni che già hanno
ricevuto.
v. 12 a chi ha, sarà dato. I discepoli hanno fede: sono disposti ad accogliere.
Dio è dono senza fine: l’unica misura al suo dono smisurato è l’apertura del
nostro desiderio.
è una sazietà che non dà nausea né toglie appetito. Più uno desidera, più
a chi non ha, anche ciò che ha sarà tolto a lui. Chi non ha desiderio, non
ogni tenebra.
chiuso non desidera, è sordo e cieco; vede solo la proiezione delle sue
denunciare il peccato del popolo che non vuole convertirsi al Signore (Is 6,9-
364
10). C’è però un termine ad ogni male: la grande devastazione! Sarà quella
che toccherà in sorte a Gesù, “il legno verde” che porta su di sé la maledizione
di quello secco (Lc 23,31). Lui sarà il ceppo, la “progenie santa”, dalla quale
con l’udito udrete e non comprenderete, ecc. (Is 6,9-10). C’è un udire che non
perché il sordo non ode e il cieco non vede. Si tratta di chi ode e vede, ma non
cuore torpido e intontito, affogato nei propri interessi, che rendono gli orecchi
tardi all’ascolto e gli occhi chiusi alla luce. Il “cuore”, messo all’inizio e alla fine
Questa diagnosi che Gesù fa del nostro male è l’inizio della terapia.
v. 16s beati i vostri occhi perché vedono, ecc. A chi si avvicina a Gesù è dato
salutato solo da lontano (Eb 11,13). “Abramo, vostro padre, esultò nella
Gli occhi dei discepoli vedono perché riconoscono la propria cecità, i loro
orecchi odono perché avvertono le proprie sordità, il loro cuore capisce perché
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù con i suoi discepoli
c. chiedo ciò che voglio: la guarigione del cuore, degli occhi e dell’udito
d. traendone frutto, medito il testo
da notare:
i discepoli si avvicinano a Gesù
perché parli “loro” in parabole?
365
“a voi” è stato dato conoscere i misteri del regno di Dio.
a chi ha, sarà dato e sovrabbonderà
a chi non ha, anche ciò che ha sarà tolto
Gesù parla loro in parabole perché guardando non guardino, udendo non
odano né comprendano
così si compie la profezia di Isaia: il cuore grasso, gli orecchi pesanti, gli
occhi chiusi
convertirsi e guarire
beati i vostri occhi e i vostri orecchi.
366
55. UDITE VOI DUNQUE LA PARABOLA DEL SEMINATORE
13,18-23
“Udite voi dunque la parabola del seminatore”, ordina Gesù ai suoi discepoli.
Parola.
Gesù ha appena proclamato beati i discepoli perché odono e vedono (v. 16).
allegoria, l’impatto fortunoso e fortunato della Parola con il nostro cuore. Dopo
la parabola e i criteri per leggerla, ora c’è la lettura di essa nella propria vita.
367
“La parabola del seminatore” descrive l’avventura della Parola in ciascuno di
noi. È la stessa di Gesù, il Figlio dell’uomo che entra nel cuore della terra. La
terra è per il seme ciò che l’uomo è per la Parola: è madre, che l’accoglie e gli
dà vita.
I quattro tipi di terreno, più che quattro tipi di uomo, sono i quattro livelli di
sempre ci invadono. In parte però siamo anche terra bella, che produce frutto.
paure che pietrificano il cuore, gli egoismi che soffocano l’amore della verità e
Questa spiegazione va letta alla luce della parabola: come Gesù, nonostante
le difficoltà della semina, afferma la certezza del risultato, così noi siamo sicuri
del frutto sorprendente della Parola. Essa deve entrare e passare attraverso lo
368
Questa spiegazione non è “una scivolata moralistica” rispetto alla parabola
evangelica, quasi che il risultato dipendesse dal nostro sforzo. Il frutto è dono
di Dio - Dio stesso che si dona. Lui è il seme, e noi il suo campo. Siamo
da esse, e così accogliere ciò che lui ci vuole dare. In particolare chiediamo il
dono di quella fede che vince il mondo (1Gv 5,4), di quella speranza che non
delude (Rm 5,5), di quell’amore, effuso nei nostri cuori, che ci fa essere figli ed
Gesù è il seme seminato nell’uomo così com’è, per produrre ciò che lui stesso
è.
Chi non capisce questa, non può intendere le altre (cf Mc 4,13). È chiamata “la
parabola del seminatore”, che è Cristo: illustra la vicenda della sua parola in
noi, l’avventura sorprendente del Figlio dell’uomo nel cuore della terra, nel
v. 19 quando uno ode la parola del regno. L’espressione “la parola del regno”
ovvietà di cui viviamo. Il “si” dice, il “si” pensa (ma si pensa?) e il “si” fa - il
pensiero comune e gli infiniti sentieri del buon senso -, sono refrattari alla
Adamo in poi, non è secondo Dio, ma secondo satana, dirà Gesù a Pietro
dalla paura.
369
giunge il maligno e ruba ciò che è seminato nel suo cuore. Il maligno,
menzognero e omicida fin dal principio (Gv 8,44), impedisce l’ascolto della
parola di verità e di vita (Gv 8,43s). È chiamato anche “diavolo”, che significa
“divisore”: allontana il seme dalla terra, l’uomo da Dio. Fin dal principio, con la
sua menzogna, separò Adamo dalla Parola. Rubare la Parola è la sua attività
con la sua accoglienza di esso. L’uomo infatti si identifica con la Parola che
ascolta, non con le difficoltà che oppone. Si può dire che uno è l’accoglienza
credere. E proprio qui afferma il senso della parabola del seminatore: la fiducia
che il frutto verrà sicuramente. Infatti tutto ciò che viene da Dio vince il
5,4).
assedio di inviti. Proprio qui chiede a Dio il dono di una fede che cresca in
v. 20s quello su terreno sassoso, ecc. Il terreno sassoso, su cui cade il seme,
è il cuore del discepolo ancora pietrificato da varie paure. Accoglie con gioia la
370
Fatta la scelta di libertà, c’è la lotta di liberazione. Le difficoltà fanno uscire le
paure nascoste, costringendo a vincerle. Per questo Paolo si rallegra delle sue
una forza a tutta prova, e questa forza quella speranza che non viene mai
meno (Rm 5,3-5). Cadono le false speranze, e resta la sola che non illude né
Le difficoltà, alla fine, stanano le paure e frantumano ogni falsa speranza, per
v. 22 quello seminato tra le spine, ecc. Le spine sono la mondanità, che pur
vincere i falsi amori. Cristo, per il dono dello Spirito, diventa per lui la
v. 23 quello seminato sulla terra bella, ecc. Il dono della fede fa ascoltare la
permette che fruttifichi. I tre doni fanno del nostro cuore, lastricato di viottoli,
Adamo è molto bello (Gen 1,31): è la sposa di Dio, terra fatta per accogliere il
seme della sua parola. E il frutto sarà insperato: la terra germinerà la sua
verità (Sal 85,12), l’uomo sarà come il suo Signore, a immagine e somiglianza
sua. Per questo siamo fatti, e questo è venuto a portarci Gesù, il Figlio che con
3. Pregare il testo
371
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù solo con i suoi discepoli, che spiega la
parabola del seminatore
c. chiedo ciò che voglio: il dono della fede che mi fa accogliere la Parola, il
dono della speranza che la fa custodire, il dono dell’amore che la fa fruttificare
d. traendone frutto, medito il testo
da notare:
la parabola del seminatore
il seme è la parola del regno
il seme caduto sulla strada, e sua sorte
il seme caduto su terreno sassoso, e sua sorte
il seme caduto tra i rovi, e sua sorte
il seme accolto in terra bella, e suo frutto.
30; 9,9.
372
56. LASCIATE CHE CRESCANO AMBEDUE INSIEME
13,24-30
“Lasciate che crescano ambedue insieme”, dice il Signore a chi gli propone di
373
da una pianticella di frumento; poi si radica così bene che, strappandola, si
sviluppo (vv. 20-22). Il bene deve fare i conti con un parassita ineliminabile: il
male. Esso non solo è fuori, ma anche dentro la comunità e nel cuore di
ciascuno.
semina con cura il bene, il nemico con astuzia semina il male. Per questo c’è
Il trionfo del bene sarà solo alla fine, e per opera di Dio. Prima è il tempo
della pazienza, nostra e sua, che vede il male nostro e altrui come luogo di
misericordia diventiamo figli del Padre, che fa piovere sugli ingiusti e sui giusti
e fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni (5,45.48). Dio, se nel bene si
rivela come dono, nel male si rivela nella sua essenza più intima e propria:
Il male non guasta il bene, ma collabora al suo pieno trionfo: non è per la
tutti Dio vuol usare misericordia (Rm 11,32). E, dove abbonda il peccato, lì
374
Dio lascia le zizzanie perché conosciamo lui come grazia, diventando noi
sua vittoria, nel pieno rispetto della libertà nostra, ma anche della sua.
La parabola non è da leggere alla luce della spiegazione che segue (vv. 36-
Questa a sua volta va vista nel contesto immediato, in cui si parla delle
difficoltà che incontra il bene (in particolare cf vv. 18-22) e della piccolezza e
male (cf Rm 7,14-25). Il popolo di Dio è sempre santo e peccatore - anzi più
peccatore che santo! Eppure è “questo” il mondo che Dio ha tanto amato da
La parabola si divide in tre parti. I vv. 24-26 parlano della doppia semina,
prima del bene e poi del male. I vv. 27-28a contengono la domanda dei
discepoli e la risposta di Gesù: le zizzanie sono seme del nemico (cf Gen 3). I
13,24 Un’altra parabola propose loro, ecc. Nella parabola precedente aveva
parlato del seme buono, che incontra difficoltà. Ora parla del seme cattivo, dal
quale esse provengono. Se prima ha detto che nel bene inevitabilmente c’è il
male, ora dice da dove esso viene e come atteggiarsi nei suoi confronti. La
375
v. 25 mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico, ecc. Il “nemico”
subdolo e inavvertito.
egoismo. Nella stessa terra ( = Adam = homo!), oltre il seme del regno, c’è
Il male costituisce da sempre problema: da dove viene, e che fare con esso?
Non è solo nel campo accanto, ma anche nel “nostro”, addirittura dentro di
me. Proprio quando cerco il bene, lo trovo accovacciato alla mia porta, e si
sembra addirittura buono, bello e desiderabile (Gen 3,6). Solo dopo si svela
v. 27 Signore, non hai seminato seme bello nel tuo campo? Il male è una
sorpresa negativa, della quale si incolpa un altro, l’Altro. Già Adamo fin
dall’inizio incolpò Eva e Dio stesso (cf Gen 3,12). Perché il male? Dio è forse
dalla croce.
domanda: da dove viene? Qual è la sua origine? Come mai la realtà non è
376
v. 28 un uomo nemico fece questo. Il male non ha come principio Dio: non
sarebbe Dio. Né si può negarlo, perché c’è. Né si può identificarlo con l’uomo:
non c’è, o che è un gradino verso un bene maggiore. Altre volte si cerca di
male stesso.
v. 29 no! È la risposta del Signore alle nostre proposte. I nostri limiti e i nostri
radici delle zizzanie sono così forti e diffuse che, chi le sradica, sradica il grano.
longanime e di grande amore, che si lascia impietosire (Gn 4,2). Chi è spietato,
Dio, davanti al male, si rivela per quello che è: amore senza condizioni. La
sua compassione è l’unico “solvente” utile. Non interviene con ira, perché è
Dio e non uomo (Os 11,9). La collera dell’uomo non compie la sua giustizia (Gc
diventare “grano”, simili a Dio che non giudica, non condanna, ma assolve,
fatto il mondo bello, il male, alla fine, è l’occasione per renderlo migliore. O
377
felix culpa! Non per questo dobbiamo peccare (Rm 3,8; 6,1s.15); dobbiamo
però conoscere nel peccato la sovrabbondanza della sua grazia (Rm 5,20).
al momento della mietitura, ecc. Solo alla fine il male sarà tolto, ma dal
giudizio di Dio, così diverso dal nostro! Il presente è lasciato a noi per
anticipare, nella nostra, la sua misericordia. Questo è il senso della nostra vita
e della nostra storia. Alla fine Dio brucerà il male, salvando tutti attraverso il
fuoco del suo amore (cf 1Cor 3,13-15). E noi saremo giudicati dal nostro stesso
giudizio, misurati col nostro metro: la misericordia che avremo usata sarà la
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che parla ai discepoli
c. chiedo ciò che voglio: diventare misericordioso come il Padre
d. traendone frutto, medito il testo
da notare:
mentre gli uomini dormivano
venne il nemico
seminò zizzanie in mezzo al grano
apparvero le zizzanie
Signore, non hai seminato seme bello?
da dove le zizzanie?
un nemico fece questo
vuoi che andiamo a raccoglierle?
no! raccogliendo le zizzanie si strappa il grano!
lasciate che ambedue crescano insieme!
solo alla fine il male sarà bruciato.
4. Testi utili: Sal 130; 136; Rm 7,14-25; 11,11-36; Mt 5,43-48; 6,14s; 7,1-5;
18,21-35; Lc 6,36-38.
378
57. APRIRÒ LA MIA BOCCA IN PARABOLE TIRERÒ FUORI
13,31-35
“Tirerò fuori cose nascoste fin dalla fondazione del mondo”, dice Gesù
concludendo le parabole per la folla, prima di entrare in casa coi suoi discepoli
(v. 36). I misteri nascosti da sempre, che Gesù rivela con la vita ed espone con
32), anzi “immondo” (v. 33), perché il regno, che con lui è iniziato, ha raccolto
379
attorno a sé poca gente, e che gente - una insignificante cerchia di persone,
Padre si realizza nella storia del Figlio che passa attraverso il male dei fratelli,
immolato, predestinato prima della creazione del mondo (cf 1Pt 1,20).
Attraverso di lui Dio compie la salvezza degli uomini, eletti ed amati già prima
della creazione del mondo (Ef 1,4) con un amore che nessuna acqua può
Il brano presenta due parabole simmetriche, quella della senape e quella del
lievito (vv. 31-32.33), con una interpretazione generale delle parabole (vv. 34-
In questo brano Gesù gioca sul contrasto tra la piccolezza del seme e la
Le due immagini, forse usate con ironia dagli avversari di Gesù, sono da lui
fermenterà il mondo.
gloria futura. Ma tra le due c’è continuità misteriosa e vitale, come tra seme e
pianta, tra fermento e pasta viva. “Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile
e disprezzato e ciò che è nulla, per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor
380
1,28). Israele stesso fu scelto non per sue qualità presunte o reali, ma perché
“è il più piccolo tra i popoli della terra” (Dt 7,7). Non è un capriccio di Dio. È
invece una necessità sia per noi che per lui. Per noi, perché siamo piccoli; e
così veniamo liberati dal delirio di grandezza. Per lui, perché è amore; e
infine, come la storia presente, ancora sotto il segno del male, avrà un esito
ora e sempre, il “suo” segno (cf 24,30). I trionfalismi, che contrappongono gli
Gesù è il chicco di senape, preso e gettato sotto terra, il più piccolo dei semi,
che germinerà nel grande albero della croce. È il lievito, preso e nascosto nella
piccolezza e impurità della croce: legge in essa l’arcano di Dio, ora e sempre.
13,31 Simile è il regno dei cieli a un chicco di senape. Il regno dei cieli è
che un uomo prese e seminò nel suo campo. Il mondo è campo di Dio, e il
381
v. 32 è il più piccolo tra tutti i semi. Non c’è piccolezza maggiore di quella di
Dio: è tanto piccolo e invisibile che uno può anche dire che non c’è. Il “tsim-
tsum” è la caratteristica del Creatore che si restringe per fare spazio alla sua
creatura. Dio non è come l’idolo - grande, fascinoso e tremendo (Dn 2,31).
quando è cresciuto, è più grande degli altri ortaggi. La grandezza del regno
non è un trionfo futuro che rimedia alla piccolezza presente: è quella della
regno, che tutti alla fine, battendosi il petto, vedranno (24,30): il più grande è
proprio colui che si è fatto il più piccolo di tutti (cf Lc 9,48; 22,26s). E così sarà
sempre: il Signore è con noi fino alla fine del mondo (28,20) nella carne del
del regno, preparato per noi “fin dalla fondazione del mondo” (25,34).
Se, mentre leggiamo il vangelo, lui si presentasse a noi così com’è, non ci
accorgeremmo che quel disgraziato che ci disturba è lui, il più piccolo di tutti!
Gli diremmo con disappunto: “Torna un’altra volta!” Forse per questo non è
ancora tornato?
diventa albero, così che vengono gli uccelli del cielo, ecc. È l’albero della
trovano casa gli uccelli del cielo, simbolo dei popoli. Il centurione pagano sarà
separazione tra Dio e uomo e degli uomini tra loro (Ef 2,14-18): fa di tutti un
La forza di Dio non è quella del destriero, gettato nel mare col suo cavaliere
(Es 15,1): è quella dell’asinello (21,5; Zc 9,9), che porta i nostri pesi (cf Gal
6,2). La sua gloria non è quella dell’aquila superba e predatrice (Dt 32,11): è
quella umile della gallina che cova i pulcini (Lc 13,34). La sua grandezza non è
382
quella dei più alti cedri (Ez 17,22s): è quella del legno della croce, dove gli
uccelli trovano nido. Così tutti gli alberi della foresta conoscono “chi” è il
Signore - colui che umilia l’albero alto e innalza l’albero basso, fa seccare
l’albero verde e fa germogliare l’albero secco (Ez 17,23s). Lui stesso è il legno
verde che si fa secco per bruciare le nostre iniquità e comunicare a noi la sua
Rispetto alle attese dell’uomo, il regno di Dio suona sempre in tono minore -
è il suo!
v. 33 simile è il regno dei cieli a del lievito. Il regno di Dio è libero da ogni
Nella Pasqua del Signore, chi non mangia pane azzimo, sia fatto scomparire
di Dio è quella dell’amore: misericordia che si mischia con ogni miseria. La sua
di ogni debolezza e colpa (8,17). Cristo, nostra pasqua (1Cor 5,7), si è fatto per
noi lievito, maledizione e peccato (cf Gal 3,13; 2Cor 5,21): è l’Agnello che
che una donna prese e nascose in tre misure di farina. Prima un uomo che
albero della croce, quel pugno di impasto andato a male, preso e nascosto in
tre misure di farina, è il Cristo sepolto: nascosto per tre giorni nel cuore della
terra, la lieviterà di vita nuova, libera dal vecchio lievito di malizia e perversità
(1Cor 5,7s).
preso, gettato e nascosto - esposto sulla croce e deposto nel sepolcro. La sua
383
v. 34 tutte queste cose raccontò Gesù in parabole alle folle, ecc. Riprende il
compie quanto è scritto nel Sal 78,2. Anche i Salmi sono citati come i Profeti:
aprirò la mia bocca in parabole, tirerò fuori cose nascoste, ecc. Sotto il velo
delle parabole Gesù esprime il mistero, nascosto a tutti, della passione di Dio
per l’uomo. In lui esce allo scoperto il segreto del cuore di Dio, perché chi
E chi non vuole intendere? L’uomo è di sua natura “ascoltatore della Parola”.
fondazione del mondo, e ora rivelata in Gesù per la nostra gloria (1Cor 2,7). In
lui vedremo ciò che mai entrò in cuore d’uomo (1Cor 2,9): proprio ciò per cui il
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù che parla alle folle
c. chiedo ciò che voglio: capire il mistero della “minimità” e dell’“impurità” di
Dio
d. traendone frutto, medito il testo
da notare:
chicco di senape
un uomo prese e nascose nel suo campo
il più piccolo fra tutti i semi
più grande di tutti gli ortaggi
albero dove vengono a nidificare gli uccelli del cielo
lievito
una donna prese e nascose in tre misure di farina
fermenta tutto
senza parabole non parla alle folle
con esse rivela a tutti le cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.
4. Testi utili: Sal 27; Ez 17,22-24; Dn 2,31-35; 4,1-34; 1Cor 1,22-31; Fil 2,5-
11
384
58. COSÌ SARÀ AL COMPIMENTO DEL MONDO
13,36-43
“Così sarà al compimento del mondo”, dice Gesù: brilleranno due fuochi,
quello delle zizzanie che bruciano come immondizie, e quello dei giusti che
Il giudizio di Dio è solo alla fine, non ora, ed è fatto da lui, non da noi. Il
385
La spiegazione della parabola, richiesta dai discepoli (v. 36), si divide in due
parti: i vv. 37-39 sono un vocabolario dei sette elementi simbolici; i vv. 40-43
La comunità, dopo aver capito che bisogna avere comprensione con tutti (v.
29), avverte un problema: con questa “legge di libertà” (Gc 2,12) non si rischia
il disimpegno? Se Dio perdona comunque, si può fare ciò che pare e piace,
insensato. Sarebbe come dire: “Mia madre mi vuol bene e non si vendica.
Questi versetti, come poi i vv. 48-50, sono un richiamo alla responsabilità
personale: dobbiamo non giudicare gli altri per non essere giudicati, usare
comunità cristiana non è una setta di giusti, non è neppure una banda di
legge. Non c’è posto per lassismo o immoralità, torpore o tiepidezza. Ogni
Nella Chiesa, come nel mondo, ci sono sempre le zizzanie col buon seme: al
presente il regno del Figlio dell’uomo resta aperto a tutti gli uomini, suoi
fratelli. Ma, nel futuro definitivo, il regno del Padre sarà solo per i figli, quelli
parte della Chiesa non creda di essere già nel regno del Padre: lo è solo nella
386
Grazia e libertà, dono e responsabilità, azione di Dio e dell’uomo, non vanno
regno, quello del Figlio, sono accolti tutti così come sono, perché fratelli.
regno del Figlio, non ancora quello del Padre. Per entrare in questo bisogna
proprie!
spiegata a quelli che sono “in casa”, nella Chiesa. Questa è esposta a due
pericoli opposti: diventare una setta di giusti che non ha misericordia verso gli
propria impunità.
costante con quanto lui ha detto e fatto, ci preservano dal duplice pericolo.
Non basta l’intimità di chi dice: “Signore, Signore”, ma non conosce e non fa la
spiega a noi, ecc. Gesù è l’unico maestro (23,8). A noi spetta essere discepoli
che ascoltano, capiscono e fanno quanto lui dice e spiega. La parola che
del regno (v. 19). La Parola è lui stesso, che diventa segno definitivo nel suo
farsi seme, sepolto per tre giorni nel cuore della terra (12,40).
387
v. 38 il campo è il mondo. Tutto il mondo, non solo la comunità (cf 1Cor 3,9),
è campo di Dio.
il seme bello sono i figli del regno. I figli del regno sono quelli che ascoltano
le zizzanie sono i figli del maligno. L’uomo diventa figlio di colui che ascolta.
diventa figlio del maligno. Costui non “fa” qualcosa: semplicemente “ruba” la
Parola (v. 19) con una parola veri-simile, simile al vero ma non vera. In noi c’è
Fin dal principio divide l’uomo dalla Parola: gli sottrae la sua verità con la
menzogna.
mietitura, il tempo in cui il seme diventa pane e gioia. Sarà quando Dio avrà
compiuto nel mondo l’opera sua, il suo capolavoro: il volto del Figlio. Solo
termine. Alla fine resisterà solo l’amore, che mai ha fine (1Cor 13,8). Il fuoco di
Dio renderà allora manifesta l’opera di ciascuno: la paglia del nostro egoismo
sarà bruciata, e ciò che è prezioso resisterà (cf 1Cor 3,12-14). È un richiamo a
vivere il presente con responsabilità: per non essere zizzanie, bisogna usare
388
raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e gli operatori di iniquità. Nel
“suo” regno ci sono scandali e iniquità. La Chiesa è il regno del Figlio, non
ancora quello del Padre (v. 43). Abbraccia necessariamente insieme grano e
zizzanie, pesci buoni e cattivi. Chi non è misericordioso coi cattivi, è lui stesso
cattivo, scandalo per gli altri, operatore di iniquità, che non fa la volontà del
Padre.
v. 42 li getteranno nella fornace ardente (Dn 3,6). I tre giovani, che non si
fuoco alla fine brucerà il nemico, che lo aveva preparato per i giusti (Dn 3,22).
Il compimento del mondo sarà con un fuoco: il fuoco dello Spirito di Dio, amore
lì sarà pianto e stridore di denti (8.12; 22,13). Il male non trionfa: finisce in
Chi ascolta la Parola diventa come il Padre (5,48): riluce della sua gloria, come
il Figlio trasfigurato.
nel regno del Padre loro. Se il regno del Figlio necessariamente accoglie tutti
come fratelli, quello del Padre raccoglie solo i figli - quanti si saranno fatti
fratelli di tutti.
Ciò che in noi non sarà filiale e fraterno, scomparirà. Allora ci copriremo di
chi ha orecchi, continui ad ascoltare (cf v. 9). A chi ascolta sarà dato
conoscere i misteri del regno; e più ha, più gli sarà dato (vv. 11s).
3. Pregare il testo:
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù in casa con i discepoli
c. chiedo ciò che voglio: vivere ora ciò che alla fine vorrei aver vissuto
d. traendone frutto, medito il testo
da notare:
Gesù è in casa e i discepoli gli si avvicinano e lo interrogano
il seme bello, il Figlio dell’uomo, i figli del regno
389
le zizzanie, il diavolo, i figli del maligno
la mietitura, il compimento del mondo, gli angeli
i giusti nel regno del Padre.
4. Testi utili: Sal 97; 94; 96; Sap 1-5; 1Cor 3,12-15; Gc 2,14-26; 2Pt 3,1ss.
390
59. PER LA GIOIA DI ESSO, VA E VENDE TUTTO QUELLO
13,44-52
“Per la gioia di esso, va e vende tutto quello che ha e compera quel campo”.
391
la forza per decidersi per il regno, tesoro da vivere con coerenza e da
trasmettere adeguatamente.
differenze che illuminano aspetti diversi dell’unico tema: decidersi per ciò che
della bellezza del regno - e pongono l’accento sul “vendere tutto” per
Non basta cercare o trovare: occorre decidere. Chi vuol tenere il piede in due
finalmente verso la felicità. Chi si sposa, non è preso da tristezza per i possibili
Per questo Dio ci dà gioia: per farci decidere. E per questo il nemico fa di
Ognuno è chiamato a vivere in prima persona il tesoro della vita filiale (cf vv.
intelligente e completo.
È vero che la Chiesa non è una setta di giusti: è la grande rete, gettata nel
mare, che pesca i fratelli dall’abisso. Guai se non fosse così! Ma chi ha
ottenuto misericordia, la vive con impegno nei confronti degli altri. La bontà di
come lui!
392
compimento. È quanto fa con scrupolo Matteo: scrivendo il suo vangelo,
tolto solo da Cristo (2Cor 3,14-16). La Bibbia è il tesoro di famiglia, dal quale, a
tempo debito, lo scriba, amministratore fedele dei misteri del regno (24,45),
distribuisce a ciascuno la sua razione di cibo. Beato quel servo che il Signore,
numero di quelli che chiudono il regno dei cieli davanti agli uomini: non vi
trova, sia che non lo cerchi come il contadino, sia che lo cerchi come il
mercante. Il Signore, come si fa trovare da chi lo cerca (cf Is 66,6), così dice:
“Eccomi!”, facendosi trovare anche da chi non lo cerca (cf Is 65,1). Lui è la
perla preziosa; del resto si servono tanto quanto piace a lui. Ognuno è
13,44 Simile è il regno dei cieli a un tesoro. Ogni uomo ha nel cuore la luce di
un desiderio, una promessa di felicità che lo tiene vivo. Lo sappia o no, è alla
Sapienza, la parola di Dio che gli dice cosa fare per avere pienezza di vita (Pr
2,4; 3,14; 8,11.18s.21; Gb 28,15-19). “La legge della tua bocca mi è preziosa
più di mille pezzi d’oro e d’argento” (Sal 119,72). Di essa “gioisco come uno
393
che trova grande tesoro (Sal 119,162). Il grande tesoro, Sapienza perfetta del
nascosto nel campo. Il campo è il mondo intero (v. 38), la nostra storia, il
nostro cuore. Ogni uomo è figlio nel Figlio: in ognuno c’è l’uomo nascosto del
perderlo: non è suo fino a quando non ha investito in esso quanto possiede.
per la gioia di esso. La tristezza blocca, la gioia muove ogni decisione. Essa è
L’amore porta a de-cidere: taglia via ciò che non conta per amore di ciò che
conta. Solo una grande passione rende indifferenti al resto. Non perché tutto
perda significato, ma perché tutto finalmente ha il suo senso. Ciò che prima
era una palla al piede, ora serve per conseguire ciò che sta a cuore.
campo c’è da vendere tutto. Non che venga buttato via: viene investito per
acquistare ciò che vale. Uno non “perde” niente; anzi guadagna tutto.
fronte alla sublimità della conoscenza di Gesù, suo Signore, Paolo considera
perdita quanto prima vedeva come affare: è stato conquistato da lui e corre
contadino che fa il suo lavoro quotidiano, qui un intenditore che sa quello che
cerca, anche se non l’ha mai visto. L’ha solo intravisto nel brillare di ogni luce,
394
Il tesoro è dato a tutti, come al contadino. Ma anche tutti, come il mercante,
meno, una bellezza unica che ha stregato da sempre il suo cuore: “Ci hai fatti
per te, Signore, ed è inquieto il nostro cuore fino a quando non riposa in te”.
L’insaziabilità del nostro desiderio - fame che niente placa - testimonia che il
nostro appetito è infinito, è dell’Infinito. “Colui che è capace di Dio, non può
essere riempito da nulla che sia meno di Dio stesso”. L’uomo è desiderio.
appaga.
v.46 trovata una perla di grande valore, andò e vendette, ecc. Qui i verbi
sono al passato. Si sottolinea il fatto più che l’azione: c’è già chi ha deciso. Chi
parla l’ha fatto: la sua gioia non si è tramutata in lutto, e invita alla stessa
v. 47 è simile il regno dei cieli a una rete, ecc. Il regno è simile, oltre che a un
seme che germina, anche a una rete che tira fuori l’uomo dall’abisso e lo porta
pescatore (4,19): pescando i fratelli dalla morte, diventa lui stesso figlio,
Chiesa non sceglie chi è bravo, bello e buono: accoglie tutti nel suo seno. Non
può essere che così (cf vv. 24-30.36-43). Se nego la fraternità a un figlio di
v. 48 quando fu riempita. La rete è piena solo alla fine, non prima. E la fine
avrà “pescato” tutti gli uomini. Allora il Figlio, che sarà l’ultimo ad essere
pescato, consegnerà il regno al Padre, e Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,24.28).
395
stesso, qui e ora: sarò misurato secondo la misericordia che avrò accordato
agli altri. Se ho capito la misericordia, non mi prendo gioco della bontà di Dio
(Rm 2,4), non ne faccio il paravento della mia malizia (1Pt 2,16), pretesto alla
mia empietà (Gd 4). Il Signore usa pazienza e aspetta che tutti ci convertiamo
per avere verso gli altri la stessa pazienza di Dio, parlando e agendo come uno
che deve essere giudicato secondo una “legge di libertà” - dove il giudizio sarà
v. 49s così sarà al compimento del mondo, ecc. (cf vv. 30.40-42). Allora ci
sarà la “separazione”, e saremo misurati con il metro che avremo usato verso
gli altri, giudicati col nostro stesso giudizio (7,2). Se avremo avuto
misericordia, splenderemo come il sole nel regno del Padre (v. 43). Allora in
Tutto ciò che non è misericordia, sarà bruciato nel fuoco del giudizio di Dio -
queste cose” vanno capite, nessuna esclusa, sia la grazia che la libertà, sia il
che deve, eliminando uno dei due aspetti della realtà ( essere semplici non è
cose” sono i vari aspetti del mistero della croce - tesoro e perla in cui investire
396
intelligenza e completezza. Responsabilità, in misura diversa, comune a
ciascuno: volesse il cielo che tutti fossimo scribi nel popolo di Dio (cf Nm
11,29)!
tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche. Il tesoro è Cristo. In lui è
nascosto ogni tesoro della sapienza e della scienza, abita corporalmente tutta
novità, che è lui, il “nuovissimo”, l’Omega perché l’Alfa di tutto. Alla sua luce
le Scritture! È lui che toglie il velo alla lettura dell’AT (2Cor 3,14).Le cose
di Gesù.
C’è inoltre sempre una novità, che germoglia proprio ora, non te ne accorgi
(25,40.45). Lo scriba, alla luce di ciò che sa, lo riconosce e aiuta gli altri a fare
altrettanto.
La tradizione di ciò che è antico vive per l’interpretazione di ciò che è nuovo.
3. Pregare il testo
a. entro in preghiera come al solito
b. mi raccolgo immaginando Gesù in casa che parla ai suoi discepoli
c. chiedo ciò che voglio: la gioia di decidere per lui, di vivere la sua
misericordia e di trasmetterla agli altri
d. traendone frutto, medito il testo
da notare:
tesoro nascosto nel campo
per la gioia, va, vende tutto quello che ha e compera quel campo
397
il mercante che cerca perle belle
la perla di grande valore
la rete gettata in mare, che mette insieme tutti
il compimento del mondo come distinzione e trionfo del bene
avete capito tutte queste cose?
lo scriba discepolo tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.
4. Testi utili: 1Re 3,5-12; Sal 119,65-80; Pr 1-4; 8-9; Mt 9,9; 15,16-30; Lc
“Non c'è profeta disprezzato se non nella patria e nella casa sua”, dice
Gesù constatando l'incredulità di quelli di Nazareth.
398
Il rifiuto di parte dei suoi apre una nuova sezione (13,53-17,27), nella
quale si traccia l’itinerario dall’incredulità alla fede, con il passaggio obbligato
attraverso il dubbio, che sempre accompagna sia l'una che l'altra.
Il succedersi dei fatti è sostanzialmente uguale a Mc 6,1-9,32, con un
rilievo maggiore dato a Pietro. La cosa è comprensibile se si pensa che Marco
si rifà alla sua predicazione (la modestia è una virtù, tanto rara quanto
difficile da contraffare).<
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