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LACATON E VASSAL

“Concevoir un lieu de vie”

Un confronto tra il Palais de Tokyo e il FRAC Grand Large — Hauts-de-France

Prof.ssa Anna Rosellini


Laboratorio di Architettura Contemporanea: “La Fabbrica dell’Immagine”

Claudia Troisi
Matricola: 0000835936
Laurea Magistrale in Arti Visive

1
Introduzione

“L'architettura deve creare sensazioni, piacere, comfort e non costrizione.”


Anne Lacaton e Jean Phlippe Vassal

Lacaton e Vassal fondano nel 1987 lo studio omonimo con sede a Parigi, nel quale portano avanti
un’architettura sociale, pragmatica e, allo stesso tempo, mettono in discussione sia le basi economiche
che quelle ecologiche dell’edilizia. Dopo gli studi all’école nationale supérieure d’architecture di
Bordeaux, entrambi si indirizzano verso la progettazione urbanistica; Anne prende un diploma in
urbanistica, mentre Jean-Philippe parte per l’Africa. Cinque anni di lavoro in Nigeria condizionerà
fortemente il loro pensiero sull’architettura arrivando ad un linguaggio architettonico basato su sistemi
a basso costo e il ricorso al riuso intelligente dell’esistente. Da un’indagine dei vari progetti emerge che
gli architetti cercano sempre di costruire spazi più grandi, trasparenti e percorribili al fine di promuovere
la flessibilità, l’appropriazione e l’instaurarsi di relazioni. L’economia forma la linea guida per ogni
progetto e nonostante l’uso di materiali semplici e industriali, sono in grado di creare spazi abitativi
lussuosi, accessibili e di alta qualità architettonica.
Le sfide della società contemporanea sembrano sostanzialmente rivolte ad una cultura
dell’interpretazione e della risistemazione di ciò che esiste. L’obiettivo è di esaltare le capacità delle
preesistenze, offrendo un nuovo sguardo sulla città. A tale proposito, la ricerca collettiva parte da
un’osservazione dei progetti di Lacaton e Vassal per la realizzazione di spazi di arte e di cultura,
basandosi su quattro punti cruciali della loro poetica: generosità dello spazio, un sistema efficiente di
costruzione a pianta libera, economia (spendere meno e meglio), dialogo con passato e presente
(l’importanza e il valore dell’esistente) e infine, una continua attenzione al comfort del fruitore.
L’intento di questa relazione è di approfondire la questione del ‘luogo di vita’ in edifici pubblici,
facendo un’analisi del Palais de Tokyo e il FRAC Grand Large — Hauts-de-France, preceduta da un
paragrafo sullo ‘spazio libero’ affinché risulti chiara la strategia di intervento degli architetti.
Successivamente si cerca di indicare l’evoluzione del museo e del luogo espositivo di arte
contemporanea, riflettendo sul metodo che gli architetti hanno adottato per rendere la struttura
indipendente dal contenuto per lasciare evolvere quest’ultimo. Il filo conduttore è rappresentato dalla
volontà di ricavare uno spazio per creare, conservare e rendere fruibile l’arte contemporanea in due
luoghi che hanno conosciuto un altro utilizzo al passato. Quali soluzioni offrono Lacaton e Vassal per
dare nuova vita a queste aree dismesse?

2
Il freespace di Lacaton e Vassal

La dimensione di “abitare” fonda il presupposto per tutti i progetti di Lacaton e Vassal, che sia per
una scuola, uno spazio dedicato all’arte, o una casa. In occasione della Biennale di Architettura 2018,
gli architetti espongono il loro freespace o spazio libero come uno spazio ampio che non costa niente e
tuttavia è essenziale, è quello che cambia ogni cosa: utilizzo, relazioni e atmosfera.1 Il freespace è “il
ricordo del deserto, la ricerca della linea d’orizzonte, non certo muri né barriere, il sentimento di libertà,
lo spazio che sfugge, lascia uscire l’aria, la luce, la vista, e l’immaginario...” 2
In un'intervista con David Cascaro, Lacaton e Vassal esprimono la loro preferenza per il termine
habiter rispetto a réhabiliter. “Stare bene, sentirsi a suo aggio, prendersi il tempo, restare sul posto”;
sono per loro valori che caratterizzano uno spazio pubblico, un luogo o una casa.3 Per ciò che concerne
i progetti di abitazioni, il loft ha attivato nell’ottica di Lacaton e Vassal una trasformazione nel modo di
guardare: “l’invenzione del loft segnò un importante interruzione culturale nel modo di vivere e di
abitare la città, perché contiene esistenza, precisione, possibilità di libertà.” 4 L’idea del loft porta,
secondo Anne, una nozione importante del distacco tra programma e spazio, condizione necessaria per
generare un sentimento di libertà nel fruitore. Introduce la possibilità del ‘doppio’: per alterare la
relazione tra spazio e attività, fare altra cosa, passare da una dimensione all’altra, inventare un’altra
realtà. L’idea del ‘lusso’ è inseparabile dalla generosità dello spazio, è correlato con l’ambizione di
costruire almeno due volte tanto lo spazio programmato, di aggiungere volumi indeterminati e di
inventare nuove capacità di utilizzo. La Maison Latapie , il primo progetto realizzato dagli architetti
nel 1993, ne è un notevole esempio.5 Nel 2004 realizzano uno studio intitolato “Plus” insieme
all’architetto Frédéric Druot, nel quale sostengono una teoria di trasformazione del patrimonio del
modernismo. Il procedimento consiste nel notare i valori già presenti nelle strutture esistenti, per poi
riusarle, trasformarle e reinventarle, di conseguenza si ottiene una grande opportunità per lo sviluppo
sostenibile della città. Il loro motto è “Mai demolire, non rimuovere o rimpiazzare, sempre aggiungere,
trasformare, e riutilizzare!”.6 Lacaton e Vassal cercano di sperimentare queste possibilità sia nel campo
architetturale che nel campo urbanistico, in riqualificazioni e costruzioni nuove, e difendono una
modalità di generare la città. Nei capitoli seguenti vedremo come due strutture sono state riportate in
vita, tenendo in considerazione il contesto nel quale sono state realizzate.

Palais de Tokyo, Parigi: “tra dentro e fuori”

L’ambiguità di questo posto si esplicita da un lato nel dover svolgere un programma contemporaneo
entro un accademico edificio anni Trenta, dall’altro “il trasformismo della sperimentazione artistica da
mandare in scena in un contesto adatto ai linguaggi e alla pratiche della contemporaneità”.7 L’intervento
di Lacaton e Vassal al Palais de Tokyo dimostra che un’architettura incompleta, fatta di demolizioni e

1 https://www.labiennale.org/it/architettura/2018/partecipanti/lacaton-vassal, visitato il 23 novembre 2018.


2
Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal, Freespace, Biennale di Architettura, Venezia, 2018, p.1.
3
David Cascaro, le musée décontracté, 2006, p.11.
4
Karine Dana, Vingt ans après, Lacaton & Vassal, dossier extrait du n°364 Archicréé, 2014, S.E.P. 9, p.3.
5 Già dall’inizio, l’intenzione era quella di costruire una casa più grande, non di 10 metri quadrati ma se

possibile il doppio. Dalla convinzione che in una casa più ampia si vive meglio, e che era anche
un’opportunità di avere diversi spazi e ambienti, gli architetti cercavano di ottimizzare il budget e di fare il
massimo. (Maison Latapie in “Oris”, 2003, n.24)
6 Angela Rui, Rivoluzione soft, in “Abitare”, 2012, n.520, p.154.
7 Paola Nicolin, Palais de Tokyo, in “Abitare”, 2006, n.467, p.128.

3
sottrazioni, è quella più consona al linguaggio dell’arte contemporanea. L’edificio diventa la sede di
uno dei centri per l’arte contemporanea più vitali d’Europa, che porterà sempre con sé le impronti del
suo passato. Nel 1947 viene chiuso e diviso in due parti, da un lato cresce l’odierno Musée d’Art de la
Ville de Paris, mentre l’altro rimane chiuso.8 A partire dalla sua riscoperta nel 2001, la particolarità di
Palais de Tokyo e la sua notorietà derivano dalla grande libertà che il luogo proponeva alle opere d’arte
ed ai visitatori. Il gesto architetturale da parte di Lacaton e Vassal è stato quello di riconoscere il
potenziale di questo luogo. All’epoca i direttori Jérôme Sans & Nicolas Bourriaud, avevano a
disposizione uno spazio architettonico ereditato dall’Esposizione Universale del 1937, cioè di tardo stile
Art Déco, imponente e monumentale. Il complesso è stato rimesso in funzione dagli architetti Lacaton
e Vassal con un intervento che si può definire una ricerca sull’economia dell’architettura.
Laddove le pareti sono lasciate grezze, con graffi, buchi e altre ‘cicatrici’ che evidenziano la loro
lunga e mutevole vita, l’intento non era quello di mostrare un'estetica di ‘povertà’, né di voler
risparmiare sui costi di ristrutturazione. Bensì c’entrano con il concetto di armonia, nel senso che la
ruvidezza della superficie rende lo spazio più neutro di quanto lo possano fare i muri bianchi, che al
contrario avrebbero trasformato lo spazio in una banale galleria d’arte. Una cosa che i creatori di questo
luogo e gli architetti volevano assolutamente evitare. L’architettura era già lì e non c’era bisogno di
abbellirla, ma soltanto intervenire per questioni di stabilità della struttura. “Il lavoro di un architetto
non è soltanto costruire”, spiega Lacaton in un’intervista nel 2003. “La prima cosa da fare è riflettere,
dopodiché si è capace di decidere se c’è bisogno di costruire o no.”9 Tutto il resto dello spazio espositivo
invece è rimasto così come l’hanno trovato: colonne fatiscenti, soffitti lisci, scale di marmo. Il Palais
de Tokyo è stato fortemente criticato per aver evocato nel cuore di Parigi lo squallore di un centro
abusivo, la scioccante decostruzione fa pensare piuttosto ad un cantiere che ad un museo/galleria. Le
varie fasi di “decostruzione architetturale” erano iniziate già negli anni 1990 durante il progetto del
cinema e avevano permesso di rivelare l’ossatura in calcestruzzo armato e di rimuovere il rivestimento
in pietra che contribuiva a dare un carattere monumentale e neoclassico all’architettura.10 Si trattava di
enormi colonne e controsoffitti a plenum che oscurano l'illuminazione naturale.
Il Palais de Tokyo diventò uno spazio espositivo liberato del suo rivestimento decorativo, una
superfice nuda senza ornamenti, cioè un interno in calcestruzzo armato che agli occhi degli architetti
era molto contemporaneo. Dicono di aver ragionato come per un paesaggio, nel senso che vogliono
ritrovare qualcosa dell’esterno all’interno, ed è per questo che si sono concentrati molto sulla questione
della trasparenza.11 Tale osservazione diventò centrale per il progetto, in quanto sembrava superare la
categoria di edificio e affrontare le condizioni di una piazza pubblica o di un mercato, dove l’argomento
centrale è la circolazione delle persone. Avendo preso come modello la piazza vivace e dinamica, Jeema
el Fna, a Marrakech, la referenza della prima fase era quella di uno spazio libero esterno che non
possedeva limiti e che poteva essere in un continuo stato di improvvisazione. Quello che vogliono
raggiungere è l’idea del luogo pubblico senza chiare separazioni tra il dentro e il fuori, la vita che c’è
all’esterno deve essere portata all’interno.12
Con la seconda fase della costruzione, avvenuta nel 2012, il progetto vuole offrire la massima
disponibilità dello spazio alla fruizione del pubblico. Quest’espansione interna consente all’istituzione
di sfruttare appieno l’impressionante altezza, profondità e adattabilità dei suoi vasti spazi. Nella visione
di Lacaton e Vassal, ‘costruire duplice’ ha da un lato la funzione di trasformare ed espandere quello che

8
Ibidem.
9
David Huber, Beyond Belief, in “ArtForum International”, 2015, p.343.
10
Carole Boulbès, Le Palais de Tokyo: hybridation et mondialisation, in “Rue Descartes”, 2002, n.37, p.
98.
11 David Cascaro, Musée décontracté, 2006, p.12.
12
Ivi, p. 56.

4
già esiste, anziché demolire.13 Da un altro invece serve per emanciparsi dal programma, dallo standard,
dalle regole e per ottenere più libertà. Un ulteriore elemento cruciale della loro filosofia è la dimensione
pubblica che in aggiunta, forma l’obiettivo principale di questa struttura. I tempi di apertura sono
eccezionalmente lunghi, c’è una grande varietà nelle cose da fare e vedere per cui si crea un’atmosfera
familiare e rilassata. È possibile percorrerlo dall’alto al basso, muovendosi da uno spazio in alto, da una
attività in un’altra, per fare in modo che il pubblico abbia qualcosa da veder ad ogni piano. Agli architetti
interessa molto l’incrocio tra flussi e movimenti e poiché tutta la forza dell’edificio sta nella sua
verticalità, l’ispirazione per la seconda fase del progetto è il Fun Palace di Cedric Price, architetto
utopista, esemplare per il suo movimento in senso verticale e orizzontale. Lacaton e Vassal spiegano in
un'intervista il legame che c’è con il cinema, usano il lessico cinematografico per indicare che per loro
l’architettura opera allo stesso modo.14 Il cinema è un immaginario fatto con la realtà e se ci
allontaniamo dai sistemi di pensiero tradizionali, anche l’architettura consiste nell’immaginare lo spazio
intorno ai movimenti di una persona. E una strategia è simile al montaggio cinematografico, si tratta di
guardare e sommare diversi frammenti di spazio: si crea una serie di spazi che confluiscono l’uno dentro
l’altro, tra l’altro illuminati dalle grandi vetrate.
Da un punto di vista museologico, il Palais de Tokyo si vuole esplicitamente “sito di creazione
contemporanea” e non museo. Lo spirito del progetto e l’ampia gamma di attività pianificate richiedono
il massimo spazio disponibile, consentendo nel contempo a ciascuna attività una vasta misura di
indipendenza nel modo in cui si può utilizzare questo spazio. Il rifiuto del termine ‘museo’ non solo
conferma la vocazione di ricerca e sperimentazione museografica, ma mostra la necessità di pensare il
museo “come un sistema reticolare di pensieri e di creazioni in costante metamorfosi.”15 Alla capitale
mancava proprio un posto come questo, un edificio che offrisse uno spazio d’iniziativa, aperto e
flessibile, che instaurasse relazioni amichevoli con gli artisti, ovvero “un laboratorio delle culture
emergenti, un campo di base francese per le differenti tribù della cultura mondiale”.16 Si conferma
quindi il concetto di globalità e la volontà di non seguire alla lettera ma il desiderio di essere il più
flessibile possibile. Significa che le mostre non cambieranno stagionalmente alla maniera delle gallerie
convenzionali, l’edificio deve permettere un continuo cambiamento, come già accennato in riferimento
alla piazza a Marrakech. A quanto dice Nathalie Leleu, ricercatrice nel campo museologico francese, il
Palais de Tokyo offre una via di mezzo tra l’obiettivo prospettivo delle gallerie e quello più
conservatorio dei musei, propone infatti un’interfaccia tra l’arte en-train-de-se-faire e il suo stato
patrimoniale.17 Lo spazio è aperto in tutti sensi della parola, vuol far convivere istanze contradditorie,
convenzionali e non. Non vuole accogliere soltanto opere ma anche le fasi del processo, proponendo
esperienze nelle quali artisti, curatori, visitatori possano trovare occasioni di confronto e di scambio
simbolico e di appropriazione.

Il FRAC: ‘Due per uno’

I FRAC ospitano le collezioni pubbliche di arte contemporanea gestite dalle Regioni che vengono
conservate, repertoriate ed esposte. Il progetto per il FRAC della Regione Hauts-de-France, all’epoca
ancora Nord-Pas-de-Calais, prevede di inserire il programma in un’architettura esistente: un antico

13
Lacaton e Vassal, Freespace, 2018.
14
David Cascaro, Claire Staebler, Comme un paysage sans limite, in “Palais”, 2012, n.15, p.108.
15 Paola Nicolin, Palais de Tokyo. Sito di creazione contemporanea, p.19.
16 Dé-frichage pour l’art, in “Techniques & Architecture”, 2012, n. 458, p.71.
17 Nathalie Leleu, L’art vivant, le musée et leurs petites économies, in “L’art Même”, 2002, n.17, p.6.

5
deposito per imbarcazioni, denominato Magazzino AP218, il solo edificio superstite degli immensi
cantieri navali ormai smantellati. Il magazzino situato sul sito del porto di Dunkerque, nel quartiere
Grand Large, è un oggetto singolare ed emblematico che appare agli architetti immenso, luminoso e
impressionante per le sue dimensioni. Essendo l’unico landmark emergente sulla linea d’orizzonte, si
sono resi conto del suo potenziale d’uso eccezionale e decidono di conservarlo intatto nella sua
integralità. Anziché stipare il programma nel Magazzino AP2, gli architetti propongono di lasciarlo
come spazio supplementare, non programmato. Al contrario, costruiscono un gemello del deposito
barche, della stessa dimensione che conterrà il vero e proprio programma e avrà la sua inaugurazione
in novembre 2013. Una scelta intelligente perché giustamente è più interessante creare un edificio
perfettamente adeguato alle esigenze che adattare l’esistente a discapito delle sue qualità. Questa
clonazione, inoltre, instaura “un dialogo tra il concreto e il leggero, il permanente e l'impermanente, tra
conservazione e riciclaggio, e tra le certezze di un'epoca industriale passata e i dilemmi della nostra era
climatica”.19 Il concetto di leggerezza in architettura interessa molto gli architetti. Riguarda
sostanzialmente una combinazione di tre elementi che andremo ad esplicitare nei prossimi paragrafi: il
modo di collocarsi su un sito senza stravolgerlo, l’economia del gesto e della materia, e infine, le sottili
sensazioni percepite dall’abitante.
Nei progetti di Lacaton e Vassal, non manca mai il dialogo tra il passato di un luogo e il suo presente:
l’edificio nuovo si accosta delicatamente, senza predominare rispetto all’esistente. In sintesi mostra la
loro idea di lusso, che viene ridefinita in termini di generosità, libertà di utilizzo e piacere.
Raddoppiando appunto lo spazio, si moltiplicano gli usi, suscitando una sensazione vitale di libertà. Lo
spazio-extra che si va a creare non ha una funzione definita, è uno spazio libero agli usi. La scelta che
viene fatta per non sforare il budget, in quanto era più economico costruire all’esterno che all’interno
del magazzino. Entrambi gli edifici possono funzionare in maniera separata o combinata a seconda degli
eventi, il Magazzino può sia collegarsi al FRAC ma può anche essere indipendente e accogliere eventi
pubblici, mostre temporanee, concerti, e così via. In altre parole permette di fare di più con lo stesso
budget.
Gli architetti puntano sempre a combinare la capienza di una struttura con l’efficacia della sua messa
in opera e i bassi costi dei materiali. L’incrocio di queste tre componenti permette di aumentare
l’esperienza del progetto, e porta a vedere l’economia come un ‘vettore di libertà’. 20 Per il magazzino
erano sufficienti minimi interventi, mentre per il nuovo edificio l’opzione più economica rispetto ai
muri era di collocare una facciata vetrata davanti ad un’ossatura prefabbricata. Vale a dire che la finestra
diventa muro. L’intenzione non era quella di farne un museo, ma una ‘casa di vetro’ con spazi luminosi
che proponessero una passeggiata rilassante tra le opere e attraverso un percorso inventato dal visitatore
stesso. Non restava che installare ciò che permette di modulare il clima e di partizionare i volumi,
indipendentemente dalla struttura. Cercano di ottenere il più alto beneficio dal sole, la luce e dall’inerzia
esterna per assicurare anche un risparmio energetico. L’idea radicale e poetica di creare un involucro
leggero, costituito da pannelli in policarbonato, permette di far entrare la luce naturale e di avere uno
sguardo sul paesaggio del mare del Nord. Fra le superfici del programma e l’involucro, persistono degli
spazi liberi supplementari, aperti e luminosi. L’organizzazione bioclimatica rende però impossibile la
promenade architecturale per muoversi intorno l’edificio e rompe in un certo senso la continuità:
bisogna sempre entrare ed uscire dall’area bioclimatica per andare al piano successivo. Tuttavia,

18
L’Atelier de Préfabrication n°2, soprannominato “la cathédrale”, è un vero luogo di memoria, un punto di
riferimento geografico che ha segnato la storia sociale e comunitaria della città e della regione, e continua
ancora oggi a segnare il territorio. Venne chiuso definitivamente nel 1988.
19
Margaux Darrieus, Lacaton Vassal, Frac Nord-pas-de-Calais, Dunkerque, in “AMC”, 2013, n. 228, p.
54.
20 Anne Lacaton, Jean-Philippe Vassal, L’économie, vecteur de libertés, in “Costructif”, 2011, n.28, p. 63.

6
pensano ad una passerella per collegare il lungomare Malo-les-Bains con il primo piano della struttura
attraverso una passerella, “una sorta di cordone ombelicale delle due sorelle siamesi”.21 La passerella
pubblica porta il visitatore all’istituzione offrendogli da un lato la vista sul Magazzino AP2, dall’altro
lato invece guarda la sala espositiva completamente vetrata.
Attualmente le istituzioni per l’arte contemporanea tendono sempre di più a coinvolgere il pubblico,
ma nel caso del FRAC è una missione seguita da oltre trent’anni. La Regione Hauts-de-France possiede
uno dei pochi FRAC a beneficiare di una dimensione internazionale espressa sia nella ricchezza della
sua collezione, che conta quasi 1500 opere contemporanee, sia nelle azioni e nelle collaborazioni che
conduce da allora la sua creazione.22 Il FRAC ribadisce la volontà di innovare nelle sue attività di
mediazione. Al suo interno si sviluppano esperienze pedagogiche e didattiche che mettono il pubblico
al centro del progetto, facendolo partecipare attivamente attraverso piattaforme interattive di scambio e
ascolto. La trasparenza della struttura di certo enuncia un’apertura al pubblico, ma è lo stile semplice e
audace di Lacaton e Vassal a provocare sentimenti di piacere in noi.

Conclusione

Analizzando i due progetti, è chiaro che gli architetti mirano a progettare un’architettura non
standardizzata ma creativa, che sfida le risposte convenzionali per liberare gli usi degli edifici da vincoli
artificiali. Per loro, la generosità degli spazi, la libertà dell’utilizzo e l’economia sono valori
inseparabili. In entrambi gli edifici l’operazione principale è stata quella di raddoppiare lo spazio,
integrando in questo modo la nozione di circolazione libera.
Per il Palais de Tokyo c’è stata la volontà di reinventare l’istituzione artistica in relazione a nuove
modalità e pratiche della ricerca contemporanea. La coincidenza tra mostra e museo rendeva
impossibile costruire uno spazio per l’arte contemporanea secondo le strategie museografiche
tradizionali. La forte determinazione di Lacaton e Vassal nel voler ritrovare l’esterno all’interno lo
rende un museo moderno che cerca di soddisfare le aspettative del pubblico. Ne consegue
l'appropriazione da parte del fruitore, che trova qui un equilibrio tra luogo di vita e luogo di
presentazione dell’arte in uno spazio pubblico. Gli architetti evidenziano spesso il concetto di “abitare”
nei loro progetti, significa che la distinzione tra case private e edifici pubblici sembra quasi sparire,
creando forme intermedie che provvedono sia la qualità della vita, che la privacy e il senso di comfort.
L’ approccio innovativo alla sostenibilità, si basa non solo su un’economia di materiali ed energia,
ma anche sulla qualità superiore dello spazio. Il lavoro che gli architetti hanno portato avanti da tanti
anni sul “fare il doppio allo stesso costo” trova a Dunkerque una soluzione iconica. L’idea di creare
un'ombra gemella dell’edificio permette non solo di duplicare lo spazio, ma anche di tenere le due cose
separate. Il FRAC di Grand Large — Hauts-de-France conosce oggi una grande forza mediatica e
analogamente al Palais de Tokyo, diventa un luogo privilegiato per progetti partecipativi e ambisce
soprattutto ad uno scambio culturale tra artista e pubblico. Questo progetto ha offerto anche una nuova
visione alla riqualificazione di aree industriali dismesse, fungendo come catalizzatore per l’intera area
circostante. Ciò che sorprende è proprio la continuità della vita degli edifici, che vengono appunto
rivitalizzati e attualizzati rispettando sempre il loro passato e il dialogo con il paesaggio che li circonda.
Tutto questo viene realizzato con molta delicatezza, semplicità ed intelligenza dal duo francese. Per
Lacaton e Vassal, l’architettura, in sostanza, è quindi la libertà di usare uno spazio, di essere in grado
di creare e innovare uno spazio, e di consentire una molteplicità di funzionalità.

21
Margot Guislain, Deux halles nées sous le signe des Gémeaux, in “Le Moniteur”, 2014, n.5753, p.27.
22
http://www.hautsdefrance.fr/fonds-regional-dart-contemporain/ visitato il 7 dicembre 2018.

7
Bibliografia

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9
Immagini

(fig. 1) Ala ovest del Palais de Tokyo, Parigi

Foto: https://www.parigi.it/palais-de-tokyo visitato il 2 dicembre 2018.

(fig.2) Vista sul ‘saut du loup’ dal piano terra del Palais de Tokyo

10
Foto: Lacaton & Vassal, Comme un paysage sans limite, in “Palais” (numéro spécial histoire du Palais de
Tokyo), n.15.

(fig.3) Palais de Tokyo, Parigi

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Foto: Philippe Ruault

(fig. 4) Palais de Tokyo, Parigi


Foto: Philippe Ruault

(fig.5) Ossatura in calcestruzzo armato, Palais de Tokyo, Parigi

12
Foto: Philippe Ruault

(fig. 6) Magazzino AP2, cantiere navale di Dunkerque

Foto: http://www.fracnpdc.fr visitato il 7 dicembre 2018.

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(fig. 7) FRAC Grand Large — Hauts-de-France, Dunkerque

Foto: Philippe Ruault

(fig. 8) Vista Panoramica dal FRAC Grand Large — Hauts-de-France, Dunkerque

Foto: Philippe Ruault

(fig. 9) Passerella tra il FRAC Grand Large — Hauts-de-France e Malo-les-Bains, Dunkerque

14
Foto di Jean-Louis Burnod, 2016 (La voix du Nord, France)

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