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Gibbon e la Rus’: civilizzazione romana,

ortodossia bizantina e diritto russo antico


Valerio Massimo Minale

In molti saranno forse a conoscenza del fatto che Edward Gibbon


(1737-1794)1 nel suo capolavoro indiscusso2, The History of the Decline and
Fall of the Roman Empire3, evochi in un affascinante racconto anche il
popolo russo: egli infatti, uso a divagazioni tanto sapienti quanto ricche di
utilissime notizie, in un importante luogo dell’opera cerca appunto di
descrivere l’origine di quella primordiale compagine sociale, dilungandosi
soprattutto sulla storia dei rapporti vissuti tra la Rus’4 e l’impero bizantino.

1 Per un approccio iniziale con la sterminata bibliografia sul personaggio rinviamo a


Jane E. Norton, A Bibliography of the Works of Edward Gibbon, London 1949; riguardo alla sua
autobiografia (Memoirs of My Life, pubblicata incompiuta nel 1796 e rivista nel 1814
dall’amico Lord Sheffield) segnaliamo almeno John B. Bury (ed.), The Autobiography of
Edward Gibbon as Originally Edited by Lord Sheffield, London 1907 e tra le versioni moderne
Georges A. Bonnard (ed.), Memoirs of My Life, London 1966 e Dero A. Saunders (ed.), The
Autobiography of Edward Gibbon, New York, 1961; preziosi anche l’epistolario (Jane E.
Norton, The Letters of Edward Gibbon, voll. 3 New York 1956) e la raccolta miscellanea di
molti suoi scritti (Lord John Sheffield, Gibbon’s Miscellaneous Works, voll. 2, London 1796;
voll. 5, London 1814).
2 Per un primo inquadramento del pensiero storiografico gibboniano v. Arnaldo
Momigliano, Gibbon’s Contribution to Historical Method, in Studies in Historiography, London
1966, pp. 40-55 (anche in italiano in Sui fondamenti della storia antica, Torino 1984, pp. 294-
311); oltre, ovviamente, a Giuseppe Giarrizzo, Edward Gibbon e la cultura europea del Settecento,
Napoli 1954; interessante anche Peter Gosh, Gibbon observed, in «Journal of Roman Studies»,
131 (1991), pp. 132-156.
3 London (I, 1776 / II-III, 1781 / IV-V-VI, 1788-89); le migliori edizioni in lingua
inglese sono probabilmente le seguenti: 7 voll., London 1909 e 12 voll., New York 1906,
disponibili anche sulla rete informatica. Per la versione italiana abbiamo consultato Storia
della decadenza e caduta dell’impero romano, Torino, 1967, 3 voll.
4 Il termine di matrice etnico-geografica indica in maniera convenzionale il periodo
compreso tra l’inizio dei contatti tra genti scandinave e popolazioni slave stanziate sulle
terre russe (862, discesa variaga) e la cessazione della dominazione mongolica segnata dallo
scontro di Kulikovo Polje (8 settembre 1380). Per una visione generale della storia russa
antica rinviamo semplicemente a Janet Martin, Medieval Russia. 980-1584, Cambridge 1993,
oltre a Hartmut Rüss, Das Reich von Kiev, in Manfred Hellmann (hrsg.), Handbuch der
Geschichte Russlands I, Stuttgart 1981, pp. 199-429; un’ottima sintesi è anche rappresentata
308 Valerio Massimo Minale

Tuttavia, nonostante la sua notevole importanza, sembra che l’argomento


abbia mancato di suscitare la curiosità degli studiosi, compresi molti esperti
della materia5; in relazione invece a diversi profili e ragionando
analiticamente sulle fonti utilizzate, sia primarie che secondarie 6,
potrebbero emergere elementi piuttosto interessanti riguardanti addirittura
i fondamenti stessi del pensiero che appartenne al grande storico inglese,
con particolare attenzione ad alcune questioni ulteriori di storia del diritto.
Ci troviamo al capitolo cinquantacinquesimo7, dove si parla dell’ultima
grande ondata migratoria di popolazioni straniere sul continente europeo,
nomadi provenienti dalle sterminate steppe asiatiche8 che l’impero
bizantino, seriamente provato intanto dal tentativo di resistere all’offensiva
dei califfi arabi9, fu pure costretto a subire: inizialmente, a gruppi diluiti nel
tempo, apparvero i Bulgari (par. I)10, in seguito piombarono come un

abbastanza recentemente da Michail B. Sverdlov, Domongolskaja Rus’. Knja i knja eskaja


vlast’ na Rusi VII-pervoj treti XIII vv., Sankt Peterburg 2003.
5 Gli unici esempi provengono da studiosi di storia bizantina e cultori di antichità russe:
v. Steven Runciman, Gibbon and Byzantium, in Glen W. Bowersock, John L. Clive, Stephen
R. Graubard (eds), Edward Gibbon and the Decline and Fall of the Roman Empire, Cambridge
(Mass.) 1977, pp. 53-60, p. 55, ma anche Jonathan Shepard, Byzantine soldiers, missionaries and
diplomacy under Gibbon’s Eyes, in Rosamond McKitterick, Roland Quinault (eds), Edward
Gibbon and Empire, Cambridge 1997, pp. 78-100.
6
Gibbon è sempre molto attento a segnalare la provenienza delle proprie informazioni
nelle note, le quali compongono un vero e proprio apparato parallelo al testo.
7 Per l’edizione italiana abbiamo fatto riferimento a Storia della decadenza e caduta
dell’impero romano, , 3 voll. Torino 1967 (cap. 55, ed. ital.: III, pp. 2251-2278).
8 AA.VV., Popoli delle steppe: Unni, Avari, Ungari, (Centro Italiano per lo Studio dell’Alto
Medioevo, d’ora in poi CISAM, 35), Spoleto 1988, 2 voll., dove in particolare Antonio
Carile, I nomadi nelle fonti bizantine, I, pp. 55-87.
9 Si parla della complessa fenomenologia dell’espansione militare successiva alla
scomparsa del Profeta in tre capitoli (L, LI, LII); sul tema dei rapporti tra impero bizantino
e popoli arabi citiamo il classico lavoro di Aleksander A. Vasil’ev, Vizantija i Araby
(Politi eskija otnošenija Vizantii i Arabov za vremja Amorijskoj dinastii, Sankt Peterburg 1900,
Politi eskija otnošenija Vizantii i Arabov za vremja Makedonskoj dinastii, Sankt Peterburg 1902),
oltre a Michail V. Krivov, Vizantija i Araby v rannem srednevekov’e, Sankt Peterburg, 2002; v.
inoltre Ernst Honigmann, Die Ostgrenze des byzantinischen Reiches von 363 bis 1071 nach
griechischen, arabischen, syrischen und armenischen Quellen, Bruxelles 1935. Sulla considerazione
nutrita da Gibbon nei riguardi del messaggio islamico Bernard Lewis, Gibbon on Muhammad,
in Bowersock, Clive, Graubard (eds), Edward Gibbon…, cit., pp. 61-73.
10 Per la storia dei primi stanziamenti di popolazioni bulgare nei territori dell’impero
bizantino v. Dimitar Angelov, Obrazuvane na b’ulgarskata narodnost, Sofija 1971, ma anche
Ivan Duj ev, Protobulgares et Slaves (sur le problème de la formation de l’État bulgare), in «Annales
de l’Insitut Kondakov», 10 (1938), pp. 145-154 e La formation de l’État bulgare et de la nation
bulgare, in L’Europe aux IX,e-X.e siècles. Aux origines des états nationaux, Varsovie 1968, pp. 215-
224 (entrambi anche in Medioevo bizantino-slavo, I, Roma 1965, pp. 67-82; III, pp. 31-42); per
ulteriori riferimenti alla storia bulgara antica rinviamo comunque a Ivan A. Bozilov, Vasil T.
Gibbon e la Rus’… 309

fulmine le orde terrificanti11 degli Ungari (ovvero Magiari) (par. II) 12;
mentre i secondi avevano impegnato in prevalenza le forze del Sacro
Romano Impero Germanico, rappresentato all’epoca dalle figure della

Gjuzelev, Istorija na srednovekovna B lgarija. VII-XIII vek, Sofija 1999; per un iniziale
approccio alle fonti dirette v. Vasilev T. Gjuzelev, Forschungen zur Geschichte Bulgariens im
Mittelalter, Wien 1986, e, soprattutto, Gyula Moravcsik, Byzantinoturcica, I. Die byzantinischen
2
Quellen der Geschichte der Türkvölker, Berlin 1958 . Gibbon conosce l’originaria divisione dei
Bulgari in Orientali (Bulgari del Volga) e Occidentali (Protobulgari o Bulgari di Bulgaria),
risalente alla devastazione compiuta dai Goti nei loro confronti, ma, indotto in errore da
Leonico Calcondila (fonte: De Rebus Turcicis, X, 283), li assimila alle restanti popolazioni
slave, ignorandone l’origine turcomanna; egli infatti poco oltre, dopo avere ricordato
l’etimologia del termine «slavo» (fonte: Gian Cristoforo de Jordan, De Originibus Slavicis,
Vindobonae 1775), tratta in breve anche dei Croati, conosciuti allora come Schiavoni di
Dalmazia, e dei loro rapporti con le repubbliche ragusea e veneziana: evidentemente
considera l’invasione bulgara come un proseguimento naturale della precedente calata
avaro-slava lungo la penisola balcanica, ricordata nel capitolo cinquantatreesimo a proposito
dell’invasione della penisola peloponnesiaca (sul tema v. Paul Lamerle, Invasions et migrations
dans les Balkans depuis la fin de l’époque romain jusq’au VIIIe siècle, in «Revue historique», 211,
1954, pp. 265-308). Riportiamo la parte del testo: «The unquestionable evidence of language attests
the descent of the Bulgarians from the original stock of the Sclavonian, or more properly Slavonian, race;
and the kindred bands of Servians, Bosnians, Rascians, Croatians, Walachians, &c. followed either the
standard or the example of the leading tribe. From the Euxine to the Adriatic, in the state of captives or
subjects, or allies or enemies, of the Greek empire, they overspread the land; and the national appellation of
the slaves has been degraded by chance or malice from the signification of glory to that of servitude». [«La
prova inconfutabile della lingua attesta che i Bulgari derivano dal ceppo originario degli
Schiavoni, o più propriamente degli Slavi; e che i popoli affini dei Serbi, Bosniaci, Rasciani,
Croati, Valacchi, ecc. seguirono la bandiera, o l’esempio della tribù principale. Essi si
diffusero tra l’Eusino e l’Adriatico come prigionieri e sudditi, alleati o nemici dell’impero
greco; e il nome nazionale di Slavi fu degradato, per caso o malignità, da un significato di
gloria a quello di schiavitù»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2253).
11 La furia con la quale essi si erano avventati sui territori occidentali aveva contribuito
al fatto che venissero identificati addirittura con le fantasiose popolazioni apocalittiche di
Gog e Magog: «When the black swarm of Hungarians first hung over Europe, about nine hundred years
after the Christian era, they were mistaken by fear and superstition for the Gog and Magog of the
Scriptures, the signs and forerunners of the end of the world». [«Quando il nero sciame degli Ungheri
apparve per la prima volta sull’Europa, nove secoli circa dopo l’era cristiana, lo spavento e
la superstizione li fecero credere Grog e Magog della scrittura, i segni e i precursori della
fine del mondo»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2256); v. Raul Manselli, I popoli immaginari – Gog e
Magog, in Popoli e paesi nella cultura altomedievale (CISAM 29), Spoleto 1983, pp. 487-517.
12 Rinviamo per il lettore italiano a Gina Fasoli, Le incursioni ungare in Europa nel secolo X,
Firenze, 1945, ma anche a Carlo Di Cave, L’arrivo degli Ungheresi in Europa e la conquista della
patria. Fonti e letteratura critica, Spoleto 1995; v. ancora almeno Antal Bartha, Hungarian Society
in the 9th and 10th Centuries, Budapest 1975; v. per le fonti storiografiche Carlile A.
Macarteney, The medieval Hungarian historians. A critical and analytical Guide, Cambridge 1953:
gli storici consultati da Gibbon sono in prevalenza Giorgio Pray (1723-1801) (Dissertationes
ad Annales veterum Hungarorum ecc., Vindobonae 1775) e Stefano Katona (1732-1811) (Historia
Critica Ducum et Regum Hungariae stirpis Arpadianae, 5 voll., Paesini 1778-1781).
310 Valerio Massimo Minale

dinastia sassone Enrico l’Uccellatore (912-936) e Ottone il Grande (936-


973) — costui soltanto a caro prezzo era riuscito a fermare il loro impeto
conquistatore, vincendo nella battaglia di Lechfeld il 10 agosto 955 e
costringendo i successori di Arpád (895-907) e delle sue sette tribù a
stanziarsi nella pianura pannonica13 — i primi potevano vantare intensi e
continui rapporti con l’impero bizantino14.
Unificata infatti la nazione secondo la leggenda nel 623 dal khan
Kubrat, durante l’impero di Costantino IV Pogonato (668-685) accadde
che il khan Asparuch (679-702) per la prima volta sconfiggesse duramente
l’esercito bizantino, precisamente nel 681: crollato il limes danubiano 15
questi popoli, fino ad allora sconosciuti, sciamarono lungo le distese della
penisola balcanica orientale occupando le antiche province romane e

13 Arpád con la sua gente inizia verso l’anno 896 una micidiale campagna di guerra
contro i regni centro-europei ponendo fine nel 907 allo stato della Grande Moravia, prima
compagine territoriale slava, e investendo con le proprie schiere le regioni tedesche, francesi
e italiane; v. Gyula Kristó, Ferenc Makk, Die ersten Könige Ungarns: die Herrscher der
Arpadendynastie, Herne, 1999 e Die Arpadendynastie: die Geschichte Ungarns von 895 bis 1301,
Budapest 1993 (originale in ungherese). È interessante anche notare come Gibbon formuli
alcune corrette osservazioni sulla lingua ungherese, simile all’idioma parlato dai Finni,
sposando in pieno la teoria di una sua matrice asiatica, secondo la quale essa derivarebbe dal
popolo degli Ugri o Ujguri (fonte: Johann-Heberhard Fischer, Quaestiones Petropolitanae, I. De
origine Hungarorum; II. De origine Tatarorum; III. De diversis Shinarum imperatoris nominibus
titulisque; IV. De Hyperboreis, Gottingen 1770): «The Hungarian language stands alone, and as it
were insulated, among the Sclavonian dialects; but it bears a close and clear affinity to the idioms of the
Fennic race, of an obsolete and savage race, which formerly occupied the northern regions of Asia and
Europe.» [«La lingua ungherese sta da sola e per così dire isolata fra i dialetti slavi, ma ha una
chiara e intrinseca affinità con le lingue della razza finnica, razza selvaggia oggi scomparsa,
che occupava un tempo le regioni settentrionali dell’Asia e dell’Europa.»] (cap. 55, ed. ital.:
III, p. 2257).
14 Per tutti v. Robert Browning, Bulgaria and Byzantium: a comparative study across the early
medieval frontier, London 1975, ma anche Jadran Ferluga, Byzantium on the Balkans. Studies on
the Byzantine Administration and the Southern Slavs from the VIIth to the XIIth Centuries,
Amsterdam 1976, del quale inoltre Gli slavi del sud ed altri gruppi etnici di fronte e Bisanzio, in Gli
slavi occidentali e meridionali nell’alto medioevo, (CISAM, 30) I, Spoleto 1983, pp. 302-343; v..
infine Ivan Duj ev, Relations entre les Slaves mériodionaux et Byzance aux Xe-XIIe siécles, in
«Cahiers de civilisation médiévale», 9 (1966), pp. 533-556 (anche in Medioevo bizantino-slavo,
II, Roma 1971, pp. 175-221).
15 Questo il celebre incipit del capitolo cinquantacinquesimo: «Under the reign of Constantine
the grandson of Heraclius, the ancient barrier of the Danube, so often violated and so often restored, was
irretrievably swept away by a new deluge of Barbarians». [«Sotto il regno di Costantino, nipote di
Eraclio, l’antica barriera del Danubio, così spesso violata e ristabilita, fu definitivamente
travolta da una nuova inondazione di barbari.»] (cap. 55, ed. ital.: III, pp. 2251).
Gibbon e la Rus’… 311

portando lo stato bizantino quasi sull’orlo della disfatta16; furono quindi i


khan Krum (803-814) e Omurtag (816-831), padre e figlio, a rimanere
fortemente impressi nell’immaginario bizantino, l’uno per avere ucciso sul
campo di battaglia il 26 luglio 811 l’imperatore Niceforo I (802-811) — il
cranio del quale venne trasformato in una coppa utilizzata spesso durante i
brindisi regali17 — e l’altro per avere sapientemente approfittato della pace
trentennale conclusa nell’814 dai greci dietro pagamento di un cospicuo
tributo periodico; quando Boris (852-859), convertitosi al cristianesimo
nell’86418 e adottato il nome ortodosso di Michele, assunse anche il titolo
di zar trasferendo la capitale da Pliska a Preslav, città che il successore,
Samuele il Grande (893-927), formato alla cultura bizantina, rese un grande
centro letterario e artistico, la potenza del nuovo stato bulgaro apparve in
tutta la sua temibilità: al termine di un periodo di decadenza durante il
regno di Pietro (927-969), segnato dalle rivolte suscitate dall’eresia
bogomila e dalla sollevazione popolare dei c.d. cometopuli nel 976, Basilio
II (976-1025) — chiamato da allora Bulgaroctono/Bolgarobojca19 —
decise di porre fine al pericolo bulgaro e concluse i propri progetti di

16 Andreas N. Stratos, Byzantium in the Seventh Century, 5 voll. Amsterdam 1968-1980,. e


John Haldon, Byzantium in the Seventh Century. The Transformation of a Culture, Cambridge, New
York, Port Chester, Melbourne, Sidney 1990.
17 « … but the head of Nicephorus was exposed on a spear, and his skull, enchased with gold, was
often replenished in the feasts of victory». [«ma il capo di Niceforo fu infisso su una lancia e il suo
cranio, montato in oro, fu spesso riempito di vino nelle orge della vittoria.»] (cap. 55, ed.
ital.: III, p. 2254).
18 Sulle vicende della cristianizzazione del popolo bulgaro rinviamo a Vas N. Zlatarski,
1
Istorija na balgarskata darzhava prez srednite vekove, Sofija 1970 (1918 ), oltre a Vasilev T.
Gjuzelev, Knjaz Boris P’urvi: B’ulgarija prez vtorata polovine na 9 vek, Sofija 1969; v. inoltre due
importanti scritti di Ivan Dju ev: Il patriarcato bulgaro nel secolo X, in I patriarcati orientali nel
primo millennio, Roma, 1968, pp. 201-221 e I responsa di papa Nicolò I ai Bulgari neoconvertiti, in
«Aevum», 42 (1968), pp. 403-428 (entrambi anche in Medioevo bizantino-slavo, Roma 1971, II,
pp. 243-266 e pp. 143-173).
19 L’appellattivo significa letteralmente «sterminatore dei bulgari»: «…and his cruelty
inflicted a cool and exquisite vengeance on fifteen thousand captives who had been guilty of the defence of
their country: they were deprived of sight; but to one of each hundred a single eye was left, that he might
conduct his blind century to the presence of their king. Their king is said to have expired of grief and horror
and the nation was awed by this terrible example». [«…e la sua crudeltà inflisse freddamente un
raffinato supplizio a quindicimila prigionieri, colpevoli di aver difeso la propria patria: essi
furono accecati, ma a uno ogni cento fu lasciato un occhio, perché potesse condurre la sua
centuria di ciechi alla presenza del re. Si dice che il loro re ne morisse di dolore e di orrore e
la nazione restò sbigottita da quel terribile esempio.»] (cap. 55, ed. ital.: p. 2255); v. sulla
tragica persistenza della figura di questo imperatore nell’immaginario collettivo balcanico
Paul Stephenson, The legend of Basil the Bulgar-slayer, Cambridge 2003.
312 Valerio Massimo Minale

conquista tra il 1014 (battaglia di Klidion) e il 1018/1019 (istituzione


dell’arcivescovato di Ohrid)20.
Comunque, dal tenore delle espressioni usate e dalla natura dei
riferimenti, costituiti non solo dalla letteratura storiografica, ma anche da
altro materiale (come per esempio il Taktikon di Leone il Saggio21, dove i
nemici vengono confusi per il ricorso in battaglia all’arma dell’arco e delle
frecce agli Sciti22, abitatori assieme ai Sarmati di quelle terre che furono per
secoli il confine ideale tra il mondo greco e il misterioso settentrione23),
traspare nel testo di Gibbon un giudizio fondamentalmente negativo nei
confronti di entrambe le nuove popolazioni barbariche, le quali paragonate
alle genti musulmane sembrano appartenere addirittura ad una razza
inferiore24: è questa la cifra distintiva dell’intero capitolo, la cui chiave di

20 In questo modo si chiuse l’esperienza del Primo Impero Bulgaro: v. Steven


Runciman, A History of the First Bulgarian Empire, London 1930; il Secondo Impero Bulgaro
(1185-1396), retto dalla dinastia degli Ašen, avrà la sua nuova capitale a Tarnovo e una
storia profondamente intrecciata alle vicende occidentali (v. R.obert L. Wolff, The second
Bulgarian Empire, in «Speculum», 24, 1949, pp. 167-206, e soprattutto Ivan A. Bo ilov,
Familijata na Asenevci. 1186-1460, Sofija 1994).
21 V. Rudolf Vári, Leonis imperatoris Tactica, 2 voll., Budapest 1917-1922.
22 V. Tamara Talbot Rice, The Scythians, New York 1957 (trad. it. Gli Sciti, Milano 1958)
e Renate Rolle, The World of the Scythians, Berkeley 1989; v. inoltre sul problema
dell’imputazione ad una certa etnia di determinate caratteristiche anche spirituali secondo la
teoria del «determinismo ambientale» Buhomila Zasterova, Zur Problematik der
ethnographischen Topoi, in Joachim Herrmann, Helga Köpstein, Reimar Müller (hrsg.),
Griechenland Byzanz Europa. Ein Studienband, Berlin 1985, pp. 16 ss.
23 A proposito dei Russi scrive Gibbon: «Their northern reign ascended above the sixtieth degree
of latitude, over the Hyperborean regions, which fancy had peopled with monsters, or clouded with eternal
darkness». [«Verso il nord il loro regno oltrepassava il sessantesimo grado di latitudine di
quelle regioni iperboree, che la fantasia ha popolato di mostri o coperto di una notte
eterna.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2267); v. Evangelos Chrysos, Die Nordgrenze des
byzantinischen Reiches im 6. bis 8. Jahrhundert, in Die Völker Südosteuropas im 6. bis 8. Jahrhundert,
Berlin 1987, pp. 27-40; sugli importantissimi legami tra i Greci e le colonie del Mar Nero
rinviamo a Gocha Tsetskhladze, The Greek Colonisation of the Black Sea Area, Stuttgart, 1998 e
New Pontic Archaeology, Leiden 2001; v. comunque in generale sul rapporto tra mondo greco
e stranieri Robert Browning, Greeks and Others: From Antiquity to the Renaissance, in Thomas
Harrison (ed.), Greeks and Barbarians, New York, 2002, pp. 257-277.
24 «But the same labour would be unworthily bestowed on the swarms of savages who, between the
seventh and the twelfth century, descended from the plains of Scythia, in transient inroad or perpetual
emigration. Their names are uncouth, their origins doubtful, their actions obscure, their superstition was
blind, their valour brutal, and the uniformity of their public and private lives was neither softened by
innocence nor refined by policy. The majesty of the Byzantine throne repelled and survived their disorderly
attacks; the greater part of these Barbarians has disappeared without leaving any memorial of their
existence, and the despicable remnant continues, and may long continue, to groan under the dominion of a
foreign tyrant». [Ma la stessa fatica sarebbe sprecata per quegli sciami di popoli selvaggi, che
fra il VII e il XII secolo scesero dalle pianure della Scizia in passeggere scorrerie o in
Gibbon e la Rus’… 313

lettura è proprio costituita dall’antagonismo tra barbarie nordica e civiltà


romana e dalla ricerca dei rimedi che la seconda è in grado di offrire per la
redenzione della prima25.
I Russi (par. III) vengono descritti dopo i Bulgari e gli Ungari: sono
accumunati a queste altre due stirpi perchè insieme sono considerate
appartenenti alla medesima caterva di invasori che all’epoca minacciavano
l’universalità cristiana. Oltre agli Arabi e ai popoli nomadi delle steppe,

continue migrazioni. I loro nomi sono strani, incerta la loro origine, oscure le loro gesta, la
loro superstizione era cieca, brutale il loro valore; e la monotonia della loro vita pubblica e
private non era attenuata dall’innocenza, nè ingentilita dalla politica. La maestà del trono
bizantino resisté e sopravvisse al loro assalti disordinati, la maggior parte di questi barbari è
sparita senza lascire alcun ricordo della sua esistenza e i loro miseri avanzi continuano e
possono continuare a gemere lungamente sotto il dominio di un tiranno straniero.»] (cap.
55, ed. ital.: III, pp. 2251-2252).
25 La connessione tra ferocia barbarica e necessità della civilizzazione romana è una
delle costanti del pensiero storico gibboniano (v. Francois Furet, Civilization and Barbarism in
Gibbon’s History, in «Daedalus», 195, 1976, pp. 209-216 e in generale sul tema Vittorio
Lanternari, L'incivilimento dei barbari: problemi di etnocentrismo e d'identità, Bari, 1983); tuttavia
questo legame non è sempre facile da comprendere: se da una parte, infatti, i barbari, per
antonomasia i popoli germanici, rappresentano l’arretratezza culturale e soprattutto la
supersitizione religiosa, dall’altra è vero che essi sono portatori di forze nuove e di valori in
un certo senso ancora incontaminati (cap. 9, ed. ital.: I, pp. 198-219); a proposito del
Franchi, appositamente opposti ai Bizantini, si dice: «The love of freedom and of arms was
felt, with conscious pride, by the Franks themselves, and is observed by the Greeks with
some degree of amazement and terror.» [«L’amore per la libertà e le armi era sentito dai
Franchi con conscio orgoglio, ciò che i Greci osservavano con un certo stupore non scevro
di terrore.»] (cap. 53, ed. ital.: III, pp. 2224-2227); v. John G. A. Pocock, Barbarism and
Religion, 4 voll., Cambridge, (1. The Enlightenments of Edward Gibbon, 1737–1764, 1999; 2.
Narratives of Civil Government, 1999; 3. The First Decline and Fall, 2003; 4. Barbarians, Savages and
Empires, 2005). Non possiamo del resto dimenticare la posizione assunta a proposito nelle
Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur decadence (1734) da Montesquieu, il
quale senza dubbio si inseriva nella illustre tradizione tacitiana della Germania (Alfons
Städele, Tacitus und die Barbaren, in Peter Neukam, hrsg., Reflexionen antiker Kulturen, München
1968, pp. 123-143 e Viktor Pöschl, Tacitus und der Untergang des römischen Reiches, in «Wiener
Studien», 69, 1956, pp. 310-320) e in parte di Ammiano Marcellino (Susanna Bonanni,
Ammiano Marcellino e i barbari, in «Rivista di cultura classica e medievale», 23, 1981, pp. 125-
142); v. per esempio Bruno Luiselli, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo
germanico, Roma, 1992, ma anche Federico Borca, Confrontarsi con l’Altro: i Romani e la
Germania, Milano, 2004; v. ancora sull’argomento Yves A. Dauge, Le Barbare. Recherches sur la
conception romain de la barbarie et de la civilisation, Bruxelles 1981, oltre a Alain Chavout,
Barbaristaion, acculturation et “democratisation de la culture” dans l’Antiquité tardive, in «Antiquité
tardive», 9 (2001), pp. 81-95; molto interessante infine Walter Goffart, Rome, Constantinople,
and the Barbarians, in «American Historical Review», 86 (1981), pp. 275-306 e Kilian Lechner,
Byzanz und die Barbaren, in «Saeculum», 6 (1955), pp. 296-306.
314 Valerio Massimo Minale

sono infatti le genti normanne26, chiamate vichinghe in Occidente e


variaghe27 in Oriente, a gettare nella prostrazione l’impero bizantino28.
Proprio nel solco di quest’ordine di considerazioni viene accettata in
pratica senza riserve29 da Gibbon la c.d. teoria normannista30, la quale
pretendeva (e tuttora a volte pretende)31 di dimostrare, attraverso
valutazioni di natura spesso puramente linguistica e sulla base di

26 Per riferimenti generalissimi v. Johannes Brondsted, I Vichinghi, Torino 1976/2001


(originale in danese), ma anche Lucien Musset, Les peuples scandinaves au moyen âge, Paris 1951.
27 A proposito nel testo viene ricordata con particolare enfasi la c.d. Guardia Variaga,
inizialmente composta dai 6000 soldati inviati da Vladimir il Santo a Basilio II in occasione
del matrimonio della sorella Anna Porfirogenita con il principe russo e utilizzati per la
prima volta contro l’usurpatore Barda Foca nel 989 nel corso della presa di Crisopoli: armati
di una caratteristica ascia bipenne, vennero in seguito destinati alla tutela della persona
dell’imperatore; tra i suoi più famosi componenti viene annoverato colui che sarebbe
divenuto un famoso sovrano norvegese, Harald III Hardráda/Aroldo lo Spietato (1047-
1066), cantato nelle saghe norrene (v. Magnus Magnusson, Hermann Pálsson, King Harald's
saga: Harald Hardradi of Norway. From Snorri Sturluson's Heimskringla, New York 1966);
rinviamo comunque a Sigfús Blöndal, The Varangians of Byzantium: an aspect of byzantine
military history, New York 1978, oltre al classico Vasilij G. Vasil’evskii, Varjago-russkaja i
varjago-angliiskaja dru ina v Konstantinopole XI i XIIgo vekov, Sankt Peterburg 1908.
28 «At this disastrous era of the ninth and tenth centuries, Europe was afflicted by a triple scourge from
the North, the East, and the South; the Norman, the Hungarian, and the Saracen sometimes trod the
same ground of desolation; and these savage foes might have been compared by Homer to the two lions
growling over the carcase of a mangled stag.» [«In quest’epoca disastrosa del IX e X secolo,
l’Europa fu afflitta da un triplice flagello, da nord, da est e da sud, Normanni, Ungari e
Saraceni calpestarono talora e desolarono lo stesso terreno, e Omero avrebbe potuto
paragonare questi selvaggi nemici a due leoni, che ruggiscono sul corpo sbranato di un
cervo.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2262).
29 «The Scandinavian origin of the people, or at least the princes of Russia, may be confirmed and
illustrated by the national annals and the general history of the North». [«Gli annali russi e la storia
generale del nord confermano e illustrano questa origine scandinava del popolo, o almeno
dei principi, della Russia.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2265).
30 Sul tema v. Nicholas V. Riasanovsky, The Varangian Question, in I Normanni e la loro
espansione in Europa nell'alto Medioevo (CISAM, 16), Spoleto 1969, pp. 171-204 (e prima ancora
The Norman Theory and the Origin of the Russian State, in «The Russian Review», 7, 1947, pp. 96-
110), ma anche Omeljan Pritsak, The Origin of Rus’, in «The Russian Review», 36 (1977), 249-
273; rinviamo inoltre a Varangian Problems, Report on the first international symposium on the theme:
“The Eastern Connections of the Nordic Peoples in the Viking Period and Early Middle Ages”,
Moesgaard-University of Aarhus, October 1968, Kopenhagen, 1970 e Rudolf W. Zeitler (publié
par), Les Pays du Nord et Byzance (Scandinavie et Byzance). Actes du colloque nordique et international
de byzantinologie, Uppsala 1981.
31 Per esempio v. Günther Stöckl, Der russische Staat in Mittelalter und früher Neuzeit,
Wiesbaden 1981 e Vladimir Volkoff, Vladimir the Russian Viking, New York 1985, ma anche
Håkon Stang, The Naming of Russia, Oslo 1996; v. inoltre Wladyslaw Duczko, Viking Rus.
Studies on the Presence of Scandinavians in Eastern Europe, Leiden 2004, basato soprattutto su
riferimenti archeologici.
Gibbon e la Rus’… 315

controversi riferimenti cronografici32, la fondazione in prevalenza


scandinava dell’originario stato russo, realizzata attraverso la sottomissione
delle diverse etnie slave e l’imposizione nei loro confronti di pesanti
esazioni in natura costituite soprattutto da pellicce preziose33.
Partendo dal celebre episodio dell’ambasceria dell’imperatore d’Oriente
Teofilo (813-842) all’imperatore d’Occidente Luodvico il Pio (778-840)

32 La fonte principale per la storia russa antica rimane sicuramente la c.d. Cronaca dei
tempi passati (Povest’ Vremennykh Let): pervenutaci secondo due lezioni differenti
(Laurenziana, 1377 / Ipaziana, 1450), viene considerata una sorta di «opera corale»,
caratterizzata da una compilazione sedimentaria piuttosto complessa: il materiale iniziale
(Drevnejškij Kievskij Svod) fu raccolto presso il Monastero delle Grotte di Kiev (Kievo-
Pe erskij) durante il regno di Jaroslav il Saggio (probabilmente negli anni 1037-1039) e
organizzato in riprese successive da due monaci, Nikon (1073) e Nestore (1113); in realtà
sembra che un corpus intermedio (Na alnyj Svod) fosse stato composto nel corso della prima
grande invasione cumana (1093-1095) e inserito nella Prima Cronaca di Novgorod
(Novgorodskaja Pervaja Letopis’) (v. per tutti Aleksej A. Šachmatov, Razyskanija o drevnejšich
russkich letopisnych svodach, Sankt Peterburg 1908); successivamente alla redazione voluta da
Vladimir Monomakh (1113-1125) ne venne approntata un’altra anche per Mstislav
Vladimirevi (1125-1132). Per la traduzione italiana si veda Racconto dei tempi passati. Cronaca
russa del XII secolo, Torino 1971, con un fondamentale saggio introduttivo di Dimitri S.
Licha ëv (nonostante l’interpretazione di matrice sovietica), ma adesso anche Cronaca degli
anni passati (XI-XII sec.), Cinisello Balsamo 2007; v. inoltre Ludolf Müller, Die Nestorchronik:
die altrussische Chronik, zugeschrieben dem Mönch des Kiever Höhlenklosters Nestor, in der Redaktion
des Abtes Sil’vestr aus dem Jahre 1116, rekonstruiert nach den Handschriften Lavrent’evskaja,
Radzivilovskaja, Akademiceskaja, Troickaja, Ipat’evskaja und Chlebnikovskaja, München 2001,
oltre a Samuel H. Cross, Olgerd P. Sherbowitz-Wetzor, The Russian Primary Chronicle.
Laurentian Text, Cambridge (Mass.) 1953. Il passo più discusso si trova sub anno 6370 (862):
«Scacciarono i Varjaghi al di là del mare, e non pagarono loro il tributo, e cominciarono da
sé a governarsi, e non vi era fra loro giustizia, e si levò stirpe contro stirpe, e vi era fra loro
discordia, e cominciarono a combattersi essi fra loro stessi. E si dissero: «Cerchiamo un
principe, il quale ci governi e giudichi secondo giustizia». E andarono al di là del mare dai
Varjaghi, dai Russi. Giacchè questi Varjaghi si chiamavano Russi […]. Dissero ai Russi […]:
«La nostra terra è grande e fertile, ma ordine in essa non v’è. Venite a governarci e a
comandarci». E si riunirono tre fratelli con la loro gente, e presero seco tutti i Russi, e
giunsero[…].» (ed ital.:, p. 11). In base a questo racconto infatti Rjurik, mitico capo variago,
insieme ai suoi fratelli avrebbe dato vita ad una dinastia di principi regnanti a Kiev sul
Dnepr, la capitale della tribù slava dei Poljani; in verità sembra che già nell’842 i due
condottieri Askold e Dir si fossero impadroniti della città, prendendola come punto di
partenza per i primi attacchi alla Crimea e alla colonia greca di Cherson; la tradizione
secondo la quale sarebbe stato Oleg a conquistarla nell’882 non è affatto sicura: egli
comunque vi regnò fino al 913, seguito da Igor (913-945), figlio di Rjurik, da Olga (945-
962), vedova di Igor, e ancora da Svjatoslav (942-972), figlio di Olga.
33 Janet Martin, Treasure from the Land of the Darkness. The Fur Trade and its Significance for
Medieval Russia, Cambridge (Mass.) 2004, e inoltre Jean-Pierre Arrignon, Les fourrures dans la
Cronique des temps passées et la Russkaja Pravda, in Milieux naturels, espaces sociaux. Etudes offertes à
Robert Delort, Paris 1997, pp. 341-346.
316 Valerio Massimo Minale

avvenuta presso la corte di Ingelheim il 18 maggio 83934, nel corso della


quale per la prima volta il «nome russo»35 è conosciuto e diffuso, vengono

34 Gibbon segue pedissequamente il testo tramandato negli Annali Bertiniani (Annales


Bertiniani Francorum, in Ludovico Antonio Muratori, Rerum italicarum scriptores, II, 1, p. 525,
an. 839), scritto per questo tratto da Prudenzio, vescovo di Troys (846-861); riportiamo la
sezione: «Venerunt etiam legati Graecorum a Theophilo imperatore directi, Theodosius videlicet
Calcedoniensis matropolitanus episcopus et Theophanius spatarius, ferentes cum donis imperatori dignis
epistola; quos imperator quinto decimo Kalendas Iunii in Ingulenheim honorifice suscepit. Quorum legatio
super confirmatione pacti et pacis atque perpetuae inter utrumque imperatorem eique subditos amicitae et
caritatis agebat, necnon de victoriis, quas adversus exteras bellando gentes caelitus fuerat assecutus,
gratificatio et in Domino exultatio ferebatur; in quibus imperatorem silique subiectos amicabiliter Datori
victoriarum omnium gratias referre poposcit. Misit etiam cum eis quondam, qui se, id est gentem suam,
Rhos vocari dicebant, quos rex illorum chacanus vocabolo ad se amicitiae, sicut asserebant, causa direxerat,
petens per memoratam epistolam, quatenus benignitate imperatoris redeundi facultatem atque auxilium per
imperium suum toto habere possent, quoniam itinera, per quae ad illum Constantinopolim venerant, inter
barbaras et nimiae feritatis gentes immanissimas habuerant, quibus eos, ne forte periculum inciderent, redire
noluit. Quorum adventus causam imperator diligentius investigans, comperit, eos gentis esse Sueonum.
Exploratores potius regni illius nostrique quam amiciatiae petitores ratus, penes se eo usque retinendos
iudicavit, quoad veraciter inveniri posset, utrum fideliter eo necne pervenerint; idque Theophilo per
memoratos legatos suos atque epistolam intimare non distulit, et quod eos illius amore libenter susceperit, ac,
si fideles invenirentur, et facultas absque illorum pericolo in patriam remeandi daretur, cum auxilio
remittendos; sin alias, una cum omissis nostris ad eius praesentiam dirigendos, ut, quid de talibus fieri
deberet, ipse decernendo efficeret». [Giunsero anche gli ambasciatori greci inviati dall’imperatore
Teofilo, Teodosio, vescovo metropolitano di Calcedonia, e lo spatario Teofanio, portando
doni degni di un imperatore assieme ad una lettera; essi vennero magnificamente ricevuti
dallo stesso imperatore il 18 maggio a Ingelheim. Il proposito della loro missione era di
confermare il trattato di pace perpetua tra entrambi gli imperatori e i vincoli di amicizia e di
carità tra i loro sudditi; essi inoltre non mancarono di congratularsi e di esultare nel Signore
delle vittorie ottenute con l’aiuto celeste nella guerra combattuta contro popoli stranieri;
Teofilo chiese amichevolmente all’imperatore e i sudditi di ringraziare Colui che è l’artefice
di ogni vittoria. Egli inviò con questi anche alcuni uomini, i quali dicevano di chiamarsi
Rhos, intendendo il loro intero popolo, e affermavano di essere stati mandati dal loro re,
conosciuto come chacanus, con spirito di cordialità sincera, domandando per mezzo della
lettera sopra ricordata dalla benignità dell’imperatore il permesso di tornare con tutto l’aiuto
che fosse in suo potere offrire poiché avevano trovato la strada per la quale erano arrivati a
Costantinopoli infestata di genti barbare e feroci come belve, per cui, intenzionati a non
correre ulteriori rischi, non l’avrebbero percorsa nuovamente. Informatosi meglio
l’imperatore riguardo la loro provenienza, apparve come essi appartenessero alla razza
svedese. Convinto di essere di fronte probabilmente più ad esploratori di quella terra
piuttosto che a persone in cerca della nostra amicizia, pensò bene di trattenerli finchè non
avesse scoperto con certezza se erano davvero venuti con animo fidato; egli non perse
tempo a informare Teofilo con un’altra lettera da consegnare ai suoi ambasciatori,
aggiungendo di averli ricevuti con spirito amichevole per amore dell’amicizia nutrita nei
confronti di lui stesso e che se egli li avesse trovati sinceri li avrebbe anche forniti dei mezzi
per tornare in patria senza rischi e pericoli e dotati di ogni mezzo di assistenza: in caso
contrario invece li avrebbe subito spediti a Teofilo con gli ambasciatori e li avrebbe trattati
come pensava sarebbe stato adatto alla situazione.»] (Annales Bertiniani, recensuit G. Weitz, in
Gibbon e la Rus’… 317

ripercorsi gli avvenimenti della storia di quella nazione in maniera certo


molto essenziale, ma in definitiva abbastanza completa, fino ad arrivare alla
caduta stessa della Rus’36, segnata prima dal suo frazionamento territoriale 37
e quindi dall’imposizione del giogo mongolo-tataro38: un’analisi dei
momenti principali39 — tra i quali spiccano senza dubbio quelli riguardanti
il processo di cristianizzazione, strettamente connesso ai profondi legami
intrecciati con l’impero bizantino40 — disvela numerosi punti di rilievo,
dei quali cercheremo di rendere conto.

Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum ex Monumentis Germaniae Historicis recusi,


Hannover 1883, 19-20); v. sull’episodio Aleksander V. Riasanowsky, The Embassy of 838
Revisisted, in «Jahrbücher für Geschichte Osteuropas», 10 (1962), 1-12.
35 Il termine greco per indicare le genti russe era: ω ; Gibbon cita in nota come
riferimenti Theophilus Siegfried Bayer (1694-1738) (De origine Russorum, in «Commentarii
Accademiae Scientiarum Imperialis Petropolitanae», VIII, 1763, pp. 388-436 e anche un
trattato di geografia (De l’Empire de Russie, son origine et ses accroissements, Paris, 1772, in 12o) di
Jean Baptiste Bourguignon d’Anville (1697-1782), cartografo francese autore del celebre
Atlas général (1737).
36 L’ultimo vero sovrano fu Vladimir Monomakh (1113-1125); dopo di lui i principi
russi mossero continue guerre l’uno contro l’altro: nel 1169 Andrei Bogoljubskii, figlio di
Iurii Dolgoruki e signore di Vladimir-Suzdal’, saccheggiò Kiev, la «madre delle città russe»
(v. Jaroslaw Pelenski, The Sack of Kiev of 1169: Its Significance for the Succession to Kievan Rus’, in
«Harvard Ukrainian Studies», 11, 1987, pp. 303-316, anche in The Contest for the Legacy of
Kievan Rus’, New York, 1998). In generale v. John L. I. Fannell, The Crisis of Medieval Russia.
1200-1304, London 1983.
37 Per esempio V. Marc Szeftel, Les principautés russes avant l’ascension de Moscou (IXe-XVe
siècles), in «Recueils de la Société Jean Bodin», 22 (1969), pp. 613-636; inoltre Boris A.
Rybakov, Kievskaja Rus’ i russkie knja estva XII-XIII vv. (La Russia di Kiev ed i principati russi nei
secoli XII e XIII), Moskva 1982 e Vladimir Vodoff, Princes et principautes russes. 10-17 siècles,
Northampton 1998.
38 La bibliografia sul periodo mongolo è sconfinata; ricordiamo tra i tantissimi
contributi almeno Boris D. Grekov, Aleksander Ju. Iakubovski, La Horda d’Or et la Russie,
Paris, 1961 (orig. Boris D. Grekov, Zolotaia Orda i ee Padenie, Moskva 1950, 1957); George
Vernadsky, The Mongols and Russia, New Haven 1953; Bertold Spuler, Die Goldene Horde. Die
Mongolen in Russland (1223-1502), Wiesbaden 1965 (Leipzig 1943); German A. Fedorov-
Davydov, Die goldene Horde und ihre Vorgänger, Leipzig 1972; Charles J. Halperin, Russia and
the Golden Horde. The Mongol Impact on Medieval Russian History, Bloomington 1985; v. sui
rapporti intessuti dall’Orda d’Oro con i diversi principati russi soprattutto Boris A.
Rybakov, Russkie knjazestva i Zolotaja Orda v XIII veke (I principati russia e l’Orda d’Oro nel XIII
secolo), Moskva 1963.
39 Le principali fonti storiografiche bizantine (lette in Stritter, Russica, II, parte II, pp.
393-1044) sono le cronache di Giorgio Cedreno (XI sec.) e di Giovanni Zonara (XII sec.);
v. per approfondimenti Ugo Criscuolo, Riccardo Maisano (a cura di), Categorie concettuali della
storiografia bizantina. Atti della V giornata di studi bizantini. Napoli 23-24 aprile 1998, Napoli,
2000.
40
Simon Franklin, Byzantium – Rus’ – Russia. Studies in the Translation of Christian Culture,
Aldershot 2002.
318 Valerio Massimo Minale

Sappiamo con certezza che i primi rapporti tra l’impero bizantino e le


terre russe furono di carattere soprattutto economico41: lungo la rotta che
collegava attraverso vari corsi d’acqua il Mar Baltico con Costantinopoli
(Tsargrad), la via «dai Variaghi ai Greci» delle fonti letterarie42, all’inizio
della stagione estiva le genti russe si avventuravano su imbarcazioni
caratteristiche («monoxile», dalla chiglia costruita di un solo tronco
d’albero) scendendo verso il meridione che rifornivano di merci ricercate
come ambra, miele, cera d’api, bitume, resina, lino, pelli, legname e schiavi
di razza slava, assai ambiti per il candido incarnato43.
Soltanto in un momento successivo i Russi iniziarono a mostrare
propositi bellicosi, arrivando diverse volte a minacciare dal mare la capitale
bizantina: al termine di ognuna di queste spedizioni navali essi riuscivano
ad ottenere dall’imperatore, nonostante le sconfitte cui normalmente
andavano incontro, condizioni vantaggiose per i propri traffici spesso
sigillate da giuramenti e dalla stipula di trattati commerciali44; il testo di

41 Aleksander A. Vasiliev, Economic Relations between Byzantium and Old Russia, in «Journal
of Economic History», 4 (1932), pp. 314-334.
42 L’imperatore Costantino VII Porfirogenito (913/945-959) ha lasciato una celebre
descrizione delle cataratte che la flotta mercantile russa doveva superare per arrivare al
mare, ricordandone i nomi sia scandinavi che slavi (Gyula Moravcsik, Romilly J. Heald
Jenkins, De administrando imperio, in «Corpus fontium historiae Byzantinae» 1, Washington,
1967; v. anche Klaus Belke, Peter Soustal (hrsg.), Die Byzantiner und ihre Nachbarn: die De
administrando imperio genannte Lehrschrift des Kaisers Konstantinos Porphyrogennetos für seinen sohn
Romanos, Wien 1995). Attraverso il lago Il’men, sulle sponde del quale sorgeva la città di
Novgorod Viliki (unita a sua volta alle coste settentrionali dal sistema idrico Vol’khov-
Ladoga-Neva) e per il fiume Lovat’, ma soprattutto lungo il corso del Dnepr/Boristene,
costeggiando le foci del Danubio essi potevano finalmente giungere sul Bosforo. In realtà
gli spostamenti delle imbarcazioni avvenivano a volte per brevi tratti anche sulla terraferma,
come attesta il nome stesso del fiume Vol’khov, dal verbo volo it (trascinare; sost. volokh).
In generale comunque tutta la Russia era collegata da un fitto sistema di corsi d’acqua
sfruttati da tempi immemorabili; in particolare, oltre alla via del Dnepr, dobbiamo ricordare
almeno altre due strade fluviali, che partivano entrambe dalla regione di Polock: la prima
seguiva il corso della Dvina Meridionale, la quale sfociava nel Mar Baltico, presso la città
anseatica di Riga, la seconda quello del Volga fino al Mar Caspio; inoltre non
dimentichiamo che i laghi Ladoga (non lontano dalle rive del quale sorgeva il primo
insediamento variago di Staraja Ladoga/Aldeigjuborg) e Onega erano collegati tra loro dal
fiume Svir’ che sfociava nel Mar Bianco nei pressi della città di Beloozero. V. Hilda R. Ellis
Davidson, The Viking Road to Byzantium, London 1976.
43 A proposito Gibbon richiama ancora Bayer (De Varagis, in «Commentarii Academiae
Scientiarum Imperialis Petropolitanae», IV, 1759, pp. 275-311; De Geographia Russiae
vicinarumque Regionum circiter, in «Commentarii Academiae Scientiarum Imperialis
Petropolitanae», IX, 1764, pp. 367-422; X, pp. 371-421).
44 Scrive saggiamente Gibbon: «Yet the threats or calamities of a Russian war were more
frequently diverted by treaty than by arms.» [«Tuttavia, le minacce e le calamità della guerra coi
Russi furono allontanate più coi trattati che con le armi .»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2271);
Gibbon e la Rus’… 319

questi accordi contiene alcuni riferimenti al diritto consuetudinario,


indicato nei documenti slavi come Zakon Russkij, nonché indicazioni sullo
status assunto dai mercanti slavi stabilitisi a Costantinopoli45 e sulle loro
garanzie di autonomia46.
Sembra che milizie organizzate abbiano attaccato la fortificazione di
Suroz in Crimea già all’inizio dell’IX secolo e il porto di Amastri sulle rive
meridionali del Mar Nero tra gli anni 820 e 84247; il primo scontro in
grande stile avvenne però nell’860, quando l’imperatore Michele III
Amorico (842-867) fu costretto a fronteggiare l’arrivo di una flotta di circa
duecento navi che dopo avere saccheggiato le coste pose l’assedio alla
stessa Costantinopoli: i Russi vennero costretti ad una fuga precipitosa, ma
il pericolo corso e l’eco dell’accaduto furono di vasta portata, al punto tale
che l’episodio della vittoria rimase per sempre circonfuso di un’aura
miracolosa48.

citando testualmente la Cronaca dei tempi passati (letta in Levesque, Histoire de Russie, I, p. 87),
egli riporta i consigli che gli anziani compagni amavano suggerire al principe russo: ‹‹Be
content,›› they said, ‹‹with the liberal offers of Cæsar; is it not far better to obtain without a combat the
possession of gold, silver, silks, and all the objects of our desires? Are we sure of victory? Can we conclude a
treaty with the sea? We do not tread on the land; we float on the abyss of water, and a common death hangs
over our heads.» [«Contentatevi, essi dicevano, delle generose offerte di Cesare. Non è molto
meglio ottenere senza combattere l’oro, la seta e tutti gli altri oggetti dei nostri desideri?
Siamo certi di vincere? Possiamo conchiudere un trattato col mare? Noi non camminiamo
per terra, ma galleggiamo sull’abisso delle acque e una morte comune pende sul nostro
capo.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2271). Sul tema v. soprattutto J. Malingoudi, Die russische-
byzantinischen Verträge des 10. Jhds aus diplomatischer Sicht, Thessaloniki 1994, dove numerose
ulteriori indicazioni, ma anche George Weickhardt, The Commmercial Law of Old Russia, in
«The Russian History», 25 (1998), pp. 361-385.
45 I mercanti russi risiedevano nel distretto di San Mama: v. Jules Pargoire, St. Mamas, le
quartier russe de Constantinople, in «Echos d’Orient», 11 (1968), pp. 203-210.
46 «Some of their countrymen resided in the capital and provinces; and the national treaties protected the
persons, effects, and privileges of the Russian merchant.» [Dei loro connazionali risiedevano nella
capitale e nelle province dell’impero greco, e le persone, i beni e i privilegi dei mercanti russi
erano tutelati da trattati.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2269).
47 Questa prima serie di scorrerie piratesche è tuttora oggetto di discussione tra gli
storici; v. Elena E. Lipsi , O pochode Rusi na Visantjiu ranee 842 g., in «Istoricheskie Zapiski»,
26 (1948), pp. 312-331, e Georgij Vernadsky, The Problem of the Early Russian Campaign in the
Black Sea, in «The American Slavic and East European Review», 8 (1949), pp. 1-10, oltre a
Frank E. Wozniak, Byzantine Policy on the Black Sea or Russian Steppe in the Late 830’s, in
«Byzantine and Modern Greek Studies», 2 (1975), pp. 56-62.
48 Si narra che il patriarca Fozio il Grande (858-867/877-886) avesse bagnato il manto
della Madre di Dio conservato nella chiesa delle Blacherne nell’acqua del mare, il quale da
calmo che era divenne improvvisamente tempestoso, travolgendo le imbarcazioni russe: il
sermone di ringraziamento che venne composto in seguito rappresenta una testimonianza
contemporanea di grande valore (in Cyril Mango, The Homilies of Photius, Patriarch of
Constantinople. English Translation and Commentary, Cambridge (Mass.) 1958; Gibbon lo legge
320 Valerio Massimo Minale

Il secondo attacco sicuramente testimoniato (quello attribuito a Oleg


nel 907 non è infatti sicuro)49 risale al 941: questa volta l’imperatore
Romano I Lacapeno (919-944) dovette affrontare l’arrivo di un’immensa
flotta al comando del principe Igor, figlio di Rjurik, riuscendo a resistere
soltanto grazie all’arma segreta del fuoco greco50. La spedizione, preparata
di nascosto e attuata a sorpresa, sembrava avere come unico scopo il
saccheggio, ma è verosimile ipotizzare che il reale obiettivo fosse obbligare
l’impero bizantino ad accordare ai mercanti russi migliori clausole
commerciali (sembra tuttavia che le condizioni del trattato stipulato nel 944
a seguito di un secondo tentativo di assedio fossero meno favorevoli delle
precedenti)51.
Successivamente alla visita della principessa Olga, vedova di Igor, a
Costantinopoli nel 95752, i rapporti tra l’impero bizantino e la Rus’ vissero
una stagione abbastanza convulsa, intrecciati con importanti vicende di
politica estera53; Svjatoslav, impegnato anche a fronteggiare gli attacchi

in Photius, Epist., II, n. 35, p. 58, ed. Monteut); v. Aleksander A. Vasiliev, The Russian Attack
on Constantinople in 860, Cambridge (Mass.) 1946 e Arthur E. R. Boak, The earliest russian moves
against Constantinople, in «Queen’s Quarterly, a Canadian Review», 55 (1948), pp. 308-318.
49 I cronisti bizantini ignorano l’avvenimento, nel corso del quale l’imperatore Leone VI
Isaurico (886-912) di fronte alla devastazione dei sobborghi della capitale sarebbe stato
costretto a concludere una pace rinnovata in seguito nel 911; v. Henri Grégoire, La légende
d’Oleg et l’Expédition d’Igor, in «Bulletin de l’Académie Royale de Belgique», 23 (1937), pp. 80-
94; Georg Ostrogorsky, L’Expédition du Prince Oleg contre Constantinople en 907, in «Annales de
l’Institut Kondakov», 2 (1939), pp. 47-61; Reginald H. M. Dolley, Oleg’s mythical campaign
against Constantinople, in «Bulletin de l’Académie Royale de Belgique», 35 (1949), pp. 106-130
e infine Michajlo V. Lev enko, Russko-visantiskie dogovari 907 i 911 gg. (I trattati russo-bizantini
degli anni 907 e 911), in «Vizantijskij vremennik», 5 (1952), pp. 105-126.
50 Henri Grégoire, Paul Orgels, La guerre russo-byzantine de 941, in «Byzantion», 24 (1954),
pp. 145-156.
51 Georgij Vernadsky, The Rus’ in the Crimea and the Russo-Byzantine Treaty of 945, in
«Byzantina-Metabyzantina», 1 (1946), pp. 249-259.
52 L’evento viene descritto ancora da Costantino Porfirogenito (Cermoniale Aulae
Byzantinae, II, 15, pp. 343-345); v. Dimitri Obolensky, The Baptism of Princess Olga of Kiev: The
Problem of the Sources, in «Byzantina Sorbonensia», 4 (1985), pp. 159-176, e Omeljan Pritsak,
When and where was Ol’ga baptized?, in «Harvard Ukrainian Studies», 9 (1985), pp. 5-24.
53 All’epoca le regioni russe avevano già cominciato a ricevere importanti influenze
cristiane: è noto che il patriarca Fozio già nell’864 si compiaceva della conversione dei
Russi, presso i quali aveva inviato un vescovo greco con l’intento di organizzare la nascente
struttura ecclesiastica. Sembra che addirittura dall’867 la Russia venisse considerata una
diocesi (eparchìa) della chiesa bizantina e che un edificio religioso cristiano, la chiesa di
Sant’Elia, avesse sede a Kiev sotto il regno di Igor; infine ricordiamo che la principessa
Olga, quando venne ricevuta a Bisanzio, aveva ormai ricevuto il battesimo (non venne
battezzata infatti da Polieucte, allora non ancora patriarca, come si legge erroneamente nelle
cronache), ma venne anzi accompagnata nel viaggio dal proprio cappellano personale.
Gibbon e la Rus’… 321

ripetuti dei Cumani (Peceneghi)54, appoggiò infatti Niceforo II Foca (963-


969) nella guerra che questi condusse contro il popolo bulgaro tra il 967 e
il 970: quando l’imperatore venne assassinato egli, impadronitosi della
stessa Bulgaria, marciò sulla capitale, costringendo il nuovo sovrano
Giovanni I Zimisce (969-976) ad intraprendere contro di lui una feroce
campagna che si concluse nel 971 con la disfatta totale delle forze russe55.
L’ultima spedizione avvenne nel 1043, durante il regno di Costantino
IX Monomaco (1042-1054), quando Costantinopoli venne ancora attaccata
da una flotta comandata da un figlio di Jaroslav il Saggio, Vladimir, il quale
forse su consiglio paterno sperava nella scrittura di un ulteriore trattato
commerciale, forse meno mortificante del precedente56: i Russi vennero
sconfitti per l’ultima volta e nel 1046 venne concluso un accordo di pace
definitivo.
Ma nel frattempo quello che deve essere considerato come
l’avvenimento più significativo della storia russa antica aveva ormai dato i
propri frutti; a seguito di vicende piuttosto complicate da ricostruire 57,
54 Sui rapporti sempre bellicosi tra Russi e popolazioni nomadi della steppa rinviamo a
Lev N. Gumilev, Drevnaja Rus’ i velikaja step’, Moskva, 1989, e Jonathan Shepard, The Russian
Steppe-Frontier and the Black Sea Zone, in «Archeion Ponton», 35 (1979), pp. 218-237.
55 Anche in questo caso, come per la descrizione delle popolazioni bulgara e ungara,
Gibbon ha attinto a piene mani alla trattatistica militare bizantina, soprattutto per le nozioni
che riguardano le tecniche di guerra della cavalleria pesante (kataphraktoi) (v. Warren
Treagold, Byzantium and its Army. 284-1081, Stanford, 1995 -trad. it. Bisanzio e il suo esercito.
284-1081, Gorizia, 2007-); v. Dragutin Anastasijevi , La Chronologie de la Guerre russe de
Tzimisces, in «Byzantion», 6 (1931), pp. 336-342; Franz Dölger, Die Chronologie des grossen
Feldzuges des Kaisers Johannes Tzimiskes gegen die Russen, in «Byzantinische Zeitschrift», 32
(1932), pp. 275-292; Carl Göllner, Les expeditions byzantines contre les Russes sous Jean Tzimisces
(970-971), in «Revue historique du sud-est européen», 13 (1936), pp. 342-358; Henri
Gregoire, La dernière campagne de Jean Tzimiskes contre les Russes, in «Byzantion», 12 (1937), pp.
267-276; inoltre più recentemente Andrej N. Sakharov, Russko-visantijnskij dogovor 971 g., in
«Ukrainski Istoriceskij Journal», 10 (1982), pp. 53-66 e Hieronim Grala, Rola Rusi w wojnach
bizantynsko-bulgarskich przelomu XII i XIII w., in «Balcanica Posnaniensia», 2 (1985), pp. 125-
132.
56 Georgij Vernadsky, The Russo-Byzantine War of 1043, in «Byzantinische Neugriechische
Jahrbücher», 18 (1945-1949), pp. 123-143 (anche in «Südost-Forschungen», 12, 1953, pp.
47-67); Andrzej Poppe, La dernière expédition russe contre Constantinople, in «Byzantinoslavica»,
32 (1971), pp. 1-29 e pp. 233-268; Jonathan Shepard, Why did the Russian attack Byzantium in
1043?, in «Byzantinische Neugriechische Jahrbücher», 22 (1977/1984), pp. 147-212; inoltre
Gennadij G. Litavrin, Voina Rusii protiv Visantii v 1043 g., in Issledovaniia pa istori slavianski i
balkanski narodov, Moskva, 1972, pp. 178-22; sulle vicende successive invece Aleksander P.
Ka dan, Once more about the “alleged” Russo-Byzantine treaty (ca. 1047) and the Pecheneg crossing of
the Danube, in «Jahrbuch der österreichischen Byzantinistik», 26 (1977), pp. 65-77.
57 Sulla cristianizzazione della Rus’, senza pretesa di completezza, v. Andrzej Poppe, The
Political Background to the Baptism of Rus’. Byzantine-Russian Relations between 986-989, in
«Dumbarton Oaks Papers», 30, 1976, pp. 197-244, oltre a The Rise of Christian Russia,
322 Valerio Massimo Minale

Basilio II aveva concesso in sposa la propria sorella Anna Porfirogenita a


Vladimir il Santo (980-1015), dietro il suo impegno solenne a convertirsi
alla religione cristiana58: il battesimo del principe russo e dell’intero suo
popolo, ricevuto probabilmente nel 988, si rivelò una grande conquista
della diplomazia bizantina59 e un splendido risultato per la spinta
missionaria della chiesa ortodossa60.

London 1982; v. anche Vladimir Vodoff, Naissance de la chrétienté russe: la conversion du prince
Vladimir de Kiev (988) et ses conséquences (Xe-XIIIe siècles), Paris 1988.
58 L’importanza e il prestigio di questa unione sarebbero stati molto celebrati nel cultura
russa, costituendo il titolo principale del legame con la tradizione imperiale bizantina: Anna
infatti, oltre ad essere sorella anche di Costantino VIII, era figlia di Teofano, vedova di
Niceforo Foca, e Romano II, a sua volta figlio di Costantino VII Porfirogenito; parlando
delle politiche matrimoniali degli imperatori bizantini (sulla quale v. Aleksander P.
Ka dahn, Rus’-Byzantine Princely Mariages in the Eleventh and Twelth Centuries, in «Harvard
Ukrainian Studies», 12/13, 1988/1989, pp. 414-429 e Ruth J. Macrides, Dynastic Marriages
and Political Kinship, in Jonathan Shepard, Simon Franklin (eds), Byzantine Diplomacy,
Aldershot 1992, pp. 263-280, anche in Kinship and Justice in Byzantium. 11th-15th Centuries,
Aldershot 1999), Gibbon scrive: «In the nuptials of her sister Anne, every prejudice was lost, and every
consideration of dignity was superseded, by the stronger argument of necessity and fear. A Pagan of the
North, Wolodomir, great prince of Russia, aspired to a daughter of the Roman purple; and his claim was
enforced by the threats of war, the promise of conversion, and the offer of a powerful succour against a
domestic rebel. A victim of her religion and country, the Grecian princess was torn from the palace of her
fathers, and condemned to a savage reign, and a hopeless exile on the banks of the Borysthenes, or in the
neighbourhood of the Polar circle. Yet the marriage of Anne was fortunate and fruitful: the daughter of her
grandson Joroslaus was recommended by her Imperial descent; and the king of France, Henry I., sought a
wife on the last borders of Europe and Christendom.» [«Nel matrimonio della sorella Anna, la voce
imperiosa della necessità, o del timore, impose silenzio a tutti i pregiudizi e rimosse ogni
considerazione di dignità. Un idolatra settentrionale, Vladimiro, granduca di Russia, aspirava
alla mano di una figlia dell’imperatore e corroborò la sua richiesta con minacce di guerra,
con promesse di conversione e con l’offerta di potenti aiuti contro un ribelle. La principessa
greca, vittima della sua religione e della sua patria, fu strappata dal palazzo dei suoi avi e
condannata a un regno selvaggio, a un esilio senza speranza di ritorno sulle rive del
Boristene, o nei pressi del circolo polare. Tuttavia, il matrimonio di Anna fu felice e
fecondo: la figlia di suo nipote Jaroslav, per la sua discendenza imperiale sposò un re di
Francia, Enrico I, che era andato a cercare una moglie ai confini dell’Europa e della
cristianità.»] (cap. 53, ed. ital.: III, p. 2216).
59 Hans-George Beck, Christliche Mission und politische Propaganda im byzantinischen Reich,
649-674, in La conversione al cristianesimo nell’Europa dell’Alto Medioevo (CISAM, 14), Spoleto
1967, pp. 649-674; Frantisek Dvornik, Byzantine missions among the Slavs: SS. Constantine-Cyril
and Methodius, New Brunswick (N. J.) 1970; Isrun Engelhardt, Mission und Politik in Byzanz,
München 1974; Christian Hannik, Die byzantinischen Missionen, in Knut Schäferdiek (hrsg.),
Kirchengeschichte als Missionsgeschichte, München 1978, II.1, pp. 279-359; Ivan Duj ev, Religiosi
come ambasciatori nell’Alto Medioevo. Contributo allo studio della spiritualità bizantino-slava, in
Bisanzio e l’Italia. Raccolta di studi in memoria di Agostino Pertusi, Milano 1982, pp. 42-55.
60 Dimitri Obolensky, The Principles and Methods of Bizantine Diplomacy, in Actes du XIIe
Congres International des Etudes Byzantines-Ochrid 1961, Beograd, 1963, I, pp. 45-61 e David A.
Miller, Byzantine Treaties and Treaty-Making: 500-1025 A.D., in «Byzantinoslavica», 32, 1971,
Gibbon e la Rus’… 323

Durante il regno di Jaroslav il Saggio (1019-1054), salito al potere al


termine di una guerra fratricida con Svjatopolk il Maledetto 61 e rimasto da
solo nel 1036 alla morte di Mstislav di Tmutorokan (che aveva regnato con
lui in una sorta di diarchia), la produzione artisitica62 e in generale lo
sviluppo della cultura, in connessione diretta con il consolidamento delle
influenze politiche provenienti dall’impero bizantino63, raggiunsero livelli
molto elevati64; Gibbon ne ha una nozione precisa e infatti chiude a questo
punto il suo capitolo: tuttavia tace su un aspetto fondamentale, quello
riguardante la sfera del diritto, mancando di spiegarne le ragioni.
La particolarità è degna di nota, non solo a causa della speciale
attenzione che di solito egli dedica all’analisi dei profili normativi e delle

pp. 56-76, ma soprattutto Jonathan Shepard, Simon Franklin (eds), Byzantine diplomacy: papers
from the twenty-fourth spring symposium of Byzantine studies. Cambridge – March 1990, Aldershot
1992, dove in particolare Simon Franklin, Diplomacy and Ideology: Byzantium and the Russian
church in the middle twelfth century, pp. 145-155.
61 L’epiteto deriva dal fatto di avere ordinato l’assassinio dei due fratelli Boris e Gleb,
canonizzati come martiri dalla chiesa russa nel 1071; v. Andrzej Poppe, La Naissance du culte
de Boris et Gleb, in «Cahiers de civilisation médiévale», 24 (1981), pp. 29-53, Gail Lenhoff,
The martyred princes Boris and Gleb: a socio-cultural study of the cult and the texts, Columbus 1989 e
Boris A. Uspenskij, Boris i Gleb: vosprijatie istorii v Drevnej Rusi, Moskva 2000.
62 Per tutti v. Viktor N. Lazarev, Visantiiskoe i drevnerusskoe iskusstvo, Moskva 1978.
63 Per esempio v. Dimitri Obolensky, Russia’s Byzantine Heritage, in «Oxford Slavonic
Papers», 1 (1950), pp. 37-63 (anche in Byzantium and the Slavs, London 1971).
64 Sub anno 1037 (6546) – «[…] E sotto il suo regno cominciò la fede cristiana a
raccogliere frutti e a propagarsi, e i monaci presero ad aumentare e i monasteri
cominciarono a sorgere. E Jaroslav amò gli ordini ecclesiastici, amava molto i religiosi,
soprattutto i monaci, e si applicava alla lettura dei libri, leggendoli spesso notte e giorno. E
radunò molti scrivani: i quali trascrissero dal greco nella scrittura slava. E scrissero molti
libri, li studiarono. Gli uomini devoti godranno dell’insegnamento divino. Giacchè se l’uno
arerà la terra, l’altro seminerà, gli altri raccoglieranno e avranno cibo in abbondanza; così
avvenne anche allora. Il padre di Volodimir arò la terra e la rese fertile, cioè rischiarata dal
battesimo. Costui seminò con le parole dei libri i cuori dei devoti; e noi mietiamo, dopo
avere ricevuto l’insegnamento dei libri. Grande è l’utilità dell’insegnamento dei libri; poiché
dai libri ci sono indicati ed insegnati i cammini della penitenza, e nelle parole dei libri
troviamo la saggezza e la temperanza. Essi sono simili a fiumi che abbeverano l’universo,
fonti di saggezza; sono, quindi, di una profondità incommensurabile; con essi nel dolore ci
confortiamo; essi sono freni nella temperanza. […] Jaroslav, come abbiamo detto, amava i
libri, e dopo averne scritti molti li ordinò nella chiesa di Santa Sofia, che egli stesso aveva
costruito. […] Ed altre chiese fondò nelle città e nei villaggi, nominado preti e dando loro
dal suo avere lo stipendio, ordinando ad essi di istruire gli uomini, come era stato prescritto
da Dio, e di andare spesso in chiesa. E aumentarono i preti, e gli uomini cristiani. Godeva
Jaroslav nel constatare la grande quantità di chiese e di uomini cristiani, mentre il nemico [il
diavolo] si affliggeva, vinto dai nuovi uomini cristiani.»]. (ed. ital.: III, pp. 87-88).
324 Valerio Massimo Minale

strutture istituzionali delle società che descrive65, ma anche perché proprio


questo periodo appare nella storia giuridica russa66 come assolutamente
centrale per quanto concerne la produzione legislativa: il diritto
consuetudinario infatti venne cristallizzato definitivamente nella
compilazione della Russkaja Pravda67, monumento giuridico che sanciva il
passaggio dal sistema della composizione individuale delle controversie alla
struttura statale dell’amministrazione della giustizia, attraverso la figura del
giudice in posizione di indipendenza rispetto alle parti antagoniste68; inoltre
non possiamo ignorare che proprio lo sviluppo di un ambiente
ecclesiastico di origine greca69 e composto quindi da soggetti dotati di una
buona istruzione aveva condotto alla necessità di codificare nello scritto
costumi tramandati da sempre oralmente70, dopo averli progressivamente
trasformati secondo matrici cristiane 71.

65 The laws of a nation form the most instructive portion of its history. [«Le leggi di una nazione
formano la parte più istruttiva della sua storia.»] (cap. 44, ed. ital.: III, p. 1662).
66 Per riferimenti v. Ivan V. Petrov, Gosudarstvo i prava drevnei Rusi, Sankt Peterburg,
2003.
67 Rinviamo semplicemente a Günther Baranowski, Die “Russkaja Pravda”: ein
mittelalterliche Rechtsdenkmal, Frankfurt am Main 2005.
68 Sul tema v. Daniel H. Kaiser, The Growth of the Law in the Medieval Russia, Princeton
1980, pp. 15-16, ma anche Modernization in Old Russian Law, in «The Russian History», 6
(1979), pp. 230-242 e Reconsidering Crime and Punishment in Kievan Rus’, in «The Russian
History», 7 (1980), pp. 282-293. Esemplare in questo senso il caso dell’omicidio: l’ampio
spazio che per lungo tempo era stato lasciato al diritto della vendetta familiare (fondato sul
principio della responsabilità penale comune) e che si realizzava con l’esclusione dalla
comunità del colpevole, denominato vrag, venne annullato; tuttavia il c.d. «prezzo del
sangue» (dikaia vira, che richiama il parallelo termine germanico di wergeld) non veniva più
prelevato dal corpo della persona, secondo la primitiva legge del taglione, ma corrispondeva
ad una somma di danaro, calcolata in grivne, unità di misura monetaria.
69 I rapporti ecclesiatici tra l’impero bizantino e la Rus’ furono inizialmente
caratterizzati dalla sottoposizione gerarchica degli organi della chiesa russa al patriarcato
costantinopolitano; v. Edward Winter, Die Christianisierung des Rus’ in der Diplomatic des
Papsttum und Byzanz, in «Berliner Byzantinische Arbeiten», 5 (1957), pp. 147-157 e Dimitri
Obolensky, Le patriarcat byzantin et les metropolites de Kiev. Atti del VIII Congresso internazionale di
Studi Bizantini – 1951, 1953, I, pp. 32-41, oltre a Andrzej Poppe, The Original Status of the Old-
Russian Church, in «Acta Poloniae Historica», 39 (1979), pp. 7-45 (anche in The Rise of the
Christian Russia, London, 1982); v. anche Karl Rose, Byzanz und die Autonomiebestrebungen der
russische Kirche in der Zeit vom 10. bis 15. Jahrhundert, in Johannes Irmscher (hrsg.), Byzantinische
Beitrage, Berlin, 1964, pp. 291-322.
70
Simon Franklin, Writing, Society and Culture in Early Rus’. C. 959-1300, Cambridge
2002.
71 Per la storia della chiesa russa nel periodo kievano rinviamo, in via assolutamente
indicativa, ad Albert M. Amman, Storia della Chiesa russa e dei paesi limitrofi, Torino 1947 (del
quale si veda anche Kirchen-politische Wandlungen im Ostbaltikum bis zum Tode Alexander
Newskis. Studien zum werden der Russischen Ortodoxie, Roma 1936) dove abbondanti riferimenti
Gibbon e la Rus’… 325

Gibbon invece sembra ignorare il testo della Russkaja Pravda e le


informazioni in essa contenute72, nonostante fosse stata ormai pubblicata
in Russia73, ma soprattutto risultasse ampiamente nota all’autore che per lui
rappresentava la fonte principale da cui attingere informazioni su quella
terra lontana: Pierre-Charles Levesque (1736-1812)74. Questi, all’opera del
quale egli dovette affidarsi non conoscendo la lingua russa75, scrisse una
celebre Histoire de Russie76, dove vengono riportati ampi tratti della Cronaca

bibliografici, oltre a John L. I. Fannell, A History of the Russian Church to 1448, London, New
York 1995 e Igor Smolitsch, Geschichte der russischen Kirche, Berlin 1991; ancora, per i rapporti
con il mondo religioso bizantino, Stanislas W. Swierkosz-Lenart (a cura di), Le origini e lo
sviluppo della cristianità slavo-bizantina, Roma 1992. Diamo per scontati i tradizionali riferimenti
a Metropolit Makary Bulgakov, Istorija russkoi tserkvi (12 tomi), Sankt Peterburg, 1866;
Evgenij E. Golubinskij, Istorija russkoj cerkvij (2 voll.), Moskva, 1901; Anton. V. Kartašev,
Ocherki po istorii russkoi tserkvi (2 voll.), Paris, 1959.
72 Lev V. erepnin, Obš estvenno-politi eskie otnošenija v Drevnej Rusi i Russkaja Pravda, in
Anatolij P. Novosel’cev, Vladimir T. Pašuto, Lev V. erepnin, Vladimir P. Šusarin, Jaroslav
N. Š apov (izd.), Drevnerusskoe gosudarstva i ego me dnunarodnoe zna enie, Moskva 1965, pp.
128-278.
73 La legge è conosciuta in tre versioni differenti: la Kratkaja pravda (breve), la
Prostrannaja pravda (lunga), la Sokraš ennaja pravda (ridotta); la prima venne scoperta per caso
in un manoscritto della Prima Cronaca di Novgorod (Novgorodskaja Pervaja Letopis’) da Vasilij
N. Tatiš ev nel 1738, mentre la seconda alcuni decenni dopo da Nikolaj M. Karamzin;
entrambe vennero subito edite: August Šlecer (Schlözer), Pravda Russkaja, dannaja v
odinnacatom veke ot velikich knjazej Jaroslava Vladimirovi a i syna ego Izjaslava Jaroslavi a, Sankt
Peterburg, 1767 e Ivan N. Boltin, Pravda Russkaja ili zakony velikich knjazej Jaroslava
Vladimirovi a i Vladimira Vsevolodovi a Monomakha, Sankt Peterburg 1792.
74 Egli, illuminista, durante gli anni trascorsi a San Pietroburgo come direttore del
Corpo dei Cadetti (dove era stato nominato su interessamento di Diderot, all’epoca intimo
dell’imperatrice Caterina II), imparò a conoscere molto a fondo la realtà russa, prendendo
anche un’ottima confidenza con le fonti documentali (v. Catalogue raisonné des principeaux
ouvrages qui ont servi à la composition de l’Histoir de Russie, in Histoire de Russie, I, 1782, pp. XIV-
XXXII): tornato in Francia, divenne membro dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres e
professore al Collège de France, visse gli anni della Rivoluzione Francese, del Direttorio e
infine dell’impero napoleonico; relativamente alla storia russa, ebbe in Nicolas Gabriel
Clerc, dit Le Clerc (1726-1798), autore di una Histoire physique, morale, civile et politique de la
Russie moderne (Paris, 1783), un acerrimo rivale; v. André Mazon, Pierre-Charles Levesque
umaniste, historien at moraliste, in «Revue des Études slaves», 42 (1963), pp. 7-66 e ultimamente
Vladimir A. Somov, Pierre-Charles Levesque. Protégé de Diderot et historien de la Russie, in «Cahiers
du monde russe», 43 (2002), pp. 275-294.
75 Sono spesso utilizzati anche i classici riferimenti di Sigismund von Herberstein (1486-
1668) (Rerum Moscovitarum Commentarii, Vindobonae 1549) e William Coxe (1747-1828)
(Travels into Poland, Russia, Sweden and Denmark, London 1784).
76 Paris, 1782 (ma 1781); (rist. 1783, 1800, 1812); egli inoltre ha lasciato una bella
Histoire des différents peuples soumis à la domination des Russes, suite à l’histoire de Russie (Paris 1783).
La prima traduzione italiana avvenne nel 1784 a Venezia in 6 volumi e in seguito negli anni
326 Valerio Massimo Minale

dei tempi antichi e dove si parla anche della codificazione arcaica77: inoltre, a
testimonianza di quanto valore l’argomento rivestisse nei suoi progetti di
ricerca, venne da lui addirittura compilato un lavoro a riguardo, che
tuttavia rimase sconosciuto nell’ambiente europeo78.
Anche la vicinanza esistente e riconosciuta in maniera intuitiva tra
diffusione del cristianesimo bizantino e definizione del sistema
ecclesiastico russo79, situato alle dipendenze delle strutture di potere
imposte dal principe e dalla sua cerchia, non viene considerata in relazione
ad una visuale che realizzi ipotesi concernenti la nascita e lo sviluppo del
diritto; semplicemente, l’argomento non suscita interesse e quindi non
viene considerato per la sua portata intrinseca, mentre tutta l’attenzione è
concentrata sull’avvento della fede cristiana, senza lasciare spazio a
considerazioni ulteriori80.
Bisogna ammettere che la Cronaca dei tempi passati, escluse ovviamente le
sezioni che riguardano i trattati tra la Rus’ e l’impero bizantino (delle quali
comunque non viene mai fatto cenno), è priva di riferimenti giuridici81, se

1825-1826 a Milano in 3 volumi (Storia di Russia del Levesque volgarizzata, trad. Nicolò
Bettoni) e nel 1830 a Torino in 5 tomi.
77
Histoire de Russie, ed. 1782, I, pp. 195-198.
78 Il lavoro, pubblicato in Russia a San Pietroburgo nel 1792, venne «rejetté
definitivement» il 25 maggio 1804 (Lu le 5 prairial an XII) dalla stessa Accadémie des
Inscriptions et Belles-Lettres per banali questioni editoriali legate all’utilizzo dei caratteri cirillici;
Sigismund N. Valk, Un mémoire de Pierre-Charles Levesque sur la Russkaja Pravda e André
Mazon, Michel Laran, Pierre-Charles Levesque: Mémoire sur la Pravda Russkaja, entrambi in
«Revue des études slaves», 41 (1962), pp. 7-25 e pp. 27-59. Sulle edizioni a stampa della
Russkaja Pravda comunque rinviamo a Sigismund N. Valk, Russkaja Pravda v izdanijach i
izu enijach XVIII-na ala XIX vv., in Archeografi eski j E egodnik za 1958, Moskva 1960, pp.
194-255.
79 Jaroslav N. Š apov, Gosudarstvo i cerkov Drevnej Rusi 10.-13. vv., Moskva 1989.
80 Gibbon non accenna neppure all’opera di Ilarione di Kiev, primo metropolita russo
(1051-1055), autore di uno scritto fondamentale, il c.d. Sermone sulla Legge e sulla Grazia
(Slovo o Zakonu i Blagodati), dove assieme a motivi paolini dettati da intenti antibizantini,
vengono espresse diverse idee sul valore anche della norma giuridica; v. Ludolf Müller
(hrsg.), Das Metropoliten Ilarion Lobrede auf Vladimir den Heiligen und Glaubensbekenntnis nach der
Erstausgabe von 1884, Wiesbaden 1962 e Die Werke des Metropoliten Ilarion, München, 1971; v.
ancora per riferimenti Simon Franklin, Sermons and Rethorik of Kievan Rus’, Cambridge (Mass.)
1991.
81 Anche nel c.d. testamento spirituale di Vladimir Monomakh (Pou en’e,
insegnamento), inserito nella cronaca (ed. ital.: pp. 132-145), come in quello di Jaroslav (sub
anno 1054-6562:: «Ecco, io lascio questo mondo, figliuoli miei; amatevi, giacchè voi siete
fratelli [nati] da uno stesso padre e da una stessa madre. Se voi vi amerete reciprocamente,
Dio sarà con voi, e assoggetterà a voi i vostri avversari. E vivrete in pace. Ma se vivrete
nell’odio, nei dissensi e nella discordia, allora voi stessi perirete, e perderete la terra dei
vostri padri e dei vostri avi, [la terra] che essi conquistarono con grande fatica; ma vivete in
pace, ubbidisca il fratello al fratello.» (ed. ital.: p. 92), sono assolutamente assenti richiami
Gibbon e la Rus’… 327

non in due luoghi molto generici, quasi sicuramente interpolazioni


successive alla stesura originale, nei quali da una parte vengono fatte alcune
importanti considerazioni sugli usi delle diverse popolazioni slave che
abitavano le terre russe prima della supposta «discesa variaga»82, seguite da
un lungo passo tratto dalla cronaca di Giorgio Monaco detto Amartolo 83,
dall’altra viene riportato un insegnamento salomonico sul rapporto tra
sapienza e giustizia84.
D’altronde dobbiamo osservare che nell’intero capitolo, anche per
quanto concerne i Bulgari e gli Ungari, i riferimenti ai profili giuridici delle
loro culture sono sorprendentemente scarsi; ignoriamo il motivo di questo
atteggiamento, assunto forse per ragioni di spazio, forse per mancanza di
fonti, forse per disinteresse: la circostanza, però, che Gibbon faccia
altrettanto anche scrivendo della società russa antica è davvero difficile da
comprendere, poiché in questo caso specifico egli aveva dimostrato di
avere rispettivamente sia spazio85 che fonti86 che interesse87.

diretti alla sfera giuridica. L’unico istituto che continuamente si trova è quello del
giuramento, attraverso il rito del bacio della croce, effettuato soprattutto per comporre le
discordie familiari.
82
«Avevano usi propri, e la legge dei loro padri e le tradizioni, e ciascuno [aveva] il
proprio costume.» (ed. ital.: p. 8); vengono quindi descritte le abitudini di vita prima dei
Poliani, abbastanza progrediti, e poi dei Drevliani da una parte e dei Radimi i, Vjati i e
Severiani dall’altra, rozzi come bestie.
83 All’inizio e alla fine di un lunga digressione sulle abitudini di vita di diversi popoli
stranieri, reali o leggendari, viene scritto: ‹‹Imperocchè ogni popolo abbia o una legge
scritta, oppure un’usanza che, coloro che non conoscono la legge, accolgano come
tradizione paterna.›› (ed. ital.: p. 9) e «Noi cristiani, di ogni terra, che crediamo nella Santa
Trinità, e in un unico battesimo, e in un’unica fede, un’unica legge abbiamo, in quanto in
Cristo siamo stati battezzati e di Cristo siamo rivestiti.» (ed. ital.: p. 10).
84
«Giacchè la saggezza è grande, così Salomone, lodando aveva detto: ‹‹Io Sapienza,
risiedo nel consiglio e nei colti pensieri mi ritrovo; il timor di Dio odia il male […] Mio è il
consiglio e l’equità, mia la prudenza, mia la fortezza. Per me regnano i re e i legislatori
decretano il giusto; per me i principi dominano, i magistrati regolano la giustizia. Io amo chi
mi ama, e coloro che si fan premura di cercarmi mi troveranno.›› (ed. ital.: p. 87).
85 Il terzo paragrafo (Russi) supera abbondantemente in lunghezza i primi due (Bulgari
e Ungari).
86
Basta una rapida lettura alle note a piede di pagina per accorgersi che il materiale
escerpito non era affatto scarso: oltrettutto l’Histoire de Russie di Levesque è una miniera
quasi inesauribile di notizie.
87 Programmando il lavoro degli ultimi libri Gibbon scrive: «A single chapter will include,
III. The Bulgarians, IV. Hungarians, and, V. Russians, who assaulted by sea or by land the provinces
and the capital; but the last of these, so important in their present greatness, will excite some curiosity in
their origin and infancy.» [«Un solo capitolo comprenderà, 3) i Bulgari, 4) gli Ungheresi e 5) i
Russi, i quali per mare o per terra assalirono le province e la capitale, ma una certa curiosità
potranno eccitare l’origine e l’infanzia di quest’ultimo popolo, oggi così importante per la
sua grandezza.»] (cap. 48, ed. ital.: III, p. 1870).
328 Valerio Massimo Minale

Il problema deve avere allora una spiegazione di natura ideologica, e per


tentare di rispondere al quesito dobbiamo ragionare sulla filosofia
gibboniana della storia88, compiendo alcuni sillogismi costruiti sugli intenti
stessi che stanno alla base della scelta di narrare proprio la decadenza e la
caduta definitiva dell’impero romano89.
Gibbon, come noto, crede nel valore universale della civiltà romana: nel
momento in cui tratteggia lo sviluppo storico del diritto romano90, rende
un tributo ad uno degli aspetti principali di questo mito 91; e anche quando
scrive dell’ordinamento germanico il rapporto con il sistema normativo e
giurisprudenziale romano è una costante che non può essere negata92; la

88 Peter Ghosh, Gibbon’s Timeless Verity, in D. Womersley (ed.), Gibbon: Bicentenary Essays,
Oxford, 1997, pp. 121-163, ma anche John G. A. Pocock, Gibbon’s Decline and Fall and the
World View of Late Enlightenment, in «Eighteenth Century Studies», 10 (1977), pp. 287-303.
89
Peter Ghosh, "Gibbon's Dark Ages”: Some Remarks on the Genesis of the Decline and Fall,
in «Journal of Roman Studies», 73 (1983), pp. 1–23 e Gibbon’s First Thoughts: Rome,
Christianity and the Essai su l’Étude de la Littérature 1758-61, in «Journal of Roman Studies», 85
(1995), pp. 148-164; sul turbine di visioni storiche che il tema quasi naturalmente suscita
rinviamo a Santo Mazzarino, La fine del mondo antico, Milano 1959.
90 È ampiamente noto come nel capitolo quarantaquattresimo egli renda un sicuro
tributo alla civiltà romana tracciando un conciso profilo della storia del diritto, che viene
posto alla base di ogni ordinamento europeo: «[…] the public reason of the Romans has been
silently or studiously transfused into the domestic institutions of Europe, and the laws of Justinian still
command the respect or obedience of independent nations. » [ … La ragion di stato dei Romani è stata
trasfusa, tacitamente o volutamente, nelle costituzioni dei paesi di Europa e le leggi di
Giustiniano s’impongono tuttora al rispetto, o all’obbedienza di nazioni indipendenti.»] (ed.
ital.: II, p. 1661); v. Micheal H. Hoeflich, Edward Gibbon, Roman Lawyer, in «The American
Journal of Comparative Law», 39 (1991), pp. 803-818; ricordiamo inoltre Gustav Hugo,
Edward Gibbon’s historische Übersicht des römischen Rechts, Göttingen, 1789 (a proposito del quale
Joachim Rückert, Rezension zu E. Gibbon, Historische Übersicht des römischen Rechts, übersetzt,
eingeleitet und kommentiert von G. Hugo, mit einem Vorwort und einer Würdigung G. Hugos neu
herausgegeben von O. Behrends, Göttingen 1996, in «Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis», 69,
2001, pp. 174-179). Tuttavia egli mostra un notevole interesse anche riguardo le leggi dei
barbari, nel capitolo trentottesimo (cap. 44, ed. ital.: II, pp. 1382-1392): «The sudest, or the
most servile, condition of human society is regulated by some fixed and general rules.» [«Anche la più
rozza e servile condizione della società umana è governata da regole fisse e generali.»] (cap.
44, ed. ital.: II, p. 1382); la sua fonte è costituita dal giurista Johann Gottlieb Heinecke,
detto Eineccio (Historia iuris Romani et Germanici, 1740; Sintagma antiquitatum Romanum
iurisprudentiam illustrantium, Elementa iuris civilis secundum ordinem Institutionum, 1751; Elementa
iuris civilis secundum ordinem Pandectarum, 1772).
91 Michel Baridon, Edward Gibbon et le mythe de Rome, Paris, 1975, ma anche David P.
Jordan, Gibbon and His Roman Empire, Urbana 1971; v. inoltre John Robertson, Gibbon’s
Roman Empire as a Universal Monarchy: the Decline and Fall and the Imperial Idea in Early Modern
Europe, in Rosamond McKitterick, Roland Quinault (eds), Edward Gibbon and Empire,
Cambridge 1997, pp. 247-270.
92
«Thus, by a singular coincidence, the Germans framed their artless institutions at a time when the
elaborate system of Roman jurisprudence was finally consummated. In the Salic laws, and the Pandects of
Gibbon e la Rus’… 329

storia bizantina rappresenta al contrario la degenerazione della storia


romana93, totalmente incapace di irradiare ancora la maestà di un passato
glorioso che ormai non gli appartiene più: in questo senso l’assenza della
riflessione sull’aspetto giuridico come formante sociale diventa simbolo
della tragedia di un lento quanto inesorabile declino, assumendo per
esempio una centralità rilevante nella comprensione del capitolo oggetto
della nostra analisi.
Di conseguenza, anche all’interno del procedere dei profondi legami tra
l’orizzonte romano-greco e la Rus’, la questione degli influssi esercitati dal
diritto bizantino su quello russo antico94 non viene nemmeno sfiorata: nel
fulgore di una grandiosa opera evangelizzatrice95 (nonostante non si parli

Justinian, we may compare the first rudiments, and the full maturity, of civil wisdom; and whatever
prejudices may be suggested in favour of barbarism, our calmer reflections will ascribe to the Romans the
superior advantages, not only of science and reason, but of humanity and justice. Yet the laws of the
barbarians were adapted to their wants and desires, their occupations and their capacity; and they all
contributed to preserve the peace, and promote the improvements, of the society for whose use they were
originally established.» [«Così, per una singolare combinazione, i Germani formarono le loro
semplici istituzioni nel tempo in cui si conduceva all’ultima sua perfezione l’elaborato
sistema della legislazione romana. Possiamo confrontare nelle leggi saliche e nelle Pandette
di Giustiniano, i primi rudimenti e la piena maturità della sapienza giuridica, e per quanto
possiamo essere prevenuti in favore dei barbari, un più pacato esame darà ai Romani la
superiorità non solo della scienza e della ragione, ma anche dell’umanità e della giustizia.
Tuttavia, le leggi dei barbari erano adatte ai loro bisogni e desideri, alle loro occupazioni e
capacità, e tutte contribuivano a conservare la pace e a promuovere il miglioramento della
società per la quale in origine erano state fatte. »] (cap. 38, ed. ital.: II, p. 1383).
93 Walter E. Kaegi, Byzantium and the Decline of Rome, Princeton 1968.
94 Eppure ad un certo punto, parlando della pratica in voga per scegliere la sposa
dell’imperatore di invitare alla reggia da ogni contrada bizantina le più belle fanciulle, usanza
conservata per lunghissimo tempo anche presso la corte russa, Gibbon afferma: «The
Russians, who have borrowed from the Greeks the greatest part of their civil and ecclesiastical policy,
preserved, till the last century, a singular institution in the marriage of the Czar.» [«I Russi, che hanno
preso dai Greci la maggior parte delle loro leggi civili ed ecclesiastiche, avevano conservato
fino al secolo scorso un’usanza singolare in occasione del matrimonio dello zar.»] (cap. 48,
ed. ital.: III, p. 1890). Sull’argomento, in particolare per quanto concerne l’aspetto dello
sviluppo del pensiero legislativo, rinviamo al nostro contributo L’influenza delle fonti normative
bizantine sul sistema giuridico della Rus’: appunti per un’impostazione storico-giuridica della questione, in
«Atti dell’Accademia Pontaniana», 56 (2007), pp. 341-379.
95 «The liberal piety of the Russian princes engaged in their service the most skilful of the Greeks, to
decorate the cities and instruct the inhabitants; the dome and the paintings of St. Sophia were rudely copied
in the churches of Kiow and Novogorod; the writings of the fathers were translated into the Sclavonic idiom;
and three hundred noble youths were invited or compelled to attend the lessons of the college of Jaroslaus. It
should appear that Russia might have derived an early and rapid improvement from her peculiar connection
with the church and state of Constantinople which in that age so justly despised the ignorance of the Latins.»
[«La generosa pietà dei principi russi chiamò i più abili Greci ad abbellire le città e
ammaestrarne gli abitanti. Nelle chiese di Kiev e di Novgorod vennero rozzamente copiati
la cupola e i dipinti di Santa Sofia, gli scritti dei Padri furono tradotti in lingua slava e
330 Valerio Massimo Minale

mai delle imprese di Costantino-Cirillo e Metodio…)96, è come se l’unico


dono del vecchio al nuovo mondo sia consistito soltanto nella fede
cristiana, tanto da trasmettere l’impressione che la romanità autentica,
definitivamente scomparsa dalla pars orientalis dell’impero, non potesse
essere fatta oggetto di legato, né tantomeno riuscissero ad essere
tramandati gli elementi che l’avevano composta, primo tra tutti quello del
diritto.
Del resto queste non sono nozioni estranee a chi pratica il concetto
gibboniano della storia bizantina97, che secondo le linee interpretative
elaborate dalla generalità del pensiero politico illuministico non era altro
che la materializzazione nella realtà di un perfetto sistema di dispotismo

trecento giovani nobili invitati, o costretti, a frequentare le lezioni della scuola di Jaroslav.
Parrebbe che la Russia abbia tratto per tempo un rapido miglioramento dai suoi particolari
rapporti con la chiesa e lo stato di Costantinopoli, che in quei tempi, e non a torto,
disprezzava l’ignoranza dei Latini.»] (cap. 55, ed. ital.: III, pp. 2278).
96 Per ulteriori approfondimenti v. Antony-Emil N. Tachiaos, Cyril and Methodius of
Thessalonica. The Acculturation of the Slavs, New York 2001 (trad. ital. Cirillo e Metodio. Le radici
della cultura slava, Milano, 2005), oltre a Christianity Among the Slavs: The Heritage of saints Cyril
and Methodius. Acts of the International Congress in Rome, 8-11 October 1985, Roma 1988 e The
Legacy of Saints Cyril and Methodius to Kiev and Moscow, Thessaloniki 1992.
97 «Should I persevere in the same course, should I observe the same measure, a prolix and slender
thread would be spun through many a volume, nor would the patient reader find an adequate reward of
instruction or amusement. At every step, as we sink deeper in the decline and fall of the Eastern empire, the
annals of each succeeding reign would impose a more ungrateful and melancholy task. These annals must
continue to repeat a tedious and uniform tale of weakness and misery; the natural connection of causes and
events would be broken by frequent and hasty transitions, and a minute accumulation of circumstances must
destroy the light and effect of those general pictures which compose the use and ornament of a remote history.»
[«Procedendo nella narrazione della decadenza e caduta dell’impero romano d’Oriente, gli
annali di ogni regno imporrebbero un compito a ogni passo sempre più triste e ingrato.
Questi annali non fanno che ripetere la stessa cosa monotona e uniforme di debolezza e
miseria; la naturale connessione tra cause ed effetti verrebbe interrotta da frequenti e
affrettate digressioni e una massa di minuti particolari distruggerebbe la luce e l’effetto di
quel quadro generale, che forma il pregio e l’ornamento della storia antica.»] (cap. 48, ed.
ital.: III, p. 1867). «But the subjects of the Byzantine empire, who assume and dishonour the names both
of Greeks and Romans, present a dead uniformity of abject vices, which are neither softened by the weakness
of humanity, nor animated by the vigour of memorable crimes.» [«Ma i sudditi dell’impero bizantino,
che prendevano e disonoravano il nome di Greci e di Romani, offrono una monotona
uniformità di vizi abbietti, che non sono attenuati dalla debolezza umana, né animati dal
vigore di delitti memorabili.»] (cap. 48, ed. ital.: III, p. 1868). È inutile ribadire quanto
questo approccio alla storia bizantina risenta di un pregiudizio; pertanto si può condividere
il giudizio di Georg Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino 1968, p. 6 (orig. Geschichte
des byzantinischen Staates, München 1963-): «Dilungarsi oggi per dimostrare l’insostenibilità
dell’interpretazione storiografica […] di Gibbon, sarebbe sfondare una porta aperta».
Gibbon e la Rus’… 331

orientale98. L’Occidente e l’Oriente appartengono infatti a due segmenti


destinati a tracciare le proprie traiettorie verso mete tanto diverse da
apparire in definitiva antitetiche 99; mentre l’uno riuscirà a beneficiare del
progresso delle idee aprendosi alla libertà delle coscienze; l’altro, invece,
rimarrà prigioniero di logiche primitive, condannato ad un sistema
assolutistico dove non esistono cittadini, ma solamente sudditi100.

98 Franco Venturi, Dispotismo orientale, in «Rivista Storica Italiana», 72 (1959), pp. 117-
126 (rec. a Richard Koebner, Despot and Despotism: Vicissitudes of a Political Term, in «Journal
of the Warburg and Courtauld Institutes», 14, 1951, pp. 275-302), ma anche recentemente
Domenico Felice (a cura di), Dispotismo: genesi e sviluppi di un concetto filosofico-politico, Napoli
2001-2002.
99
«But the Byzantine nation was servile, solitary, and verging to an hasty decline; after the fall of
Kiow, the navigation of the Borysthenes was forgotten; the great princes of Wolodomir and Moscow were
separated from the sea and Christendom; and the divided monarchy was oppressed by the ignominy and
blindness of Tartar servitude.» [«Ma il popolo bizantino era schiavo, isolato e in rapido declino.
Dopo la caduta di Kiev, la navigazione del Boristene fu dimenticata, i granduchi di Vladimir
e di Mosca si trovarono separati dal mare e dalla cristianità, e quella monarchia divisa fu
oppressa dall’ignominia e dalla cecità del giogo tartaro.»] (cap. 55, ed. ital.: III p. 2278). «The
Sclavonic and Scandinavian kingdoms, which had been converted by the Latin missionaries, were exposed, it
is true, to the spiritual jurisdiction and temporal claims of the popes; but they were united, in language and
religious worship, with each other, and with Rome; they imbibed the free and generous spirit of the European
republic, and gradually shared the light of knowledge which arose on the Western world.» [«I regni slavi e
scandinavi, convertiti dai missionari latini, fuorno bensì esposti alla giurisdizione spirituale e
alle pretese temporali dei papi, ma essendo uniti per lingua e religione tra loro e con Roma,
assimilarono il libero e nobile spirito della repubblica europea e gradatamente parteciparono
della luce del sapere che illuminò il mondo occidentale.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2278).
Concetti analoghi vengono espressi in maniera incidentale, ma significativa a proposito della
repubblica mercantile di Novgorod Viliki: «Novogorod had not yet deserved the epithet of great, nor
the alliance of the Hanseatic league, which diffused the streams of opulence and the principles of freedom. »
[«Novgorod non aveva ancora meritato l’epiteto di grande, né l’alleanza della lega anseatica
che diffuse le ricchezze e i principi della libertà.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2267) (v. per
esempio Thomas S. Noonan, Medieval Russia, the Mongols, and the West: Novgorod’s Relations
with the Baltic, in «Medieval Studies», 37, 1975, pp. 316-339).
100 Parlando di ipotetici barbari (che sarebbero dovuti arrivare dalle immense lande
asiatiche e non dal settentrione germanico) Gibbon scrive: «If a savage conqueror should issue
from the deserts of Tartary, he must repeatedly vanquish the robust peasants of Russia, the numerous armies
of Germany, the gallant nobles of France, and the intrepid freemen of Britain; who, perhaps, might
confederate for their common defence. Should the victorious barbarians carry slavery and desolation as far as
the Atlantic Ocean, ten thousand vessels would transport beyond their pursuit the remains of civilised
society; and Europe would revive and flourish in the American world, which is already filled with her
colonies and institutions.» [«Se dai deserti della Tartaria uscisse un selvaggio conquistatore,
dovrebbe vincere rispettivamente i robusti contadini della Russia, i numerosi eserciti della
Germania, i valorosi nobili della Francia, gl’intrepidi uomini liberi dell’Inghilterra, i quali
tutti potrebbero anche allearsi per la comune salvezza. Quand’anche i barbari vittoriosi
portassero la schiavitù e la desolazione fino all’Oceano Atlantico, diecimila navi
trasporterebbero i resti della società civile fuori del loro potere e l’Europa risorgerebbe e
332 Valerio Massimo Minale

A questo punto, giunti al termine delle nostre scarne considerazioni,


siamo forse in grado di combinare i dati ricavati dalla lettura del testo, in
particolare tentando di ordinare in una connessione logica civilizzazione
romana, ortodossia bizantina e storia russa antica. Una volta attribuita al
diritto la funzione di denominatore comune, almeno di natura ideologia, a
queste tre realtà storiche, dobbiamo riflettere sul giudizio tutto sommato
positivo che Gibbon formula nell’epilogo del capitolo sul radicamento
della religione cristiana nelle regioni settentrionali e orientali del continente
europeo al tempo degli ultimi assalti di popolazioni straniere101.
Nonostante, a suo giudizio, la natura dell’esperienza storica bizantina
incarnasse il trionfo della religione cristiana nella sua declinazione orientale
(quanto di peggio avrebbe potuto presentarsi alla mente di un philosophe) —
quindi apparentemente in contrasto con la sua convinzione in base alla
quala la diffusione del messaggio evangelico e la conseguente affermazione
delle gerarchie ecclesiastiche 102 nei gangli dell’impero romano minarono le

fiorirebbe nell’America, che è già piena delle sue colonie e dei suoi ordinamenti.»] (cap. 38,
ed. ital.: II, p. 1420).
101 «In the ninth, tenth, and eleventh centuries of the Christian era, the reign of the gospel and of the
church was extended over Bulgaria, Hungary, Bohemia, Saxony, Denmark, Norway, Sweden, Poland, and
Russia. […] Yet truth and candour must acknowledge that the conversion of the North imparted many
temporal benefits both to the old and the new Christians. The rage of war, inherent to the human species,
could not be healed by the evangelic precepts of charity and peace; and the ambition of Catholic princes has
renewed in every age the calamities of hostile contention. But the admission of the Barbarians into the pale of
civil and ecclesiastical society delivered Europe from the depredations, by sea and land, of the Normans, the
Hungarians, and the Russians, who learned to spare their brethren and cultivate their possessions. The
establishment of law and order was promoted by the influence of the clergy; and the rudiments of art and
science were introduced into the savage countries of the globe.» [«Nei secoli IX, X e XI dell’era
cristiana, il regno del vangelo e della chiesa si estese alla Bulgaria, Ungheria, Boemia,
Sassonia, Danimarca, Norvegia, Svezia, Polonia e Russia. … Per la verità va però
obiettivamente riconosciuto, che la conversione del Settentrione apportò molti vantaggi
temporali agli antichi e ai nuovi cristiani. Se i precetti di carità e di pace del Vangelo non
poterono estinguere il furore della guerra, connaturata alla specie umana, e se l’ambizione
dei principi cattolici ne ha rinnovato in tutti i secoli la calamità, l’accoglimento dei barbari
nel seno della società civile ed ecclesiastica liberò l’Europa dalle depredazioni operate per
mare e per terra dai Normanni, dagli Ungheri e dai Russi, che appresero a rispettare i loro
simili e a coltivare le loro terre. L’influenza del clero promosse lo stabilimento della legge e
dell’ordine, e l’introduzione in quesi paesi selvaggi dei rudimenti delle arti e delle scienze.»]
(cap. 55, ed. ital.: III, pp. 2277-2278). Per riferimenti bibliografici rinviamo a Richard
Fletcher, The Conversion of Europe, London, 1997, ma anche Roberto S. Lopez, Naissance de
l’Europe, Paris 1962 (trad. it. La nascita dell’Europa. Secoli V- XIV, Torino 1966).
102 Gibbon, dopo una breve fase di avvicinamento al cattolicesimo, a causa del quale
venne inviato dal padre nella calvinista Losanna per un periodo di studio e di
«disinquinamento», rimase per tutta la vita di confessione protestante: questo ha senza
dubbio influito sulla sua visione del cammino del cristianesimo nella storia, salvifico
all’inizio, ma interpretato in maniera necessariamente negativa dalle diverse strutture
Gibbon e la Rus’… 333

fondamenta di un’esistenza millenaria impedendo di fronteggiare con


coraggio e speranza di vittoria la fiumana delle invasioni barbariche 103 —
l’assenza di civiltà caratteristica con ogni evidenza di Bulgari, Ungari e
anche Russi è posta a un grado se possibile ancora inferiore in una
ipotetica scala di valori; questa stessa vituperata religione, unica vera
ricchezza del mondo bizantino, diventa fonte di progresso umano e
culturale per le nuove popolazioni barbariche. Appare chiaro, allora, da una
parte, come il capitolo cinquantacinquesimo corrisponda ad un importante
punto di emersione di problematiche di capitale importanza presenti in
tutta l’opera gibboniana, dall’altra, in quale misura rilevante il fattore della
mancanza di una solida riflessione di carattere storico-giuridico pesi sulla
possibilità di una comprensione più approfonda della storia della Rus’.

ecclesiastiche nel trascorrere del tempo; v. in particolare David Womersley, Gibbon’s


Apostasy, in «British Journal for Eighteenth-Century Studies», 11 (1988), pp. 51-70 e Gibbon’s
Religious Characters, in Stefan Collini, Richard Whatmore, Brian Young (eds), History, Religion
and Culture: British Intellectual History. 1750-1950, Cambridge 2000, pp. 69-88, oltre a Paul
Turnbull, The Supposed Infidelity of Edward Gibbon, in «The Historical Journal», 5 (1982), pp.
23-41. In questo senso deve essere letta la storia ecclesiastica che egli traccia dell’ortodossia
bizantina nel capitolo quarantasettesimo (v. Deno J. Geanakoplos, Edward Gibbon and
Byzantine Ecclesiastical History, in «Church History», 35, 1966, pp. 170-185); sul cammino della
chiesa nell’impero romano v. Jean Gaudemet, L’Église dans l’empire romain (4.-5. siècles), Paris
1958, oltre a Arnaldo Momigliano (ed.), The Conflict between Paganism and Christianity in the
Fourth Century, Oxford, 1963 (trad. it. Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV,
Torino 1975).
103 Gibbon illustra la propria dottrina riguardante il cristianesimo soprattutto nei capitoli
quindicesimo e ventottesimo, mentre tra i capitoli trentottesimo e trentanovesimo si
abbandona ad alcune importanti considerazioni generali sulla caduta dell’impero romano.
Sui rapporti con il problema religioso v. John Greville Agard Pocock, Superstition and
Entusiasm in Gibbon’s History of Religion, in «Eighteen-Century Life», 8 (1982), pp. 83-94 e
Shelby Thomas McCloy, Gibbon’s Antagonism to Christianity, London 1993; inoltre, in generale
Peter Harrison, Religion and Religious in the English Enlightenment, Cambridge 1990 e Brian W.
Young, Religion and Enlightenment in Eighteenth-Century England: Theological Debate from Locke to
Burke, Oxford 1998.

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