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fulmine le orde terrificanti11 degli Ungari (ovvero Magiari) (par. II) 12;
mentre i secondi avevano impegnato in prevalenza le forze del Sacro
Romano Impero Germanico, rappresentato all’epoca dalle figure della
Gjuzelev, Istorija na srednovekovna B lgarija. VII-XIII vek, Sofija 1999; per un iniziale
approccio alle fonti dirette v. Vasilev T. Gjuzelev, Forschungen zur Geschichte Bulgariens im
Mittelalter, Wien 1986, e, soprattutto, Gyula Moravcsik, Byzantinoturcica, I. Die byzantinischen
2
Quellen der Geschichte der Türkvölker, Berlin 1958 . Gibbon conosce l’originaria divisione dei
Bulgari in Orientali (Bulgari del Volga) e Occidentali (Protobulgari o Bulgari di Bulgaria),
risalente alla devastazione compiuta dai Goti nei loro confronti, ma, indotto in errore da
Leonico Calcondila (fonte: De Rebus Turcicis, X, 283), li assimila alle restanti popolazioni
slave, ignorandone l’origine turcomanna; egli infatti poco oltre, dopo avere ricordato
l’etimologia del termine «slavo» (fonte: Gian Cristoforo de Jordan, De Originibus Slavicis,
Vindobonae 1775), tratta in breve anche dei Croati, conosciuti allora come Schiavoni di
Dalmazia, e dei loro rapporti con le repubbliche ragusea e veneziana: evidentemente
considera l’invasione bulgara come un proseguimento naturale della precedente calata
avaro-slava lungo la penisola balcanica, ricordata nel capitolo cinquantatreesimo a proposito
dell’invasione della penisola peloponnesiaca (sul tema v. Paul Lamerle, Invasions et migrations
dans les Balkans depuis la fin de l’époque romain jusq’au VIIIe siècle, in «Revue historique», 211,
1954, pp. 265-308). Riportiamo la parte del testo: «The unquestionable evidence of language attests
the descent of the Bulgarians from the original stock of the Sclavonian, or more properly Slavonian, race;
and the kindred bands of Servians, Bosnians, Rascians, Croatians, Walachians, &c. followed either the
standard or the example of the leading tribe. From the Euxine to the Adriatic, in the state of captives or
subjects, or allies or enemies, of the Greek empire, they overspread the land; and the national appellation of
the slaves has been degraded by chance or malice from the signification of glory to that of servitude». [«La
prova inconfutabile della lingua attesta che i Bulgari derivano dal ceppo originario degli
Schiavoni, o più propriamente degli Slavi; e che i popoli affini dei Serbi, Bosniaci, Rasciani,
Croati, Valacchi, ecc. seguirono la bandiera, o l’esempio della tribù principale. Essi si
diffusero tra l’Eusino e l’Adriatico come prigionieri e sudditi, alleati o nemici dell’impero
greco; e il nome nazionale di Slavi fu degradato, per caso o malignità, da un significato di
gloria a quello di schiavitù»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2253).
11 La furia con la quale essi si erano avventati sui territori occidentali aveva contribuito
al fatto che venissero identificati addirittura con le fantasiose popolazioni apocalittiche di
Gog e Magog: «When the black swarm of Hungarians first hung over Europe, about nine hundred years
after the Christian era, they were mistaken by fear and superstition for the Gog and Magog of the
Scriptures, the signs and forerunners of the end of the world». [«Quando il nero sciame degli Ungheri
apparve per la prima volta sull’Europa, nove secoli circa dopo l’era cristiana, lo spavento e
la superstizione li fecero credere Grog e Magog della scrittura, i segni e i precursori della
fine del mondo»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2256); v. Raul Manselli, I popoli immaginari – Gog e
Magog, in Popoli e paesi nella cultura altomedievale (CISAM 29), Spoleto 1983, pp. 487-517.
12 Rinviamo per il lettore italiano a Gina Fasoli, Le incursioni ungare in Europa nel secolo X,
Firenze, 1945, ma anche a Carlo Di Cave, L’arrivo degli Ungheresi in Europa e la conquista della
patria. Fonti e letteratura critica, Spoleto 1995; v. ancora almeno Antal Bartha, Hungarian Society
in the 9th and 10th Centuries, Budapest 1975; v. per le fonti storiografiche Carlile A.
Macarteney, The medieval Hungarian historians. A critical and analytical Guide, Cambridge 1953:
gli storici consultati da Gibbon sono in prevalenza Giorgio Pray (1723-1801) (Dissertationes
ad Annales veterum Hungarorum ecc., Vindobonae 1775) e Stefano Katona (1732-1811) (Historia
Critica Ducum et Regum Hungariae stirpis Arpadianae, 5 voll., Paesini 1778-1781).
310 Valerio Massimo Minale
13 Arpád con la sua gente inizia verso l’anno 896 una micidiale campagna di guerra
contro i regni centro-europei ponendo fine nel 907 allo stato della Grande Moravia, prima
compagine territoriale slava, e investendo con le proprie schiere le regioni tedesche, francesi
e italiane; v. Gyula Kristó, Ferenc Makk, Die ersten Könige Ungarns: die Herrscher der
Arpadendynastie, Herne, 1999 e Die Arpadendynastie: die Geschichte Ungarns von 895 bis 1301,
Budapest 1993 (originale in ungherese). È interessante anche notare come Gibbon formuli
alcune corrette osservazioni sulla lingua ungherese, simile all’idioma parlato dai Finni,
sposando in pieno la teoria di una sua matrice asiatica, secondo la quale essa derivarebbe dal
popolo degli Ugri o Ujguri (fonte: Johann-Heberhard Fischer, Quaestiones Petropolitanae, I. De
origine Hungarorum; II. De origine Tatarorum; III. De diversis Shinarum imperatoris nominibus
titulisque; IV. De Hyperboreis, Gottingen 1770): «The Hungarian language stands alone, and as it
were insulated, among the Sclavonian dialects; but it bears a close and clear affinity to the idioms of the
Fennic race, of an obsolete and savage race, which formerly occupied the northern regions of Asia and
Europe.» [«La lingua ungherese sta da sola e per così dire isolata fra i dialetti slavi, ma ha una
chiara e intrinseca affinità con le lingue della razza finnica, razza selvaggia oggi scomparsa,
che occupava un tempo le regioni settentrionali dell’Asia e dell’Europa.»] (cap. 55, ed. ital.:
III, p. 2257).
14 Per tutti v. Robert Browning, Bulgaria and Byzantium: a comparative study across the early
medieval frontier, London 1975, ma anche Jadran Ferluga, Byzantium on the Balkans. Studies on
the Byzantine Administration and the Southern Slavs from the VIIth to the XIIth Centuries,
Amsterdam 1976, del quale inoltre Gli slavi del sud ed altri gruppi etnici di fronte e Bisanzio, in Gli
slavi occidentali e meridionali nell’alto medioevo, (CISAM, 30) I, Spoleto 1983, pp. 302-343; v..
infine Ivan Duj ev, Relations entre les Slaves mériodionaux et Byzance aux Xe-XIIe siécles, in
«Cahiers de civilisation médiévale», 9 (1966), pp. 533-556 (anche in Medioevo bizantino-slavo,
II, Roma 1971, pp. 175-221).
15 Questo il celebre incipit del capitolo cinquantacinquesimo: «Under the reign of Constantine
the grandson of Heraclius, the ancient barrier of the Danube, so often violated and so often restored, was
irretrievably swept away by a new deluge of Barbarians». [«Sotto il regno di Costantino, nipote di
Eraclio, l’antica barriera del Danubio, così spesso violata e ristabilita, fu definitivamente
travolta da una nuova inondazione di barbari.»] (cap. 55, ed. ital.: III, pp. 2251).
Gibbon e la Rus’… 311
continue migrazioni. I loro nomi sono strani, incerta la loro origine, oscure le loro gesta, la
loro superstizione era cieca, brutale il loro valore; e la monotonia della loro vita pubblica e
private non era attenuata dall’innocenza, nè ingentilita dalla politica. La maestà del trono
bizantino resisté e sopravvisse al loro assalti disordinati, la maggior parte di questi barbari è
sparita senza lascire alcun ricordo della sua esistenza e i loro miseri avanzi continuano e
possono continuare a gemere lungamente sotto il dominio di un tiranno straniero.»] (cap.
55, ed. ital.: III, pp. 2251-2252).
25 La connessione tra ferocia barbarica e necessità della civilizzazione romana è una
delle costanti del pensiero storico gibboniano (v. Francois Furet, Civilization and Barbarism in
Gibbon’s History, in «Daedalus», 195, 1976, pp. 209-216 e in generale sul tema Vittorio
Lanternari, L'incivilimento dei barbari: problemi di etnocentrismo e d'identità, Bari, 1983); tuttavia
questo legame non è sempre facile da comprendere: se da una parte, infatti, i barbari, per
antonomasia i popoli germanici, rappresentano l’arretratezza culturale e soprattutto la
supersitizione religiosa, dall’altra è vero che essi sono portatori di forze nuove e di valori in
un certo senso ancora incontaminati (cap. 9, ed. ital.: I, pp. 198-219); a proposito del
Franchi, appositamente opposti ai Bizantini, si dice: «The love of freedom and of arms was
felt, with conscious pride, by the Franks themselves, and is observed by the Greeks with
some degree of amazement and terror.» [«L’amore per la libertà e le armi era sentito dai
Franchi con conscio orgoglio, ciò che i Greci osservavano con un certo stupore non scevro
di terrore.»] (cap. 53, ed. ital.: III, pp. 2224-2227); v. John G. A. Pocock, Barbarism and
Religion, 4 voll., Cambridge, (1. The Enlightenments of Edward Gibbon, 1737–1764, 1999; 2.
Narratives of Civil Government, 1999; 3. The First Decline and Fall, 2003; 4. Barbarians, Savages and
Empires, 2005). Non possiamo del resto dimenticare la posizione assunta a proposito nelle
Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur decadence (1734) da Montesquieu, il
quale senza dubbio si inseriva nella illustre tradizione tacitiana della Germania (Alfons
Städele, Tacitus und die Barbaren, in Peter Neukam, hrsg., Reflexionen antiker Kulturen, München
1968, pp. 123-143 e Viktor Pöschl, Tacitus und der Untergang des römischen Reiches, in «Wiener
Studien», 69, 1956, pp. 310-320) e in parte di Ammiano Marcellino (Susanna Bonanni,
Ammiano Marcellino e i barbari, in «Rivista di cultura classica e medievale», 23, 1981, pp. 125-
142); v. per esempio Bruno Luiselli, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo
germanico, Roma, 1992, ma anche Federico Borca, Confrontarsi con l’Altro: i Romani e la
Germania, Milano, 2004; v. ancora sull’argomento Yves A. Dauge, Le Barbare. Recherches sur la
conception romain de la barbarie et de la civilisation, Bruxelles 1981, oltre a Alain Chavout,
Barbaristaion, acculturation et “democratisation de la culture” dans l’Antiquité tardive, in «Antiquité
tardive», 9 (2001), pp. 81-95; molto interessante infine Walter Goffart, Rome, Constantinople,
and the Barbarians, in «American Historical Review», 86 (1981), pp. 275-306 e Kilian Lechner,
Byzanz und die Barbaren, in «Saeculum», 6 (1955), pp. 296-306.
314 Valerio Massimo Minale
32 La fonte principale per la storia russa antica rimane sicuramente la c.d. Cronaca dei
tempi passati (Povest’ Vremennykh Let): pervenutaci secondo due lezioni differenti
(Laurenziana, 1377 / Ipaziana, 1450), viene considerata una sorta di «opera corale»,
caratterizzata da una compilazione sedimentaria piuttosto complessa: il materiale iniziale
(Drevnejškij Kievskij Svod) fu raccolto presso il Monastero delle Grotte di Kiev (Kievo-
Pe erskij) durante il regno di Jaroslav il Saggio (probabilmente negli anni 1037-1039) e
organizzato in riprese successive da due monaci, Nikon (1073) e Nestore (1113); in realtà
sembra che un corpus intermedio (Na alnyj Svod) fosse stato composto nel corso della prima
grande invasione cumana (1093-1095) e inserito nella Prima Cronaca di Novgorod
(Novgorodskaja Pervaja Letopis’) (v. per tutti Aleksej A. Šachmatov, Razyskanija o drevnejšich
russkich letopisnych svodach, Sankt Peterburg 1908); successivamente alla redazione voluta da
Vladimir Monomakh (1113-1125) ne venne approntata un’altra anche per Mstislav
Vladimirevi (1125-1132). Per la traduzione italiana si veda Racconto dei tempi passati. Cronaca
russa del XII secolo, Torino 1971, con un fondamentale saggio introduttivo di Dimitri S.
Licha ëv (nonostante l’interpretazione di matrice sovietica), ma adesso anche Cronaca degli
anni passati (XI-XII sec.), Cinisello Balsamo 2007; v. inoltre Ludolf Müller, Die Nestorchronik:
die altrussische Chronik, zugeschrieben dem Mönch des Kiever Höhlenklosters Nestor, in der Redaktion
des Abtes Sil’vestr aus dem Jahre 1116, rekonstruiert nach den Handschriften Lavrent’evskaja,
Radzivilovskaja, Akademiceskaja, Troickaja, Ipat’evskaja und Chlebnikovskaja, München 2001,
oltre a Samuel H. Cross, Olgerd P. Sherbowitz-Wetzor, The Russian Primary Chronicle.
Laurentian Text, Cambridge (Mass.) 1953. Il passo più discusso si trova sub anno 6370 (862):
«Scacciarono i Varjaghi al di là del mare, e non pagarono loro il tributo, e cominciarono da
sé a governarsi, e non vi era fra loro giustizia, e si levò stirpe contro stirpe, e vi era fra loro
discordia, e cominciarono a combattersi essi fra loro stessi. E si dissero: «Cerchiamo un
principe, il quale ci governi e giudichi secondo giustizia». E andarono al di là del mare dai
Varjaghi, dai Russi. Giacchè questi Varjaghi si chiamavano Russi […]. Dissero ai Russi […]:
«La nostra terra è grande e fertile, ma ordine in essa non v’è. Venite a governarci e a
comandarci». E si riunirono tre fratelli con la loro gente, e presero seco tutti i Russi, e
giunsero[…].» (ed ital.:, p. 11). In base a questo racconto infatti Rjurik, mitico capo variago,
insieme ai suoi fratelli avrebbe dato vita ad una dinastia di principi regnanti a Kiev sul
Dnepr, la capitale della tribù slava dei Poljani; in verità sembra che già nell’842 i due
condottieri Askold e Dir si fossero impadroniti della città, prendendola come punto di
partenza per i primi attacchi alla Crimea e alla colonia greca di Cherson; la tradizione
secondo la quale sarebbe stato Oleg a conquistarla nell’882 non è affatto sicura: egli
comunque vi regnò fino al 913, seguito da Igor (913-945), figlio di Rjurik, da Olga (945-
962), vedova di Igor, e ancora da Svjatoslav (942-972), figlio di Olga.
33 Janet Martin, Treasure from the Land of the Darkness. The Fur Trade and its Significance for
Medieval Russia, Cambridge (Mass.) 2004, e inoltre Jean-Pierre Arrignon, Les fourrures dans la
Cronique des temps passées et la Russkaja Pravda, in Milieux naturels, espaces sociaux. Etudes offertes à
Robert Delort, Paris 1997, pp. 341-346.
316 Valerio Massimo Minale
41 Aleksander A. Vasiliev, Economic Relations between Byzantium and Old Russia, in «Journal
of Economic History», 4 (1932), pp. 314-334.
42 L’imperatore Costantino VII Porfirogenito (913/945-959) ha lasciato una celebre
descrizione delle cataratte che la flotta mercantile russa doveva superare per arrivare al
mare, ricordandone i nomi sia scandinavi che slavi (Gyula Moravcsik, Romilly J. Heald
Jenkins, De administrando imperio, in «Corpus fontium historiae Byzantinae» 1, Washington,
1967; v. anche Klaus Belke, Peter Soustal (hrsg.), Die Byzantiner und ihre Nachbarn: die De
administrando imperio genannte Lehrschrift des Kaisers Konstantinos Porphyrogennetos für seinen sohn
Romanos, Wien 1995). Attraverso il lago Il’men, sulle sponde del quale sorgeva la città di
Novgorod Viliki (unita a sua volta alle coste settentrionali dal sistema idrico Vol’khov-
Ladoga-Neva) e per il fiume Lovat’, ma soprattutto lungo il corso del Dnepr/Boristene,
costeggiando le foci del Danubio essi potevano finalmente giungere sul Bosforo. In realtà
gli spostamenti delle imbarcazioni avvenivano a volte per brevi tratti anche sulla terraferma,
come attesta il nome stesso del fiume Vol’khov, dal verbo volo it (trascinare; sost. volokh).
In generale comunque tutta la Russia era collegata da un fitto sistema di corsi d’acqua
sfruttati da tempi immemorabili; in particolare, oltre alla via del Dnepr, dobbiamo ricordare
almeno altre due strade fluviali, che partivano entrambe dalla regione di Polock: la prima
seguiva il corso della Dvina Meridionale, la quale sfociava nel Mar Baltico, presso la città
anseatica di Riga, la seconda quello del Volga fino al Mar Caspio; inoltre non
dimentichiamo che i laghi Ladoga (non lontano dalle rive del quale sorgeva il primo
insediamento variago di Staraja Ladoga/Aldeigjuborg) e Onega erano collegati tra loro dal
fiume Svir’ che sfociava nel Mar Bianco nei pressi della città di Beloozero. V. Hilda R. Ellis
Davidson, The Viking Road to Byzantium, London 1976.
43 A proposito Gibbon richiama ancora Bayer (De Varagis, in «Commentarii Academiae
Scientiarum Imperialis Petropolitanae», IV, 1759, pp. 275-311; De Geographia Russiae
vicinarumque Regionum circiter, in «Commentarii Academiae Scientiarum Imperialis
Petropolitanae», IX, 1764, pp. 367-422; X, pp. 371-421).
44 Scrive saggiamente Gibbon: «Yet the threats or calamities of a Russian war were more
frequently diverted by treaty than by arms.» [«Tuttavia, le minacce e le calamità della guerra coi
Russi furono allontanate più coi trattati che con le armi .»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2271);
Gibbon e la Rus’… 319
citando testualmente la Cronaca dei tempi passati (letta in Levesque, Histoire de Russie, I, p. 87),
egli riporta i consigli che gli anziani compagni amavano suggerire al principe russo: ‹‹Be
content,›› they said, ‹‹with the liberal offers of Cæsar; is it not far better to obtain without a combat the
possession of gold, silver, silks, and all the objects of our desires? Are we sure of victory? Can we conclude a
treaty with the sea? We do not tread on the land; we float on the abyss of water, and a common death hangs
over our heads.» [«Contentatevi, essi dicevano, delle generose offerte di Cesare. Non è molto
meglio ottenere senza combattere l’oro, la seta e tutti gli altri oggetti dei nostri desideri?
Siamo certi di vincere? Possiamo conchiudere un trattato col mare? Noi non camminiamo
per terra, ma galleggiamo sull’abisso delle acque e una morte comune pende sul nostro
capo.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2271). Sul tema v. soprattutto J. Malingoudi, Die russische-
byzantinischen Verträge des 10. Jhds aus diplomatischer Sicht, Thessaloniki 1994, dove numerose
ulteriori indicazioni, ma anche George Weickhardt, The Commmercial Law of Old Russia, in
«The Russian History», 25 (1998), pp. 361-385.
45 I mercanti russi risiedevano nel distretto di San Mama: v. Jules Pargoire, St. Mamas, le
quartier russe de Constantinople, in «Echos d’Orient», 11 (1968), pp. 203-210.
46 «Some of their countrymen resided in the capital and provinces; and the national treaties protected the
persons, effects, and privileges of the Russian merchant.» [Dei loro connazionali risiedevano nella
capitale e nelle province dell’impero greco, e le persone, i beni e i privilegi dei mercanti russi
erano tutelati da trattati.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2269).
47 Questa prima serie di scorrerie piratesche è tuttora oggetto di discussione tra gli
storici; v. Elena E. Lipsi , O pochode Rusi na Visantjiu ranee 842 g., in «Istoricheskie Zapiski»,
26 (1948), pp. 312-331, e Georgij Vernadsky, The Problem of the Early Russian Campaign in the
Black Sea, in «The American Slavic and East European Review», 8 (1949), pp. 1-10, oltre a
Frank E. Wozniak, Byzantine Policy on the Black Sea or Russian Steppe in the Late 830’s, in
«Byzantine and Modern Greek Studies», 2 (1975), pp. 56-62.
48 Si narra che il patriarca Fozio il Grande (858-867/877-886) avesse bagnato il manto
della Madre di Dio conservato nella chiesa delle Blacherne nell’acqua del mare, il quale da
calmo che era divenne improvvisamente tempestoso, travolgendo le imbarcazioni russe: il
sermone di ringraziamento che venne composto in seguito rappresenta una testimonianza
contemporanea di grande valore (in Cyril Mango, The Homilies of Photius, Patriarch of
Constantinople. English Translation and Commentary, Cambridge (Mass.) 1958; Gibbon lo legge
320 Valerio Massimo Minale
in Photius, Epist., II, n. 35, p. 58, ed. Monteut); v. Aleksander A. Vasiliev, The Russian Attack
on Constantinople in 860, Cambridge (Mass.) 1946 e Arthur E. R. Boak, The earliest russian moves
against Constantinople, in «Queen’s Quarterly, a Canadian Review», 55 (1948), pp. 308-318.
49 I cronisti bizantini ignorano l’avvenimento, nel corso del quale l’imperatore Leone VI
Isaurico (886-912) di fronte alla devastazione dei sobborghi della capitale sarebbe stato
costretto a concludere una pace rinnovata in seguito nel 911; v. Henri Grégoire, La légende
d’Oleg et l’Expédition d’Igor, in «Bulletin de l’Académie Royale de Belgique», 23 (1937), pp. 80-
94; Georg Ostrogorsky, L’Expédition du Prince Oleg contre Constantinople en 907, in «Annales de
l’Institut Kondakov», 2 (1939), pp. 47-61; Reginald H. M. Dolley, Oleg’s mythical campaign
against Constantinople, in «Bulletin de l’Académie Royale de Belgique», 35 (1949), pp. 106-130
e infine Michajlo V. Lev enko, Russko-visantiskie dogovari 907 i 911 gg. (I trattati russo-bizantini
degli anni 907 e 911), in «Vizantijskij vremennik», 5 (1952), pp. 105-126.
50 Henri Grégoire, Paul Orgels, La guerre russo-byzantine de 941, in «Byzantion», 24 (1954),
pp. 145-156.
51 Georgij Vernadsky, The Rus’ in the Crimea and the Russo-Byzantine Treaty of 945, in
«Byzantina-Metabyzantina», 1 (1946), pp. 249-259.
52 L’evento viene descritto ancora da Costantino Porfirogenito (Cermoniale Aulae
Byzantinae, II, 15, pp. 343-345); v. Dimitri Obolensky, The Baptism of Princess Olga of Kiev: The
Problem of the Sources, in «Byzantina Sorbonensia», 4 (1985), pp. 159-176, e Omeljan Pritsak,
When and where was Ol’ga baptized?, in «Harvard Ukrainian Studies», 9 (1985), pp. 5-24.
53 All’epoca le regioni russe avevano già cominciato a ricevere importanti influenze
cristiane: è noto che il patriarca Fozio già nell’864 si compiaceva della conversione dei
Russi, presso i quali aveva inviato un vescovo greco con l’intento di organizzare la nascente
struttura ecclesiastica. Sembra che addirittura dall’867 la Russia venisse considerata una
diocesi (eparchìa) della chiesa bizantina e che un edificio religioso cristiano, la chiesa di
Sant’Elia, avesse sede a Kiev sotto il regno di Igor; infine ricordiamo che la principessa
Olga, quando venne ricevuta a Bisanzio, aveva ormai ricevuto il battesimo (non venne
battezzata infatti da Polieucte, allora non ancora patriarca, come si legge erroneamente nelle
cronache), ma venne anzi accompagnata nel viaggio dal proprio cappellano personale.
Gibbon e la Rus’… 321
London 1982; v. anche Vladimir Vodoff, Naissance de la chrétienté russe: la conversion du prince
Vladimir de Kiev (988) et ses conséquences (Xe-XIIIe siècles), Paris 1988.
58 L’importanza e il prestigio di questa unione sarebbero stati molto celebrati nel cultura
russa, costituendo il titolo principale del legame con la tradizione imperiale bizantina: Anna
infatti, oltre ad essere sorella anche di Costantino VIII, era figlia di Teofano, vedova di
Niceforo Foca, e Romano II, a sua volta figlio di Costantino VII Porfirogenito; parlando
delle politiche matrimoniali degli imperatori bizantini (sulla quale v. Aleksander P.
Ka dahn, Rus’-Byzantine Princely Mariages in the Eleventh and Twelth Centuries, in «Harvard
Ukrainian Studies», 12/13, 1988/1989, pp. 414-429 e Ruth J. Macrides, Dynastic Marriages
and Political Kinship, in Jonathan Shepard, Simon Franklin (eds), Byzantine Diplomacy,
Aldershot 1992, pp. 263-280, anche in Kinship and Justice in Byzantium. 11th-15th Centuries,
Aldershot 1999), Gibbon scrive: «In the nuptials of her sister Anne, every prejudice was lost, and every
consideration of dignity was superseded, by the stronger argument of necessity and fear. A Pagan of the
North, Wolodomir, great prince of Russia, aspired to a daughter of the Roman purple; and his claim was
enforced by the threats of war, the promise of conversion, and the offer of a powerful succour against a
domestic rebel. A victim of her religion and country, the Grecian princess was torn from the palace of her
fathers, and condemned to a savage reign, and a hopeless exile on the banks of the Borysthenes, or in the
neighbourhood of the Polar circle. Yet the marriage of Anne was fortunate and fruitful: the daughter of her
grandson Joroslaus was recommended by her Imperial descent; and the king of France, Henry I., sought a
wife on the last borders of Europe and Christendom.» [«Nel matrimonio della sorella Anna, la voce
imperiosa della necessità, o del timore, impose silenzio a tutti i pregiudizi e rimosse ogni
considerazione di dignità. Un idolatra settentrionale, Vladimiro, granduca di Russia, aspirava
alla mano di una figlia dell’imperatore e corroborò la sua richiesta con minacce di guerra,
con promesse di conversione e con l’offerta di potenti aiuti contro un ribelle. La principessa
greca, vittima della sua religione e della sua patria, fu strappata dal palazzo dei suoi avi e
condannata a un regno selvaggio, a un esilio senza speranza di ritorno sulle rive del
Boristene, o nei pressi del circolo polare. Tuttavia, il matrimonio di Anna fu felice e
fecondo: la figlia di suo nipote Jaroslav, per la sua discendenza imperiale sposò un re di
Francia, Enrico I, che era andato a cercare una moglie ai confini dell’Europa e della
cristianità.»] (cap. 53, ed. ital.: III, p. 2216).
59 Hans-George Beck, Christliche Mission und politische Propaganda im byzantinischen Reich,
649-674, in La conversione al cristianesimo nell’Europa dell’Alto Medioevo (CISAM, 14), Spoleto
1967, pp. 649-674; Frantisek Dvornik, Byzantine missions among the Slavs: SS. Constantine-Cyril
and Methodius, New Brunswick (N. J.) 1970; Isrun Engelhardt, Mission und Politik in Byzanz,
München 1974; Christian Hannik, Die byzantinischen Missionen, in Knut Schäferdiek (hrsg.),
Kirchengeschichte als Missionsgeschichte, München 1978, II.1, pp. 279-359; Ivan Duj ev, Religiosi
come ambasciatori nell’Alto Medioevo. Contributo allo studio della spiritualità bizantino-slava, in
Bisanzio e l’Italia. Raccolta di studi in memoria di Agostino Pertusi, Milano 1982, pp. 42-55.
60 Dimitri Obolensky, The Principles and Methods of Bizantine Diplomacy, in Actes du XIIe
Congres International des Etudes Byzantines-Ochrid 1961, Beograd, 1963, I, pp. 45-61 e David A.
Miller, Byzantine Treaties and Treaty-Making: 500-1025 A.D., in «Byzantinoslavica», 32, 1971,
Gibbon e la Rus’… 323
pp. 56-76, ma soprattutto Jonathan Shepard, Simon Franklin (eds), Byzantine diplomacy: papers
from the twenty-fourth spring symposium of Byzantine studies. Cambridge – March 1990, Aldershot
1992, dove in particolare Simon Franklin, Diplomacy and Ideology: Byzantium and the Russian
church in the middle twelfth century, pp. 145-155.
61 L’epiteto deriva dal fatto di avere ordinato l’assassinio dei due fratelli Boris e Gleb,
canonizzati come martiri dalla chiesa russa nel 1071; v. Andrzej Poppe, La Naissance du culte
de Boris et Gleb, in «Cahiers de civilisation médiévale», 24 (1981), pp. 29-53, Gail Lenhoff,
The martyred princes Boris and Gleb: a socio-cultural study of the cult and the texts, Columbus 1989 e
Boris A. Uspenskij, Boris i Gleb: vosprijatie istorii v Drevnej Rusi, Moskva 2000.
62 Per tutti v. Viktor N. Lazarev, Visantiiskoe i drevnerusskoe iskusstvo, Moskva 1978.
63 Per esempio v. Dimitri Obolensky, Russia’s Byzantine Heritage, in «Oxford Slavonic
Papers», 1 (1950), pp. 37-63 (anche in Byzantium and the Slavs, London 1971).
64 Sub anno 1037 (6546) – «[…] E sotto il suo regno cominciò la fede cristiana a
raccogliere frutti e a propagarsi, e i monaci presero ad aumentare e i monasteri
cominciarono a sorgere. E Jaroslav amò gli ordini ecclesiastici, amava molto i religiosi,
soprattutto i monaci, e si applicava alla lettura dei libri, leggendoli spesso notte e giorno. E
radunò molti scrivani: i quali trascrissero dal greco nella scrittura slava. E scrissero molti
libri, li studiarono. Gli uomini devoti godranno dell’insegnamento divino. Giacchè se l’uno
arerà la terra, l’altro seminerà, gli altri raccoglieranno e avranno cibo in abbondanza; così
avvenne anche allora. Il padre di Volodimir arò la terra e la rese fertile, cioè rischiarata dal
battesimo. Costui seminò con le parole dei libri i cuori dei devoti; e noi mietiamo, dopo
avere ricevuto l’insegnamento dei libri. Grande è l’utilità dell’insegnamento dei libri; poiché
dai libri ci sono indicati ed insegnati i cammini della penitenza, e nelle parole dei libri
troviamo la saggezza e la temperanza. Essi sono simili a fiumi che abbeverano l’universo,
fonti di saggezza; sono, quindi, di una profondità incommensurabile; con essi nel dolore ci
confortiamo; essi sono freni nella temperanza. […] Jaroslav, come abbiamo detto, amava i
libri, e dopo averne scritti molti li ordinò nella chiesa di Santa Sofia, che egli stesso aveva
costruito. […] Ed altre chiese fondò nelle città e nei villaggi, nominado preti e dando loro
dal suo avere lo stipendio, ordinando ad essi di istruire gli uomini, come era stato prescritto
da Dio, e di andare spesso in chiesa. E aumentarono i preti, e gli uomini cristiani. Godeva
Jaroslav nel constatare la grande quantità di chiese e di uomini cristiani, mentre il nemico [il
diavolo] si affliggeva, vinto dai nuovi uomini cristiani.»]. (ed. ital.: III, pp. 87-88).
324 Valerio Massimo Minale
65 The laws of a nation form the most instructive portion of its history. [«Le leggi di una nazione
formano la parte più istruttiva della sua storia.»] (cap. 44, ed. ital.: III, p. 1662).
66 Per riferimenti v. Ivan V. Petrov, Gosudarstvo i prava drevnei Rusi, Sankt Peterburg,
2003.
67 Rinviamo semplicemente a Günther Baranowski, Die “Russkaja Pravda”: ein
mittelalterliche Rechtsdenkmal, Frankfurt am Main 2005.
68 Sul tema v. Daniel H. Kaiser, The Growth of the Law in the Medieval Russia, Princeton
1980, pp. 15-16, ma anche Modernization in Old Russian Law, in «The Russian History», 6
(1979), pp. 230-242 e Reconsidering Crime and Punishment in Kievan Rus’, in «The Russian
History», 7 (1980), pp. 282-293. Esemplare in questo senso il caso dell’omicidio: l’ampio
spazio che per lungo tempo era stato lasciato al diritto della vendetta familiare (fondato sul
principio della responsabilità penale comune) e che si realizzava con l’esclusione dalla
comunità del colpevole, denominato vrag, venne annullato; tuttavia il c.d. «prezzo del
sangue» (dikaia vira, che richiama il parallelo termine germanico di wergeld) non veniva più
prelevato dal corpo della persona, secondo la primitiva legge del taglione, ma corrispondeva
ad una somma di danaro, calcolata in grivne, unità di misura monetaria.
69 I rapporti ecclesiatici tra l’impero bizantino e la Rus’ furono inizialmente
caratterizzati dalla sottoposizione gerarchica degli organi della chiesa russa al patriarcato
costantinopolitano; v. Edward Winter, Die Christianisierung des Rus’ in der Diplomatic des
Papsttum und Byzanz, in «Berliner Byzantinische Arbeiten», 5 (1957), pp. 147-157 e Dimitri
Obolensky, Le patriarcat byzantin et les metropolites de Kiev. Atti del VIII Congresso internazionale di
Studi Bizantini – 1951, 1953, I, pp. 32-41, oltre a Andrzej Poppe, The Original Status of the Old-
Russian Church, in «Acta Poloniae Historica», 39 (1979), pp. 7-45 (anche in The Rise of the
Christian Russia, London, 1982); v. anche Karl Rose, Byzanz und die Autonomiebestrebungen der
russische Kirche in der Zeit vom 10. bis 15. Jahrhundert, in Johannes Irmscher (hrsg.), Byzantinische
Beitrage, Berlin, 1964, pp. 291-322.
70
Simon Franklin, Writing, Society and Culture in Early Rus’. C. 959-1300, Cambridge
2002.
71 Per la storia della chiesa russa nel periodo kievano rinviamo, in via assolutamente
indicativa, ad Albert M. Amman, Storia della Chiesa russa e dei paesi limitrofi, Torino 1947 (del
quale si veda anche Kirchen-politische Wandlungen im Ostbaltikum bis zum Tode Alexander
Newskis. Studien zum werden der Russischen Ortodoxie, Roma 1936) dove abbondanti riferimenti
Gibbon e la Rus’… 325
bibliografici, oltre a John L. I. Fannell, A History of the Russian Church to 1448, London, New
York 1995 e Igor Smolitsch, Geschichte der russischen Kirche, Berlin 1991; ancora, per i rapporti
con il mondo religioso bizantino, Stanislas W. Swierkosz-Lenart (a cura di), Le origini e lo
sviluppo della cristianità slavo-bizantina, Roma 1992. Diamo per scontati i tradizionali riferimenti
a Metropolit Makary Bulgakov, Istorija russkoi tserkvi (12 tomi), Sankt Peterburg, 1866;
Evgenij E. Golubinskij, Istorija russkoj cerkvij (2 voll.), Moskva, 1901; Anton. V. Kartašev,
Ocherki po istorii russkoi tserkvi (2 voll.), Paris, 1959.
72 Lev V. erepnin, Obš estvenno-politi eskie otnošenija v Drevnej Rusi i Russkaja Pravda, in
Anatolij P. Novosel’cev, Vladimir T. Pašuto, Lev V. erepnin, Vladimir P. Šusarin, Jaroslav
N. Š apov (izd.), Drevnerusskoe gosudarstva i ego me dnunarodnoe zna enie, Moskva 1965, pp.
128-278.
73 La legge è conosciuta in tre versioni differenti: la Kratkaja pravda (breve), la
Prostrannaja pravda (lunga), la Sokraš ennaja pravda (ridotta); la prima venne scoperta per caso
in un manoscritto della Prima Cronaca di Novgorod (Novgorodskaja Pervaja Letopis’) da Vasilij
N. Tatiš ev nel 1738, mentre la seconda alcuni decenni dopo da Nikolaj M. Karamzin;
entrambe vennero subito edite: August Šlecer (Schlözer), Pravda Russkaja, dannaja v
odinnacatom veke ot velikich knjazej Jaroslava Vladimirovi a i syna ego Izjaslava Jaroslavi a, Sankt
Peterburg, 1767 e Ivan N. Boltin, Pravda Russkaja ili zakony velikich knjazej Jaroslava
Vladimirovi a i Vladimira Vsevolodovi a Monomakha, Sankt Peterburg 1792.
74 Egli, illuminista, durante gli anni trascorsi a San Pietroburgo come direttore del
Corpo dei Cadetti (dove era stato nominato su interessamento di Diderot, all’epoca intimo
dell’imperatrice Caterina II), imparò a conoscere molto a fondo la realtà russa, prendendo
anche un’ottima confidenza con le fonti documentali (v. Catalogue raisonné des principeaux
ouvrages qui ont servi à la composition de l’Histoir de Russie, in Histoire de Russie, I, 1782, pp. XIV-
XXXII): tornato in Francia, divenne membro dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres e
professore al Collège de France, visse gli anni della Rivoluzione Francese, del Direttorio e
infine dell’impero napoleonico; relativamente alla storia russa, ebbe in Nicolas Gabriel
Clerc, dit Le Clerc (1726-1798), autore di una Histoire physique, morale, civile et politique de la
Russie moderne (Paris, 1783), un acerrimo rivale; v. André Mazon, Pierre-Charles Levesque
umaniste, historien at moraliste, in «Revue des Études slaves», 42 (1963), pp. 7-66 e ultimamente
Vladimir A. Somov, Pierre-Charles Levesque. Protégé de Diderot et historien de la Russie, in «Cahiers
du monde russe», 43 (2002), pp. 275-294.
75 Sono spesso utilizzati anche i classici riferimenti di Sigismund von Herberstein (1486-
1668) (Rerum Moscovitarum Commentarii, Vindobonae 1549) e William Coxe (1747-1828)
(Travels into Poland, Russia, Sweden and Denmark, London 1784).
76 Paris, 1782 (ma 1781); (rist. 1783, 1800, 1812); egli inoltre ha lasciato una bella
Histoire des différents peuples soumis à la domination des Russes, suite à l’histoire de Russie (Paris 1783).
La prima traduzione italiana avvenne nel 1784 a Venezia in 6 volumi e in seguito negli anni
326 Valerio Massimo Minale
dei tempi antichi e dove si parla anche della codificazione arcaica77: inoltre, a
testimonianza di quanto valore l’argomento rivestisse nei suoi progetti di
ricerca, venne da lui addirittura compilato un lavoro a riguardo, che
tuttavia rimase sconosciuto nell’ambiente europeo78.
Anche la vicinanza esistente e riconosciuta in maniera intuitiva tra
diffusione del cristianesimo bizantino e definizione del sistema
ecclesiastico russo79, situato alle dipendenze delle strutture di potere
imposte dal principe e dalla sua cerchia, non viene considerata in relazione
ad una visuale che realizzi ipotesi concernenti la nascita e lo sviluppo del
diritto; semplicemente, l’argomento non suscita interesse e quindi non
viene considerato per la sua portata intrinseca, mentre tutta l’attenzione è
concentrata sull’avvento della fede cristiana, senza lasciare spazio a
considerazioni ulteriori80.
Bisogna ammettere che la Cronaca dei tempi passati, escluse ovviamente le
sezioni che riguardano i trattati tra la Rus’ e l’impero bizantino (delle quali
comunque non viene mai fatto cenno), è priva di riferimenti giuridici81, se
1825-1826 a Milano in 3 volumi (Storia di Russia del Levesque volgarizzata, trad. Nicolò
Bettoni) e nel 1830 a Torino in 5 tomi.
77
Histoire de Russie, ed. 1782, I, pp. 195-198.
78 Il lavoro, pubblicato in Russia a San Pietroburgo nel 1792, venne «rejetté
definitivement» il 25 maggio 1804 (Lu le 5 prairial an XII) dalla stessa Accadémie des
Inscriptions et Belles-Lettres per banali questioni editoriali legate all’utilizzo dei caratteri cirillici;
Sigismund N. Valk, Un mémoire de Pierre-Charles Levesque sur la Russkaja Pravda e André
Mazon, Michel Laran, Pierre-Charles Levesque: Mémoire sur la Pravda Russkaja, entrambi in
«Revue des études slaves», 41 (1962), pp. 7-25 e pp. 27-59. Sulle edizioni a stampa della
Russkaja Pravda comunque rinviamo a Sigismund N. Valk, Russkaja Pravda v izdanijach i
izu enijach XVIII-na ala XIX vv., in Archeografi eski j E egodnik za 1958, Moskva 1960, pp.
194-255.
79 Jaroslav N. Š apov, Gosudarstvo i cerkov Drevnej Rusi 10.-13. vv., Moskva 1989.
80 Gibbon non accenna neppure all’opera di Ilarione di Kiev, primo metropolita russo
(1051-1055), autore di uno scritto fondamentale, il c.d. Sermone sulla Legge e sulla Grazia
(Slovo o Zakonu i Blagodati), dove assieme a motivi paolini dettati da intenti antibizantini,
vengono espresse diverse idee sul valore anche della norma giuridica; v. Ludolf Müller
(hrsg.), Das Metropoliten Ilarion Lobrede auf Vladimir den Heiligen und Glaubensbekenntnis nach der
Erstausgabe von 1884, Wiesbaden 1962 e Die Werke des Metropoliten Ilarion, München, 1971; v.
ancora per riferimenti Simon Franklin, Sermons and Rethorik of Kievan Rus’, Cambridge (Mass.)
1991.
81 Anche nel c.d. testamento spirituale di Vladimir Monomakh (Pou en’e,
insegnamento), inserito nella cronaca (ed. ital.: pp. 132-145), come in quello di Jaroslav (sub
anno 1054-6562:: «Ecco, io lascio questo mondo, figliuoli miei; amatevi, giacchè voi siete
fratelli [nati] da uno stesso padre e da una stessa madre. Se voi vi amerete reciprocamente,
Dio sarà con voi, e assoggetterà a voi i vostri avversari. E vivrete in pace. Ma se vivrete
nell’odio, nei dissensi e nella discordia, allora voi stessi perirete, e perderete la terra dei
vostri padri e dei vostri avi, [la terra] che essi conquistarono con grande fatica; ma vivete in
pace, ubbidisca il fratello al fratello.» (ed. ital.: p. 92), sono assolutamente assenti richiami
Gibbon e la Rus’… 327
diretti alla sfera giuridica. L’unico istituto che continuamente si trova è quello del
giuramento, attraverso il rito del bacio della croce, effettuato soprattutto per comporre le
discordie familiari.
82
«Avevano usi propri, e la legge dei loro padri e le tradizioni, e ciascuno [aveva] il
proprio costume.» (ed. ital.: p. 8); vengono quindi descritte le abitudini di vita prima dei
Poliani, abbastanza progrediti, e poi dei Drevliani da una parte e dei Radimi i, Vjati i e
Severiani dall’altra, rozzi come bestie.
83 All’inizio e alla fine di un lunga digressione sulle abitudini di vita di diversi popoli
stranieri, reali o leggendari, viene scritto: ‹‹Imperocchè ogni popolo abbia o una legge
scritta, oppure un’usanza che, coloro che non conoscono la legge, accolgano come
tradizione paterna.›› (ed. ital.: p. 9) e «Noi cristiani, di ogni terra, che crediamo nella Santa
Trinità, e in un unico battesimo, e in un’unica fede, un’unica legge abbiamo, in quanto in
Cristo siamo stati battezzati e di Cristo siamo rivestiti.» (ed. ital.: p. 10).
84
«Giacchè la saggezza è grande, così Salomone, lodando aveva detto: ‹‹Io Sapienza,
risiedo nel consiglio e nei colti pensieri mi ritrovo; il timor di Dio odia il male […] Mio è il
consiglio e l’equità, mia la prudenza, mia la fortezza. Per me regnano i re e i legislatori
decretano il giusto; per me i principi dominano, i magistrati regolano la giustizia. Io amo chi
mi ama, e coloro che si fan premura di cercarmi mi troveranno.›› (ed. ital.: p. 87).
85 Il terzo paragrafo (Russi) supera abbondantemente in lunghezza i primi due (Bulgari
e Ungari).
86
Basta una rapida lettura alle note a piede di pagina per accorgersi che il materiale
escerpito non era affatto scarso: oltrettutto l’Histoire de Russie di Levesque è una miniera
quasi inesauribile di notizie.
87 Programmando il lavoro degli ultimi libri Gibbon scrive: «A single chapter will include,
III. The Bulgarians, IV. Hungarians, and, V. Russians, who assaulted by sea or by land the provinces
and the capital; but the last of these, so important in their present greatness, will excite some curiosity in
their origin and infancy.» [«Un solo capitolo comprenderà, 3) i Bulgari, 4) gli Ungheresi e 5) i
Russi, i quali per mare o per terra assalirono le province e la capitale, ma una certa curiosità
potranno eccitare l’origine e l’infanzia di quest’ultimo popolo, oggi così importante per la
sua grandezza.»] (cap. 48, ed. ital.: III, p. 1870).
328 Valerio Massimo Minale
88 Peter Ghosh, Gibbon’s Timeless Verity, in D. Womersley (ed.), Gibbon: Bicentenary Essays,
Oxford, 1997, pp. 121-163, ma anche John G. A. Pocock, Gibbon’s Decline and Fall and the
World View of Late Enlightenment, in «Eighteenth Century Studies», 10 (1977), pp. 287-303.
89
Peter Ghosh, "Gibbon's Dark Ages”: Some Remarks on the Genesis of the Decline and Fall,
in «Journal of Roman Studies», 73 (1983), pp. 1–23 e Gibbon’s First Thoughts: Rome,
Christianity and the Essai su l’Étude de la Littérature 1758-61, in «Journal of Roman Studies», 85
(1995), pp. 148-164; sul turbine di visioni storiche che il tema quasi naturalmente suscita
rinviamo a Santo Mazzarino, La fine del mondo antico, Milano 1959.
90 È ampiamente noto come nel capitolo quarantaquattresimo egli renda un sicuro
tributo alla civiltà romana tracciando un conciso profilo della storia del diritto, che viene
posto alla base di ogni ordinamento europeo: «[…] the public reason of the Romans has been
silently or studiously transfused into the domestic institutions of Europe, and the laws of Justinian still
command the respect or obedience of independent nations. » [ … La ragion di stato dei Romani è stata
trasfusa, tacitamente o volutamente, nelle costituzioni dei paesi di Europa e le leggi di
Giustiniano s’impongono tuttora al rispetto, o all’obbedienza di nazioni indipendenti.»] (ed.
ital.: II, p. 1661); v. Micheal H. Hoeflich, Edward Gibbon, Roman Lawyer, in «The American
Journal of Comparative Law», 39 (1991), pp. 803-818; ricordiamo inoltre Gustav Hugo,
Edward Gibbon’s historische Übersicht des römischen Rechts, Göttingen, 1789 (a proposito del quale
Joachim Rückert, Rezension zu E. Gibbon, Historische Übersicht des römischen Rechts, übersetzt,
eingeleitet und kommentiert von G. Hugo, mit einem Vorwort und einer Würdigung G. Hugos neu
herausgegeben von O. Behrends, Göttingen 1996, in «Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis», 69,
2001, pp. 174-179). Tuttavia egli mostra un notevole interesse anche riguardo le leggi dei
barbari, nel capitolo trentottesimo (cap. 44, ed. ital.: II, pp. 1382-1392): «The sudest, or the
most servile, condition of human society is regulated by some fixed and general rules.» [«Anche la più
rozza e servile condizione della società umana è governata da regole fisse e generali.»] (cap.
44, ed. ital.: II, p. 1382); la sua fonte è costituita dal giurista Johann Gottlieb Heinecke,
detto Eineccio (Historia iuris Romani et Germanici, 1740; Sintagma antiquitatum Romanum
iurisprudentiam illustrantium, Elementa iuris civilis secundum ordinem Institutionum, 1751; Elementa
iuris civilis secundum ordinem Pandectarum, 1772).
91 Michel Baridon, Edward Gibbon et le mythe de Rome, Paris, 1975, ma anche David P.
Jordan, Gibbon and His Roman Empire, Urbana 1971; v. inoltre John Robertson, Gibbon’s
Roman Empire as a Universal Monarchy: the Decline and Fall and the Imperial Idea in Early Modern
Europe, in Rosamond McKitterick, Roland Quinault (eds), Edward Gibbon and Empire,
Cambridge 1997, pp. 247-270.
92
«Thus, by a singular coincidence, the Germans framed their artless institutions at a time when the
elaborate system of Roman jurisprudence was finally consummated. In the Salic laws, and the Pandects of
Gibbon e la Rus’… 329
Justinian, we may compare the first rudiments, and the full maturity, of civil wisdom; and whatever
prejudices may be suggested in favour of barbarism, our calmer reflections will ascribe to the Romans the
superior advantages, not only of science and reason, but of humanity and justice. Yet the laws of the
barbarians were adapted to their wants and desires, their occupations and their capacity; and they all
contributed to preserve the peace, and promote the improvements, of the society for whose use they were
originally established.» [«Così, per una singolare combinazione, i Germani formarono le loro
semplici istituzioni nel tempo in cui si conduceva all’ultima sua perfezione l’elaborato
sistema della legislazione romana. Possiamo confrontare nelle leggi saliche e nelle Pandette
di Giustiniano, i primi rudimenti e la piena maturità della sapienza giuridica, e per quanto
possiamo essere prevenuti in favore dei barbari, un più pacato esame darà ai Romani la
superiorità non solo della scienza e della ragione, ma anche dell’umanità e della giustizia.
Tuttavia, le leggi dei barbari erano adatte ai loro bisogni e desideri, alle loro occupazioni e
capacità, e tutte contribuivano a conservare la pace e a promuovere il miglioramento della
società per la quale in origine erano state fatte. »] (cap. 38, ed. ital.: II, p. 1383).
93 Walter E. Kaegi, Byzantium and the Decline of Rome, Princeton 1968.
94 Eppure ad un certo punto, parlando della pratica in voga per scegliere la sposa
dell’imperatore di invitare alla reggia da ogni contrada bizantina le più belle fanciulle, usanza
conservata per lunghissimo tempo anche presso la corte russa, Gibbon afferma: «The
Russians, who have borrowed from the Greeks the greatest part of their civil and ecclesiastical policy,
preserved, till the last century, a singular institution in the marriage of the Czar.» [«I Russi, che hanno
preso dai Greci la maggior parte delle loro leggi civili ed ecclesiastiche, avevano conservato
fino al secolo scorso un’usanza singolare in occasione del matrimonio dello zar.»] (cap. 48,
ed. ital.: III, p. 1890). Sull’argomento, in particolare per quanto concerne l’aspetto dello
sviluppo del pensiero legislativo, rinviamo al nostro contributo L’influenza delle fonti normative
bizantine sul sistema giuridico della Rus’: appunti per un’impostazione storico-giuridica della questione, in
«Atti dell’Accademia Pontaniana», 56 (2007), pp. 341-379.
95 «The liberal piety of the Russian princes engaged in their service the most skilful of the Greeks, to
decorate the cities and instruct the inhabitants; the dome and the paintings of St. Sophia were rudely copied
in the churches of Kiow and Novogorod; the writings of the fathers were translated into the Sclavonic idiom;
and three hundred noble youths were invited or compelled to attend the lessons of the college of Jaroslaus. It
should appear that Russia might have derived an early and rapid improvement from her peculiar connection
with the church and state of Constantinople which in that age so justly despised the ignorance of the Latins.»
[«La generosa pietà dei principi russi chiamò i più abili Greci ad abbellire le città e
ammaestrarne gli abitanti. Nelle chiese di Kiev e di Novgorod vennero rozzamente copiati
la cupola e i dipinti di Santa Sofia, gli scritti dei Padri furono tradotti in lingua slava e
330 Valerio Massimo Minale
trecento giovani nobili invitati, o costretti, a frequentare le lezioni della scuola di Jaroslav.
Parrebbe che la Russia abbia tratto per tempo un rapido miglioramento dai suoi particolari
rapporti con la chiesa e lo stato di Costantinopoli, che in quei tempi, e non a torto,
disprezzava l’ignoranza dei Latini.»] (cap. 55, ed. ital.: III, pp. 2278).
96 Per ulteriori approfondimenti v. Antony-Emil N. Tachiaos, Cyril and Methodius of
Thessalonica. The Acculturation of the Slavs, New York 2001 (trad. ital. Cirillo e Metodio. Le radici
della cultura slava, Milano, 2005), oltre a Christianity Among the Slavs: The Heritage of saints Cyril
and Methodius. Acts of the International Congress in Rome, 8-11 October 1985, Roma 1988 e The
Legacy of Saints Cyril and Methodius to Kiev and Moscow, Thessaloniki 1992.
97 «Should I persevere in the same course, should I observe the same measure, a prolix and slender
thread would be spun through many a volume, nor would the patient reader find an adequate reward of
instruction or amusement. At every step, as we sink deeper in the decline and fall of the Eastern empire, the
annals of each succeeding reign would impose a more ungrateful and melancholy task. These annals must
continue to repeat a tedious and uniform tale of weakness and misery; the natural connection of causes and
events would be broken by frequent and hasty transitions, and a minute accumulation of circumstances must
destroy the light and effect of those general pictures which compose the use and ornament of a remote history.»
[«Procedendo nella narrazione della decadenza e caduta dell’impero romano d’Oriente, gli
annali di ogni regno imporrebbero un compito a ogni passo sempre più triste e ingrato.
Questi annali non fanno che ripetere la stessa cosa monotona e uniforme di debolezza e
miseria; la naturale connessione tra cause ed effetti verrebbe interrotta da frequenti e
affrettate digressioni e una massa di minuti particolari distruggerebbe la luce e l’effetto di
quel quadro generale, che forma il pregio e l’ornamento della storia antica.»] (cap. 48, ed.
ital.: III, p. 1867). «But the subjects of the Byzantine empire, who assume and dishonour the names both
of Greeks and Romans, present a dead uniformity of abject vices, which are neither softened by the weakness
of humanity, nor animated by the vigour of memorable crimes.» [«Ma i sudditi dell’impero bizantino,
che prendevano e disonoravano il nome di Greci e di Romani, offrono una monotona
uniformità di vizi abbietti, che non sono attenuati dalla debolezza umana, né animati dal
vigore di delitti memorabili.»] (cap. 48, ed. ital.: III, p. 1868). È inutile ribadire quanto
questo approccio alla storia bizantina risenta di un pregiudizio; pertanto si può condividere
il giudizio di Georg Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino 1968, p. 6 (orig. Geschichte
des byzantinischen Staates, München 1963-): «Dilungarsi oggi per dimostrare l’insostenibilità
dell’interpretazione storiografica […] di Gibbon, sarebbe sfondare una porta aperta».
Gibbon e la Rus’… 331
98 Franco Venturi, Dispotismo orientale, in «Rivista Storica Italiana», 72 (1959), pp. 117-
126 (rec. a Richard Koebner, Despot and Despotism: Vicissitudes of a Political Term, in «Journal
of the Warburg and Courtauld Institutes», 14, 1951, pp. 275-302), ma anche recentemente
Domenico Felice (a cura di), Dispotismo: genesi e sviluppi di un concetto filosofico-politico, Napoli
2001-2002.
99
«But the Byzantine nation was servile, solitary, and verging to an hasty decline; after the fall of
Kiow, the navigation of the Borysthenes was forgotten; the great princes of Wolodomir and Moscow were
separated from the sea and Christendom; and the divided monarchy was oppressed by the ignominy and
blindness of Tartar servitude.» [«Ma il popolo bizantino era schiavo, isolato e in rapido declino.
Dopo la caduta di Kiev, la navigazione del Boristene fu dimenticata, i granduchi di Vladimir
e di Mosca si trovarono separati dal mare e dalla cristianità, e quella monarchia divisa fu
oppressa dall’ignominia e dalla cecità del giogo tartaro.»] (cap. 55, ed. ital.: III p. 2278). «The
Sclavonic and Scandinavian kingdoms, which had been converted by the Latin missionaries, were exposed, it
is true, to the spiritual jurisdiction and temporal claims of the popes; but they were united, in language and
religious worship, with each other, and with Rome; they imbibed the free and generous spirit of the European
republic, and gradually shared the light of knowledge which arose on the Western world.» [«I regni slavi e
scandinavi, convertiti dai missionari latini, fuorno bensì esposti alla giurisdizione spirituale e
alle pretese temporali dei papi, ma essendo uniti per lingua e religione tra loro e con Roma,
assimilarono il libero e nobile spirito della repubblica europea e gradatamente parteciparono
della luce del sapere che illuminò il mondo occidentale.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2278).
Concetti analoghi vengono espressi in maniera incidentale, ma significativa a proposito della
repubblica mercantile di Novgorod Viliki: «Novogorod had not yet deserved the epithet of great, nor
the alliance of the Hanseatic league, which diffused the streams of opulence and the principles of freedom. »
[«Novgorod non aveva ancora meritato l’epiteto di grande, né l’alleanza della lega anseatica
che diffuse le ricchezze e i principi della libertà.»] (cap. 55, ed. ital.: III, p. 2267) (v. per
esempio Thomas S. Noonan, Medieval Russia, the Mongols, and the West: Novgorod’s Relations
with the Baltic, in «Medieval Studies», 37, 1975, pp. 316-339).
100 Parlando di ipotetici barbari (che sarebbero dovuti arrivare dalle immense lande
asiatiche e non dal settentrione germanico) Gibbon scrive: «If a savage conqueror should issue
from the deserts of Tartary, he must repeatedly vanquish the robust peasants of Russia, the numerous armies
of Germany, the gallant nobles of France, and the intrepid freemen of Britain; who, perhaps, might
confederate for their common defence. Should the victorious barbarians carry slavery and desolation as far as
the Atlantic Ocean, ten thousand vessels would transport beyond their pursuit the remains of civilised
society; and Europe would revive and flourish in the American world, which is already filled with her
colonies and institutions.» [«Se dai deserti della Tartaria uscisse un selvaggio conquistatore,
dovrebbe vincere rispettivamente i robusti contadini della Russia, i numerosi eserciti della
Germania, i valorosi nobili della Francia, gl’intrepidi uomini liberi dell’Inghilterra, i quali
tutti potrebbero anche allearsi per la comune salvezza. Quand’anche i barbari vittoriosi
portassero la schiavitù e la desolazione fino all’Oceano Atlantico, diecimila navi
trasporterebbero i resti della società civile fuori del loro potere e l’Europa risorgerebbe e
332 Valerio Massimo Minale
fiorirebbe nell’America, che è già piena delle sue colonie e dei suoi ordinamenti.»] (cap. 38,
ed. ital.: II, p. 1420).
101 «In the ninth, tenth, and eleventh centuries of the Christian era, the reign of the gospel and of the
church was extended over Bulgaria, Hungary, Bohemia, Saxony, Denmark, Norway, Sweden, Poland, and
Russia. […] Yet truth and candour must acknowledge that the conversion of the North imparted many
temporal benefits both to the old and the new Christians. The rage of war, inherent to the human species,
could not be healed by the evangelic precepts of charity and peace; and the ambition of Catholic princes has
renewed in every age the calamities of hostile contention. But the admission of the Barbarians into the pale of
civil and ecclesiastical society delivered Europe from the depredations, by sea and land, of the Normans, the
Hungarians, and the Russians, who learned to spare their brethren and cultivate their possessions. The
establishment of law and order was promoted by the influence of the clergy; and the rudiments of art and
science were introduced into the savage countries of the globe.» [«Nei secoli IX, X e XI dell’era
cristiana, il regno del vangelo e della chiesa si estese alla Bulgaria, Ungheria, Boemia,
Sassonia, Danimarca, Norvegia, Svezia, Polonia e Russia. … Per la verità va però
obiettivamente riconosciuto, che la conversione del Settentrione apportò molti vantaggi
temporali agli antichi e ai nuovi cristiani. Se i precetti di carità e di pace del Vangelo non
poterono estinguere il furore della guerra, connaturata alla specie umana, e se l’ambizione
dei principi cattolici ne ha rinnovato in tutti i secoli la calamità, l’accoglimento dei barbari
nel seno della società civile ed ecclesiastica liberò l’Europa dalle depredazioni operate per
mare e per terra dai Normanni, dagli Ungheri e dai Russi, che appresero a rispettare i loro
simili e a coltivare le loro terre. L’influenza del clero promosse lo stabilimento della legge e
dell’ordine, e l’introduzione in quesi paesi selvaggi dei rudimenti delle arti e delle scienze.»]
(cap. 55, ed. ital.: III, pp. 2277-2278). Per riferimenti bibliografici rinviamo a Richard
Fletcher, The Conversion of Europe, London, 1997, ma anche Roberto S. Lopez, Naissance de
l’Europe, Paris 1962 (trad. it. La nascita dell’Europa. Secoli V- XIV, Torino 1966).
102 Gibbon, dopo una breve fase di avvicinamento al cattolicesimo, a causa del quale
venne inviato dal padre nella calvinista Losanna per un periodo di studio e di
«disinquinamento», rimase per tutta la vita di confessione protestante: questo ha senza
dubbio influito sulla sua visione del cammino del cristianesimo nella storia, salvifico
all’inizio, ma interpretato in maniera necessariamente negativa dalle diverse strutture
Gibbon e la Rus’… 333