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PETRARCA LETTORE

Pratiche e rappresentazioni della lettura


nelle opere dell’umanista

A cura di
Luca Marcozzi

Franco Cesati Editore


Volume pubblicato con il contributo del progetto Prin 2010 Nuove frontiere della
ricerca petrarchesca. Ecdotica, stratificazioni culturali, fortuna, unità locale I copisti
di Petrarca, erogato dal Dipartimento di Storia, Culture e Religioni dell’Università
“Sapienza” di Roma.

ISBN 978-88-7667-593-5

© 2016 proprietà letteraria riservata


Franco Cesati Editore
via Guasti, 2 - 50134 Firenze

In copertina: Andrea del Castagno, Petrarca, Firenze, Galleria degli Uffizi (1450
ca.)

Cover design: ufficio grafico Franco Cesati Editore.

www.francocesatieditore.com - email: info@francocesatieditore.com


INDICE

Abbreviazioni delle opere di Petrarca p. 9

Luca Marcozzi, Premessa » 11

Monica Berté, «Lector, intende: letaberis». La prassi della lettura in Petrarca » 15

Paolo Rigo, Dire “legere”: pratica, effetti e metafore della lettura


nel Petrarca latino » 41

Lorenzo Geri, Petrarca «lector vagus» » 59

Philippe Guérin, La lettura, “pars prima dialogi”? » 79

Luca Marcozzi, Petrarca lettore di se stesso » 97

Sabrina Stroppa, Munus, lenimen, reliquia: le Familiari di Petrarca


lette dai loro destinatari » 113

Theodore J. Cachey Jr., Il lettore in viaggio con Francesco Petrarca » 143

Romana Brovia, Interno con poeta che legge. Rappresentazioni e


autorappresentazioni di Petrarca lettore » 157

Enrico Fenzi, Bucolicum carmen XII: Conflictatio Collocutores Multivolus


et Volucer » 175

7
Franco Suitner, Le citazioni della canzone 70: testo, lettura e significato » 217

Maurizio Fiorilla, Marco Cursi, La fortuna di Petrarca lettore dei classici:


il caso del Vaticano Latino 9305 e altri postillati apografi » 227

Carlo Pulsoni, Lettori di Petrarca nel Quattrocento » 259

Indice dei nomi » 273

8
MAURIZIO FIORILLA, MARCO CURSI

LA FORTUNA DI PETRARCA LETTORE DEI CLASSICI:


IL CASO DEL VATICANO LATINO 9305
E ALTRI POSTILLATI APOGRAFI*

1. Le note lasciate da Francesco Petrarca in margine ai testi classici della sua bi-
blioteca hanno avuto una grande diffusione nella tradizione manoscritta dopo la sua
morte. Già a partire dall’ultimo quarto del Trecento e poi nel Quattrocento, le postil-
le presenti nei suoi esemplari di lettura passarono – interamente o parzialmente – in
diversi codici, copiate insieme al testo probabilmente anche su specifica richiesta dei
committenti. In questo senso la fortuna di Petrarca appare fenomeno – anche per pro-
porzioni – unico nella letteratura europea e dimostra la grande e immediata influenza
del suo magistero culturale, esercitato non solo attraverso i suoi scritti ma anche trami-
te la capacità di leggere in profondità gli autori antichi, producendo riflessioni, giudizi,
confronti, dubbi e restauri testuali. In prospettiva filologica, il recupero di manoscritti
che trasmettono in copia i marginalia di Petrarca è importante soprattutto per ricostru-
irne il lavoro allo scrittoio nei casi in cui non disponiamo più dell’originale, o in quelli
in cui le sue annotazioni autografe non siano più perfettamente leggibili.
Una delle prime segnalazioni è rintracciabile nel volume Pétrarque et l’Humani-
sme di Pierre de Nolhac. Nel capitolo dedicato agli storici latini, lo studioso france-
se individuò la presenza di annotazioni di provenienza petrarchesca nel codice IV
C 32 della Biblioteca Nazionale di Napoli, esemplato nel XV secolo e contenente le
Periochae livianae; era stato del resto lo stesso copista a dichiararlo, forse anche per
rivendicare il pregio e il valore del suo esemplare: «Incipit abreviatio quedam quam
inveni in codice vetustissime litere manibus olim Petrarce lectam et postillatam»1.
Le pagine di Nolhac furono riprese nel 1904 da Remigio Sabbadini, che confermò
questa attribuzione anche sulla base dell’esame di alcune postille, che a prima vista

*
I §§ 1 e 2 sono di Maurizio Fiorilla, i §§ 3 e 4 di Marco Cursi, ma il lavoro è stato condotto
in stretta collaborazione.
1
PIERRE DE NOLHAC, Pétrarque et l’humanisme, I-II, Paris, Champion, 19072, II, pp. 36-37.

227
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

– per formulazione, contenuto e rinvii interni ad altri autori (soprattutto Cicerone e


Valerio Massimo) – apparvero allo studioso compatibili con note autografe lasciate
da Petrarca in altri codici2. Nel 1950 Ugo Lepore, pur dando credito al copista per
quel riguardava la provenienza petrarchesca del testo del codice, mise in dubbio
tuttavia l’assegnazione delle note marginali a Petrarca, attribuendole tutte all’inge-
gno di Gasparino Barzizza, possessore del manoscritto3. Successivamente Michael
Reeve ha individuato però all’interno del codice perlomeno un nucleo di postille
con ogni probabilità discendenti dall’esemplare petrarchesco4.
Nel 1911 Berthold Ullman identificò nel ms. Plut. 36, 49 della Biblioteca Me-
dicea Laurenziana (sec. XIV) una copia fedele del codice con le Elegie di Proper-
zio letto e annotato da Petrarca5. Si tratta del codice fatto esemplare da Lombardo
Della Seta6 per Coluccio Salutati, che nel 1375 aveva scritto a Gasparo Scuaro de’
Broaspini chiedendogli proprio una copia del Properzio di Petrarca. Oltre alle
note derivate dall’esemplare petrarchesco, nel codice compaiono infatti anche po-
stille di Lombardo e Coluccio. Si tenga conto che per lungo tempo è stata messa

2
REMIGIO SABBADINI, Le Periochae livianae del Petrarca possedute dal Barzizza?, in Miscellanea
di studi storici e ricerche critico-bibliografiche, raccolta per cura della Società Storica Lombarda
ricorrendo il sesto centenario della nascita del poeta, Milano, Hoepli, 1904, pp. 193-201.
3
UGO LEPORE, Postille petrarchesche o note del Barzizza (Cod. Napol. IV C 32 delle Periochae
liviane), in «Giornale Italiano di Filologia», III (1950), 4, pp. 342-351.
4
MICHAEL D. REEVE, Recovering Annotations by Petrarch, in Il Petrarca latino e le origini
dell’Umanesimo. Atti del Convegno Internazionale, Firenze 19-22 maggio 1991, numero mono-
grafico dei «Quaderni petrarcheschi», IX-X (1992-93 [ma 1996]), pp. 333-348, pp. 334-341; vd.
anche VINCENZO FERA, La filologia del Petrarca e i fondamenti della filologia umanistica, ivi, pp. 367-
391, p. 388 n. 49; MICHELE FEO, Francesco Petrarca, in Storia della letteratura italiana, diretta da E.
MALATO, Roma, Salerno Editrice, X, 2002, pp. 271-329, p. 326 n° 8*; ID., La biblioteca, in Petrarca
nel tempo. Tradizione lettori e immagini delle opere. Catalogo della mostra Arezzo, Sottochiesa di
S. Francesco, 22 novembre 2003-27 gennaio 2004, a cura di ID., Pontedera, Bandecchi & Vivaldi,
2003, pp. 457-516, p. 492 n° 8*.
5
BERTHOLD L. ULLMAN, The manuscripts of Propertius, in «Classical Philology», VI (1911),
pp. 282-301; ID., Petrarch’s acquaintance with Catullus, Tibullus, Propertius, in ID., Studies in Ita-
lian Renaissance, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 19732, pp. 177-196, pp. 181-189; vd.
poi SILVIA RIZZO, Il Properzio di Coluccio Salutati, in Codici latini del Petrarca nelle biblioteche
fiorentine. Mostra 19 Maggio-30 Giugno 1991, catalogo a cura di M. FEO, Firenze, Le Lettere,
1994, pp. 16-19 n° 4; FEO, Francesco Petrarca, cit., p. 322 n° 11*; ID., La biblioteca, cit., 464 n. 12*;
MARCO PETOLETTI, Catullo, Properzio e Tibullo nella biblioteca di Francesco Petrarca, in Manoscritti
e libri a stampa della Biblioteca Ambrosiana, a cura di M. BALLARINI, G. FRASSO e C. M. MONTI,
presentazione di G. RAVASI, Milano, Libri Scheiwiller, 2004, pp. 102-105 ni 25-26 (con la biblio-
grafia precedente); da ultimo vd. la scheda di GIOVANNI FIESOLI, in Coluccio Salutati. L’invenzione
dell’Umanesimo, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 2 novembre 2008-30 gennaio 2009, a
cura di T. DE ROBERTIS, G. TANTURLI, S. ZAMPONI, Firenze, Mandragora, 2008, pp. 246-248 n° 65.
6
Correggo qui quanto da me sostenuto in altra sede, in cui – per un lapsus – avevo assegnato
erroneamente alla mano di Lombardo Della Seta la scrittura del testo di Properzio: vd. MAURIZIO
FIORILLA, I classici nel Canzoniere. Note di lettura e scrittura poetica in Petrarca, Roma-Padova,
Antenore, 2012, p. 59.

228
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

in dubbio una conoscenza diretta di Properzio da parte di Petrarca. Dopo che Ul-
lman dimostrò l’illustre provenienza delle note di lettura del Laur. Plut. 36, 49, gli
studi di Guido Martellotti, Francisco Rico e Natascia Tonelli hanno fatto emergere
quanto invece la lettura di Properzio sia stata fonte di ispirazione per Petrarca, in
particolare per i Rerum vulgarium fragmenta, non solo sul piano intertestuale ma
anche su quello narrativo-strutturale del Canzoniere, in genere ricondotto ad una
tradizione prevalentemente romanza7.
Un impulso decisivo agli studi sulle postille apografe di Petrarca si deve ai
contributi di Giuseppe Billanovich, che hanno aperto la strada nel tempo a nu-
merose nuove scoperte. Nel 1946 lo studioso identificò nel Palatino Latino 1820
della Biblioteca Apostolica Vaticana (a. 1394) una copia dell’esemplare petrarche-
sco con le orazioni ciceroniane (di cui non è conservato l’originale),8 mentre nel
1954 riportò alla luce due copie indipendenti (risalenti al XV secolo) del perduto
manoscritto in cui Petrarca leggeva l’Eusebio-Girolamo-pseudoProspero (il ms.
294 della Biblioteca Classense di Ravenna e il ms. 83 23 Aug. fol. dell’Herzog Au-
gust Bibliothek di Wolfenbüttel)9. Nel 1958 individuò diversi codici in cui furono
copiate le note di Petrarca ai geografi latini minori, richiamando particolarmente
l’attenzione sul ms. H 14 inf. della Biblioteca Ambrosiana di Milano (sec. XIVex-
XVin), la copia più autorevole e completa del perduto originale petrarchesco.
Questa scoperta è stata di grande importanza, perché, oltre a consentire oggi la
ricostruzione delle letture petrarchesche su autori come Pomponio Mela e Vi-
bio Sequestre (il codice Ambrosiano contiene però anche altri testi geografici e
l’Aulularia Plauti sive Querolus), permise allo studioso di riconoscere a Petrarca
il merito di aver riscoperto e riportato in Italia opere come il De Chorographia e
il De fluminibus (presenti solo nelle biblioteche francesi e quindi ignoti fino al
XIV al secolo al di qua delle Alpi) e di averne contemporaneamente allargato la
circolazione ad altri intellettuali del suo ambiente (come Giovanni Boccaccio e
Guglielmo da Pastrengo)10. Le note petrarchesche sono state copiate – sebbene

7
GUIDO MARTELLOTTI, Precisazioni intorno alla decima egloga [1972], in ID., Scritti petrar-
cheschi, a cura di M. FEO e S. RIZZO, Padova, Antenore, 1983. pp. 384-402, pp. 388-395; F. RICO,
Prólogos al Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta, I-III), in «Annali della scuola superiore di
Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», s. III, XVIII (1988), 3, pp. 1071-1104; NATASCIA TONELLI, Pe-
trarca, Properzio e la struttura del Canzoniere, in «Rinascimento», XXXVIII (1998), pp. 249-315;
da ultimo vd. anche FIORILLA, I classici nel Canzoniere, cit., pp. 59-63.
8
GIUSEPPE BILLANOVICH, Petrarca e Cicerone, in Miscellanea Giovanni Mercati, vol. IV, Città
del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1946, pp. 88-106 (poi in ID., Petrarca e il primo Uma-
nesimo, Padova, Antenore, 1996, pp. 97-116, da cui si cita). Vd. poi FEO, La biblioteca, cit., 461 n. 5*.
9
GIUSEPPE BILLANOVICH, Un nuovo esempio delle scoperte e delle letture del Petrarca. “L’Euse-
bio-Girolamo-PseudoProspero”, Krefeld, Scherpe, 1954 (poi in ID., Petrarca e il primo Umanesimo,
cit., pp. 187-236). Vd. poi FEO, Francesco Petrarca, cit., p. 325 n° 1; ID., La biblioteca, cit., 488 n° 1.
10
GIUSEPPE BILLANOVICH, Dall’antica Ravenna alle biblioteche umanistiche, in «Aevum», XXX
(1956), 1, pp. 319-353; ID., Ancora dall’antica Ravenna alle biblioteche umanistiche, in «Italia me-

229
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

riportate con minor diligenza rispetto all’Ambr. H 14 inf., anche in altri codici del
XV secolo11.
Altre importanti scoperte si sono susseguite negli anni successivi. Sono state
progressivamente individuate copie dei perduti codici in cui Petrarca leggeva il De
Architectura di Vitruvio12, la Vita e le Commedie di Terenzio13, l’Epitome di Floro e le

dioevale e umanistica», XXVI (1993), pp. 107-174 (poi in Dal Medioevo all’Umanesimo, a cura
di P. PELLEGRINI, Milano, CUSL, 2001, pp. 25-95). Per una descrizione e altre notizie sul codice
Ambrosiano H 14 inf. vd. poi almeno: MIRELLA FERRARI, Fra i «latini scriptores» di Pier Candido
Decembrio e biblioteche umanistiche milanesi: codici di Vitruvio e Quintiliano, in Vestigia. Studi
in onore di Giuseppe Billanovich, a cura di R. AVESANI, M. FERRARI, T. FOFFANO, G. FRASSO, A.
SOTTILI, I-II, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1984, I, pp. 282-288; CARLA MARIA MONTI, I
Geografi latini minori postillati dal Petrarca in un codice di Giovanni Corvini, in Francesco Petrarca.
Manoscritti e libri a stampa, cit., pp. 106-107 n° 27; FEO, Francesco Petrarca, cit., p. 323 n° 18*;
ID., La biblioteca, cit., 471 n° 19*. Per l’esame di alcune annotazioni del codice vd. BILLANOVICH,
Ancora dall’antica Ravenna, cit., pp. 140-156; ID., Tra Dante e Petrarca, in «Italia medioevale e
umanistica», VIII (1965), pp. 1-44, p. 33; ID., Petrarca e il Ventoso, in «Italia medioevale e uma-
nistica», IX 1966, pp. 389-401 (poi in ID., Petrarca e il primo umanesimo, cit., pp. 168-184), pp.
391-392; VINCENZO FERA, La revisione petrarchesca dell’Africa, Messina, Centro di studi umanistici,
1984, pp. 371-374; CARLA MARIA MONTI, Mirabilia e geografia nel Canzoniere: Pomponio Mela e
Vibio Sequestre (Rvf CXXXV e CXLVIII), in «Studi petrarcheschi», n. s., VI (1989), pp. 91-123;
FRANCESCO PETRARCA, Le postille del Virgilio Ambrosiano, a cura di M. BAGLIO, A. NEBULONI TESTA,
M. PETOLETTI, I-II, Roma-Padova, Antenore, 2006, I, pp. 63 n. 4, 64 n. 8, 81 n. 60, 91 n. 91, 227,
243, 262, 267-268, 270, 286, 311, 325, 332, 360, 398, 408, 41, vol. II, pp. 476, 567-568, 591-592,
598, 605-606, 617, 665, 784, 867, 917, 939-940; CATERINA MALTA, La Vita di Giasone del Petrarca,
in Petrarca e il mondo greco. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Reggio Calabria, 26-30 no-
vembre 2001), a cura di M. FEO, V. FERA, P. MEGNA, A. ROLLO, numero monografico di «Quaderni
petrarcheschi», XII-XIII (2002-2003 [ma 2007]), pp. 155-184, pp. 172-176 nn. 51-53; MARCO
PETOLETTI, «signa manus mee». Percorso tra postille e opere di Francesco Petrarca, in L’antiche e
le moderne carte. Studi in memoria di Giuseppe Billanovich, a cura di A. MANFREDI, C. M. MONTI,
Roma-Padova, Antenore, 2007, pp. 451-497, pp. 453-454 n. 8; MAURIZIO FIORILLA, Postille a Pom-
ponio Mela tra Petrarca e Guglielmo da Pastrengo, in «L’Ellisse», III (2008), pp. 11-25; ID., Arte
dell’imitatio nei Rerum vulgarium fragmenta, in Petrarca, l’Umanesimo e la civiltà europea. Atti del
Convegno di Studi, Università degli Studi di Firenze, 5-10 dicembre 2004, a cura di D. COPPINI,
I-II, numero monografico dei «Quaderni petrarcheschi», XVII-XVIII (2007-2008 [ma 2012]), II,
pp. 943-960, pp. 951-960; ID., I Classici nel Canzoniere, cit., pp. 83-105.
11
Per un prospetto completo si rimanda a BILLANOVICH, Dall’antica Ravenna, cit., pp. 340, 344;
ID., Ancora dall’antica Ravenna, cit., pp. 142-145, 153; POMPONII MELAE De chorographia libri tres, in-
troduzione, edizione critica e commento a cura di P. PARRONI, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
1984, pp. 58-59, 62, 64-67, 69-71, 80. Per due apografi del De chorographia discesi con ogni proba-
bilità da un altro esemplare di Pomponio Mela passato sullo scrittorio di Petrarca, vd. qui nota 18.
12
Il ms. Auct E. 5. 7 della Bodleian Library di Oxford (sec. XV); vd. LUCIA A. CIAPPONI, Il De
Architectura di Vitruvio nel primo Umanesimo (dal ms. Bodl. Auct. E. 5. 7), in «Italia medioevale
e umanistica», III (1960), pp. 59-99; vd. poi FEO, Francesco Petrarca, cit., p. 323 n. 21*; ID., La
biblioteca, cit., 471 n. 22*.
13
Aldo Rossi ha individuato quattro testimoni (Parma, Biblioteca Palatina, Parm. 1661; Lon-
don, British Library, Harley 2525; München, Bayerische Staatsbibliothek, Lat. 258; Wolfenbüttel,
Herzog August Bibliothek, 56 3 2 Aug. 4), a suo avviso discendenti dal manoscritto che Petrarca

230
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

Periochae14, il corpus filosofico ciceroniano15, il De lingua latina di Varrone16; sono sta-


ti inoltre segnalati altri apografi delle orazioni ciceroniane17 e del De chorographia di
Pomponio Mela18; è ancora da approfondire la preziosa segnalazione di un possibile

avrebbe copiato nel 1358; vd. ALDO ROSSI, Un inedito del Petrarca: il Terenzio, in «Paragone», XV
(1964), 170, pp. 3-23; vd. poi FEO, Francesco Petrarca, cit., p. 325 n° 3; ID., La biblioteca, cit., 494 n°
3. L’ipotesi di Rossi è stata però smentita da Claudia Villa (vd. il suo Petrarca e Terenzio, in «Studi
petrarcheschi», n. s., VI (1989), pp. 1-22, pp. 4-9), che ha invece sottolineato l’importanza del ma-
noscritto Par. lat. 10305, copia di un codice di Petrarca secondo una nota a c. 112v (vd. CLAUDIA
VILLA, La «lectura Terentii». I. Da Ildemaro a Francesco Petrarca, Padova, Antenore, 1984, pp. 213
e 403; vd. poi PETOLETTI in PETRARCA, Le postille del Virgilio Ambrosiano, cit., vol. I, p. 120 n. 73;
IÑIGO RUIZ ARZÁLLUZ, La Vita Terrentii de Petrarca, Roma-Padova, Antenore, 2010, p. 132; ID.,
Petrarca, el texto de Terencio y Pietro da Moglio, in Petrarca, l’Umanesimo, cit., vol. II, pp. 765-807.
14
Il ms. Pal. Lat. 895 della Biblioteca Apostolica Vaticana (a. 1396); la segnalazione si deve
ad Augusto Campana: vd. MICHELE FEO, «Pallida no ma più che neve bianca», in «Giornale Storico
della Letteratura Italiana», CLII (1975), pp. 321-361, pp. 335-336; vd. poi ÉLISABETH PELLEGRIN,
Manuscrits de Pétrarque à la Bibliothèque vaticane: supplément au catalogue de Vattasso, in «Ita-
lia medioevale e umanistica», XIX (1975), pp. 493-497, p. 494; REEVE, Recovering, pp. 335-336;
MONICA BERTÉ, Floro (3, 10, 26) e Petrarca: un esempio di riscrittura, in «Rivista di Filologia e di
istruzione classica» n. s., CXXVIII (2000), 1, pp. 56-91, pp. 83-84 n. 2; FEO, Francesco Petrarca,
cit., p. 321 n° 2*; ID., La biblioteca, cit., 461 n° 2*.
15
Il ms. 9116 della Biblioteca Nacional di Madrid (sec. XIV2); vd LEIGHTON DURHAM
REYNOLDS, The trasmission of the De finibus, in «Italia medioevale e umanistica», XXXV (1992),
pp. 1-30; ID., Petrarch and a Renaissance corpus of Cicero’s philosophica, in Formative stages of clas-
sical traditions: latin texts from antiquity to Renaissance. Proceedings of a conference held in Erice
(16-22 oct. 1993), ed. by O. PECERE and M. D. REEVE, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto
medioevo, 1995, pp. 409-433; vd. poi FEO, Francesco Petrarca, cit., p. 322 n° 16*; ID., La biblioteca,
cit., 471 n° 17*.
16
Il ms. IV A 2 della Biblioteca Nazionale di Napoli (sec. XIVex) e il ms. F IV 13 dell’Uni-
versitätsbibliothek di Basilea (sec. XV2); vd. GIORGIO PIRAS, Nuove testimonianze dalla biblioteca di
Petrarca: le annotazioni al De lingua latina di Varrone, in Petrarca, l’Umanesimo, cit., vol. II, pp. 828-
856; vd. anche FEO, Francesco Petrarca, cit., p. 325 n° 4; ID., La biblioteca, cit., 494 n° 4.
17
Diversi esemplari della fine del XIV e del XV secolo trasmettono postille petrarchesche: vd.
almeno SILVIA RIZZO, La tradizione manoscritta della Pro Cluentio di Cicerone, Genova, Istituto di
Filologia classica e medievale, 1979, pp. 23-43 e 125-131; EAD., Catalogo dei codici della Pro Cluentio
ciceroniana, Genova, Istituto di Filologia classica e medievale, 1983, pp. 30-31 n° 8, 76-77 n° 55, 100-
101 n° 81, 102-103 n° 84, 104 n° 86, 110-111 n° 95, 119-121 ni 104-106, 122 n° 108, 125-127 n° 112,
132 n° 121, 135-136 n° 125, 139-141 n° 129, 162-163 n° 150; REEVE, Recovering, pp. 341-348; FEO,
Francesco Petrarca, cit., p. 325 n° 2; ID., La biblioteca, cit., 494 n° 2; MONICA BERTÉ, Petrarca, Salutati
e le orazioni di Cicerone, in Manoscritti e lettori di Cicerone tra Medioevo ed Umanesimo. Atti del III
Simposio Ciceroniano (Arpino, 7 maggio 2010), a cura di P. DE PAOLIS, Cassino, Università degli
Studi di Cassino e del Lazio Meridionale (Dipartimento di Lettere e Filosofia), 2012, pp. 21-52; EAD.,
Tracce della biblioteca ciceroniana di Petrarca, in «L’Ellisse», VIII (2012), pp. 9-42.
18
Si tratta di due codici gemelli che tramandano un corpus di postille derivate con ogni pro-
babilità da un secondo esemplare di lettura petrarchesco (differente da quello da cui è disceso il
manoscritto Ambrosiano H 14 inf., vd. sopra): il ms. Lat. 4832 della Bibliothèque Nationale de
France (sec. XIVex-XVin) e il ms. 279 della Biblioteca Classense di Ravenna (1448-1449); vd.
FIORILLA, Postille a Pomponio Mela, cit., pp. 13-25.

231
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

apografo petrarchesco delle Lettere di Plinio il Giovane19. Di notevole importanza


sono in certi casi anche le scoperte di apografi di manoscritti di cui si è giunto l’ori-
ginale, come il corpus delle opere di Apuleio20, la Naturalis historia di Plinio21 o l’Hi-
storia Augusta22, e questo non solo a testimonianza della fortuna delle annotazioni
petrarchesche. Il Parigino Italiano 6802, manoscritto pliniano acquistato da Petrarca
a Mantova nel 1350 e da lui fittamente postillato, ha subìto ad esempio una rifila-
tura nei margini che rende in parte illeggibili le annotazioni vergate nei margini più
esterni (ricostruibili solo per congettura); la copia apografa del codice, il ms. BPL 6
della Biblioteca Universitaria di Leida, eseguita nel 1382 da Georgius de Brega (che
ha però riportato solo parzialmente il corpus di annotazioni), essendo anteriore alla
rifilatura, restituisce le postille in versione integrale23. Un nuovo possibile apografo
di un perduto esemplare virgiliano appartenuto a Petrarca e da lui annotato verrà
per la prima volta segnalato nell’ultima parte di questo contributo (vd. infra, § 4)24.

2. In questo intervento abbiamo scelto di concentrare la nostra attenzione sul ms.


Vat. Lat. 9305 della Biblioteca Apostolica Vaticana, uno degli apografi petrarcheschi
che conserva le orazioni ciceroniane (Pro lege Manilia, Pro Milone, Pro Plancio, Pro
Sulla, Pro Archia, Pro Marcello, Pro Ligario, Pro rege Deiotaro, Pro Cluentio, Pro Quin-
ctio, Pro Flacco, Post reditum ad Quirites). Si tratta di un manoscritto tardo trecente-
sco, su cui ha richiamato l’attenzione Silvia Rizzo, segnalando per la prima volta la pre-

19
Il ms. Plut. 47, 37 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (sec. XV); vd. FERA, La
filologia del Petrarca, cit., pp. 389-391.
20
Il ms. Ottoboniano Latino 2091 della Biblioteca Apostolica Vaticana (sec. XIV), apografo
del Vaticano Latino 2193); vd. CATERINA TRISTANO, Le postille del Petrarca nel Vaticano lat. 2193
(Apuleio, Frontino, Vegezio, Palladio), in «Italia medioevale e umanistica», XVII (1974), pp. 365-
468, a p. 371.
21
Il ms. BPL 6 della Biblioteca Universitaria di Leida (apografo del Parigino Latino 6802, su
cui vd. anche qui nota 80); vd. HERMANN WALTER, Per il codice BPL 6 (Plinius, ‘Naturalis historia’)
della Biblioteca Universitaria di Leida, in «Studi umanistici piceni», XXVI (2006), pp. 115-27;
GIULIA PERUCCHI, Le postille di Petrarca a Plinio nel ms. Leiden, BPL 6, in «Atti e memorie dell’Ac-
cademia toscana di scienze e di lettere “La Colombaria”», n.s., LXXV (2010), pp. 67-116; MARCO
PETOLETTI, in MIRELLA FERRARI-MARCO PETOLETTI, L’opera, l’autore e la scrittura, in Petrarca, l’U-
manesimo, cit, vol. II, pp. 577-603, pp. 581 n. 2, 584, 591.
22
Il ms. A 269 della Biblioteca Ambrosiana di Milano (sec. XV2), in cui sono state copiate
alcune delle postille lasciate da Petrarca in margine al ms. Parigino Latino 5816); vd. MARCO PETO-
LETTI, Vicende, lettori e tradizioni di storici latini in codici Ambrosiani, in Nuove ricerche su codici in
scrittura latina dell’Ambrosiana. Atti del Convegno Milano, 6-7 ottobre 2005, a cura di M. FERRARI,
M. NAVONI, Milano, Vita & Pensiero, 2007, pp. 281-305, pp. 297-299.
23
Vd. PERUCCHI, Le postille di Petrarca a Plinio, cit.; FIORILLA, I classici nel Canzoniere, cit.,
pp. 120-121.
24
Sugli apografi petrarcheschi vd. da ultimo MONICA BERTÉ, MARCO PETOLETTI, STEFANO ZAM-
PONI, Petrarca, Francesco, in Autografi dei letterati italiani. Le Origini e il Trecento, II, a cura di G.
BRUNETTI, M. FIORILLA, M. PETOLETTI, Roma, Salerno Editrice, i.c.s.

232
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

senza di annotazioni di provenienza petrarchesca25. Il copista del codice ha riprodotto


fedelmente il corredo marginale petrarchesco anche a livello grafico, al punto che – a
prima vista – si ha l’impressione di trovarsi di fronte a postille autografe. Oltre alle
note di lettura, sono stati riportati nei margini anche i segni figurati di Petrarca (come
maniculae e graffe), assenti invece nel Vat. Pal. lat. 1820 (vd. qui § 1); la stessa dispo-
sizione delle postille (incorniciate con disegni stilizzati) riflette usi tipici del sistema
di annotazione di Petrarca (vd. Tavv. 1a, 1b, 6b, 7, 8a); lo scrivente ha inoltre cercato
di riprendere e imitare i tratti tipici della grafia petrarchesca (vd. qui § 3). Nel codice
sono infine presenti disegni marginali di piccole dimensioni – dotati di una qualche
ambizione figurativa – forse anche questi provenienti dall’antigrafo petrarchesco26.
Il Vat. Lat. 9305, insieme ad altri apografi, reca diverse annotazioni di notevole
interesse, che non ci sono giunte in versione autografa. Per prima cosa varrà la pena
ricordare una postilla già molto nota agli studiosi e oggetto di riflessioni critiche:
«Alexandri suspirium»27. La nota di lettura, accompagnata nel margine sinistro da
una graffa a forma di fiorellino (tipica del sistema di annotazione petrarchesco)28,
chiosa il seguente passo della Pro Archia (c. 49r, Tavv. 1a e 6b): «Atque his [is
ed.] tamen, cum in Sigeo ad Achillis tumulum astitisset: “O fortunate»”, inquit,
“adulescens, qui tue virtutis preconem Homerum inveneras” [Homerum praeco-
nem inveneris ed.]»29; nel margine destro compare anche una manicula seguita dai
notabilia «Achilles» e «Homerus». Il testo ciceroniano ritrae Alessandro Magno
che, davanti alla tomba di Achille, invidia all’eroe greco le lodi di Omero che lo
hanno reso immortale. Il sospiro di Alessandro Magno, cui fa riferimento la nota
petrarchesca, è in realtà assente nel racconto ciceroniano, ma si ritrova già nella
tradizione medievale30. Riprendendo nella prima quartina del sonetto CLXXXVII

25
SILVIA RIZZO, Apparati ciceroniani e congetture del Petrarca, in «Rivista di filologia e di istru-
zione classica», CIII (1975), pp. 5-15, a p. 6 n. 5 e p. 7 e sgg.; EAD., La tradizione manoscritta, cit.,
27-42 e 145-131; EAD., Catalogo, cit., pp. 162-163 n° 150.
26
Sui disegni del codice vd. MAURIZIO FIORILLA, Marginalia figurati nei codici di Petrarca,
Firenze, Olschki, 2005, pp. 31-33.
27
La nota, trasmessa anche dal Vat. Pal. Lat. 1820, è stata per la prima volta segnalata da
Billanovich (vd. il suo Petrarca e Cicerone, cit, p. 103).
28
Vd. FIORILLA, Marginalia figurati, cit., pp. 23-25.
29
Qui – come nei casi che seguono – il testo ciceroniano è stato riportato secondo la lezione
del codice Vaticano, con segnalazione in parentesi quadre delle lezioni promosse a testo nelle
moderne edizioni ciceroniane.
30
Vd. ad esempio il V capitolo del De nugis curialium di Walter Map (attivo nella seconda
metà del XII secolo): «Alexander Macedo subacti sibi mundi calumpniatus angustias, viso tamen
Achillis tumulo suspirans ait: “Felicem te, iuvenis, qui tanto frueris precone meritorum”, Home-
rum intelligens. Hic magnus Alexander michi testis est, quod multi secundum scriptorum vivunt
interpretacionem, quicunque meruerunt inter homines vivere post mortem. Sed quid sibi volue-
runt Alexandri suspiria?» (Alessandro nel Medioevo occidentale, a cura di P. BOITANI, C. BOLOGNA,
A. CIPOLLA, M. LIBORIO, introduzione di P. DRONKE, [Roma]-Milano, Fondazione Lorenzo Valla-
Mondadori, 1997, pp. 24-28 e 498-501).

233
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

dei Rerum vulgarium fragmenta il passo di Cicerone, Petrarca ha reso più espressi-
va l’asciutta ed essenziale narrazione della Pro Archia aggiungendo il «sospirando»
della tradizione latina medievale, ricordandosi forse della sua postilla: «Giunto
Alexandro a la famosa tomba / del fero Achille, sospirando disse: / O fortunato,
ché sì chiara tromba / trovasti, et chi di te sì alto scrisse!»31. L’annotazione trasmes-
sa dal Vat. Lat. 9305, oltre a testimoniarci – insieme ai segni di attenzione figurati
– l’interesse petrarchesco per questo passo ciceroniano, si configura come testo
intermedio tra la fonte classica e la sua ritraduzione lirica nel Canzoniere (il sospiro
di Alessandro ritornerà poi anche in altre opere e postille di Petrarca)32.
Saranno riesaminate ora due annotazioni di particolare interesse presenti in
margine alla Pro Plancio. È bene ricordare preliminarmente che questa fa parte del
gruppo delle quattro orazioni che Petrarca ottenne da Lapo da Castiglionchio. In
una lettera del 6 gennaio del 1351, Petrarca chiese in prestito al giurista fiorentino
un codice contenente la Pro lege Manilia, la Pro Plancio e la Pro Sulla, inviandogli in
cambio la Pro Archia, da lui riscoperta a Liegi (vd. Var., 45); ricevette il manoscritto
qualche mese dopo, insieme ad una quarta orazione, la Pro Milone (vd. Fam., VII
16). Il codice fu restituito a Lapo dopo quattro anni; Petrarca lamentava infatti l’im-
possibilità di trovare copisti in grado di trascriverlo e alla fine decise di provvedere
personalmente alla copia delle quattro orazioni (vd. Fam., XVIII 11 e 12)33.
Si prenda ora il seguente passo della Pro Plancio (nella versione del Vat. Lat.
9305 e del Vat. Pal. Lat. 1820): «Nam quas tu commemoras, Cassi, legere te solere
orationes, cum otiosus sis, has ego scripsi rudis et ferus [ludis et feriis ed.], ne om-
nino umquam essem otiosus» (Planc., 66). I codici più antichi recano la corretta
lezione ludis et feriis (‘nei giorni dei giochi e in quelli di sospensione delle attività’),
là dove l’esemplare di derivazione petrarchesca presenta rudis et ferus (‘rozzo e
selvaggio’). Come già rilevato da Billanovich, nel codice di Lapo da Castiglion-
chio, di cui possediamo una copia, il ms. Laurenziano S. Croce XXIII sin. 334, Pe-
trarca leggeva l’incongrua lezione ludis et ferus, che lo portò con ogni probabilità

31
Vd. almeno VINCENZO FERA, I sonetti CLXXXVI e CLXXXVII, in «Lectura Petrarce», VIII (1987),
pp. 219-243, pp. 233-237; ENRICO FENZI, Grandi infelici: Alessandro e Cesare, in ID., Firenze, Cad-
mo, 2003, pp. 469-493; FIORILLA, I classici nel Canzoniere, cit., pp. 144-147.
32
Vd. Coll. laur., 17-18; Fam., IV 3 13; Rem., II 25; Ign., 113. In una postilla all’Iliade (I 352)
vergata nel margine del Parigino Latino 7880, Petrarca condenserà ancora nella frase «illud nobile
suspirium Alexandri», l’allusione all’episodio di Alessandro (vd. da ultimo FIORILLA, I classici nel
Canzoniere, cit., pp. 145-146).
33
Vd. almeno BILLANOVICH, Petrarca e Cicerone, cit., p. 109; RIZZO, Apparati ciceroniani, cit.,
p. 6; da ultimo, in questo stesso volume, MONICA BERTÉ, «Lector, intende: letaberis». La prassi della
lettura in Petrarca, pp. 25-26. Sono per Petrarca anni di lavoro intenso sulle opere di Cicerone,
come dimostrano le note: vd. almeno SILVIA RIZZO, Un nuovo codice delle Tusculanae della biblio-
teca del Petrarca, in «Ciceroniana», n.s., IX (1996), pp. 75-104.
34
Sul codice vd. da ultimo (con la bibliografia precedente) BERTÉ, Petrarca, Salutati, cit. pp.
30-31 e 37-50.

234
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

a congetturare rudis et ferus. Lasciò poi in margine la postilla Nota pro scriptore
presentium, trasmessa dal nostro Vat. Lat. 9305 (insieme al Vat. Pal. Lat. 1820 e
altri manoscritti)35. Secondo Billanovich, la nota testimonierebbe l’attenzione con
cui Petrarca «apprese il racconto che gli era sembrato memorando»36, una tessera
dunque da aggiungere alle notizie che stava raccogliendo attorno allo scrittore lati-
no. Lo studioso sembrerebbe intendere la nota come segue (anche se per la verità
non lo dice esplicitamente): ‘prendine nota per lo scrittore delle presenti orazioni’
(cioè come notizia da ricordare su Cicerone). Come ebbe modo di rilevare poi Sil-
via Rizzo all’interno di un corso universitario su Petrarca e Cicerone37, Petrarca avrà
in realtà inteso qui il termine scriptor non nell’accezione classica di ‘compositore’
ma in quella di ‘copista’, forse suggestionato dalla possibilità di vedere la propria
biografia iscriversi perfettamente in quella dell’amato scrittore latino. La postilla
va interpretata dunque come un invito che Petrarca rivolge a se stesso – che in quel
momento stava copiando le orazioni ciceroniane – a prendere nota del passo in cui
lo stesso Cicerone dichiarava di essere impegnato nella medesima attività (trascri-
vere orazioni). Bisognerà allora intendere: ‘prendine nota per il copista di queste
orazioni’ (cioè ‘per te stesso’)38. Questa lettura è confermata dalla stessa formula
che introduce la postilla, Nota pro (usata altre volte da Petrarca in annotazioni in
cui intende riferirsi a se stesso o al proprio lavoro), in luogo di de, e da quanto si
legge poi a Fam., XVIII 12 6-7, in cui Petrarca riprende il passo ciceroniano secon-
do la versione del suo esemplare di lettura:

Cicero ipse orationes alterius nescio cuius – sed profecto non Tullii, unus est
enim ille vir, una illa vox, unum illud ingenium, scripsisse se memorat. «Nam
quas tu» inquit, «commemoras, Cassi, legere te solere orationes cum otiosus
sis, eas ego scripsi» et ut solet, cum adversario suo iocans: «rudis», inquit, «et
ferus,39 ne omnino unquam essem otiosus».

35
BILLANOVICH, Petrarca e Cicerone, cit., p. 110.
36
Ibid.
37
Le lezioni del corso, tenuto presso l’Università “La Sapienza” di Roma nel 1995, erano ac-
compagnate da dispense da cui sono tratte alcune delle riflessioni presentate qui di seguito attorno
al passo della Pro Plancio e a Fam., XVIII 12 6-7 (vd. più avanti).
38
Vd. RIZZO, Un nuovo codice, cit., p. 81.
39
Giuseppe Fracassetti restituisce il testo della Familiare XVIII 12 con la stessa lezione del
testo di critico Vittorio Rossi, «rudis…et ferus» (vd. FRANCISCI PETRARCE Epistolae de rebus familia-
ribus et Varie, studio et cura I. FRACASSETTI, II, Florentiae, Le Monnier, 1862, p. 499). Curiosamen-
te traduce poi però ‘nei giorni feriati e nel tempo degli spettacoli’ seguendo invece il testo critico
ciceroniano (Lettere di Francesco Petrarca delle cose familiari libri ventiquattro. Lettere varie libro
unico, ora la prima volta raccolte, volgarizzate e dichiarate con note da G. FRACASSETTI, IV, Firenze,
Le Monnier, 1886, p. 131).

235
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

Petrarca afferma qui che Cicerone avrebbe copiato orazioni di un ignoto au-
tore («Cicero ipse orationes alterius nescio cuius»), mentre i due aggettivi rudis et
ferus (frutto del tentativo petrarchesco di restaurare la lezione del codice di Lapo)
vengono interpretati come una provocazione ironica operata da Cicerone nei con-
fronti del suo avversario Cassio40. Non è del tutto chiaro tuttavia perché l’unicità
dello stile e dell’ingegno di Cicerone («unus est enim ille vir, una illa vox, unum
illud ingenium») spinga Petrarca ad escludere con decisione quello che è in realtà
il vero senso della frase, cioè che Cicerone nei momenti di ozio aveva prodotto la
stesura scritta di quelle orazioni che Cassio leggeva (nella Familiare si legge «sed
profecto non Tullii»)41. Si deve naturalmente sempre tener conto che Petrarca ave-
va di fronte un testo corrotto e che la congettura rudis et ferus aveva dato all’attività
svolta da Cicerone in quel momento una connotazione negativa (assente nell’ori-
ginale). Come suggerisce – ma con prudenza – la Rizzo, Petrarca potrebbe aver
pensato che Cicerone si dichiarasse ironicamente rozzo e inesperto nel trascrivere
orazioni di altri nel tempo libero, perché forse non poteva ammettere che la frase
fosse riferita alla sua attività di autore (proprio per la grandezza del suo stile e del
suo ingegno); questa lettura inoltre gli permetteva di stabilire una simmetria tra la
propria biografia e quella dello scrittore latino (entrambi erano copisti di orazioni
di altri)42.
Abbiamo già detto che Petrarca aveva ricevuto da Lapo da Castiglionchio
quattro orazioni ciceroniane, tra cui la Pro Plancio, e che il codice Laurenziano
Santa Croce XXIII sin. 3 deriva dal perduto codice di Lapo. Al di là del caso che
abbiamo appena esaminato, in numerosi altri casi Petrarca cercò di sanare per
congettura luoghi in cui il testo ciceroniano era – o dovette sembrargli – corrotto;
le sue proposte si rivelarono in alcuni casi azzeccate (coincidono infatti con le
lezioni dell’antica famiglia germanica)43. Petrarca ha corredato il suo esemplare
di diverse altre tipologie di marginalia. Oltre a graffe, manicule, notabilia, riela-
borazioni e osservazioni al testo ciceroniano, non mancano infatti segnalazioni di
possibili varianti alternative precedute da vel, supplementi e spiegazioni introdotti
dalla sigla s. (= scilicet) o da un semplice segno di richiamo44. Le congetture e

40
Vd. anche, in questo stesso volume, LUCA MARCOZZI, Petrarca lettore di se stesso, p. 103.
41
Il Clark attribuiva a Petrarca un errore, ritenendo avesse letto Cassii come genitivo dipen-
dente da orationes (vd MARCI TULLI CICERONIS Orationes, recognovit brevique adnotatione critica
instruxit A. C. CLARK, Oxford, Clarendon, 1911, p. XI; questa possibilità, come ha osservato Silvia
Rizzo (vd. qui nota 37) è esclusa dalla frase orationes alterius nescio cuius; il testo della Familiare
inoltre reca Cassi e non Cassii.
42
Vd. da ultimo anche un interessante saggio di Martin McLaughlin, che ripercorre e rie-
samina la lettura ciceroniana di Petrarca (con riferimenti ai codici della sua biblioteca): MARTIN
MCLAUGHLIN, Petrarch and Cicero. Adulation and Critical Distance, in Brill’s Companion to the
Reception of Cicero, edited by W. H. F. ALTMAN, Leiden-Boston, Brill, 2015, pp. 19-38, p. 34.
43
RIZZO, Apparati ciceroniani, cit.
44
Ibid.

236
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

alcune annotazioni scambiate erroneamente per integrazioni al testo ciceroniano


sono penetrate in una famiglia di codici di origine francese, dando agli editori delle
orazioni ciceroniane l’erronea impressione dell’esistenza di un ramo di tradizione
genuina e indipendente (parallelo all’antica famiglia germanica). Il Clark isolò così
nella tradizione della Pro Plancio una famiglia, da lui chiamata “gallica” (valutata
come indipendente dal ramo germanico e dallo stesso codice di Lapo), di cui si
servì poi attivamente nella sua ricostruzione filologica. Ma, come hanno poi dimo-
strato Billanovich e la Rizzo45, questa famiglia non è affatto da collocare nei rami
alti della tradizione, perché discende in realtà dal perduto codice petrarchesco.
La diversa fisionomia della famiglia gallica rispetto al Laurenziano S. Croce (copia
del codice di Lapo) è dovuta solo agli interventi congetturali con cui Petrarca (che
certamente non disponeva di altri rami di tradizione) ha cercato di rimediare ai
guasti del manoscritto che aveva ricevuto dall’amico Lapo da Castiglionchio. Nel
1975 la Rizzo pertanto raccomandava: «tutte le lezioni della “famiglia gallica” che
appaiono essere null’altro che congetture petrarchesche debbono essere eliminate
dagli apparati o, quando siano degne di nota, risultare in essi chiaramente come
congetture»46. Eppure anche le edizioni critiche della Pro Plancio uscite successi-
vamente all’articolo della studiosa, a cura di Grimal e della Olechowska, hanno
continuato a ritenere genuina la famiglia gallica47, criticità evidenziata anche da
Mario De Nonno, che ha recensito entrambe le edizioni48.
In alcuni casi gli esiti dei manoscritti discesi dal codice di Petrarca coincidono
– come già detto – con il ramo germanico per i felici suoi interventi congetturali; in
questi casi il testo restituito dagli editori non cambia. Molto significative sono invece
le ricadute quando nella famiglia gallica sono penetrate a testo glosse esegetiche di
Petrarca, scambiate dai copisti per integrazioni genuine al testo ciceroniano. Ripro-
poniamo qui il caso esemplare relativo a Planc., 88, riportando per prima cosa il
passo secondo la lezione del Vat. Lat. 9305 (c. 32v): «Vinci autem improbos a bonis
fateor fuisse preclarum, si finem tum vincendi viderem Ubi enim….»; in margine
compare la chiosa «quem profecto non videbam. Ubi enim etc.» (Tav. 1b). Come
segnalato dalla Rizzo, non sembra trattarsi in questo caso di una congettura ma di
una spiegazione, secondo l’uso tipicamente petrarchesco di inserirsi nel discorso

45
BILLANOVICH, Petrarca e Cicerone, cit., pp. 108-110; RIZZO, Apparati ciceroniani, cit.; EAD.,
La tradizione manoscritta, cit., pp. 27-42 e 145-131.
46
RIZZO, Apparati ciceroniani, cit., p. 6.
47
M. TULLI CICERONIS Orationes, cit.; CICÉRON, Discours, XVI/2, texte établi et traduit par
P. GRIMAL, Paris, Les Belles Lettres, 1976; M. TULLI CICERONIS Orationes (Pro Cn. Plancio; Pro C.
Rabirio Postumo, recognovit E. OLECHOWSKA, Lipsia, Teubner, 1981.
48
MARIO DE NONNO, rec. a CICÉRON, Discours, cit., in «Rivista di Filologia e di istruzione
classica», CVII (1979), 2, pp. 331-343; ID., rec. a CICERONIS Orationes, cit., ivi, CXII (1984), 2, pp.
216-218.

237
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

dell’autore commentandone il testo durante la lettura49. Cicerone afferma: ‘confesso


che la vittoria degli onesti sui disonesti sarebbe stata un titolo di gloria se allora aves-
si intravisto la realizzazione di quella vittoria’; Petrarca aggiunge «quem profecto
non videbam» (cioè ‘che certamente non vedevo’). «Con la sua nota ha voluto sem-
plicemente, rendendo esplicito il valore di irrealtà nel passaggio della condizionale
si…viderem, chiarire il passaggio alla successiva spiegazione: Ubi enim etc.»50. La
frase «quem profecto non videbam», che nel Vat. Lat. 9305 (Tav. 1b) e nel Vat. Pal.
Lat. 1820 si trova a margine (ed è assente naturalmente nel codice di Lapo e nella
famiglia germanica), è poi penetrata come parte integrante del testo in molti codici
e da qui in tutte le edizioni fino alle più recenti, posteriori all’articolo in cui la Rizzo
ne aveva segnalato l’estraneità al testo ciceroniano (corsivi miei)51: «Vinci autem
improbos a bonis fateor fuisse preclarum, si finem tum vincendi viderem quem pro-
fecto non videbam» (vd. Tavv. 2, 3 e 4); a sostegno di questa restituzione gli editori
(Clark, Grimal e Olechoswska) documentano in apparato solo i codici appartenenti
alla famiglia gallica. È chiaro che le parole «quem profecto non videbam» vanno
espunte dal testo ciceroniano e non andrebbero nemmeno registrate all’interno de-
gli apparati (se non come postille di Petrarca erroneamente entrate a testo).
Questo episodio dimostra l’incredibile fortuna che ha avuto la lettura petrar-
chesca dei classici; le sue glosse sono arrivate a penetrare nel testo ingannando
perfino gli editori moderni. Billanovich già nel 1951 scriveva: «nell’albero di mol-
te tradizioni di testi classici avviene nel Trecento un ingrossamento improvviso e
enorme, spesso alimentato dal confluire di rami lontani. Al centro di quei movi-
menti si nasconde generalmente l’esemplare o gli esemplari di quel testo posseduti
da Petrarca. La lezione riunita e corretta dal Petrarca diventa spesso la famiglia
vulgata tra gli umanisti delle generazione successive»52.

3. Molti anni sono ormai passati dai primi contributi in cui Armando Petrucci
poneva l’accento sull’importanza dello studio dei rapporti che intercorrono tra i
processi di elaborazione testuale e le condizioni materiali di produzione53; in que-

49
RIZZO, Apparati ciceroniani, cit., pp. 12-13.
50
Ibid.
51
Vd. da ultimo ancora Le Orazioni di M. Tullio Cicerone, III, a cura di G. BELLARDI, Torino,
UTET, 1983, p. 920.
52
GIUSEPPE BILLANOVICH, I primi Umanisti e la tradizione dei classici latini, prolusione al corso
di letteratura italiana detta il 2 febbraio 1951, Friburgo, Edizioni Universitarie, 1953, p. 36.
53
Tra i numerosi saggi che lo studioso ha dedicato alla questione, basterà menzionare ARMAN-
DO PETRUCCI, Minuta, autografo, libro d’autore, in Il libro e il testo. Atti del convegno internazionale
(Urbino, 20-23 settembre 1982), a cura di C. QUESTA, R. RAFFAELLI, Urbino, Università degli Studi
di Urbino, 1984, pp. 397-414; ID., La scrittura del testo, in Letteratura italiana, a cura di A. ASOR
ROSA, IV. L’interpretazione, Torino, Einaudi, 1985, pp. 283-308; ID., Storia e geografia delle culture
scritte (secoli XV-XVIII), in Letteratura italiana, a cura di A. ASOR ROSA, II. Storia e geografia, 1-2.
L’età moderna, Torino, Einaudi, 1988, pp. 1017-1018, tavv. 41-80.

238
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

sto lungo periodo di tempo si è sviluppato un interesse crescente per temi legati
a vario titolo all’autografia autoriale54, quali ad esempio le modalità di confezione
del libro d’autore trecentesco, la funzionalità e la portata simbolica delle costru-
zioni grafico-visive elaborate dagli autori quando si facevano editori di se stessi55,
le relazioni, spesso conflittuali, che li legavano ai copisti cui si rivolgevano per la
realizzazione di progetti librari nei quali la forma-libro era sentita come «un tratto
significante del sistema testo»56.
Di recente tale attenzione si è estesa anche all’autografia editoriale, ovvero a
quell’attività di copia in cui un autore non trascrive un’opera propria, ma testi di
altri scrittori più o meno lontani nel tempo e nello spazio; il caso più significativo al
riguardo è certamente quello di Giovanni Boccaccio: si pensi, ad esempio, alla raf-
finata operazione culturale e grafica portata a termine con la confezione delle sue
tre Commedie che con la loro forma-libro (dimensioni medie, impaginazione ad
una colonna, scrittura di base testuale, apparato decorativo ridotto alle sole iniziali
filigranate) modificarono in profondità i modi di diffusione dell’opera ampiamente
consolidati nella Firenze trecentesca – orientati al modello del «libro-registro di
lusso» (dimensioni grandi o medio-grandi, impaginazione a due colonne, scrittura
minuscola cancelleresca, decorazione essenziale ma di alto livello con iniziali figu-
rate nelle carte incipitarie di cantica)57 – nel segno dell’elevazione del poema dan-
tesco a livello dei classici latini58, o anche alla sua originalissima versione (quanto

54
L’iniziativa editoriale più rilevante al riguardo resta senza alcun dubbio quella degli Auto-
grafi dei letterati italiani, che per ora ha visto la pubblicazione di quattro volumi: Il Cinquecento.
I, a cura di M. MOTOLESE, P. PROCACCIOLI, E. RUSSO, Roma, Salerno Editrice, 2009; Le Origini e
il Trecento. I, a cura di G. BRUNETTI, M. FIORILLA, M. PETOLETTI, Roma, Salerno Editrice, 2013;
Il Quattrocento, a cura di F. BAUSI, Roma, Salerno Editrice, 2013; Il Cinquecento. II, a cura di M.
MOTOLESE, P. PROCACCIOLI, E. RUSSO, Roma, Salerno Editrice, 2013.
55
Al riguardo LUCIA BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore, copie di lavoro, interventi di autoe-
segesi: testimonianze trecentesche, in «Di mano propria». Gli autografi dei letterati italiani. Atti del
Convegno Internazionale di Forlì (24-27 novembre 2008), a cura di G. BALDASSARRI, M. MOTOLESE,
P. PROCACCIOLI, E. RUSSO, Roma, Salerno Editrice, 2010, pp. 123-57; MARCO CURSI, Percezione
dell’autografia e tradizione dell’autore, ivi, pp. 159-184; LUCIA BATTAGLIA RICCI, Scrivere un libro
di novelle. Giovanni Boccaccio autore, lettore, editore, Ravenna, Longo, 2013, pp. 57-96; MARCO
CURSI, La scrittura e i libri di Giovanni Boccaccio, Roma, Viella, 2013.
56
LUCIA BATTAGLIA RICCI, Boccaccio, Roma, Salerno Editrice, 2000, p. 126.
57
ARMANDO PETRUCCI, Il libro manoscritto, in Letteratura Italiana, a cura di A. ASOR ROSA, II.
Produzione e consumo, Torino, Einaudi, 1983, pp. 497-524, a p. 511. Dubbi sulla portata di tale
definizione, che sarebbe riferibile soltanto alla scrittura, ma non alle altre caratteristiche materiali
del libro, in TERESA DE ROBERTIS, Scritture di libri, scritture di notai, in «Medioevo e Rinascimento»,
XXIV, n. s., XXI (2010), pp. 1-27, a p. 10.
58
Secondo quanto mirabilmente mostrato dall’aggiunta di uno straordinario ritratto di Ome-
ro, oggi visibile soltanto grazie all’ausilio dei raggi ultravioletti, nella guardia finale della silloge
contenuta nel cod. 104.6 della Biblioteca y Archivo Capitulares di Toledo; al riguardo vd. SANDRO
BERTELLI, MARCO CURSI, Novità sull’autografo Toledano di Giovanni Boccaccio. Una data e un di-
segno sconosciuti, in «Critica del testo», XV/1 (2012), pp. 287-295; IID, “Homero poeta sovrano”,

239
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

alle scelte di messa in pagina) del Canzoniere di Petrarca, che reinterpreta e con-
traddice il modello d’autore59. Le due operazioni grafiche fin qui presentate sono
legate a un personaggio di eccezionale rilievo, ma vi sono anche esempi riguardanti
figure di profilo grafico e culturale molto meno elevato: si pensi ad Antonio Pucci
e alla Commedia di sua mano che ho potuto di recente identificare (cod. Cors. 44
F 26)60; il manoscritto risale con ogni probabilità ai primi anni Cinquanta del Tre-
cento e con il suo impaginato denuncia una più che probabile adesione al modello
boccaccesco appena messo a punto nel codice Toledano, che Pucci doveva aver
avuto modo di maneggiare o quantomeno di vedere. A mio parere episodi di copia
di tal genere mostrano che, a questa altezza cronologica, quando un autore piena-
mente consapevole dei significati che la forma-libro può veicolare nei meccanismi
di trasmissione testuale decideva di farsi copista di opere altrui (confezionando un
autografo editoriale), non di rado allestiva contenitori dotati di una fisionomia che
sottintendeva un’attività ermeneutica, libri che con il loro aspetto orientavano il
lettore verso una determinata interpretazione dell’opera.
L’interesse rivestito dai libri d’autore (intesi sia come autografi autoriali, sia
come autografi editoriali) non riguarda, comunque, soltanto la loro conformazio-
ne fisica e testuale ma anche la capacità di esercitare un forte potere di attrazione
sulla più antica tradizione testuale e visuale delle opere che essi di volta in volta
trasmettono61. Tale irresistibile forza gravitazionale – tanto più efficace quanto più
alto era il sentimento di devozione che un copista riservava alla persona dell’auto-
re o ai prodotti grafici usciti dalle sue mani – trovava le sue forme di espressione
attraverso varie modalità:
1) il rispetto fideistico nei confronti del testo; si pensi, ad esempio, al caso di
Francesco d’Amaretto Mannelli, copista dell’Ottimo codice del Decameron Laur.
Pluteo 42.1, che, avendo tra le mani un autografo decameroniano per noi perduto,
segnala lezioni ritenute come veri e propri errori in alcune delle sue numerosissi-
me notazioni apposte in margine con parole come «così dice il testo»62, «sic est

in Dentro l’officina di Giovanni Boccaccio. Studi sugli autografi in volgare e su Boccaccio dantista, a
cura di S. BERTELLI, D. CAPPI, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2014, pp. 131-36;
ID., Ancora sul ritratto di Omero nel ms. Toledano, in «Rivista di studi danteschi», XIV (2014), 1,
pp. 170-180.
59
Al proposito vd., da ultimo, MARCO CURSI, Boccaccio architetto e artefice di libri: i manoscritti
danteschi e petrarcheschi, in Boccaccio autore e lettore, a cura di P. CANETTIERI, A. PUNZI, in «Critica
del testo», XVI (2013), 6, pp. 35-62, alle pp. 48-50 (con riferimenti alla bibliografia pregressa).
60
MARCO CURSI, Un codice della Commedia di mano di Antonio Pucci, in «Scripta», VII (2014),
pp. 65-76; ID., Gli Argomenti all’Inferno di Antonio Pucci, in Studi Paleografici e Papirologici in
ricordo di Paolo Radiciotti, a cura di M. CAPASSO, M. DE NONNO, in «Paryrologica Lupiensia»,
XXIV (2015), Supplemento, pp. 127-149.
61
BATTAGLIA RICCI, Edizioni d’autore, cit., p. 134.
62
Alla c. 143v.

240
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

testus»63, o «dicit testus male ut credo»64, ma non le emenda; in una nota, poi, egli
addirittura invita esplicitamente i futuri possessori del codice a non eradere la lezio-
ne proposta, poiché «così dice il testo originale e però non eradere tu che leggi»65;
2) la piena adesione alla messa in pagina fissata nell’autografo, anche quando
la sua adozione comportava difficoltà di scrittura; in questo caso il pensiero corre
ai codici della tradizione nobile dei Rerum vulgarium fragmenta, un piccolo gruppo
di manoscritti tardo-trecenteschi che riproducono fedelmente le innovative scelte
di architettura spaziale volute da Petrarca, come ad esempio l’estensione della mes-
sa in pagina del sonetto (a due versi per riga, con lettura orizzontale dalla colonna
A alla colonna B) anche alle canzoni e agli altri generi minori66. L’adozione di tale
assetto della pagina comportava fatiche non indifferenti per chi era abituato alla
trascrizione del verso poetico lungo un asse verticale; a testimoniarlo il generale
mutamento della disposizione dei versi dall’inizio del XV secolo in poi, che com-
portò una crescente incomprensione e un conseguente distacco dalla disposizione
testuale programmata dall’autore, secondo quanto testimoniato in maniera para-
digmatica da una famosa notazione aggiunta al Riccardiano 1088, risalente agli
anni Novanta del sec. XIV: «Non mi piace di più seguire di scrivere ne modo che ò
tenuto da quinci a dietro, cioè di passare da l’uno colonnello all’altro; anzi intendo
di seguire giù per lo cholonello tanto che si compia la chanzone o sonetto che sia»
(c. 27r.)67;

63
Alla c. 54v. Più difficile comprendere il significato dell’espressione «sic erat testus» (c. 55v);
si può con cautela ipotizzare che il manoscritto autografo che aveva a sua disposizione fosse un
esemplare di servizio corredato da una serie di notazioni d’autore poste in interlinea e in margine;
in questo caso le postille quali «sic est testus» potrebbero riflettere lezioni corrispondenti all’ulti-
ma volontà d’autore, mentre note come «sic erat testus» lezioni per le quali Boccaccio aveva optato
in un primo momento. Al proposito vd. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pluteo 42.1, in
Boccaccio autore e copista, a cura di T. DE ROBERTIS, C. M. MONTI, M. PETOLETTI, G. TANTURLI, S.
ZAMPONI, Firenze, Mandragora, 2013, pp. 140-142 (scheda n° 24, a cura di M. CURSI).
64
Alla c. 145r.
65
Alla c. 142r.
66
Al riguardo vd. MADDALENA SIGNORINI, Fortuna del ‘modello-libro’ Canzoniere, in «Critica
del testo», VI (2003), 1, pp. 153-54, a p. 140; FURIO BRUGNOLO, Libro d’autore e forma-canzoniere:
implicazioni grafico-visive nell’originale dei Rerum Vulgarium Fragmenta, in Rerum vulgarium frag-
menta. Codice Vat. lat. 3195. Commentario all’edizione in facsimile, a cura di G. BELLONI, F. BRU-
GNOLO, H. WAYNE STOREY, S. ZAMPONI, Roma-Padova, Antenore, 2004, pp. 105-120, pp. 109-15;
H. WAYNE STOREY, All’interno della portica grafico-visiva di Petrarca, ivi, pp. 131-171, pp. 143-44;
MARCO CURSI, Per la prima circolazione dei Rerum vulgarium fragmenta: i manoscritti antiquiores,
in Storia della scrittura e altre storie, a cura di D. BIANCONI, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei,
2014, pp. 225-61, pp. 236-37.
67
Vd. ARMANDO PETRUCCI, in Letteratura italiana, a cura di A. ASOR ROSA, VII. Storia e
geografia, I. L’età medievale, Torino, Einaudi, 1987, tav. 26.

241
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

3) la ripresa di cicli illustrativi d’autore, come nel caso, eccezionale e non privo
di punti oscuri, del Decameron Parigino Italiano 482, recante 18 miniature che
potrebbero essere state riprese da un model-book boccaccesco68;
4) la frequente riproduzione di postille d’autore, testimoniata, ad esempio, dai
tanti apografi tratti da libri appartenuti alla biblioteca di Petrarca, che riflettono
fedelmente non soltanto il contenuto di quelle glosse ma imitano il complesso ap-
parato di segni d’attenzione che le accompagna (fiorellini, graffe, elementi a con-
chiglia, manicule).
Sulla base di quanto fin qui delineato, in ottica paleografica il codice Vaticano
9305 è particolarmente rilevante. I fenomeni di mimesi riguardano non soltanto la
tipica disposizione marginale delle glosse di mano di Petrarca e il corredo figurati-
vo cui si è accennato sopra (vd. § 2), ma anche la scrittura del poeta69. L’esame delle
postille del codice, dunque, ci consentirà di approfondire una delle tante sfaccet-
tature all’interno delle complesse dinamiche di imitazione che caratterizzano la
storia della scrittura latina in questo periodo, entrando in meccanismi mimetici
che, non lo si dimentichi, ebbero un ruolo decisivo nella storia grafica di Petrarca,
a lungo impegnato nel tentativo – solo parzialmente riuscito – di recuperare le ar-
monie e gli equilibri formali del codice in carolina a scapito delle troppo ricercate
e artificiose litterae textuales «nostri temporis»70.
Il caso del copista del codice Vaticano è in linea con altri episodi di scriventi
che, avendo a propria disposizione un manoscritto d’autore, mostrano inclinazioni
di carattere imitativo nella resa grafica. Di norma tali tendenze non riguardava-
no «gli elementi del sistema grafico, i fatti che toccano le strutture prime dello
scrivere»71; chi si apprestava ad un esercizio impegnativo come la copia di un auto-
grafo, infatti, al di là delle circostanze in cui svolgeva la sua attività (sotto la guida
dell’autore stesso, nei ristretti circoli di discepoli in cui circolavano tali manoscritti,

68
Riguardo al caso del celebre manoscritto parigino vd., da ultimo, BATTAGLIA RICCI, Scrivere
un libro di novelle, cit., pp. 57-96; MARCO CURSI, Il Parigino Italiano 482: un Decameron allo scritto-
io del Boccaccio, in Boccace et la France. Colloque organisé par le Centre d’Etudes et de Recherches
sur la Littérature Italienne du Moyen-Âge, Paris, Université Sorbonne Nouvelle-Paris 3 (24-26
octobre 2013), i.c.s.
69
Vd. FIORILLA, Marginalia figurati, cit., p. 31.
70
Vd. ARMANDO PETRUCCI, La scrittura di Francesco Petrarca, Città del Vaticano, Biblioteca Apo-
stolica Vaticana, 1967, pp. 58-88; ID., La scrittura, in Petrarca nel tempo, cit., pp. 9-15. Un ridimen-
sionamento della tesi di Petrucci sul rinnovamento grafico promosso da Petrarca, primo passo verso
la restaurazione della littera antiqua avvenuta a cavallo tra Trecento e Quattrocento, è proposto da
STEFANO ZAMPONI, Il libro del Canzoniere: modelli, strutture, funzioni, in Rerum vulgarium fragmenta.
Codice Vat. Lat. 3195, cit. pp. 13-72, pp. 32-54. I suoi giudizi sono stati poi discussi in MADDALENA
SIGNORINI, La scrittura libraria di Francesco Petrarca: terminologia, fortuna, in «Studi medievali», XL-
VIII (2007), 2, pp. 839-862. Al riguardo vd. anche ALBERT DEROLEZ, The Script Reform of Petrarch:
An Illusion?, in Music and Medieval Manuscripts Paleography and Performance. Essays dedicated to
Andrew Hughes, ed. by J. HAINES, R. ROSENFELD, Aldershot, Ashgate, 2004, pp. 3-19.
71
ZAMPONI, Il libro del Canzoniere, cit., p. 46.

242
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

nei luoghi di conservazione in cui era rimasta viva la coscienza dell’eccezionale


valore di quei testimoni proprio in ragione della loro autografia) solitamente era
già dotato di buone capacità scrittorie e dunque aveva appreso il modus scribendi
secondo tecniche e modalità che erano difficili da cambiare (a testimonianza di ciò
le gravi esitazioni palesate in questi stessi anni da copisti educati alla gotica quando
tentavano di apprendere la rinascente antiqua)72.
Dove dovremo cercare, dunque, l’influenza di quei prestigiosi modelli? A mio
parere non in una generica impressione d’insieme, tanto più quando si ha a che
fare con scritture fortemente strutturate come le testuali, ma, al contrario, puntan-
do l’attenzione su minuti episodi grafici che spesso, pur essendo apparentemente
di scarso rilievo, sono in realtà molto caratterizzanti. Mi riferisco in particolare a:
a) piccole anomalie nella morfologia di alcune forme di lettera;
b) l’aggiunta di elementi esornativi;
c) l’opzione per alcune varianti di lettera che non fanno parte del bagaglio
grafico dello scrivente;
d) il sistema delle iniziali al tratto73.
La migliore dimostrazione del fatto che questi siano i territori da percorrere per
individuare tali fenomeni mimetici viene da un manoscritto che ci porta ad allonta-
narci per un momento dal tema di cui stiamo trattando; non si tratta, infatti, di un
postillato e, per di più, è un testimone contenente un’opera della letteratura volga-
re; le modalità della sua confezione, però, lo rendono un esempio eccezionalmente
favorevole per verificare i rapporti grafici che intercorrevano tra modelli d’autore
ed esecuzioni di copista. Mi riferisco ad un codice non soltanto discendente da un
antigrafo d’autore, ma confezionato da uno scrivente che operava alle dipendenze
dell’autore stesso, sotto la sua diretta sorveglianza; sto parlando, come ovvio, del
Vat. Lat. 3195, autografo/idiografo del Canzoniere, attribuibile in parte alla mano di
Francesco Petrarca, in parte a quella di un copista tradizionalmente identificato con
Giovanni Malpaghini, ma che in realtà deve essere con tutta probabilità assegnata
ad uno scrivente di cui non ci è noto il nome74. Secondo quanto ampiamente evi-

72
Vd. TERESA DE ROBERTIS, I percorsi dell’imitazione. Esperimenti di littera antiqua in codici
fiorentini del primo Quattrocento, in I Luoghi dello scrivere da Francesco Petrarca agli albori dell’età
moderna, a cura di C. TRISTANO, M. CALLERI, L. MAGIONAMI, Spoleto, Centro italiano di studi
sull’alto medioevo, 2006, pp. 109-134.
73
È ormai dimostrato che le maiuscole siano più esposte all’influenza dei modelli presenti
negli antigrafi rispetto alle minuscole, poiché la loro morfologia è spesso il risultato di «singo-
le esecuzioni grafiche determinate da scelte stilistiche»; al proposito STEFANO ZAMPONI, MARTINA
PANTAROTTO, ANTONELLA TOMIELLO, Stratigrafia dello Zibaldone e della Miscellanea Laurenziani,
in Gli Zibaldoni del Boccaccio. Memoria, scrittura e riscrittura, Atti del Seminario internazionale di
Firenze - Certaldo (26-28 aprile 1996), a cura di M. PICONE, C. CAZALÉ BÉRARD, Firenze, Cesati,
1998, pp. 181-258, pp. 220-223 (la citazione è tratta dalla p. 220).
74
Al riguardo vd. il recente e importante contributo di MONICA BERTÉ, Giovanni Malpaghi-
ni copista di Petrarca?, in «Cultura Neolatina», LXXV (2015), 1-2, pp. 205-216 che riprende e

243
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

denziato da Stefano Zamponi e Maddalena Signorini, nonostante il fatto che «tanto


l’aspetto complessivo che la scrittura doveva assumere, quanto il rapporto che essa
doveva avere con la pagina, furono scelte guidate dal poeta stesso»75, la scrittura
del Malpaghini (o per meglio dire dello «pseudo-Malpaghini»)76 appare piuttosto
diversa da quella di Petrarca: egli infatti scrive in una semigotica piuttosto rigida,
lontana dalla leggerezza e dalla sinuosità del tratto petrarchesco, la cui ariosità d’in-
sieme viene solo in parte riprodotta grazie alla «dilatazione della catena grafica […]
e all’insinuarsi del bianco fra tratto e tratto, fra lettera e lettera»77. Se poi esaminiamo
la morfologia dei singoli segni rileveremo che, al di là della comune appartenenza al
sistema della testuale, Petrarca ha un registro molto più vario ed esposto alle influen-
ze della tradizione documentaria; al riguardo si notino la presenza della a minuscola,
della f e della s leggermente discendenti al di sotto del rigo, della g con occhiello
inferiore schiacciato, dell’elegante pseudolegatura st78, tutte forme che non trovano
alcun riscontro nella minuscola del copista operante alle sue dipendenze, certamente
disciplinata, ma un po’ scolastica. Quando però puntiamo l’attenzione su dettagli
minimi si colgono alcuni significativi punti di contatto:
a) si noti, ad esempio, la medesima tendenza a variare «l’estensione e la dire-
zione del secondo tratto della d rotonda» (Tavv. 5a, 5b)79;
b) si rilevi l’aggiunta di un lungo e sottile tratto alla pancia dell’h, che sembre-
rebbe dipendere dalla ripresa di un’abitudine grafica presente, seppure con molta
maggiore sobrietà, nel modello petrarchesco (Tavv. 5c, 5d);
c) si guardi, infine, alla forma di tre maiuscole al tratto, che si distaccano
decisamente dal sistema della gotica e riecheggiano senza alcun dubbio modelli
all’antica: faccio riferimento alla A, alla M e alla N (Tavv. 5e-5l), tutte di matrice
inconfondibilmente capitale; esse certamente non debbono la loro presenza ad una
scelta innovativa dello scrivente, ma riflettono fedelmente quanto elaborato in que-
gli anni, con sicura consapevolezza, da Petrarca (si noti in particolare la perfetta
rispondenza della A priva di traversa e della M con il secondo tratto che interseca
il terzo all’altezza della sua metà)80.

sviluppa alcune considerazioni proposte da SILVIA RIZZO, Il copista di un codice petrarchesco delle
‘Tusculanae’: filologia vs paleografia. Atti del Convegno Palaeography, Humanism and manuscript
Illumination in Renaissance Italy: a Conference in Memory of A.C. de la Mare, The Warburg Insti-
tute and King’s College, University of London (17-19 November 2011), i.c.s.
75
MADDALENA SIGNORINI, Sul codice delle Tusculanae appartenuto a Francesco Petrarca (Roma,
BNC, Vittorio Emanuele 1632), in «Studj romanzi», n.s., I (2005), pp. 105-133, p. 113.
76
Secondo l’inedito epiteto proposto da EDOARDO FUMAGALLI, Giovanni Boccaccio tra Leonzio
Pilato e Francesco Petrarca: appunti a proposito della “prima translatio” dell’‘Iliade’, in «Italia
medioevale e umanistica», LIV (2013), pp. 213-283, p. 214 n. 1.
77
ZAMPONI, Il libro del Canzoniere, cit., p. 48.
78
Per una rassegna di tali sintomi grafici, vd. ivi, pp. 50-53.
79
Ivi, p. 50.
80
Vd. ivi, p. 53.

244
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

Ma passiamo finalmente al Vat. Lat. 9305. Il manoscritto petrarchesco preso a


riferimento per tentare di cogliere fenomeni di carattere imitativo è un postillato
piuttosto noto, il Plinio Par. Lat. 6802, recante notazioni risalenti ad un periodo
con ogni probabilità coevo a quello in cui Petrarca appose le glosse al perduto
antigrafo da cui discende il testimone vaticano (vale a dire gli anni Cinquanta del
secolo)81; si noti, peraltro, che il nostro codice con il Plinio ha in comune, oltre alla
ricchezza dell’apparato di postille e dei segni di attenzione, anche la presenza di
disegni82. Se limitiamo l’esame alla morfologia delle singole lettere, non potremo
riscontrare nulla più che una generica appartenenza al medesimo sistema della
testuale, pur se con una certa tendenza all’allungamento delle aste superiori e in-
feriori che potrebbe discendere dal modello d’autore. Quando però stringiamo il
campo d’osservazione al ristretto ambito delle varianti di lettera e delle maiuscole
al tratto si riscontrano correlazioni grafiche di grande interesse:
1) in molte postille (ad es. alla c. 49r [Tav. 6b]) il nostro copista traccia una s
finale di parola scivolata, molto diversa rispetto a quella adottata in corpo testuale
(che è sempre di forma tonda, secondo quanto prescritto dalle regole esecutive
della gotica); essa richiama con ogni probabilità modelli petrarcheschi (Tav. 6a);
2) per il testo e le note di norma egli fa uso di una A maiuscola a forma di Y
rovesciata; in un caso, però, per la nota Audi, alla c. 17r, ricorre alla variante con
schiena della lettera prolungata verso l’alto e occhiello angoloso, chiuso in alto da
un sottile tratto obliquo, che pare molto vicina a quella spesso utilizzata dal Petrar-
ca nel Plinio (Tav. 8d);
3) in una lunga nota alla c. 48v. , appena al di sopra del segno di richiamo (Tav.
7), per la parola Nec si coglie un’esitazione nell’esecuzione della N (Tav. 8a); se l’apice
d’attacco e il tratto verticale riportano, infatti, alla forma gotica, utilizzata costante-
mente in tutto il codice (Tav. 8b), il terzo e quarto tratto (in inchiostro di tonalità de-
cisamente più scura forse perché ripassati) si dispongono indubitabilmente secondo
il modello della N capitale (Tav. 8c), che, come detto in precedenza, era stata recu-

81
Sul manoscritto Parigino vd. NOLHAC, Pétrarque et l’humanisme, cit, vol. II, pp. 69-83 e
269-271; VI Centenario della morte di morte di Giovanni Boccaccio. Mostra di manoscritti, docu-
menti ed edizioni. Firenze – Biblioteca Medicea Laurenziana (22 maggio-31 agosto), I, Certaldo, a
cura del Comitato promotore, 1975, pp. 138-139 (n° 111); GIUSEPPE BILLANOVICH, Nuovi autografi
del Boccaccio, in ID., Petrarca e il primo umanesimo, cit., pp. 142-157 [già in «Atti dell’Accademia
Nazionali dei Lincei, Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filosofiche», s. VIII,
vol. VII (1952), pp. 376-388], pp. 150-157; LOREDANA CHINES, Enciclopedismo e commento uma-
nistico, in Le origini della modernità, I. Linguaggi e saperi tra XV e XVI secolo, a cura di WALTER
TEGA, Firenze, Olschki, 1998, pp. 1-14; FIORILLA, Marginalia figurati, cit. pp. 24-28, 41-64; GIULIA
PERUCCHI, Il Plinio di Petrarca sullo scrittoio di Boccaccio geografo, in Boccaccio autore e copista, cit.
pp. 168-170; EAD., Boccaccio geografo lettore del Plinio petrarchesco, in «Italia Medioevale e Uma-
nistica», LIV (2013), pp. 153-211.
82
Uno di essi è stato preso a riferimento dal Fiorilla per discutere della paternità petrarchesca
della postilla Roma alla c. 39v (vd. FIORILLA, Marginalia figurati, cit., pp. 58-63).

245
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

perata da Petrarca83, insieme alla A e alla M, fin dai primi anni Cinquanta del secolo
(e viene in effetti correntemente adoperata nel Plinio Par. Lat. 6802 [Tav. 8d])84. Ciò
significa a mio parere che in un primo momento il nostro copista aveva tracciato la
lettera secondo la morfologia che usava abitualmente, poi però ebbe un ripensamen-
to e decise di riprodurre fotograficamente la forma di lettera che osservava nel suo
antigrafo, per conformarsi con la maggiore fedeltà possibile alla postilla d’autore.
La presenza di questi minimi ma significativi fenomeni di mimesi grafica mi
pare di una certa importanza, poiché da una parte conferma il forte potere d’attra-
zione esercitato dai libri e postillati d’autore in un periodo esteso almeno fino alla
fine del Trecento e dall’altra costituisce un argomento – certamente accessorio, ma
comunque non trascurabile – sia per la datazione delle postille presenti nell’anti-
grafo di cui si servì il nostro copista (che, in base alla morfologia delle maiuscole
al tratto, risalirebbero ad un periodo collocabile tra l’inizio degli anni Cinquanta e
la metà degli anni Sessanta), sia per la difficile questione della ipotetica paternità
petrarchesca dei disegni che costellano i margini del testimone vaticano.
L’atteggiamento devozionale tenuto dal copista del manoscritto vaticano nei
confronti del suo illustre modello, in effetti, potrebbe indurre a ritenere che egli
abbia riportato fedelmente quanto osservava nel suo antigrafo, senza intervenire
con innovazioni dovute ad iniziative personali; dunque, anche se non possiamo
certamente escludere che quei disegni siano stati aggiunti da un ignoto annotatore
nel perduto codice di Petrarca e che il nostro copista li abbia recepiti senza fare
distinzioni, quanto finora mostrato costituisce un indizio di un certo peso a favore
dell’ipotesi dell’origine petrarchesca delle illustrazioni.

4. A conclusione del contributo ci si soffermerà brevemente sul caso di un apo-


grafo petrarchesco – finora mai segnalato – che reca una significativa testimonianza
dell’abitudine di Petrarca di aggiungere notazioni figurate ai libri della sua ricca bi-
blioteca. Si tratta di un manoscritto dell’Eneide risalente alla seconda metà del sec.
XIV, di dimensioni medie, in membrana, vergato in una gotichetta ariosa ma non
certo elegante (Tav. 9). Il codice, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vati-
cana con la segnatura Chigi H.V.16385, è corredato da un ricchissimo apparato di
postille di varie mani e periodi, tra le quali si distinguono due semplici illustrazioni:
1) la prima, posta in riferimento ad Aen. I 159, mostra un porto, ed è accom-

83
Con operazione «ancora tutta da indagare»: ZAMPONI, Il libro del Canzoniere, cit., p. 53.
84
Vd. ALBINIA C. DE LA MARE, The Handwriting of Italian Humanists, Oxford, Association
internationale de bibliophilie, 1973, p. 8.
85
Brevi cenni al codice chigiano in JOSÉ RUYSSCHAERT, Miniaturistes «romains» sous Pie II, in
Enea Silvio Piccolomini-Papa Pio II. Atti del Convegno per il quinto centenario della morte e altri
scritti raccolti da Domenico Maffei, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1968, pp. 245-282, a
p. 275 nota 196; GIAN CARLO ALESSIO, Medioevo – Tradizione manoscritta, in Enciclopedia Virgilia-
na, III, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1987, pp. 432-443, a p. 441.

246
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

pagnata dalla seguente notazione: «Iste portus sive hoc signum extractus fuit ex
Virgilio domini Francisci Petrarce» (Tav. 10a);
2) la seconda, aggiunta in relazione ad Aen. III 420, tratteggia una mappa e
reca accanto le seguenti parole: «Descriptio Sille et Caribdis. Hec figura tracta est
ex Vi[r]gilio domini Francisci Petrarc[e]86 quam figuram ipsemet fecit. Facta fuit
Paduę» (Tav. 10b).
La mano, cui si debbono molto altri interventi in margine al codice, è probabil-
mente da ricondurre ad ambienti salutatiani; ad attestarlo alcuni sintomi – ancora
una volta – di imitazione (o di educazione?) grafica, tra i quali l’uso dell’ampersand
privo di tratto di testa.
Una verifica condotta su un celeberrimo codice virgiliano sicuramente possedu-
to dal Petrarca, il Virgilio Ambrosiano (cc. 57v, 96r), mostra che in riferimento ai me-
desimi luoghi si registrano note di commento del poeta piuttosto significative87; a ciò
si aggiunga che ai versi di Aen., I 159-60 si fa riferimento nella Fam., V 5, 13, al card.
Giovanni Colonna88; mentre a quelli in Aen., III 420 Petrarca allude in Itin., XLIII89.
Dunque entrambi i passi parrebbero essere stati ritenuti degni di un certo interesse
da parte del poeta. Passando invece all’altro Virgilio posseduto da Petrarca, l’Harle-
iano 3754, contenente un certo numero di postille attribuite alla mano del Petrarca
da Albinia de la Mare90, in quei luoghi non appaiono note o segni di attenzione.
In conclusione, l’analisi grafica condotta sulle postille del cod. Vat. Lat. 9305
permette di confermare il forte potere d’attrazione esercitato dai libri e postillati
d’autore in un periodo esteso almeno fino alla fine del Trecento; i segnali dell’in-
fluenza esercitata da quei prestigiosi modelli vanno ricercati in dettagli grafici mi-
nimi, ma molto caratterizzanti.

86
Segue una “s” depennata.
87
In riferimento a Aen., I 159 («Est in secessu longo locus: insula portum»): «Sententia ho-
rum XI versuum ex Homero est, de quibus, casu oblatis, ait Eustachius apud Macrobium: ‘videte
portum ad civitatem Dydonis ex Ythaca migrantem’» [Hom. Od., XIII 96-104 in Macr. Saturn., V
3, 18]; al riguardo vd. PETRARCA, Le postille del Virgilio Ambrosiano, cit., p. 282 (con commento).
In riferimento a Aen., III 420 («Dextrum Scylla latus, levum implacata Caribdis»): «Horum 13
versuum sententia, descriptio Scylle et Carybdis, homerica est, secundum Macrobium» [Hom.,
Od., XII 235-59 in Macr. Saturn., V, 2, 14]; vd. ivi, p. 325 (con commento).
88
Vd. ivi, p. 282.
89
Vd. ivi, p. 325.
90
Vd. ALBINIA C. DE LA MARE, A palaeographer’s odyssey, in Sight & Insight. Essays on Art and
Culture in Honour of E.H. Gombrich at 85, ed. by J. ONIANS, London, Phaidon, 1994, pp. 89-107,
pp. 99 e 107 n. 20; vd. poi LUCA MARCOZZI, Petrarca lettore di Ovidio, in Testimoni del vero, a cura
di E. RUSSO, Roma, numero monografico di «Studi (e testi) italiani», VI (2000), pp. 57-76, pp. 61-
63 e 105-106. La paternità delle postille è stata successivamente messa in discussione (vd. MICHELE
FEO, Petrarca, Francesco, in Orazio. Enciclopedia oraziana, III, Roma, Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, 1998, pp. 405-425, p. 408); ID,, Francesco Petrarca, cit., p. 326 n. 7; ID., La biblioteca, cit.,
494 n. 7. Solo una parte dei marginalia del codice (tra cui alcune note a Virgilio) è da attribuire
Petrarca: vd. da ultimo FIORILLA, I classici nel Canzoniere, cit., pp. 4-7.

247
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

L’identificazione del codice Chigi H.V.163, invece, ci consegna due importanti


notizie:
a) l’esistenza di un manoscritto dell’Eneide per noi perduto (o forse ancora non
identificato), posseduto da Petrarca, che, se dobbiamo credere a quanto riportato in
chiusura della seconda notazione, era conservato a Padova e dunque avrebbe fatto
parte della porzione della biblioteca del poeta confluita nella collezione di Francesco
da Carrara, signore di quella città; quest’ultima nel 1388 fu trasferita a Pavia, nella
raccolta dei Visconti e poi degli Sforza91, di conseguenza quell’anno potrebbe costi-
tuire un termine ante quem per la trascrizione del nostro codice;
b) la presenza in quel codice di postille figurate petrarchesche, dal tracciato
apparentemente non dissimile da alcuni esempi che si rilevano in postillati auto-
grafi e apografi.
Se dunque Boccaccio, dopo l’identificazione del ritratto di Omero in calce al
codice toledano, può essere a ragione ritenuto uno dei più abili disegnatori della
Firenze di metà Trecento92, il codice Chigiano segna un punto a favore dell’ipotesi
che Petrarca, come del resto molti scriventi della sua epoca, possedesse buone
attitudini figurative.

91
Al proposito vd., da ultimo, FRANCISCO RICO, La biblioteca del Petrarca, in Atlante della
letteratura Italiana, a cura di S. LUZZATTO, G. PEDULLÀ, Torino, Einaudi, 2010, pp. 229-234.
92
Al proposito vd. MARCO CURSI, SANDRO BERTELLI, Novità sull’autografo Toledano di Giovan-
ni Boccaccio. Una data e un disegno sconosciuti, in «Critica del testo», XV (2012), 1, pp. 187-95;
IID., «Homero poeta sovrano», in Dentro l’officina di Giovanni Boccaccio, cit., pp. 131-136; STEFANO
MARTINELLI TEMPESTA, MARCO PETOLETTI, Il ritratto di Omero e la firma greca del Boccaccio, in «Ita-
lia medioevale e umanistica», LIV (2013), pp. 309-409; MARCO CURSI, SANDRO BERTELLI, Ancora
sul ritratto di Omero nel ms. Toledano, in «Rivista di studi danteschi», XIV (2014), 1, pp. 170-180.

248
1a

249
1b
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

Tav. 1a - Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 9305, c. 49r (dettaglio);
Tav. 1b - Vat. Lat. 9305, c. 32v (dettaglio) [© 2016 Biblioteca Apostolica Vaticana].
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

Tav. 2 - M. TULLI CICERONIS, Orationes, recognovit brevique


adnotatione critica instruxit A.C. CLARK, Oxford, Clarendon, 1911 [s. p.].

250
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

Tav. 3 - CICÉRON, Discours, XVI/2, texte établi et traduit par P. GRIMAL,


Paris, Les Belles Lettres, 1976, p. 124.

251
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

Tav. 4 - M. TULLI CICERONIS, Orationes (Pro Cn. Plancio; Pro C. Rabirio Postumo),
recognovit E. OLECHOWSKA, Lipsia, Teubner, 1981, p. 45.

252
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

5a 5b

5c 5d

5e 5f

5g 5h

5i 5l

Tav. 5a - Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3195, c. 40r (dettaglio); Tav. 5b -
Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 9305, c. 36r (dettaglio); Tav. 5c - Vat. Lat.
3195, c. 40r (dettaglio); Tav. 5d - Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3195, c.
36r (dettaglio); Tav. 5e - Vat. Lat. 3195, c. 71r (dettaglio); Tav. 5f - Vat. Lat. 3195, 2r (dettaglio);
Tav. 5g - Vat. Lat. 3195, c. 71r (dettaglio); Tav. 5h - Vat. Lat. 3195, c. 2r (dettaglio); Tav. 5i - Vat.
Lat. 3195, c. 70r (dettaglio); Tav. 5l - Vat. Lat. 3195, c. 2r (dettaglio)
[© 2016 Biblioteca Apostolica Vaticana].

253
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

6a

6b

Tav. 6a - Paris, Bibl. Nat. de France, Lat. 6802, c. 46v (dettaglio);


Tav. 6b - Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 9305,
c. 49r (dettaglio) [© 2016 Biblioteca Apostolica Vaticana].

254
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

Tav. 7 - Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 9305, c. 48v
[© 2016 Biblioteca Apostolica Vaticana].

255
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

8a

8b 8c 8d

Tav. 8a - Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 9305, c. 48v (dettaglio);
Tavv. 8b e 8c - Vat. Lat. 9305, c. 48v (dettagli) [© 2016 Biblioteca Apostolica Vaticana];
Tav. 8d - Paris, Bibl. Nat. de France, Lat. 6802, c. 26v (dettaglio).

256
La fortuna di Petrarca lettore dei classici

Tav. 9 - Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, Chigi H.V.163, c. 21v
[© 2016 Biblioteca Apostolica Vaticana].

257
Maurizio Fiorilla, Marco Cursi

10a

10b

Tav. 10a - Città del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, Chigi H.V.163,
c. 3v (dettaglio); Tav. 10b Chigi H.V.163, c. 32r (dettaglio)
[© 2016 Biblioteca Apostolica Vaticana].

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