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FURIO JESI.

THOMAS MANN.
da IL CASTORO, NUMERO 67, 68, NOVEMBRE 1975.
Odio e disgusto per i sensi s'impadronirono di lui e insieme un anelito verso la
purezza, verso un'esistenza di calmo decoro, mentre continuava tuttavia a respi
rare l'aura dell'arte: aura tiepida e dolce, sàtura dei profumi di un'incessante p
rimavera, in cui tutto spunta, fermenta e germoglia nell'arcana voluttà del genera
re. [...] Non lavorava come tutti coloro che lavorano per vivere, bensí come uno c
he, in nessun conto avendosi quale uomo vivente, ma desideroso soltanto di esser
e considerato un creatore, null'altro voglia che lavorare... [... ] Lavorava mut
o, chiuso, invisibile e pieno di disprezzo verso quei piccoli mestieranti per i
quali l'ingegno non è che ornamento da società, che, ricchi o poveri non importa, si
mostravano in pubblico arruffati e cenciosi o ricercavano il lusso in eccentric
he cravatte, e insomma erano convinti di menare una vita insuperabilmente felice
, affascinante ed artistica; senza sapere che le opere di valore nascono solo so
tto il premere di una vita cattiva, che colui che vive non lavora e che, per ess
ere perfetti creatori, bisogna essere morti.
Tonio Kroger. (1903).
Umanesimo quale ubiquità universale--il modello piú alto e seducente visto come paro
dia segretamente rivolta contro se stessa, il dominio universale quale ironia e
allegro tradimento dell'uno verso l'altro -- a questo modo la tragedia è superata,
essa ripiomba dove non c'è ancora perfezione di maestro --dove non esiste ancora
il mio germanesimo consistente in questo dominio e in questa maestrìa--e che ben i
egittimamente in ciò consiste, poiché germanesimo significa libertà, cultura, onnilate
ralità e amore.
Lotte in Weimar, (1939).
Questa forma di vita interinale, il tuffo provvisorio di cittadini e intellettua
li nella primitività agreste della madre terra, ma con la certezza di dovere o di
potere riuscirne presto e ritornare all'usata e naturale atmosfera della comodità
borghese: questo volontario ritorno ad altri tempi piú semplici assume facilmente,
anzi quasi necessariamente, un che di artificioso, di condiscendente, di dilett
antesco, di comico che non era affatto estraneo alla nostra coscienza e provocav
a forse quel sorriso bonario e ironico con cui ci squadravano i contadini ai qua
li chiedevamo di poter riposare sulla paglia.
A quei sorrisi conferiva qualche benevolenza o addirittura approvazione la nostr
a giovane età; e si può dire che la gioventú è il solo ponte legittimo fra il mondo borg
hese e il mondo della natura, uno stato preborghese dal quale deriva tutto il ro
manticismo tedesco.
Doktor Faustus, (1947).
In queste (composizioni), nonostante il grado musicale sviluppatissimo, davanti
a uno sfondo di estrema tensione si trovano delle banalità, beninteso non in senso
sentimentale o in quello della compiacenza troppo spinta, bensí banalità nel senso
di una primitiva tecnica: ingenuità dunque, o apparenti ingenuità che il maestro Kre
tzschmar lasciava passare al non comune alunno con un sorriso, certamente perché l
e comprendeva non come ingenuità di primo grado -- se cosi posso dire--ma come un
aldilà della novità e del cattivo gusto, come ardimenti travestiti da tentativi di p
rincipiante.
Doktor Faustus.
Nel 1891 Frank Wedekind compone un dramma intitolato Fruhlings Erwachen [Risvegl
io di primavera], che porta il sottotitolo Tragedia di ad~lescenti .
Le fotografie della rappresentazione al Deutsches Theater, nel 1906, mostrano un
a troupe di attori adulti che recitano in abiti quasi infantili, come bambini cr
esciuti troppo in fretta.
Ne giunge la stessa ironia che segnava la copertina dell'edizione Langen del dra
mma: con prati in fiore e rondini sui rami.
Voltata la copertina, compaiono adolescenti che tentano la loro ribellione scopr
endo il sesso: sono esperienze omosessuali o l'avventura faustiana con una Margh
erita quattordicenne che chiede al seduttore coetaneo d'essere frustata come dal
padre.
L'ironia di Wedekind ha quale bersaglio la primavera ~> in cui la società borghese
configura ottimisticamente la situazione dell'adolescenza.
Sono anni in cui la parola Fruhling, primavera , è privilegiata come i temi dell'a
dolescente e della giovinezza da una cultura che si dichiara innovatrice, anti-f
ilistea, e che in realtà si adegua alla funzione riserbata per lei dal potere poli
tico-economico.
Da un lato, la scuola tèdesca è stata prussianizzata come una caserma; d'altro lato,
i poeti dell'imperialismo guglielmino celebrano in termini apparentemente anti-
borghesi la primavera della vita .
La primavera della vita è anche primavera del giovane popolo tedesco; il filisteis
mo borghese sembra posto sotto accusa da quello che in effetti è il suo frutto e c
he sarà il suo strumento di propaganda piú efficace: la rapsodia del nazionalismo e
dell'imperialismo attinge ,alla mistica della giovinezza.
Con der Fruhling è privilegiato das Leben, la Vita --Richard Dehmel la canta in Hi
eroglyphe [Geroglifico]:
Ma seppure circondata da denti, la Vita troneggia giubilando: amore! Dietro a qu
esta celebrazione della Vita con la lettera maiuscola, sta una crisi nel decorso
di ciascuna singola vita.
Il processo di maturazione è reso specialmente arduo dalle strutture di una società
che impone allo studente ginnasiale doveri di suddito adulto e che nello stesso
tempo, con l'arte d'avanguardia del regime, privilegia la situazione adolescenzi
ale e la prolunga come modello di esistenza oltre i suoi limiti cronologici teal
i.
Il risultato è una generazione, o almeno un'élite, di adolescenti precocemente invec
chiati e di adulti rimasti alla pubertà, quando le due menomazioni non si assomman
o contraddittoriamente nella medesima persona.
Nell'estate del 1893 anche il diciottenne Thomas Mann, con lo pseudonimo Paul Th
omas , pubblica insieme con un compagno di ginnasio una Rivista mensile d'arte,
letteratura e filosofia che si intitola Fruhlingssturm [Tempesta di primavera].
Il giovanissimo editorialista scrive prose aggressive contro la dignitosa Lubecc
a, dichiarando di voler penetrare con parole e pensieri in quel cumulo di impolv
eramento intellettuale, ignoranza e filisteismo stupido e tronfio .
Ed anche espone al ludibrio un tale dottor Conrad Scipio che con filisteismo lim
itato s'era permesso di dimostrare la necessità di perdonare senza riserve a Heine
la sua vita privata piuttosto libera, dato che in fondo era stato un buon prote
stante e buon patriota .
E troppo ridicolo!--si indigna Paul Thomas --Crede forse questo critico da quatt
ro soldi di fare un piacere postumo al defunto Harry Heine...?! .
Erano gli anni in cui gli esponenti letterari del razzismo guglielmino promuovev
ano campagne contro l'erezione di un monumento all' ebreo Heine.
L'atteggiamento di Thomas Mann rivela quindi una certa spregiudicatezza; ma non
doveva essere molto piú di una punta dell' anti-filisteismo e dell'ironia superfic
iale sull' ipocrisia borghese , che potevano conciliarsi bene con l'ottimismo de
lla primavera della vita .
Nei suoi scritti di poco successivi sulla rivista monacense Zwanzigste Jahrhunde
rt [Ventesimo secolo] fondata dallo chauvinista ed antisemita Fritz Lienhard 4 e
allora diretta da Heinrich Mann, Thomas Mann ventunenne riconosce una lieta spe
ranza nelle liriche di Maurice Reinhold von Stern che sono di questo tenore: Ava
nti a briglia sciolta, in resta la lancia per la verità, oh fede della giovinezza,
tu sei l'ala che porta nelle regioni del cielo , e nel recensire il libro di vi
aggi Von Gibraltar bis Moskau [Da Gibilterra a Mosca] di Karl Weiss scrive:
Il sentimento nazionale è diventato oggi dovunque un gusto letterario e ciò che a Pa
rigi può limitarsi a essere uno scherzo decadente, ha in Germania radici piú profond
e perché i tedeschi, che sono il popolo piú giovane e sano d'Europa, erano chiamati
come nessun altro a essere e a rimanere i portatori dell'amore per la patria, de
lla religione e del sentimento della famiglia.
In quegli stessi anni Thomas Mann esordisce come Dichter, poeta nell'ampia accez
ione tedesca del termine, che comprende l'attività artistica del prosatore.
Esordisce come novelliere, e con la stessa aggressività usata al tempo di Fruhling
ssturm contro il filisteismo borghese egli sceglie ora a bersaglio il dilettante
di estetica, il borghese sviato che non è un buon borghese né un buon artista.
Le sue prime prove nell'ambito della piccola forma rivelano una precoce maestria
stilistica, ma anche tutta la severità dell'adolescente borghese che rifiuta il d
ilettante e radicalizza la funzione e la dignità dell'artista. ~ la severità con cat
tiva coscienza del ragazzo destinato in un primo tempo a ereditare l'a~ienda pat
erna, inadatto a quel compíto, e ansioso di trovare nello stato dell'artista la di
gnitosa situazione sociale ed etica appropriata a lui--la situazione, anche, tal
e da conciliare l'adolescenza con la società: rendendola emblematica e atemporale-
-.
Le parole con cui Thomas Mann rivelerà alla fidanzata i propri tormenti di adolesc
ente:
Lei sa che io, che la mia persona umana non ha potuto svilupparsi come quella di
altri giovani; sa che un talento può essere assorbente, può succhiare il nostro san
gue come un vampiro; Lei sa che vita fredda, inaridita, puramente ostentativa e
rappresentativa io abbia vissuto per anni; sa che per anni, e per 5 anni importa
nti, come essere umano mi sono considerato uno zero e ho voluto diventar qualcun
o solo come artista... (lettera a Katja, principio di giugno 1904)
sono un documento delle ragioni del suo accanimento contro il dilettante.
Suo padre nel testamento aveva parlato di lui come di un ragazzo di animo buono
, tranquillo, che si sarebbe trovato bene in un'attività pratica (Testamententwurf
e des Senators Thomas Johann Heinrich Mann, in Sinn und Form 1965, p. 53).
Agli occhi dell'adolescente borghese che si riconosce vocazione all'arte, il con
trasto piú importante è quello fra il borghese corretto e il borghese sviato, o fra
il dilettante di estetica e l'artista vero.
L'angoscia è la possibilità di cadere nella situazione irregolare che sta fra la ris
pettabilità del borghese vero e la rispettabilità dell'artista vero.
La rispettabilità del borghese è un valore distillato mediante la critica al filiste
ismo borghese ; la rispettabilità dell'artista è pur essa un valore, sottratto con s
everità al dilettantismo e custodito dalle leggi rigorose di un'etica dell'operare
artistico che impegni tutto l'uomo e tutti i suoi rapporti col mondo.
L'uno e l'altro valore corrispondono a un legittimo e nobile rapporto con la Vit
a .
Nella società che ha posto in crisi le possibilità di maturazione armoniosa, che ha
interrotto l'itinerario dall'adolescenza all'età adulta instaurando fra esse rappo
rti artificiosi, che blocca il processo di autocoscienza dell'io, la ricerca di
uno stato di dignità che consenta un nobile rapporto con la Vita è ricerca del propr
io io: del proprio principium individuationis secondo l'espressione di Schopenha
uer, che qui risulta appropriata.
Alcuni personaggi delle prime novelle di Thomas Mann, pubb~icate su riviste fra
il 1894 e il 1898, sono artisti fra virgolette, in un'accezione che va dall'ist
rione al dilettante di estetica.
Non si tratta di artisti veri, ma di cattivi borghesi, borghesi sviati .
Altri sono uomini che per una menomazione fisica si trovano, come gli pseudo-art
isti, in pessimi rapporti con la Vita .
Pseudo-artista è il piccolo signor Friedemann (Der kleine Herr Friedemann), un bor
ghese appassionato d'arte, un epi6 cureo non privo di qualche talento, che falli
sce ridicolmente fino a morirne nell'incontro con l'amata.
Pseudo-artista è il protagonista di Der Bajazzo [Il pagliaccio], dilettante di tal
ento egli pure, e incapace di rivolgersi àlla donna che gli interessa senza cadere
nel ridicolo.
Non artista, neppure tra virgolette, ma oggettivamente menomato, malato, è Gottlob
Piepsam nella novella Der Weg nach dem Friedhof [Il viale del cimitero]: un alc
oolizzato che in una sorta di ridicolo raptus vorrebbe impedire alla Vita --a un
giovane ciclista--di percorrere il viale del cimitero.
E neppure artista è Tobias Mindernickel, l'ometto grottesco e solitario che si tro
va come unico compagno un cane malato, lo cura, ma poi con atto incomprensibile
ed infame lo uccide, quando l'animale guarito non bada al suo richiamo.
Le figure dei menomati nel corpo valgono cosí di rincalzo allegorico per quelle de
gli irregolari nello spirito che non possono essere buoni borghesi né buoni artist
i.
L'allegoria, d'altronde, coincide spesso con l'evidenza di connotazioni sociali:
non si tratta soltanto di deformi o di malati nel corpo, ma di uomini socialmen
te irregolari, borghesi decaduti.
Gottlob Piepsam per alcoolismo aveva perduto l'impiego, era stato cacciato con s
candalo sulla strada :
Egli ricopriva un impiego presso una società di assicurazioni: era una specie di c
opista di rango un po~ piú elevato, e percepiva novanta marchi al mese.
Ma, in momenti d'ottenebramento delle facoltà ragionatrici, si era reso colpevole
di errori marchiani, e finalmente, dopo ripetuti moniti, era stato licenziato pe
r persistente scarso rendimento.
Tobias Mindernickel porta un ruvido cappello a cilindro di sagoma antiquata, una
giacca stretta e resa lucida dagli anni... :
Che ha mai quest~uomo, da starsene sempre solo e da avere un'aria cosí incredibilm
ente afflitta? Il modo di vestire, borghese fino all'ostentazione, come pure un
certo suo guardingo accarezzarsi il mento con la mano, sembrano tradire un~origi
ne ben diversa dal ceto popolare in mezzo al quale egli abita.
I~io solo sa attraverso quali esperienze è passato...
L'affinità tra i due tipi di menomazione, nello spirito e nel corpo, che ambedue i
mpediscono d'essere in buoni rapporti con la Vita , è confermata dai casi in cui i
tratti delle due infermità si sovrappongono.
Il piccolo signor Friedemann non è soltanto un borghese ridicolmente sviato, ma an
che un gobbo.
Il protagonista di Der Kleiderschrank [L'armadio] non è un dilettante di estetica,
ma semplicemente un malato, e pure gode di un'improvvisa, misteriosa e ridicola
facoltà di visione che coincide con le ebbrezze estetiche degli pseudo-artisti. ~
un malato che viaggia a caso, sapendo di avere pochi mesi di vita; quando egli
socchiude l'armadio nella pensione di una città sconosciuta, apre la porta su un e
nigmatico aldilà da cui gli giunge una figura femminile nuda, tra Afrodite e Kore.
La sua menomazione pare tradursi in facoltà di visione, ma di visione precaria e p
er molti aspetti grottesca:
El~a gli raccontava storie tristi, storie sconsolate, ma che si pos,~vano sl~l c
uore come un peso soave e lo facevano palpitart piú lento e piú felice.
Sovente egli si abbandonava: il sangue gli urgeva dentro, ed egli tendeva ~e man
i verso di lei che non lo respingeva.
Ma poi p~r diverse sere non la ritrovava piú nell'armadio; e, quando tornava, anco
ra per diverse sere non gli narrava nulla; poi riprendeva a poco a poco, finché lu
i si abbandonava nuovamente.
(Thomas Mann avrebbe poi raccomandato di non prendere troppo sul serio e sul tra
gico Der Kleiderschrank: A mio parere il racconto deve fare, in un certo senso,
un'impressione grottesca, irradiare un umorismo un po' macabro, e in piú d'un punt
o bisogna ridere... [lettera a Kurt Martens, 15.11.1899] ).
Nessuno di questi personaggi è di estrazione popolare e nessuno di essi è davvero g
iovane.
L'adolescente borghese che esordisce nella letteratura ~ormai già adolescente in r
itardo: Io non esco mai dalla pubertà , dirà in una lettera del 7.3.1901 al fratello
Heinrich), evoca i propri rischi entro la classe che è sua, e non coinvolge in qu
elle evocazioni la sua primave8 ra .
Va anzi alla ricerca del punto di perennità della sua primavera : con gli strument
i dello stile e dell'ironia verso il rischio, cerca il dignitoso rapporto con la
Vita del perenne adolescente stylé in cui riconosce l'artista.
Nel 1897, durante il loro viaggio in Italia, i due fratelli Heinrich e Thomas Ma
nn avevano progettato di scrivere insieme, à la frères Goncourt, un romanzo che trae
sse spunto dalla storia della loro famiglia: Heinrich avrebbe narrato i preceden
ti storici (das Familienhistorische) e Thomas la decadenza (der Verfall).
La collaborazione non poté essere realizzata.
Thomas scrisse da solo tutto il romanzo (fra il 1897 e il 1~00), conservandogli
però il sottotitolo che nel progetto iniziale designava la sua parte: Buddenbroock
s.
Verfall einer Familie [I Buddenbrook.
Decadenza di una famiglia] è dunque per molti aspetti la storia della decadenza de
lla famiglia Mann.
Il romanzo è tuttavia autobiografico solo in un'accezione molto particolare.
Pur attingendo alla storia passata e recente della sua famiglia (i riferimenti a
persone reali, facilmente riconoscibili nell'ambiente di Lubecca, furono cosí pre
cisi da suscitare alcune indignate proteste di parenti che si ritennero offesi),
Thomas Mann sembra escludere se stesso dal quadro.
Nella figura di Thomas Buddenbrook sono presenti alcuni tratti di suo padre, il
senatore Mann, ma l'ultima generazione--quella che dovrebbe corrispondere a Thom
as Mann -- è rappresentata dal fanciullo Hanno, il quale non è Thomas Mann nell'infa
nzia, se non in termini molto segreti ed elusivi.
Alcuni riferimenti mostrano che forse nel disegnare i tratti esteriori della fig
ura di Hanno Thomas Mann pensò tanto all'infanzia del fratello maggiore Heinrich q
uanto alla propria.
Ed era Heinrich, non Thomas, il figlio che preoccupava il senatore Mann per la s
ua inclinazione verso una cosiddetta occupazione letteraria (come il senatore sc
riverà nel testamento), al modo stesso in cui il piccolo Hanno deludeva Thomas Bud
denbrook per la sua scarsa disposizione alle attività pratiche e si mostrava sensi
bilissimo all'arte, la musica.
Thomas Mann sembra assente nei Buddenbrooks, tranne che negli aspetti in cui il
piccolo Hanno rappresenta il rischio (angoscioso per il giovane Thomas Mann) di
non essere un corretto borghese né un vero artista.
Nei Buddenbrooks non compare alcuna figura di arrista vero.
L'unico artista vero è il narratore, il quale, pur appartenendo a una grande famig
lia borghese, non è un borghese vero e può essere in buoni rapporti con la Vita non
nella sua qualità di borghese, bensí nella sua qualità di artista.
In quanto tale--artista vero e non solo dilettante di estetica--, egli porta all
a luce le strutture geometriche della decadenza della propria famiglia, cioè gli e
venti del ciclo destinato in sorte alla propria famiglia come ad ogni grande fam
iglia borghese.
La prima figurazione della parabola dei Buddenbrook coincide con la evocazione d
ella fine di un ciclo analogo, vissuto da un'altra famiglia.
Il romanzo si apre con la festa per l'inaugurazione della casa acquistata dai Bu
ddenbrook nel 1835, al colmo della prosperità: <~ l'ampio antico palazzo della Men
gstrasse era stato costruito cento cinquant'anni prima per la farniglia Ratenkam
p, destinata precisamente a un ciclo di ascesa e decadenza che termina quando in
izia quello dei Buddenbrook.
Parlando di Dietrich Ratenkamp, precedente proprietario del palazzo, Jean Budden
brook dice:
Era come paralizzato. [...] Camminava come sotto un incubo, e credo che non sia
difficile comprenderlo.
Che cosa lo poté indurre ad assocíarsi con Geelmaack che recava una miseria di capit
ale e non godeva certo di ottima reputazione? Deve aver sentito il bisogno di sc
aricare su qualcuno una parte della tremenda responsabilità perché sentiva che si an
dava inesorabilmente verso la fine...
Era una ditta che aveva fatto il suo tempo, una vecchia famiglia ormai passée (Bud
denbrooks, parte I, cap. 4).
Anche i Buddenbrook al termine della parabola diverranno una vec10 chia famigli
a ormai passée e saranno costretti a vendere il palazzo della Mengstrasse ad un'al
tra famiglia in ascesa, gli Hagenstrom.
Questa simmetria di destini, dietro la quale sta la storia come sequenza di cicl
i perennemente ritornanti, corrisponde alla qualità lirica del romanzo.
Determinando la struttura della narrazione in termini che Thomas Mann stesso avr
ebbe poi detto wagneriani (l'uso ripetuto del Leitmotiv; il preludio che anticip
a i temi dominanti di tutta l'opera), tale qualità apre un'altra dimensione di fia
nco a quella storicamente oggettiva in cui si compie la decadenza irreversibile
della borghesia.
Ogni famiglia ha in sorte un ciclo, un saeculum, al termine del quale muore; la
rinascita, che garantisce continuità alla borghesia, non è rinascita della medesima
famiglia, ma ascesa di una famiglia nuova.
Errore è soltanto il credere che la continuità, la rinascita, si attui per la famigl
ia e per gli individui anziché per la classe borghese.
La continuità per ripetizione ciclica è una delle strutture profonde e segrete dell'
esistere borghese.
Il borghese vero e perfetto, in buoni rapporti con la Vita, non indaga queste st
rutture segrete.
Affrontarle e parlarne è già sintomo di crisi; acquistare coscienza del destino è già ri
velarsi in qualche misura estranei all'accordo con la Vita: quando ciò accade, è già i
n atto il declino.
Il vecchio Johann Buddenbrook, il borghese perfetto, non apprezza le parole del
figlio Jean sul precedente proprietario del palazzo, paralizzato dalla sensazion
e di fine: Be', assez, Jean.
Cotesta è una delle tue idées... ~>.
Egli non si pone il problema della sorte, non vuole indagare un domani in cui in
tervenga il destino: vive serenamente la sua ora.
Ma piú tardi, quando ormai la famiglia è sul limite della caduta e tuttavia è ancora m
olto prospera, il ~glio di Jean, Thomas, sarà precisamente assillato dall'angoscia
della continuità dell'io e della stirpe.
Solo per un istante, quando gli viene in mano un po' cercato e un po' per caso u
n libro acquistato sbadatamente , Schopenhauer, al capitolo Della morte e del su
o rapporto con la indistruttibilità del nostro essere in sé ,--solo per un istante,
egli acquista percezione della legge segreta, e ne trae enorme felicità :
Ho sperato di continuare a vivere in mio figlio? In una personalità ancor 11 piú deb
ole, piú pavida, piú labile? Stoltezza puerile ed errore! Che m~importa un figlio? N
on ho bisogno di figli! Dove sarò quando sarò morto? ~ chiarissimo, è estremamente sem
plice! Sarò in tutti coloro che mai abbiano detto io, che lo dicono e lo diranno:
ma specialmente in coloro che lo dicono con maggior pienezza, con maggiore e#erg
ia, con maggiore serenità... [...] .. giurò a se stesso di non abbandonare mai quel~
'enorme felicità... (Buddenbrooks, parte X, cap. 5).
Il giuramento non può essere rispettato ( Ma non fu possibile, e fin dal mattino s
eguente, quando si destò con un lieve senso di disagio per le scappatelle spiritua
li del giorno prima, intuí vagamente che quei bei proponimenti non erano eseguibil
i ).
La legge, dal momento in cui se ne diviene consapevoli, è annuncio di fine, e nel
tempo che precede di poco la fine non può esservi enorme felicità : la felicità è riserb
ata agli altri, a quelli che intanto iniziano la loro ascesa.
Piú ingenuamente, restando legata alla speranza e alla fiducia nella continuità dell
a stirpe, cade in errore anche la sorella di Thomas, Tony, destinata a confermar
e con il suo errore la fatalità della decadenza.
Essa non soffre le angosce del padre e del fratello circa una possibile crisi e
una possibile fine; è piú di tutti certa della dignità dei Buddenbrook e del potere di
durata della famiglia, ma ne è, appunto, troppo certa.
Il suo nonno, Johann, non si poneva il problema; essa se lo pone: con fiducia, m
a se lo pone; sbaglia, e con il suo sbaglio annuncia la fine:
Ma poi si consolava pensando che la fine della ditta non era poi la fine della f
arniglia, e che suo nipote avrebbe dovuto incominciare un~opera nuova e fresca p
er adempiere al suo alto compito, che consisteva evidentemente nel conservare sp
lendore e risonanza al nome dei suoi padri e nel far rifiorire la famiglia.
Non per niente assomigliava tanto al bisnonno... (Buddenbrooks, parte XI, cap.
I).
In realtà il nipote, Hanno, morirà bambino, e con lui si estinguerà la famiglia.
Lo sbaglio di Tony consiste, d'altronde, nel dissociare la ditta dalla famiglia;
nel quadro dei Buddenbrooks, la fine della ditta non può non essere anche la fine
della famiglia: miglior borghese di Tony, anche se egli pure già minato dalla cri
si, suo padre Jean aveva detto per i Ratenkamp: Era una ditta che aveva fatto il
suo tempo, una vecchia famiglia ormai passée .
Hanno Buddenbrook, il ~glio di Thomas, assomigliava tanto al bisnonno .
Affiora qui un altro schema simmetrico dei Buddenbrooks, secondo il quale sono o
rdinate le fisionomie dei protagonisti delle quattro generazioni.
I capifamiglia della seconda e della terza generazione, Jean e suo figlio Thomas
, sono due eroi in tensione , cioè non piú borghesi perfetti e saldi nei loro rappor
ti con la Vita, ma borghesi che in eroica tensione riescono a mantenere una prec
aria saldezza.
Ambedue indagano la sorte, sentono la sorte, e perciò agiscono nella decadenza che
è innanzitutto sentirsi drammaticamente collocati in un ciclo anziché dire Via, via
, godiamoci le gioie del presente! ; e ambedue reagiscono all'angoscia, il primo
accentuando la qualità religiosa della moralità del suo agire, il secondo radicaliz
zando la dignità formale della distinzione patrizia (non solo sarà impeccabile nell'
abbigliamento, fino alla mania, ma s'approprierà d'una veste di eccezionale dignità
e, primo dei Buddenbrook, diventerà senatore).
Prima e dopo di essi, alle estremità del quadro, i rappresentanti della prima e de
lla quarta generazione--Johann Buddenbrook e il bisnipote Hanno--si assomigliano
non solo nella f;sionomia, ma nel non essere né l'uno né l'altro eroi in tensione .
L'uno e l'altro non sono eroi in tensione , ma per ragioni opposte, cosí che la lo
ro somiglianza, si rivela ironia mentre esprime i due limiti del ciclcr.
L'uno, il vecchio Johann, è il borghese vero e perfetto, il commerciante sicuro ne
ll'agire per il successo, il patrizio cui è propria la distinzione di una solida r
icchezza ma non l'eleganza rappresentativa degli aristocratici del sangue e nepp
ure la calcolata raffinatezza eccentrica dei cavalieri à la mode , l'uomo colto ma
non troppo, spregiudicato e ironico, con misura, in materia di religione.
Egli non affronta alcuna tensione, se non quelle degli affari, intrapresi COI en
ergia e astuta capacità di sfruttare le situazioni.
L'altro, il fanciullo Hanno, è un borghese sviato, un dilettante di estetica, non
un eroe in tensione , poiché per lui, che possiede un certo precoce talento artist
ico, la tensione è solo il tormento non contrastato di subire i primi annunci dell
a destinazione a prosecutore della ditta familiare e i rigori della scuola pruss
ianizzata: in lui sono confluiti germi di crisi tali da farlo morire fanciullo,
perché non ha piú volontà di vivere, e la sua adesione alla morte per tifo ( Se invece
[il malato di tifo] rabbrividisce di paura e d; ripugnanza per la voce della vi
ta che lo chiama [ . . . ] allora, si sa, allora morrà ) è pari al senso di paralisi
con cui il vecchio proprietario del palazzo della Mengstrasse, Ratenkamp, già ant
icipava la fine predestinata della sua famiglia.
Prima e dopo i due -eroi in tensione si definiscono gli estremi del ciclo della
famiglia Buddenbrook: il vecchio Johann determina un'ora di grande prosperità per
la famiglia e per l'azienda; quando Hanno muore, la famiglia appare destinata ad
estinguersi e l'azienda è già stata liquidata.
In questi schemi geometrici la decadenza della famiglia borghese ha la sua dimen
sione epica e lirica.
La sua storicità non soltanto è denunciata dal controcanto critico dei riferimenti a
ccurati alle vicende dei tempi, ma, piú celatamente, consiste nella sua armonia co
n una struttura ciclica della storia intesa quale realtà soggettiva al livello di
classe, oggettiva al livello dell'individuo calato entro la classe.
La soggettività al livello di classe corrisponde all'essere la classe borghese un
sistema chiuso, regolato da proprie peculiari norme segrete in cui si manifestan
o il destino e il processo di morte e rinascita.
Il borghese perfetto, in buoni rapporti con la Vita, si trova al centro di quell
'epifania del destino e ne vive, non ne indaga, le norme.
Porsi il problema di tali norme, indagarlo, prenderne coscienza--cioè profanarle,
trarle alla luce dalla loro area segreta--, significa allontanarsi dall'esperien
za genuina del processo e perciò essere in decadenza .
Per il fatto d'aver indagato le modalità di decadenza, nelle loro strutture simmet
riche cioè nella loro piú segreta storicità, il bor 14 ghese Thomas Mann nei Buddenbro
oks mostra di nutrire dubbi sull'esistenza attuale del borghese perfetto, nella
misura in cui egli stesso, indagatore come e piú di Thomas Buddenbrook, non è un bor
ghese perfetto.
Il dubbio non è ancora rivolto drasticamente verso tutte le esistenze borghesi in
quanto tali e in un determinato istante della storia, ma si limita ad essere la
proiezione verso l'esterno dei risultati dell'autoanalisi dell'io del narratore,
che sono fonte di inquietudine.
E vero, d'altronde, che nella espressione della geometria della decadenza si com
pie non solo la qualità epica, ma anche la qualità lirica della narrazione.
La geometria segreta della decadenza è la sua segreta storicità, ma è anche la discipl
ina formale intrinseca al lirismo di Thomas Mann.
I~a questo punto di vista, può essere la prova che Thomas Mann nei Budlenbrooks si
a in buoni rapporti con la Vita, non come borghese vero, ma come artista vero.
I segni della decadenza della famiglia Buddenbrook non sono soltanto prescienze
paralizzanti della fine vicina, com'era accaduto per i precedenti abitatori del
palazzo della Mengstrasse.
Il console Jean Buddenbrook è ancora soltanto turbato da inquietudini che parrebbe
ro i primi sintomi di una paralisi predestinata, simile a quella subita dai Rate
nkamp.
Ma nella vita di suo figlio Thomas e di suo nipote Hanno la decadenza matura cel
ermente per l'intervento di un preciso fattore, l'arte, che sembra incaricarsi d
i promuovere la scadenza del destino.
Thomas Buddenbrook non è un artista fra virgolette come i personaggi delle novelle
, e tuttavia è già un borghese sviato.
Dimostra una raffinatezza che dal punto di vista borghese è irregolarità e debolezza
, e, pur non possedendo egli stesso alcun talento artistico, soggiace irrimediab
ilmente al fascino di una donna, Gerda, che è non solo la dilettante di estetica,
l' artista per eccellenza, ma la personificazione della fatale tentazione artist
ica (non dell'arte) per chi non è artista vero.
Thomas tuttavia è ancora un eroe in tensione : sebbene subisca questo fascino e ne
introduca la portatrice, sposandola, entro la famiglia borghese, egli resta al
suo posto di capo della ditta e impiega con sforzo quotidiano ogni sua energia p
er non arrendersi, cioè per non mancare al suo dovere di borghese.
Il cedimento avrà luogo con suo figlio, il piccolo I lanno, figlio del borghese sv
iato e della donna artista , ed egli stesso non soltanto borghese sviato ma dile
ttante di estetica, inatto alla scuola e alle occupazioni pratiche, soggiogato d
alla musica, ma solo artista fra virgolette, non artista vero, poiché sprovvisto d
elle forze necessarie per superare la tensione e divenire, anziché borghese vero,
artista vero--sprovvisto, infine, delle forze per continuare a vivere in quella
tensione.
Hanno e uno i quei dilettanti di cui Thomas Mann aveva parlato, recensendo Cosmo
polis di Bourget sullo Zwanzigste Jahrhundert del giugno 1896:
gli ultimi rampolli della loro razz~ che consumano senza accrescerle le forze sp
irituali e materiaLi ereditate, figli degenerati, i cui padri avevano compiuto v
ero lavoro e l'avevano tramandato ai figli affinché questi Vi aggiungessero la lor
o opera...
Nel romanzo Thomas Mann non ha infierito cosí rozzamente su Hanno (riservando la s
ua spietatezza, piuttosto, a Christian Buddenbrook), probabilmente perché gli ripu
gnava entrare in conflitto con il patetismo malinconico (la Sehnsucht) dell'adol
escente che nella sua operazione lirica era scaturito a colmare la figura di lui
.
Preferí far morire l'adolescente, piUttosto che esporlo alla mancanza di dignità nel
l'età adulta: la morte di Hanno è l'emblema solo parzialmente deliberato della fratt
ura tra adolescenza e maturità che veniva celata dalle apologie della primavera .
La decadenza della famiglia Buddenbrook si compie dunque in una luce particolare
: diviene un'accezione particolare, segnata dallintervento della tentazione arti
stica come elemento distruttivo, della sorte di ascesa e decadenza prescritta ad
ogni grande famiglia borghese.
Narrando in questo modo singolare i destini di una famiglia che per molti aspett
i è la sua, Thomas Mann ha dichiarato l'incompatibilità fra l'esistenza del borghese
vero e la tentazione dell'arte--l'episodio del poeta Jean-Jacques Hoffstede che
durante il banchetto con cui inizia il romanzO recita una sua
16 composizione In occasione della gradita partecipazione alla lieta festa di in
augurazione della casa nuova della famiglia Buddenbrook , conferma soltanto che
la poesia piú gradita al borghese vero è una sbiadita poesia d'occasione, cortese pe
r una corte nella quale si venne a parlare di affari e si cadde invc.lontariamen
te sempre piú nel dialetto, nelle espressioni poco eleganti del linguaggio commerc
iale... (Buddenbrooks, parte I, cap. 5).
Thomas Mann ha indagato le modalità di decadenza imposte dalla storia ciclica alle
grandi famiglie borghesi, riferendo la geometria della decadenza al divenire pa
lese, saliente, dell'incompatibilità fra esistenza del borghese ed esistenza dell'
artista.
Egli ha indubbiamente tenuto fede ad un certo impegno realistico; ha posto di fi
anco alla geometria ciclica della decadenza il corso di un tempo storico irrever
sibile e non ciclico, intrecciando la tematica della decadenza chiusa nella para
bola singola della famiglia e della decadenza generale della società borghese; ha
usufruito con eccezionale perizia artistica delle trasparenze per cui le norme p
rivate e segrete dell'esistenza borghese si assommano al disegno storico delle v
icende di tutta la società.
Tuttavia fraintenderemmo i Buddenbrooks se vi riconoscessimo soltanto una mirabi
le allegoria storico-sociale, costruita razionalmente al fine di rappresentare l
e sorti della borghesia tedesca durante il XIX secolo.
E fraintederemmo il romanzo anche se ci limitassimo a coglierne il valore di ind
agine dall'interno del sistema chiuso e rituale dell'esistenza borghese: esisten
za rappresentativa almeno quanto quella dell'artista, ma incompatibile con essa,
proprio come due rituali rigorosi sono intrinsecamente incompatibili quando cia
scuno di essi è nucleo fondante di esistenza.
I Buddenbrooks presentano certamente tutte queste caratteristiche, ma possiedono
anche una componente fondamentale che è irrazionale nella sua essenza: nel romanz
o in cui non compare mai un suo autoritratto, Thomas Mann risale alle fonti dell
a sua personalità individuale, seguendo un impulso di autocoscienza che è tanto piú or
ganico in lui quanto piú irrazionale (anche se previsto dalle strutture della soci
età), e che sceglie la libertà dell'irrazionale per manifestarsi.
Questa irrazionalità si appalesa dapprima soltanto - come arbitrio compositivo.
La storia della famiglia Mann è narrata con una oggettività che sembra tale, sia dal
punto di vista della storia rituale borghese, sia da quello della storia di tut
ti , ma tale coincidenza di oggettività è necessariamente dimostrazione di assenza c
li oggettività sia dall'uno sia dall'altro degli inconciliabili punti cli vista.
E una soggettività che assume parvenze oggettive in quanto adotta per i propri fin
i compositivi effetti di trasparenza e di sovrapposizione che simulano l'identif
icazione.
Questi, che in tale luce sono essenzialmente mezzi artistici deliberati e non ri
sultanze inevitabili di un'oggettiva resa dei conti con la storia--le storie--,
hanno il fine di rappresentare con fanatismo dell'ab ovo (come Thomas Mann dirà ne
l Lebensabriss [Schizzo autobiografico] del 1930) la genesi pre-natale dell'io d
el narratore.
Qui l'irrazionalità si manifesta in due forme: il fascino dell'origine o per cos~
clire dell'origine dell'origine, del primordiale assoluto e mai attingibile, e i
l fascino dell'io, cioè della propria personalità considerata evento eccezionale, un
ico e mirabile Mostrando di sacrificare alla tematica di quegli anni che propone
va di continuo la contrapposizione arte-vita, artista-borghese, Thomas Mann dà sfo
go in realtà alle inquietudini e alla egolatria della sua primavera .
Nei Buddenbrooks le figure dei borghesi sviati e tentati dall'arte come Thomas,
degli artisti fra virgolette e dei dilettanti di estetica come Christian e come
Hanno, sono di per sé negative, residui e macerie della tensione tra le due forme
di esistenza del borghese e dell'artista, ma sono anche il precedente rappresent
ativo, la forma in cavo, del geniale dilettante che, a differenza dei personaggi
di artisti , sceglierà l'insubordinazione ai termini del conflitto e alla loro st
oricità apparentemente ineluttabile, e vivrà una sua individuale, unica, esperienza
di artista senza virgolette, pur senza aderire al prototipo dell'artista vero ch
e si contrappone in modo paradigmatico al borghese vero.
I Buddenbrooks sono un ricerca delle proprie origini, ma anche una costruzione d
elle proprie origini.
Ricerca e costruzione si congiungono nell'arte del narrare, che razionalizza l'o
perazione soggettiva del narratore ad 18 un livello piú alto di quello delle obiet
tività storiche, pur senza intaccare o ridurre la componente irrazionale che ne è il
nucleo organico, cosí come la persona corporea, organica, del narratore, è il presu
pposto fondante del suo eloquio.
Il livello di razionalizzazione determinato dall'arte del narrare è quello di ciò ch
e in un'opera della vecchiaia, Der Erwahlte [L'eletto], Thomas Mann chiamerà ]o Sp
irito della narrazione .
Lo Spirito della narrazione è ciò che miracolosamente consente oggettività al singolo
senza cancellarne l'io.
Esso può anche raccogliersi in una persona e cioè nella prima, e impersonarsi in qua
lcuno che in essa parla e dice ' Sono io... ' (Der Erwa~lte, primo paragrafo).
E dunque anche ciò che consente la indistruttibilità dell'io , solo intravista da un
uomo come Thomas Buddenbrook, che non era un artista bensí un borghese, seppure s
viato, e che proprio perciò era destinato a deformare in termini di fragile ottimi
smo il pensiero di Schopenhauer: Sarò in tutti coloro che mai abbiano detto io, ch
e lo dicono e lo diranno: ma specialmente in coloro che lo dicono con maggior pi
enezza, con maggiore energia, con maggiore serenità... .
Lo Spirito della narrazione può rendere l'io oggettivo e indistruttibile, poiché è qua
lcosa che scaturisce dall'origine e che rende perennemente attuale l'origine.
Iniziando a raccontare le vicende della famiglia Buddenbrook, Thomas Mann risale
molto all'indietro, fino all' In principio della cosmogonia, che risulta essere
l' In principio della forma-romanzo nel suo porsi in atto, e al tempo stesso l'
In principio della famiglia patrizia di Lubecca.
Procedendo dal piú remoto In principio , egli può cominciare a narrare le sorti dei
Buddenbrook non dal primo di questo nome, ma dal quadro di tre generazioni riuni
te in un salotto 1835.
Per valere come esordio è un quadro tardivo, ma vi penetra al centro, giustificato
re, un altro esordio: e quale esordio! Nella prima riga del romanzo parla la pic
cola Tony: Come dice?... come... dice?... .
E il soliloquio di una persona che cerca di ricordare qualcosa.
Ma scrivere un romanzo è ricordare, tendere l'orecchio fino a cogliere l'eloquio d
ello Spirito della narrazione, ricordarlo, ripeterlo, farlo proprio, identificar
si con la voce loquente.
Come dice?... è dunque l'esordio appropria1 9 to di un romanzo.
Tanto piú lo è quando il narratore si dichiara pedantescamente amante degli antefatt
i, animato da un fanatismo dell'ab ovo , e la cosa da ricordare, la parola sfugg
ente dello Spirito della narrazione, è nientemeno che l'ab ovo per eccellenza, la
parafrasi catechistica del primo capitolo della Genesi:
... la piccola Antonie, una bimba di otto anni [...], guardò in giro per la stanza
senza veder nulla e sforzandosi di pensare, mentre ripeteva ancora: ~ Come dice
mai? Poi soggiunse lentamente: Credo che Dio... --rischiarandosi in viso contin
uò in fretta-- ha creato me con tutte le creaure... i Buddenbrooks, parte I, cap.
1).
E, questo, un atto di devozione verso lo Spirito della narrazione e al tempo ste
sso un atto di drastica egolatria. `E un preludio, quale enunciazio ne prelimina
re, wagneriana, dei temi che l'orchestra svilupperà in tutta l'opera: il tema dei
primordi, e, poiché il narratore è i'artista nato dalla famiglia borghese, l'elabora
zione del tema dei primordi che finisce per congiungersi dopo dieci righe di rit
ardo , o meglio di appoggiature , al tema dell'esistenza borghese, fatto risonar
e con ironia.
La piccola Tony ha trovato l'avvio.
Credo che Dio ha creato me con tutte le creature... :
...--e oltre a ciò gli abiti e le scarpe,--continuò--i cibi e le bevande, la casa e
il podere, la moglie e i figli, i campi e il bestiame...
A qlleste parole il vecchio signor Johann Buddenbrook scoppiò in una franca risata
...
L'ironia sopravviene a cogliere ed a razionalizzare lo slancio dell'io, che, soc
corso dallo Spirito della narrazione, ardisce far coincidere i propri primordi c
on i primordi per eccellenza.
Ma l'ironia non è barriera o correzione univoca verso l'espandersi, o l'oggettivar
si, dell'io del narratore.
Certo, è ironica la citazione di un altro preludio, quello dei Maestri cantori, qu
ale musica che seduce il piccolo Hanno (Buddenbrooks, parte VIII, cap. 6); è ironi
co il riferimento sottinteso ~lla pagina di Nietzsche che in 20 quel brano music
ale della solidarietà perfetta tra il borghese e l'artista tedesco riconosceva qua
lcosa di tedesco, nel migliore e nel peggiore significato della parola (Jense~ts
von Gut und Bose, cap.
VIII).
Ma non è certo irollica l'eco dei seguito di quel preludio, cioè della finale profez
ia di Hans Sachs sulla sopravvivenza dell'arte tedesca alla rovina del popolo te
desco e del Reich, nelle parole con cui Thomas Mann lasciò l'Europa per l'America
nel 1938: Dove io sono, là è la cultura tedesca .
Hans Mayer ha ragione quando collega la pagina dei Buddenbrooks in cui risuona i
l preludio dei Maestri cantori alle considerazioni di Ernst Bertram sul medesimo
brano musicale e sulla sua interpretazione da parte di Nietzsche, per il quale
tale brano è l'ultimo che riconosca un ' dopodomani ' allo spirito tedesco e al co
ncetto di ' tedesco' associ ancora un po' di speranza (nel saggio di Bertram, Ni
etzsche.
Versuch einer Mythologie, Berlin 1918--saggio apprezzatissimo da Thomas Mann--,
citato da H. Mayer in Thomas Mann trad. ital., Torino 1955, p. 40).
Evocato nei Buddenbrooks con ironia, il fascino dei primordi tende a scon~;ggere
l'ironia nell'istante in cui alla decadenza della famiglia borghese contrappone
un dopodomani dell'artista, un dopodomani tedesco:
Ti sono grato quando fai notare che i Buddenbrooks non sono quello che si dice a
rte strapaesana , ma non è giusto definirlo un libro essenzialmente non tedesco.
Quanto Wagner, Schopenhauer... persino Fritz Reuter sono in quel libro! Domandat
i semplicemente in che altra atmosfera nazionale lo si sarebbe potuto scrivere,
se non in quella tedesca.
E dovrai ammettere: in nessun'altra.
Dopo di che considera se hai il diritto di dire che io mi sento senza patria in
mezzo al mio popolo (lettera 2 Kurt Martens, 28.3.1906).
Pubblicati nel 1901, i Buddenbrooks ottennero presto un nolevole successo cli cr
itica e di pubblico.
Non mancarono tuttavia polemiche verso la qualità disgregatrice del romanzo.
Ad esse Thomas Mann rispondeva: 21 Non è giusto chiamare i Buddenbrooks un libro d
isgregatore ~>.
Critico e ironico forse.
Ma disgregatore no.
Per essere tale è troppo artisticamente positivo, di una troppo goduta plasticità, t
roppo sereno nel suo intimo (lettera a Kurt Martens, 28.3.1906).
E il caso di prestare attenzione particolare a questa dichiarazione circa l'inti
ma serenità dei Buddenbrooks.
A distanza di settant'anni, infatti, è facile badare di piú ai tratti del romanzo ch
e si prestano ad essere intesi come testimonianze critiche della decadenza borgh
ese in termini storici e sociologici estranei alla genesi dell'opera.
Si rischia cioè di considerare secondario nel romanzo il suo carattere di opera d'
arte riuscita, ,artisticamente positiva , e di trascurare il fatto che Thomas Ma
nn si giudicava innanzitutto un poeta , un lirico e non un critico della società.
La figura del poeta sta al centro dell'interesse di Thomas Mann in alcuni raccon
ti successivi, e per almeno un decennio dopo la pubblicazione dei Buddenbrooks p
rolunga la tematica delle prime novelle.
Forzando un poco i termini, si potrebbe dire che allora per Thomas Mann il probl
ema storico e sociale delle sorti della borghesia è interessante solo perché il prot
otipo dell'artista è per lui di estrazione borghese, e l'artista è ciò di cui verament
e gli interessa parlare, o meglio ciò che veramente gli consente di esprimere la p
ropria anima tlettera a Martens).
Il problema della borghesia finisce quindi per ridursi al problema dell'essenza
spirituale e delle leggi interne dell'esistenza borghese.
Il modo di configurarlo è quello stesso con cui egli affronta il problema dell'art
ista: problema le cui parvenze sociali mostrano d'essere solo il hordo esterno d
i una situazione metafisica.
L'artista di Thomas Mann è il prototipo modellato dall'ideologia della Germania gu
glielmina: un principe , eterno adolescente ma precocemente invecchiato nella qu
alità rappresentativa del rituale che gli compete La contrapposizione artista/borg
hese è contrapposizione di due rituali esclusivi.
Venire meno alle regole entro ciascuno di essi significa interrompere la propria
autorealizzazione, commettere un 22 misfatto etico, perdere dignità, affrontare l
a vita anziché la Vita .
Tre lunghi racconti, Tristan ~1902), Tonio Kroger (1903), Der Tod in Venedig [La
morte a Venezia] (1912), mostrano sotto diverse angolature le infrazioni alle l
eggi dell'operare artistico che conducono alla degradazione o quanto meno all'in
certezza morale e all'assenza dell'intima serenità, indicata da Thomas Mann nei Bu
ddenbrooks.
Vi compaiono tre
ritratti di scrittori7 ciascuno dei quali commette essenzialmente la medesima co
lpa: si concede una vacanza, cessa di essere un eroe in tensione .
In Tristan il romanziere Detlev Spinell vive una perenne vacanza: ha scritto un
solo libro che rilegge spesso anziché produrne di nuovi, e sciupa il suo tempo in
un sanatorio montano, non perché sia malato, ma per godere l'atmosfera quieta e lo
stile del luogo:
... in certi periodi, non posso assolutamente fare a meno dello stile impero: è qu
ello che ci vuole per farmi raggiungere uno stadio limitato di benessere.
Detlev Spinell si è probabilmente sottratto alle norme dell' eroe in tensione fin
dall'esordio della sua attività di scrittore.
E un esteta.
Quel suo unico libro non è un'opera d'arte:
Si svolgeva in salotti mondani, in fastosi appartamentí femminili pieni di oggetti
squisiti, di arazzi, di mobili vetusti, di preziose porcellane, di inestimabili
stoffe e di artistici gioielli d'ogni genere...
Per quanto, anche nel sanatorio, egli trascorra la maggior parte della giornata
nella sua stanza a scrivere , non ha composto altri libri: la sua non è mai l'auto
disciplina dell'artista in tensione , ma solo la parodia di essa.
Detlev Spinell
con due polpastrelli stringeva uno dei curiosi peluzzi che gl'infioravano le gua
nce e, facendolo girare un quarto d'ora difilato, guardava fisso nel vuoto, senz
a procedere d'una riga; poi scriveva con eleganza un paio di parole, e di nuo~7o
s'inceppava.
D'altra parte bisogna arnmettere che il risultato finale dava un~impressione di
sciolto e di vivace, anche se, quanto al contenuto, rivestiva un carattere bizza
rro, ambiguo, e perfino incomprensibile.
Eroe in tensione era invece Tonio Kroger: Lavorava muto, chiuso, invisibile e pi
eno di sprezzo per quei piccoli per i quali il talento era un ornamento da socie
tà; e che, poveri o ricchi, giravano selvaggi e laceri, o facevano lusso con crava
tte di gusto personale, badando soprattutto a condurre una vita facile, amabile
e artistica, senza sapere che le buone opere sorgono sotto la pressione di una v
ita tribolata, che chi vive non lavora, e che uno dev'esser morto per essere dav
vero un creatore.
Ma anche Tonio Kroger viene meno alla regola.
Quando giunge al colmo dei tormenti sulla contraddizione irrisolta fra vita e ar
te, non decide di imporsi una disciplina creativa ancora piú severa, bensí si conced
e una vacanza, un viaggio: ... ho bisogno di prendere aria, me ne vado, cerco gl
i spazi lontani .
Parte per la Danimarca, e durante il viaggio sosta nella sua città natale, la città
angusta nella Germania de] nord che è figura di Lubecca.
Là fece un breve, strano soggiorno... : le presenze del passato esasperano e dichi
arano tragicamente inquietante, oltre che irresolubile, la contrapposizione tra
l'esistenza del borghese e quella dell'artista.
Tonio Kroger vede vacillare la dignità acquisita con durissima disciplina artistic
a, quando il suo nome, quello stesso col quale un tempo i professori lo avevano
chiamato sgridandolo , era divenuto una formula che contrassegnava cose eccellen
ti .
Nella città natale è ora per~no scambiato con un truffatore e rischia l'arresto.
I simboli della società borghese gli si rivoltano contro, e non tanto perché egli è un
artista, quanto perché (come denuncia la morale segreta del racconto) è un arti~ta
che si è concesso una vacanza.
Ancor piú emblematico eroe in tensi~lne è il grande scrittore tedesco Gustav von Asc
henbach in Der Tod in Venedig:
... un fine osservatore disse di lui in un salotto: Vedete, Aschenbach è sempre vi
ssuto cosí, -- e serrò forte a pugno le dita della mano sinistra --: mai cosí --e lasc
iò comodamente penzolare la mano aperta dalla spalliera della sedia.
Ma egli pure, durante una passeggiata intrapresa per rimettersi in sesto dopo un
lavoro difficile e insidioso , cede all'impulso di una 24 vacanza, di un viaggi
o, che avrà conseguenze mortali:
Impulso alla fuga era, ed egli se lo confessò, anelito verso cose nuove e lontane
desiderio smanioso di liberazione, di sgravio e di oblio--fuga dall'opera, dai l
uogo giornaliero di un servizio rigido, freddo benché appassionato.
Il ritratto dell' eroe in tensione è stato disegnato da Thomas Mann per la prima v
olta nei Buddenbrooks.
Eroi in tensione sono--come abbiamo detto--il console Jean e soprattutto suo fig
lio Thomas.
Ma proprio nei Buddenbrooks si ha la dimostrazione che quella dell' eroe in tens
ione ~ non è una virtú prevista dalle leggi chiuse dell'esistenza borghese.
Nel quadro dei Buddenbrooks la virtú dell' eroe in tensione è contrassegno del borgh
ese in decadenza--il borghese perfetto, il vecchio Johann Buddenbrook, non è aí~atto
un eroe in tensione e dimostra nella propria serenità quanto simile figura contra
sti con le leggi dell'esistenza borghese--.
La virtú dell' eroe in tensione è invece peculiare dell'artista, e l'artista che con
travviene ad essa si espone a rischi mortali.
I Buddenbrooks mostrano l'inconciliabilità di quella virtú e di quella legge con il
rituale dell'esistenza borghese.
Tristan, Tonio Kroger, Der Tod in Venedig, mostrano i rischi e gli orrori in cui
incorre l'artista che contravviene a quella legge di virtú.
Un breve scritto di Thomas Mann, Schwere Stur~de [ora difficile] ~1905), tra la
novella e il saggio, illustra in positivo l'adempimento dell'artista alla legge.
E l'evocazione, appunto, di un' ora difficile nell'attivita creativa di un artis
ta, del quale rimane taciuto il nome: un artista tentato come Tonio Kroger, come
Aschenbach, dall'impulso di distogliersi dalla lotta dell'opera:
Si addossò alla stufa e guardò rapidamente, con un ammiccare doloroso e stanco degli
occhi, verso l'opera da cui era fuggito verso quel peso, quel fardello, quel tr
ibolo di coscienza, quel mare da sor~ire, quel compito tremendo ch'era orgoglio
e miseria, cielo c- dann~zione per lui.
Eccola, eccola di nuovo trascinarsi a fatica, incespicare, arrestarsi! [...] E l
ui era lí, solo e sveglio, accanto alla stufa gelata, e ammiccava tormentosamente
verso quell'opera in cui la sua incontentabilità malata non gli pcrmetteva di aver
fede.
Ma quell'artista non nominato, pur subendo la tentazione della fuga, 25 resta fe
dele alla legge e al proprio dover essere un eroe in tensione .
Non si concede una vacanza, non fugge, ed ha il premio della creazione:
Trasse un sospiro, le labbra gli si serrarono; andò al tavolo, prese la penna...
Non lambiccarsi il cervello: era troppo impegnato per permetterselo.
Non sprofondare nel caos, o almeno non attardarvisi.
Ma dal caos, che è pienezza trarre alla luce tutto quello che è adatto e maturo per
acquistare forma.
Non torturarsi, lavorare! Delimitare, escludere, modellare, compire!...
E l'opera dolorosa si compiva.
Forse non era egregia, ma si compiva.
E quando fu compiuta, si vide ch'era anche egregia.
E dalla sua anima, musica e idea, nuove opere premevano per uscir fuori: sonore
e fulgide immagini, nelle cui sacre fattezze erano presagi meravigliosi di una s
confinata patria; cosí come nella conchiglia canta il mare a cui fu sottratta.
i~, questa, nell'opera di Thomas Mann la piú esplicita evocazione apologetica dell
' eroe in tensione .
Evocazione esplicita, e solenne, giacché il narratore ha voluto confortare la sua
dottrina di etica dell'artista appoggiandosi ad un accezione di somma dignità.
Schwere Stunde è formalmente uno scritto d'occasione:l'artista non nominato, ma ri
conoscibile per una serie di riferimenti storici, è Schiller--Schwere Stunde è un co
ntributo al fascicolo per il centenario della sua morte.
Il nome di Schiller compare nella seconda lettera di Thomas ~Iann che ci sia sta
ta conservata (a Frieda Hartenstein, 2.1.1890): come ogni adolescente di buona f
amiglia, il quindicenne Thomas Mann ha ricevuto in dono per Natale le opere di S
chiller, e scrive che le sta leggendo con impegno .
Schiller è in quei decenni il poeta che la borghesia tedesca reputa sommo, e che a
l tempo stesso può suscitare l'entusiasmo dell'opposizione progressista , anti-Bis
marckiana, cui aderiva l'unico professore di Thomas Mann che egli ricorderà con si
mpatia, il vecchio Bathke, insegnante di tedesco nella sesta classe.
Schiller appare come il poeta del dovere, del lavoro da compiersi, e insieme com
e il poeta della primavera adolescenziale, alla quale vengono riconnnesse ]e par
ole del marchese di Posa nel Don Carlos: Ditegli che quando sarà uomo, deve portar
rispetto ai sogni della sua giovinezza, e all'insetto letale della conclamata r
agione superiore non deve aprire il cuore del delicato fiore divino .
L'artista eroe in tensione di Thomas Mann trova in Schiller il suo modello e la
difesa della sua latente e cristallizzata adolescenza.
Il Don Carlos è precisamente il testo che Tonio Kroger adolescente vorrebbe far le
ggere all'amico Hans Hansen (l'appassionato dei libri sull'equitazione) per attr
arlo nella sua sfera.
Tutte le leggi di comportamento dell'artista eroe in tensione , in questa fase d
ell'opera di Thomas Mann, implicano piú o meno scopertamente il riferimento a Schi
ller, quasi egli fosse l'eroe di una norma d'arte modellata sulle norme della co
ndotta borghese e perciò tale da garantire all'artista dignità pari a quella del bor
ghese perfetto.
La figura di Schiller compare fra gli stessi elementi genetici di quella di Asch
enbach in Der Tod in Venedig.
Aschenbach, come lo Schiller di Schwere Stunde,
era il poeta di tutti coloro che lavorano all'orlo dello shnimento, gli oppressi
da carico soverchio già estenuati eppure ancora in piedi, questi moralisti della
produzione che, esiii di corporatura e scarsi di mezzi, con l'estasi della volon
tà e la saggia amministrazione ottengono almeno per un periodo di tempo i risultat
i della grandezza.
Tra le opere di Aschenbach è perfino menzionato un saggio:
Spirito e arte, che per la potenza chiarificatrice e l'eloquenza antitetica molt
i giudici autorevoli ponevano accanto alla dissertazione di Schiller sulla poesi
a ingenua e sentimentale...
Tuttavia, proprio Der Tod in Venedig segna nella produzione di Thomas Mann il pu
nto di crisi della norma schilleriana e dell'esemplare eroe in tensione >~.
La tensione, l' estasi della volontà >~, può garantire soltanto ~er un periodo di te
mpo i risultati della grandezza .
La qualità borghese di Thomas Mann finisce per porre in crisi dinanzi agli occhi d
i lui la. figura di un artista che acquisti dignità ricorrendo a una norma di comp
ortamento che esiste anche nel mondo borghese e che, là, è segno di decadenza.
Il dovere è pur sempre ciò che riguarda il borghese, e che dev'essere compiuto senza
tensione.
La figura dell'artista esemplare in quanto eroe in tensione >~, dunque prototipo
dell'adempimento di un dovere borghese (la produzione) ad un livello moralmente
piú alto di quello su cui si colloca l'operare del borghese perfetto--l'artista m
oralista della produzione, insomma--, rappresenta un elemento contraddittorio e
un diretto pericolo per la società borghese e per il suo monopolio della virtú del l
avoro.
Accettabile inizialmente, ai fini dell'integrazione dell'artista nella società bor
ghese, tale figura si rivela minacciosa per la borghesia non appena tende a radi
calizzarsi.
Con Der Tod in Vened ig Thomas Mann fa valere rigorosamente i diritti esclusivi
della borghesia sull'etica del lavoro, uccide la figura dell'artista eroe in ten
sione illustrandone la inevitabile vacanza colpevole, e lascia trasparire-- anco
ra in negativo--l'immagine dell'unico tipo di artista che la borghesia possa tol
lerare senza rischi: quella dell'artista beniamino degli dèi , dell'artista totalm
ente estraneo alla borghesia e alle sue virtú, dell'artista ~< apolitico cioè.
In negativo: Gustav von Aschenbach è uno Schiller che per essere perfetto dovrebbe
essere Goethe, che nei suoi tratti tende a Goethe, ma non è Goethe.
La figura di Goethe partecipa alla genesi di quelJa di Aschenbach come modello c
he garantirebbe serenità e perfezione, ma che non è raggiunto né raggiungibile.
Der Tod in Venedig è la vicenda di un grande scrittore tedesco, Gustav Aschenbach,
ovvero von Aschenbach, come suonava ufficialmente il suo nome dal giorno del su
o cinquantesimo compleanno , il quale è colto d'improvviso dal desiderio di interr
ompere il lavoro e di viaggiare, lascia la sua residenza di Monaco, giunge a Ven
ezia, al Lido, ed è preso d'amore per un bellissimo fanciullo polacco che si trova
con la famiglia nello stesso suo albergo.
La passione erotica di Aschenbach scoppia contemporaneamente a un'epidemia di co
lera in Venezia.
Aschenbach, che per caso viene a sapere del contagio, tenuto nascosto dalle auto
rità locali, rifiuta di lasciare la città e di 1nformare del pericolo la famiglia de
ll'amato:
28 altrimenti lo perderebbe.
Il grande scrittore, sotto l'influsso di Eros, tenta di ringiovanirsi con tintur
e e cosmetici, ed è infine colpito dalla malattia; muore mentre sta osservando il
fanciullo sulla spiaggia:
Lo trasportarono ir~ c~mera sua.
E il giorno stesso il mondo apprese con reverente commozione la notizia della su
a morte.
Nel solenne ritratto di Aschenbach posto all'inizio del racconlo sono evidenti i
tratti schilleriani dell' eroe in tensione .
Nei particolari contingenti della vicenda pare che si debbano ritrovare esperien
ze autentiche dello stesso Thomas Mann.
Ma dietro alla storia dell'amore di un vecchio (non tanto per età, quanto per sole
nnità rappresentativa dell'esistenza) per una creatura adolescente, sta senza dubb
io ciò che accade al vecchio Goethe.
Narrando la sorte di decadimento dell'artista eroe in tensione , cioè il destino i
n cui è naturale che incorra l'artista dalle virtú borghesi, Thomas Mann indica in n
egativo quale potrebbe essere invece la sorte dell'artista beniamino degli dèi , d
emoniaco, estraneo ad ogni misura e situazione borghese.
Nell'istante in cui viene denunciata l'impossibilità di una tensione perenne da pa
rte dell'artista virtuoso ancor piú del borghese nel moralismo della produzione ,
-- nell'istante, dunque, in cui si compie la fatale vacanza , dalle conseguenze
mortali--, affiora in negativo l'immagine dell'artista che vive in una perenne v
acanza poiché, come un essere di un altro mondo, è estraneo a ogni dovere horghese.
Anche quest'ultimo artista (cui è attribuita la maschera di Goethe) è un vecchio, ma
dall'enigmatica vecchiaia, che cela una demoniaca giovinezza: un vecchio un poc
o irrigidito nei movimenti, come in Lotte in Weimar Goethe alla sua prima compar
sa, ma anche un personaggio dall'ermetica atemporalità come, nel medesimo romanzo,
Goethe al suo ultimo colloquio con Lotte, riaffiorata, vecchia, dalla primavera
del Werther.
Il vecchio Goethe riappare dinanzi a Lotte con rapida solennità d'incedere, la ste
lla del Falco Bianco sul petto; ma già il Goethe diciassettenne, secondo la testim
onianza di J. A. Horn, marche à pas comptés / comme un recteur suivi de quatre facul
tés .
Pure, la sua ultima passione... lo coglie a settantaquattro anni, quando Sua Ecc
ellenza, decano fra i ministri del Granducato di Sassonia-Weimar e celeberrimo p
oeta, torna a fare a ~I~rienbad il ballerino e il rubacuori, scherzando ed amand
o, giocando e vezzeggiando, ben deciso a sposare una ragazzina diciassettenne...
(Th.
Mann, Goethe, eine Phantasie).
Hans Mayer nota che, nel corso della sua vicenda, Thomas Mann non procede con Go
ethe, ma va verso Goethe .
Alle considerazioni di Mayer vogliamo aggiungere, ora, che il cammino di Thomas
Mann verso Goethe coincide, come già abbiamo accennato, al progressivo prevalere d
i un'immagine esemplare di artista la quale ha precise radici borghesi.
Thomas Mann tende ad avvicinarsi a Goethe (o almeno al personaggio paradigmatico
che egli configura in Goethe~, quanto piú prevalgono in lui le sue componenti bor
ghesi.
Il Goethe di Thomas Mann, quello intravisto in negativo in Der Tod in Venedig e
quello palese in Lotte in Weimar e nei saggi goethiani, è l'artista meglio tollera
bile dalla società borghese: non lo Schiller di Schwere Stunde, non il campione de
l moralismo della produzione in concorrenza con l'operare borghese, non l' eroe
in tensione che con il suo eroismo etico si pone entro le misure borghesi e ad u
n livello superiore a quello del borghese perfetto, ma il beniamino degli dèi , de
moniaco, ignaro di sforzo, apolitico.
Con Der Tod in Venedig Thomas Mann uccide lo Schiller che potrebbe risultare inq
uietante e minaccioso per la società borghese, e comincia ad avvicinare alla ribal
ta il Goethe estraneo alle misure (e alle cose) di questo mondo, anche se benign
amente, sovranamente e ironicamente, interessato ad esse.
La crisi che sembra trovare primo sfogo in Der Tod in Venedig, maturava da tempo
ed era già stata documentata da due testi manniani, i quali in questo senso apron
o la via al Goethe che non poté essere imitato
30 da Aschenbach.
Il primo di essi è il dramma Fiorenza (1906), ambientato a Firenze nei giorni in c
ui Lorenzo il Magnifico sta - per morire e la città è sconvolta dalle prediche del S
avonarola.
Il ritratto del Savonarola restò per molti anni sullo scrittoio di Thomas Mann, e
da Fzorenza risulta evidente che il personaggio del frate si trova in particolar
e affinità simpatetica con l'autore.
Se Gustav von Aschenbach è annuncio in negativo di Goethe, nella misura in cui la
sua qualità di artista schilleriano fallisce proprio là dove Thomas Mann colloca la
vittoria di Goethe, il Savonarola di Fiorenza contribuisce pur esso a sgombrare
il terreno su cui sorgerà poi, sovrana, la figura goethiana disegnata da Thomas Ma
nn.
Nel dramma il Savonarola non solo ridicolizza e cancella le figure degli artisti
piú compromessi col secolo (gli undici grotteschi personaggi del Il atto: l'orafo
, lo stipettaio, il ricamatore, lo scultore di arabeschi, ecc.; ma anche lo stes
so Botticelli), bensí affronta l' eroe in tensione che difende e fa propria l'arte
secolarizzata, Lorenzo, e sta contro di lui in un'antitesi di là dalla quale si s
vela la necessità che le forze e i rigori di un altro mondo ~> sopravvengano a con
ferire valore e legittimità all'arte.
In Fiorenza il Savonarola è l'annunciatore mascherato di un'arte radicalmente estr
anea alla vita e alla società borghese, di un'arte divina , di contro alla quale l
a squisitezza eroica di Lorenzo sarà fatalmente soccombente.
E ovvio che la storia reale, le figure reali di Lorenzo e del Savonarola, non so
no in gioco (ma non lo sono neppure, negli altri contesti, le figure reali di Sc
hiller e di Goethe).
Thomas Mann non agisce entro la storia, non sceglie figure genuinamente storiche
, ma riflessi ed emblemi entro la storia cui la società borghese conferisce il col
ore e le leggi del suo ordinamento chiuso e rituale.
Il Savonarola annuncia l'arte del beniamino degli dèi , ma non è tale, anzi ne rappr
esenta per molti tratti l'antitesi: è brutto, è stato (o ancora è) frustrato e insoddi
sfatto nei rapporti con la vita: con la Vita afroditica di Dehmel e della primav
era di Thomas Mann, con la divina Fiore --la cortigiana, amante di Lorenzo, chè è ep
ifania dell'archetipo femminile con cui il protagonista di Der Kleiderschrank si
univa nei suoi enigmatici incontri notturni.
I1 Savonarola di Fiorenza annuncia in negativo la figura del'artista cui Thomas
Mann darà il nome di Goethe: l'artista che non è limitato dal mondo secolare, ma che
si degna di esserne sovrano, l'uomo luminoso, dal tocco felice, sensuale e divi
namente inconscio, ' quello' laggiú a Weimar che forse era un dio: non certo un er
oe (Schwere Stunde).
I1 Savonarola è ancora un eroe , non un'incarnazione del demoniaco o del divino.
Egli porta, rappresenta, eroicamente la forza; la forza non gli è ancora elargita
con la naturale spontaneità di rapporto che sarà prerogativa del beniamino degli dèi .
La relazione fra l' eroe in tensione e il depositario di forza, fra Schiller e G
oethe, è ancora conflitto, non demoniaca e certa, naturale vittoria del secondo su
l primo.
Tra Fiorenza (1906) e Der Tod in Venedig (1912) sta il secondo romanzo lungo di
Thomas Mann, Konigliche Hoheit [Altezza reale] (pubblicato nel 1909 dopo quasi q
uattro anni di elaborazione).
Per certi aspetti, esso potrebbe sembrare un epos della decadenza (come disse Lu
kács nel 1909), e anzi un ritorno preciso alla tematica dei Buddenbrooks.
Qui si tratta, tuttavia, della decadenza non di una grande famiglia borghese, ma
di una famiglia granducale, sovrana di un piccolo Stato tedesco al principio de
l XX secolo, non senza un riferimento parodistico preciso alla corte del Titan d
i Jean Paul.
Il romanzo al suo apparire fu indubbiamente frainteso da chi--compreso un autent
ico principe--vi riconobbe soltanto o innanzitutto una satira dell'aristocrazia.
E vero però che le dichiarazioni di Thomas Mann destinate a chiarire l'equivoco si
mantenevano reticenti o ambigue su molti punti.
Thomas Mann scriveva infatti:
Nulla fu piú lontano da me che il desiderio di scrivere una critica oggertiva dell
a vita principesca, o tanto meno una satira del Serenissimo...
L'analisi allusiva dell'esistenza principesca quale vita formale, superoggettiva
, da virtuoso, insomma artistisch: ecco il contenuto del mio romanzo...
Da un lato, certo si potrebbe scoprire in Konigliche Hoheit un parallelismo tra
l'esistenza rappresentativa del principe e quella altrettanto 32 rappresentativa
dell'artista.
Ma conviene badare innnazitutto a quell'ag gettivo, artistisch, che significa <~
artistico in un'accezione ms)lto ambigua, tendenzialmente negativa in Thomas Ma
nn: aggettivo appropriato a un <( artista di circo, non ad un artista vero, a un
poeta .
Artistisch è aggettivo perfettamente adeguato all' artista tra virgolette che non
possiede la dignità dell'artista vero; dunque, è adeguato anche al dilettante di est
etica delie prime novelle manniane, borghese sviato e artista mancato.
I1 principe Klqus Heinrich, protagonista di Konigliche Hoheit, non è tuttavia né un
borghese né un artista o un dilettante di estetica.
E un aristocratico e, anzi, quasi un sovrano dall'istante in cui il fratello mag
giore, il granduca, gli conferisce la luogotenenza.
Da un lato, quindi, sarà perfettamente vero che Thomas Mann, come egli stesso dich
iarò, non intendesse comporre un quadro realistico dei costumi aulici al principio
del ventesimo secolo, bensí una fiaba didascalica .
Ma che cosa insegna la fiaba didascalica ? Innanzitutto insegna la vacuità dell'es
istenza rappresentativa, quando l'esigenza di rappresentare non si fonda sul pos
sesso di un eí~ettivo valore (che in questo caso specifico potrebbe benissimo esse
re un'autentica sacralità monarchica).
Se il grànduca Albrecht fosse l'incarnazione della regalità consacrata, il suo rappr
esentare sarebbe giusto e degno ed egli non avrebbe ragione di paragonarsi ad ~
Amedeo il matto ~>:
Questo tale [ Amedeo il matto ] è sempre ptesente dove si fa qualche cosa benché la
sua pazzia lo abbia messo fuori dagli affari seri [...] Un paio di volte al gior
no, all'ora della partenza di un treno, va alla stazione, batte le ruote ispezio
na i bagagli e si dà importanza.
Quando poi l'uorno col berretto rosso dà il segnale di partenza, Amedeo il matto f
a un cenno con la mano al macchinista e il treno parte.
M a quello s'immagina che il treno parta in seguito al suo segnale.
Ebbene, io sono come lui.
Faccio un cenno. e il treno parte Ma se ne andrebbe anche senza di me e il segna
le che faccio non è che una cotrlmedia .
Contro chi è rivolta la <~ fiaba didascalica ? Non certo contro le piccole corti t
edesche sopravvissute sul volgere del secolo, ma direttamente còntro il depositari
per eccellenza della monarchia germanica.
Ecco come
traspaiono i gusti artistici del Kaiser, gran restauratore di castelli:
... la Sala Grande e la .Sala Piccola dei Banchetti erano state decorate per man
o del professor von Lindemann, accademico esimio, con grandi affreschi rappresen
tanti scene tratte dalla storia della famiglia regnante ed eseguiti in un~ man~e
ra luminosa e facile, ben lontana dagli inquieti problemi delle scuole moderne e
senza neppure il sospetto di essi.
Il principe Klaus Heinrich, d'altronde, è afflitto dalla medesima e inconfondibile
menomazione di Guglielmo Il: ha un braccio anchilosato.
E infine: il principe, ormai luogotenente del granducato, ne risolve i problemi
economici sposando la figlia di un miliardiario americano.
Una happy end abbastanza maligna e precisa nel colpire, se ricordiamo che propri
o in quegli anni Paul Liman lamentava nel suo libro Der Kronprinz, Gedanken uber
Deutschlands Zukunft [Il principe ereditario, Pensieri sul futuro della Germani
a]:
Alcune barriere dell'etichetta di corte chiudono ancora la strada alla ricchezza
e si aprono soltanto dinanzi agli antichi agnati ~ella monarchia e agli ufficia
li.
Ma, a parte ciò, il milionario ha trionfato, e nei salotti di fortunati speculator
i o dei loro eredi si affolla la società di corte.
S'innalza l'aristocrazia del denaro, nuovo Junkertum che non vide mai un campo d
i batt~glia, e già 1~ capitale è circondata da una cintura dorata ~li lussuose propr
ietà.
L3 lista degli invitati ai viaggi del Kaiser nel Nord reca i nomi di numerosi ma
gnati della finanza.
Questa nuova aristocrazia maneggia, anziché la spada, le forbici per tagliare i co
upons...
Konigliche Hoheit non è affatto una satira di costume: è un libro ispirato dalla rad
icalizzazione del sentimento monarchico, in un erede deil'alta borghesia che non
si sente affatto inferiore agli aristocratici del sangue~ e ammette la sovrlani
tà monarchica solo quando essa è esercizio consapevole di sovranità consacrata, non re
stauro di castelli in finto antico e cenno per far partire treni che comunque pa
rtirebbero.
Nei confronti della monarchia l'atteggiamento di Thomas Mann ha la stessa radice
borghese del 34 suo atteggiamento verso l'artista-Goethe.
Il borghese accetta le esigenze del sovrano e dell'artista solo quando esse si p
ongono in una dimensione sostanzialmente estranea alle cose di questo mondo ~> (
o meglio: della società borghese).
La borghesia è--e deve essere, per durare--un sistema chiuso. :[~etiene il monopol
io delle sue virtú, e si rivela ostile a chi, senza essere un borghese, cerchi di
sottrargliele.
Konigliche Hoheit è una fiaba didascalica contro la monarchia tedesca; ma l'accusa
viene da destra, e colpisce la vacuità del potere imperiale incarnato da Guglielm
o Il ~Thomas Mann possedeva una levatura intellettuale, e oltre tutto una formaz
ione nietzschiana, tali da non lasciargli dubbi sull'effettiva qualità sacrale del
l'ultimo Hohenzollern, che pure si entusiasmava ai discorsi di H. S. Chamberlain
).
L'artista schilleriano, eroe in tensione , ed anche quel piccolo eroe in tension
e che è il principe Klaus Heinrich, sono accumunati in un medesimo destino di fall
imento, poiché è un fallimento, per il principe Klaus Heinrich, anche la happy end d
i Konigliche Hoheit.
Il colloquio fra il principe e il tentatore ministro di Stato von Knobelsdorff c
he abilmente --nell'interesse delle finanze del granducato-- gli spiana la via a
l matrimonio con la figlia del milionario, pare già accennare di lontano al colloq
uio di Adrian con il diavolo nel Doktor Faustus.
E la happy end è funestata da segni.
Alcuni mascherati: la demolizione del castello dell'Ermitage per far posto a una
nuova residenza spaziosa, luminosa (un tratto apparentemente marginale, che però
ricorda da vicino, nei Buddenbrooks, la costruzione della nuova casa di Thomas:
cioè della sede in cui si concluderà ]a decadenza della famiglia, dopo la vendita de
l palazzo della Mengstrasse).
Altri espliciti: il suicidio del dottor Ueberbein, il precettore di Klaus Heinri
ch, che ebbe la vita cosí difficile e che cosí superbamente rimase fedele al destino
>~, eroe in tensione egli pure, il quale aveva insegnato al principe quanto sia
fiacco e da scioperato pensare che tutti non siamo che uomini, e sarebbe una di
sgrazia per [lui] crederci; crede~ci, sarebbe una felicità proibita che finirebbe
in vergogna .
Freddo dinanzi alla mésalliance di Klaus Heinrich, consapevole di quanto essa foss
e 35 motivo di una felicità proibita che finirebbe in vergogna , il dottor Ueberbe
in cadrà anch'egli nella sorte destinata all' eroe in tensione : si ucciderà per non
aver ottenuto sc~ddisfazione in una modesta questione professionale.
Thomas Mann ne commenta la fine con parole che non devono trarre in inganno: La
prima contrarietà, il primo insuccesso, avevano miseramente provocato la sua cadut
a .
L'accento non sta tanto sul primo insuccesso, quanto sulla minuscola e misera ra
gione della caduta: Per un dente...
Il senatore Buddenbrook era morto per un dente, si dicev~ in città .
Nei suoi insegnamenti al principe Klaus Heinrich e nella sua stessa vita, il dot
tor Ueberbein aveva commesso un errore; egli aveva identificato esistenza rappre
sentativa ed esistenza simbolica:
Ma lei? [diceva, rivolgendosi a Klaus Heinrich] Che cosa è lei? Questo è piú difficile
Diciarno. lei è una sintesi, una sorta di ideale.
Un vaso.
Un~esistenza simbolica, Klaus Heinrich, e quindi un~esistenza formale... [...] R
appresentare, stare in luogo di molti, mentre si espone se stesso, essere l'espr
essione sublimata e disciplinata di una folla... rappresentare è naturalmente piú al
to del semplice essere, Klaus Heinrich,... ed è per questo che la chiamano Altezza
...
E tuttavia un'esistenza rappresentativa non è un'esistenza simbolica nel píeno signi
ficato (nel significato, per Thomas Mann, goethiano ) dell'espressione.
Simbolica è l'esistenza in cui si manifesta una personalità totalmente autosufficien
te e tale da conferire alle proprie manifesta7ioni significato e valore solo per
il fatto di essere se stessa: l'esistenza di chi è un simbolo, non di chi si sfor
za ( eroicamente ) di rappresentare un simbolo.
L'esistenza di Klaus Heinrich è solo rappresentativa, non simbolica.
Ma nella sua dichiarazione, già citata, a proposito di Konigliche Hoheit, Thomas M
ann aveva esplicitamente detto Chi è poeta? Colui la cui vita è simbolica.
In me vive la convinzione che mi basti parlare di me stesso per far parlare anch
e l'età mia e la comunità .
Nel rispondere alla domanda: chi è poeta?, Thomas Mann era ricorso senza dichiarar
lo a una citazione: Novalis, Blutenstaub [Polline di fiori], La vita di un uomo
veramente canonico dev'essere sempre simbolica .
E gia allora probabilmente, di ]à dalla citazione mascherata stava la figura di un
poeta: non Nova]is, ma Goethe; molti anni piú tardi, Thomas Mann avrebbe parafras
ato quelle stesse parole di Novalis nell'esordio del suo saggio goethiano 7?hant
asie uber Goethe [Fantasia su Goethe, 1948]: al poeta tocco dl condurre con poss
ente resistenza una vita veramente canonica ile parole di Novalis erano già state
poste da Lukács ad epigrafe del suo saggio Ueber die romantische Philosophie der D
asein [Sul]a filosofia ro mantica dell'esistenza], che è del 1907).
A fianco di Konigliche Hoheit e immediatamente dopo inizia, dialtronde, il lavor
o preparatorio di un'opera di Thomas Mann che si colloca appieno entro l'apologi
a vissuta di Goethe: Bekentnisse des Hochst,aplers Felix Krull [Confessioni del
cavaliere d'industria F. K.].
La stesura principia intorno al 1910; nel 1922 ne sarà stampato un primo frammento
(Buch der Kind~heit [Libro dell'infanzia]); solo nel 1954 Thomas Mann ripresa q
uell'opera dopo trent'anni, ne concluderà e pubblicherà tutta la prima parte (Der Me
moiren erster Teil [Prima parte de]le memorie] ) e poi morirà senza aver potuto sc
rivere ]a progettata seconda parte.
Torneremo sul Krull nell'ultimo capitolo di questo libro.
Per ora ci limitiamo ad osservare che il Krull, nella sua mirabile tonalità parodi
stica, funge da apologia di Goethe in quanto rappresenta l'unica ripetizione del
l'autobiografia goethiana Dichtung und Wahrheit [Poesia e verità] che Thomas Mann
giudicasse possibile per un artista del suo tempo.
Agli schilleriani eroi in tensione si contrappone Felix Krull, cavaliere d'indus
tria furfante giocoso e demoniaco, astuto beniamino degli dèi , cui tutto riesce p
er la sua furbizia che è anche tocco felice, sensuale e divinamente inconscio .
Lo stile di Konigliche Hoheit, che è pure giocoso, ma venato di tonalità da falsa fi
aba, segnato di languori o di ammicchi che paiono reticenze, acquista nel Krull
una singolare durezza e versatilità fantastica di parodia.
Non si tratta, crediamo, di un accresciuto magistero della forma: è piuttosto la c
omparsa del furfante divino, del dilettante amato dagli dèi, cui tutto riesce senz
a sforzo, né borghese né artista eroe in tensione , non rappresentativo ma simbolo,
che impone un diverso stile mentre esige la rottura dei vincoli simpatetici dell
'autore con gli eroi in tensione .
Giungono d'altronde per Thomas Mann quegli anni che per mesi e mesi mostrarono
al nostro continente una faccia tanto bieca .
La citazione è da Der Tod in Venedig, 1912, ma vale come preannuncio della stagion
e che si concluderà con la guerra.
Nel 1914 Thomas Mann, ormai celeberrimo scrittore, si trasferisce nella grande v
illa che ha fatto costruire a Monaco, Poschingerstrasse 1.
Lo stile giocoso (sia pure giocoso nei limiti di una parodia che in Konigliche H
oheit attingeva al tragico e che nel primo Krull era evocazione del beniamino de
gli dèi ) viene posto da canto dinanzi a questa grande guerra popolare, cosí profond
amente onesta e addirittura solenne (lettera a Heinrich Mann, 18.9.1914).
Il cinquantenne Richard Dehmel parte volontario, ed avrà in premio l'ordine dell'A
quila Rossa di IV classe; il 14.12.1914 Thomas Mann gli scrive:
Egregio signore e guerriero! [...] Mi sono vergognato forte quando appresi che L
ei sarebbe andato a combattere e questa vergogna non fu l'ultima molla che mi sp
inse a scrivere il piccolo saggio pubblicato sulla Rundschau : il bisogno, cioè, d
i mettere almeno la mia mente al diretto servizio della causa tedesca.
Ma non mi sono mai illuso di aver fatto qualcosa di notevole.
Io non sono di coloro che pensano che il mondo intellettuale tedesco sia ' falli
to ' alla prova degli eventi.
Trovo, al contrario, che, almeno in parte, nell'interpretazione, nell'esaltazion
e e nell'approfondimento di ciò che sta accadendo si scrivano cose molto considere
voli [...3 Si sente che, dopo questa profonda e immensa tribolazione, tutto dovrà
essere nuo?Jo e che l'anima tedesca ne dovrà uscire piú forte, piú fiera, piú libera, piú
felice.
Cosí sia.
Salute e vittoria, caro signor dottore, e che, pure in cosí aspre circostanze, Ell
a possa godere di un Natale di strana bellezza!
Nello stesso tempo si compie la rottura tra Thomas Mann e il fratello Heinrich.
Nel novembre del 1914 Thomas Mann prende posizione contro Romain Rolland che ave
va esortato gli intellettuali tedeschi a condannare l'imperialismo militare gugl
ielmino.
Nel febbraio del 1915 egli pubblica a una traccia per il giorno e l'ora : ~rie~r
ich und die grosse Koalition [Federico e ]a grande coalizione].
Esce intanto il saggio di Heinrich Mann, 7~ola, che lnsieme alla Germania guglie
lmina prende di mira il fratello, quale apologeta di essa, da essa nutrito.
I rapporti fra Thomas e Heinrich sono totalmente interrotti.
Il 3 gennaio 1918, rispondendo a un tentativo di riavvicinamento da parte del fr
atello, Thomas Mann scrive una lettera che vorrebbe unire la durezza privata all
a solennità e che perciò ha singolari alternanze di stile:
Ti credo sulla parola quando affermi che non nutri alcun odio contro di me. r...
] Ma cose come quelle che tu hai permesso ai tuoi nervi e hai creduto di infligg
ere ai miei nel tuo saggio su Zola, no, cose simili non me le sono mai permesse
né mai le ho inflitte ad alcuno.
Che, dopo le malignità le calunnie, le diffamazioni davvero francesi di codesta tu
a brillante abborracclatura, la cui seconda frase era già un eccesso inumano, tu p
otessi pensar di ' cercare un avvicinamento ' benché ti ' sembrasse un tentativo d
isperato ' dimostra tutta la leggerezza di un mondo che ' levò il suo cuore al di
là di ogni angustia '. [...] Che ii mio contegno, durante la guerra, sia stato ' e
stremistico' e falso.
Tale fu il tuo, e fino alla piú assoluta nefandezza. [...] Chiamatemi pure, tu e i
tuoi, un parassita.
La verità, la mia verità è che non lo sono.
Un grande artista borghese, Adalbert Stifter, disse in una lettera:
I mlei llbri non sono soltanto poesia, ma, come manifestazioni morali, come dign
ita umana serbata con austera severità, hanno un valore che durerà piú a lungo di quel
lo poetico '.
Io ho un certo diritto di ripetere le sue parole, e migliaia dl persone che ho a
iutato a vivere - anche senza recitare, una mano sul cuore e l'altra m aria, il
Contratto sociale-- io ~edono, questo diritto.
Nello stesso 1918 Thomas Mann pubblica le Betrachtungen eines Unpolitischen [Con
siderazioni di un apolitico], piú di seicento pagine, una galère entro la quale egli
ha voluto rinchiudere la sua attività per tutta la durata della guerra.
Il racconto-saggio Friedrich und die grosse Koalition pone in evidenza la figura
che dovrebbe essere esemplarmente tedesca di Federico di Prus- 39 sia; la quali
tà esemplare di essa e dunque la sua presunta attualita spiegano il sottotitolo, l
etteralmente: una traccia per il giorno e l'ora (cioè: per l'ora presente).
Hans Mayer ha ragione quando osserva che il Federico Il di Thomas Mann
ha letto Il mon~o co~ne volontà e rappresen~azione e lo ha approfondito come, prim
a di lui, Thomas Buddenbrook.
Al pari di questo, il re di Prussia fa l'effetto di un protestante ascetico, nel
senso dello studio di Max Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalis
mo.
Thomas Mann promuove e rappresenta un'intima ascesi: Federico è un borghese senza
borghesia, un pro testante di stampo calvinista, che sembra agire ' per la cosa
in se stessa ' (H. Mayer, Thomas Mann cit., p. 57).
Specialmente esatta ci sembra l'espressione un borghese senza borghesia .
Thomas Mann ha rappresentato in Federico un eroe in tensione come Thomas Buddenb
rook; Thomas Buddenbrook è però la dimostrazione vivente del fatto che il borghese e
roe in tensione è un eroe della decadenza, mentre Federico, nonostante gli aspetti
negativi ~ squallidi dei suoi tormenti fisici, si garantisce fino in fondo rius
cita e vittoria.
Nell'ambito della società borghese, l' eroe in tensione non sfugge alla decadenza,
anzi è segno di decadenza; ma Federico è un borghese senza borghesia : presenta le
caratteristiche di un borghese eroe in tensione >~ e tuttavia non è un borghese, b
ensí un sovrano.
Egli ottiene vittoria proprio per questo, cioè proprio perché la sua tensione si col
loca in una dimensione che non è quella della società borghese, bensí quella di chi può
essere--come sarebbe potuto essere e non era il principe di Konigliche Hoheít--uno
al di sopra di tutti, uno che vive simbolicamente, un beniamino degli dèi .
Federico è la personificazione del singolare destino di chi appartiene ad un altro
mondo , è un principe , e tuttavia deve vivere in tensione per ottenere la vittor
ia che, pure, dovrebbe essere garantita senza alcuna tensione ai beniamini degli
dèi .
Questa situazione contraddittoria, apparentemente inspiegabile, che com40 prende
la visione leggendaria del cosiddetto dispotismo illuminato, ha per
Thomas Mann un preciso riferimento autobiografico.
Thomas Mann nelle lettere alla fidanzata aveva confessato d'essersi sentito fin
dall'adolescenza una specie di principe , e pure era vissuto per anni come eroe
in tensione , il quale, considerandosi una nullità come uomo, tentava d'essere qua
lcuno come artista.
Cosa mancava al principe perché egli sentisse la sua esistenza compiutamente reali
zzata e valida in quanto simbolica, senza dover affrontare la tensione ? La figu
ra del principe sarebbe potuta essere accettata per se, come totalmente rasseren
ante, dall'adolescente borghese, solo se la qualità principesca avesse rappresenta
to una estraneazione sovrana dalle cose di questo mondo (della società borghese).
Ma questa accezione de!la qualità principesca -- la sola accezione legittima agli
occhi del borghese--non poteva piú trovare riscontro a livello politico nell'epoca
storica in cui viveva Thomas Mann: già da tempo, forse fin dal tempo di Federico
Il, l'istituto monarchico non possedeva piú l'elezione sacrale che poneva davvero
il principe di là dalle cose di questo mondo.
Ciò nonostante, continuavano ad esservi dei principi , e il borghese tedesco sulla
svolta del secolo sarebbe venuto meno al suo concctto di autorità se non avesse r
iconosciuto la legittimità dei loro diritti (pur ponendo egli in dubbio la loro in
dividuale confermazione all'esercizio pieno di quei diritti: il loro essere effe
ttivi depositari della forza che viene da Dio).
Sentirsi ~< un principe significava quindi essere consapevole di un'elezione, pe
r la cui piena esplicazione non si possedevano i mezzi.
Il saggio di Thomas Mann è, nelle intenzioni di lui, una traccia per l'ora present
e , poiché sulla scorta della sua esperienza personale egli configura nel tedesco
esemplare, nel tedesco autentico, una specie di principe , al quale però difettano
i mezzi per esplicare pienamente e serenamente la sua estraneità e la sua sovrani
tà.
Il popolo tedesco è l'eletto fra i popoli, il principe fra i popoli, in quanto l'a
dolescente fra i popoli, il popolo della primavera ( il popolo piú giovane e piú san
o d'Europa ), cke dinanzi alla natura pone il prototipo di un uomo il quale trae
dalla natura i propri modelli di valore, di rinnovamento 41 (protesta), di eser
cizio della forza, --modelli radicati nella natura, nella musica cGme voce della
natura, nell'oscurità della natura come matrice di vita e di morte (il ritmo del
nietzschiano eterno ritorno che--nei Buddenbrooks -- scandisce come cadenza natu
rale >~ le stnltture geometriche della sorte della famiglia borghese).
Se al principe nell'ambito politico difetta ormai la qualità sacrale dell'elezione
, vuol dire forse che la famiglia dei re è una grande famiglia-- una grande ditta
--ormai passée.
Dalla famiglia dei re Thomas Mann isola nel suo saggio la figura di Federico, e
la fa emblema del principe popolo tedesco, cosí che la qualità principesca finisce p
er identificarsi con la qualità di perenne sopravvivenza della classe borghese, du
ratura di là dall'alternanza delle singole famiglie.
Il principe diviene cosí l'incarnazione del principio di sopravvivenza della borgh
esia, ma al tempo stesso pone ín crisi la situazione del borghese: poiché se il prin
cipe è l'incarnazione della qualità principesca, dell'elezione principesca, il borgh
ese è solamente coinvolto ne]le sorti della perenne borghesia.
Il principe, come tale, è controfigura di qualcuno destinato a durare sempre e ad
avere sempre vittoria; il borghese subisce invece la sorte della sua famiglia, c
he fatalmente diverrà, allo scadere del suo saeculum, ormai passee .
La contraddittoria presenza dell'appartenenza ad un altro mondo e insieme della
tensione , nel Federico di Thomas Mann, rivela la crisi del principe politico e
del borghese perfetto nell'efligie del popolo tedesco che è il disegno di fondo de
l saggio Friedrich und die grosse Koalition.
Il racconto-saggio è d'altronde una traccia per l'ora E~resente , la quale è un'ora
di guerra.
Dalla crisi si può uscire--indica Thomas Mann, consapevole di dover scrivere pagin
e utili per il suo popolo in guerra, e per sé nel suo popolo in guerra--, dalla cr
isi si può uscire, sacrificando alle sorti vittoriose del popolo tedesco sia la di
tta politica dei re ormai passée, sia la stessa società borghese storica.
Nelle ultime pagine del saggio Friedrich und die grosse Koaliti~n si narra che,
quando Federico morí, il suo cadavere appariva piccolo 42 come quello di un bambin
o: quarant'anni dopo Thomas Mann avrebbe raccontato in Der Erwahlte la storia de
l mitico Gregorio che nel suo esilio di espiazione su uno scoglio solitario dive
nne piccolo come un neonato, e tuttavia fu nutrito dalla stessa madre natura (la
quale faceva scaturire una sorta di latte nelle cavità della roccia).
La madre natura soccorre il popolo tedesco e l'autore delle Betrachtungen eines
Unpolitischen; l'uno e l'altro devono riconoscersi dunque nella loro condizione
adolescenziale, che è primavera : esser nutriti da linfe che alimentano la giovine
zza dei beniamini degli dèi e che tuttavia posseggono (nelle parole di Nietzsche,
citate da Thomas Mann nelle Betrachtungen) il sentore di croce, morte e sepolcro
.
E uno scambio nutritizio dalle profondità alla superficie terrestre--ma alla super
ficie di una terra sulla quale la primavera degli adolescenti esclude la politic
a, ambito in cui la famiglia dei re è passée, ed è passée, forse, anche il borghese perf
etto.
I1 sentore di croce, morte e sepolcro è aura morale, sentore faustiano : è, dunque,
Nietzsche.
Il Federico di Thomas Mann sembra aver letto Schopenhauer.
Ma nelle Betrachtungen il ritratto del tedesco esemplare non è piú quello fredericia
no e paradossale del principe eroe in tensione , bensí queillo dell'impolitico per
eccellenza, dell'adolescente primaverile ~ nutrito dalla natura, del Taugenicht
s [ 13uono a nulla ] di Eichendorff.
Thomas Mann ne introduce la figura con parole di rivelazione ironica, non son co
se da prendere e mettere lí, sono gioielli della lirica tedesca , che ripetono que
lle usate dal suo professore della sesta classe, l'anti-bismarckiano Bathke, per
introdurre Schiller: Non è il primo venuto quello che leggete, è il migliore che po
ssiate leggere .
Si tratta però proprio dell'opposto simmetrico dell' eroe in tensione schilleriano
:
Apro cosí il nuovo capitolo prendendo in considera~ione un vecchio libro tedesco--
il momento attuale mi costringe ad aggiungere ancor oggi tedesco-che fa a meno,
con una disinvoltura veramente straordinaria, della virtú come la intendo io e com
e oggi soprattutto deve essere intesa, cioè della virtú politica.
L'ironia di queste parole ( della virtú come la intendo io e come oggi soprattutto
deve essere intesa... ) apre la via ad un'immagine che è quella del protagonista
della primavera ~, di colui che non è né un sovrano politico né un borghese per~etto,
ma un beniamino degli dèi ~.
Riferendosi all'edizlone del Taugenichts illustrata da E. Preetorius e pubblicat
a nel 1914, Thomas Mann osserva:
L'illustratore non fa ' bello' il suo eroe, per quanto nel libro sia detto in un
punto di lui: ' Com~è bello! '.
Ma la bellezza del Buono a nulla altro di certo non è che un tralucere della sua n
atura di beniamino di Dio... [...] un simbolo di pura umanità che senza nessuna pr
etesa ci rende commossl e sereni, un simbolo umano di romantica umanità, insomma,
ripeto: dell'uomo tedesco.
Chi è davvero il beniamino di Dio ? il Taugenichts di Eichendorff funge da controf
igura dell'intrinseca verità del popolo tedesco e dell'autore delle Betrachtungen,
e quella verità ha una sua incarnazione storica.
La persona di Goethe non domina esplicitamente le Betrachtungen: Thomas Mann non
ha ancora formaliz~ato a livello saggistico il suo rapporto con Goethe, e d'áltro
nde cosa ha che fare con il giovane Buono a nulla Sua Eccellenza il Signor Consi
gliere Segreto? Nelle stesse pagine dedicate al Taugenichts, Thomas Mann fornisc
e la chiave di quella che sarà poi l'identificazione, là dove accenna alla mitica co
ndizlone del benlamino di Dio :
Ha l'ingenuità e l'umanità spontanea di certe figure come i fanciulli boscherecci di
Wagner, l'eroe dei libri della giungla e Kaspar Hauser; ma non ha né la muscolatu
ra ipertrofica di Sigfrido, né la sacralità di Parsifal, né la semiferinità di Mowgli, né
lo spiritale color di veccia di Hauser, che son tutte qualità in fondo eccentricke
.
Il Buono a nulla invece è umano e misurato, e uomo, tanto uomo che non vuole né può es
sere altro all'infuori di quello: e proprio per questo è il Buono a nulla.
Il Buono a nulla è uomo, tanto uomo che non vuole né può essere altro all'infuori di q
uello : egli non rappresenta, la sua esistenza è supremamente simbolica e canonica
, come appunto dev'essere quella di un simbolo vivente, di una creatura che nel
nascere ha combattuto l'unica batta44 glia a lui destinata, che nel venire alla
luce ha compiuto e fondato inalterabilmente, una volta per tutte, la sua epifani
a.
Leggiamo ora le parole che Thomas Mann scrisse trent'anni piú tardi, a proposito d
i un altro beniamino degli dèi , Goethe, di un'altra creatura che affrontò la sua un
ica vera battaglia quando dovette nascere, di un altro che--nella rappresentazio
ne di Thomas Mann--fu tanto uomo che non volle né poté essere altro all'infuori di q
uello , proprio perché era anch'egli un buono a nulla, un sovrano estraneo alle co
se di questo mondo (della sc~cietà borghese), pur degnandosi benignamente di inter
essarsi di esse, e che perciò, principe fra gli uomini, perenne adolescente fra gl
i adulti, simboleggiava il destino di un popolo tedesco principe e adolescente f
ra i popoli d'Europa:
Il bambino che il 28 agosto 1749, mentre batteva il mezzogiorno, fu dato alla lu
ce in una casa borghese di Francoforte, dopo lungo travaglio, da una mamma dicio
ttenne, era tutto nero e sembrava morto. [...] Trascorse non poco tempo prima ch
e la nonna di dietro il letto potesse dire felice alla puerpera ancora sospirant
e: ' Elisabetta, è vivo! '.
Era una voce di donna a donna, un annuncio di istintiva letizia casalinga, non a
ltro.
Eppure quel grido avrebbe dovuto rlvolgers; al mondo, all'umanità intera, ed ancor
oggi, a distanza di due secoli, serba ll contenuto giOiOSo che non perderà nel fu
turo. [...] La creatura strappata quel giorno con tan~a pena, e già quasi asfittic
a, dal buio grembo materno, recava m sorte un inaudito arco vitale.
Ad essa toccò di condurre con possente resisten~a una vita veramente canonica, svi
1uppando grandiose energie dl crescita e di rinnovamento, toccò di adempiere ogni
valore uinano e di conferire alla propria esistenza una maestà al cui cospetto s'i
nchinarono sovrani e popoll e la cui formazione natun~le fu da lui stesso, non s
enza solennità, fatta oggetto dl indagine (Th.
Mann, Goethe, eine P~antasie).
Ma quando l'adolescente si volge al fanciullo non è piú davvero adolescepte.
La primavera coincide con la stagione dell'essere solo come emblema metafisico.
consapevolmente osservato e accettato.
La melanconia è la tonalità di fondo delle Betrae/~tungen: melanconia che è riconosciu
ta accento della natura solo dalla creatura ormai lontana dalla sua ma~rice, tan
to da sen!irsi esiliata da essa.
Già la primavera ~> dell'adolescente negli ultimi decenni del secolo era un emblem
a che proveniva dal repertorio della natura, e tuttavia si contrapponeva alla na
tura: ridotta a fenomeno rappresentatiVO, l'autentica primavera passava in secon
do piano dinanzi a]la primavera dell'uomo, quasi esso potesse separarsi dal suo
contesto naturale e sovrastarlo grazie al valore eroico , etico, del proprio agi
re.
Thomas Mann avrebbe poi lasciato maturare consapevolmente la sua dif~idenza vers
o la natura: tanto consapevolmente da collocare tale diffidenza fra i problemi f
ondamentali della sua opera narrativa.
In Der Tod in Venedig Aschenbach, dopo aver saputo che l'epidemia di colera mina
ccia Venezia, fa un terribile ~> sogno:
incominciò con la paura, paura e piacere e una sgomenta curiosità di ciò che sarebbe a
ccaduto.
La notte regnava e i suoi sensi erano all'erta; giacche da lontano s'avvicinava
un fragore, un tumulto~ lm miscuglio di rumori: strepiti, squilli e sordi boati,
acute grida di giubilo e un urlío particolare fatto di lunghi uuuh strascicati --
il tutto frammezzato e talvolta coperto in modo atrocemente soave da note di 13
auto gravi e turbanti e insistenti e perverse, che penetravano le viscere con la
sciva magía.
E l'esordio di un rituale orgiastico dionisiaco nella natura selvaggia:
E nella luce rossa, dalle cime boschive, tra tronchi e muscosi sfasciumi di rupi
, rotolarono, rovinarono giú turbinosamente uomini, bestie, una frotta, una torma
frenetica che inondò il pendio di corpi e di fiamme, in tumulto e in tre~ genda ve
rtiginosa. [...] ... il clamore, le grida moltiplicate dall'eco de!le pareti roc
ciose crescevano, trionfavano, si gonhavano in un delirio irresistiblle.
I va pori offuscavano la mente, acre odore di capri, esalazioni di corpi ansiman
tl e un tanfo come di acque corrotte misto a un altro ben noto: dl piaghe, di ma
lattia serpeggiante.
L'angosciosa celebrazione dell'eros bacchico si congiunge con il sentore 46 di m
alattia: l'una e l'altro minacciano davvero Aschenbach a Venezia, e
l'una e l'altro procedono dalla natura, sono distruzione, assenza di forma, extr
a-umanità e anti-urnanità naturale.
Klaus Schroter ha raccolto insieme alcune dichiarazioni di Thomas Mann dalla cui
somma risulta evidente che l'orrore del protagonista di Der Tod in Venedig era
un tratto autobiografico:
In Der Zauberberg [La montagna incantata] si parla delle ' faccende per nulla pi
acevoli della natura, nel discorso di Lubecca del 1926, la ' natura è elernento pr
erninentemente stupido ~ (lo ' stupido ' dinosauro nel Krull è un ultirno esempio
dl questo atteggiamento); nella vecchiaia, nel periodo in cui componeva Dle Betr
ogene [L'inganno], Mann arrivò al punto di accentuare ulteriormente in una lettera
la frase di Blake ' La natura è il diavolo ', cosí da dire che ciò che aveva a che fa
re con la natura era ' in tutto e per tutto una rlbuttante porcheria'.~ (K. Schr
oter, Thomas Mann, trad. it Mi]ano 1966,
Al tempo delle Betracktungen l'emblema adolescenziale della primavera era stato
sostituito da quello nietzschiano: sentore di croce, morte e sepolcro .
L'uno e l'altro erano vincolati alla natura (la rinascita della nal:ura; la deco
mposizione, il decadimento organico), ma chiamavano in causa la natura per contr
apporvi l'essere e l'agire umano, etico, eroico .
Se e vero, come scrive Schroter, che l'umanesimo affatto moralistico, credente n
ello spirito, di Thomas Mann arrivava a occuparsi dei processi naturali, per lui
privi di valore, SOío per intefesse, mai per simpatia (Thomas Mann cit., p. 142),
è indispensabile intendere interesse come nodo di repulsione-attrazione, odio-amo
re, e simpatia come amore fondamentalmente acritico.
Altrimenti, se intendessimo simpatia nel suo signi~cato greco tradizionale, dovr
emmo riconoscere che Thomas Mann fu vincolato ai processi naturali aa un rapport
o simpatetico insopprimibile, e che agí costantemente per eluderlo.
Lo strumento primo cui egli ricorse contro tale rapporto è l'ironia, e in particol
are, spesso, la parodia dunque lo strumento che rivela la matrice piú ambigua, di
amore-odio
Thomas Mann ricorse all'ironia, scegliendo tale strumento con molta solennità In m
odo estremamente solenne egli dichiarò lo schema del suo atteggiamento verso la na
tura nel discorso Von deutscher Republik [Della repubblica tedesca], pronunciato
nell'ottobre del 19~2 alla Beethoven - Saal di Berlino:
Nessuna metamorfosi dello spirito ci è piú familiare di quella che partendo dalla si
mpatia per la morte, ha come conclusione la decisione di servire la vita.
Il discorso era innanzitutto politico e parve a molti la prova di una singolare
conversione (o di un singolare trasformismo) di Thomas Mann, già monarchico e nazi
onalista, ora elogiatore della repubblica di Weimar.
In realtà però Thomas Mann aveva perfettamente ragione quando--in quella e in succes
sive occasioni -- dichiarò di non essere mai mutato.
i~ l'alltore di Konigliche Hoheit quello che ora condanna la cerchia di Guglielm
o Il:
Sorridendo ci mordevamo le labbra, quando ci guardavamo attorno spiando la facci
a degli altri in Europa; e cercavamo di leggervi che essi non ci ritenevano resp
onsabili di quella commedia...
Chi aveva usato i'ironia per denunciare da destra il carattere vacuamente rappre
sentativo anziché simbolico del Kaiser, s'era rammaricato veramente della inevitab
ile identificazione tra il gertrlanesimo e i suoi rappresentanti u~ficiali.
Poteva dirlo ora con sincerità:
Vole~amo s~erare che [gli altri europei] distinguessero tra la Germania e i suoi
rappresentanti...
~ come, durante la guerra, aveva accettato d'essere un fedele suddito di un impe
ratore da commedia >~, poiché nutriva la malinconica persuasione che la tradizione
era cosa voluta da Dio (cioè era voluta dalle leggi fatali della società borghese),
subito dopo la guerra avrebbe salutato con soddisfazione l'intervento a Monaco
dei corpi d; volontari (delle truppe imperiali , il cui capo di stato ma giore l
ocale era Ernst Rohm): esse 48 riportavano un ordine ~. voluto da Dio .
Non voluta da Dio era stata
invece l'insurrezione spartachista: una sollevazione senza dubbio sincera anche
se politicamente sconsigliata e storicamente errata .
La solennità con cui Thomas Mann nel discorso Von deutscher Republik annunciava i
n un contesto politico lo schema di quello che era e soprattutto sarebbe stato i
l suo ironico agire contro la natura, la decisione di servire la vita , non rapp
resentava soltanto un suo tratto individuale.
Chi parlava era il borghese Thomas Mann, il quale rendeva esplicita una volta di
piú la necessità etica del suo scrivere autobiografico: necessità, e volontà, di disegn
are non tanto un autoritratto, quanto i contorni di una dignitosa e impegnativa
situazione solenne: quella del Grande Scrittore, nella cui determinazione interv
enivano dialetticamente le figure dell' eroe in tensione e del beniamino degli dèi
.
Il problema della repulsione-attrazione verso la natura che si poneva dinanzi al
Grande Scrittore era fondamentalmente apolitico, ma finiva per esigere dal Gran
de Scrittore prese di posizione politiche là dove il Grande Scrittore riconoscesse
in una determinata forza politica l'alleata della morte (con cui egli identific
ava la supremazia della natura sull'uomo) o della vita (con cui egli identificav
a l'emancipazione dell'uomo dalla natura).
DOPQ la pubblicazione di Der Zauberberg [La montagna incantata], in cui Thomas M
ann aveva esplicato con straordinaria ricchezza di mezzi artistici questa funzio
ne politica , Bertolt Brecht scrisse nella Ballade von der Billigung der Welt [B
allata del mondo che va bene, 1930] quattro versi:
Il poeta ci porge da leggere la sua Montagna incantata.
Ciò che egli (per denaro) vi dice, è ben detto Ciò che egli (gratis) tace, era la veri
tà.
Io dico: è cecità la sua, non è malizia.
Non è malizia ": Thomas Mann è persuaso di adempiere onestamente al suo compito di G
rande Scrittore, e quindi di dire la verità a scopo pedagogico anche nell'ambito p
olitico.
Ma è indubbiamente cecità : la matrice borghese che è propria del Grande Scrittore e c
he egli accetta per il fatto stesso di porsi come tale dinanzi al mondo ( Là dove
io sono, è la cultura tedesca ) gli impedisce di riconoscere nella storia un confl
itto di classi, ed a quel conflitto gli fa sostituire la contrapposizione uomo-n
atura, vita-morte.
Tale contrapposizione costituisce il nucleo di Der Zauberberg.
Il grande romanzo era stato iniziato nel 1913; pressoché interrotto, almeno dal pu
nto di vista della concreta stesura, durante la guerra, fu poi ripreso, e dopo d
odici anni complessivi di elaborazione pubblicato nel 1924.
Nel 1919 Thomas Mann gli aveva nuovamente sottratto una parte della sua attività p
er scrivere il lungo racconto Herr und Hund [Padrone e cane], che costituí d'altro
nde una repentina discesa nelle medesime profondità.
Nelle profondità del rapporto natura-uomo, cioè: giacché le vicende apparentemente ban
ali del cane Bauschan e del suo padrone sono occasioni di una costante evocazion
e della natura minacciosa nonostante la sua maschera idillica.
Il paesaggio in cui si muovono l'uomo e l'animale è una continua e palese minaccia
: come la giungla nei romanzi di Kipling invade le città morte, nel racconto di Th
omas Mann la vegetazione à la Claude Lorrain sta prendendo il sopravvento sulla pi
ccola colonia di villette nata da una iniziativa edilizia di dubbio successo.
Un bello spirito nostalgico e speculatore insieme diede alle strade appena tracc
iate nomi di letterati, ma quegli emblemi dello spirito non sono bastati a difen
dere l'iniziativa umana dall'aggressione della natura.
Le targhe che recano i nomi di Gellert, di Opitz, di quello stesso grande scritt
ore borghese Adalbert Stifter che Thomas Mann aveva citato come proprio omologo
nella lettera di definitiva rottura al fratello, sono ormai rugginose e quasi il
leggibili:
Son proprio queste le targhe adatte a simili strade, come le strade a simili tar
ghe: sognanti e stranamente in rovina.
Traversano la boscaglia in CUi sono state tagliate, ma il bosco non riposa, non
le lascia intatte per decenm in attesa dei coloni, esso si dispone a rinchiuders
i di nuovo, giacché tutta questa vegetazione non ha paura dei ciottoli, è abituata a
prosperare fra la ghiaia,
50 così che sulle massicciate e sui marciapiedi spuntanO ovunque cardi purpurei, s
alvia azzurra, salici argentei e il verde di giovani frassini: non v'è dubbio e lo
si voglia deplorare o salutare contenti, certo si è che fra dieci anni le vie Opi
tz o Flemming saranno impraticabili e press~a poco scomparse.
Il simbolo piú trasparente è quello di una cultura borghese che si adágia nella memori
a rispettosa dei suoi poeti, ne allinea i volumi ben rilegati sugli scaffali, ne
usa i nomi come talismani efficaci contro la minaccia della natura, e perciò--poi
ché si ritrae dalla lotta--è destinata a soccombere.
Nel quadro di questo simbolo urge il fascino pericoloso della natura, è illustrato
il cupio dissolvi romantico ( Per il momento non ci si può lagnare, giacché dal pun
to di vista romantico e pittoresco, non vi sono certo in tutto il mondo strade p
iú belle di queste, come sono oggi.
Nulla di piú gradevole che girovagare fra l'abbandono incompiuto di quei sentieri.
.. ).
Il personaggio del cane, duramente drammatico nelle sue passioni che restano di
necessità ad un livello oscuro, inarticolato, patetico, è d'altronde un richiamo con
tinuo a quella che sarebbe la condizione dell'uomo se soccombesse alla natura e
fosse costretto a fare cosí un passo indietro, recedendo dalla sua condizione di r
e del creato.
Con molta probabilità Thomas Mann nel narrare i frenetici entusiasmi e dolori del
cane Bauschan aveva presente una nota di W. Riemer a proposito di Goethe:
D'altronde Goethe era un uomo nel pieno senso della parola, come tale solo gli u
omini potevano piacergli, ed essere oggetto del suo studio e della sua inclinazi
one.
Gli animali lo interessavano solo in quanto maggiori o minori approssimazioni de
ll'organismo ultimo, come annuncio transeunte del futuro re del creato.
Non li disprezzava affatto, li studiava anzi, ma li compativa come indivldui che
, con quella lor maschera e cos~ truccati, non erano in grado di dare intelligib
ile e adatta espressione ai loro sentimenti (trad. it. in Goethe a colloquio, a
cura di B. Allason, Torino 1947, p. 173).
Il giudizio di Riemer su Goethe è probabilmente sviante, ma si attagliava perfetta
mente al Goethe di Thomas Mann, cioè in ultima analisi a Thomas Mann stesso e al s
uo rapporto con la natura.
Herr und Hund non è un'opera radicalmente pessimistica.
Si potrebbe ripetere per questo racconto l'espressione usata da Thomas Mann per
difendere i Buddenbrooks dall'accusa d'essere un libro disgregatore: Herr und ll
urld è troppo sereno nel suo intimo .
Chi nel racconto dice io non è tanto il padrone di Bauschan, quando il sereno spir
ito della narrazione , deus e:~ machina capace di salvare le sorti del Grande Sc
rittore anche nei frangenti piú pericolosi della contesa con la natura.
La spirito della narrazlone >.
è precisamente l'antitesi del cane Bauschan, incapace di dare intelligibile e adat
ta espressione ai [suoi] sentimenti ?>: è ciò che si contrappone alla inarticolata v
oce della natura, e, coincidendo con la persona del padrone di Bauschan, conferi
sce al rapporto fra Herr ~>, signore, padrone, e Hund , cane, il valore di una n
ecessaria sovranità umanistica.
In Herr und Hund lo spirito della narrazione è colui che dice io , ma non viene no
minato come tale.
Thomas Mann lo chiamerà per nome la prima volta nel Joseph, molti anni piú tardi.
Ma già in Der Zauberberg, dunque nel romanzo di cui Herr und Hund rappresenta una
sorta di inctso, alcuni accenni consentono di identi~;carlo, e proprio negli ste
ssi termini che caratterizzeranno la sua epifania nel Joseph.
Der Zauberberg, corne dicono le prime righe del capitolo I, è la storia di Ull gio
vane qualsiasi [chel in piena estate partí da Amburgo, sua città natale, per Davos-P
latz nel Cantone dei Grigioni.
Vi andava in visita per tre settimane .
Traducendo queste righe abbiamo forzato un poco l'originale: Thomas~Mann non dic
e propriamente un giovane qualsiasi , ma ein einfacher junger Mensch , e l'agget
tivo einfach significa alla lettera semplice, comune .
In quale accezione e misura Hans Castorp, il protagonista di Der Zauberberg, è un
giovane semplice, comune ? Per incominciate a scoprirlo possiamo ricorrere alla
Premessa che sta innanzi al primo capitolo e che coincide con il momento in cui
il narratore prende- qualche distanza dallo spirito della narrazione , prima di
dire E con questo cominciamo .
La Premessa , tradotta quasi alla lettera, esordisce cosí:
La storia di Hans Castorp, che noi vogliamo narrare--non per lui (giac52 ché il le
ttore farà la conoscenza, in lui~ di un giovane comune [einfach~n], sebbene anche
interessante), ma per la storia in sé, che ci sembra altamente degna d'essere narr
ata (a questo proposito va però ricordato che si tratta della 51~,d storia e che n
on a tutti accadono delle storie): questa storia, è molto remota, è per cosí dire inte
ramente coperta di ruggine storica e dev'essere necessariamente riferita nella f
orma temporale del piú profondo passato.
I~opo questo primo periodo, in tutta la pagina della Premessa non si parla piú dir
ettamente di Hans Castorp, ma del]a sua storia.
Hans Castorp è dunque un giovane comune ~ ma non tanto comune giacché a lui è accaduta
una storia e non a tutti accadono delle storie .
Se si avanza nella let~ura del libro, si finisce per comprendere il significato
della contraddizione fra comune e sebbene anche interessante >~, fra l'essere Ha
ns Castorp comune e tuttavia singolare per il fatto di godere di una sua storia.
Hans Castorp è un tedesco ( partí da Amburgo, sua città natale >~), un comune giovane
tedesco, un qualsiasi giovane della borghesia tedesca: la sua storia è quella para
digmatica di un qualsiasi tedesco, del tedesco; e il popolo tedesco gode di un p
articolare privilegio: in altri tempi, Thomas Mann avrebbe detto che esso è un pro
tagonista della storia, ora Thomas Mann si limita a dire che al popolo tedesco a
ccade una storia, e non a tutti accadono delle storie .
La parola storia , Geschichte , subisce cosí una hegeliana oscillazione di signifi
cato: da storia nel senso di oggettivo complesso di accadimenti nello spazio e n
el tempo, a storia come racconto, storia narrata .
L'intervento dello spirito della narrazione e la necessità di tenerne conto determ
inano questa oscillazione.
A fianco del tempo storico si pone il tempo del narrare:
Succede dunque ad essa [la storia di Hans Castorp] ciò che succede oggi anche agli
uomini e fra di essi non in minima misura ai narratoli di storie essa è molto piú v
ecchia dei suoi anni, la sua anzianità non è l'età che è sua secondo il corso dei giorni
, non può essere calcolata in base alle rotazioni del sole; in una parola: essa de
ve il suo essere ' passato' non propriamente al tempo--- affermazione che accenn
a e allude alla problematicità e alla peculiare duplice natura di questo misterios
o elemento.
L'intervento dello spirito della narrazione e la corrispondente oscillazione del
significato di storia hanno una precisa ragione, indicata nella Premessa ; nell
a storia oggettiva (del popolo tedesco, innanzitutto) sopravvenne qualcosa che i
l narratore designa come una svolta e un limitare tale da fendere in profondità la
vita e la coscienza : la guerra mondiale.
Dopo che la guerra è accaduta, l'epoca che la precedeva s'è identificata con il pass
ato , l' una volta , gli antichi giorni .
U~a volta era giusto e doveroso dire che i tedeschi erano i protagonisti della s
toria; ora si deve dire che ad essi accadevano e accadono delle storie: perciò la
storia di Hans Castorp, che come le fiabe è accaduta una volta , per la sua stessa
natura può aver a che fare in un modo o nell'altro con la fiaba .
Lo spirito della narrazione --quello stesso che anima le fiabe-consente al narra
tore di esercitare anche ora positivamente la sua funzione di Grande Scrittore (
tedesco), poiché gli porge--al posto dell'incitamento ai tedeschi, affinché siano pr
otagonisti della storia--una storia (tedesca) : la storia che accadde a un giova
ne il quale godeva del privilegio d'essere tedesco, dunque di essere uno dei pri
vilegiati ai quali accade una storia.
La antichità di quella storia è la matrice del suo valore pedagogico:
le storie devono essere passate, e piú sono passate, si potrebbe dire, tanto megli
o è per esse nella loro qualità di storie e per il narratore, sussurrante evocatore
all'imperfetto tverbale].
Pedagogia è infatti qui richiamo alla duplice natura del tempo; grazie allo spirit
o della narrazione , il narratore puo farsi pedagogo del giovane tedesco che egl
i stesso fu nella sua primavera e insegnargli che la lotta politica è maschera del
la contesa fra l'uomo e la natura.
Prima della guerra, durante la guerra, la funzione pedagogica del Grande Scritto
re consisteva nel rivelare che, per il tedesco, essere doverosamente protagonist
a della storia significava far prevalere l'uomo, lo spirito umano, sulla natura
inarticolata.
Dopo la guerra lo spirito della narrazione faceva sí che il pedagogo trasformasse
in storie la storia del popolo tedesco 54 e impartisse il seguente insegnamentG:
narrare le storie che accaddero
(che sernpre potranno accadere) al popolo tedesco, significa acquistare supremaz
ia sulla storia, prevalere umanisticamente (e germanicamente) sulla storia che è i
narticolata come la natura di cui essa, la storia, è estrinsecazione, maschera.
In Der Zauberberg la storia è elusa, grazie allo spirito della narrazione , per le
molte centinaia di pagine che compongono quasi tutto il romanzo (il quale propr
io da tale elusione trae senso) ed è sostituita dalla storia di Hans Castorp .
La storia, la guerra, balugina soltanto nelle ult~me quattro pagine: ma è qualcosa
di inarticolato, come la natura stessa, e non può essere davvero narrata.
Nel flusso dello spirito della narrazione essa non ha concreta realtà, lo spirito
si rifrange su di essa nei giochi che gli sono proprii:
C~h, quei giovani con lo zaino, con la baionetta, con i mantelli e le scarpe lor
di di fango e di sudore! Guardandoli, ben altre immagini potrebbero presentarsl
alla nostra mente.
Si potrebbe pensarli nell'atto di aizzare i cavalli o dl nuotare in un quieto se
no di mare~ oppure anche mentre passeggiano lungo la splaggia con la sposa al fi
anco sussurrando dolci parole al suo orecchlo o mentre con serena affabilità si is
truiscono l'un l'altro nel tiro dell'arco...
Qui necessariamente finisce la storia di Hans Castorp: Cosí nel tumulto, nella pio
ggia, nel crepuscolo, egli sparisce dalla nostra vista >~.
Finisce non perché lo spirito della narrazione perda lena dinanzi alla guerra, ma
perché la guerra, la storia, in realtà non esiste per lo spirito della narrazione , è
inarticolata, è natura : è dunque l'avversario al quale Si contrappone drasticamente
il linguaggio del narrare come norma dell'essere.
La storia di Hans Castorp non è la storia ma una storia, e una storia finisce, non
è piú, là dove non può essere narrata:
Addio, Hans Castorp, onesto beniamino della vita! La tua storia è al fine L abbiam
o raccontata fino alla fine; non era divertente né noiosa, era una storla ermenca.
L'abbiamo narrata per se stessa, non per te, giacché tu eri un semplice.
Un primo spunto per la storia ermetica di Hans Castorp procede da un'esperienza
vissuta da Thomas Mann nel 1912.
In quell'anno la mo- 55 glie dello scrittore aveva dovuto essere ricoverata in u
n sanatorio di Davos; Thomas Mann durante l'estate era rimasto con lei per tre s
ettimane nella clinica, ed aveva ricevuto dai medici di lassú (e non seguito) il c
onsiglio di fermarsi egli pure per sei mesi, al fine di curare un fastidioso cat
arro delle vie respiratorie superiori .
Cosí inizia anche la vicenda di Hans Castorp: durante gli anni che precedono la gu
erra, il giovane, nato in una famiglia dell'alta borghesia amburghese, giunge in
visita per tre settimane al sanatorio di Davos in cui è ricoverato un cugino di l
ui, Joachim, un ufficiale che vive nell'ansia di poter tornare nella pianura , f
ra i soldati, ma che è ammalato gravemente di tubercolosi.
La montagna incantata o la montagna dell'incantesimo (traduzioni ambedue possibi
li di Zauberberg ) chiude Hans Castorp nel proprio cerchio: il primario del sana
torio scopre nel giovane visitatore un punto umido nei polmoni, e Hans Castorp è c
ostretto a riconoscersi malato ed a restare in tale condizione nella clinica per
molto piú di tre settimane.
L'infermità si era manifestata come un semplice raffreddore:
Dunque, l'aria di quassú è ottima contro la malattia, lei crede, vero? Ed è infatti co
sí.
Ma essa è anche ottima per la malattia, mi capisce? Essa rivoluziona il corpo, fa
scoppiare la malattia latente; uno scoppio simile, e non dannoso, è appunto il suo
raffreddore. [...] S~è sentito subito come ebbro, probabilmente. [...] Questi son
o i veleni prodotti dai batteri; essi esercitano un~azione inebriante sul sistem
a nervoso centrale, capisce? e allora succede che si hanno delle guance da uomo
allegro.
Hans Castorp si ritrova malato fra i malati, membro marginale--poiché non ammalato
gravemente--della comunità chiusa sulla montagna incantata.
Il primo aspetto che tale comunità offre al visitatore è, in termini realistici d'al
tronde, quello di un gruppo di persone sontuosamente banchettanti: l'iperaliment
azione dei tubercolotici si congiunge all'immagine sinistra dei banchettanti nel
Venusberg in cui entrava Tannhauser.
Là dove la vita è sospesa, ridotta ai due estremi del banchetto e della contemplazio
ne inattiva (le obbligatorie ora di riposo sulle sedie a sdraio, durante le qual
i Hans Castorp per la prima volta gode i piaceri della contemplazione e della sp
eculazione), Hans Castorp incontra due inquietanti maestri.
Il primo è un letterato italiano, Lodovico Settembrini, che si dichiara umanista,
illuminista, discepolo del Carducci, membro di un'associazione internazionale po
litico-culturale che si propone come fine ultimo la repubblica mondiale borghese
, e al tempo stesso è fautore delle rivendicazioni anti-austriache dell'Italia, q
uale passo verso il progresso umanitario >~.
Il paragrafo in cui Settembrini compare per la prima volta è intitolato Satana , e
la giustificazione apparente di quel titolo consiste, com'è ovvio, nel riferiment
o al carducciano Inno a Satana, dunque a qualcosa di molto poco demoniaco.
Il titolo si trova tuttavia a contatto di riga con la descrizione esteriore di S
ettembrini (che appunto apre il paragrafo: Sarebbe stato difficile definire la s
ua età... ) e di là dalla sua qualità ironica sembra accennare a una dimensione sinist
ra del personaggio.
Non meno sinistro, anzi: piú esplicitamente sinistro, è il secondo pedagogo di Hans
Castorp, il professor Naphta, ottimo classicista, uomo <~ di una bruttezza cosí ma
rcata, vorremmo quasi dire corrosiva, che i due cugini ne rimasero addirittura s
balorditi .
Naphta contrappone alla repubblica mondiale borghese di Settembrini un cosmopoli
tismo gerarchico , nega il progresso e la morale borghese, nega l'agire per il c
ontemplare, o meglio distrugge il prestigio dell'operosità umana vantata da Settem
brini, contrapponendovi i valori sacri , mistici, dell'inazione, pur senza impeg
nare esplicitamente se stesso nella contesa.
Naphta è soprattutto colui che nega.
L'uno e l'altro dei pedagoghi di Hans Castorp sulla montagna incantata posseggon
o una dimensione demoniaca: ma il satanismo di Settembrini è apparentemente non piú
infero di quello del Carducci, mentre la demonicità di Naphta è quella, molto piú inqu
ietante, del Mefistofele goethiano --di cui Naphta possiede lo spirito negatore,
il lucidissimo raziocinio ironico, la trivialità e la gelida sensualità latenti.
Le due figure, d'altronde, sono l'una e l'altra profondamente sinistre poiché pass
eggiano di conserto; sono due volti di uno stesso demone.
Settembrini e Naphta disputano continuamente, ma Settembrini fa osservare a Hans
Castorp e a Joachim: Non devono meravigliarsi, il signore e io litighiamo spess
o, ma la cosa avviene in tutta amicizia e sulla base di qualche intesa.
La contesa apparentemente ideologica fra Settembrini e Naphta si concluderà con un
duello, in cui uno dei due volti del demone accetterà di sparire: al momento del
duello, Naphta anziché sparare su Settembrini rivolge l'arma contro di sé e si uccid
e.
Naphta era d'altronde quello dei due pedagoghi che contribuiva a trattenere Hans
Castorp sulla montagna incantata.
Settembrini aveva sempre insistito con il giovane: Torni a casa .
Dopo la scomparsa di Naphta, Hans Castorp lascerà davvero la montagna; ma il suo r
itorno nella pianura non sarà ~ffatto una salvezza, bensí la caduta nella guerra, da
lla quale appare improbabile che il giovane tornerà vivo.
Il giovane semplice , il giovane tedesco, che durante la sua permanenza nella pr
ovincia pedagogica non è stato in grado di scegliere radicalmente fra l'uno o l'al
tro dei due pedagoghi, il giovane apolitico , non è destinato alla salvezza.
Kultur e Zivilisation, le due entità ironicamente incarnate in Naphta e in Settemb
rini, si rivelano volti di una stessa presenza demonica: Hans Castrop non si tro
va dinanzi a una alternativa, ma dinanzi a una tentazione polimorfa.
Egli può avere l'impressione di sfuggire ai vari volti della tentazione, ma nella
pianura lo aspetta la morte, la storia non narrabile, inarticolata, come la natu
ra che ne è la matrice.
Sulla montagna incantata Hans Castorp ha tentato di esorcizzare la natura median
te un linguaggio articolato--quello della scienza--; ha incominciato ad istruirs
i nelle scienze naturali, nella botanica, nella biologia; come il principe Klaus
Heinrich in Konigliche Hoheit, egli si è procurato dei libri, ha consultato gli s
pecialisti, ha tentato di indagare i processi della natura traducendoli in lingu
aggio: ma la natura è nel suo intimo illetterata , come la storia, e riconduce l'a
pprendista esorcista al paradosso dell'ingannevole scienza del mago , il primari
o del sanatorio, Behrens, il quale tranquillamente dichiara:
La vita è morte, non c'è niente da abbellire, une destruction organique, come 58 un
Francese ebbe a dire nella sua leggerezza congenita.
Del resto la vita odora di morte.
Se a noi la cosa sembra diversa vuol dire che il nostro giudizio è corrotto.
Il consigliere Behrens è il terzo pedagogo di llans Castorp, ed egli pure possiede
tratti demonici (cui allude lo stesso soprannome che gli attribuisce Settembrin
i: Radamanto ).
Si direbbe che Behrens e Naphta siano i veri tentatori demoniaci di Hans Castorp
, e che Settembrini invece rappresenti la salvezza umanistica.
Settembrini è Satana in termini molto piú elusivi.
Egli non è delimitabile soltanto nell'incarnazione della Zivilisation dei letterat
i che Thomas Mann aveva accusato nelle Betrachtungen, e tuttavia è satanico nella
misura in cui si trova in contrasto con la Vita , non offre piú alcuna possibilità d
i accesso alla Vita che qui è ormai anche la vita: è la voce dell'umanesimo borghese
in un tempo in cui la causa della borghesia è una causa perduta.
La demonicità di Settembrini balena soltanto per allusioni.
Egli è l'incarnazione fallimentare dell' eroe in ~ensione .
Malato gravemente, costretto all'isolamento e all'inazione sulla montagna incant
ata, tenta di mantenersi in rapporto con i promotori del progresso in tutto il m
ondo, è sempre informatissimo sulle vicende poiitiche, e tuttavia da lui traspare
continuamente la morte: egli è chiuso concretamente nel cerchio incantato, e quand
o esorta Hans Castorp a fuggirne lo esorta ad andare a morire: l'esortazione di
un malato è essa pure malattia, contagio.
Settembrini è un volto del demone in quanto insegna a fare i conti con qualcosa--i
l progresso, l'operosità umana, l'umanesimo utopistico--che è larva, e non con il de
stino.
Come il vecchio Johann Buddenbrook, egli detesta i discorsi fatalistici; ma, a d
ifferenza da Johann Buddenbrook, egli è tutt'altro che un borghese perfetto: è un ma
lato, un malato prossimo alla morte, e le sue visioni politiche s'avvicinano ass
ai piú--mutatis mutandis--a quelle del borghese eroe in tensione Jean Buddenbrook,
senza possedere di colui neppur piú il margine di sanità attivistica.
La sua religione dell'esser laici coincide con il pietismo di Jean Buddenbrook, è
una sorta di pietismo ateo (come diceva un personaggio del Nils Lyhne di Jacobse
n).
Sulla montagna incantata è presente per Hans Castorp un'incarnazione del destino e
della vita, ed è una figura totalmente estranea a Settembrini (al punto che non e
sistono neppure rapporti di presentazione formale), una figura dichiarata da Set
tembrini ostile, demoniaca.
Nel paragrafo Sabba delle streghe è narrata una festa di Carnevale nel sanatorio;
dinanzi agli occhi di Hans Castorp sta una figura femminile--un'abitante della M
ontagna--che egli già coDosce e che attira il suo sguardo.
Da una profonda lontananza --dalla lontananza del Faust--alcune parole di Settem
brini giunsero alle orecchie di Hans Castorp mentre questi seguiva con gli occhi
la donna che si avviava verso la porta a vetri per uscire dalla sala : Guardala
attentamente! Quella è Lilith.
Le parole di Mefistofele a Faust risuonano nella voce di Settembrini, in una cit
azione che è dichiaratamente parodistica, ma che nonostante questo, e proprio per
questo, è veritiera quanto alla identificazione del loquente.
Lilith: La prima moglie di Adamo.
Sta' in guardia [...] si trasfotmò in fantasma pericoloso per i giovani, specialme
nte a causa dei suoi bei capelli .
Quando Hans Castorp nella festa di Carnevale si avvierà verso Lilith , Settembrini
esclamerà ancora, in italiano (cioè in una lingua che Hans Castorp non poteva compr
endere): Eh! Ingegnere! Aspetti! Che cosa fa! Ingegnere! Un po' di ragione, sa!
E matto quel ragazzo .
La figura afroditica che regna sul Venusberg e che trova in Settembrini un frag
ile avversario è una malata che giunge dal]a Russia--da un esotico e remoto Daghes
tan--, ma~ame Clawdia Chauchat.
La sua epifania nella storia di Hans Castorp è l'epifania del destino, e viene ann
unciata da un suono che potrebbe essere citazione parodistica dei colpi del dest
ino nella quinta sinfonia di Beethoven:
D'un tratto Hans Castorp dette un balzo, urtato e offeso insieme.
Era stata sbattuta una porta, quella sul davanti a sinistra che metteva nel vest
ibolo; qualcuno l'aveva lasciata andare o anclle skattuta di proposito, e il rum
ore che aveva provocato era precisamente uno di que]li che Hans Castorp odiava 6
0 a morte, che aveva sempre odiato.
Ogni volta che Clawdia Chauchat fa la sua comparsa nella sala da pranzo del sana
torio, ella provoca il rumore violento e urtante che Hans Castorp aveva sempre o
diato : Castorp detesta quella malcreanza , che contrasta in modo irritante con
le norme di educazione di tutta la sua esistenza di borghese: egualmente egli av
eva provato irritazione, il primo giorno del suo arrivo al sanatorio, udendo di
là dalla parete della sua camera il rumore inequivocabile di una lotta erotica e d
i un amplesso.
Durante i ventiquattro anni della sua esistenza, Hans Castorp è rimasto lontano da
lla vita, chiuso nell'intérieur, estraneo alla vita.
Ma il cerchio conchiuso della montagna incantata è apparentemente turbato dalla pr
esenza di forze che regnano su di esso e perciò non sono interamente riducibili ad
esso.
Una di queste forze sembra personificata dal primario, Behrens, che conosce ]'es
senza della vita in quanto morte; ma Behrens, è detto esplicitamente nel romanzo, è
solo un direttore, un funzionario, un vicario delle potenze superiori cui appart
iene il sanatorio.
Egli stesso vi è chiuso, seppure goda di una situazione di privilegio.
Come Klingsohr, egli regna in un giardino artificioso (si pensi soltanto alla de
corazione kitsch delle sale della clinica), solo come strumento di potenze infer
e.
Clawdia Chauchat, di cui egli. dilettante di pittura, dipinge il ritratto, è la su
a Kundry soltanto in termini assai ironici (come, d'altronde~ Hans Castorp è un Pa
rsifal tragicamente parodistico nella sua semplicità ).
Clawdia è in realtà una potenza di gran lunga superiore: il suo volto da kirghisa ,
con gli zigomi salienti e gli occhi un po' obliqui, è il volto della Vita , ma del
la Vita in quanto destino.
Se Naphta, che è un ebreo galiziano (accolto nell'ordine dei Gesuiti), rappresenta
dinanzi a Settembrini l'Oriente contrapposto all'Occidente a livello dialettico
, Clawdia Chauchat è un Oriente tanto fascinatorio da escludere alternative.
Settembrini disputa continuamente con Naphta, ma a Clawdia non è stato neppure pre
sentato, e può limitarsi a mettere in guardia--inutilmente--Hans Castorp contro di
lei.Clawdia Chauchat è il destino, poiché è quel volto della vita che è sempre fascin;~
torio, cke sempre ritorna (i suoi lineamenti da kirghisa 61 sono gli stessi di u
n compagno di scuola di Hans Castorp che lo aveva involontariamente affascinato
durante la prima adolescenza).
Innamorandosi di lei, unendosi a lei--come nel romanzo è appena lasciato intravved
ere--, Hans Castorp conosce la vita come fato; subendoA il fascino del suo volto
, egli sperimenta infine il rapporto con la vita che aveva eluso, ma lo sperimen
ta in termini di destino, dunque in termini di morte.
Dopo il loro incontro notturno, Hans Castorp e Clawdia si scambiano, come pegno
e memoria, le rispettive radiografie: ritratti di morte, o meglio ritratti della
vita quale essa è al livello illetterato della natura: è come se i due si scambiass
ero i propri ritratti musicali , posto che ve ne siano di tali.
Sulla montagna incantata, cioè nella prigione in cui la natura tiene reclusi gli u
omini che non sanno prevalere su di essa, la vita non può apparire cke cosí: come de
stino organico e illetterato .
Quando Hans Castorp scenderà dalla montagna non sarà riuscito a prevalere sulla natu
ra, e la natura gli tenderà l'ultima sua trappola: la storia, la guerra.
La natura è sovrana su due dimensioni del tempo: dalla trappola della durata bergs
oniana rimanda gli uomini alla trappola del tempo storico.
Nell'una e nell'altra trappola sono destinati a soccombere coloro che non hanno
vinto la natura, gli apolitici che sono soltanto, ironicamente, onesti beniamini
della vita (cioè custoditi ai margini della vita dalla società borghese) e non beni
amini degli dèi .
La figura del beniamino degli dèi , esplicitamente la figura di Goethe, compare es
sa pure sulla montagna incantata, ma come quelle di tutti gli altri abitatori de
l monte subisce una riduzione negativa parodistica, da personaggio marionetta de
l Puppenspiel che si svolge per anni in quella prigione.
Clawdia Chauchat non è ospite permanente del sanatorio, vi compie lunghe soste alt
ernate da viaggi.
Da uno dei viaggi essa ritorna sulla montagna con un amante, un maturo olandese,
Mynheer Peeperkorn, che è controfigura di Goethe nel sembiante e soprattutto nell
a possente personalità (una parola e un concetto sul quale Thomas Mann ritornerà con
insistenza nei saggi goethiani, dopo esservisi sofrermato piú volte nelle lettere
giovanili maggiormente autobiografiche).
Peeperkorn è una parodia spietata del beniamino degli dèi , e al tempo stesso una fi
gura i cui aspetti positivi di sovranità giungono a tal punto da cancellare la par
odia.
Egli tiene discorsi che a rigor di logica non giungono mai a conclusione, compos
ti di esclamazioni, ingiunzioni, brandelli di proposizioni incompiute, e tuttavi
a perfettamente autorevoli, fascinatori e sovrani.
Possente mangiatore e bevitore, Peeperkorn afferma la grandezza del godimento de
lle semplici cose della vita , ma ad un livello titanico di ebbrezza che nella s
ua ubriacatura fa riconoscere a Hans Castorp la divina ubriacatura di Bacco.
La parodia goethiana diverrà palese quando Thomas Mann in Lotte i~ Weimar mostrerà u
na cena di Goethe assai a~ne -- ma non piú da Puppenspiel--al banchetto che Peeper
korn offre ai malati della montagna nel paragrafo intitolato Vingt et un .
Ma già al lettore di Der Zauberberg poteva riuscire evidente il riferimento a Faus
t, nella pagina in cui Peeperkorn con autorità magnetica richiama a sé i convitati o
rmai vinti dall'eccesso di cibi e di vino, citando~ le parole del Cristo ( Non p
otete vegliare un'ora sola con me? ) che si tradurranno nel Vegliate meco di Fau
st.
E proprio il Vegliate meco che, secondo il Volksbuch Faust rivolse ai suoi ultim
i convitati prima della resa dei conti con il demone, sarà punto saliente dell'ult
ima composizione e dell'ultimo atto di vita consapevole di Adrian Leverkuhn nel
Doktor Faustus di Thomas Mann.
Quando Mynheer Peeperkorn appare al fianco di Clawdia Chauchat ci si può chiedere
se non sia lui, anziché Behrens, il vero Klingsohr di quella Kundry.
In realtà la parodia del tema wagneriano è variata nelle due accezioni: non c'è mai un
vero Klingsohr--e Behrens e Peeperkorn sono approssimazioni per difetto--, poic
hé Clawdia non è una vera Kundry.
Essa è anzi una Kundry sovrana, che ribalta in fatale sovranità il Servire della Kun
dry di Wagner.
Anche la potenza di Peeperkorn è limitata; egli muore suicida, poiché Goethe ridotto
a marionetta è destinato a morire come Werther.
Ciò che salva Goethe dalla totale identificazione con Werther è, per Thomas Mann, il
suo genuino essere un be64
niamino degli dèi , dunque un vincitore senza alcuno sforzo, per spontanea e prede
stinata facilità, sulla natura: sulla primavera che colma le prime pagine del Wert
her.
Ma nel Venusberg questa vittoria è vietata a priori, dall'autore, poiché il Venusber
g deve essere una provincia pedagogica, ove si trovano un semplice discepolo, de
i maestri démoniaci, delle incarnazioni di potenze, ridotti tutti a marionette dal
la presenza annichilente di Frau Venus, Natura, Vita, con la maiuscola.
Nessuno di tutti coloro che si trovano sulla montagna incantata ha saputo o volu
to raggiungere la supremazia su'Frau Venus, e perciò tutti sono ridotti alla condi
zione di suoi prigionieri,--a cominciare da Hans Castorp, sprovveduto Tannhauser
, semplice ma grottesco e patetico Parsifal--, di sue marionette, impegnate in u
n Puppenspiel che è ermetico poiché essa, Frau Venus, la Natura, la Vita, ne tiene e
ne nasconde in sé il segreto.
Wagner ha fornito i simboli da parodiare in questa storia tedesca , ma altri sim
boli sono sicuramente scaturiti da individuali e non identificabili esperienze d
ella vita di Thomas Mann.
Lo spirito della narrazione sta dinanzi a Frau Venus" non le si assoggetta, ma s
i fa oggettivamente veicolo dell'ermetismo di lei.
Fin dalla pubblicazione, Der Zauberherg godette di un notevole successo di pubbl
ico, e tuttavia lasciò pubblico e critici disorientati.
La misura ermetica della narrazione rappresentava un ostacolo che fu presto elus
o.
La maggior parte dei lettori si è sentita avvinta dall' atmosfera e dalle vicende
del romanzo, mentre la critica ha scelto quasi subito l'etichetta di mirabile ro
manzo-saggio, pastiche e meditazione, disputa fra Kultur e Zivilisation (presero
molto sul serio le contese fra Settembrini e Naphta, che pure erano già allora pe
r Thomas Mann prove di una dialettica ormai passée ).
Quest'opera, che è il capolavoro del grottesco di Thomas Mann, non è stata quasi mai
posta al centro delle indagini sullo scrittore.
Attribuirle il peso determinante che le spetta, significa d'altronde porre l'acc
ento sul poco gradito connubio nell'opera di Thomas Mann di esperien~a reazionar
ia e di magistero artistico.
Si sfugge a tale constatazione, mediante sofismi che riconoscano nella via di Ha
ns Castorp attraverso la morte e verso la morte un incitamento, per reazione, al
la via della vita .
Ma per offrire questi sofismi è indispensabile trascurare la ermetica serenità che l
o spirito della narrazione fa regnare sul romanzo, e non perché questo spirito res
ti sovrano su Frau Venus, bensí perché esso proprio qui si rivela perfettamente disp
onibile verso Frau Venus, la illetterata Natura, e nella sua disponibilità verso l
'apparente nemico rivela la fondamentale ambiguità del suo stesso essere: spirito
e però voce della natura .
La trama del racconto Unordnung und fri~hes Leid [Disordine e dolore precoce], p
ubblicato da Thomas Mann nel 1926, due anni dopo Der Zau6erberg. è limitata appare
ntemente a un piccolo episodio, dal fondamento autobiografico, accaduto durante
il dopoguerra forse nella stessa colonia di villini che era stata teatro di Herr
und Hund.
La villa è ora quella di un quarantasettenne professore universitario di storia, C
ornelius, che come Thomas Mann ha due figli grandi (diciotto e diciassette anni)
e due figli piccoli, bambini.
I fratelli maggiori offrono una festa agli amici; le due generazioni dei vecchi
(i genitori) e dei piccoli (i fratelli minori) appaiono destinate a rimanere ai
margini della festa, cui sono fondamentalmente estranee.
Mentre Cornelius si sente tale, ed anzi in quell'occasione sperimenta con partic
olare intensità di tristitia humanistarum il suo distacco dal presente, la bambina
piú piccola si innamora di un giovane inviiato che ha voluto ballare con lei: bal
betta tra i singhiozzi: perché...
Max... non è mio fratello? Bisogna... che Max... sia mio fratello...
Il suo dolore, tuttavia, viene placato: il giovane pone fine felicemente al dram
ma, andando a salutare la bambina che singhiozzava e non riusciva ad addormentar
si: ' Sono venuto ', dice, ' perché tu non passi le notti dolorose in pianto': e a
ccenna con gli occhi al professore, aspettando una lode per la sua citazione goe
thiana... .
Come Der Tod in Venedig, anche Unordnung und fruhes Leid parrebbe essere il racc
onto di un amore irregolare , impossibile ; ma, ancor piú che nella storia venezia
na, qui l'irregolarità e l'impossibile compimento dell'amore sono pressoché soltanto
sintomi di una generale situazione di Unordnung , disordine.
Disordine sociale: l'inflazione ha reso i borghesi proprietari di ville dei prol
etari di ville ; il fìglio maggiore di Cornelius presenta lo stesso abbigliamento
e gli stessi atteggiamenti del giovane cameriere; dopo i pasti fastosi della mon
tagna incantata oggi, come piatto forte, non vi era che verdura: cotolette di ca
volo .
Disordine della cultura, dello spirito, dopo la guerra che è stata una svolta e un
limitare tale da fendere in profondità la vita e la coscienza (come già abbiamo cit
ato da Der Zauberberg).
Fra gli invitati alla festa vi è un personaggio specialmente rivelatore:
Iw~n Herzl, il primo amoroso del Teatro di Stato, [...]. ~ un artista della nuov
a scuola, e, a quel che sembra al professore, suole star sulla scena gridando pe
nosamente in atteggiamenti strani e contorti da ballerino.
Un professore di storia non può ammirare tutto questo, ma Bert [il figlio di Corne
lius] subisce vivamente l'influsso dell'attore, sottolinea in nero l'orlo delle
proprie ciglia, provocando alcune gravi e inutili scene col padre...
Herzl è un giovane, appartiene alla nuova generazione, e tuttavia presenta singola
ri tratti in comune con il grande scrittore dell'anteguerra, l'Aschenbach di Der
Tod in Venedig.
Fin dal principio della storia veneziana si dice che Aschenbach era stato nobili
tato, von Aschenbach (e la cosa è detta senza commento, poiché il commento è implicito
nella citazione dalla vicenda di Goethe, o piuttosto da quella di Schiller). ~
Venezia Aschenbach colpito da Eros ricorre a cosmetici per acquistare una grotte
sca maschera di giovinezza.
E ora:
L'attore drammatico Herzl è magro e piccolino, ma avrebbe una terribile
66 barba nera, come ben si vede sulla pelle rasata e troppo incipriata.
Gli occhi sono molto grandi, pieni di ardore e di malinconia, e, oltre all'ecces
so di cipria, sul suo volto si scorge anche un po' di rossetto--quel color carni
cino in alto sulle guance è evidentemente di origine cosmetica.
Che stranezza, pensa il professore.
Si direbbe a tutta prima, o la malinconia o il belletto.
Uniti insieme formano un contrasto psicologico Come puo aver voglia un ipocondri
aco d'imbellettarsi? Ma qui sta forse appunto a strana e singolare natura psichi
ca dell'artista, che tale contraddizione rende sPigsnsOrilaet~t anZidincessa ,pr
IopriO consiste [ 3 ~ Prenda una fettina di li
lo sente con piacere, pur essendo un artista rivoluzionario.
Ecco un'altra con traddizione inerente alla sua indole psichica.
Con ragione il professore ne pre suppone l'esistenza e lo lusinga con quell'epit
eto, quasi per scusarsi dell'istintiva antipatia provata scorgendo il lieve velo
di rossetto sulle guance.
La problematica dell'artista torna cosí ad inserirsi nel quadro di un disordine ch
e è decadenza borghese.
Thomas Mann nutre dubbi ormai sul ritmo perenne di decadenza e rinascita nella s
ocietà borghese, cioè sulla geometria della decadenza borghese in cui dovrebbe manif
estarsi un eterno ritorno.
Nella figura dell'artista egli riafferma invece la presenza costante dei due ter
mini di creatività e decadenza, che sono però--in essa--simultanei anziché perennement
e alternati come nella durata borghese.
La figura dell'artista sta cosí al punto di sutura fra durata e tempo storico.
E essa che perennemente ritorna, nonostante le pretese di qualsiasi avanguardia
che si riprometta rinnovamento radicale.
Disegnando la figura dell'attore Herzl, Thomas Mann dà in questo senso una lezione
alle avanguardie artistiche degli anni '20, prende distanza da esse e si pone n
ella situazione di colui che sa.
Non a caso l'attore Herzl sta rappresentando in quei giorni il Don C~rlos di Sch
iller: il professor Cornelius è appunto un esperto della storia spagnola al tempo
di Filippo Il, ne sa certamente molto di piú di Iwan Herzl.
In Unordnung und fruhes Leid Thomas Mann impar tisce ai giovani artisti una lezi
one negatrice della possibilità stessa di ogni avanguardia, ed è la lezione che egli
non è in grado di impartire nella vita quotidiana, sia perché l'avanguardia non lo
riconosce come maestro, sia per- 67 ché vi è da parte di lui un riserbo fra il senso
di superiorità, la ripulsa, l'ironia, il tratto del pedagogo aristocratico:
... e già il professore s'accorge di esser giunto al suo porto sicuro, alla Spagna
della Controriforma, il che lo mette quasi in imbarazzo.
Si sente del tutto innocente, non ha fatto proprio nulla per dare tale svolta al
la conversazione.
Temendo si possa credere egli cerchi l'occasione di spacciare dottrina, rimane i
nterdetto e si chiude nel silenzio.
E presumibile, d'altronde, che negli anni del dopoguerra Thomas Mann abbia soffe
rto piú di quanto lascerebbe intendere il suo volto verso l'esterno la frattura es
istente fra lui, la sua opera artistica e pedagogica, e i giovani.
La qualità profondamente ermetica e l'indubbia matrice reazionaria di Der Zauberbe
rg non permettevano ~erto al grande romanzo di suscitare nella generazione piú gio
vane l'immediata adesione simpatetica di cui allora godevano in Germania le oper
e del fratello, Heinrich.
Dietro al silenzio ~> e alla tristítia di Cornelius vi sono senza dubbio anche sen
timenti di Thomas Mann.
La coerenza ideologica dello scrittore lo porta ora a cercare saldezza non in un
'improvvisa metamorfosi che lo ponga in concorrenza con il fratello, ma nel pros
eguimento dell'itinerario verso Goethe come beniamino degli dèi .
Lo schilleriano eroe in tensione non può sfuggire alla crisi di un eterno ritorno
che è anche` perenne via alla distruzione; al suo posto, può affiorare salvatrice so
ltanto la figura dell'uomo superiore al borghese e all'artista, che si interessa
benevolmente alle cose di questo mondo, ma che per sua sorte è sottratto alle leg
gi di decadenza e di crisi di questo mondo (cioè della società borghese: poiché anche
l'artista eroe in tensione , pur non essendo un borghese, trova nella sua decade
nza la sua sudditanza ad un mondo borghese divenuto il mondo ).
Le stesse vicende esterne paiono guidare Thomas Mann verso il suo Goethe.
I giovani nazionalisti ostinati e fieri della loro protesta rifiutano il Thomas
Mann elogiatore della repubblica di Weimar, e per motivi opposti lo scrittore è ri
fiutato dalla parte marxista della giovane generazione.
68 Ma negli anni tra il 1924 e il 1927 Thomas Mann funge molto solennemente da a
mbasciatore culturale della Germania di Weimar, compiendo viaggi di riconciliazi
one in Inghilterra, in Italia, in Francia, in Polonia.
Alla sua funzione di uomo di cultura, anziché propriamente di artista, Thomas Mann
pare attribuire un valore pedagogico-politico che supera le sue riserve precede
nti sull'essenza non pedagogica dell'arte, e lascia intravvedere un'altra arte,
estranea alla decadenza, somma di valori perenni: l'arte, appunto, del beniamino
degli dèi .
Nel Pariser Rechenschaft [Rendiconto parigino], diario del viaggio compiuto in F
rancia nel 1926 e dei colloqui avuti con uomini politici sul possibile ingresso
della C~ermania nella Società delle Nazioni, Thomas Mann ricorda che Félix Bertaux,
salutando l'ospite, risalí alla vecchia casa di Lubecca e poi si spinse oltre:
... d'un balzo arríva a una casa piú ampia, a Francoforte, alla ' Fossa dei cervi ~.
Fèrmati, sfrenato causeur! Ma siccome non posso frenare la sua parlantina, mentre
egli ordisce le sue associazioni, io m'immergo nei miei sogni di Francoforte nei
ricordi della casa, dell'atmosfera che avvolgeva le sue camere e le scale quell
'atmosfera piena di un~intimità infantile e fiabesca; ricordo la scossa che provaí r
iconoscendo il mio stesso ambiente sociale, quando un giorno mi guardai attorno
là dentro, senza dominare le mie sensazioni...
Familiarità? parentela? amore? Gli uomini non hanno forse chiamato parenti e proge
nitori gli dèi e i semidèi? Stifter non ha forse detto ch'egli non è Goethe, ma appart
iene alla sua parentela? E io sono un nulla anche rispetto a Stifter, o valgo ta
nto da poter coltivare anch'io questo senso di parentela, almeno in ore di racco
glimento?
Il riferimento a Stifter era già presente nella lettera di Thomas Mann al fratello
(3.1.1918) che abbiamo citato: Un grande artista borghcse, Adalhert Stifter, di
sse in una lettera: ' I miei libri non sono soltanto poesia, ma, come manifestaz
ioni morali, come dignità umana serbata con austera severità, hanno un valore che du
rerà piú a lungo di quello poetico ' .
Ormai, nella repubblica di Weimar, i due fratelli hanno composto il dissidio, e
su una linea che è quella di Thomas Mann (ed è quella che porta al Goethe di Thomas
Mann).
A Parigi Thomas Mann dice all'ambasciatore tedesco: Ciò di cui l'Europa oggi ha bi
sogno è piuttosto la dittatura illuminata .
Per parte sua, Heinrich Mann in una lettera aperta del 1923 al cancelliere Stres
emann dichiara la necessità di una dittatura della ragione .
Non si tratta della stessa cosa, e tuttavia è il punto d'incontro, nella contingen
za storica weimariana, del socialdemocratico e dell'aristocratico.
Nel 1929 Thomas Mann riceve il premio Nobel, e l'avvenimento è commentato da Heinr
ich attraverso radio Berlino:
Egli ha voluto creare opere soprattutto tedesche, utili e auspicate da questo po
polo, e ha trovato in sé l'amore e lo spirito critico necessari.
L'esempio di Thomas Mann mostra come amore e conoscenza siano chiamati a operare
insieme.
In Thomas Mann, un uomo che aveva incominciato come giudice si è trasformato in es
sere partecipe, in scrittore dall'animo pronto all'aiuto e desideroso di far ama
re il suo popolo.
Parole presumibilmente gradite dall'interessato, il quale a Stoccolma, nel ricev
ere il premio Nobel, ne dedicava la gloria al suo paese e al suo popolo, quel po
polo ferito e spesso incompreso .
Di là dai gesti pubblici e dalle missioni para-diplomatiche in cui si concretava a
livello politico la sua funzione goethiana di Grande Scrittore, Thomas Mann ini
ziava nella sua stessa opera artistica una piú impegnativa imitazione di Goethe.
Durante il 1926 egli cominciava l'elaborazione di quella che sarebbe stata la piú
lunga delle sue opere e lo avrebbe tenuto impegnato per piú di quindici anni, la t
etralogia Joseph und seine Bruder [Giuseppe e i suoi fratelli].
Goethe adolescente aveva tentato, senza cogliere il segno, di comporre un poema
biblico in prosa sulla storia di Giuseppe .
Da parte di Thomas Mann l'imitazione goethiana an 70 dava però molto al di là dell'a
ccingersi a una medesima impresa: i quattro romanzi in cui si narra la bella sto
ria e invenzione di Dio di Giuseppe e i suoi fratelli sono goethiani nel disegno
di Thomas Mann innanzitutto perché il loro protagonista, Giuseppe figlio di Giaco
bbe, è il beniamino degli dèi , l'essere privilegiato, il semidio , con cui coincide
ldealmente la figura manniana di Goethe.
La problematica vita-arte, natura-spirito, borghese-artista, è tagliata dall'appar
izione del beniamino degli dèi , estraneo per sua essenza privilegiata alla malatt
ia e alla decadenza cosí come alla tensione dell' eroe schilleriano, apolitico nel
suo intimo e tuttavia tanto umanamente benigno da chinarsi sulle cose del mondo
e da contribuire al loro rasserenamento e alla loro salvezza
Poiché l'arte del poeta Thomas Mann è sempre dominata dall ntima indole essenziale d
ei personaggi, anziché dalle parvenze del loro intervento nel mondo, la storia di
Joseph und seine Bruder è narrata secondo quelli che dovrebbero essere i ritmi, le
categorie, i quadri, del mondo proprio ai beniamini degli dèi , ai semidei (cosí co
me la storia dei Buddenbrook trovava forma nella geometria esoterica della durat
a l~orghese, e quella di Hans Castorp nella durata vacua e passée a priori del Ven
usberg).
Le tetralogia è dunque innanzitutto un romanzo dell'anima : la creatura umana, che
in Der Zauberberg era stata contemplata nella sua genesi e nelle sue metamorfos
i dall'osservatorio ingannevolmente oggettivo delle scienze della natura, è qui vi
sta dall'alto di un regno super-umano, degli Angeli , nella sua storia metafisic
a.
Lo spirito della narrazione (che ora viene menzionato esplicitamente) consente q
ue~te variazioni del livello o dello spazio in cui si pone la storia.
Nella tetralogia esso offre al poeta le risorse del mito, afi;nché il poeta possa
mantenere il discorso sul piano in cui si dànno epifanie di beniamini degli dèi .
Thomas Mann è del resto consapevole del rischio insito, per uno scrittore moderno,
nell'evocare una creatura umana al livello del mito: è un piano inclinato che può c
ondurre con estrema facilità alle effigie dell'Uebermensch, che sono consuete al f
ascismo negli anni stessi della elaborazione della tetralogia (1926-1943).
Lo scrittore decide quindi di tentare la fragile e spesso paradossale sutura fra
l'essenza intima, segreta, del semidio , e i volti assunti dal semidio nei suoi
benigni intervent; fra gli uomini:
In questo libro ií mito venne tolto dalle mani al fascismo e ' umanizzato ' perfin
nel piú riposto cantuccio della lingua, e se i posteri troveranno qualche cosa di
notevole in quest'opera sarà appunto questo (citiamo dal saggio di Thomas Mann, J
oseph und seine Bruder, esplicativo della tetralogia).
Umanizzazione del mito è, da un lato, la calata del dio o del semidio nell'umano,
cosí che la vicenda del dio o del semidio sulla terra divenga l'itinerario íniziatic
o dell'uomo verso se stesso, dunque anche la storia dell'anima umana.
Thomas Mann loderà poi la tetralogia come pacato fluire di settantamila righe che
trascinano con sé gli eventi primordiali della vita umana , e l'anima è appunto--in
questo quadro--l'evento primordiale per eccellenza della vita umana.
La storia di Giuseppe, di là da quanto si dice del patriarca nei capitoli della Ge
nesi, è deliberatamente composta come un itinerario iniziatico di morte e di resur
rezione, di calate nella fossa e di innalzamenti .
Ma già in questo schema generale appare evidente un'altra accezione della umanizza
zione del mito, cioè l'umanizzazione per ironia.
L'itinerario iniziatico a ricorrenti fasi alterne (piú d'una morte, piú d'tlna rinas
cita) presenta un'ironica analogia con le norme esoteriche della sorte dei membr
i della società borghese, che ritmarono la narrazione dei Buddenbrooks.
L'ironia diviene ancora piú pa!ese là dove si stabilisce addirittura un'analogia fra
l'intervento benigno di Giuseppe fra gli uomini e quello di Roosevelt; l'ultima
maschera del beniamino degli dèí è:
la maschera di Hermes americano e di un abile messaggero di saggezza, il cui ' N
ew Deal ' si rispecchia in modo innegabile nella magica amministrazione economic
a di Giuseppe (dalla prefa~ione di Thomas Mann all'edizione americana di Joseph
und seine Bruder).
Questo tipo di umanizzazione per ironia--l'unico che Thomas Mann
72 ritenesse accettabile per parlare di un beniamino degli dèi come di un
salvatore: anzi, del salvatore che il beniamino degli dèi era effettivamente ai su
oi occhi--implicava un intervento determinante nell'ambito del linguaggio: perfi
n nel piú riposto cantuccio della lingua .
Linguaggio è qui parola comprensiva tanto delle storie che rappresentavano nelle l
oro singole globalità singoli nuclei semantici, quanto della realtà semantica dell'e
loquio, in senso stretto.
Thomas Mann si preoccupò di radunare sul suo tavolo di lavoro la maggior parte del
le numerosissime storie di Giuseppe ebraiche e musulmane, e inoltre una congerie
disparata di materiale erudito, relativo alle religioni e in generale alle cult
ure dell'antichità mediterranea.
Narrare di Giuseppe usando in infinite combinazioni tutti questi eterogenei nucl
ei semantici, fatti reagire l'uno con l'altro mediante liberissimi anacronismi e
incredibilità storiche, era operare ironicamente e ironicamente umanizzare il mit
o.
L'ironia ricadeva in ultima analisi sia sull'illusione di ritrovare in tutti i m
iti cosí intrecciati il denominatore di una comune verità religiosa umana (e qui aff
iora il luterano Thomas Mann), sia della piú o meno filologica scienza dell'antich
ità:
... indirettamente, un discorso stilistico e scherzoso, un contributo a un~ap~ar
ente esattezza, molto vicino al dileggio e in ogni caso all'ironia.
La scienza infatti, applicata al genere fiabesco e assolutamente privo di scienz
a, altro non è che ironia (dal saggio citato, Joseph und seine Bruder).
Il fatto stesso di applicare la scienza al mito (che si nasconde dietro l'espres
sione genere fiabesco ) è, dunque, ironia.
Da un lato Thomas Mann prende posizione contro la scienza che si propone di fond
are nel mito una conoscenza trasmutabile in dottrina di vita, in etica dai presu
pposti mistici -- e basterà citare dal secondo romanzo della tetralogia Joseph in
Aegypten, l'episodio dei due raccapriccianti vecchietti , genitori di Putifarre,
che castrarono il figlio bambino ( Del cinghialetto facemmo un castratino, quan
do ancora non aveva opinione alcuna, ma si dimenava nelle fasce e non poteva dif
endersi.
Hi, hi, hi... ): la madre, Tuij, parla come se avesse letto Bachofen: ... io, ma
dre e donna, onoro di piú ciò che è santo, l'antica religiosità...
D'altro lato, però, Thomas Mann riconosce implicitamente al mito (diciamo pure al
genere fiabesco ) un nucleo irriducibil. alla scienza: ciò che pertiene all'indole
segreta ed essenziale del beniamino degli dèi ~ ciò che lui solo nella sua demonici
tà può essere, simbolo e non rappresentatore.
Questa sua prerogativa dev'essere evocata in termini di ironia.
dunque di scienza, perché altrimenti l'evocatore scivolerebbe verso l'Uebermensch
del fascismo.
Ma la diffidenza di Thomas Mann verso la scienza, che in Der Zauberberg aveva co
lpito le scienze naturali tocca qui le scienze umane : in realtà egli affronta il
mito non con gli strumenti della scienza, e già sarebbe ironia, ma con quelli dell
a parodia della scienza.
L'erudizione , egli scrive a Robert Faesi, è solo una maschera, un mezzo artistico
.
Nella scienza, sia essa scienza naturale o scienza umana , Thomas Mann riconosce
pur sempre una complicità con la natura, nemica pericolosa.
Contro la natura può solo agire vittoriosamente lo spirito , e solo quando esso si
incarna nel beniamino degli dèi , di là dalle limitazioni terrene: nel dilettante d
i genio, non nello scienziato.
L'obbrobrio sta ne]]a dichiarazione tragicamente ironica che risuona in Der Zaub
erberg: che la letteratura, la poesia, divenga una disciplina parallela integrat
iva e concorde delle scienze naturali, e cosí ceda la sua complicità a Frau Venus.
La umanizzazione del mito grazie all'ironia, è manifesta nello stile usato da Thom
as Mann per la tetralogia proprio nella misura in cui lo strumento letterario pe
r eccellenza--la lingua in senso stretto, e lo s~ile --non concede nulla all'eru
dizione e nemmeno alla scienza in senso lato.
La moglie di Putifarre nel suo tentativo di sedurre Giuseppe è costretta ad esprim
ersi in un linguaggio balbettante, infantile, poiché si è morsa a sangue la lingua:
si era preventivamente punita mordendosi la lingua, cosí che pote~a dire pur sempr
e le cose necessarie ma solo in quai~to le riusciva dopo quel castigo, cioè 74 bal
bettando alla maniera dei bambini.
Grazie a quel balbettio, il mito diveniva umano e dicibile in termini umani, se
nza pericolo di deformazioni antiumane come quelle fasciste:
E ciò era per lei una specie di aiuto, dava alle cose piú audaci ed estr.me una espr
essione di ingenuità e di impaccio, e rendeva commovente ciò che era rude e brutale.
La umanizzazione-ironizzazione del mito cercava il modello goethiano: balbettand
o per il dolore della morsicatura, la moglie di Putifarre diveniva bambina (Thom
as Mann insiste nell'imitare i suoni balbettanti, in~antilmente deformati per co
lpa della lingua ferita), e il narratore sapeva che in una storia ebraica post-b
iblica di Giuseppe (Yashar Wa-Yesheb, 86 b) la moglie di Putifarre ha il nome de
lla bambina del Diva~ goethiano: Suleika.
Ma la parodia linguistica si spinge piú oltre: cortigiani tebani poliglotti usano
parole cretesi e accadiche che suonano lunch e merci un alto dignitario del fara
one pronuncia la singolare formula di congedo
so l,~g .
Vi era già una latente ironia di giustapposizione dei linguaggi nel fatiCoso franc
esc dl Hans Castorp ( parlava francese pesantemente e csitando spesso ) verso Ma
dame Chauchat:
Oh, io pario tedesco anche quando parlo francese. [...] Pourtant avec toi ~e préfère
cette langue à la rnienne, car pour moi, parler francais c'est parler sans parler
, en quelque manière sans responsabilité...
L'uso della lingua straniera era sempre stato per Thomas Mann ironia simile a qu
ella dell'applicazione di una scienza al mito: a]la realtà si poteva applicare non
ironicamente soltanto il tedesco.
L'uso del tedesco poneva il personaggio dinanzi a tutte le sue responsabilità vérso
il mondo esterno.
L uso ironico della lingua straniera o del linguaggio deformato fino ad apparire
infantile sollevava il personaggio dalle sue responsabilità: per la moglie di Put
iíarre essere costretta dalla lingua ferita a balbettare come i bambini: era una s
pecie di ~iuto, dava alle cose piú audaci ed cstreme una espressione di ingenuità e
di impaccio, e rendeva commovente ciò che era rude e brutale.
Ma l'ironia non sollevava affatto il narratore dalle sue responsabilità; anzi, ess
a era la prova del rigore di responsabilità cui il narratore non voleva sottrarsi:
umanizzazione ~> del mito--torniamo a ripeterlo--signiíicava da un lato uso pedag
ogico del mito, quale strumento fondante del romanzo dell'anima , ma d'altro lat
o significava rinuncia (rinuncia polemica) al mito quale valore extra-umano che,
proprio perché extra-umano, soccorresse sovranamente gli uomini.
L'ironia doveva consentire ia simultaneità paradossale, contraddittoria, di questi
due significati: il romanzo dell'anima è una vicenda mitica narrata con il distac
co della parodia: non una vicenda salvatrice, ma una vicenda istruttiva .
Il paradosso, d'altronde, è eluso solo in parte.
Chi usa l'ironia, chi affronta il mito con il distacco della parodia, è pur sempre
lo spirito della narrazione , non anti-umano ma certo sovrumano.
Ai mistificatori e ai tecnicizzatori del mito in senso fascista, Thomas Mann con
trappone non tanto la genuina evocazione del mito (come intese K. Kerényi), quanto
il mito del Grande Scrittore goethiano in cui egli riconosce ora se stesso.
Il lunghissimo lavoro del Josep~ fu interrotto da due scritti narrativi che evoc
avano due personalità eccezionalmente salienti, due maghi .
Il primo è il racconto del 1930 intitolato Mario und der Zauberer [Mario e il mago
]: è la storia, ambientata nell'Italia fascista, dello spettacolo di un forzatore,
illusionista e prestigiatore , il cavalier Cipolla, il quale si esibisce come i
pnotizzatore in una località balneare ove si trova in vacanza la famiglia del narr
atore.
Già alcuni incidenti minuscoli e significativi hanno rivelato che una sorta di mal
attia spirituale è in incubazione o in atto:
L'atmosfera stessa di Torre di Venere era inquinata: sovreccitazione, irritabili
tà, umor agro, appesantivano l'aria sino dal principio; e il collasso, da ultimo,
avvenne con il terribile Cipolla, che in modo fatale, ma umanamente molto impres
sionante, sembrò dare corpo, saturandoli minacciosamente, agli 76 uMori maligni de
ll ambiente.
Cipolla parla con la retorica del regime ( In Italia tutti sanno scrivere, perché
la grandezza della nostra patria ecc. ), vanta tra i suoi ammiratori iI fratello
del Duce, e, soprattutto, nella sua funzione di forzatore , ingannatore, ipnoti
zzatore, è controfigura di Mussolini stesso, o meglio delle qualità istrioniche e fa
scinatorie che Thomas Mann riconosceva incarnate nei capi del fascismo.
Il cavaliere durante la sua esibizione attinge continuamente da una bottiglia di
liquore per reggere allo sforzo:
il lavoro, il durissimo ed estenuante lavoro, è in ogni modo opera sua, del duce e
organizzatore, che in sé identifica volontà e ubbidienza: in lui trovano origine en
trambi i princípi, e questa è cosa molto gravosa.
Egli ottiene il consenso del pubblico affascinato, si muove brancolando profetic
amente, accompagnato e sorretto dalla pubblica, segreta volontà , dà prove sorprende
nti della sua abilità e specialmente del suo potere ipnotico, ha la meglio su colo
ro che cercano di opporsi passivamente al suo fascino.
Lo spettacolo ha però un epilogo drammatico, poiché l'ultima vittima di Cipolla, il
giovane Mario, anziché limitarsi a un vano rifiuto passivo dell'ipnosi, uccide a c
olpi di pistola il forzatore quando questi vuole costringerlo a riconoscere in l
ui l'innamorata e a baciarlo.
Il significato politico del racconto è molto evidente (lo capí perfino la censura fa
scista, che vietò la traduzione italiana).
Di là da; suo signi~cato politico, Marto und der Zauberer nasconde però anche un div
erso problema.
Il mago Cipolla è un'ultima incarnazione, particolarmente negativa, dell' artista
fra virgolette, istrione e deforme.
La tematica manniana dell' artista , della tensione , si congiunge con l'evidenz
a del tempo storico: forze politiche nemiche spregevoli, pericolose, sono quelle
che appunto si estrinsecano negli pseudo-artisti come Cipolla.
L' eroe in tensione scade fino al livello del prestigiatore che per ottenere suc
cess~ fa violenza su di sé e sul pubblico.
Gli eccitanti cui ricorre talvolta Schiller per superare un' ora difficile ( un
liquore o una tazza di forte e nero caffé... ) trovano corrispettivo nel liquore g
iallastro con cui s'aiuta Cipolla.
Fra lo Schiller di Sc1hwere Stunde e Cipolla vi è un abisso quanto al genio e alla
grandezza morale, ma i tempi--la storia della società borghese-- mostrano che l'
eroe in tensione può essere realisticamente rappresentato nella sua accezione piú tr
iviale.
A questa accezione Thomas Mann non oppone la figura dell' eroe in tensione nobil
e, ma quella del beniamino degli dèi : non Schiller, ma Goethe.
Der Tod in Venedi~ ha giustiziato il nobile eroe in tensione evocandone la fragi
lità, la impossibilità di vittoria totale sulla natura.
Qualche attributo dell' eroe in tensione è destinato a sopravvivere, ma solo nella
misura in cui appartiene inscindibilmente a Thomas Mann--e Thomas Mann si ident
ifica a Goethe.
Nel Goethe di Thomas Mann, dunque, sopravvive quel tanto dell' eroe in tensione
che Thomas Mann non voleva né poteva superare in se stesso; ma il Goethe di Thomas
Mann è innanzitutto il beniamino degli dèi e la sua tensione è solo piú la tensione del
vecchio, la parte della senilità, nell'enigmatica essenza di giovane-vecchio che è
propria del beniamino degli dèi .
Per questo, quando Thomas Mann per la prima e l'unica volta evoca in un suo scri
tto narrativo la figura di Goethe, è Goethe vecchio che appare.
L'opera di Thomas Mann che interrompe ulteriormente il lavoro del Joseph nel 193
7-38 è intitolata Lotte in Weimar [Carlotta a Weimar] ed è tutta costruita su un awe
nimento attestato da un minimo di documenti goethiani: il 25 settembre 1816 la s
ignora Lotte Kestner, nata Buff, la Lotte del Werther, giunta a Weimar per visit
are dei parenti.
è invitata a pranzo in casa di Goethe; il diario di Goethe vi accenna appena: A me
zzogiorno, i Ridel e Madame Kestner da Hannover .
Le carte goethiane ci permettono di conoscere i nomi dei partecipanti a quel pra
nzo, di leggere il breve biglietto di saluto inviato da Lotte a Goethe quando el
la giunse a Weimar e un'altrettanto breve lettera di cortesia con cui il 9 ottob
re Goethe invitò Lotte a uno spettacolo del teatro di Weimar.
Sulla base di questi dati estremamente esigui, ma con il soccorso di una minutis
sima documentazione sull'esistenza di Goethe, Thomas Mann scrisse un romanzo che
supera le cinquecento pagine.
Il beniamino degli dèi vi appare a sessantasette anni, con evidenti 78 tratti seni
li, e tuttavia tale da svelare nell'ultima scena --il colloquio notturno con Lot
te nella carrozza--la sua misteriosissima giovinezza perenne di incarnazione del
principio di metamorfosi.
La geometria della decadenza borghese trova qui il suo volto piú segreto e demonic
o: Goethc è un esponente dell'età borghese (secondo il titolo del saggio di Thomas M
ann del 1932) poiché la borghesia, grazie alle sue leggi esoteriche che fanno di e
ssa il mondo , è capace di accogliere entro la sua sfera la creatura che puo ricon
oscersi nel suo perenne morire e rinascere.
Nei Buddenbrooks era stata evocata la tragedia delle famiglie e degli uornini ch
e singolarmente si trovano ormai passés entro il contesto di una collettiva immort
alità metamorfica.
In Lotte in Weimar la decadenza del singolo è configurata nell'accezione del singo
lo privilegiato, beniamino degli dèi , il quale è, sí, senile, ma al tempo stesso poss
iede un'immortale giovinezza di rinascite, una primavera sempre ripetuta per met
amorfosi.
La donna che è stata la Lotte del Werther è ormai una vecchia con un irrefrenabile t
remolo senile de] capo, e pure con civetterie che ricordano la erronea fiducia d
i Tony Buddenbrook nella perennità del singolo, o almeno della singola famiglia bo
rghese.
La fiducia di Tony Buddenbrook è destinata ad essere smentita senza riparo dalla m
orte di I lanno.
Anche la fiducia di Lotte (appena accennata, ma indubitabile) nella possibilità de
lla durata, della sopravvivenza della Lotte del Werther , è duramente smentita.
Goethe mostra d'accorgersi della senilítà dei tratti di lei, è egli stesso un vecchio
un po' rigido, non riesce a trovare fra le silhouettes della sua collezione quel
la che lo raffigura, giovane, con Lotte.
Ma nel quadro dei Buddenbrooks non vi è nessuna epifania del beniamino degli dèi che
regna invece in Lotte in Weimar: Lotte non è soltanto costretta a perdere fiducia
nella durata del proprio personaggio, ma ha in sorte di assistere all'epifania
ermetica dello spirito della metamorfosi, e di riconoscersi sua viitima.
Vittima di un rituale di esistenza che è peculiarità dell'artista senza virgolette,
e anzi dell'artista ai limiti dell'extra-umano, del figlio della natura e perciò v
incitore della natura, del mago .
In Lotte in Weimar anche Goethe, come il cavaliere Cipolla, beve continuamente d
urante il banchetto in cui affiora inquietante il suo demonismo.
I1 figlio della natura è un eroe in tensione solo nella misura in cui per lui tens
ione significa metamorfosi, tensione fra durata e ritorno. ~ un mago fascinatore
e ha vittime: la sua stessa esistenza è sacrificatoria nei confronti di tutti col
oro che in qualche modo gli sono legati, la sorella, il figlio, gli amici--ma sc
prattutto nei confronti delle donne che per il tramite di lui sono state colpite
da Eros.
Coinvolte nel flusso della metamorfosi, ed escluse dalla metamorfosi, le vittime
erotiche del beniamino degli dèi possono confidare soltanto nell'extra-temps) (ne
l tempo estraneo al tempo storico e anche alla durata del singolo) cui accennano
i simboli esoterici del finale di Die Wahlverwandtschaften [Le affinità elettive]
, parafrasato nelle ultime parole di Goethe a Lotte.
E sarà un momento felice quando un giorno si ridesteranno insieme! : il tema trist
anico dei due amanti sepolti in due tombe vicine è l'emblema di morte che, dopo es
sere comparso piú volte nelle opere di Thomas Mann, chiude l'unico . scritto in cu
i Thomas Mann abbia evocato esplicitamente il proprio sosia.
Nella leggenda Tristano muore prima di Isotta: Isotta muore perché è morto Tristano.
Nel Tristan wagneriano Thomas Mann riconosceva la coincidenza fra erotismo e ten
sione all'identificazione con la natura, coincidenza realizzata con dolore e gra
ndezza da un dilettante di genio.
La natura, sotto il sembiante di Frau Venus, sta nello sfondo di Lotte in Weimar
; il figlio della natura ~> è anche il benianimo degli dèi , ed è colui che sacrifica
le proprie vittime erotiche entro il flusso della metamorfosi da cui trae durata
.
Nel Goethe di Thomas Mann, dunque nel sosia esemplare del Grande Scrittore borgh
ese, gli dèi si identificano con la natura, la quale concede ai suoi beniamini di
vincerla, mentre fa di essi dei portatori di morte e dei garanti di immortalità.
Joseph und seine Bruder fu per Thomas Mann, come disse egli stesso, so80 stegno
e bordone lungo un cammino il quale percorse spesso ben fosche
valli .
Il 17 ottobre 1930, nel discorso Deutsche Ansprache.
Ein Appell an die Vernunft [Discorso ai tedeschi.
Un appello alla ragione], tenuto alla Beethoven-Saal di Berlino un mese dopo le
elezioni che avevano dato ai nazionalsocialisti 107 deputati, Thomas Mann esortò a
lla collaborazione fra borghesia e socialismo, affinché non si ripetesse anche in
Germania la vittoria del fascismo in Italia.
Il discorso si concluse fra i clamori di un gruppo di S. A., guidato da Arnolt B
ronnen.
Thomas Mann entrava cosí, esplicitamente, nel novero degli ostili alla sollevazion
e nazionale .
Dieci giorni dopo ]a nomina di Hitler a cancelliere del Reich, il 10 febbraio 19
33, egli tenne nell'aula magna dell'università di Monaco il discorso celebrativo d
el cinquantesimo anniversario della morte di Wagner, Leiden und Grossen Richard
Wagners [Dolore e grandezza di R. W.], in cui spiegando di Wagner il modo sano d
i essere malato , sottraeva deliberatamente l'arte e la stessa mitologia wagneri
ana alla strumentalizzazione nazista, denunciava quali fossero gli esiti present
i del male che Wagner aveva vissuto in modo sano , coglieva la misura metafisica
del modo delicato di essere eroico che il romanticismo e Schopenhauer avevano t
rasmesso a Wagner e che ora, divenuto triviale e brutale, mascherava la violenza
del potere.
L'I 1 febbraio del 1933 Thomas Mann lasciava la Germania per ripetere la confere
nza ad Amsterdam, Bruxelles e Parigi: senza che egli ne fosse allora consapevole
, era l'inizio dell'esilio.
In marzo i nazisti divennero i padroni assoluti del paese.
Mentre si trovava in Svizzera, Thomas Mann fu avvertito dai figli rimasti a Mona
co dei pericoli che lo avrebbero presumibilmente minacciato se fosse rientrato i
n patria.
Lo scrittore rimase in Svizzera, sostò poi brevemente in Francia, a Sanary-sur-Mer
, incontrandovi parte degli altri fuorusciti, e infine si stabilí a Kusnacht sul l
ago di Zurigo.
Il 2 dicembre 1936 Thomas Mann fu privato della cittadinanza tedesca, ma già in ag
osto il presidente Benes gli aveva offerto il passaporto cecoslovacco.
Nel 1937 l'università di Bonn gli revocò la laurea in filosofia honoris causa, e in
tale occasione egli scrisse una lettera aperta al decano di quella facoltà, assume
ndo molto solennemente su di sé la funzione di rappresentante della cultura tedesc
a: lell'uníca cultura tedesca che egli ritenesse autentica, cioè di quella ormai est
erna alla Germania nazista.
Il carteggio tradotto in varie lingue ebbe subito grande diffusione in Europa (e
perfino in Germania, ove era stato introdotto come Briefe deutscher Klassiker-W
ege zum Wissen [Lettere di classici tedeschi - Cammino verso il sapere]), e parv
e rispondere alle esortazioni di cui Sigmund Freud s'era fatto portavoce nel mes
saggio augurale per il sessantesimo compleanno di Thomas Mann: Anche in tempi e
circostanze che confondono il giudizio, lei percorrerà la strada giusta e la mostr
erà agli altri >~.
Dopo alcuni viaggi di conferenze negli Stati Uniti, e dopo aver intrecciato rapp
orti particolarmente amichevoli con Roosevelt, Thomas Mann si trasferí definitivam
ente in America nel 1938.
A Princeton, nel settembre del 1939, ebbe termine Lotte in Weimar.
In California, a Pacific Palisades sulle colline di Santa Monica, fu compiuta la
tetralogia del Joseph.
A partire dall'autunno del 1940 la BBC trasmise per la Germania una serie di dis
corsi mensili di Thomas Mann, dal titolo Deutsche Horer! [Ascoltatori tedeschi!
] .
La prima guerra mondiale era stata, come abbiamo già citato da Der Zauberberg, una
svolta e un limitare tale da fendere in profondit:i la vita e la coscienza .
L'avvento del nazismo e poi la seconda guerra mondiale determinarono nella cosci
enza di Thomas Mann una crisi ancora piú profonda.
La sua esortazione del 1933 all'alleanza fra borghesia e socialismo contro il na
zismo è ancora l'ammonimento del borghes. che spera, o forse soltanto vuole sperar
e, in una sopravvivenza etica della borghesia.
Ma già nelle pagine di diario 1933-34 Thomas Mann scrive Hitler è il vero agente del
capitale e precisa con chiarezza: il nazismo non è altro che lo strumento per il
mantenimento dell'ordine economico e sociale minacciato dal socialismo .
La geometria della decadenza borghese è ormai isolata dalla sequenza eterna di sae
cula previsti dalle leggi interne dclla società e dell'essere borghese.
La decadenza è compiuta ed è irreversibile.
Thomas Mann durante la presa di coscienza di tale realtà trae soccorso dall'evocaz
ione del beniamino degli dèi e dalla propria identificazione 82 con esso, che dovr
ebbe astrarlo dalla decomposizione della sua matrice.
Ma quanto piú egli procede nell'identificazione--il progredire della tetralogia de
l Toseph, il compimento di Lotte in Weimar--, tanto piú l'identificazione si rivel
a impossibile.
La tensione visionaria dell'ultimo colloquio fra Lotte e Goethe, cioè dell'istante
in cui Goethe si pone come supremamente salvatore in quanto incarnazione dello
spirito della metamorfosi, è tale proprio perché sfugge ormai dalla dimensione reali
sticamente soteriologica a quella della trasfigurazione e del divino.
Per il borghese Thomas Mann non vi è metamorfosi salvatrice, ed egli ne diviene co
nsapevole quanto piú si accosta all' eterno modello .
Nelle ultime parti della tetralogia Giuseppe, beniamino degli dèi , acquista preci
si connotati politici, rooseveltiani, che lo rivelano inaccessibile --quale mode
llo -all'artista impolitico , capace soltanto di esibirsi come parlatore nella c
ampagna elettorale di Roosevelt, tra i numeri di un prestigiatore e di una ventr
iloqua.
L'ora della fine inizia il 23 maggio 1943, una domenica mattina , quando Thomas
Mann comincia a scrivere il romanzo che sarà intitolato Doktor Faustus.
Das Leben des deutschen Tonsetzers Adrian Leverkuhn erzahlt von einem Freunde [D
octor Faustus.
La vita del compositore tedesco Adrian Leverkuhn narrata da un amico].
I1 titolo già dichiara quanto questo romanzo sia confessione e autoaccusa.
Al punto estremo dell'identificazione con Goethe, Thomas Mann dovrebbe scrivere
il suo Faust: egli dunque intitola il suo romanzo Doktor Faustus, ma si tratta d
i un titolo parodistico, e qui la parodia non è rivolta verso l'esterno, bensí verso
l'io del narratore.
Thomas Mann non scrive un Faust , cioè un'o~era che appartenga alla categoria dell
e creazioni dei beniamini degli dèi ; quello che con tragica parodia egli dice il
suo Faust è l'autoaccusa circostanziata di chi credette di riconoscersi nel beniam
ino degli dèi e fu smentito dai fatti. Lo spirito della narrazione che Thomas Mann
aveva riconosciuto nel proprio eloquio viene ora smascherato e irrigidito alla
gogna: chi lo incarna appropriatamente è l'amico del musicista faustiano, colui ch
e nel romanzo dice io , il professore di ginnasio Serenus Zeitblom, l'umanista b
orghese (che vive nel Reich nazista) il cui umanesimo si fonda su presupposti ap
parentemente nobili -- inserire con devozione, con spirito ordinatore, e, vorrei
dire, con intento propiziatore, i mostri della notte nel culto degli dèi --, e si
dimostra alla prova della storia ignobile isolamento passivo nei confronti del
prevalere di mostri ben riconoscibili come veri agenti del capitale .
La interiorità protetta dalla forza , che Thomas Mann aveva chiarito per Wagner en
tro il Reich bismarckiano, non trova piú scampo neppure come interiorità silenziosam
ente ostile alla forza: come emigrazione interna , volontario silenzio, nella Ge
rmania nazista.
Thomas Mann non è in tutto e soltanto Serenus Zeitblom, poiché è anche il compositore
tedesco Adrian Leverkuhn di cui Zeitblom narra la vita.
Egli è Zeitblom nella misura in cui ha creduto nello spirito della narrazione capa
ce di inserire sovranamente i mostri della notte nel culto degli dèi : Zeitblom è in
fatti l'umanista che confida nel potere salvifico e rasserenante della parola, d
el linguaggio articolato, e che crede la parola superiore moralmente alla musica
, inarticolata , voce della natura.
Thomas Mann è Zeitblom poiché ha confidato nello spirito della narrazione , e tuttav
ia non era un beniamino degli dèi (scopre di non esserlo--Zeitblom non pensava nep
pure di esserlo).
Ma Thomas Mann è Adrian Leverhuhn poiché la sua fiducia nello spirito della narrazio
ne non era la fiducia di Zeitblom, di chi accetta la sovranità di quello spirito e
se ne fa portatore, bensí era l'orgoglio di Leverkuhn, di chi oggi ardisce sparti
re con lo spirito della narrazione la sovranità artistica e la responsabilità creati
va dell'arte.
Dello spirito della narrazione Thomas Mann aveva creduto di possedere l'essenza
piú intima e la forza: la musicalità, il potere di creare per composizione (come egl
i disse di operare), dunque per associazione e reazione reciproca di elementi.
Per alchemica associazione e reazione reciproca egli aveva imposto un'articolazi
one alla inarticolata voce della natura, aveva eletto quell'articolazione a spir
ito della narrazione e ne aveva dichiarato la qualità pedagogica: La vittoria sull
a natura, apparentemente garantita dallo spirito della narrazione
84 non era dunque altro che il punto in cui la natura concedeva di farsi sconfig
gere, di divenire articolata; e la natura concedeva tale vittoria all'avversario
umano solo per prevalere su di lui nel modo piú ingannevole e micidiale, facendo
sí che egli inserisse con devozione i mostri della notte nel culto degli dèi .
La vicenda artistica di Leverkuhn, il quale accetta il patto faustiano affinché pe
r venticinque anni il demone gli consenta di creare nonostante la sterilità--l'esc
lusiva parodia--cui è giunta la musica occidentale, ripete fedelmente le tecniche
di vittoria apparente sulla natura cui ricorse Thomas Mann sfruttando lo spirito
della narrazione fino alla parodia e all'uso pedagogico dell'ironia.
La musica à programma è ironia sulla musica, in quanto impone dall'esterno un~artico
lazione umanistico-pedagogica a quell'altra lingua, forse piú fervida ma stranamen
te inarticolata, la lingua dei suoni .
La tecnica seriale, di cui nel Doktor Faustus è attribuita l'invenzione a Leverkuh
n, è in questo quadro un programma che funge da parodia del programma di articolaz
ione imposto alla lingua stranamente inarticolata .
~urante l'adolescenza, Adrian Leverkuhn fa le sue prime prove di musicista nella
casa dello zio, il quale possiede nel suo enorme magazzino la maggior parte deg
li strumenti musicali europei, compresi quelli ormai pressoché disusati; il capito
lo VII del Dokto~ Faustus evoca in termini affascinati questo vastissimo reperto
rio di timbri.
E si direbbe che il magazzino dello zio di Leverkuhn rappresenti l'anticipazione
di quella Klangfarbenmelodie [melodia timbrica] della scuola viennese, costitui
ta al limite dalla ripetizione successiva della medesima nota da parte di ciascu
no strumento dell'orchestra--qui: da parte di tutti gli strumenti del patrimonio
occidentale--.
Non si tratta, naturalmente, di voci della natura , poiché ciascuno strumento è fabb
ricato dall'uomo, e dunque è voce artistico-artificiosa; ma si tratta di tutte le
voci fabbricate dall'uomo occidentale (entro la tradizione della musica moderna)
, le quali risuonano senza ordine gerarchico, cioè come le voci della natura nella
melodia timbrica Attribuire al timbro, anziché alla nota, la parte di variabile è e
satta mente la tecnica compositiva adottata da Thomas Mann nel suo cosiddetto re
alismo narrativo, fin dal tempo delle prime novelle e dei Buddenbrooks.
Nelle opere narrative di Thomas Mann ricorrono numerosissimi personaggi che si r
ipetono , in quanto presentano caratteristiche simboliche comuni (l' artista , l
a donna fatale -Frau Venus il fanciullo al limite della non-esistenza, l' eroe i
n tensione , ecc.): si ripetono, e ciascun prototipo di essi è la singola nota che
viene ripetuta con timbro diverso dagli strumenti rappresentati di volta in vol
ta dalle accezioni realistiche , storiche dei prototipi.
L'ordine (Thomas Mann dirà anche la stilizzazione ) che cosí viene imposto alla real
tà naturale , storica , rispecchia fedelmente la geometria di decadenza e ascesa d
ella società borghese che era stata illustrata nei Buddenbrooks.
Ogni grande famiglia, destinata ad ascendere e poi a divenire ormai passée , è uno s
trumento dal timbro particolare, e ogni strumento--ogr~i famiglia-non fa altro c
he ripetere con il timbro che gli è proprio la medesima nota: quella dell'esistere
borghese.
L'ordine di tutti questi strumenti, cui è imposto dalle leggi della società borghese
di ripetere sempre soltanto la medesima nota, rivela d'altronde il suo caratter
e caotico e orgiastico nella misura in cui la società borghese per sopravvivere è co
stretta ad ofErire ai suoi giovani l'accesso alla primavera rigenefatrice, cioè al
la natura.
Nel capitolo XIV del Doktor Faustus sono narrate le gite in campagna di Adrian L
everkuhn con un gruppo di compagni d'università:
Questa forma di vita interinale, il tuffo prowisorio di cittadini e intellettual
i nella primitività agreste della madre terra, ma eon la eertezza di dovere o di p
otere riuscirne presto e ritornare all'usata e ' naturale ' atmosfera della eomo
dità borghese: questo volontario ritorno ad altri tempi piú sempliei assume faeilmen
te, anzi quasi necessariamente, un che di artificioso, di eondiseendente di dile
ttantesco, di comico che non era affatto estraneo alla nostra coscienza e provoc
ava forse quel sorriso bonario e ironico con cui ci squadravano i contadini ai q
uali chiedevamo di poter riposar sulla paglia.
A quei sorrisi conferiva qualche benevolenza o addirittura approvazione la nostr
a giovane età; e si può dire che la gioventú è il solo ponte legittimo fra il mondo borg
hese e il mondo della natura, uno stato preborghese dal quale deriva tutto il ro
manticismo studentesco, la vera e propria età romantica.
In questa primavera è concentrata tutta la disponibilità della soeietà borghese all'or
gia come rituale di ripetizione e rigenerazione.
Ma quando cominciano a nascere dubbi sulla perennità dell'alternanza dei saecula r
iserbati a ciascuno strumento affinché esso possa tenere la nota e poi cederla all
o strumento successivo--quando cominciano a nascere dubbi sulla perennità della me
lodia timbrica borghese, che per essere salvatrice come cerchio chiuso esoterico
deve attingere all'eternità--, la primavera è posta sotto accusa, spregiata come se
ntimentalismo e calore animale (gli oggetti del disprezzo di Leverkuhn) e sostit
uita nell'esercizio dell'arte dalla freddezza assoluta della parodia.
La parodia appare cosí l'arma d'elezione dello spirito contro la natura; ma-come r
ivela l'essenziale del colloquio fra Leverkuhn e il demone--la parodia per crear
e deve ricorrere alla composizione alchemica, all'articolazione imposta alle voc
i della natura, allo spirito della narrazione .
Deve, quindi esorcizzare le voci della natura e, esorcizzate, farle risuonare.
E le voci della natura si lasciano esorcizzare proprio per poter risuonare cosí da
infettare e sconfiggere l'avversario--l'uomo--che le lasciò uscire, come il genio
, dalla bottiglia.
Nel Doktor Faustus Thomas Mann dichiara, con estrema franchezza di confessione e
di autoaccusa senza rimedio, che non vi è esorcismo umano capace di rendere davve
ro innocue le voci della natura cosí da poterle usare, articolate, nella creazione
artistica, senza incorrere volenti o nolenti nel patto con il demone, cioè nell'a
ntiumano collaborazionismo con la natura.
Il Doktor Faustus è il libro della fine poiché è la denuncia e la confessione, da part
e di Thomas Mann, dell'impossibilità di un rapporto positivo dell'uomo con la natu
ra e di un'arte non antiumana entro il quadro della società borghese nel tempo in
cui la società borghese ha perso le sue garanzie di eternità.
Il Doktor Faustus fu pubblicato nel 1947.
Due anni dopo, nel 1949, Thomas Mann scrisse un lungo documento, Die Entstehung
des Doktor Faustus .
Roman eines Romans (La genesi del Doktor Faustus .
Ro- 87 manzo di un romanzo], in cui raccolse gli originali--fra testimonianze di
letture e annotazioni diaristiche--degli atti confluiti nella sua autoaccusa.
Vi si ritrova l'apporto di Adorno alla tecnica e alla filosofia della musica pre
senti nel romanzo, e vi si possono vedere elencate molteplici accezioni storiche
degli strumenti-personaggi che per elusivo realismo suonano nel Doktor Faustus:
le vite di Nietzsche, di Hugo Wolf, di una congerie di figure della cultura, te
desca in particolare, dall'Inquisizione a Schleiermacher, a Simmel, a Klages, ec
c.
Materiale graditissimo ai ricercatori e agli esegeti delle fonti.
I quali, però, devono avere la consapevo "lezza che su molti punti essenziali Thom
as Mann ha taciuto--confessione non implica inutile rifiuto del pudore, e neppur
e d'un certo galateo esoterico--; Se sai alcunché, taci : sono le parole con cui L
everhuhn inizia il racconto del suo colloquio con il demone.
Nelle prime righe del Doktor Faustus, Zeitblom dichiara di accingersi a scrivere
:
questa prima e certo molto prowisoria biografia dell'uomo diletto, così terribilme
nte provato, innalzato e abbattuto dal destino, del geniale musicista...
~ una protasi che suona solenne, ufficiale, per cosí dire, e convenzionale.
La definizione uomo cosí terribilmente provato, innalzato e abbattuto dal destino.
.. geniale musicista potrebbe benissimo ritrovarsi in una di quelle biografie po
polari di Grandi Uomini (innanzitutto i libri di E. Ludwig e di St.
Zweig), che in Germania ebbero grandissima diffusione dopo il 1918: L. Lowenthal
ha posto in evidenza la funzione sociale di quella letteratura e l'ha definita
in modo calzante reparto svendita della cultura (nel saggio Le biografie popolar
i tedesche fra le due guerre, tratto dal volume The Critical Spirit, Boston 1967
, e tradotto in Comunità , 163 1971).
Delle biografie popolari , l'esordio del Doktor Faustus mostra la sonante aggett
ivazione e l'atto di deferenza verso un sovrano destino .
Con ironia, che qui risulta particolamente tragica Thomas Mann ha fatto iniziare
in termini di biografia popolare il suo libro che tocca piú da vicino, fino al li
mite dell'evocazione, la figura di Nietzsche, cioè proprio di chi aveva scritto (n
ella Genealogie der Moral [Genealogia della morale]) che nessuno di coloro i qua
li oggi si considerano ' buoni ' è in grado di sopportare una biografia .
Questa frase di Nietzsche sembrerà, d'altronde, riaffiorare nel discorso Meine Zei
t [Il mio tempo], pronunciato da Thomas Mann a Zurigo per il suo 75 compleanno,
nel 1950:
Del mio tempo voglio parlarvi, non della mia vita.
Sono poco incline -o niente af~atto--a tenervi un discorso autobiografico. [...]
Forse non amo abbastanza la mia vita per essere adatto all'autobiografia.
Il Doktor Faustus è la fine del Grande Uomo/Grande Scrittore.
Il fatto che la vicenda di Leverkuhn, accaduta storicamente tra il 1905 e il 193
0, sia narrata da Zeitblom chiuso nel suo studiolo tra il 1943 e il 1945, in par
allelo con le vicende europee degli ultimi due anni di guerra, indica senza equi
voco quali siano le circostanze storiche di decadenza non reversibile della soci
età borghese che rendono vana l'identificazione fra il Grande Uomo e il Grande Art
ista e moralmente negativa, positivamente irreale, la volontà di diventar qualcuno
solo come artista da parte di chi come essere umano [si era] considerato uno ze
ro (lettera a Katja, principio di giugno 1904).
Il Doktor Faustus è il libro della fine anche perché dichiara irresolubile l'antinom
ia fra confessione e rivelazione.
~onfessione è il discorso del Grande Scrittore che ha acquistato la certezza di no
n essere un beniamino degli dèi ; rivelazione sarehbe l'uso --dichiarato nel roman
zo impossibile--delle voci della natura se si riuscisse ad articolarle al fine d
i esorcizzarle davvero, cioè di far dire loro in quale gang-lio della natura sia r
eale la società borghese, il vasto mondo .
Il Grande Uomo, il beniamino degli dèi , non trascina con sé nella sua scomparsa il
Grande Scrittore.
In Der Tod in Venedig Thomas Mann aveva elencato fra le opere di Aschenbach la c
hiara e possente epopea in prosa sulla vita di Federico di Prussia ; Aschenl}ach
non era un <~ beniamino degli dèi , ma un eroe in tensione : egli muore quando la
tensione si spezza, ma Thomas Mann compie l'opera di lui, e nasce il sag ioracc
onto Friedrich und die grosse Koalition.
Al tempo del Doktor Faustus la presenza dell'immagine del beniamino degli dèi è nega
ta nella figura di Leverkuhn; Leverkiihn ha tuttavia composto un'opera che sarà re
alizzata da Thomas Mann: nel romanzo è ricordata la Suite ispirata dai Gesta roman
orum, e a il vero pezzo centrale della Suite è la storia ff Della nascita del beat
o papa Gregorio ; sarà appunto la storia di Gregorio l'argomento del romanzo Der E
rwahlte [L'eletto, 1951], che Thomas Mann scriverà dopo il compimento del Doktor F
austus (nel cap.
XXXI del Doktor Faustus si trova una lunga e minuziosa scaletta del futuro roman
zo ) .
Anche Der Erwahlte è una biografia .
La storia di Gregorio, nato da due fratelli incestuosi, abbandonato sulle acque,
educato in un monastero, cavaliere, sposo della propria madre, peccatore espian
te su uno scoglio solitario ove ridiviene piccolo come un neonato ed è nutrito dal
latte della madre terra, infine papa e assolutore dei propri genitori, è la biogr
afia di un singolare beniamino degli dèi , di un eletto .
Ma non la si direbbe piú un'autobiografia: l'identificazione fra il narratore e il
beniamino degli dèi oggetto della narrazione non è piú possibile, ed è ironia--ripetiam
o, ironia tragica--che nel Doktor Faustus Leverkuhn sia detto <~ toccato da Dio
proprio in riferimento alla composizione su Gregorio:
In questa storia esageratamente piena di peccati, d'ingenuità e di grazie, Adrian
aveva adunato tutto lo spirito e lo spavento, tutta l'infantile insistenza e la
fantastica solennità dei colori musicali, sicché a questo lavoro, e specialmente a q
uesto, si potrebbe ben applicare lo strano epiteto del vecchio pr~ fessore di Lu
becca, la definizione toccato da Dio .
Non la si direbbe un'autobiografia, ma solo un atto di durata del Grande Scritto
re, il quale non è beniamino degli dèi , non è salvo daUa decadenza del suo mondo, e p
ure è incarnazione dello spirito della narrazione che nel prologo del romanzo fa s
uonare tutte le campane di Roma in onore dell' eletto
E tuttavia anche Der Erwahlte è un'autobiografia, ma non un racconto delle proprie
vicende nella storia, bensí un'evocazione degli elementi mitici in cui il narrato
re riconosce il precedente, la fondazione , del proprio io.
Nella tetralogia del Joseph il mito stava, paradossalmente, in secondo piano, re
spinto entro strettissimi limiti di parodia, poiché il valore era fatto coincidere
con la persona del beniamino degli dèi , il quale partecipava benignamentc alla s
ocietà, pur senza appartenervi.
In Der Erwahlte il beniamino degli dèi è assolutamente remoto dalla società: il suo pr
i~cipium individuationis è contemplato da grande distanza.
In primissimo piano sta invece il mito, la materia del mito, che, di là dall'indiv
idualità di Gregorio, compone la presenza dell' eletto cosí come quella di ogni uomo
.
La scena dell'incesto tra i fratelli gemelli non è tanto l'evocazione del concepim
ento dell' eletto , quanto del primo istante di realtà dell'essere umano.
Già in Die Entstehung des Doktor Faustus Thomas Mann aveva affermato d'essere semp
re piú incline a vedere la vita intera come prodotto della civiltà e sotto forma di
ripetizioni mitiche .
Lo spazio e il tempo chiusi, esoterici, della società borghese, hanno lasciato il
posto allo spazio e al tempo del mito: non alla storia oggettiva , di tutti , de
l materialismo storico, ma ad un'altra storia che nel suo esoterismo è dichiarata
essa pure storia oggettiva, di tutti, e che --faustianamente! --dovrebbe salvare
la pienezza dell'esistenza umana ( umanesimo quale ubiquità universale , fa dire
Thomas Mann a Goethe nel cap.
VII di Lotte in ~eimar) dai limiti e dall'unilateralità della ragione, Frau Klugel
in die arge Hur [Monna Sofistica, la terribile bagascia] come si esprimeva Luter
o.
Nel privilegiare il míto, Thomas Mann risente indubbiamente dell'influsso della ps
icoanalisi, e in particolare della psicologia del profondo jun- 91 ghiana.
Non ad essa, tuttavia, egli affida il compito di principale mitologa.
Sebbene nel saggio Die Stellung Freuds in der modernen Geistesgeschichte [La pos
izione di Freud nella moderna storia dello spirito, 1929], Thomas Mann avesse de
finito la psicoanalisi la forma dell'irrazionalismo moderno che si oppone inequi
vocabilmente a ogni abuso reazionario , egli mantenne sempre una profonda diffid
enza verso quellá dottrina, e presumibilmente l'atteggiamento politico di C. G. Ju
ng durante il nazismo dovette confortare il suo sospetto.
Tanto il dottor Krokowski, indagatore delle anime nel sanatorio di Der Zauberber
g, quanto il libero docente Schleppfuss, che nel Doktor Faustus insegna psicolog
ia della religione a Leverkuhn e a Zeitblom, sono due figure sinistre (e la seco
nda è anzi palesemente demoniaca).
Nel concedere al mito la misura di realtà totalizzante ed esoterica che era già prop
ria della società borghese, Thomas Mann ha, certo, fatto tesoro dell'insegnamento
di Jung sugli archetipi, e anche sull'inconscio collettivo; ma egli ha riservato
la fondamentale fllnzione di mitologo allo spirito della narrazione , attribuen
do ad esso tutte le prerogative di realtà dell' umanesimo quale ubiquità ùniversale .
Lo spirito della narrazione --è detto in Der Erwahlte-- è aereo, incorporeo, onnipre
sente, non legato allo spazio, non soggetto alle differenze del Qui e Là , e chi n
el romanzo incarna lo spirito della narrazione , il monaco benedettino Clemente
d'Irlanda, dice:
Non affermo affatto di avere la padronanza di tutte le lingue ma esse, mentre sc
rivo, confluiscono nella mia penna e diventano una cosa sola: la linYua.
Lo spirito della narrazione è uno spirito libero da ogni vincolo fino all'astratte
zza, il suo mezzo è la lingua in sé e per sé, che si pone come assoluto, e poco si cur
a delle varie favelle e degli dèi indigeni delle lingue.
Ciò sarebbe politeista e pagano.
Dio è spirito, e sopra le lingue è la Lingua.
Der Erwahlte è in effetto un abilissimo (e intraducibile) pastiche linguistico; fr
ancese antico e provenzale vi si mescolano a un tedesco evocato dai vari strati
della sua metamorfosi storica.
Non siamo piú nella 92 sfera in cui Hans Castorp parla tedesco anche quando parla
francese.
O forse: Hans Castorp parlava francese per eludere la responsabilità insita nel pa
rlare tedesco: qui siamo giunti nella sfera della lingua della irresponsabilità, d
el divino, e di un divino che salva le opere anche se condanna l'artista.
Nel colloquio con Leverkuhn, il demone dice:
Non ho mai udito una cosa piú sciocca dell'affermazione che dai malati possa venir
soltanto una cosa malata.
La vita non è schifiltosa e di morale non ne sa un accidente.
Essa abbranca l'ardito prodotto della malattia, lo ingoia, lo digerisce e appena
se lo prende a cuore quello ~iventa salute.
Di fronte al fatto dell'ef~icacia vitale, mio caro amico, crolla ogni distinzion
e fra malattia e salute.
Un~intera orda, un'intera generazione di ragazzi sani come lasche si butta sull'
opera del genio malato, dell'uomo genializzato dalla malattia, lo ammira, lo esa
lta,-lo innalza, lo trascina con sé, lo modifica, lo trasmette alla civiltà, la qual
e non vive solo di pane c~salingo, ma anche dei doni e dei veleni forniti dalla
farmacia dei Beati Apostoli. [...] Tu sarai guida, tu segnerai il cammino dell'a
vvenire, nel nome tuo giureranno i ragazzi che, grazie alla tua follia, non avra
nno piú bisogno di essere folli.
Della tua follia si nutriranno in piena.salute, e in loro tu diventerai sano.
~ un discorso molto simile a quello che Thomas Buddenbrook aveva letto in Schope
nhauer.
Qui è il demone che parla.
E il divino da cui procede lo spirito della narrazione si identifica palesemente
con la vita , quella stessa che affiorava nella primavera di Thomas Mann adoles
cente (anche Leverkuhn nasce di primavera; e già abbiamo citato dal Doktor Faustus
: la gioventú è il solo ponte legittimo fra il mondo borghese e il mondo della natur
a... ).
In Der Erwahlte Thomas Mann sta compiendo l'opera di Leverkuhn, ben piú di quanto
abbia fatto evocando nel romanzo le composizioni di lui.
Il Grande Uomo è condannato; resta il Grande Scrittore, che continua a creare anch
e dopo la confessione: ma è il demone che afferma la funzione positiva delle opere
del malato e del condannato, e la afferma in omaggio alla vita , alla natura.
A 78 anni, nel 1953, Thomas Mann pubblica un ultimo raccorlto, Die Betrogene [L'
inganno], che prosegue in termini spietati la confessione e la dichiarazione del
fallimento dell'arte borghese, della resa dinanzi alla natura.
Giunta all'età della menopausa, Rosalie von Tummler ha un im- 93 provviso apparent
e ritorno del ciclo mestruale che coincide con una tarda passione erotica: è però ma
lattia, anziché rínnovata primavera :
L'esame ginecologico, eseguito da Muthesius, pose in evidenza un utero ~roppo vo
luminoso per l'età della paziente, e, seguendo il percorso dell'ovidotto, un tessu
to irregolarmente ingrossato, e al posto di un'ovaia già molto ridotta, una inform
e massa tumorale.
~, dunque, un inganno della natura, e un inganno che si compie sotto le sembianz
e del~a primavera .
Nel racconto, il rigoglio della primavera è evocato in pagine che paiono riferirsi
ironicamente alla primavera nelle prime lettere del Werther.
Rosalie non si può dire a che punto amasse la primavera, la sua stagione, quella i
n cui era nata e che, cosí almeno affermava, le aveva sempre recato correnti miste
riose di salute e di gioiosa energia vitale .
L'ironia si spinge fino a un celato ricalco della Dame aux caméltas di Dumas: Rosa
lie amava specialmente le rose rosse (giacché non le piacevano le bianche!) , e no
n è dií~cile scoprire la fonte di quelle rose rosse nelle camelie rosse che Margueri
te Gauthier sostituiva alle bianche e ostentava per cinque giorni ogni mese .
E l'ironia giunge fino a una tonalità cosí tragica da assumere le parvenze di rivela
zione d'una verità irrazionale piú alta; le ultime parole della ingannata Rosalie so
no: La natura, io l'ho sempre amata, ed essa ha ricambiato amore alla sua creatu
ra .
Inviando a K. Kerén~i una copia di Die Betrogene, Thomas Mann scriveva la dedica:
Questo piccolo mito della Madre Natura .
Il tono è quello della rispettosa parodia nei confronti del mito.
Ma la sostituzione della misura del mito a quella della società borghese resta nel
l'aml;~ito dell'operare di un artista che si è condannato una volta per tutte nel
Doktor Faustus.
Le parole della figlia a Rosalie: La tua vecchia amica, Madre Natura, ha in gene
re una graziosa tendenza all'ambiguità e alla mistificazione , sono quasi una cita
zione dal Doktor Faustus: nel Doktor Faustus il padre di Leverkuhn indaga i feno
meni della natura e spiega ai fa94 miliari che il colore di certi insetti:
un azzurro bello come un sogno, non è [...] un colore vero e proprio, ma è prodotto
da sottili scanalature e da altre formazioni superficiali delle squamette che ha
nno sull'ali una microstruttura la quale, rifrangendo col massimo artificio i ra
ggi della luce ed escludendone la maggior parte, fa sl che ci arrivi all'occhio
soltanto il celeste piú luminoso.
--Guarda un po'!--mi par ancora di sentire la signora Leverkuhn--dunque è un ingan
no?
--Tu chiami inganno l'azzurro del cielo?--replicava il marito...
E il padre di Leverkuhn, l'appassionato indagatore della nahlra, è rappresentato n
el romanzo come il punto di partenza della predisposizione di Adrian al demonico
.
Un anno dopo Die Betrogene, nel 1954, Thomas Mann pubblica la prima parte comple
ta del Felix Krull.
Piú volte è stato osservato con ammirazione che il narratore riprese il manoscritto,
lasciato interrotto trent'anni prima, a; punto in cui aveva allora sollevato la
penna, come se proseguisse un discorso interrotto solo per un istante.
In realtà questa continuità de]iberata è soprattutto tragica.
Quando era stato composto, il primo frammento del Krull rappresentava l'evocazio
ne parodistica dell'autobiografia del beniamino degli dèi ~>, Goethe, compiuta nei
soli termini consoni ai tempi (la parodia, appunto) da chi confidava nella prop
ria sovrana autonomia dai tempi, beniamino degli dèi egli stesso.
Ora la composizione del Krull era ripresa da chi aveva dovuto riconoscersi non b
er.iamino degli dèi ~>, non Grande Uomo, ma Grande Scrittore autocondannato mentre
condannava i tempi che doveva riconoscere suoi.
Nel 1922 le tonalità parodistiche del Krull--parodia del romanzo borghese, parodia
dell'eroe e del protagonista delle narrazioni pedagogiche--potevano suonare con
sovrana e distaccata serenità, parodia aurea ~>.
Nel 1954 erano gli stilemi di Adrian Leverkuhn, e di un Adrian Leverkuhn che chi
udeva la propria esistenza in un cerchio per condannarla nella confessione.
Il Krull, come oggi ci appare (incompiuto, poiché Thomas Mann morí prima di andar ol
tre il compimento della prima parte), è l'autobiografia di: un giovane di origine
un po' dubbiaj figlio di un fabbricante renano di spumante che ha fatto bancarot
ta e finisce suicida.
Il giovane, ~avorito dalla natura, molto leggiadro e seducente, è una speae di art
ista, un sognatore, un fantastico, un fannullone borghese, che sente profondamen
te quel che illude nel mondo e nella vita e fin da principio mira a far di se st
esso un'illusione e un incanto.
Innamorato de! mondo, che non può servire alla maniera borghese, cerca di innamora
rlo di sè e, grazie alla sue doti, ci riesce benissimo. [...] Ma la sua vera esige
nza, il suo profondo scontento per la propria individualità è qualcosa di piú. 1~ un d
esiderio di evadere da se stesso nel Tutto, uno struggimento cosmico che, ridott
o alla sua formula piú recisa, si potrebbe definire pan-erotismo.
Cosí Thomas Mann, nel]a premessa a un'edizione svizzera parziale del Krull (]953).
Questa sintesi pone in evidenza una quantità di motivi ricorrenti manniani, l' art
ista tra virgolette, il Taugenichts, lo struggimento cosmico che Thomas Mann ave
va riconosciuto nel Tristan di Wagner, il beniamino degli dèi , ecc.
Le vicende di Kru]l, da lift-boy e amatore--oltre che ladro--di una intelligenti
ssima scrittrice, a cameriere, tentato da seduzioni erotiche eterosessuali e omo
sessuali, e poi sosia di un giovane aristocratico e viaggiatore per il mondo con
la maschera di quegli, rivelano un intrico di simboli e di miti che potrebbero
giustificare un ponderoso volume esegetico.
Nell'incontro erotico con la matura scrittrice, il giovane, che ella stessa obbl
iga a rubarle i gioielli, fa conoscenza con il suo mitico archetipo...
Ermes, l'abile dio dei ladri (dalla sintesi di Thomas Mann).
Thomas Mann stesso, in una lettera del 4.5.1934 a Kate Hamburger, aveva definito
il giovane Giuseppe un piccolo cavaliere d'industria , e Felix Krull è indubbiame
nte la parodia di un beniamino degli dèi , cosí come del dilettante sovrano che sta
al di sopra del borghese e dell'artista nella visione del Mann goethiano .
Nel corso del suo itinerario attraverso l'Europa come sedicente marchese di Veno
sta (il giovane aristocratico che aveva voluto affidargli la propria identità per
poter vivere senza obblighi con l'amante), Krull giunge a Lisbona, insieme con u
n paleontologo portoghese di origine tedesca, dietro al quale affiora la figura
di Edgar Dacqué, paleontologo e mitologo tedesco d'ori96 gine francese, ammirato d
alla cerchia di George e ben collocato nella Germania nazista, autore di un sagg
io dal titolo--mannianamente!--significativo-: Na~ur und Erlosung [Natura e rede
nzione].
All'ombra di questa natura e redenzione , la controfigura del beniamino degli dèi
si fidanza con la figlia dello scienziato, ma è anche travolto dall'impeto erotico
della futura suocera, una vera Madre Natura, che si impadronisce tUmultuosament
e di lui con grida da corrida.
Qui, su questo trionfo di Ftau Venus, resta interrotta l'ultima opera di Adrian
Leverkuhn .
Dal Ig52 Thomas Mann è ritornato definitivamente in Europa, in Svizzera, sottraen
dosi al maccartismo esordiente negli Stati Uniti, che già lo considerava sospetto.
Nel 1955, l'anno della morte, il suo ultimo discorso solenne è la celebrazione di
Schiller: non piú di Goethe, del a beniamino degli dèi , ma nuovamente dell' eroe in
tensione .
Riprendendo il Krull al punto in cui l'aveva lasciato interrotto, Thomas Mann av
eva coinvolto l'opera di trent'armi prima--l'evocazione del beniamino degli dèi -f
ra le composizioni dell'artista condannato.
Ora, nelle sue parole che celebrano Schiller, vi è solo piú la difesa della dignità bo
rghese dell'autocondannato che è tuttavia un Grande Scrittore, il Grande Scrittore
.
Il Versuch i~ber Schiller [Saggio su Schiller] principia con l'evocazione circos
tanziata degli orrori di Madre Natura, della sepoltura di Schiller in una tomba
aristocratica sí, ma colma di decomposizione, e culmina nell'apologia della forma
che sorge da quella trascurata e umida cantina >~ nobile di morti.
Chi ascolta la registrazione del discorso schilleriano, pronunciato l'8 maggio 1
955 nello Staatstheater di Stoccarda, noterà l'accento con cui Thomas Mann, fatta
piú alta la voce al punto della liberazione dalla tomba dello spirito di Schiller,
pronuncia in fine di frase le parole: la forma , die Gestalt .
NOTIZIE BIOGRAFICHE.
Thomas Mann nasce a Lubecca il 6 giugno 1875, figlio secondogenito del senatore
Thomas Johann Heinrich (1840-1891) e di sua moglie Julia, nata da Silva-Bruhns (
185i-1923).
I1 padre, titolare di una grande ditta di cereali fondata cent'anni addietro, er
a di discendenza patrizia lubecchese; la madre era nata a Rio de Janeiro da un t
edesco proprietario di piantagioni e da una brasiliana di sangue portoghese creo
lo.
Nel 1871 la coppia aveva avuto un primo figlio, Heinrich, che sarebbe divenuto e
gli pure scrittore.
Tutto ciò che possiedo in fatto di cultura,--dirà Thomas Mann--l'ho potuto acquisire
solo come libero autodidatta, laddove l'insegnamento umciale non mi diede quasi
nulla, se non le cose piú elementari .
Da ragazzo, Thomas frequenta con minimo profitto il liceo scentifico ( Avevo in
orrore la scuola ).
Suo padre muore quando egli ha quindici anni; la ditta paterna víene liquidata, e
la famiglia si trasferisce a Monaco; al termine del liceo, Thomas si impiega per
necessità e di malavoglia in una società di assicurazioni.
Nel 1894 egli pubblica il primo racconto, Gefallen.
Nel 1897, insieme con il fratello Heinrich soggiorna per un anno in Italia.
A quell'epoca pubblica la prima raccolta d; novelle e, appunto in Italia, inizia
a scrivere il romanzo Buddenbrooks; edito nel 1901, il romanzo ha un enorme e i
mpreveduto successo (nei decenni successivi la tiratura supererà il milione di cop
ie).
Dopo aver lasciato l'impiego per assoluta insoddisfazione propria e del padrone,
Thomas Mann era entrato nel 1899 nella redazione del Simplicissimus ~>.
Dopo il successo dei Buddenbrooks e dopo la pubblicazione di due magistrali prov
e nella piccola forma (Tristan e Tonio Kroger, 1903~, Thomas Mann, trentenne, or
mai libero scrittore, sposa nel 1905 Katja Pringsheim, figlia di Alfred Pringshe
im, ordinario di matematica nell'università di Monaco, ebreo, ricchissimo, grande
collezionista di arte rinascimentale.
Dal matrimonio nasceranno sei figli, tre femmine e tre maschi: la prima figlia,
Erika, si dedicherà soprattutto al teatro; il primo maschio, Klaus, sarà scrittore e
morirà suicida nel 1949, il secondo figlio maschio, Golo, diverrà storico della Ger
mania moderna.
Dall'anno del matrimonio fino al 1933 Thomas Mann risiede a Monaco.
Una serie di opere narrative e saggistiche confermano la sua situazione di primo
piano nella letteratura tedesca durante gli anni precedenti la prima guerra mon
diale.
Nel 1915 si apre il conflitto con il fratello Heinrich cui Thomas si contrappone
come difensore del germanesimo in guerra; la riconciliazione awerrà soltanto nel
1922.
Nel 1918 Thomas Mann pubblica il risultato delle sue meditazioni sulla situazion
e politica della Germania in guerra, Betrachtungen eines Unpolitischen.
Dopo il termine della guerra, Thomas Mann, rimasto indisturbato dalla effimera r
epubblica comunista di Monaco, aderisce alla repubblica di Weimar e, nel 1924, p
ubblica dopo anni di elaborazione il secondo amplissimo romanzo, Der Zauberberg,
iniziato prima della guerra.
Egli compie una serie di viaggi per l'Europa (Olanda, Svizzera, Danimarca, Spagn
a, Francia, Polonia).
Der Zauberberg in pochi anni raggiunge la centesima edizione.
Nel 1925 il cinquantesimo compleanno di Thomas Mann è festeggiato ufficialmente da
lla città di Monaco.
Nel 1929 viene conferito allo scrittore il premio Nobel.
L'anno successivo, Thomas Mann intraprende un viaggio in Egitto e in Palestina:
ha già iniziato la storia biblica Joseph und seine Bruder.
Nel 1932 egli tiene il discorso ufficiale per il centenario goethiano all'Accade
mia di Berlino.
Nel 1933, dopo aver pronunciato nell'aula magna dell'università di Monaco il disco
rso su Wagner, Thomas Mann compie un giro di conferenze all'estero; mentre si tr
ova in Svizzera, viene informato dai figli del pericolo di un suo ritorno in pat
ria: ha inizio l'esilio, dapprima a Sanary-sur-mer, poi a Kusnacht presso Zurigo
.
Nel 1934, primo viaggio negli Stati Uniti.
Nel 1935 i1 sessantesimo compleanno di Thomas Mann in esilio è occasione di solenn
i attestazioni di stima (Freud, Croce, Hauptmann, Valéry, Ortega y Gasset, Hamsun,
ecc.).
Nel 1936 i1 governo nazista revoca a Thomas Mann la cittadinanza tedesca: le ope
re dello scrittore non sono piú in vendita sul mercato tedesco; l'università di Bonn
revoca la laurea honoris causa.
Thomas Mann assume la cittadinanza cecoslovacca, e nel 1938 accetta l'invito del
l'università di Princeton, stabilendosi poi nel 1940 a Pacific Palisades, Californ
ia.
Durante tutta la guerra tiene alla radio una serie di discorsi rivolti agli asco
ltatori tedeschi e dirige la rivista degli intellettuali tedeschi esuli, Mass un
d Wert .
Nel 1943 esce l'edizione completa della tetralogia di Giuseppe; due anni dopo l'
università di Cincinnati conferisce a Thomas Mann la laurea honoris causa in ebrai
co.
Thomas Mann e i suoi figli assumono la cittadinanza statunitense.
Nel 1947 viene pubblicato il Doktor Faustus; Thomas Mann torna per la prima volt
a in Europa dopo la guerra, e nel 1949 è incaricato del discorso celebrativo per i
l bicentenario goethiano, che pronuncia nelle due Germani.. a Francoforte e a We
imar.
Lo scrittore a settantasei anni, nel 1951, pubblica Der Erwahlte.
Nel 1952 Thomas Mann ritorna in Europa e si stabilisce in Svizzera, dapprima a E
rlenbach presso Zurigo, poi nella casa che era stata di C. F. Meyer, Kilchberg,
Alte Landstrasse 39.
Nel 1953 viene pubblicato Die Betrogene e nel 1954 esce l'edizione, incompiuta,
del Felix Krull, iniziato nel 1922.
Nel 1955, Thomas Mann pronuncia, a Stoccarda, il discorso ufficiale per il 150 a
nniversario di Schiller, alla presenza del presidente Heuss.
Il suo ottantesimo compleanno viene celebrato ufficialmente dalla Confederazione
Elvetica nello Schauspielhaus di Zurigo.
La città natale, Lubecca, gli conferisce la cittadinanza onoraria.
Egli riceve la Legion d'Onore, l'Ordine di Orange-Nassau e l'Ordine tedesco Pour
le mérite per la pace.
Scrive: Ottant'anni sono una malattla che porta alla morte, come un'altra.
Pazienta, fra poco... .
Inizia gli abbozzi del dramma Luthers Hochzeit.
Nel luglio 1955, a Noordwijck aan Zee compone l'ultimo scritto, il Geleitwort a
Die schonsten Erzahlungen der Welt.
Il 23 luglio la stampa comunica che Thomas Mann è malato.
Il 12 agosto 1955 egli muore per collasso cardio-circolatorio nell'Ospedale Cant
onale di Zurigo.
La sua tomba si trova nel cimitero di Kilchberg, vicino a quella di Conrad Ferdi
nand Meyer.
FINE.

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