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Visconti e il

LETTERATURA E CINEMA
Decadentismo
Nel panorama del cinema italiano Luchino Visconti (1906-1976) occupa un posto di rilie-
vo ed è riconosciuto come uno dei grandi maestri del dopoguerra. La sua opera cinema-
tografica copre l’arco di un trentennio, dal 1943 al 1976, e presenta un corpus di film
significativi sia per il loro valore estetico, sia per le relazioni che intrattengono con il
periodo storico e culturale nel quale sono apparsi.
I film di Visconti hanno fatto discutere, e la loro presentazione al pubblico raramente è
passata inosservata. Luchino Visconti costituisce un caso a sé nel cinema italiano: in molti
suoi film è evidente il dialogo con la tradizione, con una società raffinata ed elitaria,
profondamente legata al clima artistico e culturale del primo Novecento. Le origini fami-
liari, la formazione culturale, la complessa personalità hanno contribuito a rendere vita-
le il rapporto del regista con la letteratura, con il teatro, con la musica e con il melo-
dramma. E così la scoperta precoce di una “vocazione teatrale”, l’idea di divenire dram-
maturgo, il lavoro come arredatore nelle prime esperienze professionali con il teatro sono
soltanto alcune delle tappe che portano Visconti sulla strada della regia, sia nel cinema
che nel teatro.
Nei film di Visconti le radici culturali che abbiamo ricordato sono sempre presenti, e
fanno da sfondo in alcuni casi a opere che guardano al presente e alla contemporaneità
del regista. In altri casi la riflessione sulla storia e sul destino individuale rimette in discus-
sione personaggi ed eventi passati. Viene allora posto in evidenza il senso di perdita dovu-
to alla caduta dei valori tradizionali che cedono il passo a nuovi modi di concepire la
realtà e l’esistenza. L’accoglienza critica e i dibattiti sorti negli anni in cui questi film sono
apparsi non sempre hanno reso giustizia all’opera di Visconti.

Un momento di pausa sul set del film Lo straniero, con Marcello Mastroianni.

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La produzione cinematografica di Visconti


L’attenzione alla realtà è caratteristica della prima parte della carriera di Visconti. Il suo
esordio come regista risale al 1943, con il film Ossessione, un adattamento per lo scher-
mo del romanzo Il postino suona sempre due volte, dello scrittore americano James Cain.
La vicenda presenta in maniera diretta temi come l’amore passionale, l’adulterio, l’omi-
cidio, che sono scandalosi per l’epoca e suscitano reazioni negative nel pubblico. La scel-
ta di un autore americano e della storia dei due amanti “maledetti”, è una dichiarazione
di poetica, un modo per uscire dall’ambito della produzione italiana del periodo, avver-
tito da Visconti e dai suoi collaboratori come limitato e provinciale. La scelta di situare la
vicenda nel ferrarese, lungo il Po, ha la funzione di radicare i personaggi in un ambiente
ben determinato, per dare loro maggior spessore. Mostrare il comportamento dei prota-
gonisti senza limitarne l’azione e guardare da vicino i motivi che li guidano, fa emergere
un quadro umano che dà al film un’impronta diversa rispetto alla produzione conven-
zionale del periodo.
A guerra finita, la ventata del Neorealismo introduce novità radicali, e su questa linea
Ossessione diviene il film che aveva precorso i tempi. Visconti ad esso affianca, nel 1948,
La terra trema, una delle opere più radicalmente legate alla poetica neorealista. È un film
ispirato ai Malavoglia di Verga, girato interamente in Sicilia, ad Aci Trezza, e interpretato
da pescatori siciliani. Un film che fonde la poetica verista nelle immagini di personaggi
storicamente e culturalmente determinati, mostrati nel loro ambiente di vita, nei loro ritmi
quotidiani, nel proprio modo di esprimersi.
Il primo Visconti è quindi nel segno di una attenzione alla realtà, e soprattutto La terra
trema si distingue per la radicalità dell’approccio. Nel corso degli anni Cinquanta è il film
Senso (1954) che costituisce un punto di riferimento, perché segna il passaggio, secondo
quanto afferma la critica dell’epoca, dal Neorealismo (che ha esaurito la propria vicenda)
al realismo, cioè, nel caso specifico, alla rappresentazione accuratamente ricostruita di
una vicenda ambientata nel XIX secolo. Il film viene oggi unanimemente riconosciuto
come un capolavoro, e stabilisce un elemento di confronto anche per le pellicole suc-
cessive. Con Rocco e i suoi fratelli (1960), Visconti offre un contributo importante e ine-
guagliato alla comprensione del fenomeno dell’emigrazione interna in Italia. Nella realtà
della città di Milano si innesta la saga familiare dei Parondi, immigrati dalla Lucania: per
ciascuno dei fratelli viene mostrato il diverso percorso alla ricerca di una integrazione. Il
film racconta una realtà in trasformazione, la analizza attentamente, la ricostruisce secon-
do i moduli del dramma e dell’epica, in un’architettura rigorosa, con situazioni che par-
lano con forza anche allo spettatore contemporaneo.
In seguito l’attenzione torna all’Ottocento. Il Gattopardo (1963) racconta l’unificazione
italiana partendo dalle pagine dell’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Una vicenda collettiva e una pagina della storia italiana vengono viste attraverso il filtro
di una vicenda individuale, quella del principe di Salina (Burt Lancaster) che assiste all’a-

Una scena
del film
La terra trema,
liberamente
ispirato a
I Malavoglia
di Verga.

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scesa di una nuova classe sociale. Calogero Sedara ne è il rappresentante: arricchitosi di
recente, è furbo e abile quanto è volgare. La sua mancanza di stile crea un contrasto net-
tissimo con l’aristocratica figura di don Fabrizio. Il principe rinuncia a cariche politiche
nel nuovo parlamento e cerca di favorire il giovane nipote Tancredi, facendogli sposare
proprio la figlia di don Calogero. La lunga sequenza del ballo nel palazzo Ponteleone
vede il trionfo della giovane coppia, mentre il
principe sente avvicinarsi la propria fine. Il suo
declino è anche il declino di un certo modo di
guardare alla vita, di un’estetica, un gusto, una
tradizione di rilievo innegabile. Con don
Fabrizio Visconti ha un rapporto di identifica-
zione: come lui avverte il passaggio epocale, la
fine di un mondo e l’ascesa della nuova bor-
ghesia; come lui avverte la perdita di quel
mondo. Tali temi troveranno sviluppo anche in
film successivi.
Nel 1965, con Vaghe stelle dell’Orsa, il tema
della caduta e della perdita viene rappresentato
attraverso il confronto che oppone i due figli di
una ricca famiglia ebrea di Volterra. Sandra e
Gianni si ritrovano nella casa familiare dopo
anni di lontananza. Sandra vi arriva con il mari-
to, un americano conosciuto a Ginevra. Ma,
rientrata nella casa, la giovane donna viene assa-
Renato Salvatori
interpreta Simone
lita da una inquietudine crescente. I fantasmi del passato riappaiono. La perdita del padre
in Rocco e i suoi (ucciso in campo di concentramento) e i sospetti sulla madre, che si è risposata, avevano
fratelli. creato un legame molto esclusivo tra fratello e sorella. Incontrando di nuovo Gianni il
legame si rinsalda, ma torna anche lo spettro dell’incesto. Per Gianni il superamento del-
l’adolescenza non è mai avvenuto, e l’amore per Sandra viene visto come un modo per
chiudersi nel proprio mondo, restare legato al passato senza contatti con la realtà circo-
stante. Il suicidio finale sigla l’impossibilità di tornare a un’armonia illusoria, a una com-
plicità comunque perduta. Anche per questo film, che presenta una ambientazione con-
temporanea, gli aspetti riferibili alle opere decadentiste sono molteplici. Lo è soprattutto
il nucleo drammatico: l’unione profonda tra fratello e sorella e la percezione della pro-
pria unicità rispetto alle altrui esperienze. L’incesto diviene così esplorazione di un rap-
porto d’amore assoluto, tra eguali, e che tuttavia non può esistere, perché si scontra con
un tabù fondamentale dell’umanità.

Alain Delon e
Claudia Cardinale
nella famosa scena
del ballo
de Il Gattopardo.

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I capolavori dell’ultima fase: l’influsso di Proust e Mann


Per il Visconti dell’ultimo periodo (1969-1976) il distacco dal presente è una conquista
meritata e coscientemente rivendicata. Dopo i film in cui i problemi della realtà sono al
centro dell’attenzione, il regista si concentra sui temi che maggiormente lo interessano,
distaccandosi da una contemporaneità che dichiara egli stesso di non comprendere. Un
progetto che lo interessa moltissimo riguarda l’adattamento della Recherche di Marcel
Proust. Il regista ci lavora già dal 1965, nelle pause tra le regie teatrali e quelle cinema-
tografiche. Purtroppo nel 1972 il progetto sfuma per problemi finanziari e la produzione
affida l’idea a un altro gruppo di lavoro. Tuttavia, anche se viene meno l’occasione con-
creta di mettere in scena il mondo del grande scrittore francese, nei film realizzati da
Visconti dal 1969 gli elementi proustiani si fanno evidenti: sono film che presentano una
immersione nel passato, la cui ricostruzione meticolosa assume i caratteri di una memo-
ria sentimentale, oltre che di una impeccabile messa in scena.
Con La caduta degli dei (1969), il tema della caduta e della dissoluzione investe una inte-
ra famiglia, ed è associato a un momento chiave della crisi della società borghese: l’av-
vento del Nazismo in Germania. La vicenda viene filtrata attraverso due archetipi lettera-
ri, il Macbeth di Shakespeare, e il Doktor Faustus di Thomas Mann, mentre l’idea origina-
ria del film è quella di una versione cinematografica dei Buddenbrook, il capolavoro di
Mann. Nella lotta per la supremazia nel mondo della grande industria, la famiglia von
Essembeck sceglie di sostenere il potere emergente del Nazismo. È una sorta di patto con
il diavolo, perché Aschenbach, un demoniaco ufficiale delle SS, sfrutta le tensioni interne
alla famiglia per eliminarne progressivamente i componenti, fino a controllare completa-
mente il giovane Martin, unico erede sopravvissuto, psicologicamente instabile. In una
catena di omicidi che prefigura sinistramente lo spettro dei crimini nazisti, fino alla solu-
zione finale, la famiglia si dissolve lasciando campo libero al nuovo potere politico-mili-
tare. Ma nessuno è veramente vittima, perché l’adesione stessa al Nazismo porta con sé la
rovina. Anche al di là degli aspetti simbolici, il film offre molteplici riferimenti al quadro
storico del periodo, dall’incendio del Reichstag, al rogo dei libri proibiti, alla “Notte dei
lunghi coltelli”, con lo sterminio delle SA (le squadre d’assalto, il primo gruppo paramili-
tare del Partito Nazista). Eventi drammatici che, attraverso la rappresentazione del tradi-
mento e della violenza, gettano una luce cupa e nitida sull’avvento del Nazismo, una tra-
gedia orrida e crudele, che porterà al venir meno del senso stesso dell’umanità.
Con Morte a Venezia (1971), tratto dal racconto omonimo di Thomas Mann, la ricerca del
bello diventa una sola cosa con lo sgretolamento della coscienza, sullo sfondo della
caduta degli ideali borghesi. Uno dei temi centrali del film è il dissidio tra arte e vita. Il

Helmut Berger interpreta Ludwig II, ultimo re di Baviera, nel film omonimo.

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musicista tedesco Gustav Von Aschenbach ha inseguito nella sua vita l’arte come armo-
nia, come compiutezza e coerenza. Secondo lui c’è una continuità tra una vita morige-
rata, gli affetti familiari e la creazione della bellezza attraverso l’arte. Giunto a Venezia,
dove cerca riposo dopo un eccessivo affaticamento, viene sedotto dalla bellezza di un
adolescente polacco, anch’egli in vacanza nel lussuoso hotel del Lido. Per rimanergli vici-
no, resta a Venezia, nonostante la minaccia del colera, e alla fine ne muore. L’ultima
immagine che ha negli occhi è quella del giovane che si allontana nell’acqua e che diven-
ta diafano, quasi fosse una creatura soprannaturale. La novella di Thomas Mann, l’am-
bientazione veneziana, l’estenuata ricerca della bellezza, sono elementi completamente
immersi nella sensibilità decadente. Visconti li fa propri e li riscrive secondo una linea
proustiana, nella quale i ricordi (nel film sotto forma di flashback) illustrano il senso della
ricerca e le motivazioni del personaggio, che progressivamente si trova travolto da una
passione della quale egli stesso si stupisce.
In Ludwig (1973), certo il film più rappresentativo per l’impegno produttivo profuso da
Visconti, vengono sviluppati temi analoghi. Il protagonista questa volta è un personaggio
storico, Ludwig II, ultimo re di Baviera. La sua figura umana viene analizzata a fondo,
mostrando la parabola che lo conduce dalla cerimonia di incoronazione fino all’ultimo
gesto della sua vita, il suicidio scelto per sfuggire all’internamento e alla perdita delle pro-
prie prerogative regali. La figura di Ludwig sollecita l’interesse di Visconti: la sua è una
vicenda “estrema”, che si conclude con una sconfitta. La sua solitudine, l’amore per l’ar-
te, la vena di follia che lo pervade, sono aspetti che si manifestano sullo sfondo della dis-
soluzione del regno di Baviera. Per sfuggire a una realtà che non accetta, Ludwig cerca di
negarla e si isola nei propri sogni e nelle proprie manie.
Il film successivo è Gruppo di famiglia in un interno (1974). La grossolanità e il rumore
del mondo contemporaneo sono banditi dalla casa di un ex professore, collezionista di
oggetti di pregio, libri e quadri, che riempiono un appartamento ricco di storia e di ricor-
di. La vita irrompe fastidiosa e irritante nel suo mondo quando accetta di affittare l’ap-
partamento che possiede al piano superiore. Da questo momento sono le vicissitudini di
un gruppo familiare scombinato ad occupare l’attenzione del professore e a sconvolger-
ne il modo di pensare. Soprattutto è Konrad, un giovane mantenuto, ad esercitare su di
lui un certo fascino, perché potrebbe essere il figlio che il professore non ha mai avuto.
Ma l’idea di instaurare un rapporto nuovo è illusoria, e si scontra con l’inconciliabilità di
due modi di vita, ordinato e abitudinario il primo, caotico e trasgressivo il secondo. La
morte di Konrad mette fine all’illusione e anche il professore muore poco dopo.
L’ultimo film di Visconti è L’innocente (1976), tratto dal romanzo omonimo di Gabriele
d’Annunzio. Rispetto all’originale, i numerosi cambiamenti apportati sono sintomi di una
presa di distanza, di una rilettura dell’opera letteraria alla luce di una differente sensibi-
lità. Il protagonista, un superuomo dannunziano, viene trasformato in un essere turbato
che, spinto dalla gelosia, uccide un bambino innocente, frutto dell’adulterio compiuto
dalla moglie. In seguito si toglie la vita, espiando la propria colpa. La diversità dello sguar-
do adottato nel film mette in luce la falsa coscienza del protagonista, ne smaschera il
vuoto desiderio di possesso. Nell’insieme, il romanzo di d’Annunzio viene arricchito e
orientato verso il riconoscimento della contrapposizione tra maschile e femminile, in cui
il protagonista perdente è un eroe decadente e negativo.

Una scena del film


L’innocente,
con Giancarlo
Giannini
e Laura Antonelli.

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Il legame con la letteratura


Dai film che abbiamo ricordato emerge una galleria di temi, di personaggi e di situazio-
ni che costituiscono il lato più personale della produzione del regista. Se la sua attenzio-
ne va anche alle grandi questioni dell’Italia a lui contemporanea, seguendo la sua vera
vocazione, Visconti imbocca la via che lo riporta alle origini della propria formazione cul-
turale, in sintonia con gli autori prediletti, tenendo ben ferma la convinzione della fon-
damentale autonomia della ricerca estetica. L’amore per la bellezza, la sensazione del-
l’irrimediabile perdita e della caduta, insite nel fatto stesso di essere al mondo, sono tutti
elementi e aspetti che si rifanno a una sensibilità che era anche quella dei grandi autori
tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: Thomas Mann e Marcel Proust in par-
ticolare. In questa luce Visconti non appare tanto un “decadente”, piuttosto la sua pro-
duzione è nel segno del recupero, per motivi anche biografici, di una sensibilità artistica
ed estetica radicata in un ambito che è quello del Decadentismo europeo e delle proble-
matiche estetiche, storiche, culturali che vi sono connesse.
I film di Visconti sono sempre, più o meno direttamente, legati a testi letterari, e in essi la
rappresentazione si fa particolarmente acuta, perché si avverte sia la visione della società
e dell’epoca filtrata attraverso la sensibilità dell’autore, sia lo sguardo indagatore e la
competenza del regista stesso. Il lavoro di adattamento del testo letterario non si traduce
mai in un piatto adeguamento al linguaggio cinematografico. Visconti rielabora situazio-
ni e personaggi attraverso la propria sensibilità: il racconto di una società malata, della
crisi, della perdita, ha per il regista anche sfumature autobiografiche. Lo sguardo al pas-
sato significa allora avviare una ricerca, liberare il valore conoscitivo della memoria e
mantenere un riferimento costante alla Recherche, opera emblematica dell’approccio che
Visconti adotta verso la ricostruzione cinematografica del passato, inaugurata dalla metà
degli anni Cinquanta con la realizzazione di Senso.

Il Decadentismo nella poetica di Visconti


Nel dibattito critico tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta Visconti ha spesso ricevuto
l’etichetta di “regista decadente”, cui era attribuito un giudizio negativo. Si contrappone-
va a quella, positiva, di regista “impegnato” nei confronti della realtà, e capace di man-
tenere un atteggiamento critico nei suoi confronti. Definire “decadente” un regista signi-
ficava quindi avanzare una tacita accusa, che stigmatizzava il suo atteggiamento di “con-
templazione passiva” rispetto alla realtà e la fuga verso dimensioni estetizzanti, troppo
personali, o addirittura morbose. Soprattutto durante la seconda parte della carriera di
Visconti, questa etichetta limitativa è ritornata più volte nei giudizi critici, mentre la sua
opera si muoveva verso le dimensioni del passato e della memoria, secondo una linea di
ricerca molto personale. Una ricerca che prendeva una direzione divergente rispetto ai
percorsi avviati dalle nuove tendenze del cinema degli anni Sessanta e Settanta.
Vista oggi, la contrapposizione tra “realismo” e “decadentismo” nuoce alla comprensione
dell’opera di Visconti. Anche se è vero che nella sua filmografia si trovano sia opere orien-
tate verso la lettura e la comprensione di realtà contemporanee, sia opere in cui si nota un
ripiegamento verso temi più personali, il valore complessivo dell’opera viscontiana è fuori
discussione, come è indubbio il valore delle opere più personali. Piuttosto, risulta interes-
sante cercare di comprendere le modalità secondo cui all’attenzione alla realtà si sostitui-
sce quella al passato, e le ragioni per cui i problemi posti dalla contemporaneità vengono
filtrati dal mito, dall’epica, dal melodramma. Tutto ciò senza dimenticare gli aspetti pecu-
liari del cinema di Visconti: il raffinato gusto per la bellezza e per la compiutezza dell’o-
pera filmica, la forma del film rigorosa e pienamente significante e la grande capacità di
rappresentare personaggi complessi, attraverso la sapiente direzione degli attori.
Sul “decadentismo” di Visconti occorre insomma fare distinzioni precise e guardare da
una prospettiva che non precluda la possibilità di comprendere appieno alcuni dei film
più significativi del regista. Ciò che conta soprattutto è riconoscere nel lavoro di Visconti
il confronto con autori di grande rilievo, molti dei quali esponenti del Decadentismo. Per
Visconti lo spirito del Decadentismo era quello di Marcel Proust e di Thomas Mann e di
tutta la complessa temperie culturale del periodo. Un fenomeno culturale europeo, che
superava di molto i confini italiani. Nel 1975, in un’intervista pubblicata sul periodico
francese l’Avant-Scène, ebbe a dichiarare a questo proposito:
Quante volte si è parlato di me come di un “decadente”. Ma io ho della “deca-
denza” un’opinione molto alta, come l’aveva Thomas Mann per esempio. Sono
imbevuto di questo spirito.

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La ricerca estetica nei film “decadenti” si spiega anche considerando la sensibilità arti-
stica coltivata fin da ragazzo, che si comprende pensando all’estetismo di certe pagine
della Recherche di Proust, al valore dell’esperienza individuale concepita come espe-
rienza unica, irripetibile e, per conseguenza, il ruolo centrale affidato alla memoria indi-
viduale, che permette di accedere all’interiorità del personaggio. È ancora Visconti (in una
intervista del 1969) a raccontare il primo contatto con l’opera del grande scrittore fran-
cese e la considerazione che il padre nutriva per il primo volume della Recherche.

Accortosi del mio stupore per tanto interesse, egli smise la lettura per un attimo e
mi confessò che soffriva ad ogni pagina voltata, pensando che ben presto quel
romanzo prodigioso sarebbe arrivato alla fine.

Proprio la realizzazione di un film ispirato all’opera di Proust avrebbe dovuto costituire


l’apogeo artistico di Visconti, ma il progetto lungamente inseguito svanì definitivamente
all’inizio della lavorazione di Ludwig, nel quale il regista riversò uno spirito che avrebbe
potuto essere quello della Recherche. Come nella Recherche, infatti, in molti film di
Visconti le vicende individuali si svolgono sullo sfondo di periodi storici di transizione e
il contrasto tra vecchi e nuovi valori si incarna nei personaggi e nei loro conflitti. La vit-
toria del nuovo prelude a una perdita che spesso è dolorosa: all’ineluttabilità del muta-
mento si affianca un senso di irreparabilità che può trascinare con sé il destino di un per-
sonaggio.

Bibliografia
Alessandro Bencivenni, Luchino Visconti, Milano, Il Castoro, 1995
Luciano De Giusti, I film di Luchino Visconti, Roma, Gremese, 1985
Lino Micchiché, Visconti e il Neorealismo, Venezia, Marsilio, 1990; Luchino Visconti. Un
profilo critico, Venezia, Marsilio, 1996
Veronica Pravadelli (a cura di), Il cinema di Luchino Visconti, Roma, Quaderni di BIanco
e Nero, 2000
Gianni Rondolino, Luchino Visconti, Torino, Utet, 1981
Bruno Villien, Visconti, Milano, Vallardi, 1987

Filmografia
Lungometraggi di Luchino Visconti:
Ossessione (1943)
La terra trema (1948)
Bellissima (1951)
Senso (1953)
Le notti bianche (1957)
Rocco e i suoi fratelli (1960)
Il Gattopardo (1963)
Vaghe stelle dell’Orsa (1965)
Lo straniero (1967)
La caduta degli dei (1969)
Morte a Venezia (1971)
Ludwig (1973)
Gruppo di famiglia in un interno (1974)
L’innocente (1976)

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L avoro sul testo
Morte a Venezia
Organizza con i compagni di classe e l’insegnante la visione del film Morte a Venezia (1971), ispi-
rato al lungo racconto omonimo di Thomas Mann, pubblicato nel 1912.
– Individua le macrosequenze principali del film e riassumile.
– Rifletti su come è costruito l’intreccio: qual è il valore dei frequenti flashback che interrompono
la vicenda principale?
– Descrivi il protagonista del film, il compositore Gustav von Aschenbach, riassumendo per punti
le caratteristiche più evidenti della sua personalità.
– Come viene connotato da Visconti l’ambiente che fa da sfondo alla vicenda? Quale impressione
trasmette? Potrebbe giustificare la definizione di “regista decadente” di cui si è parlato alle pagg.
6-7?

Durante la prima serata nel “Grand Hotel des Bains”, la sede del suo soggiorno veneziano,
Aschenbach ricorda un importante scambio di opinioni con un amico. Dalla memoria del collo-
quio affiorano alcune importanti affermazioni: l’artista è paragonato a un cacciatore che si muove
nell’oscurità, ma non è la realtà a guidarlo: La bellezza preesiste alla presunzione dell’artista… La
creazione della bellezza è un atto spirituale… L’arte è il mezzo più elevato di educazione.
Riferendoti alla concezione sacrale dell’arte di Aschenbach e a quel che hai letto sul Decadentismo,
a quali altri personaggi di opere narrative del periodo da te conosciuti può essere accostato il com-
positore tedesco e perché?

Dirk Bogarde è il musicista tedesco Gustav von Aschenbach, protagonista del film.

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Un tema molto importante nel film è quello dell’ineluttabilità della malattia, della vecchiaia e della
morte, che nell’ultima parte rende patetico e inutile il tentativo del protagonista di ringiovanire sotto
le abili cure del barbiere veneziano. Anche Proust, a conclusione della Recherche, descrive la
società degli esclusivi salotti parigini da lui sempre frequentata, ora pervasa da chiari segni di deca-
denza, che prefigurano la sua dissoluzione.
– Individua in quale modo Visconti e Proust trasmettono rispettivamente il senso della vecchiaia e
della fine imminente dei loro personaggi, ma anche della società cui appartengono.
– Il ruolo della memoria è fondamentale in entrambe le opere: perché possiamo affermare questo
a proposito di Aschenbach? Che cosa soprattutto determina il suo senso di scacco e disillusione?

Da una parte la vicenda individuale di un artista: dalla gloria del successo e dalla sicurezza degli
affetti all’amara incomprensione, all’infelice situazione esistenziale, alla malattia, alla passione
censurata per il giovane Tadzio e tuttavia tenace e perturbante; dall’altra il tramonto di un’epoca,
simbolicamente rappresentato da Visconti in una Venezia crepuscolare e ammorbata dal colera.
Relaziona, in un saggio breve, le tue riflessioni su questo rapporto tra un personaggio e un’epoca.

Leggi il lungo racconto La morte a Venezia di Thomas Mann e paragonalo alla sua versione cine-
matografica. Relaziona oralmente alla classe su ciò che ti ha maggiormente colpito nel confronto
tra le due opere.

Un’immagine del giovanissimo Björn Andresen (Tadzio) sulla spiaggia del Lido di Venezia.

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Il Gattopardo
Il romanzo che Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrive negli ultimi anni della sua vita esplode postumo
come uno dei massimi successi e casi letterari del dopoguerra. Non appena legge il romanzo di Tomasi
di Lampedusa, Visconti, apprezzandone il vitale intrecciarsi di vita interiore e vita sociale, decide di
trarne un film.
Nel romanzo, così come nella versione cinematografica, la tradizione legata al realismo si unisce ad
una più cupa e misteriosa vena decadente. Dietro alla realtà, descritta e rappresentata minuziosa-
mente in ogni dettaglio, traspare una profonda introspezione psicologica. I cerimoniali del protago-
nista don Fabrizio di Salina descritti da Visconti, la preghiera, la vestizione, la caccia, il pranzo e il
ballo, non si esauriscono mai nella pura illustrazione, ma alludono sempre ad un significato meno
apparente; suggeriscono ai protagonisti il loro essere effimero, sfuggevole e precario, la loro fine
imminente. Tutto, nel romanzo e nel film, converge nello struggente ritratto della fine del principe don
Fabrizio, che è il vero tema dominante del film. Il suo culmine è nel ballo, posto a fine della vicen-
da e dilatato da Visconti sino ad occupare un terzo dell’opera. Tra lo sfarzo esteriore il regista inseri-
sce quegli aspetti luttuosi di cui Tomasi di Lampedusa ha intessuto tutto il romanzo. La spettacolarità
della festa diventa contemplazione interiore. In quell’illusoria vitalità, don Fabrizio presagisce la fine
imminente non solo della vecchia aristocrazia in declino di cui egli peraltro fa parte, ma della sua
stessa vita. Durante il ballo l’introspezione del protagonista si tinge di tinte ancor più cupe.
Corteggiando la morte egli contempla il quadro di Greuze La morte del Giusto presagendo la propria.
Quando la festa volge al termine, Visconti riprende il principe mentre si osserva nello specchio. La
musica, un inedito valzer di Verdi, tace per un istante; con un lungo primo piano, la macchina da
presa si arresta sull’immagine riflessa, per poi soffermarsi in controcampo sullo stesso volto in lacri-
me. Don Fabrizio, anche se circondato dalla festa e dai suoi partecipanti, è solo con il proprio io
come a compiacersi di un pensiero di morte che lo rende così vivo. Visconti rende meravigliosamen-
te l’intuizione di morte del protagonista, esaltando la sua solitudine nella affollata vanità mondana.
Con il gioco degli specchi, il ricorso alle lacrime e quel gusto melodrammatico tipici del suo stile, il
regista interrompe il romanzo al suo culmine lirico. Quel don Fabrizio principe di Salina che nel
romanzo incontrerà la morte, è nella versione cinematografica un uomo che tra le rovine di case
diroccate si allontana per poi sparire nel buio.

Don Fabrizio di Salina (Burt Lancaster) si guarda nello specchio, nel quale la macchina da presa fa riflettere
il giovane nipote Tancredi (Alain Delon).

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In alcune sequenze del film, Visconti utilizza delle tecniche particolari, come ad esempio il primo piano
e il primissimo piano che inquadra il volto dei personaggi, ottenendo quasi un effetto di fermo immagine.
Soffermati sulla scena del ballo, in particolare sul momento in cui il protagonista don Fabrizio,
allontanatosi dalla sala, si apparta in uno studiolo dove la vista del quadro La morte del Giusto lo
fa meditare sulla propria vita, sullo scorrere inesorabile del tempo, e quindi sulla propria morte.
Presta attenzione ai lunghi primi e primissimi piani che immobilizzano il volto del protagonista.
Che cosa ha cercato di suggerire Visconti con tali tecniche, quale aspetto della personalità di don
Fabrizio ha voluto evidenziare?

Rintraccia nel film altre sequenze in cui il regista si è servito di tecniche analoghe (primi e primis-
simi piani), analizzando in particolare le due sequenze, una iniziale, l’altra durante il ballo, in cui
i personaggi si guardano allo specchio. Che cosa Visconti ci vuole far vedere? Quale aspetto del
personaggio vuole sottolineare?

Visconti realista e Visconti decadente. Trova nel romanzo e nel film, in particolare durante la scena
del ballo, elementi per ognuno dei due aspetti con cui si definisce la poetica del regista. Pensa
soprattutto al modo in cui il regista rappresenta il palazzo di Ponteleone, gli abiti, il banchetto, la
società in generale e all’attenzione data anche all’interiorità e alla psicologia dei personaggi, al
senso del tempo e della morte.

In quali scene, secondo il tipico gusto decadente, l’interiorità del personaggio si riflette sul paesag-
gio circostante inteso anche come ambiente interno?

Il protagonista del film, don Fabrizio di Salina, per la scelta di vita e di pensiero potrebbe essere
accostato ad un eroe pascoliano? Pensa alla sua introspezione, a quella tendenza a guardarsi den-
tro, alla nostalgia del tempo che è passato e che corre verso la morte, al sottile pessimismo verso la
società contemporanea cercando di rintracciare analogie e differenze.
Per quali aspetti potrebbe invece essere accostato ad un eroe dannunziano? Pensa al suo vitalismo
e attivismo, al suo modo di reagire e di rapportarsi con la società.

L’invito al ballo strappa il Principe alla pensosa contemplazione di una copia della Morte del Giusto
di Greuze.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Visconti e il DecaDentismo 11


LETTERATURA E CINEMA

Visconti e le arti figurative


Oltre ai riferimenti alle opere letterarie di
cui si è parlato, nella produzione cine-
matografica di Visconti si possono rin-
tracciare evidenti ed espliciti legami con
il mondo delle arti figurative. Nel suo lin-
guaggio cinematografico Visconti recu-
pera e fa propria la dimensione unitaria
dell’arte che è una delle lezioni più rivo-
luzionarie annunciate da Simbolismo e
Decadentismo e proclamate esplicita-
mente dalle Avanguardie del primo
Novecento.
Nei film di Visconti abbondano le sugge-
stioni pittoriche, le analogie, i richiami
soprattutto alla cultura figurativa italiana
dell’Ottocento, all’Impressionismo fran-
cese e al mondo artistico mitteleuropeo.
Ne sono esempio le immagini riprodotte.

Nel film Senso (1954) la ricostruzione


della stanza in cui Livia si reca a cer-
care l’amante Franz Mahler, un uffi-
ciale austriaco, ha per modello la
cosiddetta Toeletta del mattino di
Telemaco Signorini (1835-1901), per-
sonalità preminente del gruppo dei
Macchiaioli. La scena del bacio tra
Livia e l’ufficiale è ispirata invece al
celebre Bacio di Francesco Hayez
(1791-1882), del quale Visconti ripro-
pone fedelmente l’abbraccio avvol-
gente dei due amanti.

12 Visconti e il DecaDentismo © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


LETTERATURA E CINEMA
Ne Il Gattopardo, nella celebre
macrosequenza del ballo, non può
sfuggire il parallelo tra il fotogram-
ma riprodotto e il dipinto
L’imperatrice Eugenia e le sue
damigelle, del tedesco Franz Xaver
Winterhalter (1805-1873). Nella
sequenza conclusiva dello stesso
film, Visconti rende inoltre omaggio
al suo musicista prediletto,
Giuseppe Verdi, ispirandosi al ritrat-
to dell’artista realizzato da
Giovanni Boldini (1842-1931) nella
rappresentazione del principe di
Salina all’uscita del ballo.

Oltre che ispirarsi agli artisti indica-


ti, Visconti frequenta a Parigi
Braque, Dalí, Picasso, Matisse; si
avvale sul set della collaborazione
di Dalí e Renato Guttuso ed espri-
me la sua ammirazione, tra gli altri,
per Giorgio Morandi e Giovanni
Fattori. Che tipo di visione estetica
presuppone questo legame tanto
stretto tra linguaggi così diversi
come il cinema, la letteratura e le
arti visive?

Qual è il rapporto con le arti figura-


tive (ma pensa anche alla musica)
di Simbolismo e Decadentismo?

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Visconti e il DecaDentismo 13

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