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ANTICA LIBRERIA DEI MERCANTI

Siamo aperti a Torino dal 1666.

Un racconto di Ugo Pennacino Torino, Italy 2019.


Quando chiudeva gli occhi, si destava sempre nello stesso posto. Una distesa buia senza suoni.
Nella più fitta oscurità, nessun respiro usciva dalla bocca aperta. Nessun movimento dalla sua
spoglia gelida ed inerte. Nero su nero senza ombre a distinguere le forme. Solo una corrente di
vento quasi gelida, a tratti dava la sensazione di un corpo. Nel buio più fitto il ricordo della
luce, assopita per sempre. Nella corrente d’aria un fruscio indistinto di molte voci. Voci dal
passato, con il loro bisbiglio, attraversavano la mente come una corrente di cristalli di
ghiaccio. Nessuna parola percettibile nel fruscio, nessun movimento nella tenebra più fitta.
Solo il bisbiglio sorgeva a tratti dall’oscurità e non ti lasciava mai solo. La solitudine sarebbe
stata benedetta nella distesa buia senza suoni. Nell’oscurità attraversata dal bisbiglio. Nella
corrente d’aria di cristalli impalpabili di ghiaccio, un dolore attraversava la mente. Degli urti
dolorosi con qualcosa o forse con qualcuno, come fitte provocate dalla punta di una lama,
impedivano il riposo. Nella più profonda oscurità il bisbiglio strisciava senza pietà come un
predatore e non ti lasciava mai solo. Sempre vigile e guardingo. In attesa di un nuovo urto
ancora più doloroso del precedente. Nel buio e tra i bisbigli, il nero appariva più fitto come se
dei corpi riposassero nello spazio vuoto. Nessun movimento aspettando che quel nero si
rivelasse per poterlo evitare ed allontanare il dolore degli urti, riconquistando la calma ed il
riposo. Una zona morta dove tutto il passato resta imprigionato, in attesa di passare oltre e
rivedere la luce. Una nuova attitudine, un occhio nuovo sopravvive all’oscurità più fitta,
comincia a distinguere i movimenti delle forme striscianti e bisbiglianti nel buio. Nessuna
comprensione. Lamenti indistinguibili nella fascia oscura dove tutta l’energia vitale attende
un nuovo risveglio. Nessuna sensazione del tempo trascorso. Istanti senza rimembranza per
quello precedente. Frazioni di tempo confusi l’uno dagli altri. Un’attesa di dolore
inconsapevole. Nell’oscurità, bianchi filamenti nascono come sostanze ectoplasmatiche di
antica memoria. Una ragnatela di sensazioni, nel buio terrore della solitudine e tra il bisbiglio
che sale di intensità si distingue una figura. Lentamente nella luminosità dei filamenti si
compone una corposità di luce opaca. Non risplende nel buio. Cresce lentamente nel battito di
un cuore che non è di questo mondo. Cresce con il bisbiglio, nel vento gelido dei cristalli di
ghiaccio, prendendo forma in uno scheletro lattiginoso. Nell’oscurità debolmente rischiarata
da questa forma di vita, esistono i nostri ricordi in attesa di passare oltre. Di raggiungere un
nuovo splendore, dimenticando l’orrore dell’attesa. Il sibilo dei morenti. La sagoma lattiginosa
degli elementali, si compone in disegni scheletrici di materia senza luce. Sostanze opache e
forse putrescenti, ricordano i corpi abbandonati dai nostri cari nella terra dei cimiteri.
Nell’oscurità più fitta, nella più completa solitudine, si rimane in attesa un tempo
incalcolabile ed infinito. Frammenti di ricordi. Solo gli urti con le sagome lattiginose degli
elementali nate dall’energia residua dei corpi in disfacimento. Ragnatele bianche si
compongono spettrali per poi decomporsi e tornare oscurità. Nessun movimento.
Una sensazione impercettibile di nero su nero come un’assemblea di corpi. Solo il bisbiglio
sorgeva a tratti nell’oscurità più fitta. Finalmente il silenzio. Poi l’angoscia e la solitudine.
La paura di non essere più in quella prigione senza luce. Non più corpo e dimensione.
Non più sguardi ed identità. Solo l’attesa che nasca il chiarore di un lume e la speranza in una
nuova esistenza, per rivivere nell’oltre che è vivo e pulsa nel riposo e nella quiete.

Antica Libreria dei Mercanti

Dottor Umberto Stramonio

Investigatore dell‘Occulto
Alle prime luci dell’alba, come sempre, il dottor Stramonio si era svegliato dal suo sonno pieno
di incubi. Tutte le volte quando si addormentava, finiva nello stesso posto. Il luogo buio ed
oscuro che accoglie tutte le salme dopo la loro dipartita dal mondo dei vivi. Ogni mattino
apriva gli occhi felice, poteva godere del piacere fisico di toccare le cose e di guardare di
nuovo. Ringraziava l’onnipotente o qualunque forza della natura gli avesse concesso di
risorgere in un risveglio. Abitava al primo dei tre piani che costituivano il locale di sua
proprietà situato al numero tre di via dei Mercanti a Torino. Interno cortile. Protetto da un
pesante portone il grazioso giardino separato a destra per chi entrava, da un vialetto di una
decina di metri dove fiorivano cespugli di ortensie ed orchidee ed il poderoso salice piangente
nato in quel luogo da prima che i suoi antenati decidessero di acquistare la proprietà.
La famiglia Stramonio era originaria di Venezia. Tutti consumati commercianti che con
l’avvento della stampa avevano intrapreso quella lucrosa attività. In origine non solo
producevano la carta, ma stampavano in proprio e commerciavano con l’estero. La Fiera di
Francoforte era il territorio ideale per i loro traffici e le opere considerate proibite ed invise
all’autorità della curia pontificia, risultavano le più richieste e sulle quali si potevano
guadagnare molti denari. Il Papa Paolo III il 21 luglio 1542 con la bolla Lucet ab Initio e
l’Inquisizione romana, ordinarono per decreto, l’imprimatur, l’autorizzazione ecclesiastica alla
stampa, mentre il Principe rilasciava una licenza siglata “ con licenza de’ superiori”.
Ispezioni periodiche a librerie e biblioteche, venivano effettuate dagli inquisitori domenicani,
di concerto con le autorità locali. Nel 1549 sulla base di un accordo tra Inquisizione, Nunzio
apostolico e Savi dell’Eresia, la magistratura venne incaricata dalla Repubblica di Venezia di
vigilare sull’operato del Sant’Uffizio a causa delle lamentele dei librai e del Senato, evitando
agli Stramonio il fallimento per i magazzini pieni di merce priva dell’ imprimatur ecclesiastico.
Nel 1559 Paolo IV inquisitore generale, introdusse l’indice paolino, che restò immutato sino a
meta del XVII secolo. L’indice era strutturato in tre categorie: autori non cattolici dei quali si
proibivano le opere anche quelle che non trattavano di religione. Un gruppo di 126 titoli
relativi a 117 autori e 322 titoli anonimi. Due liste aggiuntive, una di 45 Bibbie e Nuovi
Testamenti vietati e una di 61 tipografi la cui produzione era da intendersi al bando. Nella
terza classe Libri Omnes, intere categorie di libri di stampatori eretici e testi di magia.
La Congregazione dell’Indice nel 1616 e nel 1681 abbandonò la suddivisione in classi e dispose
la lista dei libri da proibire in ordine alfabetico e sotto il lemma Libri Omnes et Quicunque
Libelli, le opere magiche ed astrologiche, giansenismo, eliocentrismo e misticismo, che
facevano ingrassare commercianti poco ortodossi come gli Stramonio. I manuali ad uso degli
inquisitori sino al XVIII secolo continuavano a considerare sospetti di eresia, tutti quelli che
possedevano, scrivevano, leggevano o davano ad altri da leggere, libri proibiti nell’indice e
negli altri editti particolari, come repertori di negromanzia, antichi formulari della tradizione
medievale ed il famigerato Clavicula Salomonis. I librai per poter vendere avevano l’obbligo
dell’imprimatur della Chiesa e visite dei funzionari ecclesiastici diventarono la norma per i
commercianti, facendo fuggire gli Stramonio da Venezia accusati di eresia. Negli anni
Ottanta del Cinquecento, la Compagnia della stampa che attraverso la tipografia
Bevilacqua, aveva goduto di fatto del monopolio del mercato editoriale torinese, era stata
messa in crisi dalla lotta mossa contro i suoi privilegi, dai librai e stampatori della capitale,
forti dell’attivo sostegno del Municipio. A essere scossa fu la politica di controllo diretto sulla
produzione intellettuale del Ducato, così come progettata da Emanuele Filiberto. Con gli anni
Novanta Carlo Emanuele I, che non intendeva rinunciare ad esercitare tale controllo, fu
costretto a elaborare una nuova strategia d’azione, dividendo le funzioni ricoperte dalla
tipografia Bevilacqua. Da un lato conferì al veneziano Alvise (Aluigi) Pizzamiglio parente
degli Stramonio, il titolo di «stampatore ducale» autorizzandone sino alla morte, avvenuta
nel 1626, non solo editti o altri simili atti pubblici, ma anche relazioni di trattati, avvenimenti e
feste di corte, opere politiche a sostegno della politica ducale. Dall’altro nel 1619, le Nuove
costituzioni di Carlo Emanuele I, convenzionavano il libraio Giovan Domenico Tarino (ca.
1550 - 1615), concedendogli privilegi simili a quelli riconosciuti nel 1573 al Bevilacqua,
ponendo la sua impresa in una condizione unica rispetto alle altre. In virtù dell’appoggio
ducale e dell’abile conduzione di Giovan Domenico, la bottega Tarino fu la principale impresa
editoriale torinese della prima metà del Seicento. Originario di Trino, dove il padre Giovanni
era mercante di strazze, stracci per la fabbricazione della carta, Giovan Domenico Tarino,
risulta a Torino almeno dagli anni Settanta del Cinquecento, quando vi aprì una bottega da
libraio. Anche se dal 1579 garantiva la pubblicazione di alcune opere, per tutti gli anni
Ottanta la sua attività principale fu ancora il commercio di strazze. Proprietario di diversi
battitori a Caselle, aveva infatti costituito, insieme ad altri soci tra cui gli Stramonio, una
Compagnia della carta per rifornire quella della stampa. Alla metà degli anni Novanta,
quando Tarino operava nella capitale da quasi vent’anni, i tempi furono maturi per un salto di
qualità. Nel 1594 Bevilacqua fu estromesso dall’officina e dalla compagnia.
Contemporaneamente Tarino ottenne sia il privilegio di stampa degli ordini ed editti civili e
criminali per almeno quindici anni. Quando l’anno successivo il duca gli concesse anche
l’esenzione dalla dogana, Tarino disponeva ormai di tutti i principali privilegi che erano stati
del Bevilacqua. Nel 1595 Tarino iniziò la propria attività di stampatore. Nel 1611 la morte di
Annibale Zerbino, tesoriere dal 1600, permise a Giovan Domenico Tarino, escluso
dall’amministrazione diretta dell’accensa delle strazze, di garantirsi il controllo di un ufficio
che avrebbe disposto in futuro di gran parte del ricavato di tale mestiere. Nel febbraio del
1612, Tarino riuscì a ottenere dall’amministrazione del Provana l’appalto, garantendosi il
controllo totale della gabella. Dalla riscossione, fino agli stipendi dei lettori dello Studio, il
referente principale dell’editoria torinese non solo per il pubblico degli studenti
dell’Università, ma anche per gli autori, spesso lettori nelle sue aule. Il possesso della carica di
tesoriere poneva nelle mani dei Tarino un importante strumento di pressione. Il sistema di
potere creato con il sostegno della corte gli permise inoltre di ottenere la cittadinanza torinese
e di entrare quasi subito a far parte del ceto dirigente della capitale. Nella figura di Giovan
Domenico Tarino si erano riunite tutte le competenze di chi operava nel mondo librario nei
primi secoli dell’età moderna. Cartario, libraio, stampatore ed editore. Gli interessi di questa
famiglia, toccavano non solo i principali centri dell’editoria italiana Milano, Venezia, Roma,
Napoli, Cremona e Piacenza, ma anche europei. Al principio degli anni Venti del Seicento i
Tarino erano quindi i principali stampatori, librai ed editori dell’intero Stato sabaudo.
Il monopolio non mancò di suscitare la reazione degli altri librai e stampatori torinesi, fra il
1621 e 1623 in occasione della costituzione della Compagnia della Concordia di cui facevano
parte gli Stramonio che non possedevano torchi da stampa e non svolgevano neppure funzioni
editoriali, limitando il proprio campo d’azione al commercio librario con l’estero come agenti e
rappresentanti. Soltanto nel 1666 avevano ottenuto con fatica la licenza di librai ed aperto
l’attuale sede a Torino. Al piano terra c’era il negozio di libri ristrutturato più volte nel corso
dei secoli e che ora assomigliava, per risultare gradito al pubblico internazionale, ad un book
shop inglese. Il sotterraneo di un centinaio di metri quadrati ed il locale dove Stramonio
dormiva e viveva da solo, conservavano gli arredi polverosi ma di pregio della sua infanzia,
quando giocava a nascondino con il nonno dissimulandosi tra le pile dei libri o dietro gli
scaffali dei volumi antichi. Al risveglio mattutino, guardava dall’unica finestra giù nel
cortile, il suo giardino privato celato al grande pubblico fino a quando alle nove avrebbe
aperto e concesso l’ingresso ai suoi tesori e sarebbe cessata la sua privacy. Il salice piangente
ancorato al terreno erboso ben curato, svettava come la polena di una nave, un amico fraterno
e rassicurante che non lo faceva sentire mai solo. Seduto allo scrittoio in compagnia del teschio
di Yorick, buffone di corte in Amleto, una fedele riproduzione in resina, guardava sconfortato
il contenuto del cassetto dove aveva nascosto dopo averli fatti stampare, il centinaio di
biglietti da visita che lo qualificavano investigatore dell’occulto. Poi la paura del ridicolo ed il
buon senso di ormai quarantenne, li avevano lasciati nella scatola ed evitato gli sguardi
straniti di un possibile interlocutore che avrebbe sicuramente chiamato l’ufficio di Igiene
Pubblica per farlo internare. Nel cassetto sonnecchiava anche il suo revolver Walther T4E
Hdr 50 caricato a proiettili di gomma. Un ladro di libri, andava dissuaso per legittima difesa,
con una costola rotta dall’impatto di un materiale inoffensivo, piuttosto di vederlo una volta
morto, vagare per sempre tra gli scaffali della libreria. Quello era il suo problema e la sua
qualità. Il motivo e la ragione per cui aveva stampato i biglietti da visita e conseguito una
laurea triennale presso l’università Arcadia di Lecce, fregiandosi del titolo fumoso di dottore
in Scienze Esoteriche. Poteva vedere in un mondo nascosto di morti ed entità demoniache
risuonanti nella frequenza di Schumann che modifica i parametri percettivi influenzando il
cervello umano. Dopo essersi lavato ed ammirata allo specchio la sua figura di piacente
quarantenne, era andato in cucina al primo piano, per sorbirsi il caffè mattutino. Un rito al
quale non avrebbe rinunciato neanche per un lingotto d’oro e a mangiare con avidità gli
Scottish all butter, Shortbread Fingers di cui era ghiotto. Come al solito seduto in cucina sulla
vecchia sedia di legno, c’era suo padre deceduto ormai da una decina di anni. Non si decideva
ad abbandonare la forma eterica per ascendere alla sfera superiore della dimensione astrale
dove avrebbe risuonato su altre frequenze indecifrabili per il figlio Umberto Stramonio,
lasciandolo definitivamente in pace nella solitudine della libreria, diventata finalmente di
sua proprietà. I morti non si manifestavano come nei telefilm da quattro soldi che affollano i
canali televisivi con serie ripetute in maniera ossessiva fino a quando per la disperazione,
portavi il televisore ed il decoder vicino al cassonetto dei rifiuti.
Erano immagini bidimensionali che apparivano e sparivano allo sguardo, simili a fogli di carta
velina scossi dal vento. Per poter interagire con loro doveva utilizzare il registratore digitale.
Stramonio con suo padre non aveva mai parlato molto da vivo, ma sopratutto adesso nella sua
forma eterica. La libreria era diventata di sua proprietà ed il vecchio doveva farsene una
ragione e sparire per sempre. Mentre sorseggiava il caffè amaro, lo guardava sparire e
riapparire tra la sedia preferita e la finestra, ammirando nel cortile, il salice piangente ed il
giardino ben curato. Perennemente scontento da vivo, la morte non lo aveva cambiato.
Stramonio lo ignorò come sempre. Tornò nella stanza da letto ed iniziò a scegliere un vestito
adatto nella sua collezione. L’armadio era ben fornito di giacche di buon taglio acquistate dal
sarto Algozzini in via Barbaroux. Vestire con uno stile classico gli consentiva di non dover
apportare modifiche al guardaroba per tenersi alla moda. Detestava i cambiamenti. Giacca
grigia con le toppe di pelle. Pantaloni neri in fresco lana e le scarpe classiche in vera pelle
lavorata a mano. Una cravatta Oxford sulla camicia bianca e poteva iniziare la giornata dopo
un controllo accurato del locale che tutte le sere puliva personalmente per eludere la
presenza molesta delle donne delle pulizie. Certi lavori era meglio farseli da soli! I libri sono
sacri. Il negozio del piano terra odorava di pulito. I pavimenti in legno incerati senza esagerare,
evitando così il contenzioso con un avvocato, per lo scivolone di qualche cliente distratto.
Il locale era perfettamente in ordine e pronto per l’apertura. Solo una presenza si rivelava fuori
posto : un topo di dimensioni ragguardevoli faceva capolino dalla porta lasciata aperta del
sotterraneo dove custodiva le collezioni rare e preziose, la sua principale fonte di
sostentamento. Dare una semplice spazzata ai pavimenti in pietra non era stato sufficiente.
Con il tempo aveva trascurato un igiene approfondita. Il topo andava eliminato con
discrezione ed in maniera radicale evitando che le sue zanne aguzze ghermissero le copertine
pregiate dei capolavori custoditi con cura dai suoi avi. L’animale aveva un’aria seria e
risoluta , sicuramente la vedetta di un esercito di roditori affamati. Una moltitudine di esseri
abominevoli si sarebbe cibata della sua preziosa collezione. Il giorno seguente era il primo di
luglio. Forse dopo molto tempo poteva prendersi una piccola pausa e consentire, anche se con
notevole sofferenza, che degli estranei per una accurata disinfestazione, entrassero e
provvedessero allo sterminio di quelle malefiche creature.
Stramonio non possedeva uno smartphone. Internet funzionava solo al piano terra per i clienti.
Il telefono era a linea fissa rigorosamente Telecom. I cambiamenti lo terrorizzavano.
Per comunicare avrebbe utilizzato volentieri, un messo comunale. Guardò sulle Pagine Gialle,
assottigliate anno dopo anno per lo strapotere di Internet, cercando una società di
disinfestazione. La signorina al telefono era molto educata anche se masticava biascicando
una gomma. Il tecnico sarebbe passato in libreria già dalle nove perché il primo
appuntamento era nel pomeriggio. Aveva avuto fortuna! I topi sarebbero morti senza soffrire
invece di restare intrappolati in qualche tagliola assolutamente disumana. Ma o loro o i libri!
Mentre aspettava l’arrivo dello sterminatore, si mise a fare un controllo sulla contabilità
gestita personalmente per non dover pagare una segretaria o un contabile o comunque
chiunque avrebbe potuto turbare la sua privacy. Effettivamente l’idea che un forestiero o una
squadra di lanzichenecchi entrasse nel sotterraneo e nel suo mondo lo spaventava abbastanza.
Suo padre era sceso dalla cucina e vagava per la libreria con il solito sguardo di
disapprovazione. Purtroppo le polveri per i topi non sarebbero riuscite a farlo sparire con gli
altri visitatori indesiderati. Il sole era già bello caldo ed attraversava i rami del salice
piangente asciugando l’erba bagnata dagli spruzzatori automatici. Iniziavano il loro lavoro già
dalle cinque del mattino, consentendo al prato di crescere rigoglioso. Naturalmente il
giardino lo curava personalmente perché nessun estraneo potasse incautamente i cespugli di
rose bianche e le sue orchidee profumate. Aprì il pesante portone su via dei Mercanti al
numero 3. I negozi a fianco, quello di tipolitografia e l’antiquario di stampe antiche erano
ancora chiusi. Sulla via si annusava il buon odore del pane fresco dell’ottimo artigiano il signor
Luciano. Lavorava con profitto creando dei veri e propri capolavori che incantavano il palato
esigente del dottor Stramonio. Alle nove con una puntualità inaudita, lo sterminatore di
creature demoniache, i topi, era entrato dal portone e stava attraversando il giardino privato
camminando sulla ghiaia verso le vetrine della libreria. Il tipo era giovane con una cascata di
capelli biondi, indossava una tuta da lavoro abbellita dall’insegna della società, marchiata sul
tessuto. Dall’aria pulita ed affabile. Dava l’impressione di sapere il fatto suo. Il giovane biondo
di nome Pietro era il titolare della ditta di disinfestazione e la sua ragazza al telefono aveva
preso l’appuntamento. Erano anni che esercitava quella professione imparata dal padre
deceduto da pochi mesi. Stramonio gli fece le sue condoglianze augurandosi che il defunto
genitore avesse avuto il buon gusto di seguire la sua salma al cimitero e non fosse rimasto ad
infestare il negozio. Il giovane sterminatore fece una ispezione scrupolosa dei locali e diede poi
un parere tecnico da farlo impallidire. Il negozio andava disinfestato radicalmente e per
sicurezza era opportuno che lui andasse ad abitare da un’altra parte per qualche giorno in
modo da evitare di respirare il veleno mortale per gli animali ma nocivo per gli esseri umani.
Stramonio doveva andarsene da casa. Uscire dal tempio sacro per recarsi in quale luogo?
Erano i clienti che venivano in libreria. Non effettuava visite a domicilio e la spesa la faceva
nel quartiere e lasciava la sua proprietà al massimo un paio d’ore. Doversi trasferire per
qualche giorno era un tempo incalcolabile. Cominciò a sudare freddo. Non c’erano altre
soluzioni. Non era possibile disinfestare un piano per volta in modo da traslocare da una stanza
all’altra? Il giovane lo aveva guardato come se fosse pazzo. Fra un paio di giorni poteva tornare
e riprendere la vita di sempre e questa volta senza la compagnia fuori orario di altri esseri
viventi. Stramonio si accorse di quanto risultasse ridicolo ed al limite della patologia
psichiatrica. Fece un bel respiro e gli chiese quando avrebbe iniziato il lavoro. Sarebbe tornato
con un collega verso le dieci e terminata la procedura di disinfestazione nel pomeriggio.
Poteva lasciargli le chiavi e stare sicuro che nessun insetto molesto e tanto meno dei topi
sarebbero sopravvissuti. Doveva lasciargli le chiavi del suo Santuario?! E dove sarebbe andato
a dormire? Rispose con un fremito al giovane Pietro di tornare all’ora convenuta e che lui si
sarebbe arrangiato. Lo salutò con una punta di disperazione nella voce e dopo aver chiusa la
porta, mise sulla maniglia il cartello di chiusura apprestandosi a fare i bagagli. Bisognava
traslocare in un albergo per un paio di giorni. Effettivamente restare in Libreria con tutta
quella polvere era sicuramente pericoloso e l’idea di finire in un ospedale tra i malati e quelli
che vi erano morti occupando ancora le corsie, lo infastidiva non poco. Salito al piano
superiore riempì con qualche indumento e il necessario per la toeletta la sua borsa marrone di
tela con i manici in pelle ed iniziò a chiudere a chiave tutti gli armadi ed i cassetti per evitare
la sparizione di carte e documenti di valore. Nel sotterraneo i libri di pregio riposavano sugli
scaffali da centinaia di anni e sarebbero stati abbandonati alla loro solitudine solo per
qualche giorno. Non voleva trasferirsi troppo distante dalla libreria così telefonò all’albergo
Orchidea molto economico con solo una stella nelle sue referenze. Non aveva mai soggiornato
in una pensione, tanto meno di così bassa qualifica. L’unico vantaggio era che l’albergo si
trovava poco distante al numero 16 di via dei Mercanti. Alle dieci e trenta il giovane Pietro
tornò con il suo aiutante per fare il lavoro e quando Stramonio si apprestava a lasciare la
libreria aveva visto il padre morto, guardarlo affranto da una delle vetrine del piano terra.

Il numero 16 di via dei Mercanti garantiva un servizio di portierato affidato ad una anziana
pensionata gentilissima che lo aveva accolto con calore e cortesia ma quando le chiese
informazioni dettagliate sull’Albergo Orchidea gli aveva consigliato di cercare altrove.
Era una specie di casa dello studente. Non lo si poteva definire un bed&breakast perché la
titolare non serviva la colazione, ed era frequentato da giovani virgulti per sfogare sulle loro
compagne, il testosterone represso. Il dottor Stramonio gli spiegò che era l’unico albergo vicino
alla sua libreria. Doveva abbandonare la proprietà per un motivo di igiene non dovuto alla
sua pulizia ma alla presenza di creature moleste che sarebbero state sterminate senza pietà. Si
sarebbe trattato solo di un paio di giorni. La portiera fece un grosso sospiro e gli indicò con un
gesto la scala. C’era anche un ascensore ma guasto da tempo. Stramonio si inerpicò per la scala
dai gradini perfettamente puliti, superando i numerosi vasi di fiori che adornavano la sua
salita verso una destinazione senz’altro da dimenticare. Al terzo piano una insegna in ottone
qualificava la pensione con una stella gettandolo nuovamente nello sconforto. Dove era
capitato? Due giorni passavano presto. Suonò il campanello che risultò muto. Forse funzionava
ad ultrasuoni e la padrona di casa faceva parte della razza dei licantropi e quindi del genere
canino sintonizzata su frequenze indistinguibili da un essere umano. Restò un periodo
incalcolabile dietro la porta a vetri con l’insegna dell’albergo, fissando disperato i vasi di
piante grasse addormentate sul pianerottolo. Non necessitavano di eccessiva cura. Venivano
alimentate da un innaffiatoio sporadicamente e quindi abbandonate alla loro sorte dalla
padrona di casa. Dopo alcuni minuti la porta venne aperta da una giovane ragazza bionda coi
capelli sciolti e scarmigliati come se si fosse appena alzata. Due bellissimi occhi azzurri ed un
sorriso troppo accattivante per non nascondere un intelligenza pericolosa per qualunque
uomo che fosse caduto nelle sue grinfie. Un accento straniero ricordava il dialetto di qualche
sperduto villaggio dell’ucraina. Gli chiese cosa volesse. Indossava un vestaglione bianco
sporco simile a quelli indossati dagli arabi nel loro paese e quindi a Torino fuori luogo, e
deambulava a piedi nudi. Si vedeva che il parquet di legno di tutta la pensione non aveva
ancora visto uno straccio umido per liberare tutte le superfici da una polvere insistente.
Stramonio si presentò come cliente. Aveva prenotato una stanza per un paio di notti ed
avrebbe gradito conoscere la sua sistemazione. La giovane cambiò subito espressione e gli
disse che c’erano diverse camere libere e poteva scegliere. Solo una aveva il bagno altrimenti
poteva utilizzare quello esterno. A Stramonio l’idea di doversi alzare nel cuore della notte e di
vagare alla ricerca di una toilette lo rendeva inquieto, quindi optò per l’unica camera ancora
libera dotata di un privilegio al quale non voleva rinunciare. Una stanza con il bagno gli
permetteva una discreta indipendenza senza dover incontrare gli ospiti di quello che più che
un albergo, ricordava una comune degli anni ‘70. La stanza era spaziosa con un letto
chiaramente a due piazze per un vivace intrattenimento notturno, sottolineato dal copriletto
rosso come colore della passione. La ragazza sospesa come un fenicottero, gli indicò con il
piede nudo la porta del bagno poi con un sorriso accattivante gli consegnò la chiave. Poteva
disfare i bagagli e sistemare le sue cose. La padrona di casa sarebbe arrivata presto per ritirare
il suo documento ed il pagamento anticipato della stanza. Una richiesta singolare per l’onestà
di Stramonio ma probabilmente le giovani coppiette dopo aver consumato il rapporto carnale
fuggivano senza pagare il conto. Stramonio disfò i bagagli occupando un solo cassetto. Mobili
dozzinali comprati all’Ikea ed il pavimento in legno scricchiolava fastidioso. Il bagno era
igienico e la doccia nonostante la tenda presentasse una colonia di funghi proliferata grazie
all’umidità, decorosamente pulita. Terminata la sistemazione si diresse nella sala comune
sedendo vicino ad un pianoforte in attesa che la padrona di casa lo accogliesse e ritirasse il
pagamento del soggiorno. Le porte delle stanze erano tutte di un legno leggero e la parola
insonorizzare, sconosciuta alla proprietaria. Alcuni giovani in mutande uscirono da una
camera e si diressero al bagno esterno per una doccia. Erano quasi le undici del mattino. Ma
non studiavano? Non lavoravano? Una ragazza dai capelli bagnati aveva dimenticato il
reggiseno su uno dei divani la sera prima ed era uscita dalla camera senza maglietta per
recuperarlo. Stramonio trasecolò inorridito. Soggiornava in un lupanare ! La padrona di casa
arrivò poco dopo e l’accolse con un sorriso. Era molto contenta della sua sistemazione e stupita
che alla sua età viaggiasse da solo senza compagnia. Sottolineò questa espressione con un
sorriso malizioso. Forse la sua compagna lo avrebbe raggiunto ed invece di una singola
anelava ad una doppia? Lui era solo e non desiderava compagnia. Voleva esclusivamente
pagare il suo soggiorno e ritirasi. Quella donna lo metteva a disagio. Per chi lo aveva
scambiato. Faceva il libraio ed i suoi migliori amici erano i classici greci e qualche curioso
libro sull’occulto che purtroppo per lui tanto occulto non era. A mezzogiorno con in tasca la
fattura del pagamento anticipato e copia delle chiavi del portone di ingresso e della stanza, si
recò al bar dei Guardiainfanti di via dei Mercanti, per mangiare un pasto decente in attesa
che la sua libreria tornasse ancora ad ospitarlo. Al caffè consumò una frittata, due uova e si
dissetò con una buona bevuta da una caraffa d’acqua resa gelida dai cubetti di ghiaccio,
sciolti rapidamente dalla calda temperatura estiva. Stramonio non mangiava carne, era quasi
vegetariano. Non essendo fondamentalista come la maggior parte della gente, se trovava
delle vaschette con l’animale già affettato da qualcun’altro, ne approfittava. Finito il pasto in
compagnia dei primi turisti del mese di Luglio, tornò all’Albergo Orchidea per il riposino
pomeridiano. Ovviamente quando era in libreria restava sveglio in attesa di possibili
avventori. Nella sala comune la ragazza bionda stava appollaiata su una delle poltrone con i
piedi nudi rivolti alla finestra, abbronzandoli ai raggi del sole pomeridiano. Leggeva un libro
di Aristofane ed in lingua greca. Curioso! Quando lo vide gli fece un bel sorriso e gli occhi
azzurri si accesero di una luce meravigliosa. Ma con Stramonio la seduzione non funzionava
troppo spaventato dall’idea di perdere il controllo.

GODEZIA “No blame, no shame” Né colpa, né vergogna.

La ragazza bionda dai bellissimi occhi azzurri, vestita di una tunica senza memoria di una
lavatrice, si presentò come Godezia. Nome inquietante. Godezia o Goezìa? Sorrise alla sua
espressione stupita. La madre chiromante l’aveva partorita quando si trovava presso la città
splendente di Damanhur. Questa comunità esoterica frutto della fantasia di Oberto Airaudi,
nasce a Vidracco, nella Val Chiusella, in provincia di Torino, con il primo insediamento
storico Damjl, la Nuova Atlantide. Godezia gli raccontò che a Damanhur il lavoro è preghiera.
Tutte le attività sono una forma di meditazione da condividere. Non esiste un momento per il
lavoro e uno per lo spirito, sarebbe come dire che nella vita ci sono momenti importanti e
momenti trascurabili. Godezia dopo le medie superate brillantemente presso la Comunità,
aveva frequentato la Scuola di Meditazione approfondendo lo studio delle tradizioni magiche
e spirituali dei popoli del passato, cercando una più ampia comprensione di come l'umanità
nel tempo abbia creato un legame fra il piano materiale e quello divino. Per mantenersi e
rendersi utile aveva lavorato nel negozio della Damanhur Crea all'interno dell’ex
stabilimento Olivetti, nel cuore di Vidracco, dove si trovano anche laboratori artistici, studi di
bioedilizia, un supermercato biologico, il laboratorio di selfica, il poliambulatorio “Crea
salute”, un centro di bellezza e massaggio, uno di fisiokinesiterapia e uno studio di medicina
naturale. Damanhur stesso è un nome egizio, una città sorta sul delta del Nilo e secondo la
tradizione, ospitava nelle epoche faraoniche una scuola segreta per la formazione di maghi e
di uomini di sapienza. La Magia viene vissuta come una legge naturale, non codificata come
quella della Scienza tradizionale. I gioielli Self che Godezia aveva imparato a confezionare,
lavorano sul campo energetico, sull’aura vitale, mantenendola in salute. Nel campo del
benessere psico-fisico l’utilizzo della selfica caratterizzata dal simbolo della spirale, non è
sostitutiva di cure mediche ma aiuta a migliorare il proprio potenziale energetico. Godezia
creava anelli con la caratteristica forma a spirale e sfregandoli aiutava la circolazione della
pelle delle mani migliorando l’emissione di biofotoni durante la scuola per Guaritrice
Spirituale. Aveva anche superato brillantemente i tre anni della formazione nel corso di
Alchimia dove insegnano a creare pozioni magiche. A Damanhur era stata battezzata con lo
pseudonimo di Cinciallegra, appellativo sostitutivo del nome imposto alla nascita dai
genitori. “La magica forza dell'acqua mi fa rinascere ed apre la mia mente ai divini Misteri. Fai
o Signore che io sia degna e pronta a ricevere questo Battesimo Liberatore” citava la formula
del rito e Godezia era diventata un adepto molto osservante delle regole di questa comunità
che considera la ricerca in campo esoterico una ragione di vita. Quando era cresciuta la sua
indipendenza, aveva abbandonato quella vita promiscua e deciso di venire a Torino per
seguire dei corsi di greco e latino perfezionando gli studi di Wicca. Non frequentava
l’università perché non aveva un diploma riconosciuto dallo Stato Italiano. Pagava in natura
le lezioni private da un anziano professore. Sentendo queste parole Stramonio era impallidito.
Si prostituiva? Godezia aveva sorriso. Al professore non interessava per il sesso. Lei era lesbica.
Gli uomini duravano troppo poco e preferiva la compagnia delle ragazze. Per pagarsi le lezioni
doveva semplicemente andare a casa del suo insegnante ed urinare nella vasca da bagno.
Stramonio aveva assunto la tinta del lenzuolo bianco appena uscito da una lavatrice. Sanctum
Regnum! Che schifo! Godezia si era messa a ridere con una serie di simpaticissime faccette
buffe e gli raccontò con dovizia di particolari, come l’anziano professore gradisse le sue
prestazioni. Gli tremavano i baffi dal piacere. Aveva comunque imparato bene il greco ed il
latino che assieme al linguaggio Sacro di Damanhur le consentivano di praticare al meglio
qualunque rito magico. Poi con un balzo si era alzata dalla sedia dirigendosi alla sua camera e
salutandolo con un sorriso. Una ragazza veramente curiosa e pittoresca. Meno male che non era
sua figlia perché sarebbe stata un vero problema. Lui non aveva figli. Le donne lo
inquietavano. Trovavano sempre il modo di farti fare quello che volevano. Era troppo gentile
ed accomodante. Non gli piaceva litigare. Non trattava mai sul prezzo. Un idraulico con lui
l’aveva sempre vinta. Se poi di sesso femminile, avrebbe capitolato senza fiatare. Era quindi
molto meglio tenerle fuori dalla porta della sua libreria se non vi si recavano per fare acquisti.
La notte all’Albergo Orchidea fu un vero incubo. Dalle pareti di carta velina si sentivano i
giovani virgulti galoppare sui letti e dalla strada il traffico della via si protrasse incessante
fino alle due di notte. Era comunque riuscito a dormire e non vedeva l’ora di rientrare nel suo
santuario libero dagli insetti nocivi. Pur troppo il disinfettante non funzionava con suo padre
che avrebbe continuato ad infestare la proprietà. Al mattino la giovane Godezia era andata a
lezione dal professore pervertito mentre lui si recava alla libreria per veder come procedessero
i lavori. Il signor Pietro custodiva le chiavi ed il portone era inaccessibile. Un cartello avvisava
l’impossibilità di valicare l’ingresso per almeno 48 ore. Stramonio doveva rassegnarsi e passare
un’altra giornata in mezzo ad altri esseri umani. La notte successiva aveva dormito molto
meglio, forse perché la coppietta della stanza accanto terminò le energie già verso mezzanotte
e con la sveglia alle sei Stramonio si era riposato a sufficienza. Il conto era stato pagato e
poteva lasciare la pensione quando voleva. Tutto contento iniziò a preparare i bagagli.
La colazione l’avrebbe consumarla al caffè in strada, dopo una bella passeggiata nel Centro
storico di Torino. Con la borsa in mano stava per lasciare l’Albergo Orchidea nel quale non
avrebbe più voluto soggiornare neanche sotto tortura, quando ebbe la malaugurata idea di
cercare la giovane damanhuriana per porgerle i suoi saluti e farle i migliori auguri per un
futuro roseo e prospero. La sua stanza era in fondo al corridoio, prima delle scale che
conducevano al piano superiore. La ragazza non era sola. Si sentiva la sua voce come se stesse
parlando con qualcuno ma non si udiva risposta. Stramonio bussò alla porta. Godezia tutta
scarmigliata e a piedi nudi, lo accolse con un sorriso. Sembrava affaticata. La salutò con
cortesia poi quando aprì la porta socchiusa, Stramonio vide con che razza di compagnia la
fanciulla si stesse intrattenendo. Un coso orribile e sbavante paralizzato in un angolo della
stanza, vicino alla finestra, era imprigionato in un cerchio. Godezia aveva un demone come
ospite. La ragazza era rimasta stupita del suo terzo occhio. Lei ne avvertiva solo la presenza.
Il demone orripilante lo fissava come una belva pronta a scattare. Da un pene enorme
fuoriusciva un liquido biancastro che sporcava tutto il parquet di legno. Godezia stava a piedi
nudi immersa in quella pozza fetida. Tanto carina quanto cretina! Si rendeva conto di cosa
avesse come ospite nella stanza? Sapeva benissimo dell’esistenza del mostro. Era stato un
rituale in linguaggio sacro a costringerlo in camera sua. "La parola della legge è Thelema",
Fa' ciò che vuoi sarà tutta la tua Legge". Aveva bisogno di soldi e non voleva fare stupidi lavori
di telemarketing per mantenersi. Il demone intanto continuava ad eiaculare sul pavimento
con la speranza di cancellare il cerchio magico. Che materiale aveva utilizzato per
imprigionarlo? Se aveva usato solo del sale era veramente nella merda. Sanctum Regnum!
Il cerchio si sarebbe estinto e la notte le avrebbe succhiato l’energia vitale fino a farla morire
di infarto. Continuava a stare a piedi nudi nella pozza. Effettivamente lei aveva notato che
nella stanza l’umidità era inspiegabilmente aumentata. Non solo cretina ma completamente
fuori di testa! Stramonio aveva perso il controllo. Una cosa inaudita per uno famoso per la sua
flemma inglese. Lei non aveva usato il sale ma del sangue di gallina nera fresco, prelevato il
giorno pari di una notte di luna crescente. Dove aveva scovato una gallina viva a Torino? In
una fattoria della campagna, si era fatta vendere l’animale da un contadino, custodendolo nel
trasportino del gatto della padrona della pensione. La notte nel cortile l’aveva uccisa
sgozzandola ed il sangue fresco conservato in una bottiglia dell’acqua minerale nel frigorifero
dell’albergo. Tanto carina quanto cretina! Con una serie di canti in linguaggio sacro, aveva
costretto il demone in quell’angolo imprigionandolo in un cerchio di sangue. Non poteva più
liberarsi se lei non lo avesse voluto. Se eiaculava senza ritegno forse era dovuto al fatto che lei
viveva nuda nella sua camera. Pure! Era proprio fuori di testa. Doveva lasciare la stanza perché
in pericolo di vita. Non sapeva dove andare. Stramonio si diresse all’armadio e lo apri.
All’interno c’erano pacchi di soldi procurati dal demone in cambio della libertà. Le fece fare i
bagagli ed in un sacco per la biancheria raccolse tutto il denaro in biglietti da cinquanta euro.
Da una delle tasche prese la fiaschetta contenente il sale e lo sparse sopra il cerchio tracciato
da Godezia con il sangue di gallina. Prima o poi il demone si sarebbe liberato ed avrebbe
smesso di infestare la stanza, ma poteva venire a cercarla ed era meglio se lui la nascondeva
nella sua libreria. Tanto carina quanto cretina! Godezia lo seguiva trotterellando sui piedi
nudi, il volto paonazzo, i capelli scarmigliati e la veste non più candida da tempo. Da lontano
sembrava che un signore rispettabile venisse importunato da una zingara questuante.
Stramonio non faceva una bella figura in sua compagnia. Godezia era veramente dispiaciuta
per l’accaduto. Era sicura di aver fatto il sortilegio correttamente e che il demone l’avrebbe
servita senza pericolo. Stramonio si era fermato ed aveva trattenuto l’impulso di darle due
ceffoni perché era contrario alla violenza e non era una sua parente. Poi l’aveva presa per un
braccio e trascinata verso la libreria riparata dal pesante portone nero. Al sicuro dagli occhi
indiscreti e protetta dal cerchio magico, tracciato mischiando al cemento ed alla malta il sale
purificatore, quando aveva fatto ristrutturare l’architrave dell’ingresso in modo da lasciare
fuori ogni possibile ospite indesiderato della più varia natura. Il signor Pietro lo aspettava in
strada per la consegna delle chiavi. Era molto soddisfatto del lavoro e della busta di denaro
ricevuta senza fattura. Gli artigiani diventano simpaticissimi quando lavorano in nero.
Stramonio lo salutò stringendogli la mano poi entrò nella proprietà trascinandosi dietro la
ragazza un tantino recalcitrante e non abituata a prendere ordini. In giardino suo padre
vagava come sempre nella sua ex proprietà dimenticandosi di essere morto ormai da dieci
anni. Anche Godezia era rimasta orfana, non aveva famigliari a parte una vecchia zia, lontana
parente, nel paese dell’est da cui proveniva. Trovava il giardino bellissimo ed entrata nel prato
a piedi nudi, aveva abbracciato il salice piangente come un vecchio amico che non rivedeva
da tanto tempo. Quell’albero antico, resisteva all’usura del tempo più di qualunque essere
umano avesse conosciuto. Dopo i convenevoli nel giardino, Stramonio aveva deciso di
sistemare la ragazza nella vecchia stanza al piano terra dove dormiva da bambino, adibita a
magazzino per i libri ancora da classificare. Era dotata di un bagno e di una doccia e Godezia
ne aveva veramente bisogno. Sistemò il bagaglio con i vestiti su un tavolo e vicino alla porta il
grosso sacco per la biancheria sporca dell’hotel Orchidea, sottratto per riempirlo con i soldi
procurati dal demone. Gli apporti delle sedute spiritiche, quegli oggetti che appaiono
improvvisamente materializzandosi dal nulla, sono i demoni a procurarli non i defunti ed in
cambio dell’energia dei presenti alla catena medianica. Tutti biglietti da cinquanta euro
nuovissimi e provenivano sicuramente dalla banca poco distante. Per un po’ di tempo la
ragazza sarebbe stata autosufficiente. Godezia era molto contenta della sistemazione e del
giardino profumato con l’erba ed i fiori. Come essere a casa. La proprietà era di Stramonio e lei
avrebbe dovuto attenersi alle sue disposizioni. La libreria riapriva il giorno seguente 3 di
Luglio 2019 e lei si trovava in una zona in cui i clienti avrebbero transitato, per cui era pregata
di essere gentile e disponibile e di non avere comportamenti bizzarri. Mentre la ragazza si
sistemava e faceva la doccia, Stramonio si recò in via dei Mercanti al numero 15, in un negozio
di articoli etnici, per procurarle un paio di sandali da indossare, evitando di sporcare il
parquet in legno con le orme dei piedi nudi. La giornata era bellissima e frotte di turisti
affollavano con il loro vagabondare i negozi di via Garibaldi. Salutò affabile il suo simpatico
vicino del negozio di stampe antiche, perdendosi con lo sguardo tra i dipinti che
impreziosivano la vetrina. Al suo ritorno trovò il portone aperto e la giovane ventiduenne
Godezia ad intrattenere una coppia coreana, interessata all’acquisto di un antico libro di
cucina italiana. Indossava una delle sue tuniche colorate, i capelli odoravano di pulito ed
aveva sul volto il sorriso per le grandi occasioni. Naturalmente passeggiava a piedi nudi ma
non aveva più quell’aspetto inquietante da simpatica zingara. Stramonio entrò nella libreria,
salutò la giovane coppia e si posizionò dietro il suo bancone porgendo il contenuto del pacco
invitandola ad indossare le nuove calzature. Si occupò personalmente dei clienti e concluse un
lucroso affare per circa 700 euro. Gli stranieri che si recavano nell’Antica Libreria dei
Mercanti, raramente cercano una lettura per trascorrere il tempo. Sapevano di poter reperire
opere molto difficili da trovare nel mercato commerciale. Quando la coppia venne
congedata, Godezia era tornata vicino alla reception ed indossava finalmente le sue scarpe
nuove. Il modello in cuoio intrecciato quasi invisibile alla vista, le piaceva molto. Però non era
come passeggiare a piedi nudi a contatto come la madre terra. Stramonio capiva le sue
esigenze ma il parquet era stato incerato e l’umidità della pelle avrebbe potuto alterarlo. La
giovane doveva adeguarsi. Le chiese come faceva a recarsi all’università dal professore
“maniaco”, l’avrebbero scambiata per una vagabonda. Godezia gli rispose che quando si
trovava in società e non a Damanhur il suo luogo d’origine dai bellissimi ricordi, indossava il
costume di scena: camicetta bianca, gonna nera e scarpe di vernice con un tacco leggero.
L’aspetto da brava ragazza l’avrebbe resa anonima assieme a tutte le altre sue coetanee e
sarebbe stato più facile per fare conquiste. Molte delle sue colleghe erano carine e raramente
riceveva un rifiuto se la ragazza agli uomini preferiva le donne. Stramonio controllò la stanza
concessa come residenza temporanea. Tutto in ordine senza demoni sbavanti in qualche angolo
o nell’armadio. Aveva anche pulito il pavimento del bagno ed appeso lo spugnone ad
asciugare. Selvaggia ma non disordinata. La stanza presentava una finestra affacciata sul
giardino e le ricordò di tirare le tende quando si trovava da sola. Qualche cliente durante il
giorno avrebbe potuto consumare delle bevande seduto sul prato e vederla magari in
atteggiamenti sconvenienti non l’avrebbe proprio gradito. Godezia voleva parlargli della
presenza percepita in libreria. Non aveva il dono della vista ma li avvertiva comunque. C’era
qualcuno che la seguiva e le soffiava sul collo da quando era arrivata. Stramonio le confidò di
suo padre morto ma non sepolto e bisognava avere pazienza. Prima o poi avrebbe capito che a
quarantanni suonati la libreria era in buone mani ed avrebbe raggiunto definitivamente la
dimensione astrale. Godezia fece una delle sue faccette buffe e si posizionò dietro il bancone
in attesa di rendersi utile. Stramonio ne avrebbe fatto volentieri a meno. Non era abituato alla
compagnia e la solitudine non lo spaventava. Soltanto quando andava a dormire
cominciavano gli incubi. Quando tutte le sere chiudeva gli occhi e li riapriva nella
dimensione eterica dove prima o poi tutti andiamo a finire. Godezia durante la giornata aveva
indossato le sue scarpette evitando di sporcare il parquet incerato, sempre gentile con i clienti
occasionali, qualificandosi come nipote del proprietario. Stramonio era diventato zio a sua
insaputa. Effettivamente in quel ruolo nessuno avrebbe potuto fare strani commenti. In estate
una giovane nipote era venuta ad aiutare il vecchio zio nella gestione della libreria. Poteva
andare temporaneamente poi sarebbe stato opportuno si affittasse un appartamento. Abitare
in una pensione non era una sistemazione per un lungo periodo anche se lei da diversi mesi
soggiornava all’Albergo Orchidea. Non costava caro e nessuno le aveva mai rimproverato
comportamenti molesti o ospiti indesiderati a parte il demone eiaculatore che si sarebbe
presto liberato venendola a cercare. La sera prima di ritirarsi gli aveva chiesto se durante le
ore di chiusura poteva fare i suoi riti senza vestiti addosso. Un bisogno fondamentale, e non
poteva rinunciarvi. Naturalmente no! Era una libreria seria la sua. Godezia cercò di fargli
cambiare idea ma Stramonio restò determinato nella sua decisione. La sera lo aveva salutato
distrattamente, quasi offesa che non capisse le sue esigenze ma lui aveva tirato dritto. Aveva
quarant’anni ed era il proprietario. La sua parola era legge nel suo stato privato costituito da
tre piani, sotterraneo compreso e giardino curato personalmente. La lasciò sulla porta della
sua stanza certo non ci fossero fraintendimenti. La notte trascorse nel solito posto. Nel buio
senza luce dove si formano le forme scheletriche degli elementali divoratori della materia
decomposta dalle salme, in attesa di tornare a mischiarsi con la terra, facendo dimenticare per
sempre chi le aveva incarnate. Stramonio si svegliò verso le sei del mattino. Albeggiava. Aprì
la finestra per ricevere sul viso una piacevole ventata di aria fresca. Guardò distrattamente
giù nel giardino. Una ragazza bionda e nuda stava ballando intorno al salice piangente e suo
padre ormai morto, seduto su una delle panchine, la guardava danzare. Ora era sicuro che
sarebbero passati millenni prima di sbarazzarsi della presenza del suo molesto genitore. Con
quella ragazza in giro per casa, non avrebbe mai lasciato definitivamente la sua proprietà.
La vita con Godezia trascorse senza incidenti per tutto il mese di Luglio. Nessun demone era
venuto a bussare al portone di ingresso alla libreria. Nessun cliente si era mai lamentato ed
anzi gli avventori in cerca di rare edizioni, sempre più numerosi. Soprattutto la clientela
maschile, chiaramente con un secondo fine e il cui traguardo non sarebbe mai stato raggiunto
sotto la vigilanza implacabile di Stramonio. La sera prima di addormentarsi Godezia si
dedicava alla lettura di una rara edizione della Magiae Naturalis Libri Viginti, di Gian
Battista Della Porta (Vico Equense 1535 - Napoli 1615). Stampata ad Amsterdam a
Weyerstraten nel 1664 e in 16 ^. L’ opera più importante e la prima pubblicata negli anni in
cui fondò l'Accademia dei secreti con finalità di studi esoterici, per rendere la magia un sapere
naturale accettabile e legittimo, attraverso un discernimento tra quella bianca e quella nera.
L'opera fu messa all'Indice dei Libri proibiti ma nonostante questo, conobbe diverse traduzioni
in tutta Europa. Contiene nozioni inerenti i veleni e cure mediche, la numerologia, la
trasformazione dei metalli, i "secreti", l'arte della guerra e l'astrologia. Godezia si coricava alle
dieci di sera senza guardare il televisore ed Internet. Stramonio li frequentava solo come
biblioteca multimediale e non per diletto. Alla mattina la fanciulla si svegliava presto ed
andava nel giardino a danzare intorno al Salice Piangente a piedi nudi nell’erba, nel rito del
sole nascente. Naturalmente Stramonio rispettava la sua privacy ed evitava di sbirciare dalla
finestra nel parco sottostante, abitudine ovviamente non seguita da suo padre, guardone
estasiato, seduto su una delle panchine in pietra. A settembre Godezia ricominciava a studiare
dal professore all’Università e probabilmente avrebbe lasciato la stanza al piano terra della
libreria. Per la prima volta nella vita, Stramonio avvertì un senso di profonda solitudine. Si era
affezionato e l’idea di non vederla più saltellare per la sua proprietà lo gettava nello sconforto.
Dove sarebbe andata a dormire? C’era un mondo oscuro e pericoloso oltre la sicurezza del
pesante portone. Potevano lavorare insieme e condividere in comune la passione per
l’esoterismo e la magia. Un pomeriggio durante una pausa per il pranzo a base di verdure,
aveva fatto accomodare la ragazza su una delle sedie del suo studio per mostrarle la scatola
dei biglietti da visita. Godezia li aveva guardati e poi si era messa a ridere. Investigatore
dell’Occulto? Avrebbe indagato su cose che per l’uomo comune nemmeno esistono? Chi gli
avrebbe fornito i casi da risolvere? Stramonio si era quasi offeso per la sua reazione ma
effettivamente con le sue doti, di occulto restava solo il sistema da utilizzare per sbarazzarsi del
problema. Per lui non esistevano telecamere ad infrarosso o sedute medianiche. Il problema lo
vedeva con i suoi occhi scorgendo qualunque demone o parassita infestante il campo eterico
umano, visibile solamente nella frequenza di Schumann. Godezia poteva aiutarlo con la sua
esperienza pratica acquisita alla scuola di Alchimia di Damanhur.
Le sue conoscenze, ottenute con la laurea presso l’Arcadia di Lecce erano puramente teoriche
ed il titolo di dottore, non riconosciuto dallo Stato Italiano, un alone di fumo che lo avrebbe
però fatto lavorare presso le famiglie patrizie della città di Torino intolleranti verso maghi e
fattucchiere. La libreria custodiva un sotterraneo molto fornito di testi esoterici e non
sarebbero mancati i libri da consultare per risolvere ogni tipo di problema. Godezia lo aveva
guardato intensamente con i suoi occhioni azzurri. Disponeva di molto denaro. Nessun obbligo
sociale come single e maggiorenne ed un lavoro del genere sembrava parecchio stimolante ed
in linea con i suoi interessi. Non aveva mai pensato che una passione potesse diventare un
lavoro. Conosceva discretamente il greco ed il latino. La lingua enochiana dei testi più
ermetici e parlava anche francese ed inglese per trattare con la clientela del mercato globale.
La cosa era fattibile. Bisognava solo cominciare e dedicarci del tempo, magari nei weekend
quando la libreria era chiusa. Si era messa a giocare con la pistola a proiettili di gomma.
Un’arma ad aria compressa che evitando spargimenti di sangue in caso di aggressione di un
potenziale ladro di libri, avrebbe limitato l’infestazione dei locali soltanto al padre di
Stramonio. Godezia esplose in una risata contagiosa. Più che investigatori dell’occulto erano
due disinfestatori. Invece di veleni e polveri avrebbero usato cerchi magici e formule antiche
ma dove avrebbero trovato i futuri clienti? Non potevano certo mettere una inserzione su un
sito web di annunci economici, li avrebbero sommersi di richieste tra le più strampalate e
sarebbero diventati una simpatica coppia di cialtroni. La seria professionalità del libraio
Stramonio sarebbe stata irrimediabilmente compromessa. Occorreva reperire un canale sicuro
frequentato da una clientela con un effettivo bisogno delle loro qualità ed attitudini. Non
dovevano investire del denaro in particolari attrezzature: bastavano le capacità sensitive di
Godezia e la lunga vista di Stramonio. Sanctum Regnum! Finalmente il dottor Stramonio
sarebbe uscito dalla tranquillità e dalla routine della sua libreria e cominciato a praticare un
hobby per il quale era molto dotato. Mentre Godezia abbigliata per l’occasione con una tunica
viola a rose rosse, intratteneva i clienti, Stramonio decise di rivolgersi al suo amico sacerdote
della Comunità di Gesù ubicata nella sede in via dei Mercanti 10, poco distante dalla Libreria
e proprio accanto alla Paninoteca dove si recava per il pasto di mezzogiorno.
Sicuramente don Berengario avrebbe condiviso in sua compagnia i piaceri proibiti de “Il
Signor Panino”. Stramonio non era religioso e non frequentava chiese o culti esoterici ma come
fornitore di testi religiosi per biblioteche e congregazioni, molto ben visto e tollerato da
chiunque fosse affascinato dalla lettura dei libri introvabili che riusciva a procurare e dalla
sua conversazione di simpatico erudito. La suora addetta al servizio di segreteria si ricordava
di lui. Il padre aveva appena terminato di celebrare il rito della Messa e si stava togliendo i
paramenti sacri. Se voleva incontrarlo potevano concordare un appuntamento per le 12,30.
Stramonio le propose l’invito a pranzo ed attese al telefono la conferma dell’incontro.
L’attesa fu un tantino lunga e la musica di Schubert del centralino evocava la riflessione e
ricordava alla memoria il chiostro di un convento in religiosa preghiera. La suora gli rispose
che don Berengario era molto ben disposto e lo avrebbe ricevuto alla paninoteca.
E naturalmente: Sia Lodato Gesù Cristo! E ci mancherebbe che non lo fosse! Mentre Stramonio
aspettava seduto al tavolino del Signor Panino l’arrivo del sacerdote, si era letto il volantino di
Godezia che illustrava la sua formazione presso la scuola di Alchimia di Damanhur.
Un percorso di conoscenza nel campo dell’Alchimia delle Forze Vive. La manipolazione delle
sostanze avviene nell’ Atanor principale, il corpo dell’Alchimista considerato il risultato
olistico di una straordinaria complessità fisica, emozionale e sottile. L’allievo inizia esplorando
il proprio potenziale, fino a raggiungere la capacità di gestirlo producendo l’oro alchemico o il
risveglio della parte divina. Il primo anno si affina la sensibilità come strumento nella pratica
alchemica, sviluppando la conoscenza dei propri sensi interni, entrando in contatto con la
natura per riordinare e riportare gradualmente sulla frequenza base più pura, utilizzando
geometrie magiche ed esercizi di ritualità, le parti maschili e femminili dell’essere, dando il
giusto spazio e valore ad ognuna. Si impara a sviluppare il laboratorio alchemico per produrre
le prime pozioni, a capire come utilizzare i sogni, l’alimentazione e vengono forniti gli schemi
psichici delle strutture selfiche, praticando dinamiche di gruppo in luoghi speciali come
circuiti o spirali nel Bosco Sacro e meditazione nei Templi dell’Umanità. Nel secondo anno si
sviluppano studi specifici per estendere la consapevolezza delle potenzialità e acquisirne la
conoscenza approfondendo la pratica alchemica. Ogni allievo potrà così valutare la propria
predisposizione appassionandosi ad alcuni aspetti che avrà modo di migliorare in
collaborazione con gli insegnanti e la classe, imparando a muoversi nel mondo Astrale ed in
quello dei Sogni. Sviluppare la Premonizione ed imparare l’arte della divinazione con la
tavola di màntica. Nel terzo anno si insegna ad usare il Tempo come sostanza e come territorio
da percorrere, e ad usare il suono in Magia. Godezia aveva superato l’esame con la lode
studiando nella formula 7 weekend e quattro giorni estivi ogni anno. Un weekend al mese da
ottobre ad aprile e 4 giorni intensivi nell’estate. Stramonio invece possedeva una laurea
puramente teorica ma un terzo occhio che fin dalla nascita, gli consentiva di vedere gli incubi
delle persone comuni. Don Berengario arrivò puntuale all’appuntamento delle 12,30.
Indossava il solito abito nero della casta sacerdotale stirato di fresco dalle sapienti mani delle
suore al suo servizio. Nella comunità religiosa era considerato un implacabile fustigatore dei
cattivi costumi e se scopriva un collega indulgere nella pedofilia, lo massacrava sulla testa a
colpi di Sacra Scrittura. Parliamo di un testo con la copertina in pelle, dotato di borchie
decorative in metallo, rinforzate da una rilegatura quasi a prova di proiettile. Uno strumento
con il quale si poteva commettere un omicidio. Sulla cinquantina. I capelli per l’età,
abbandonavano la sua chioma canuta e una montatura simile a quella utilizzata da frate
Guglielmo da Baskerville nel Nome della Rosa, incorniciava un volto serio ma sereno ed
incuteva una regale soggezione. Dopo i saluti e la stretta di mano da scaricatore di porto che
avrebbe frantumato il braccio ad un lottatore di Vale Tudo, il prete si sedette ad uno dei
tavolini all’aperto ed ordinò un panino da cinque euro. Per Stramonio un Erasmo da
Rotterdam con pecorino fresco, melanzane al forno, pomodoro ed olio evo, per Don Berengario
un Cesare Borgia con friarielli, scamorza affumicata e paté di olive. Stramonio aveva
conosciuto il sacerdote per caso durante la consegna di un libro di ricette del cinquecento.
Un testo introvabile e molto costoso.
Non faceva visite a domicilio perché non amava lasciare il suo Santuario ma per la signora
Adelaide, moglie dell’industriale Alberico Mazzanti, aveva fatto un’eccezione. Sarebbe stato
scortese rifiutare una galanteria ad una signora facoltosa o la sua libreria non sarebbe
sopravvissuta nei secoli nutrendosi esclusivamente di turisti occasionali. Il marito si era
infortunato durante una battuta di caccia. Cadendo dal cavallo spaventato da una volpe
incattivita, i suoi settant’anni non avevano retto l’urto con il terreno, fratturandosi un
ginocchio ed impegnando la moglie come infermiera a tempo pieno. Quando era entrato
nell’appartamento di via Garibaldi, la signora l’aveva fatto accomodare su un elegante
divanetto in pelle davanti ad un vassoio in argento ricolmo di paste alla crema. Il padrone di
casa con la gamba ingessata, guardava in strada il passeggio dei clienti delle botteghe
sottostanti. Mentre parlavano tra un pasticcino ricolmo di crema e l’altro di panna, del libro
recuperato da Stramonio da una vecchia collezione acquistata durante una vendita
fallimentare, si erano udite delle grida provenire dai piani alti. La moglie dell’industriale gli
confessò che da diversi giorni la figlia del proprietario dell’appartamento soprastante era
gravemente disturbata. I medici dopo una visita accurata non sapevano dare una spiegazione
scientifica al fenomeno e la giovane sputava chiodi senza averli ingeriti. La parrocchia si era
procurata un sacerdote esorcista per risolvere il problema. Stramonio aveva ascoltato con
attenzione ma senza nessuna voglia di approfondire. Faceva il libraio e la curiosità non era un
suo difetto. Un conto leggere libri sul satanismo, un’altro partecipare ad una messa rossa.
Mentre la conversazione tra i coniugi era proseguita tra le urla ed i rumori di mobili trascinati,
si era udito bussare alla porta in maniera più che insistente. La signora aveva aperto l’uscio
d’ingresso al sacerdote don Berengario che si precipitò nel salotto. La fronte sudata, gli
occhiali per traverso ed un pallore cadaverico sul volto. Quasi un’apparizione dal mondo dei
morti. Don Berengario cercava un uomo robusto per trattenere la ragazza: continuava a
liberarsi dalle corde che la tenevano sotto controllo. L’industriale era anziano ed infortunato e
nessuno del condominio sembrava disposto ad aiutarlo. Stramonio aveva cercato di sparire ma
il dono dell’invisibilità non era la sua qualità principale. Con timore e reverenza aveva seguito
il sacerdote al piano superiore. I genitori erano in cucina. Una coppia di impiegati del Comune
abituata alla routine poco stressante dell’ufficio e la situazione al cardiopalma minacciava di
mandarli entrambi in neuropsichiatria. La figlia gridava nella sua stanza. Tutti i mobili
spostati. Le tende strappate ed a terra come una coperta a brandelli sul pavimento
piastrellato. Il pigiama lacerato lasciava intravedere il corpo livido e sudato. Digrignava i
denti e si dimenava come un animale in gabbia. Don Berengario aveva chiesto a Stramonio di
aiutarlo a legarla perché doveva continuare con il suo esorcismo. Il demone che la possedeva
era orrendo. Si usa la parola demone per convenzione ma chiamarlo cosa pelosa e ributtante
sarebbe stata una gentilezza. Il corpo invisibile del mostro era sovrapposto a quello della
ragazza che fungeva da contenitore. Una fiammella in tre dimensioni con parvenze
antropomorfe e bestiali. Naturalmente solo Stramonio lo vedeva ed era seriamente
preoccupato che le giaculatorie del prete sarebbero risultate inefficaci. Riuscirono a fatica a
legare la ragazza. Continuava ad urlare frasi oscene, normali in un film pornografico
amatoriale, ma infastidivano il rito di purificazione. Don Berengario seduto si detergeva il
sudore per lo sforzo. Il demone era furbo entrava ed usciva dal corpo della giovane cercando di
convincere il prete che il suo latinorun aveva avuto effetto. Dopo un po’ di riposo Don
Berengario aveva proseguito l’esorcismo con maggiore veemenza: “Ti ordino, Satana, nemico
della salvezza dell’uomo: riconosci la giustizia e la bontà di Dio che con giusto giudizio ha
condannato la tua superbia e la tua invidia. Esci dalla nostra serva di Dio, che il Signore ha
creato a sua immagine, ha arricchito dei suoi doni, ha adottato come figlia della sua
misericordia. Ti ordino, Satana, principe di questo mondo: riconosci il potere invincibile di
Gesù Cristo; egli ti ha sconfitto nel deserto, ha trionfato su di te nell’orto degli ulivi, ti ha
disarmato sulla croce e, risorgendo dal sepolcro, ha portato i tuoi trofei nel regno della luce.
Vattene da questa creatura che il Salvatore, nascosto fra noi, ha reso sua sorella e morendo in
croce ha redenta con il suo sangue. Ti ordino, Satana, seduttore del genere umano: riconosci lo
Spirito di verità e di grazia, lo Spirito che respinge le tue insidie e smaschera le tue menzogne.
Esci da questa creatura, che Dio ha segnato con il suo sigillo. Abbandona questa donna: Dio
l’ha resa suo tempio santo con l’unzione del suo Spirito.Vattene dunque, Satana; vattene nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Allontanati per la fede e la preghiera della
Chiesa. Fuggi per il segno della santa croce di Gesù Cristo, Signore nostro. Egli vive e regna
nei secoli dei secoli, Amen.” Dopo quella interminabile litania il demone si era rotto i coglioni
e non solo lui. Don Berengario spossato dalla fatica si era nuovamente seduto e la ragazza
sembrava quieta nel suo letto e non strattonava più le corde che la imprigionavano. Stramonio
aveva visto il demone incazzato, rifugiarsi in un angolo della stanza accanto alla finestra in
attesa che il sacerdote convinto di averlo scacciato, tornasse alla sua chiesa e la smettesse di
interferire. Mentre il prete era distratto aveva frugato nella sua borsa di pelle adagiata su una
spalla, per prendere il barattolo del sale benedetto. Davanti al demone che lo fissava stupito,
creò sul pavimento piastrellato, un recinto di sale imprigionandolo contro il muro.
Naturalmente con cordialità ed educazione nonostante lui non amasse usare il turpiloquio lo
aveva mandato a “Fan Culo!”,perché gli aveva rovinato la giornata. Ingabbiato nel cerchio di
sale non era più riuscito ad avvicinarsi alla vittima, ma aveva iniziato ad urinarci sopra per
scioglierlo e liberarsi. Ci sarebbe voluto del tempo. Stramonio convinse Don Berengario a
portare la ragazza in ospedale per una flebo ed i genitori ad accompagnarla. Una volta che
l’appartamento fosse stato vuoto, il demone non avrebbe avuto più alcuna ragione per
trattenersi e si sarebbe dedicato ad un’altra preda. Esistevano da migliaia di anni e non
parlavano il latino. Per sconfiggerli ci voleva ben altro. Da quel giorno Stramonio e
Berengario avevano iniziato a frequentarsi e a parlare di libri. Il tavolino accanto ospitava una
coppia di tedeschi. Occupata in una conversazione animata dove la ragazza bionda veniva
corteggiata senza pietà da un giovanottone alto con pantaloni corti rosso fuoco, scarpe da frate
orribili e una capigliatura fluente sulle spalle. Doveva raccontare degli aneddoti piuttosto
sagaci perché la ragazza aveva delle esplosioni di riso particolarmente sguaiate. Don
Berengario cercava di razionalizzare le richieste strambe di Stramonio. Voleva conoscere se
durante la seduta confessionale qualche fedele avesse degli strani problemi che lo
inquietavano? Strani rumori, strane presenze! Effettivamente durante l’esorcismo di quella
ragazza si era dimostrato utile ma non capiva quale interesse potesse ricavarne. La confessione
era segreta. Stramonio si era scusato per essere stato frainteso. Non voleva ficcare il naso nella
loro vita privata. Indagava su casi particolari, per scrivere un libro su Torino Esoterica da fare
impallidire “Il Cappello del Mago” di Massimo Introvigne, il direttore del Centro Studi sulle
Nuove Religioni. Don Berengario fu più sollevato da questa risposta. Giocare all’esorcista
poteva essere pericoloso. Effettivamente una sua fedele, vedova da poco per l’ infarto del
marito, sentiva rumori inspiegabili e gli aveva chiesto consiglio. Nonostante la benedizione di
rito, il frastuono continuava a manifestarsi. Stramonio si mostrò molto interessato al caso in
questione e voleva contattare la signora. Don Berengario fu molto restio a rivelare il nome
della sua fedele ma il problema persisteva e lui non aveva saputo trovare una soluzione con le
preghiere. I panini erano buonissimi ed innaffiati con l’acqua fresca rinfrescata dai cubetti di
ghiaccio soddisfò l’appetito dei i due commensali. Terminato il pranzo e salutato il sacerdote,
Stramonio ritornò alla libreria per riferire a Godezia del loro primo caso da risolvere.
Naturalmente se avesse avuto successo Don Berengario si era reso disponibile a fornirgli nuovi
nominativi di persone in difficoltà afflitte da quesiti inspiegabili. Godezia aveva consumato la
sua solita insalata quasi scondita e come sempre cercò di convincere Stramonio che parte del
suo giardino poteva essere convertito ad orto per avere ortaggi freschi direttamente a
domicilio. Ma dove avrebbe coltivato fagioli e patate? E la lattuga? Voleva spostare il suo bel
cespuglio di rose bianche? Occorreva pagare un giardiniere professionista perché non si
sarebbe mai fidato delle fantasie di una contadina improvvisata. Da centinaia di anni il
giardino fioriva in quel modo e non voleva come al solito effettuare alcun cambiamento. Forse
poteva costruire una serra vicino alla sua vecchia stanza. Ci avrebbe pensato ma adesso
avevano ben altro di cui occuparsi. Godezia indossava quel giorno la sua tunica celeste con i
bordi blu oltremare e portava al collo la croce egizia regalata da Stramonio per il suo
compleanno. Anche lui ne portava una copia in oro al collo, per protezione da quando era
bambino. Un dono di famiglia tramandato da generazioni. La cliente da contattare aveva
nome ed indirizzo ma non era possibile farlo direttamente o avrebbero messo in imbarazzo il
sacerdote vincolato dal segreto della confessione. Potevano stampare un volantino e
metterglielo nella buca delle lettere per vedere se avrebbe abboccato. Bisognava trovare una
formula convincente che non facesse finire nel cestino il loro primo caso da risolvere insieme.
Trascorsero qualche ora inventandosi delle formule particolarmente accattivanti giocando
come due adolescenti ma qualunque componimento risultava ridicolo. Conclusero dopo una
lunga discussione, di presentarsi all’alloggio della vedova con il biglietto da visita rischiando
di venire dileggiati dalla signora. Ma l’occasione di cimentarsi come investigatore era troppo
forte anche se piuttosto infantile per un libraio quarantenne. Tentarono l’approccio verso sera,
un orario sicuramente propizio per incontrare apparizioni e defunti. Stramonio aveva indossato
una giacca grigia su una camicia celeste e sfoggiava una cravatta regimental nero ed oro che
si appoggiava distratta sui pantaloni marroni di fresco lana il cui orlo si strofinava sulle scarpe
a mocassino in pelle marroni con una suola di gomma per garantire la stabilità
nell’inseguimento di qualunque presenza. Godezia si era travestita con il suo costume
universitario da brava ragazza. Al collo una borsa di tela conteneva tutti i suoi trucchi e non
stiamo parlando di cosmetici. I capelli legati da un nastro lasciavano risplendere il suo collo
bianchissimo ed odorava di lavanda. Facevano la loro bella impressione. Se non dicevano di
essere agenti di qualche assicurazione nessuno avrebbe sciolto i cani per indurli ad una fuga
precipitosa. La signora abitava in una strada laterale di Via Garibaldi, famosa per il passeggio
dei turisti e per i vigili urbani in alta uniforme temuti come la peste del 1623 dai negozianti di
Torino. Purtroppo la vedova aveva una portiera e rischiavano di farsi cacciare dal personale di
servizio. Si fermarono fuori dal portone in preda ad un panico esagerato. Poi Stramonio si
riprese e sfoggiò tutta la professionalità di esperto commerciale e riuscì con molti sorrisi a
guadagnare l’ingresso e a superare l’ingresso impreziosito da vetrate di un colorato mosaico.
La possibile cliente alloggiava all’ultimo piano. Il condominio signorile con le sue belle
colonne ed i pavimenti in marmo. L’ascensore odorava di pulito segno che la custode si
guadagnava lo stipendio. Dopo un bel respiro decisero di suonare il campanello.
Dottor Stramonio e Godezia: investigatori dell’occulto. Erano veramente scemi e fuori di testa
se pensavano che qualcuno ci avrebbe creduto. Terminato lo squillo del campanello di una
durata infinita, avvertirono un vuoto pauroso alla bocca dello stomaco ma la voglia di
cimentarsi con quella nuova attività dette loro coraggio. La vedova aprì la porta con
gentilezza poi fece una faccia strana quando lesse il biglietto da visita di Stramonio, poi sorrise,
poi smise di sorridere e diventò accigliata, poi pensò ad uno scherzo e chiese se era finita su
Candid Camera. Fu Godezia a risolvere la situazione imbarazzante rispondendo che uno dei
vicini dei piani inferiori, aveva pensato di aiutarla per risolvere i forti colpi uditi sul muro, pur
essendo l’unica condomina senza abitazioni confinanti. Non aveva bisogno di due sensitivi e
non credeva ai fenomeni paranormali. Lei era sola con il suo dolore dopo la scomparsa del
marito. Stramonio vide alle spalle della donna una forma risplendente come un foglio di carta
velina attraversato dalla luce. Il defunto aveva stabilito di non seguire la salma e di restare
con la sua ex consorte. Suo marito era per caso un signore di circa settant’anni calvo con grosse
sopracciglia e quando era stato ricomposto nel feretro indossava un vestito grigio con una
cravatta nera? La vedova si stupì della domanda e nessuna foto del defunto si trovava
nell’ingresso. Come faceva a ad avere quelle informazioni. Incuriosita li lasciò entrare.
Gentili e professionali dimostravano un vero interesse al suo caso. L’alloggio era ben arredato
con mobili acquistati da un esperto antiquario. Certi capolavori appesi alle pareti avrebbero
salvato alcune ditte in crisi della provincia di Torino. Si accomodarono sul divano, gli
raccontarono delle loro doti particolari e volevano solo esserle d’aiuto. Non doveva alcun
compenso. Erano felici di scoprire gratuitamente, una soluzione al problema. La signora voleva
offrigli un caffè ma erano già abbastanza su di giri, per cui optarono entrambi per un tè alle
erbe, riscaldando piacevolmente la frescura serale di una giornata ormai al tramonto.
Servendo la bevanda accompagnata da dei biscotti al burro che trasformarono Godezia in un
simpatico roditore affamato, la vedova raccontò della morte del marito avvenuta
improvvisamente mentre lavorava nel suo studio affacciato su via Garibaldi.
Soffriva di cuore in passato, ma nulla aveva fatto presagire quel decesso inaspettato.
Per allontanare la solitudine, da qualche settimana frequentava le lezioni dell’Università
delle Tre Età conquistando una grande amicizia. L’ amicizia la vedova se l’era portata a casa,
ed il marito ancora affezionato, voleva il rispetto del vincolo di matrimonio. Lui non si sentiva
morto! Ci volevano circa settanta giorni prima che un deceduto si convincesse di non poter più
rientrare nel corpo e lo spirito infestando l’appartamento sarebbe rimasto per lungo tempo a
sorvegliarla. Con molto tatto e senza sembrare invasivo, Stramonio chiese alla signora se
poteva invitare il suo nuovo amico all’appartamento per bere un aperitivo e loro avrebbero
osservato quali effetti avrebbe causato l’incontro galante. Quando la vedova iniziò a parlare
con tono confidenziale ed allegro, una delle sedie andò ad urtare contro il mobile adibito a
cristalliera facendone tintinnare il contenuto. Il marito aveva imparato presto ad usare la
telecinesi e stava dimostrando tutto il suo rancore. Conversarono con la signora fino alle nove
di sera quando squillò il campanello provocando nella loro ospite un tremito inatteso delle
labbra. Era proprio felice. Il marito molto meno. Si era posizionato vicino alla parete ed
all’ingresso dalla porta del suo avversario, aveva iniziato a tempestare di pugni il muro
producendo il suono caratteristico dei Raps delle sedute medianiche. Non c’era molto da
investigare, il cadavere era il colpevole e bisognava trovare una soluzione. L’amico della
signora, sui sessant’anni con la patta dei calzoni sbadatamente lasciata aperta, faceva
intendere che le sue intenzioni non erano platoniche. Stramonio non capiva come una persona
di quell’età indulgesse ancora nei piaceri del sesso. A lui non era mai interessato. A parte il
periodo adolescenziale che gli aveva causato il cuore infranto in più punti, dalla vita in giù il
silenzio degli organi era quasi tombale se si esclude il borbottio fisiologico dello stomaco
prima di colazione. Se poteva vedere i morti non poteva anche farsi le vive. Godezia non gli
suscitava alcun prurito, era una nipote acquisita, un animaletto del bosco pascolante nel suo
giardino. Stramonio si presentò come un condomino in apprensione per gli strani rumori ed
introdusse Godezia come sua nipote. Il vecchio nel salutare la giovane ragazza le tenne la
mano eccessivamente, quasi volesse condurla in zone che Godezia avrebbe lasciato volentieri
inesplorate. Anche lui sentiva i colpi quando entrava e pensava fossero dei vicini rumorosi.
Invece era il marito che lo disprezzava quale improvvido concorrente. Il coniuge defunto
andava convinto della fedeltà della moglie per cui concordarono una recita dove la vedova
avrebbe dovuto fingere di respingere lo spasimante e piangere sulla fotografia del morto.
Godezia consigliò poi ad entrambi l’Albergo ad una stella Orchidea per i piaceri della carne.
Naturalmente Stramonio avrebbe optato per una gustosa bistecca con patate ma solo se
l’animale era morto di vecchiaia o si era suicidato per la depressione di frequentare esseri
umani. Mentre Godezia cercava di distrarre il defunto aggiustandosi la camicetta aperta di
fronte allo specchio, i due amanti inscenarono il finto respingimento usando anche pianti e
cattive parole. La vedova era inconsolabile e sarebbe rimasta fedele. Il marito assistendo alla
scena ed alla cacciata da casa del suo sostituto, smise di colpire il muro e di far schiantare le
sedie contro i mobili. Lo spasimante venne allontanato dalla porta e la vedova con la foto in
mano della salma iniziò un pianto inconsolabile. Veramente brava da premio Oscar.
Ora bisognava allontanare il defunto dall’appartamento. Godezia con alcuni bottoni della
camicetta sbottonati si era sciolta i capelli ed aveva iniziato a ballare un ritmo invisibile verso
la porta di uscita. Il morto grazie al ricordo di giovanili pruriti, decise di seguirla fuori
dall’appartamento. Sul pianerottolo, Stramonio salutò la vedova tornata gaudente e in
compagnia della sua collega, stabilì di effettuare una passeggiata serale fino al Cimitero
Monumentale di Torino per sistemare il nuovo ospite in una residenza definitiva.
Tornarono alla libreria verso le dieci della sera stanchi e provati dalle nuove emozioni.
Il caso era stato brillantemente risolto e mentre aspettavano il successivo, si scambiarono le
reciproche opinioni fino a notte inoltrata. Sbarazzarsi del corpo eterico di un morto non era il
problema principale ma con i demoni che infestavano la città poteva essere veramente
pericoloso. Dopo una notte trascorsa fino alle sette del mattino nel luogo oscuro in compagnia
degli elementali, Stramonio si svegliò per il rito del caffè mattutino evitando con cura la
finestra affacciata sul giardino per non vedere suo padre ammirare la danza nuda di Godezia
instancabile alla fatica, grazie alla giovane età. Mentre sorseggiava il caffè paludato nella sua
veste da camera color antracite, Stramonio notò un messaggio inciso sulla segreteria
telefonica. Uno strumento indispensabile ma che considerava come la televisione ed Internet
una diavoleria dell’epoca moderna. Se non rispondeva al telefono o non c’era o non voleva
parlare con qualcuno: allora perché lasciare un messaggio al quale non avrebbe risposto?
Un cliente sapeva gli orari della libreria, una compagnia telefonica per una promozione
avrebbe rischiato la rottura di un timpano per lo sparo della sua pistola ad aria compressa.
Il messaggio invece era del dottor Paolo Pennuto, medico psicanalista dell’Ospedale
Gradenigo. Nell’ambiente si diceva che uno psicologo intontiva il malato con le chiacchiere,
lo psichiatra di Prozac e solo lo psicanalista facendogli rivivere il trauma con la
programmazione neurolinguistica, lo guariva. Il dottore aveva un problema che poteva
costargli la carriera. Una sua paziente nonostante le cure, continuava ad ammalarsi e non
lasciava l’ ospedale. Ma Stramonio cosa c’entrava? Lui non si ammalava mai e trovava
disdicevole che un turista starnutisse nella sua libreria. Era comunque un cliente facoltoso e
molto conosciuto nell’ambiente esoterico. Intanto Godezia aveva smesso di saltellare nel prato
ed era andata a farsi la doccia per prepararsi all’apertura del negozio di libri. Il lavoro le
piaceva, faceva le pulizie personalmente incerando senza esagerare, il parquet di legno
pregiato e spolverava i tavoli con i libri in esposizione.
Quando non ‘cera nessun compratore stava raggomitolata su una delle poltrone in pelle, a
leggere il Dragone Rosso di Lille, una rara edizione del 1521 contenente l’elenco minuzioso
delle formule per comunicare con gli spiriti dei morti. Un volume simile alle metodologie
indicate per evocare i demoni, descritte in un altro testo esoterico quale il Sanctum Regnum.
Stramonio rispose alla richiesta di aiuto del dottore. Lo aveva conosciuto durante la
presentazione del libro “Storie Insolite di Torino” della scrittrice Laura Fezia.
La sera dell’incontro mentre una folla di curiosi calpestava senza ritegno il prato ben curato
del giardino davanti alla libreria facendo disperare Stramonio, il dottor Pennuto, uno degli
spettatori di quella manifestazione, si dimostrò molto interessato agli argomenti esoterici.
Gli sarebbe piaciuto partecipare ad una seduta spiritica per vedere all’opera i poteri di una
medium. In quella occasione Stramonio si era vantato della sua attitudine di sensitivo.
Dopo la manifestazione in libreria dell’opera di zia Laura, aveva dovuto chiamare una coppia
di giardinieri per fare sistemare il prato, calpestato dai numerosi affezionati lettori.
In futuro avrebbe ospitato soltanto scrittori anonimi e meno graditi al pubblico. Il giardino era
sacro! Il dottore Pennuto, ritornò il mese successivo per l’acquisto di un testo pregiato di
medicina: “Secreti diversi, e miracolosi. Raccolti dal Faloppia, & approbati da altri medici di
gran fama”, del 1620. Una rara edizione attribuita al celebre anatomista Gabriele Falloppio
(1523-1562). L’opera tra i numerosi “segreti”, oltre alle prescrizioni mediche, contiene
indicazioni per la fabbricazione di vini, liquori, formule magiche ed alchemiche per la
lavorazione dei metalli. Un libro costoso che aveva rimpinguato le casse di Stramonio.
Il dottor Pennuto lo avrebbe ricevuto nel reparto psichiatrico dell’Ospedale Gradenigo verso
mezzogiorno. La ragazza in cura diceva di vedere di notte, uno strano essere. La sua anima era
in pericolo, sussurrava tra uno svenimento e l’altro, disidratandosi in maniera inquietante.
Voleva chiedergli un parere: se la medicina ufficiale era impotente avrebbe dovuto ricorrere
alle celebrazioni liturgiche di un esorcista. Con tutta la noia del latinorum, lingua sconosciuta
a quella razza maledetta. Vivevano da migliaia di anni ed abbandonava un corpo più per la
noia di sentire il prete gridare assurde invocazioni che per l’efficacia delle parole. Mentre
aspettava il momento dell’incontro, Stramonio si era dedicato alla clientela di turisti entrata
in gruppo nella libreria. Per fortuna la guida parlava inglese e la comitiva di cinesi era stata
accontentata con l’acquisto di numerosi volumi sulla nascita e storia di Torino.
Le edizioni rare del 1577 di Augusta Taurinorum di Filiberto Pingone, autore della prima
storia della città di Torino, giacevano nel sotterraneo a disposizione dei bibliofili più raffinati.
All’ora dell’appuntamento erano stati ricevuti dal dottor Pennuto nel locale adibito a ristoro
per il personale medico. Tavoli in laminato plastico ben puliti, riflettevano il bianco delle
pareti e dei soffitti pitturati da poco, ricolmi di bicchieri di caffè consumati o ancora da
consumare, preparati dal solerte personale infermieristico. Il dottor Pennuto a disagio,
seguitava a ciucciare la sua sigaretta elettronica come se fosse stata la mammella di una
allevatrice. Vestiva un completo marrone, camicia bianca a maniche lunghe nonostante la
calura del mezzogiorno, ed un alone di sudore imperversava sotto le ascelle. Continuava a
detergersi con la mano sinistra la fronte madida di sudore per la tensione. La situazione era
alquanto strana. Per quanti sforzi facesse, la ragazza in cura per incubi ricorrenti, non cessava
di svenire e perdeva peso nonostante le numerose flebo di soluzione salina somministrate.
Non presentava infezioni di alcun genere ed il pallore del viso era ormai cadaverico. Parlava
durante l’incoscienza di una cosa mostruosa che la possedeva ma non si vedeva nessuno e nella
stanza privata c’era solo il suo letto. Al fianco di Stramonio, fregiato dal titolo di dottore per
non essere da meno, c’era la bella Godezia paludata con una gonna di tela di un assurdo color
viola. La camicetta bianca di una misura superiore aperta, lasciava intravedere un seno ben
scolpito protetto da un reggiseno che avrebbe fatto la gioia di un amazzone. Indossava come
buona abitudine un paio di sandali, impreziositi da brillantini luccicanti ai raggi del sole.
Prima di affidare la ragazza al reparto di terapia intensiva, il dottor Pennuto era costretto ad
affidarsi alla consulenza di Stramonio o la presenza di un sacerdote sarebbe stata
indispensabile. La paziente dormiva in una camera completamente vuota, collegata alla vita
reale dagli strumenti medici del reparto. La finestra aperta con le tende svolazzanti sull’ampio
cortile interno dell’ospedale. La fanciulla addormentata era un capolavoro. Capelli scuri e
crespi, lunghi abbandonati sul cuscino e due occhi verdi brillanti per la febbre. Un corpo
celato dal lenzuolo, appariva perfettamente modellato dalla natura. Godezia era incantata a
guardarla. Un colpo di fulmine l’aveva attraversata. Si era avvicinata al letto come guaritrice
spirituale di Damanhur, accarezzandole i capelli per sollevarla dalla pena ma anche per un
desiderio improvviso e devastante. Il dottor Pennuto guardava in disparte appoggiato al muro,
continuando a fumare il vapore acqueo al gusto mentolo. Stramonio accanto al letto della
ragazza non aveva notato nulla di strano. Nessuna mostruosa presenza la stava importunando.
Il pallore cadaverico della giovane stava sparendo grazie alla soluzione salina. Godezia
continuava ad accarezzarle i capelli con un effetto placebo sicuramente stimolante. Stramonio
fece una ispezione accurata della paziente ma non trovò traccia di graffi o morsi sui polsi o
sulle caviglie. Il collo riluceva del suo biancore sotto la luce tenue della lampada al neon.
Il dottor Della Penna confermò che il corpo appariva debilitato quando veniva affidato alla
sorveglianza delle macchine e del personale infermieristico dopo l’orario notturno. Al calare
del sole era indispensabile effettuare un appostamento in ospedale. Il dottor Pennuto chiese se
dovevano istallare particolari attrezzature come microfoni e telecamere ma Stramonio gli
assicurò che bastavano le loro capacità naturali di sensitivi. Bisognava aspettare soltanto
l’arrivo dell’oscurità ed il visitatore misterioso. La sera cenarono alla mensa dell’ospedale con
il dottore. Stramonio consigliò di tenere la paziente sotto osservazione soltanto con i monitor di
servizio e di non introdurre nella stanza del personale di assistenza. Una delle infermiere di
turno infatti, si era sentita male. L’insalatona della mensa buonissima, li aveva rifocillati.
Il dottor Pennuto per la tensione, continuava a sudare e a drogarsi con la sua sigaretta
elettronica. Stava introducendo degli estranei nell’ospedale e non aveva alcuna autorizzazione
per quella anomala procedura ma il giorno dopo la paziente sarebbe stata trasferita in un
reparto di terapia intensiva. Stramonio fece approntare due poltroncine per lui e per Godezia
e una bottiglia di acqua come genere di conforto. Poi con noncuranza cominciò a tracciare un
cerchio di sale intorno alla loro postazione. Per quanto temporaneo, era un ottimo deterrente
da migliaia di anni. Il dottor Pennuto durante la procedura esoterica, aveva guardato più
volte il soffitto pensando alla follia autorizzata. Verso mezzanotte i due investigatori
dell’occulto restarono da soli ed in silenzio fissando il letto della ragazza. Nel pomeriggio il suo
bel volto aveva ripreso colore ed era anche riuscita ad intrattenersi per un breve colloquio con
Godezia sempre più affascinata. Più di un semplice interesse professionale visti i suoi gusti
carnali che lasciavano gli uomini fuori dalla porta della sua stanza ma che accorrevano per
conoscerla in libreria. Uscire senza il suo numero era una certezza, senza aver comprato almeno
un libro una grande scortesia. Improvvisamente alle tre di notte da una delle pareti, scaturì un
alone denso di materiale evanescente. Bianco e grigio allo stesso tempo. Solo Stramonio
poteva vedere distintamente la mostruosità di un altro mondo. Godezia aveva ricevuto una
ventata sul viso e percepito un odore di zolfo nonostante la finestra fosse completamente
chiusa. La figura si materializzava come un fumo diafano e lattiginoso. Svolazzava con ali
trasparenti di libellula e non mostrava sembianze antropomorfe. Appariva densa della sua
sostanza solo quando si avvicinava ad una possibile preda. Un tentacolo all’altezza della bocca
frustava l’aria a pochi metri dal cerchio di sale che proteggeva i due investigatori. Non
riuscendo ad oltrepassarlo tornò a rivolgersi alla ragazza addormentata con stampato sul volto
il sorriso di chi pensa di essere ormai guarita e fuori pericolo. L’essere. Il demone, la cosa
ributtante per chi riusciva a vederla nello spazio angusto delle percezioni concesse nella
risonanza di Schumann, si era piazzato sotto il letto ed infilato il tentacolo trasparente come un
tubo di gomma, proprio in quella zona dove il sole arriva difficilmente se non viene invitato.
Godezia spaventata per la ragazza cercò di uscire dal cerchio ma Stramonio l’aveva
strattonata e ricondotta seduta sulla poltrona. La procedura del demone durò qualche minuto
e mentre l’animale traeva linfa vitale per il suo sostentamento, la paziente appariva sempre
più esangue. Prima che ponesse fine alla giovane vita, Stramonio uscito dal cerchio, lanciò una
manciata di sale in direzione della creatura. Godezia vide solo il suo gesto ed i cristalli lanciati
a pioggia, colpire la struttura metallica del letto finendo sulla coperta che ricopriva le forme
perfette della ragazza. La cosa si era voltata ed aveva smesso di suggere dalla spina dorsale.
Probabilmente stupita di essere disturbata durante il pasto. Con un balzo si era avventata su
Stramonio che la evitò scartando di lato, trascinandola verso un angolo della camera.
Continuò a lanciarle addosso del sale pronunciando le formule imparate durante il corso
universitario, completamente inutili sulla creatura che cercava di tornare al letto della
paziente. Disturbata dallo strano combattimento, svolazzò a vuoto nella stanza fino a
dissolversi nell’intonaco del muro. Stramonio era riuscito a salvare la ragazza, ma un intero
ospedale poteva diventare il banchetto per quel ributtante commensale. Quella camera
andava chiusa e purificata. La fanciulla bruna dai bellissimi occhi verdi, trasferita con
urgenza. Per quale motivo era stata scelta tra le altre pazienti? DNA compatibile o una forza
vitale più ardente la rendeva speciale? All’atto pratico solo il sale si dimostrava utile. Gli
studi universitari soltanto per soddisfare l’ego di Stramonio. Due infermiere del servizio
notturno, trasferirono la ragazza ai piani superiori dell’ospedale. Per quanto lo trovassero
alquanto inconsueto, una striscia di sale grosso purificato, circondava il nuovo letto sperando
di renderlo impenetrabile. Godezia aveva assistito in disparte all’avventura e si chiese in
quale modo avrebbe potuto sentirsi utile. Come sensitiva, avvertiva semplicemente la
presenza di quella creatura ma non l’esatta posizione. Un normale individuo sarebbe stato
trovato morto il giorno seguente per cause sconosciute. Dormirono sulle panche di una sala
d’attesa e si svegliarono all’odore del caffè preparato dall’infermiera addetta alla reception
del turno di giorno. Una notte infernale ripagata dalla notizia che la ragazza bruna di nome
Altea, si era ripresa e aveva chiesto di fare colazione. Il dottor Pennuto arrivò verso le sette con
la giacca nuova senza aloni di sudore. La sigaretta elettronica spenta tra le mani e pronta
all’uso se ci fosse stata qualche brutta notizia. Quando seppe del recupero miracoloso della
ragazza, strinse la mano ai due investigatori dell’occulto e promise un invito a pranzo. Un
tavolo alle Cantine Barbaroux di via dei Mercanti era già prenotato. Stramonio non si sentiva
soddisfatto del lavoro. Tutta la teoria dei suoi studi universitari si dimostrava inutile. Godezia
se fosse uscita dal cerchio, sarebbe stata preda di quell’essere e non poteva essergli di alcun
aiuto. Doveva tornare nella sua libreria e saccheggiare il sotterraneo dei libri rari per trovare
tra quegli antichi testi, una formula risolutiva. Un rito magico antico di millenni creato
quando quelle creature abominevoli si erano materializzate dall’oscurità. Al ritorno Godezia si
addormentò subito nonostante le scariche di adrenalina. Stramonio invece, dopo una doccia
per svegliarsi dal sonno comatoso causato dalla lotta con il demone, intrattenne in libreria,
una comitiva di turisti olandesi molto rumorosa. Comprese perché in tutti quegli anni evitava
di uscire, con mille scuse, dal suo santuario fatto di libri e di un bel giardino. L’esistenza di
quegli esseri documentata fin dai sumeri, non si poteva eliminare con le risorse a disposizione
della persona comune. Il fatto che lui potesse vederli non era una soluzione ma solo un
vantaggio per fuggire e mettersi al sicuro. Sicuramente quella creatura avrebbe trovato
un’altra vittima, uccisa da un male inspiegabile per la medicina tradizionale. Dopo la chiusura
doveva scendere nel piano inferiore e vedere se tra le tante letture accumulate in centinaia di
anni dai suoi avi, esistesse un testo efficace da consultare. Il sotterraneo non esisteva per il
catasto di Torino. Una costruzione occulta fabbricata dai suoi trisnonni che impediva
all’Inquisizione o alla Congrega dell’Indice, di ficcare il naso e denunciarli al Santo Uffizio per
il possesso e la vendita di libri proibiti ma molto più divertenti delle lettura di un salterio e più
redditizi di una bibbia se finivano nelle mani di qualche nobile patrizio con la mania
dell’occulto. Il sotterraneo si presentava all’occhio di una ispezione dei pubblici ufficiali come
una tavernetta molto accogliente, ben illuminata e fornita di vini pregiati. Un simpatico
locale nascondeva dietro l’arco in pietra e lo scaffale dove riposava il vino in pesanti
damigiane, l’ingresso vero e proprio al santuario, dotato di una struttura climatizzata per la
conservazione delle opere preziose da fare invidia al Vaticano. Naturalmente gli operai di una
ditta svizzera avevano lavorato in religioso silenzio e con discrezione, per il triplo della paga,
trasformando il reliquiario dei suoi avi in una biblioteca modernissima con un ampio tavolo
per la consultazione delle opere. Stramonio stabilì di mostrare a Godezia il santuario segreto.
La tavernetta ben illuminata da delle finte lampade a petrolio odorava di pulito dopo la
disinfestazione e le pulizie. L’impianto climatizzato forniva aria fresca rendendo piacevole il
soggiorno. I tavoli e le sedie potevano ospitare una ventina di persone per la presentazione di
un libro ed erano ricoperti da un panno di color verde smeraldo. Godezia era raggiante per la
rivelazione e quando le scaffalature si scostarono per illuminare l’interno, addirittura
saltellante sui suoi sandali nuovi. Lo scaffale accanto all’ingresso, custodiva La Biblioteca
Universalis di Conrad Gesner del 1545. Imponente repertorio del libro latino, greco ed ebraico
destinato agli uomini di studio ed ai gusti raffinati dei collezionisti danarosi. Godezia si
accomodò allungando le gambe nude sul tavolo pregiato lucidato a cera, suscitando il
borbottio di Stramonio che la invitava a sedersi in maniera corretta. Fecero il punto della
situazione. In ospedale avevano avuto soltanto fortuna. Senza il dono della vista nella
risonanza di Schumann, l’animale si sarebbe fatto la ragazza nonostante il cerchio di sale. Era
fuggita perché nessun umano l’aveva mai disturbata durante il pasto lanciandogli addosso un
materiale che avrebbe usato per condire la sua cena. Godezia si era rivelata inutile e sarebbe
stata la preda successiva. Bisognava trovare un linguaggio vincente. Con i morti bastava
analizzare la letteratura di Umberto Bozzano, per quelle creature che venivano di notte a
disturbare il sonno degli esseri umani privandoli della loro energia e conducendoli ad una
morte prematura, ci voleva ben altro. Nella sua esperienza di bibliofilo si era convinto che i
sortilegi trattati nei libri di magia erano creazioni fantastiche. Convincevano gli sprovveduti
che l’immortalità, la fama ed il successo potevano essere conquistati con la formula giusta. Ma
Godezia era miracolosamente riuscita ad imprigionare un demone e a farsi servire per
abbastanza tempo da riempire un armadio di biglietti da cinquanta euro ancora custoditi
nella plastica della banca di origine. Come era stato possibile? Quale libro antico e proibito
aveva letto per ottenere il favore di quella creatura? Godezia raccolse la monoglottica di
Ferrari Gaetano, da uno degli scaffali della biblioteca privata di Stramonio. “ Considerazioni
storico-critiche intorno alla ricerca di una lingua universale”. Modena, Vincenzi, del 1877.
In 8°e di 264 pagine. Il piano linguistico proposto dall’autore, professore di etica presso
l’Università di Modena, illustrava l’obiettivo di creare un linguaggio universale, una lingua
che sostituisse tutte le altre. Era esattamente quello che aveva utilizzato Godezia, un
vocabolario originale per comunicare con quei mostri e liberare il pianeta dalla loro
infestazione. A Damanhur aveva imparato un linguaggio alchemico durante il corso triennale
di Alchimia. Di conseguenza parlare il latino ed il greco con citazioni bibliche ed allusioni a
demoni, assolutamente inutile. Le formule che Stramonio aveva utilizzato lanciando il sale solo
un diversivo e se non avesse fatto trasferire la giovane Altea in un altro reparto dell’ospedale
Gradenigo, sarebbe morta nonostante i suoi sforzi. Un esorcista avrebbe fallito comunque.
Un testo come quello di Visconti Zaccaria e di De Baucio Carlus: “Complementum artis
exorcisticae cui similem nunquam visum est, cum litanis, benedictionibus et doctrinis novis...
Modus interrogandi daemonem ab exorcista.” Stampato a Venezia, apud Turrinum, nel 1643,
sull’arte di interrogare i demoni che segue il trattato sulla pratica dell’esorcismo del Visconti,
puro folklore. Iniziava ad avere paura. Forse avrebbe fatto meglio a confinarsi nella sua
proprietà continuando con successo il mestiere di librario piuttosto che giocare
all’investigatore dell’occulto. La situazione era veramente seria e bisognava metterci impegno
e metodo o lasciar fare alla Chiesa con i suoi esorcismi autorizzati.
Stramonio serbava nella sua Biblioteca privata numerosi testi in alfabeto cuneiforme,
ugaritico ed ittita. La riproduzione della stele di Nora in fenicio dei tempi di re Salomone nel
950 a.c. tradotta da Salvatore Dedola. Alfabeto aramaico, alfabeto ebraico, alfabeto ogamico
in celtico. Il Dictionary of Occult, Hermetic and Alchemical Sigils di Fred Gettings, giaceva
su uno degli scaffali vicino al libro di Giovanni Pettinato, una raccolta di traduzioni dal
sumero di esorcismi “Angeli e Demoni a Babilonia. Magia e mito nelle antiche civiltà
mesopotamiche.” Godezia non era d’accordo. Nel loro piccolo potevano dare un contributo.
Bastava consultare i testi del suo corso sul linguaggio sacro. Come aveva attirato il demone
pagatore, così sarebbe riuscita a sbarazzarsi di tutti quei mostri che infestavano Torino.
Godezia assicurò Stramonio che per migliorare il proprio potenziale energetico potevano
utilizzare le attrezzature selfiche di Damanhur. Avrebbe contattato una sua amica di infanzia.
Prima di dormire telefonò alla dottoressa Gardenia esperta nel linguaggio sacro, mentre
Stramonio si portò a letto la tesi di laurea Next Age per nuovi stili di vita?L’Eco società di
Damanhur di Simone Giovinazzo. Il giorno successivo tornarono assieme all’ospedale per
vedere come stava la giovane Antea, la paziente che Stramonio con pirotecnici lanci di sale,
aveva salvato da un coma irreversibile e sicuramente dalla morte. Prima dell’incontro Godezia
si era lavata i capelli con un balsamo profumato così dolce da attirare uno sciame di api ed
aveva indossato la sua tunica migliore ed il paio di sandali intrecciati regalati da Stramonio.
Il suo giovane cuore che non batteva per nessun uomo sulla terra, si era invaghito della figura
eterea e perfetta della bella Antea.Voleva verificare se la salute della giovane paziente le
avrebbe consentito di manifestare interesse al riguardo. La sua bellezza selvaggia, l’abilità con
le lingue antiche e la conoscenza dell’inglese e del francese, le garantivano di cacciare prede
femminili in tutta Europa, collezionando una scia di cuori infranti. Questa volta il colpo di
fulmine aveva stregato il suo di cuore, in un incantesimo d’amore con profonde conseguenze.
All’ospedale Gradenigo il dottor Pennuto era molto contento di vederli. Stramonio per la sua
simpatia, Godezia per la sua bellezza e gioia di vivere, entrambi per l’efficacia dimostrata sul
campo. La paziente Antea era stata dimessa e stava aspettando accanto alla reception le
pratiche per ritornare a casa. Bruna con i capelli a ricci perfettamente curati, una terza di seno
da far perdere la testa a Godezia che aveva cominciato a saltellare sul posto per la
contentezza. Indossava un abito di tela a fiori leggero e svolazzante, per la corrente d’aria
alimentata dal ventilatore sul soffitto e metteva in mostra due gambe lunghe perfettamente
modellate. Un capolavoro della natura. Poteva essere esposta in qualunque galleria d’arte e
dal valore inestimabile. Ricordava per gli appassionati di cinema, l’attrice svedese interprete
di Tomb Raider. Dallo sguardo quieto, una calma composta, il sorriso placido e luminoso,
rimembrava una cascata di acqua sorgiva sulle pendici di un monte dalle cime innevate,
pronte a discendere con irruenza come una slavina. Godezia abbagliata dalla sua bellezza,
l’aveva accolta sotto braccio, sorridendo felice. Antea stava benissimo. Un sonno profondo di
quasi dieci ore e la robusta colazione a base di uova e pancetta servita dall’ospedale l’aveva
fortificata. Si era alzata con leggerezza. Scostando i capelli con il dorso della mano, sparse un
effluvio di balsamo alle erbe che avrebbe fatto innamorare di lei anche un ottantenne.
Stramonio la stava osservando con professionalità constando con piacere la sua prodigiosa
ripresa. In tutto l’ospedale non si erano verificati altri incidenti ed il mostro sembrava
definitivamente sparito. La ragazza libera di uscire dall’ospedale, sotto la tutela di un
famigliare. Purtroppo era sola e le condizioni di salute le impedivano di rientrare al lavoro
nella bottega di restauro antichità dove prestava la sua opera nella salvaguardia di mobili ed
arredi d’epoca.Viveva in affitto in un piccolo locale di via Barbaroux al numero 16 senza
coinquiline. Stramonio e Godezia si offrirono come accompagnatori mentre il dottor Pennuto
stringeva calorosamente le mani ad entrambi ringraziandoli per il lavoro svolto. Se ci fosse
stato un problema di genere occulto li avrebbe chiamati e ricompensati adeguatamente. La
giornata era bellissima e nonostante fossero a metà luglio, il calore del sole riscaldava i ciottoli
della strada. Arrivarono alla Contrada dei Guardinfanti verso mezzogiorno. Stabilirono di
consumare assieme un pasto al “Il Ristoro dei Mercanti” un locale caratteristico vicino alla
libreria. Antea si era diplomata a Torino come restauratrice di opere lignee alla Casa di
Carità Arti e Mestieri. Aveva un ottimo tocco nella cura dei mobili e anche con i quadri ci
sapeva fare. Viveva da sola dopo la morte dei genitori e questa condizione la rendeva solidale
con Godezia e Stramonio entrambi senza parenti. In quel momento stava concludendo
l’apprendistato e lavorando con un contratto che le garantiva il pagamento dell’affitto e un
paio di pasti al giorno. Non era fidanzata e l’attenzione degli uomini non gli era molto gradita.
Godezia era solidale sull’inutilità degli uomini a parte suo zio Stramonio semplicemente
fantastico. All’apprezzamento Stramonio arrossì leggermente e nonostante i suoi quarant’anni,
gradì moltissimo il complimento e cercò in maniera maldestra di nascondere l’imbarazzo
suscitando l’ilarità generale delle due ragazze complici in un feeling naturale. Dopo il pranzo
accompagnarono Antea al suo appartamento. Una scala impervia portava all’ultimo piano ed
il pasto a base di caesar salad, consumato con delle spremute, garantiva le energie necessarie
alla salita. L’alloggio in affitto era di circa quaranta metri quadrati. Ospitava un letto a due
piazze. Un armadio a muro quattro stagioni, un tavolo a due posti con relative sedie ed un
bagno con una doccia nude look affacciata su una finestra aperta al binocolo o alla
telecamera di qualche guardone. Stramonio accostò le imposte e tirò la tenda oscurandone la
vista. La privacy prima di tutto. Sanctum Regnum! Ma il frigo era quasi vuoto. Di cosa si cibava
la ragazza: muschi e licheni? Antea non faceva molto la spesa perché guadagnava pochissimo
nella bottega artigiana. Il denaro della sua prestazione di manovale bastava per delle gustose
insalate e per il tè alle erbe del mattino. Non avendo parenti di supporto, tirava la cinghia per
concludere l’apprendistato, aprire una partita Iva e mettersi sul mercato artigiano. Con la sua
bellezza non sarebbe stato difficile trovare un padrone, ma rischiava le molestie ed il ricatto.
Qualche lavoro poteva procurarglielo Stramonio tra la clientela altolocata dei suoi amici
bibliofili, nel frattempo nei weekend, poteva fare pratica di restauro con i mobili del seicento
nella sua proprietà. Aveva detto proprio queste parole. Sanctum Regnum! Ma cosa gli era
preso? Stava invitando una estranea ad entrare nel suo santuario. Nemmeno Godezia era stata
ospite nei suoi appartamenti al piano superiore della libreria. Aveva ecceduto di cortesia ma
ormai non poteva più tirarsi indietro visto lo sguardo raggiante della sua assistente ormai
perdutamente innamorata. Stramonio sarebbe sicuramente diventato zio per la seconda volta.
Ritornati alla libreria trovarono fuori dal portone l’assistente Furetto della Polizia Municipale
di Torino. Era impiegato al Municipio poco distante in via Palazzo di Città. Il poliziotto lo
aspettava sbuffando sotto l’arcata del portone asciugandosi l’ampia fronte, con un fazzoletto di
carta. Dall’apertura del locale nel 1666 la chiesa e le autorità del Governo locale facevano
visita alla sua famiglia per dei controlli e c’era sempre qualcosa da pagare.
Il tribunale dell’ Inquisizione non era lontano con la sua sede in via San Domenico.
L’assistente Furetto era un tipo alto, ben piantato, probabilmente frequentava una palestra
per mantenersi in forma. Indossava l’alta uniforme dei vigili anche per le visite di ordinaria
amministrazione, scelta dovuta alla vanità per nulla repressa. Lo salutò con un cenno del capo
invitandolo ad aprire con sollecitudine. Non era abituato ad aspettare. Si era laureato in
Scienze politiche ma sulla spallina c’era stampato un grado che lo qualificava come semplice
graduato e questo lo rendeva pericolosissimo: nel suo intimo si sentiva un ufficiale e quindi
non amava prendere degli ordini e tanto meno fare visite a domicilio. Stramonio lo accolse con
esagerata sottomissione e gli offerse un caffè di cui si sarebbe occupato personalmente. La sua
miscela arabica faceva concorrenza con quella del Caffè dei Guardinfanti. Furetto guardò con
molta attenzione Godezia e si soffermò sulla visione delle gambe nude aumentando la sua
sudorazione. Fece un sorriso maligno e si complimentò con Stramonio per la nuova conquista.
Stramonio presentò la ragazza come nipote originaria del trentino ma il poliziotto continuava
a sorridere in maniera inequivocabile così fu Godezia a chiedergli il motivo della visita
sfoderando il suo sorriso migliore e chiamandolo zio. Zio Stramonio fece il caffè con diligenza e
scoprì un increscioso ritardo con il pagamento di una tassa comunale. Un governo che si
inventa un balzello sull’ombra creata dalle tende dei negozi sul marciapiede pubblico è da
ospedale psichiatrico. Si scusò per l’inconveniente e saldò la multa in contanti. L’assistente
Furetto era accaldato e aveva dormito poco. Stava indagando sulla denuncia di una signora
per la figlia investita da un camion. La salma della povera ragazza era stata manomessa nella
camera mortuaria. Sottolineò questa parola a disagio tossendo e guardando da un’altra parte.
Godezia senza molto tatto, chiese conferma delle sue supposizioni. Qualcuno s’è l’era fatta da
morta? Stramonio arrossì per la sua impudenza e l’assistente Furetto impallidì leggermente.
Erano tutti e due a disagio per le affermazioni di Godezia che insisteva ammiccando con lo
sguardo. Era proprio così. La madre assicurava che durante la vestizione, il corpo della figlia
rivelava degli strani graffi nella parte genitale e l’investimento centrava poco o nulla.
La polizia Municipale stava indagando su un caso di Snuff Movie. Qualcuno si divertiva a fare
dei video dove si vedevano delle ragazze violentate da morte. Sanctum Regnum! Quale essere
demoniaco incarnato, poteva immaginare un orrore del genere. Godezia gli ricordò con un
sorriso, le bizzarre abitudini del suo professore di lingue antiche. Non dovevano meravigliarsi
degli strani gusti del pervertito. Del crimine non risultavano testimoni. Il corpo della ragazza
riposava all’ospedale per un controllo e se non fosse stato per la madre, nessuno avrebbe sporto
un reclamo. Gli impiegati della società funebre già interrogati. Il colpevole di una simile
mostruosità restava comunque sconosciuto. Avevano ordinato all’assistente Furetto di
occuparsene perché tanto era una causa persa. Poteva indagare tra una multa e l’altra.
Stramonio si informò sul luogo dove il corpo della ragazza veniva conservato e fece gli auguri
al poliziotto che si allontanò sempre sbuffando. Avevano un nuovo caso grazie alla polizia
municipale. Aprirono la libreria e mentre aspettavano l’ingresso di qualche cliente, cercarono
con una telefonata all’ospedale Gradenigo di farsi dare il nome della paziente deceduta e
violentata dopo morta. Il maniaco andava fermato. Al centralino dell’Ospedale, Godezia si
fece passare come cugina della ragazza e desiderava parlare con sua zia. Era tanto tempo che
non li sentiva e quella morte improvvisa l’aveva sconvolta. Non si ricordava il telefono
probabilmente cambiato con un nuovo numero dopo il trasloco. Inanellò una serie di balle
intontendo la centralinista che oberata dal lavoro, finì per fornirgli il numero privato della
madre. Dal numero fisso risalirono all’indirizzo e stabilirono di presentarsi dalla signora per
porgerle le condoglianze e per trovare il modo di punire il colpevole. La sera indossarono
entrambi il costume di scena. Stramonio quello del serio professore, vestito con un abito
classico quasi da matrimonio e Godezia da rampante segretaria di direzione. A tracolla la
sacca in cotone canvas con le attrezzature per l’indagine in corso. La madre della defunta
viveva in via Fontanesi, non molto lontano dall’ospedale dove il corpo veniva custodito prima
delle esequie. Salirono al terzo piano qualificandosi come personale sanitario. Il ruolo non
richiedeva tesserini e Stramonio con la sua personalità era credibile quale medico dell’Ufficio
di Igiene. La signora fu stupita della sollecitudine e rapidità dei due funzionari. Aveva sporto
denuncia soltanto il mattino. Stramonio la rassicurò che le autorità non prendevano alla
leggera una simile dichiarazione e chiedeva una autorizzazione scritta da esibire al personale
della camera mortuaria per poter esaminare il corpo e fare delle fotografie. La madre non
aveva nulla in contrario e compilò un formulario preparato da Stramonio al computer con una
falsa intestazione dell’Ufficio di Igiene. Presero le generalità della donna, l’autorizzazione per
visionare la salma e poi abbracciarono la donna garantendogli che avrebbero scoperto il
colpevole. Alle nove di sera si presentarono in Ospedale per conferire con il responsabile
della camera mortuaria. Il personale di sorveglianza nonostante la lettera di autorizzazione
della madre non voleva lasciarli passare. In quale ufficio lavoravano? Godezia cercò di
distrarli con un ripetuto battito di ciglia aprendo con noncuranza il bottone della camicetta
mettendo in mostra i suoi doni naturali, ma i due agenti della sorveglianza troppo ligi al
dovere o forse una coppia gay, non mostravano interesse e si stavano innervosendo. Da un
ascensore uscì per fortuna il dottor Pennuto stanco ed accaldato dopo un lungo turno al
reparto psichiatrico. Salutò i due investigatori dell’occulto con calore e li presentò alle
guardie come suoi amici personali. Lesse l’autorizzazione della madre a visionare il corpo della
defunta e si rese disponibile ad accompagnarli alla camera mortuaria. Che cosa stavano
combinando? Non si erano più verificati incidenti dopo il loro intervento. Indagavano su
un’altro caso? Poteva partecipare? Erano solo le 21,30 e a casa non aveva nulla da fare a parte
guardare il telegiornale e sorbirsi le solite balle in compagnia dei suoi gatti. Stramonio e
Godezia erano molto felici della sua assistenza e si diressero tutti e tre nel sotterraneo
dell’ospedale. Le guardie di sicurezza arrese al potere del camice bianco, tornarono come due
bravi cagnolini alle loro postazioni, sbirciando con interesse una partita di calcio in fase
conclusiva. Il sotterraneo era illuminato dalle luci al neon, senza strani ed inquietanti bagliori
come nel film Reanimator. Perfettamente pulito odorava di disinfettante. Una corrente di aria
fresca spazzava l’area senza sosta rinnovata dai condizionatori e non per la presenza di
mostruose entità soprannaturali. Il talento di Stramonio gli consentiva di vedere oltre la soglia
del visibile di un mondo ordinario dove gli incubi alla Edgar Allan Poe, rimanevano relegati
tra le pagine dei libri. Nella camera mortuaria non c’erano esseri viventi. Solo il riflesso
ondeggiante di una ragazza nuda sui venticinque anni che si trovava presso i loculi in metallo
della stanza adibita anche ad autopsie. Godezia aveva avvertito qualcosa ed indicava nella
direzione dell’apparizione, mentre il dottor Pennuto li osservava affascinato cominciando a
ciucciare la sua sigaretta elettronica come latte dalla mammella di una badante. Stramonio si
era avvicinato alla figura tremolante della ragazza. Appariva e spariva come un foglio di
carta velina. Non mostrava la consistenza paurosa dei morti rappresentati nei telefilm horror.
Stava li nuda a fissarlo con uno sguardo incredulo. Probabilmente come tutti cercava di
rientrare nel corpo morto all’interno del loculo di metallo, ed il fatto di non riuscire a svegliarsi
la faceva indispettire. Trascorrevano circa settanta giorni secondo la letteratura spiritista
prima che il defunto si accorgesse di non essere più tra i viventi. Nel frattempo indugiava
vicino alla tomba se nessuno dei parenti deceduti andava ad accoglierlo. Nuda, senza l’abito
funerario per l’esposizione del corpo nella camera ardente. Si consiglia sempre di vestire il
morto o resterà nudo per centinaia di anni fino alla completa dissoluzione durante
l’assorbimento nel mondo astrale. Queste informazioni Stramonio le aveva apprese durante il
suo corso di laurea come dottore in Scienze Esoteriche. La ragazza continuava a fissarlo come
se chiedesse spiegazioni. Si sedettero tutti e tre intorno alla deceduta. Il dottor Pennuto
ciucciava a più non posso la sigaretta elettronica. Godezia era investita da una corrente gelida
da far rabbrividire mentre Stramonio prelevava dallo zainetto vintage della Barbour, il
registratore a nastro cominciando a porgerle delle domande. I morti e le creature da incubo
che infestavano l’etere poteva vederli ma non parlarci senza l’ausilio di una strumentazione
adeguata. Prima di tutto gli chiese il nome, poi le ricordò del decesso avvenuto per un
incidente. Sul registratore arrivarono le risposte con una voce che risuonava come se la ragazza
non fosse vicino a loro ma in fondo ad un pozzo. Si chiamava Laura e non era morta. Era troppo
giovane e il giorno dopo doveva recarsi alla festa di compleanno del suo ragazzo. Le piacevano
gli uomini e questo fece storcere il naso a Godezia che perdeva la testa solo per la compagnia
femminile. Stramonio continuò ad insistere sul fatto della mortalità dell’incidente. Se mentiva
perché continuava a stare nella camera mortuaria? Ci fu un lungo silenzio inciso sul
registratore. Poi la voce riprese e chiese come doveva fare per lasciare l’ospedale. Stramonio le
consigliò di concentrarsi su un luogo a sua scelta e ci sarebbe andata subito. Però prima di
andarsene definitivamente volevano sapere se qualcuno avesse giocato con il corpo che
giaceva nel frigorifero in attesa di essere consegnato dopo l’autopsia alla società funebre.
Giocato? Nessuno ci aveva giocato a parte la scopata non richiesta con quello delle pulizie
all’interno della camera mortuaria. Godezia era saltata sulla sedia ed anche il dottor Pennuto
era impallidito. Tra gli operai dell’ospedale lavorava un necrofilo? La ragazza morta aveva
dato ulteriori particolari. Il tizio addetto alla sanificazione si chiamava Faruk e quando era
solo approfittava dei corpi morti delle ragazze durante le pause tra i turni. Sanctum Regnum!
Avevano trovato il colpevole ma mancavano le prove. La ragazza gli disse di guardare in uno
dei cassetti chiusi dell’armadio dei teli mortuari. Custodiva un cellulare utilizzato dal
necrofilo per fare le riprese delle sue scopate. Faruk piuttosto bruttino non trovando conforto
con le vive o con i filmati hard dei siti web, si adattava ai corpi freddi e sempre consenzienti
delle giovani decedute. Era stato un brutto periodo quell’estate per i numerosi incidenti in
motorino e molti giovani avevano perso la vita perché senza casco. Stramonio andò a
controllare il cassetto ma lo trovò chiuso e quando tornò vicino ai loculi refrigerati la ragazza
era sparita. La camera mortuaria ospitava soltanto esseri viventi. Il mistero era stato
brillantemente risolto ed il dottor Pennuto affascinato dall’indagine dei suoi due nuovi amici.
Se avevano bisogno di una consulenza medica potevano chiamarlo anche di notte e se si fosse
presentato qualche caso insolito li avrebbe avvisati tempestivamente. Per chiudere l’inchiesta
bisognava convincere l’assistente Furetto della Polizia Municipale: il colpevole lavorava
all’ospedale e le prove a sua completa disposizione nascoste in un cassetto. Erano ormai le
undici di sera e occorreva rientrare in libreria per trascorrere la notte in un riposo assoluto.
Voleva proprio vedere se alle sette Godezia si sarebbe svegliata per celebrare nuda i suoi riti
magici intorno al salice piangente. Il giorno seguente Stramonio si svegliò alla solita ora per le
abluzioni quotidiane ed il rito del caffè e naturalmente Godezia dormiva alla grande. Le
emozioni della sera appena trascorsa alla caccia del fantasma di una ragazza nuda l’avevano
spossata e sicuramente i suoi sogni erano stati del genere erotico. Quella mattina sarebbe
arrivata Antea tirocinante all’Antica Bottega Artigiana di via Barbaroux , per cominciare i
lavori di restauro dei suoi appartamenti e doveva riceverla riposata. Stramonio all’apertura
del portone affacciato su via dei Mercanti, trovò la ragazza ad aspettarlo con la sua borsa degli
attrezzi. I capelli scuri a ricci lavati di fresco con un buon odore di balsamo e lei li muoveva con
movimenti aggraziati scostandoli dalle spalle con le sue mani bianchissime e ben curate. Gli
occhi verdi emanavano una serenità interiore che diffondeva la calma assoluta di una
giornata primaverile in alta montagna, circondati da vette altissime ed innevate, specchiate
sulla superficie di un lago placido e profondo. Non era vestita. Era infagottata in un abito di
tela. Solo con il movimento si intravedeva la terza di seno tra le pieghe della tuta da lavoro.
Indossava un paio di scarpe da ginnastica di tela bianca sformate e consunte dall’uso. Una
bellezza nascosta e discreta. Sarebbe entrata nel suo santuario privato e tutto per rendere
piacere alla sua nipote acquisita. Godezia dopo essersi svegliata, fatta una doccia ristoratrice,
indossò la più bella tunica colorata della Desigual, la sua marca di abbigliamento preferita, in
onore della maliarda restauratrice. Aspettava la coppia ai piedi delle scale del piano
superiore sorridente e felice mostrando la dentatura bianchissima e perfetta. Le due ragazze si
abbracciarono a lungo confermando i sospetti di Stramonio della nascita di qualcosa di più di
una semplice amicizia. Nel locale al primo piano, tempio privato del titolare e suo rifugio dal
mondo reale, Antea ispezionò con molta professionalità tutti i mobili del seicento trovandoli
parecchio tarlati. Quando si chinò verso l’armadio a quattro stagioni mettendo in mostra il suo
posteriore perfetto, Godezia cadde in estasi. Una lunga contemplazione mentre Antea
lavorava con precisione accarezzando tutte le superficie con le sue mani perfettamente
modellate. Solo una delle porte dell’armadio necessitava di una riparazione, per il resto
bastava disinfestare i mobili con una soluzione da immettere nei buchi tramite una siringa,
iniettando nelle gallerie prodotte dai tarli, il veleno risolutore. Stramonio lasciò le due ragazze
da sole e ricordò a Godezia che il suo lavoro di commessa l’aspettava al piano inferiore.
Poteva sempre risalire a vedere Antea per il rito obbligatorio della limonata fresca durante
una pausa dall’opera di restauro. Stramonio si recò in via Palazzo di Città alla sede dei Vigili
Urbani per contattare l’assistente Furetto e metterlo al corrente della scoperta del colpevole
alla camera mortuaria dell’Ospedale Gradenigo. Andare al Municipio non era piacevole.
Troppa gente in divisa. Pericolosa con i commercianti e dalla multa facile. Superata sotto il
colonnato la statua di Carlo Alberto, il magnanimo splendore del trono sabaudo, elargitore
dello Statuto ai suoi popoli propugnatori dell’indipendenza italiana, si era affannato nella
ricerca dell’assistente Furetto con l’agente di guardia ma non era ancora arrivato in ufficio.
Gli pregarono di attendere nell’ingresso agli uffici, seduto su una delle panche in pietra.
Intorno scorreva caotico il traffico dei commercianti multati eccessivamente, i poveri negri
arrestati per vagabondaggio e questua molesta e le solite prostitute con i seni imbottiti di
silicone. Una umanità sofferente tra gli impiegati dal posto fisso del Comune di Torino.
Un valido motivo per seppellirsi nell’oasi felice della sua libreria. Una signora di mezz’età si
stava lamentando al bancone di ricevimento per la terza notifica di una multa per divieto di
sosta. La sua auto era stata venduta tre anni fa e quindi non poteva essere lei ad incorrere
nell’infrazione. Volevano smetterla di importunarla! Il vigile di servizio si scusò ripetutamente
dell’increscioso incidente. La colpa era del computer. Il database non veniva aggiornato per
mancanza di personale. Ma se la maggior parte degli agenti invece di lavorare in strada
teneva il culo incollato su una sedia! La stava prendendo in giro?! Stramonio era a disagio per
la guardia che non sapeva più come rispondere al tono veemente della donna spalleggiata
nella sua esposizione da uomo giovane, probabilmente il figlio. La donna doveva calmarsi o
l’avrebbero arrestata con l’accusa di insulto a pubblico ufficiale. L’assistente Furetto arrivò con
mezz’ora di ritardo per aver multato un ristorante cinese: causava scarichi maleodoranti nel
cortile di un condominio. Diversi proprietari si erano lamentati con ragione e l’attività
rischiava la chiusura. Come al solito in alta uniforme sprizzava insofferenza per la razza umana
da tutti i pori. Stramonio lo salutò seguendolo docilmente nel suo ufficio in uno stanzone pieno
di scrivanie e di telefoni che trillavano in continuazione. Capiva perché fosse sempre irritabile
e stressato. Gli dette le informazioni sul caso della ragazza molestata dopo il decesso e di come
il colpevole fosse facilmente individuabile per l’arresto. Stramonio pensava di aver risolto il
problema in poco tempo ma il poliziotto voleva sapere tutti i particolari dell’indagine abusiva
condotta con la complicità della sua nipote troppo carina per essere una nipote che
assomigliava più ad una badante o a una danzatrice di Lap Dance. Stramonio fece il nome del
dottor Pennuto dell’Ospedale Gradenigo ed il funzionario sembrò ritrovare la calma. Avevano
agito con il consenso della madre e grazie ad un informatore anonimo scoperto il colpevole.
Poteva sempre controllare la sala mortuaria, requisire il cellulare dell’inserviente e arrestarlo.
Non c’erano testimoni oculari a parte il video. Il merito dell’arresto sarebbe stato suo e
Stramonio non voleva figurare nel rapporto. La sua sincerità convinse il poliziotto. Tra una
imprecazione e l’altra per la pessima giornata, uscì nel parcheggio delle auto di servizio
diretto verso l’ospedale Gradenigo, ordinandogli di mantenersi a disposizione per ulteriori
chiarimenti. Avere a che fare con la polizia locale comportandosi come cittadini modello è un
vero problema. Stramonio era reperibile in libreria ed assicurò l’assistente Furetto che non
avrebbe fatto una brutta figura. Fare una buona impressione ed essere gradito ai superiori era
il suo scopo o non avrebbe aggiunto un grado alla sua divisa di schiavo dell’autorità comunale.
Stramonio ritornò dalle due ragazze tutto accaldato per lo sforzo ed il brutto quarto d’ora
passato con il poliziotto. Anche quando avevi ragione ti facevano sentire colpevole
multandoti con un inventiva degna di un artista. Gli esseri umani erano più spaventosi di
quelle cose mostruose ed invisibili per la gente comune. Godezia dietro al bancone, stava
trattando con un cliente una rara edizione dell’opera di Bertolotti Davide: “ Descrizione di
Torino” delle edizioni Pomba, datata 1840 in 8°e di 470 pagine. Una bella legatura editoriale
in cartoncino a stampa con lo stemma della città inciso al piatto anteriore. Testo a pieni
margini, parzialmente intonso. Prima edizione. Pregiata guida di Torino corredata della
grande pianta della città più volte ripiegata. Esemplare non venale su carta calandrata.
Faceva sfoggio delle sue conoscenze con la camicetta sbottonata, invogliando con i movimenti
del corpo più delle parole all’acquisto, il giovane signore distratto dalla sua bellezza. Antea
aveva finito l’opera di disinfestazione dei mobili antichi e riparato la porta dell’armadio con
una maestria da artigiana esperta. Seduta su uno sgabello, sorseggiava con calma la limonata
fresca preparata da Godezia in un momento di pausa. Il suo sorriso placido e tranquillo la
rendeva indiscutibilmente un capolavoro. Stramonio l’avrebbe presentata a qualcuno dei suoi
clienti perché la ragazza meritava il lavoro. Verso mezzogiorno arrivò al telefono fisso, l’unico
presente nella libreria, una telefonata dall’assistente Furetto. Voleva ringraziarlo per la
soffiata. All’ospedale Gradenigo aveva arrestato l’inserviente necrofilo. Si era fatto aprire il
cassetto contenente lo smartphone incriminato dal medico in servizio e dopo avergli cambiato
la cover l’aveva lasciato acceso su uno dei tavoli della camera mortuaria durante il turno.
Dato che al telefono si poteva accedere soltanto con l’impronta digitale, il povero Faruk si era
incastrato da solo essendo stato l’unico a rispondere. Sul cellulare diversi filmati lo accusavano
di molestie ai cadaveri per almeno altri quattro casi non denunciati. Il comandante dei Vigili
Urbani lo aveva ringraziato personalmente per l’ottimo lavoro svolto e gli aveva assicurato
una sicura promozione. Il poliziotto straordinariamente gentile ed euforico garantii a
Stramonio che se si fossero presentati casi particolari come quello della camera mortuaria lo
avrebbe di sicuro consultato. L’hobby delle investigazioni occulte stava per diventare un
lavoro a tempo pieno. Pranzarono tutti insieme festeggiando con un brindisi a base di tè alle
erbe e dopo aver salutato Antea con un abbraccio lasciandola ritornare alla sua bottega
artigiana, i due investigatori dell’occulto si diressero alla stazione ultramoderna di Porta Susa
per ricevere da Damanhur la dottoressa Gardenia esperta in antichi linguaggi.
La stazione affollata dall’intenso traffico dei viaggiatori, si manteneva perfettamente pulita
grazie all’ottimo servizio di cleaning service armato di disinfettante. Molte turiste giovanissime
avevano attirato l’attenzione di Godezia piacevolmente distratta dalle gonne corte e dalle
magliette attillate. La dottoressa Gardenia li stava aspettando alla sala d’attesa del Treno
Italo. Vestita con un abito di tela sgargiante, sfoggiava una coloratissima pettinatura da gay
pride. Dopo aver posato un vaso con una pianta di ortensie stretta in grembo come un
bambino, abbracciò Godezia chiamandola affettuosamente Cinciallegra il suo nome di
battaglia a Damanhur. Le rivolse sorridendo il saluto rituale a mani giunte: “Con Te e per Te. “
Il viaggio era stato breve grazie alla compagnia dei simpatici passeggeri nella carrozza
ferroviaria. Gli era dispiaciuto lasciare la città splendente ed il tempio dell’Umanità a cui era
devota, ma per la sua ragazza avrebbe attraversato l’oceano. Anche il vaso di ortensie, di
ottimo umore grazie ad un particolare apparecchio a cui era collegato, suonava una musica
melodiosa e rilassante. Stramonio rimase incuriosito dai gioielli a forma di spirale che la loro
ospite portava al collo e dall’anello con una splendente pietra preziosa. Vibravano come se
una forza li possedesse. Non erano semplici monili. Complesse architetture con le quali una
creatura selfica decideva di entrare in simbiosi con l’ospite che li indossava. La selfica è una
specie di possessione benevola. Queste creature ultra luminali vengono accolte da un corpo
materiale donando in cambio protezione e stimolando la rigenerazione dell’Aura. Le creature
selfiche ed il mondo magico dello sciamanesimo studiato dall’antropologo Michael Harner.
Spiriti buoni che si manifestavano soltanto in uno stato alterato di coscienza ma ben visibili da
Stramonio per la sua particolare attitudine. Attraversarono la città a piedi. Le due ragazze ed
il vaso di ortensie davanti a chiacchierare, dietro Stramonio con i bagagli dell’ospite.
Accucciata a terra con la schiena contro il portone chiuso della libreria, la bella Antea era
venuta a controllare il lavoro di disinfestazione sui mobili del seicento. Dove avrebbe dormito
la dottoressa Gardenia? Certo non nell’albergo Orchidea. Godezia cedette il suo letto
venendo ospitata da Antea nell’appartamento di via Barbaroux. Purtroppo le due giovani
ragazze dovevano condividere lo stesso letto. Un grande sacrificio! Antea diventò rossa come
un pomodoro maturo per l’emozione ma era contentissima di entrare finalmente in intimità con
la sua bella amica. La dottoressa Gardenia avrebbe passato il resto del pomeriggio e la sera a
discutere con Stramonio per trovare una soluzione al problema dei demoni utilizzando il
patrimonio di conoscenza raccolto e conservato in quarant’anni a Damanhur. Mentre le due
piccioncine correvano verso il talamo per una lunga notte insonne, Gardenia e Stramonio si
sedettero ad uno dei tavolini in mogano, in attesa di qualche cliente. Studiarono insieme come
due bravi ricercatori universitari, un metodo scientifico sfruttando il patrimonio librario di
linguistica della biblioteca privata nascosta nel sotterraneo. Il latino ed il greco non
funzionavano con i demoni che si limitavano a cessare temporaneamente l’infestazione.
A Damanhur utilizzavano un vocabolario di lingua sacra fornito in fotocopia a Stramonio e le
carte stavano sparpagliate sul desco vicino alle riviste di bibliofilia internazionale.
Il dizionario era costituito da segni e parole da interpretare con un gesto appropriato.
Una sorta di danza cantata per dissuadere il demone da nutrirsi dell’energia dell’ospite.
Passarono la giornata a studiare in tutte le combinazioni un testo senza farlo sembrare un
invocazione a una divinità pagana o una maledizione ad un essere satanico come usava la
chiesa cattolica. Durante le pause Stramonio si era divertito ad imparare il funzionamento
dello smartphone giocando con un videogioco caricato dalla dottoressa Gardenia sul suo
cellulare: Pac Man, un ottimo antistress. Tutti i trattati consultati di secoli di magia risultarono
praticamente inutilizzabili. L’utilizzo del cerchio era importante per la forma perfetta quando
racchiudeva l’oggetto da proteggere e quindi per il demone da evitare. Il bianco del sale li
fermava temporaneamente, il colore rosso come il sangue, li imprigionava fino a quando
venivano liberati come aveva fatto Stramonio con il demone eiaculatore di Godezia, sparito a
caccia di una nuova preda. Una volta creato il linguaggio andava sperimentato verificandone
sul campo l’efficacia. Seguendo il Dizionario della Lingua Sacra curato dalla responsabile di
Damanhur, costruirono dei comandi verbali da rivolgere alle creature: Sigillo, Testo e Danza.
Un vocabolario umano-demone di facile utilizzo sotto la supervisione di un sensitivo.
Si ritirarono nelle rispettive stanze verso mezzanotte. La dottoressa Gardenia nella camera di
Godezia impegnata a studiare anatomia con la bella Antea. Stramonio collassò tutto vestito
per la stanchezza su uno dei divani. Alle sette del mattino si era svegliato sentendo cigolare il
portone di ingresso alla sua libreria. La dottoressa Gardenia dormiva ancora e la sua pianta di
ortensie riceveva i primi raggi del mattino sul davanzale affacciato nel giardino. Stramonio
sbirciò di sotto nel prato. Seduto su una delle panchine suo padre defunto, si stava godendo lo
spettacolo di due ragazze nude che danzavano sotto il salice piangente. Sanctum Regnum! La
finestra della camera da letto avrebbe dovuto farla murare?! Consumò il caffè dalla pregiata
miscela arabica e preparò altre tazze per le sue ospiti. Forse una cioccolata calda sarebbe stata
più appropriata con tutte le energie consumate nella notte. Quando scese al piano terra erano
tutte tre vestite e sorridenti. Godezia magnificò entusiasta la bellissima nottata, confermando
la grande abilità di Antea nei lavori manuali. Affermazione il cui doppio senso aveva causato
nella giovane artigiana l’esplosione da infarto di un rossore sulle guance. Il tatto e le buone
maniere non erano una prerogativa della giovane Cinciallegra. La dottoressa Gardenia aveva
dormito comodamente e riso con soddisfazione alla battuta a luci rosse. Dopo il rito del caffè
avrebbero sperimentato tutti insieme, i comandi da utilizzare contro le creature che
infestavano la città di Torino. Le tre donne si disposero a piedi nudi nel prato e seguendo le
indicazioni di Stramonio, iniziarono un ballo cantato. Naturalmente il dottore non partecipava,
non voleva togliersi le pregiate scarpe di cuoio. Mimava goffamente i passi di danza dal
sentiero in ghiaia ai bordi del giardino. Provarono tutta la domenica i testi creati la sera
precedente, divertendosi a ballare in compagnia del vaso di ortensie e del salice centenario
che garantivano la colonna sonora all’esibizione. Dopo una pausa veloce per il pranzo a base di
frutta e verdura innaffiate da una spremuta di arancia continuarono a mimare quella specie di
Tai Chi cantato per tutto il pomeriggio.
Creatura: Sel
Antica: Alpeà
Aliena: Ne
Spirito Superiore: Ase
Cosa da eseguire: Utej
Stop, fermati: Isi
D’ora in poi:Nai
Imposizione di forza: Men
Lasciare: Lle
Liberare:Col
Muovere verso: Apel Jae
Ora in questo momento: Era
Raggiungere:Altis
Ritornare:Ariel
Origine:Dot
Porta Spaziale: Olat Caos
Porta Temporale: Olat Pèa
Posto Primordiale: Alpeal
Sacro luogo dello Spazio: Daij Caos
Velocemente:Vallaa
Casa: Mil.
Da unire ad un testo simile la danza dei sigilli da interpretare con una ritualità gestuale:
Cosa vecchia: Almoà
Antica: Alpeà
Con Energia: Adonaj-Noi: Bet
Ordinare: Haìtir
Ritornare: Ariel
Ora, adesso:Era
D’ora in poi: Nai
Porta del Tempo: Olatpeà
Cosa da eseguire: Utej
Finire, Stop:Isi.
Crearono tutte insieme una efficace coreografia e Stramonio constatò con piacere l’abilità
delle ragazze nella danza e la voce di Godezia come la più intonata. Una voce bellissima e
armoniosa da incantare qualunque demone. Al termine della giornata la dottoressa Gardenia
dopo un giro turistico della proprietà di Stramonio, gli aveva consigliato per garantire una
difesa invalicabile al portone di ingresso, le protezioni energetiche di una istallazione selfica.
Potevano occuparsene gli abili artigiani di Damanhur in un weekend.
La proposta era interessante ma il lavoro costava parecchi crediti ed avrebbe dovuto ospitare
del personale estraneo a casa sua. L’antica libreria dei Mercanti sarebbe diventata un
territorio damanhuriano e il cambiamento come sempre lo spaventava. Limitare la sua
indipendenza ed iniziare una nuova vita con una comunità che definirla bizzarra era un
eufemismo. Organizzato il manuale dei comandi da usare sul campo di battaglia contro le
forze del male, accompagnarono la studiosa del mondo vegetale e la sua amica ortensia che
continuava a suonare una delicata musica d’arpa, fino alla Stazione Porta Susa.
Si abbracciarono tutti quanti. Stramonio era straordinariamente coinvolto da delle emozioni
mai provate per qualcuno che non fosse stato suo padre o suo nonno. La vita privata stava
cambiando radicalmente e forse la nuova attività di investigatore dell’occulto avrebbe
contribuito a migliorarla e a farlo uscire dalla solitudine della sua libreria. Anche la
domenica sera le ragazze avrebbero trascorso insieme la notte cementando la loro unione
sentimentale mentre Stramonio impegnava la serata nella cura della contabilità aspettando
una chiamata telefonica da qualche cliente affetto da problemi di natura esoterica. Purtroppo
Don Berengario non aveva ascoltato nulla di particolare durante il rito della confessione, le
purificazioni richieste dai fedeli riguardavano peccati di natura veniale e nessuno si era
lamentato di infestazioni o presenze demoniache. Sanctum Regnum! Satana ad Agosto andava
in vacanza? Ma l’Inferno non era sempre aperto? Nemmeno il dottor Pennuto ricordava strani
casi all’ospedale Gradenigo. Stramonio aveva salutato con affetto i suoi nuovi amici
dispiaciuto di non poter rientrare subito in azione. Dopo un paio di giorni della solita routine
in libreria tra clienti occasionali, turisti e bibliofili dalle insolite pretese, apparve sulla
segreteria telefonica uno strano messaggio. La sacerdotessa della Scuola Esoterica dell’Isola di
Sant’Alessio di via Stampatori, voleva vederlo con una certa urgenza. La dottoressa Eliana li
avrebbe ricevuti nel palazzo del cinquecento poco distante, dove gestiva il suo corso serale.
Una dimora rinascimentale unica a Torino, affrescata da dipinti del pittore Parentari nel
lontano 1603 su commissione dell’Abate Filiberto Scaglia. Stramonio era veramente su di giri.
Avvisò Godezia di tenersi pronta e di ripassare il vocabolario della lingua sacra creato per
combattere i demoni. Se non fosse stato astemio avrebbe brindato con la sua bella assistente
stappando una bottiglia di spumante. La sera dell’incontro si erano vestiti con i loro abiti di
scena per apparire il più possibile professionali. Stramonio indossava un completo Algozzini
da cerimonia e Godezia un vestitino di tela molto castigato con un filo di trucco ed una collana
di perle finte. Attraversarono verso le ore 21 via Barbaroux, superando piazzetta
dell’ Università dei Mestieri Minusieri, sede di una biblioteca comunale e covo di
professoresse senza cattedra, relegate al rango di inservienti e custodi dell’ambita chiave
magica dei gabinetti pubblici. Suonarono al campanello del pesante portone e vennero
introdotti in un chiostro medievale. Sulle pareti del colonnato le pitture rinascimentali
narravano scene di vita quotidiana degli abitanti del borgo. Oltrepassarono il porticato e
dopo un uscio a vetri colorati, l’ingresso in un giardino adornato di un albero dalla folta
chioma circondato da una aiola e pilastri in marmo. Una colonna corinzia sormontata da un
cerchio come monumento, nell’erba curata dai giardinieri del chiostro.

Poco distante un arco in pietra introduceva ai sotterranei del palazzo e una signora dell’età di
Stramonio completamente vestita di nero con una folta capigliatura corvina, li invitava a
seguirla giù per la ripida scala. Non mostrò alcuna emozione stringendo loro la mano ma si
soffermò a lungo per guardare Godezia, intimorita dalla forte personalità della donna.
Scesero al sotterraneo seguendo l’istitutrice del culto, calpestando la scalinata in selce antica
consumata dal tempo. Le pareti in roccia scavate a mano, erano imbiancate di calce viva.
Il bianco della pittura riverberava sinistro per le torce al neon accese ed imprigionate sui muri
da maniglie di metallo brunito. Il pavimento era costituito da lastroni di granito consumati per
il calpestio delle vestali durante i secoli. L’atmosfera appariva pittoresca, misteriosa ed
inquietante ma Stramonio non si fece intimidire. Aveva un obiettivo ben definito: individuare
un demone e provare su di lui le formule messe a punto per sbarazzarsene. La sacerdotessa li
fece accomodare su un divano in fondo alla sala. Il locale occupava tutto il sotterraneo per
circa centocinquanta metri quadrati ed era diviso in settori, ciascuno con una funzione ben
precisa. Sei letti con armadi per contenere gli abiti. Dei tavoli e delle sedie per consumare
assieme i pasti come una comunità monastica. Sul fondo delle docce ed attrezzature per la
celebrazione dei riti. Al centro del sotterraneo un pentacolo nero davanti ad un trono di legno
raffigurante un caprone dalle fattezze umanoidi. Luogo adibito alle celebrazioni orgiastiche
dedicate al dio Satana il serpente tentatore. La dottoressa Eliana era stata una delle
fondatrici della setta delle Ierudole di Ishtar dedite alla prostituzione sacra a Pescara. Aveva
stabilito di trasferirsi a Torino e di aprire quella scuola esoterica nell’addestramento di giovani
ragazze per soddisfare qualunque esigenza richiedessero i clienti. Tutti membri di una loggia
satanista dedita alla messa rossa del sesso rituale. Godezia era molto interessata. Praticava la
magia bianca ma l’idea di conoscere ragazze dal sesso facile non la dispiaceva. Mentre erano
seduti e stavano bevendo uno strano intruglio alle erbe al chiarore delle torce e tra i vapori
dolciastri che uscivano dai tripodi, entrò nella sala un cane pastore completamente nero. Si
avvicinò uggiolando verso la sua padrona. La sacerdotessa lo accolse in un abbraccio e mentre
parlava con Stramonio cominciò ad accarezzare l’animale nelle parti basse palpeggiandogli i
genitali senza alcun ritegno. Stramonio non aveva mai visto un cane più felice.
Sanctum Regnum! Ma dove era capitato? La dottoressa Eliana insegnava alle allieve come
soddisfare qualunque desiderio venisse loro richiesto dai clienti e dovevano prodigarsi con le
loro carezze anche verso il suo cane. Godezia diventò sul volto, rosso porpora e non per il calore
delle torce. Capiva il sesso lesbico ma con gli animali non ci aveva mai pensato. Stramonio era
rispettoso di tutti i culti e mentre parlavano del motivo della loro visita, finse di non vedere i
continui toccamenti dei genitali al pastore tedesco che respirava come se avesse terminato
una gara di corsa. Da circa un mese durante i riti orgiastici insegnati alle allieve, si erano
verificati strani svenimenti. Le ragazze apparivano eccessivamente affaticate ed indebolite.
Non ne capiva la causa. Venivano nutrite a base di carne fresca che lei stessa sceglieva con
cura al mercato, in modo da mantenerle sempre in forze per prodigarsi al meglio nel sesso di
gruppo. Sicuramente il colpevole non era il loro padrone e signore Satana servito con la
massima devozione. Doveva esserci qualcos’altro a presenziare i riti ed occorreva
assolutamente scoprirne la causa. Stramonio si sentiva perplesso. Dalle sue letture il culto
satanico era una pura invenzione. Giustificava solo la prostituzione alla quale le ragazze
venivano costrette. Satana nella Bibbia è una funzione assunta pro tempore come pubblico
accusatore nei confronti di un rivale. E’ un ruolo limitato nel tempo. L’Elohim Kamosh a capo
dei Moabiti e soprannominato Baal Peor, nella traduzione greca delle sacre scritture diventa
Balfegor trasformato dalla Chiesa Cristiana in Belfagor. Baal Zavuv è Belzebù, il Signore
delle Mosche. Lucifero, la stella portatore di luce, viene citato nel libro di Isaia come attributo,
forse a Nabucodonosor o a Nabonedo per canzonare il re babilonese. Il dio della Bibbia
Yahvhe ha nei suoi rivali Elohim i demoni della Chiesa cristiana. Il motivo pratico per cui gli
esorcismi del famoso padre Amorth duravano anche degli anni. I demoni non parlano il
linguaggio della Chiesa e abbandonano un corpo per semplice noia o dopo averli privati delle
loro energia vitale. Quella sera era sabato, e le studentesse venivano a studiare alle dieci
precise. A mezzanotte si sarebbero dedicate al Valpurga day settimanale, accoppiandosi sul
pentacolo con gli schiavi custoditi nei contenitori sacri. Stramonio aveva capito bene? Di
quali schiavi stava parlando la megera?Alle ragazze non interessavano gli uomini ma nel
culto satanico bisognava fare sesso senza discriminazioni e si allenavano con gli schiavi gay
ospitati nella cripta. Godezia sbiancò inorridita. Il sesso era un piacere non un obbligo
religioso. Mentre la sacerdotessa li accompagnava nella cripta, Stramonio osservò con
attenzione il sotterraneo per individuare strane presenze ma il luogo non appariva infestato.
Doveva solo pazientare e sopportare il vaniloquio della sacerdotessa ancora per qualche
tempo. Probabilmente una telefonata all’assistente Furetto della Polizia municipale sarebbe
stata obbligatoria il lunedì mattina. La dottoressa Eliana li condusse in un locale molto freddo
con un pavimento di terra battuta. Accostati ai muri tre bauli di legno con un rivestimento in
velluto rosso. Ma gli schiavi gay di cui parlava dove vivevano? La temperatura diventò
ghiacciata quando la sacerdotessa confessò che aspettavano nei bauli. Venivano liberati
soltanto per l’addestramento delle ragazze e durante le cerimonie. Mangiavano prima dei riti e
se dovevano defecare lo facevano nel baule, nella solitudine e nell’oscurità. Così le aveva
ordinato in sogno il suo maestro Satana padrone e signore dell’Inferno. Quello era uno dei
momenti in cui Stramonio si rammaricava di non poter disporre del revolver a proiettili di
gomma. Quella donna era un incubo. Godezia iniziò a strattonarlo per la giacca. Aveva freddo
e per la prima volta nella vita non si sentiva a suo agio. Purtroppo dovevano lavorare ed avere
pazienza. La sacerdotessa con una pesante chiave aprì i grossi bauli dai quali uscirono tre
magre figure completamente nude con il volto coperto da una maschera di cuoio nero. Erano
molto obbedienti, con una docilità animalesca da fare pietà. Mentre Stramonio e Godezia
guardavano inorriditi, i tre schiavi vennero nutriti con della carne fresca servita in ciotole
come cani. Quando si erano lanciati sul pasto per la fame e la cattività a cui erano costretti, si
sentì abbaiare il pastore tedesco e poi ringhiare con ferocia verso le tre creature spaventate e
traumatizzate. L’animale si avvicinò alle ciotole abbandonate per la paura, ed iniziò a
consumare il pasto degli schiavi. La sacerdotessa esplose in una risata da film dell’orrore molto
pittoresca poi allontanò il cane tirandolo per il collare in modo da consentire ai tre servi di
tornare a nutrirsi. Quella sera dovevano darci dentro o Satana in persona li avrebbe puniti con
il fuoco eterno. Stramonio e Godezia vennero accompagnati nuovamente nel salone, in tempo
per l’arrivo delle sei ragazze che costituivano il corpo studentesco della scuola satanica.
Fisicamente erano tutte belle ma il loro sguardo ricordava quello delle schiave rapite, stordite
dalla droga e costrette alla prostituzione. Salutarono con deferenza la sacerdotessa che le
accoglieva baciandole sulla bocca e tastandole come quarti di bue. Molto ossequiose con
Stramonio e Godezia scambiati probabilmente per clienti. I due investigatori dell’occulto si
fecero da parte e lasciarono la loro ospite ad una lezione teorica di magia nera aspettando il
calare della notte per vedere se il mostro si sarebbe fatto vivo a disturbare anche quella volta
gli esercizi pratici delle studentesse del culto satanico. Mentre la dottoressa intratteneva le sue
allieve con l’esercizio rituale del fallo di legno, Stramonio si era dedicato ad una ispezione
completa del sotterraneo alla ricerca di un punto di osservazione privilegiato da dove
avrebbero potuto intervenire prontamente durante l’apparizione del demone.
Pizzicò Godezia su un braccio ipnotizzata da tutte quelle ragazze nude avvinghiate nel sesso
mentre salmodiavano canti al loro signore e padrone Satana. Doveva smetterla di distrarsi e
prepararsi all’azione. Ma non era fidanzata con Antea? Come poteva paragonare un
capolavoro della natura con quello squallore? Godezia gli rispose che aveva solo un interesse
scientifico. Finalmente vedeva in pratica le sue letture sul satanismo e capiva l’importanza di
un culto benefico come quello praticato a Damanhur. A mezzanotte quando l’orgia era al
culmine e le ragazze praticavano del sesso orale con i poveri gay denutriti, una figura
mostruosa apparve all’ingresso della sala. Enorme con la forma di uno scarafaggio, frustava
l’aria con i suoi tentacoli trasparenti e vischiosi. Procedeva su sei zampe pelose ed articolate e
si avvicinava alle figure nude avvinghiate in un sesso sfrenato e privo di ogni inibizione.
Stramonio disegnò un cerchio bianco di sale davanti al pentacolo dove i corpi godevano
avvinghiati, lamentandosi per gli orgasmi multipli. Godezia si era posizionata in piedi, nel
cerchio a una decina di metri dalla grossa figura ributtante che aveva cominciato a succhiare
l’energia animica dai satanisti con i lunghi tentacoli trasparenti. Durante la suzione
apparivano luminosi per il passaggio della forza vitale. Stramonio tentò un contatto con la
creatura citando formule magiche in latino, greco, ebraico come da manuale, senza sortire
alcun effetto sul mostro che immobile nella stanza, succhiava come una pompa idrovora la vita
dai corpi nudi abbandonati agli orgasmi prolungati dell’estasi. L’Accadico, il sumero ed il
sanscrito risuonavano citazioni inutili e vane nel sotterraneo del palazzo cinquecentesco.
Godezia, in piedi nel cerchio bianco, aveva cominciato a danzare seguendo il ritmo della
lingua sacra, ripetendo a voce alta e poi cantando, ogni parola concordata con la dottoressa
Gardenia. Il demone, la creatura, lo scarafaggio gigantesco, ritirò i suoi tentacoli e sospese la
suzione dei corpi svenuti. Una delle sue ributtanti escrescenze luminose iniziò a frustare l’aria
davanti a Godezia protetta dal cerchio di sale. Stramonio aveva ripetuto anche lui le formule
mimate con la danza da Godezia che aveva ripreso a sottolineare i comandi nel linguaggio
sacro con il movimento.
Creatura: Sel- Antica: Alpeà -Aliena: Ne-Spirito Superiore:Ase-Cosa da eseguire: Utej-Stop,
fermati: Isi-D’ora in poi:Nai-Imposizione di forza: Men-Lasciare: Lle-Liberare:Col-Muovere
verso: Apel Jae- Ora in questo momento: Era-Raggiungere:Altis-Ritornare:Ariel-
Origine:Dot-Porta Spaziale: Olat Caos- Porta Temporale: Olat Pèa-Posto Primordiale:
Alpeal- Sacro luogo dello Spazio: Daij Caos-Velocemente:Vallaa-Casa: Mil.
La danza dei sigilli interpretava i comandi:Cosa vecchia: Almoà-Antica: Alpeà-Con Energia:
Adonaj-Noi: Bet-Ordinare: Haìtir-Ritornare: Ariel-Ora, adesso:Era-D’ora in poi: Nai-Porta
del Tempo: Olatpeà-Cosa da eseguire: Utej- Finire, Stop:Isi.
Il demone era proprio immobile, gli occhi giganteschi e neri come pozze di acqua melmosa e
putrida fissavano il vuoto. I tentacoli ritirati nelle sacche membranose e blasfeme dall’odore
ributtante. Riluceva nel chiarore delle torce al neon per l’energia succhiata dai corpi nudi
addormentati sul pavimento pitturato con il pentacolo nero dopo l’orgia rituale.
La sacerdotessa priva di forze, dormiva abbandonata sulla spalliera del trono satanista ed
anche il cane guardiano spossato dai palpeggiamenti alle parti basse, riposava soddisfatto.
All’ordine di andarsene il demone si era voltato e aveva iniziato lentamente ad abbandonare
il sotterraneo salendo la scala con le sue oscene zampe pelose, illuminata dalle torce al neon.
Stramonio e Godezia che si era rimessa i sandali tolti per poter danzare, lo stavano seguendo
impartendo ogni tanto l’ordine Nedai: Aspettare, imponendogli di fermarsi per consentire ai
due investigatori dell’occulto di raggiungerlo. Godezia non vedeva nulla. Percepiva davanti a
se un odore ributtante di zolfo, un sapore maleodorante di combustibile naturale emesso dalla
creatura ad ogni passo, solo Stramonio si rendeva conto che stavano seguendo il gigantesco
culo peloso di uno scarafaggio per le vie di Torino. La schifezza aveva oltrepassato via
Stampatori e si incamminava lungo via Corte d’appello con un’andatura lenta ma decisa come
se avesse un obiettivo ben definito. Attraversò via IV marzo fino a Piazza San Giovanni dove è
custodita la Sindone e attese davanti al duomo di San Giovanni Battista. Venne raggiunta da
altre creature simili per la mostruosità e l’ orrore che affluivano dalle vie laterali. Stramonio a
rapidi passi, trascinandosi dietro una Godezia, trotterellante, seguiva l’infernale processione.
In poco tempo le creature si erano moltiplicate e formavano una coda da incubo
completamente invisibile all’uomo comune. Superarono il ponte sulla Dora transitando sul
marciapiede vicino alle auto che circolavano indisturbate e si incamminarono lungo Corso
Regio Parco fino a raggiungere il Cimitero Monumentale, luogo di sepoltura delle salme dei
morti della città di Torino. Il cimitero è immenso e racchiude nel suo terreno le ultime spoglie
di coloro che hanno vissuto nei secoli lavorando nel sudore e nella fatica, nella gioia e nel
dolore fino al loro ultimo respiro vitale. La morte con la sua falce implacabile le ha spedite per
sempre nella dimensione eterica dove si nutrono gli elementali e le forze primordiali che
animano il pianeta da milioni di anni. Stramonio e Godezia seguivano le creature infernali al
centro del viale alberato fiancheggiato dalle panchine in legno. I barboni di ogni razza e
colore dormivano indisturbati nei sogni artificiali procurati dall’assunzione di un vino di
qualità scadente. Camminando sull’acciottolato in porfido nell’aria fredda della notte,
Stramonio prese dalla sua sacca in cotone canvas, due giacche a vento leggere con le insegne
della Protezione Civile acquistate in un negozio di antinfortunistica e ne aveva sporta una a
Godezia che l’aveva indossata tra i brividi. Seguendo le creature sarebbero probabilmente
arrivati al loro nido. Non c’erano esseri umani in quella zona. Alle tre del mattino solo qualche
scoiattolo addormentato ed i gufi in servizio per la caccia notturna.
Lungo corso Regio Parco i negozi chiusi di fiori fiancheggiavano la strada vicino alle sponde
del fiume Po. Si fermarono per riposare dando lo Stop/Isi al mostro che attese obbediente
lasciandosi superare dal nutrito bestiario. Per fortuna la creatura non era dotata di ampie ali
con cui spiccare il volo o l’inseguimento sarebbe stato impossibile.

Giunsero a destinazione nella frescura pungente. Tra i cancelli del campo santo appariva
spettrale la distesa di tombe. La costruzione del Cimitero Monumentale si presenta al
visitatore, come un ottagono delimitato in un quadrato di pari superficie. Circondato da un
muro di cinta alto quattro metri e costeggiato da una strada di comunicazione larga cinque
verso nord, est, ovest e di circa venti metri a sud, dove si aprono gli ingressi. I muri interni
dell’ottagono sono costituiti da grosse nicchie con lapidi, monumenti e cappelle private di
famiglia. La cripta sotto la Grande Croce dove convergono le diagonali dell’ottagono
circoscritto in un quadrato, è formata da un camerone interrato di proporzioni pari al piazzale
che corre in lunghissimi corridoi sotto il terreno. Oltre all’attuale campo primitivo lungo l’asse
principale, si sviluppa la prima ampliazione, raggiungibile da un varco colonnato che taglia
in due il parallelogramma, fino ad un’area semicircolare con un porticato neoclassico,
decorato con colonne di stile dorico in granito rosa abbellite da tulipani in marmo. Al di sotto
del porticato è stato progettato il sotterraneo, sfruttando lo spazio esistente nelle fondazioni
della costruzione, al quale si accede mediante le due scale situate a sud ed ovest del campo.
Le dimensioni dei sotterranei sono di 981,89 metri con una larghezza di 2,70 per una superficie
di 2.500,00 metri quadrati nelle quali sono state realizzate 189 arcate di sepolture particolari.
Nel varco verso la prima ampliazione, una portineria principale per la sorveglianza agli
ingressi. La seconda ampliazione si estende da sud-ovest a nord con portici ornati di sessanta
arcate. Il sotterraneo corrispondente al porticato è della lunghezza di 212 metri con una
superficie di camminamento di 475 metri quadrati. La creatura aveva ripreso il suo tragitto,
seguitando lentamente, per la grossa mole ributtante e per il carico di energia. Svoltò con
sicurezza verso via Pindemonte. Godezia si riparava dietro Stramonio per evitare le puzzette di
zolfo che il mostro emetteva ad ogni passo. Procedette in via Zanella costeggiata dal Parco
Colletta e dal fiume Po. Tutto il prato era brulicante di quelle creature. Anche il cielo
mostrava lo sbattere delle ali membranose di quei mostri che volavano spediti verso il luogo
dell’adunanza. Oltrepassarono il cancello ufficiale degli ingressi al pubblico senza valicarlo,
sempre seguendo il grosso sedere dello scarafaggio che ondeggiano sulle sue zampe pelose si
stava avvicinando alla cancellata Sk 160 misteriosamente lasciata aperto alla processione
abominevole. A quell’ora chi avrebbe controllato? Il mostro superò la soglia del viale
fiancheggiato da cappelle mortuarie di via Giulia di Barolo e subito sulla sinistra deviò verso
il prato incolto. Tutte le creature stavano scendendo lungo una piattaforma erbosa in direzione
di un ingresso sotterraneo vicino alla fontanella. Godezia aveva sete ma la fontana non
versava acqua ed era curiosamente ruotata sul suo supporto come se fosse il meccanismo di
accesso alla misteriosa costruzione. Si fermarono esausti per la lunga camminata e tirarono un
lungo sospiro. Al cimitero monumentale di Torino c’era qualcosa di veramente strano. Tutte le
creature che infestavano la città si dirigevano verso il medesimo nido pur essendo di specie
diverse. Sanctun Regnum! Era davvero curioso. Una bizzarria della natura. Si fecero coraggio e
si incamminarono nel sotterraneo lungo la discesa a prato erboso che scendeva nelle
profondità della terra, grazie a dei pistoni idraulici perfettamente lubrificati. Un nido troppo
moderno per quel bestiario da film dell’orrore. All’interno una struttura in cemento dalle
pareti grige ed illuminate dal neon, con un pavimento lastricato e pulito. I mostri si stavano
dirigendo sul fondo del moderno sotterraneo ad una costruzione in metallo lucente e pulsante.
Dei ventilatori immettevano aria fresca per diminuire il calore provocato da tutte quelle
creature sature di energia umana. Per Godezia il sotterraneo era vuoto. Si scorgeva un
complicato macchinario per la ventilazione molto rumoroso all’interno, ma silenzioso per chi
avesse sostato sul prato esterno del cimitero. Stramonio invece vedeva tutto quel bestiario
dalla forma bizzarra, entrare in quella galleria di metallo e svanire in lampi ripetuti senza il
rumore di un tuono in sottofondo. Sulla destra dopo la discesa, degli uffici illuminati.
Dietro la vetrata di servizio, due ragazzi in divisa da operatori cimiteriali. Entrambi affetti
dalla Sindrome di Down o Trisomia 21. Sul loro simpatico faccione c’era allegria e stupore per
la loro presenza in orario notturno. Stramonio si presentò come un funzionario della Protezione
Civile venuto per un controllo di routine. Poteva parlare con il responsabile? I due giovani gli
risposero che il loro capo era reperibile in ufficio al Cottolengo, un centro per disabili fisici e
psichici, gestito dalla chiesa cattolica. Loro venivano dall’ospedale verso mezzanotte ed
accendevano il macchinario. Stramonio gli chiese come si chiamasse il responsabile e loro
risposero ridendo che era bruttissimo con una testa macrocefala e due occhi enormi.
Al Cottolengo a parte le suore, i sacerdoti ed il personale medico erano quasi tutti disabili.
Loro i più belli ed i più intelligenti. Lavoravano al Cimitero grazie alla Chiesa. Stramonio si
informò sul funzionamento della procedura. Intanto nel sotterraneo, i mostri invisibili
all’occhio della persona comune, continuavano ad entrare e a sparire nella galleria di metallo
in bagliori inquietanti. I due simpatici inservienti dotati di una inconsapevolezza ed una
allegria contagiosa, dovevano azionare i ventilatori ed aspettare la fine del turno con
l’incarico di spegnerli e di rientrare al dormitorio. Stramonio iniziò l’ispezione dei
procedimenti seguito dai due baldi giovani che con grande disponibilità, gli mostravano il
funzionamento dei vari meccanismi. La fontanella andava ruotata di 180°, il prato si inclinava,
consentendo l’ingresso al sotterraneo poi con un anello da indossare, facevano partire i
ventilatori per la pulizia dell’aria. Strano sistema! Vennero condotti alla centrale operativa in
una stanza dedicata poco distante. Tutta in muratura con delle attrezzature informatiche
all’avanguardia. Uno schermo al plasma ad alta risoluzione indicava il funzionamento del
macchinario. Per azionarlo il giovane inserviente passava l’anello davanti ad un sensore. Un
display mostrava la quantità di ingressi delle creature e un numero seriale ricordava una
coordinata satellitare. Godezia si appuntò le cifre sfoderando ampi sorrisi ed un’aria
interessata da professionale segretaria. I due giovani erano simpaticissimi ed estremamente
cordiali. Nessuno veniva mai a trovarli! Il lavoro era importante ma molto noioso. Stramonio gli
ricordò che l’ispezione era a sorpresa e non dovevano rivelare la loro presenza o potevano
esserci delle conseguenze. Avrebbero fatto rapporto personalmente al loro responsabile .
L’anello consentiva al meccanismo di funzionare. Stramonio si informò sulla routine in caso di
smarrimento. Come avrebbero fatto ad attivarlo? Bisognava chiamare al telefono il loro capo?
Il giovane si mise a ridere con delle faccette buffe. A quell’ora di notte non potevano avvisare
nessuno. C’era un anello di riserva in uno dei mobili chiusi a chiave. La ragazza prese la chiave
legata al collo con una catenella ed aprì il cassetto che lo custodiva con la valigetta del pronto
soccorso ed un telefono per le emergenze. Mentre Stramonio si complimentava per la loro
efficienza distraendoli, Godezia sottrasse l’anello custodito in un contenitore di metallo prima
che il cassetto venisse richiuso. Stramonio si fece condurre verso la galleria di metallo e
quando tentò di entrare, i due lo fermarono spaventati. Era pericoloso! Quello spazio
bisognava lasciarlo libero per il passaggio dell’aria. Qualunque persona normale lo avrebbe
trovato alquanto bizzarro, ma per i due giovani con il ritardo causato dalla loro
inconsapevolezza, una procedura giustificabile. Intanto i mostri avevano cominciato a
diminuire e la galleria si stava svuotando. Aspettarono con i due necrofori la fine del turno
chiacchierando sulla loro vita al Cottolengo impiegata in un servizio amministrativo. Del loro
gruppo in sei lavoravano al cimitero facendo dei turni. Un’occupazione noiosa ma tranquilla.
Era un lavoro importante cambiare l’aria in tutto il cimitero. I morti puzzano.
E dopo quella affermazione ci fu una risata liberatoria. Dall’ingresso del sotterraneo entrò un
gatto randagio. Sentendo la presenza umana si era spaventato e Stramonio l’aveva visto
sgattaiolare nella galleria di metallo. Ci fu un bagliore ben visibile anche da Godezia che fece
un salto quando l’animale venne ridotto ad una carcassa bruciata e puzzolente.
I due inservienti scoppiarono a ridere. Era la prima volta che ci finiva un gatto, in genere erano
i topi venuti a rosicchiare le carcasse dei morti appena seppelliti, a venire rosolati.
Alla cinque tutti e quattro lasciarono il sotterraneo e la misteriosa galleria in metallo, mortale
per gli esseri organici del regno animale, uscendo all’aria fresca della notte.
Alle sei il sole sarebbe sorto in una nuova alba sugli ignari cittadini di Torino molestati
durante la notte da pittoresche creature infernali.
Salutarono i due simpatici necrofori, promettendo di fare loro visita e ricordandogli di
mantenere il segreto sulla loro ispezione.
Dopo una lunga passeggiata, i due improbabili detective, tornarono alla libreria per un
meritato riposo. Era domenica e potevano anche dormire tutto il giorno.
Terminata la doccia rigenerante Godezia si addormentò nuda sul lenzuolo immacolato del
letto. Stramonio indossato il pigiama di flanella a righe, svenne per la stanchezza, sulla
poltrona della sua stanza in un sonno popolato dai soliti elementali che lo turbavano
dall’infanzia.
L’anello dei comandi sottratto al Cimitero Monumentale di Torino, giaceva al sicuro nello
scrittoio del seicento custodito dal cranio in resina di Yorick, proprio nel cassetto accanto alla
pistola dai proiettili di gomma e al carnet di biglietti da visita che esaltavano Stramonio
investigatore dell’occulto.
Si svegliarono verso mezzogiorno. Ancora stanchi per la lunga camminata dietro
al mostro peloso e succhiatore di energia, sparito misteriosamente nella galleria di metallo.
Una robusta tazzona di caffè li fece riprendere definitivamente dal sonno comatoso.
Al cimitero monumentale di Torino si nascondeva un gigantesco inceneritore di creature
demoniache o la struttura sotterranea occultava una stazione di partenza per mostri da inviare
ad una destinazione sconosciuta? Ad un nido collettivo? Di sicuro non volevano fare la fine
del gatto provando ad utilizzare quel congegno. I mostri di che materiale erano fatti?
Non di quello organico o sarebbero finiti tutti arrosto. Venivano trasferiti o disintegrati?
Bisognava analizzare le coordinate riportate su quel display luminoso. La struttura
informatica del gabbiotto di sorveglianza sembrava troppo moderna per essere in servizio in
un semplice cimitero. Stramonio non era esperto di computer ma il sistema operativo non gli
appariva familiare. Demoni di diverso aspetto che si recavano tutti nel medesimo nido? Un
fenomeno bizzarro ed innaturale. Queste erano le riflessioni delle loro modeste cellule grigie
risvegliate grazie alla miscela arabica del caffè. Stramonio era un semplice libraio, Godezia
una erudita commessa ma cosa potevano escogitare per opporsi ad una organizzazione con
istallazioni futuristiche in un cimitero? Tornare a rinchiudersi nella dolce osasi della libreria,
nella sicurezza medievale della contrada dei Guardinfanti luogo magico di tutta la sua
infanzia? O giocare come un adolescente all’investigatore con la sua amichetta di Damanhur.
Dopo colazione si collegarono ad Internet per verificare se le coordinate trovate al cimitero
portassero ad una destinazione conosciuta. Godezia gli aveva fatto notare che cambiavano
come un Dynamic IP gestito da un server telefonico. I numeri riguardavano la longitudine e la
latitudine di un luogo estraneo alla Terra. Per la precisione le coordinate selenografiche della
Luna. Le creature abominevoli venivano dal satellite in orbita distante 384.400 km.? Come
era possibile? Fecero diversi controlli ma non c’era alcun dubbio. Il problema non era terrestre.
Fantastico! Come lo risolvevano? Andavano alla Polizia per farsi poi internare al manicomio.
Nessuno gli avrebbe creduto. Cosa avrebbero escogitato all’atto pratico un libraio ed una
commessa? Se fossero stati amanti delle bevande super alcoliche ci avrebbero dato dentro fino
a procurarsi una beata incoscienza. In pratica tutti gli avvistamenti segnalati in città ed i
problemi causati da quelle creature dovevano essere risolti viaggiando sulla Luna.
Impossibile con il patrimonio di Stramonio che al massimo consentiva di acquistare
un’automobile, mezzo di locomozione detestabile ma di sicuro non dotato di razzi così potenti
per un viaggio nella stratosfera. Nel suo piccolo poteva affrontare la minaccia, caso per caso,
sfruttando il linguaggio sacro rivelatosi efficace, ma il problema sarebbe rimasto lo stesso di
sempre. Godezia gli rivelò che a Damanhur avevano una soluzione per affrontare il quesito.
Stramonio le sorrise facendo la stessa espressione ironica riservata ai clienti che chiedevano
uno sconto. Erano proprietari di un razzo pronto per la Luna? Godezia si era risentita del tono
usato e aveva insistito sul fatto che la sua città natale possedeva una Macchina del Tempo.
Effettivamente se fosse esistita poteva trasferirsi sulla Luna nel passato e provare a risolvere il
problema dall’origine. Cominciava a credere che fosse possibile. Quella ragazza stava
annullando tutte le sue facoltà razionali. La ringraziò per il suggerimento ma forse era meglio
se tornavano alla libreria e alle faccende quotidiane. Cosa poteva fare un noioso libraio che
sarebbe morto senza una compagna perché nelle sue mutande c’era un silenzio tombale?
Avrebbe aiutato la Chiesa ed il suo amico sacerdote con qualche consulenza gratuita. La sera
veniva Antea a trovare Godezia e dopo l’accoppiamento selvaggio si sarebbe sicuramente
dimenticata dei mostri, del cimitero e della Luna tornando ad essere una normale ragazza
innamorata che lavorava come commessa. Sanctum Regnum! A tutto c’era un limite.
Quando le due ragazze erano andate a fingere di dormire nell’appartamento della
restauratrice sul letto a due piazze, Stramonio si sedette al suo scrittoio, nella camera del piano
superiore, per redigere un manoscritto al computer da consegnare nelle mani di padre
Berengario. Il latino ed il greco erano inutili con quelle creature che di demoniaco avevano
ben poco, ricordavano più animali addestrati a catturare l’energia dell’ospite consegnandola
come un fedele cane da riporto, in un luogo inavvicinabile da qualunque terrestre.
Potevano difendersi utilizzando il loro linguaggio come un arma, ingaggiando una battaglia
dopo l’altra ma la guerra non sarebbe mai stata vinta. La mattina successiva Godezia non era
tornata per l’apertura. Forse ancora risentita per il trattamento sarcastico a cui l’aveva
sottoposta. La macchina del Tempo era solo un sogno per fuggire dalla realtà triste ed
opprimente del quotidiano. Se non usciva dal quartiere dei Guardinfanti Stramonio rimaneva
l’uomo più felice del mondo. Che ci pensasse la Chiesa Cattolica con i suoi esorcisti a risolvere
il problema. Telefonò alla Congregazione di Gesù di via dei Mercanti e chiese un incontro per
pranzo con don Berengario. La suora si dimostrò entusiasta di risentire la sua voce e di poter
confermare il pasto con il sacerdote. E naturalmente Gesù Cristo era sempre lodato!
Godezia tornò con Antea alla libreria verso mezzogiorno per metterlo al corrente della buona
novella. Avevano stabilito di andare a vivere insieme perché innamorate l’una dell’altra.
Bene! Ottima idea! Perfettamente d’accordo della decisione. Una bellissima coppia sana ed in
perfetta sintonia, non erano certamente due clienti del Club della Canapa. Avrebbero vissuto
nell’appartamento di Antea fino al trasferimento in una sistemazione definitiva. Nel frattempo
si prendevano una pausa di riflessione. Godezia aveva deciso di lasciare la libreria? Sarebbe
tornato da solo? Ma erano una coppia di investigatori formidabile. Lui per la teoria e lei per la
pratica. Stramonio ebbe un tuffo al cuore e gli passò l’appetito. Ci furono attimi di gelo
nonostante la temperatura estiva. La coppia era scoppiata e se n’era formata un’altra solo per
il sesso. E come avrebbe fatto la città di Torino senza i suoi giustizieri? Godezia aveva sorriso
della battuta ma era rimasta ferma sulle sue decisioni. Si sarebbero visti ogni tanto ma lei non
poteva vivere sotto lo stesso tetto di uno che metteva in dubbio le sue parole. A Damanhur
esisteva una Macchina del Tempo, doveva solo parlare con il responsabile. Stramonio non
aveva nulla in contrario al colloquio con questo visionario cialtrone, si limitò ad annuire e poi
dopo aver salutato le due ragazze andò alla paninoteca, per consumare con il suo amico
sacerdote il pasto di mezzogiorno. La macchina del Tempo! Sanctum Regnum! Era proprio una
bambina. Tanto carina quanto cretina! Durante il pranzo don Berengario, di ottimo umore,
aveva manifestato gratitudine per il dizionario della lingua sacra fornito da Stramonio.
Lo trovava pittoresco ma se poteva rivelarsi uno strumento efficace contro il demonio perché
non utilizzarlo comportandosi da fondamentalista. Gli sarebbe piaciuto far durare gli
esorcismi dei minuti e non dei mesi. Aveva ormai una certa età e doveva riguardarsi. Il pranzo
a base di panini vegetariani si era rivelato come sempre una scelta azzeccata. Dopo qualche
giorno di beata solitudine, Stramonio prese l’iniziativa di andare a trovare Godezia
all’abitazione poco distante della sua fidanzata Antea. Non era nemmeno più venuta a
lavorare. Si era offesa così tanto? Al numero 16 di via Barbaroux, la bella Antea stava per
uscire dopo la pausa pranzo e vedeva Godezia solo la sera quando tornava dai suoi
vagabondaggi al Parco della Pellerina. Trascorreva fuori tutto il giorno e non sopportava di
stare chiusa tra quattro mura. Probabilmente per il mese di Agosto sarebbe tornata dai suoi
amici a Damanhur a festeggiare l’estate al Bosco Sacro. Stramonio invece ad Agosto lavorava
il doppio perché c’erano i turisti e i migliori affari li faceva con loro vendendo opere di pregio.
Non poteva certo campare con le simpatiche edizioni Mini Mammut della Newton Compton
editori. Tornò in libreria per l’apertura del pomeriggio. Se la ragazza voleva fare i capricci
poteva starsene per conto suo. Lui era abituato a stare da solo con la compagnia di suo padre
(morto). Non aveva bisogno di nessuno. Naturalmente la solitudine si faceva sentire la sera
quando chiudeva da solo il portone di ingresso alla libreria. Quando consumava da solo il
pasto serale. Quando si infilava da solo nelle coperte del suo letto al piano di sopra per
sprofondare in un sonno cupo in compagnia delle creature che infestano l’oscurità. Il giorno
seguente si sarebbe svegliato e non avrebbe più sbirciato Godezia ballare nuda sotto il salice
piangente. Si addormentava nello sconforto pregando di non svegliarsi troppo presto per
condividere la solitudine soltanto con l’immagine riflessa nello specchio.
Una sera verso le 18 dopo la routine in libreria, tornò al Cimitero Monumentale per fare opera
di volontariato. Senza dire nulla ai custodi ed al personale di vigilanza si diresse ai sotterranei
dove si trovano i loculi centenari, per aiutare i morti a trovare la strada verso la dimensione
astrale. Quando scese le scale si trovò in un luogo illuminato dalla luce al neon ammorbato da
un forte odore di camposanto. Non era solo. Sembrava di essere all’Ikea un sabato pomeriggio.
Centinaia di presenze infestavano quel luogo. Alcuni vestiti con abiti d’epoca, sostavano da
diversi anni davanti al proprio loculo come se fossero parenti in visita senza sapere di essere
ormai deceduti. C’era un mucchio di lavoro e purtroppo avrebbe dovuto fare tutto da solo.
Cominciò ad attirare l’attenzione dei defunti passando una mano davanti al viso di ciascuno e
chiamandoli con il nome inciso sulla lapide. Per farsi ascoltare utilizzò il registratore e la voce,
come se stesse tenendo un comizio al Central Park, suscitando una certa perplessità nei non
morti. Riuscì a convincere un centinaio di salme tremolanti del loro decesso e questi sparirono
all’istante. Ci sarebbe voluta una settimana per disinfestare tutto il sotterraneo ma ne valeva
la pena. Alle 19.30 dopo la prima opera di bonifica, uscì dal Cimitero Monumentale e rientrò
per la cena in libreria. Era soddisfatto del lavoro effettuato. Il suo dono fu utile a qualche
centinaio di corpi eterici per trovare la strada verso l’illuminazione o la dimensione astrale.
Lo aspettava purtroppo un’altra notte da incubo e la solitudine della sua camera da letto. Si
sentiva veramente solo. Alle sette del mattino aveva sentito il cigolio inconfondibile del
portone della libreria. Godezia era tornata. Stramonio si sarebbe messo a ballare se non fosse
stato goffo come un’orsa gravida. Scese in giardino in vestaglia da camera e la accolse con un
grande sorriso ricevendola nel prato. Lei ricambiò i saluti con affetto. Era ritornata alla
libreria perché voleva ritirare tutte le sue cose e trasferirsi da Antea. Perdutamente
innamorata non poteva vivere senza di lei. Stramonio capiva la sua necessità ma perché
rinunciare al lavoro in libreria. Godezia non aveva bisogno di denaro. Di soldi ne aveva a
pacchi e tutti biglietti da 50 euro nuovissimi. Non poteva lavorare con uno che la prendeva in
giro. Ancora con la fesseria della Macchina del Tempo? Stramonio cercò di essere cortese e di
assecondare la ragazza o non avrebbe più avuto un’assistente con cui giocare all’investigatore
dell’occulto. Bisognava essere astuti. La ragazza era piuttosto infantile e chiaramente vittima
di uno scherzo a Damanhur. Stramonio le assicurò di non voler minimamente mettere in
dubbio le sue parole ma doveva capire che lui era una persona di mezza età con una cultura
razionale ed i dispositivi per trasferire esseri umani nel tempo solo una invenzione degli
scrittori di fantascienza. Godezia gli rispose che se voleva una conferma e non valevano le sue
parole poteva passare con lei un weekend ospite a Damanhur. Bastava una telefonata allo
Gnomo, ed avrebbe ottenuto tutte le informazioni. Il responsabile del progetto dei viaggi nel
tempo era uno gnomo? E le fate si dedicavano ai massaggi agli astronauti?
Ora la ragazza stava esagerando! Era un librario affermato affetto da una interminabile
adolescenza ma mica scemo. Le fate vivevano nel bosco sacro. Le rispose seccata Godezia.
Stramonio sorrise e si rese disponibile all’incontro con il cittadino di Damanhur dal nome
curioso. Potevano partire quel fine settimana se non aveva obiezioni. Godezia era felicissima di
tornare dai suoi amici e Stramonio avrebbe finalmente capito della sincerità delle sue
affermazioni. Per quanto riguardava il suo trasferimento forse avrebbe potuto prendere in
considerazione di invitare Antea in libreria. La stanza del piano terra era sufficientemente
grande per ospitarle entrambe e la sua fidanzata avrebbe risparmiato i soldi della pigione.
Godezia entusiasta della proposta iniziò a saltellare nel prato come una bambina a Natale il
giorno della consegna dei regali. Stramonio avrebbe fatto qualunque cosa per non tornare
solo. Suo padre poco distante aveva un’espressione accigliata. Si rendeva conto che non poteva
più tirarsi indietro quando le due ragazze si fossero trasferite in pianta stabile? Stramonio lo
ignorò come aveva sempre fatto da quando era morto e si preparò a fare lo zaino per il fine
settimana a Damanhur, mentre Godezia andava dalla sua fidanzata per progettare il trasloco.
Antea si dimostrò molto disponibile al cambiamento, risparmiava un sacco di soldi e poteva
vivere con l’amore della sua vita. Tutta la settimana fino al weekend ci furono i lavori di
ristrutturazione del locale per accogliere le due nuove inquiline. Gli arredi del ‘600 in linea
con quelli della proprietà di Stramonio, vennero scelti personalmente da Antea nella bottega
artigiana dove seguiva il praticantato. Il venerdì l’Antica Libreria dei Mercanti ospitava tre
persone. Il titolare al piano superiore e le due fidanzatine al piano terra con vista sul giardino e
cortile accanto al deposito di libri. A Stramonio il divieto di uscire prima delle otto perché il
prato era occupato dalla danza del Sole nascente e non volevano venire disturbate.
Naturalmente il vecchio padre restava esentato e poteva godersi lo spettacolo mattutino
seduto in prima fila. La morte fisica comportava degli invidiabili vantaggi. Sabato mattina
partirono tutti e tre con l’auto presa in noleggio alla Herz di fronte la stazione Porta Susa.
Alla guida Antea l’unica patentata, la sua fidanzata sul sedile accanto con una mano su una
coscia e Stramonio nei sedili posteriori con gli zaini. Con la sua placida flemma ed il carattere
imperturbabile che contrastava quello di Godezia tutto pepe, sarebbero arrivati a
destinazione per Capodanno. Invece appena avviato il motore la ragazza venne posseduta
dallo spirito di un guidatore da corsa ed i cinquanta chilometri che separavano Torino da
Vidracco furono attraversati in un baleno. Stramonio pensò che la compagnia della sua
assistente le aveva guastato il carattere.

A Damanhur l’accoglienza era affidata ad un comitato di sole donne allegre e festanti, con dei
nomi pittoreschi da film alla Walt Disney. La Cinciallegra Godezia presentò a tutti la sua
fidanzata, battezzandola affettuosamente la mia bella Passerotta e per il suo capo Stramonio,
Orsacchiotto bolso aveva suscitato il plauso generale. Pranzarono all’aria aperta in una lunga
tavolata riparati dal portico di una fattoria con le pareti affrescate da fiori e da animali in stile
naif. Gente amabile ed estroversa che fecero sentire Stramonio come uno di famiglia.
Damanhur appariva come il parco giochi per uno studioso di esoterismo. Statue egizie,
giardini dalle forme strane, fontane fatate, boschi sacri, labirinti magici, in una coreografia
fuori dal tempo. Al pomeriggio visitarono il tempio dell’Umanità e Stramonio restò senza fiato.
Un vero capolavoro da ammirare di persona. Decine di tunnel e caverne sotterranee affrescate
con simboli esoterici e vetrate istoriate di squisita fattura. L’atmosfera nel Tempio veramente
rilassante ed il suono di un gong invitava alla meditazione. Le sue piacevoli vibrazioni,
convinsero Stramonio a sdraiarsi sul pavimento finemente piastrellato, fissando la volta
celeste perfettamente riprodotta, a schiacciare un sonnellino. La sera ci fu la riunione
nell’amministrazione del Centro, con i responsabili del corso di formazione in Fisica Esoterica.
Volevano sapere perché Stramonio fosse tanto interessato a vedere la Macchina del Tempo.
Non a tutti era concesso il privilegio di potervi accedere senza il consenso degli anziani.
Godezia spiegò all’assemblea il risultato delle indagini al cimitero monumentale di Torino ed
illustrò le straordinarie qualità della lunga vista di Stramonio. Gli anziani furono molto
perplessi ed avevano notevoli difficoltà a credere ad una storia tanto inverosimile.
In quarant’anni di attività nel campo della magia e dell’alchimia era la prima volta che
qualcuno diceva di possedere una simile attitudine sulla dimensione eterica. Pretendevano
una prova o lo avrebbero cordialmente accompagnato all’uscita. Stramonio rimase stupito di
quella ostilità ma si dimostrò disponibile a fornire una dimostrazione. Prese dal suo zainetto
vintage della Barbour, il registratore a nastro e cominciò ad invitare per un colloquio il
fondatore di Damanhur, Falco. Qualcuno lo aveva guardato con aperta animosità.
Il creatore del loro movimento era sacro e non volevano essere presi in giro. La stanza precipitò
in un silenzio di gelo. La tolleranza dei damanhuriani presenti, stava fibrillando in una
pirotecnica dimostrazione di energie negative. Stramonio pensò che sarebbe stato lapidato
come eretico, a colpi di patate, melanzane e cetrioli appena raccolti. Verso mezzanotte dopo
diverse invocazioni a vuoto che gli procurarono una sudorazione eccessiva, una figura
trasparente ed ondeggiante si palesò nella sala e si presentò a Stramonio come Falco.
Un bel sorriso aperto e disponibile lo invitava ad un dialogo con l’altro mondo. Stramonio
aveva fatto centro. Passarono la notte fino alle tre del mattino a conversare con la sua energia
vitale, ricevendo informazioni utili sul mondo delle persone defunte. Prima di accomiatarsi
regalando la sua disponibilità a futuri colloqui, ricordò a tutti i presenti che lui continuava a
vivere in mezzo a loro. Prima della conclusione del nastro, Falco incise con la sua voce,
l’autorizzazione a divulgare tutti i segreti della Macchina del Tempo al loro ospite. Stramonio
ricevette diverse pacche sulle spalle e un applauso fragoroso svegliò gli animali da pascolo
assopiti nella stalla poco distante. Probabilmente avrebbe ricevuto la cittadinanza onoraria.
Si addormentò su un divano accanto a Godezia ed Antea abbracciate su un materassino in
lattice a disposizione dei visitatori. Dormirono fino a mezzogiorno in tempo per partecipare ad
un banchetto in comune con gli anziani ed i tecnici della Macchina del Tempo. Mangiarono
all’aperto sotto un portico, con l’aria fresca e odorosa proveniente dai campi coltivati e dal
bosco sacro adiacente al fabbricato, abbellito dalle pitture fatte a mano dagli artisti della
comunità. Nel primo pomeriggio uno degli anziani del villaggio si presentò a Stramonio e a
Godezia come lo specialista del Viaggio Astrale. Sulla sessantina, abbigliato da una giacca e
una cravatta che avrebbero provocato per l’accostamento dei colori, una crisi di nervi ad un
sarto. Capelli bianchi con una acconciatura grunge fino alle spalle ed un sorriso da mistico.
Gli occhi risplendevano di una intensa energia positiva. Gli anziani accompagnarono i due
investigatori dell’occulto all’interno del Tempio dell’Umanità. Questa volta il giro non era
turistico. Salirono una bianca scalinata stretta e dalle pareti affrescate con simboli alchemici
fino ad una piccola cappella apparentemente senza uscita. Il mistico aprì le porte in legno con
intarsi di colore bianco accanto un quadro elettrico e si trovarono contro un muro di mattoni.
Stramonio venne invitato ad usare tutta la sua forza per spingere la parete che con molta
fatica si apri rivelando un passaggio illuminato da una sfera blu risplendente nella piccola
stanza circolare. Sul pavimento era raffigurata una ragazza nuda e sul muro un putto dalle
bianche ali suonava in un corno. La stanza apparentemente senza uscita, presentava sulla
destra un trono di foggia romana. Grazie ad un telecomando una scala si apriva nel pavimento
e conduceva ad uno di templi al piano inferiore. Stramonio invece di scendere, venne esortato
a sedersi sul trono ed il suo peso rivelò un passaggio nascosto ai turisti. Una scala in muratura
portava ad una sala contenente una struttura in metallo dal magico potenziale, collegata a dei
cavi di rame ed arricchita da costruzioni selfiche dalle complicate architetture.
Stramonio e Godezia si sedettero su due panche in pietra mentre il responsabile della
Macchina del Tempo si accomodò sul pavimento finemente piastrellato.
L’esperto del Viaggio Astrale entrò all’interno della Gabbia di Faraday in Milonite.
Terminati gli esercizi di respirazione iniziò a concentrarsi in una meditazione yoga per uscire
dal corpo fisico utilizzando quello astrale viaggiando con la visione telepatica, sul loro
bersaglio la Luna.
Il Tempo è un territorio quantistico e circolare. Un nastro di Moebius. Il passato, il presente ed
il futuro condividono lo stesso spazio. Con una adeguata concentrazione e sufficiente energia si
poteva raggiungere il passato, come attraversare una stanza ed andare in un altra. Dopo un
decina di minuti di meditazione yoga iniziò a modellarsi un’immagine tridimensionale ed
olografica dell’anziano mistico accanto al corpo in trance. Non lo vedeva solo Stramonio ma
anche Godezia partecipava all’evento restandone affascinata e stupita. Poi come si era
formata, l’immagine svanì, trasportata dal mistico nel viaggio sulla Luna. Nel silenzio assoluto
dei presenti all’esperimento, l’anziano viaggiatore astrale, cominciò a parlare dalla sua trance
riferendo con molta lentezza e scandendo le parole a fatica, il contenuto della sua visione.
Nella sua mente concentrata sul satellite terrestre si era fissata l’immagine di una stanza in
metallo. Grande quanto la sala di un convegno. Vuota e brillante aveva accesi diversi monitor
come se fosse una centrale operativa. Non vedeva nessuno e sembrava automatizzata.
Un numero di coordinate continuava a presentarsi al suo terzo occhio. Sempre lo stesso. Iniziò a
leggerlo con infinita lentezza e a cantilenarlo come un mantra. Il responsabile della Macchina
del Tempo prese nota su un foglio la sequenza di cifre, simile alle coordinate illustrate da
Stramonio durante la visita al cimitero. I numeri riportati dal viaggio astrale confermavano
l’esistenza di una stazione ricevente nel satellite lunare. Intanto con lunghi esercizi respiratori,
l’anziano viaggiatore aveva ripreso coscienza e controllo di sé. Sulla Luna c’era effettivamente
qualcosa di strano e di assolutamente imprevedibile. Macchinari moderni e funzionanti,
pulsanti di energia. Dal Cimiero Monumentale di Torino le creature mostruose venivano
inviate a delle coordinate ben definite all’interno della Luna. Ma cosa poteva fare all’atto
pratico Stramonio per risolvere il problema? A Damanhur possedevano un razzo per i viaggi
nello spazio? Il responsabile della Macchina del Tempo sorrise a quell’affermazione ed
accompagnò i due investigatori dell’occulto a rivedere le stelle finte del tempio dell’Umanità
al piano superiore. Stramonio e Godezia parteciparono ad un breafing con gli anziani del
villaggio seduti a gambe incrociate sul pavimento in maiolica smaltata. Sulla Luna c’era una
base operativa, ma il motivo della sua esistenza restava sconosciuto. Potevano indagare sul
satellite trasferendo uno dei loro volontari addestrati per il Viaggio nel Tempo. Stramonio
restò stupito della rivelazione. Avevano già visto la Macchina del Tempo. Non serviva ad
ampliare le facoltà della mente durante il viaggio Astrale? Damanhur grazie a quarant’anni
di attività e ricerca ed ai fondi dei loro finanziatori privati, era riuscita a costruire sulle
specifiche fornite da Atlantide civiltà distrutta da un cataclisma nel passato ma raggiunta
attraversando il tempo con i viaggi astrali, una vera Macchina del Tempo. Avevano i mezzi per
trasportare esseri umani ad una stazione ricevente. Il viaggio estremamente costoso richiedeva
molta energia, ma sarebbero riusciti ad ottenere la potenza necessaria al trasferimento, grazie
ad un black out concordato con tutti i villaggio federati alla sede di Vidracco. Se il passato era
un territorio che continuava a coesistere con il presente, potevano raggiungerlo anche se a
distanza di milioni di anni. Inviare un loro operativo sulla Luna un gioco da ragazzi.
Stramonio gli fece presente del rischio per nulla calcolabile e che solo lui e Godezia
conoscevano a memoria i comandi per interagire con quelle creature. Disponevano di un
anello dotato di sensore per attivare i meccanismi delle misteriose attrezzature e mandare un
estraneo non gli sembrava una buona idea. La scelta spettava a lui ma non essendo addestrato
per un simile compito rischiava di restarci secco. Stramonio decise di sottoporsi ad un corso di
addestramento intensivo e Godezia non avrebbe partecipato. Il viaggio era ad alto rischio e
qualcuno doveva occuparsi della libreria e di Antea se a lui fosse successo qualcosa di
spiacevole. Godezia non voleva lasciarlo partire da solo ma alle sue insistenze finì per
acconsentire. Effettivamente l’idea di separarsi dalla sua bella Passerotta la gettava nello
sconforto. I tecnici della Macchina del Tempo non potevano garantire a Stramonio con
assoluta precisione il suo arrivo sulla Luna. Avrebbero cercato di farlo giungere a destinazione
con uno scarto di una settimana. Il lunedì alla riapertura della libreria, soltanto Godezia ed
Antea sarebbero tornate a Torino. Il giorno del rientro, Stramonio aveva chiesto ad entrambe
le ragazze i documenti di identità fotocopiati in amministrazione, per la donazione dei suoi
possedimenti qualora non fosse tornato. La clausola improrogabile prevedeva che Godezia per
diventare proprietaria dell’Antica Libreria dei Mercanti, avrebbe dovuto portare un doppio
cognome: il suo e quello degli Stramonio in modo da proseguire la tradizione della famiglia di
librai. Il passaggio di consegne sarebbe avvenuto solo nell’arco di sei mesi dalla sua partenza
per il viaggio sulla Luna. Uno degli abitanti di Damanhur aveva la qualifica di notaio ed in
poco tempo il contratto venne stipulato consentendo nel pomeriggio alle due ragazze di
tornare a Torino. Stramonio intanto si sottoponeva ad una visita medica per prepararsi
all’addestramento come futuro astronauta. Nei giorni seguenti mentre il dottore in scienze
esoteriche correva attraverso il bosco sacro e si cibava di sostanze ad alto contenuto calorico
per permettergli di sopportare al meglio il viaggio, i tecnici della Macchina del Tempo
scoprivano che la Luna irradia neutroni di natura sconosciuta. Pingarono come si fa tra un
computer e l’altro in una rete informatica, l’esatta posizione rilevata dall’esperto dei Viaggi
Astrali, in modo da ottenere le coordinate selenografiche di latitudine e longitudine per
l’invio di Stramonio in un punto ben definito, evitando di imprigionarlo in qualche roccia del
satellite. Il sedentario librario abituato a modeste passeggiate nel centro storico di Torino,
riuscì a cavarsela brillantemente nell’addestramento fisico, aiutato dai giovani damanhuriani
che lo spronavano nella corsa e nelle lunghe sessioni di addominali per tonificargli la massa
muscolare. Un’alimentazione ricca di fibre e gustose bevande di sedano e carota lo rimisero in
forma nell’arco di una settimana. Per Stramonio fu un vero incubo il dolore provato al risveglio
mattutino ma non si era mai sentito così bene in tutta la sua vita.
Il menù vegetariano lo faceva sentire un leone e non vedeva l’ora di usare la vera macchina
del Tempo gelosamente custodita in una caverna ben protetta, sotto i templi dell’Umanità
visitati dagli ignari turisti. Il sabato successivo al suo arrivo, Godezia telefonò in
amministrazione per parlargli. Alla libreria andava tutto bene e le vendite ai turisti
crescevano con soddisfazione. Il giardino era stato innaffiato ed anche l’orto cominciava a
regalare gustose insalate. Una settimana splendida, goduta assieme ad Antea la donna della
sua vita. Prima di partire non poteva avere i codici di accesso alla biblioteca sotterranea per
permetterle di fare pratica nella lettura del latino antico su qualcuno dei libri di magia
gelosamente custoditi? Naturalmente no! Rispose Stramonio.
La proprietà della libreria sarebbe passata nelle giovani mani della bella Godezia solo se lui
non fosse tornato dal viaggio sulla Luna e comunque non prima di sei mesi.
Aveva il permesso di fare pratica con il testo già pronto per la lettura, riposto nel cassetto
vicino alla cassa al piano terra della libreria:“ Complementum artis exorcisticae cui similem
nunquam visum est, cum litanis, benedictionibus et doctrinis novis... Modus interrogandi
daemonem ab exorcista. Venezia, apud Turrinum, del 1643.
Prima edizione dello scritto di Carolus De Baucio sull’arte di interrogare i demoni.
Lui stava benissimo nonostante l’esercizio fisico che non praticava da quando era ragazzo ma
era pronto per la missione e non doveva preoccuparsi di nulla.
Era pregata di indossare i sandali in libreria evitando di contaminare il pavimento di legno
incerato con le sue impronte. Le pulizie ai locali andavano fatte tutti i giorni, la posta ritirata e
per le bollette da pagare c’erano i soldi del demone eiaculatore conservati a pacchi
nell’armadio della camera da letto. Doveva sempre sorridere ai clienti.
Essere gentile e cortese avrebbe fatto della libreria la sua fortuna.
Quando danzavano nel prato il portone andava sempre chiuso o sarebbero state arrestate per
atti osceni. L’orto doveva essere innaffiato regolarmente assieme ai cespugli di rose e di
orchidee. Le piante sono esseri viventi con le loro esigenze anche se non si lamentano mai.
L’idea suggerita da Antea prima della partenza, di acquistare una coppia di gatti da far
scorrazzare nel giardino non era male, così i topi non sarebbero più tornati ad infestare i suoi
preziosi libri ma non dovevano graffiare i mobili d’epoca o sarebbero stati guai seri!
Tanti saluti dal dottor Stramonio astronauta.
“lI tempo presente e il tempo passato, sono forse entrambi presenti nel tempo futuro,
e il tempo futuro è contenuto nel tempo passato? Se tutto il tempo è eternamente presente
tutto il tempo non può essere riscattato?” Thomas Stearns Eliot.

Stramonio si era seduto su uno dei divani dell’amministrazione a riflettere. Le ragazze stavano
bene e la libreria custodita in ottime mani. Era piacevolmente stanco per l’esercizio fisico di
quei giorni ma di notte un incubo ricorrente sepolto sotto un mucchio di letture per
dimenticarlo, gli guastava il riposo come un bisbiglio nell’oscurità. Dopo così tanto tempo si
era ricordato della morte di sua madre. Un episodio rimosso con orrore dalla memoria.
Da bambino quando suo padre era stato invitato all’estero per un salone librario a Francoforte,
era rimasto solo con la mamma al tepore del caminetto acceso, fra le quattro mura domestiche
del primo piano sopra il negozio dei libri ancora arredato con i mobili del seicento.
Si era svegliato di notte per un rumore soffocato, un rantolare lamentoso lo aveva destato dal
torpore, da uno dei magnifici sogni che faceva quando era piccolo. Tutta la casa immersa nel
buio e solo la piccola luce di cortesia della finta lampada a petrolio, lasciata accesa per
allontanare la paura della solitudine tra le coperte. Si era alzato e a piedi nudi sul parquet di
legno incerato, aveva attraversato il lungo corridoio fino alla stanza di sua madre che sentiva
lamentarsi. Un grido strozzato nell’oscurità senza suoni. Dalla porta rimasta socchiusa aveva
visto tutto. Tutto l’orrore di quella creatura pelosa e gigantesca che con un enorme tentacolo
stava penetrando sua madre e le portava via con spietata lentezza, tutta l’energia vitale.
Pietrificato dall’orrore aveva posto le sue piccole mani sugli occhi per non vedere, ma erano
diventate come trasparenti e non aveva potuto smettere di guardare la creatura orrenda
mentre uccideva sua madre con l’enorme tentacolo. Ritornato alla sua camera senza forze, si
era addormentato tra le coperte del letto, precipitando in quella zona buia attraversata dalle
gelide correnti d’aria dove vivono gli elementali. Da allora aveva smesso di uscire dal
quartiere dei Guardinfanti, ossessionato dai mostri e dai fantasmi dei suoi ricordi di bambino.
Da adulto, poteva trovare una soluzione e una possibile vendetta.
Doveva partire per il punto di origine di quelle nefandezze, armato del prezioso anello e dalle
conoscenze apprese dal dizionario della Lingua Sacra ponendo fine a tutti i suoi incubi.
L’esercizio fisico e la dieta lo avevano fortificato, pronto per un viaggio che avrebbe cambiato
per sempre la sua vita. La Macchina del Tempo era gelosamente custodita in uno dei
sotterranei sotto i templi dell’umanità. Si arrivava attraverso un percorso tortuoso tra un
dedalo di corridoi affrescati di simboli esoterici illuminato da luci al neon come un grande
magazzino. La struttura ricordava quella di un buon film di fantascienza. Capsula in metallo
con una porta scorrevole a tenuta stagna. Tubi flessibili collegati al campo energetico e ai
contenitori di azoto liquido per il raffreddamento. L’energia per il trasferimento sarebbe stata
generata da un black out tra tutti i villaggi federati al centro di Damanhur. La differenza tra
un teletrasporto e un viaggio temporale e che il luogo di destinazione è in un altro periodo e
quindi è più facile calcolare il punto di arrivo anche con uno scarto di mesi. Non era
importante andare nell’antica Grecia nel mese di luglio o di agosto bastava arrivare
sull’obiettivo. Nel teletrasporto invece dovevano essere coordinate diverse nello stesso tempo,
quindi un vero casino anche come consumo di energia. La Luna si trovava ad una distanza
facilmente raggiungibile con quelle attrezzature fantascientifiche pagate dai sostenitori di
Damanhur. Una passeggiata a sentire gli esperti dei viaggi temporali. Per poter partire c’era
una condizione indiscutibile. Doveva entrare nella capsula completamente nudo.
Sanctum Regnum! A mala pena riusciva a farsi la doccia senza vestiti. Figuriamoci
passeggiare su un satellite dove avrebbe trovato una presenza ostile. Se la Macchina del
Tempo poteva trasferire solo sostanze organiche, l’anello come faceva a portarselo dietro.
Ecco appunto. Non se lo sarebbe mai infilato in zone proibite come supposta. Potevano
scordarselo! Piuttosto non sarebbe andato da nessuna parte. Un serio libraio di quarant’anni a
caccia di un gabinetto sulla Luna per poter riavere il prezioso monile. Erano completamente
fuori di testa! Risero tutti come matti. Non doveva introdurlo nelle parti basse, bastava tenerlo
in bocca sotto la lingua. La Macchina del Tempo lo avrebbe condotto a destinazione alle
coordinate visualizzate dall’esperto dei viaggi astrali, nella stanza di metallo perfettamente
organizzata. E come avrebbe fatto a rivestirsi sulla Luna. Cercava un negozio di
abbigliamento? Se sul satellite vivevano dei mostri non sarebbero stati tanto formali.
Stramonio cominciava ad avere seri dubbi. Paura, angoscia, senso del ridicolo. Ma perché non
tornava alla sua libreria e non faceva finta di nulla come aveva sempre fatto in tutta la sua
vita? Ormai aveva dato la sua parola alle ragazze e non poteva farsi da parte nonostante le
incognite fossero moltissime e l’incubo della morte di sua madre non avrebbe mai cessato di
tormentarlo. Trascorse tutto il giorno nel riposo mangiando cibi energetici perché una volta
partito avrebbe rischiato di restare a digiuno per diverso tempo. I tecnici cercarono di
calibrare il suo arrivo nell’arco di una settimana ma c’era la possibilità di un alto margine di
errore ed il ritorno doveva comunque progettarlo da solo sul luogo di destinazione. Aveva
tutto il tempo per organizzarsi. Dopo una quindicina di giorni dalla sua partenza avrebbero
provato a raccoglierlo alle stesse coordinate. Le incognite erano troppe e nel gabinetto di una
delle sale sotterranee del Tempio, Stramonio trovò un po’ di conforto scaricando in un getto
liquido la paura repressa. Lo fecero partire di notte quando i mostri tornavano dalla Terra al
loro punto di origine, seguendo una traccia temporale ben definita. Si spogliò completamente
senza pudore, tanto erano tutti uomini, si infilò il prezioso anello sotto la lingua e pensò di
pregare ma non sapendo a chi indirizzare i suoi proponimenti si limitò ad esclamare un
“Sanctum Regnum”per scaramanzia. La porta a tenuta stagna si chiuse dietro di lui. Attraverso
il vetro vide i tecnici di Damanhur salutarlo con il pollice alzato. Sorrise per l’ultima volta con
il coraggio di un condannato a morte. Fece un lungo sospiro espirando tutta l’aria racchiusa
nei polmoni poi una vibrazione fastidiosa e dolorosa lo inviò attraverso il tempo e lo spazio in
un luogo sconosciuto agli umani del pianeta Terra.
L’arrivo sulla Luna fu traumatico e debilitante. Il primo uomo nella storia a mettere piede
sotto la sua superficie. Secondo certe Teorie Cospirazioniste, tutti gli allunaggi effettuati in
passato erano fasulli e probabilmente una montatura ordinata dal governo americano al
regista Stanley Kubrick. Stramonio si trovava all’interno di uno dei crateri e respirava aria.
Per fortuna non aveva deglutito l’anello quando si era ripreso dallo schock del trasferimento o
sarebbe stato davvero nelle feci più liquide. Alla sua vista annebbiata dallo sforzo della messa
a fuoco, il punto di arrivo era completamente in metallo e muratura.
Una sala molto ampia con diversi ingressi come i metal detector degli aeroporti ed un mostro
peloso ci sarebbe passato comodamente. A fianco di ciascun passaggio, un display luminoso
indicava le coordinate di arrivo. Era giunto a destinazione sano e salvo e tutto nudo.
Non c’erano armadietti con dei vestiti e nessun centro commerciale dove comprarli.
Si infilò l’anello al dito e provò ad adattarsi alla situazione. Tanto era solo.
Quando l’anello veniva fatto scorrere vicino alla struttura in metallo dei teletrasporti si
attivava un suono acustico e una tastiera luminosa compariva a disposizione dell’utente.
Il linguaggio mostrato sui tasti di forma rotonda ed in metallo, comprensibile ad un esperto di
lingua sacra. I pittogrammi ricordavano moltissimo i sigilli del dizionario. Ma in bocca aveva
portato solo l’anello e neanche nel sedere avrebbe potuto infilarci un volume con tutte quelle
pagine. Sanctum Regnum! Era proprio in una situazione da incubo Dalla stanza si usciva
facendo scorrere l’anello accanto agli ingressi. Il pavimento in muratura pareva ricoperto da
una superficie in gomma lavabile come quella delle stazioni. Chi lo puliva? I mostri non
defecavano come tutti gli animali? Chi gestiva le tastiere era dotato di mani e dita prensili
come tutte le forme umanoidi. Sarebbero stati ostili?Doveva fare a botte sulla Luna proprio lui
che sarebbe stato facilmente sopraffatto anche da uno scoiattolo non particolarmente
agguerrito? Uscito dal terminal di arrivo si inoltrò completamente nudo per un corridoio
illuminato. Ricordava molto i sotterranei di un ospedale. Tutto pulito ed in ordine. In terra non
c’erano bave di mostri o grossi escrementi di creature demoniache. Improvvisamente da una
porta in metallo senza alcuna insegna, uscì un essere antropomorfo di bassa statura con una
testa bilobata a forma di cuore, senza vestiti e totalmente privo di sesso. Le sue mani
mostravano solo tre dita lunghe ed articolate. Gli occhi neri e privi di vita, concentrati nella
funzione da svolgere. Gli passò davanti senza notarlo. Solo gli anelli al dito emisero un suono e
Stramonio venne riconosciuto come membro dell’organizzazione. La tenuta informale alla
quale era costretto non suscitava alcun interesse. Soldi risparmiati! Decise di pedinare il
Mignon che si incamminò lungo il corridoio sulle sue magre gambette verso una destinazione
sconosciuta. Non aveva nulla di particolarmente mostruoso e sulla Terra l’avrebbero
scambiato per un soggetto affetto da malformazioni congenite. Il Mignon, non era bello, non
era brutto ma semplicemente funzionale per la mansione da ricoprire. Probabilmente un
inserviente o un tecnico di laboratorio. Non c’erano gabinetti in vista e per l’incontinenza
urinaria dovuta alla tensione, avrebbe dovuto aspettare l’occasione propizia. Stramonio
continuò a seguirlo per un lungo tratto illuminato a giorno dalle luci del soffitto in muratura.
Il colore grigio era predominante, solo le porte di metallo rilucevano per il riverbero
artificiale. Sotto i piedi la plastica del pavimento autopulente. Il Mignon seguitava a farsi gli
affari propri e non lo degnava di uno sguardo. Per fortuna! Arrivarono ad un ascensore
trasparente affacciato su un gigantesco hangar pieno di contenitori di forma cilindrica.
Una distesa interminabile occupava un’enorme caverna a struttura circolare scavata con
estrema precisione nelle viscere del satellite lunare. In ogni campana trasparente c’era un
mostro in condizioni di riposo. L’ascensore scese di una ventina di metri portandoli all’altezza
delle creature assopite. Diversi Mignon, dello stesso aspetto del compagno di Stramonio,
lavoravano indaffarati. Un esercito di cloni gestiva la base operativa. Ogni contenitore
trasparente di forma rotonda poggiato a terra, racchiudeva in un cerchio illuminato di rosso il
mostro inanimato. Stramonio si sistemò di lato per lasciare spazio ai cloni, comportandosi come
se fosse un supervisore ai lavori di stoccaggio. Tutti portavano al dito un anello che
utilizzavano per dare comandi alla struttura informatizzata. Uno dei Mignon macrocefali si
posizionò davanti ad una delle campane di vetro e cominciò a voce alta a dare ordini
emettendo dei suoni che ricordavano la Lingua Sacra. Con il corpo mimò dei movimenti come
se danzasse. La creatura immobilizzata nella capsula trasparente si destò. Il cerchio di vetro
che la separava dallo spazio esterno da rosso passò a bianco, fino a scomparire del tutto e il
contenitore si sollevò liberando la creatura. Il Mignon vocalizzò altri ordini ed il mostro peloso
e ributtante aprì le ali membranose e scatenò come una frusta i suoi tentacoli trasparenti.
Terminata la coreografia tornò ad una posizione di riposo. Sembrava un test. I mostri differenti
l’uno dall’altro per dimensione ed aspetto dovevano essere macchine biologiche. Il loro
compito molto semplice: catturare l’energia vitale degli umani e portarla alla loro base
operativa sulla Luna. La Terra era un gigantesco vivaio dove gli ignari abitanti si
riproducevano per alimentare quelle creature. Probabilmente tutta la Luna non era altro che
un gigantesco magazzino gestito da quegli esseri dal grosso cranio e dal corpo minuto.
Un supermercato del mostro con i suoi operai. Stramonio continuava ad essere nudo non
avendo trovato alcun indumento, ma l’aria era piacevolmente fresca e nessuno sembrava farci
caso. I Mignon fecero un test di qualità a tutta la prima fila di creature che in fila indiana
uscirono docilmente dai loro contenitori come animali addomesticati.
Stramonio seguitava a guardare lo svolgimento delle operazioni restando in disparte. Di cosa
si cibavano gli operai della fabbrica? Dormivano? Avevano anche loro bisogno di un bagno?
Senza genitali come avrebbero fatto? Si sentiva molto antropologo. Una situazione da studiare
come investigatore dell’occulto. Con l’anello al dito la paura gli era passata e sembrava quasi
di essere casa. Ma dove era il gabinetto!? Durante i test di qualità, uno degli abominevoli dava
segni di malfunzionamento. Il Mignon condusse la cosa davanti a un pannello sul quale
comparve un enorme pentacolo illuminato che scatenò la reazione del mostro dimenando i
tentacoli: uno di questi si muoveva senza colpire il bersaglio frustando l’aria.
Il Mignon dopo aver impartito degli ordini in lingua sacra, lo fece rientrare nella sua capsula
trasparente. Il contenitore scese chiudendolo in un cerchio prima bianco poi rosso.
Quando diventò nero, all’interno del vetro venne rilasciata una polvere che lo ridusse in
cenere. Se il mostro si guastava veniva disintegrato.
Stramonio decise di accompagnare il Mignon in una sala adiacente al grande magazzino
dell’orrore per vedere se riusciva a trovare il gabinetto per impellenti bisogni idraulici.
E cosa avrebbe mangiato sulla Luna? Non aveva notato un angolo ristoro.
Il piccoletto arrivò in uno stanzone adibito a laboratorio.
Macchine gigantesche seguendo uno schema programmato, riproducevano arto per arto,
filamento per filamento le orrende creature del magazzino. Mostri tridimensionali e visibili
all’occhio umano paralizzato dall’orrore, solo un istante prima di diventarne la vittima.
Una tecnologia stealth? L’energia vitale sottratta, produceva bagliori luminescenti nel loro
intestino facendoli risplendere come grosse lucciole nell’oscurità della notte. Una vera e
propria fabbrica supervisionata dai Mignon che interagivano con le attrezzature per mezzo
dell’anello. Mancava solo il reparto confezionamento pacchi regalo e la filiera produttiva era
al completo. Mentre i piccoletti lavoravano indaffarati nella fabbricazione dei bestioni
orripilanti, Stramonio riuscì a liberare la vescica in un contenitore di metallo poco distante che
accolse sfrigolando i suoi rifiuti. Che avesse urinato in un lunch box del pasto degli operai?
Per evitare spiegazioni imbarazzanti uscì dal laboratorio in tempo per seguire una comitiva di
Mignon forse in pausa caffè. Entrarono tutti insieme in un ampio locale senza sedie o tavoli.
Alle pareti dei tubi flessibili a mangiatoia, collegati a un enorme distributore di bevande
dalla marca sconosciuta. I Mignon si infilarono il tubo in bocca ed aspirarono il liquido.
Restarono attaccati a quella mammella di gomma per una decina di minuti poi ruttarono tutti
insieme. Il pasto era stato gradito e si erano rifocillati.
Alcuni di loro al termine della digestione, eruttarono dalla bocca una specie di cubo in
materiale resinoso simile a feci.
Stramonio decise di provare anche lui a succhiare dal tubo e scoprì che la sostanza di
materiale organico sapeva di pollo al gusto barbecue.
Ne tenne un po’ sulle labbra per assicurarsi di non subire un avvelenamento poi vedendo che
non pizzicava e non c’erano eruzioni cutanee ci dette dentro e si riempi lo stomaco.
Dal flessibile dopo il pollo aromatizzato, arrivò anche l’acqua, freschissima e dissetante.
La mangiata all’Alien Restaurant, lo aveva messo di buon umore.
Poteva sopravvivere anche sulla Luna. Certo il menu era un po troppo limitato per il suo
palato ricercato ma doveva adattarsi.
Per riposare si sarebbe nascosto in uno dei magazzini.
I Mignon lavoravano a ciclo continuo senza rivendicazioni sindacali, non davano mai segni di
affaticamento e lo ignoravano come uno del personale di servizio.
“Erano i grandi Antichi, discesi giù dalle stelle quando la Terra era giovane, esseri la cui
sostanza era stata forgiata da una evoluzione estranea a quella terrestre e i cui poteri non
hanno mai trovato eguali sul nostro pianeta.” H.P.Lovecraft

Stramonio entrò in una delle stanze del teletrasporto in tempo per vedere una nuova ondata
di arrivi. Mostri dalle sembianze orripilanti e blasfeme rilucevano per il contenuto di energia
sottratto all’ospite umano. Usciti dal terminal si recavano tutti di buon passo attraverso un
corridoio in muratura inclinato di quarantacinque gradi che scendeva nelle viscere del
satellite. Stramonio li segui con timore ma l’anello al dito lo proteggeva da qualunque attacco.
Camminarono senza sosta per diverso tempo. Senza indossare un orologio al polso era difficile
quantificarlo o definire il periodo in cui stava vivendo quella esperienza. Al termine della
discesa si trovavano in una immensa caverna con al centro una costruzione piramidale dalle
dimensioni gigantesche che riluceva per la sostanza animica defecata dalle creature in una
enorme vasca di metallo posizionata alla base. L’energia vitale prodotta dalla vittima umana
ribolliva nel calderone. La luce sprigionata veniva convogliata in una struttura ad imbuto
sfrigolante per il calore. Spariva nel vertice della piramide in un raggio di luce che usciva da
un cratere verso una destinazione sconosciuta. La Luna era un satellite artificiale e nella
profondità delle sue viscere, custodiva una fabbrica di mostri per lo sfruttamento dell’energia
vitale prodotta dal genere umano. Questa la ragione per cui non era mai stata creata una base
terrestre sulla superficie. Stramonio doveva pensare ad una soluzione. Erano migliaia di anni
dalla scomparsa di Atlantide, che quelle creature sfruttavano la razza umana, migliorata
generazione dopo generazione, per aumentarne l’energia vitale rendendola sempre più
produttiva. Fermare la fabbrica era impossibile. Farla esplodere ridicolo perché non aveva il
materiale detonante ed i frammenti sarebbero precipitati sulla Terra con catastrofiche
conseguenze sotto forma di meteoriti. Lasciò la voragine scavata nella roccia dove era
custodita la Piramide brillante di energia e con fatica si apprestò a risalire nella ricerca della
sala operativa. Non si vedeva un gruppo dirigente. Solo tanti Mignon a tre dita in
comunicazione tra loro tramite l’anello, perennemente indaffarati nelle operazioni di carico e
scarico delle creature mostruose. T ornato in uno degli hangar seguì per diverso tempo le
procedure di trasferimento dei mostri sulla superficie terrestre.
La loro creazione e manutenzione avveniva tramite un database informatizzato. La tastiera
progettata per sole tre dita, abbastanza facile da utilizzare. Il problema era l’uso pratico del
linguaggio, così decise di piazzarsi dietro uno dei Mignon e di vedere quello che stava facendo
per imparare a muoversi in autonomia. Oltre alla tastiera si notavano anche delle macro
digitali come routine semplificate da impartire sfiorando il video. Gli schermi visualizzavano i
continenti sulla superficie terrestre e la quantità di mostri inviata a prelevare l’energia dagli
umani in orario notturno. Prima che il vocabolario della Lingua Sacra venisse preso in
considerazione dalla Chiesa di Roma ed utilizzato durante gli esorcismi, sarebbero trascorsi
degli anni e nel frattempo migliaia di persone sarebbero morte in modo inspiegabile per la
medicina ufficiale. Dopo qualche ora di attenta osservazione delle operazioni rapide e precise
del Mignon, Stramonio si ingegnò ad utilizzare la tastiera evitando manovre pericolose.
La superficie della Terra si poteva ingrandire di migliaia di volte fino a raggiungere la singola
città. Poteva curiosare a Torino come se fosse stato il pilota di un aereo in volo. La città viveva
ignara di quello che capitava a migliaia di chilometri sulla testa dei suoi cittadini. Cominciò
imparando a gestire le macro molto simili ai comandi di uno smartphone. Trovò l’elenco di
tutte le basi di trasferimento delle creature situate in Piemonte e cancellò Torino dal database.
Schiacciato un tasto con il simbolo a sigillo ISI per tre volte consecutive, la città scomparve
dalla mappa informatizzata. L’unica cosa sensata che potesse fare senza essere scoperto.
In seguito con la stampa avrebbe diffuso il dizionario dei comandi a tutto il pianeta per
difenderlo dagli attacchi di quelle creature. Una soluzione definitiva era fuori della portata di
qualunque terrestre. All’interno del database in una subroutine, venivano custodite le mappe
ed i progetti della piramide fabbricata sul satellite lunare ed un diario della sua costruzione.
I creatori della razza umana avevano deciso di abbandonare la superficie terrestre a causa del
frequente verificarsi di inondazioni, terremoti e guerre tra fazioni.
Tutte le piramidi della Terra erano state abbandonate e milioni di anni fa la Luna aveva
iniziato la creazione di una gigantesca base sotterranea che avrebbe sostituito le costruzioni
disabitate dalla razza degli Antichi. Si allontanò dalla tastiera e dallo schermo, quando un
gruppo di Mignon entrò nella centrale operativa rimasta temporaneamente incustodita.
Nessuno aveva cercato di aggredirlo e molto probabilmente la sua operazione non era stata
scoperta. Gestivano la vita su tutto il Pianeta da milioni di anni e l’esclusione di una città dal
pasto dei mostri, sarebbe passata inosservata per molto tempo. Stramonio si stava chiedendo
come sarebbe tornato alla sua libreria. Il viaggio da Damanhur era stato di sola andata e non
poteva sperare in un fortunato ripescaggio dai tecnici della Macchina del Tempo.
Le stanze di trasferimento dei mostri sulla superficie terrestre erano centinaia e senza una
mappa dettagliata della stazione lunare aveva smarrito il punto di arrivo. Sulla Luna avrebbe
dovuto arrangiarsi e trovare un passaggio in maniera autonoma. Nella stanza dei teletrasporti
le creature venivano inviate sulla Terra da lunghissimo tempo ma non erano di materiale
organico come lui e i macrocefali. Gli operai della Luna da dove venivano. Come ci erano
arrivati sul satellite? I trasferitori potevano essere riconvertiti per gli esseri umani?
Trascorse ore nello studio dei comandi ma era tutto automatizzato. I mostri tornavano sulla
Luna per depositare il loro carico di energia di notte e di giorno il macchinario seguiva delle
procedure di manutenzione. Stramonio trovò un posto per dormire in un magazzino per ricambi
riposando con la testa su un imballaggio di gomma, disteso sul pavimento sempre pulito.
Al risveglio controllò diverse volte che la cancellazione della città di Torino non fosse stata
scoperta dal personale in servizio. Dopo molti giorni o settimane, un tempo indefinibile sulla
Luna, stabilì di tentare la sorte e tornare sulla Terra. A fianco delle cabine in metallo si
trovava un dispositivo a pressione manuale con delle figure umanoidi. Cliccò su quella più
somigliante ad un essere umano pensando all’Antica libreria dei Mercanti della città di
Torino. Il teletrasporto si attivò con un ronzio prolungato. Stramonio conosceva il grande
rischio di rimanere folgorato ma non poteva continuare la sua permanenza in quel luogo
inospitale. Fu un salto nel vuoto, nel tempo e nello spazio.
In un bagliore accecante che lo attraversò come una scossa elettrica ad alto voltaggio, lasciò la
Luna e l’ultima Piramide, splendente per l’energia rubata alla razza umana inconsapevole.
Si materializzò davanti al portone di casa dove ad aspettarlo c’era suo padre sorridente e con
una spinta lo aiutò ad attraversare l’ingresso. Sanctum Regnum! Stava diventando bravo con la
telecinesi. Il prato della libreria si presentava ben curato e anche l’orto mostrava frutti ben
maturi e pronti per il raccolto. Stramonio si diresse verso la luce del piano terra dove Godezia
sedeva alla scrivania assorta nella lettura di un libro antico. La salutò con calore e trasporto
ma la ragazza non mostrava alcuna reazione. Faceva finta di non vederlo? Era seccata perché
ci aveva messo troppo tempo? Avendo salvato Torino dai mostri, meritava come minimo un
invito per mangiare una delle fantastiche torte di verdura, del negozio Dolce & Salato in via
dei Mercanti. Poi si voltò imbarazzato verso suo padre che sghignazzando stava giocando nel
prato ad attraversare le panchine con il corpo eterico. Stramonio provò ancora a comunicare
ma senza risultato poi Godezia avvertendo una corrente gelida, avviò il registratore a nastro
custodito gelosamente sulla scrivania. In quell’istante comprese di essere morto!
Il Teletrasporto sulla Luna funzionava solo per le creature aliene. Stramonio era tornato alla
libreria con un corpo di neutrini. Intanto suo padre continuava a giocare facendogli vedere
come aveva imparato ad attraversare le porte e a spostare gli oggetti con il poltergeist.
Non aveva più un corpo di cui preoccuparsi . Godezia gli era sembrata diversa e anche la
stanza aveva qualcosa di irreale. Tutto quello che lo circondava risultava tridimensionale ma
trasparente come un ologramma. Lentamente e con pazienza, lasciò alle ragazze inciso su
nastro la storia del suo viaggio e di come la Terra fosse controllata da quelle creature.
Alla fine del suo rapporto di ex astronauta e viaggiatore nel Tempo, comunicò anche i codici
per accedere alla biblioteca privata custodita nei sotterranei. Godezia sarebbe diventata la
proprietaria di tutto il suo patrimonio e avrebbe gestito in futuro l’Antica Libreria dei
Mercanti. Le consigliò di contattare Damanhur perché programmasse un viaggio ad
Atlantide. Nel presente potevano viaggiare nel passato e modificare il futuro fermando
all’origine quell’invasione mostruosa. Mentre stava registrando Antea era entrata dicendo
alla sua compagna che andava a fare una doccia prima di dormire e suo padre morto, si era
alzato da una delle panchine del giardino e la stava seguendo verso il bagno. Ma non era
ancora stufo di spiarle? Voleva capire che erano morti e il mondo materiale aveva cessato di
riguardarli? Stramonio aspettò che Godezia riascoltasse il nastro per essere sicuro che la
registrazione fosse andata a buon fine. La ragazza si era messa a piangere dalla commozione.
Da un anno aspettava un suo messaggio e aveva ormai perso la speranza. Lo salutò con affetto
sorridendo nel vuoto e ricevendo sul viso una ventata di aria fresca. Stramonio stabilì di
lasciare la libreria per una lunga vacanza. Andò nel bagno delle ragazze proprio quando
Antea si stava togliendo l’accappatoio. Prese per mano suo padre e sparì con lui verso un’altra
destinazione. Non aveva mai visitato il pianeta e ora si presentava l’occasione per poterlo
ammirare. Giunsero insieme a Venezia sulla laguna ad osservare l’alba di un nuovo giorno, poi
città per città come invisibili turisti, lodarono le meraviglie del globo in tutto il suo splendore.
Il mondo a due dimensioni dei corpi eterici fatti di aria e di ricordi, garantiva un indiscutibile
vantaggio: non dovevano più nutrirsi e dormire. Stramonio senza vestiti, suscitava solo un lieve
imbarazzo quando vedevano delle signore. Intorno a loro la compagnia dei defunti incontrata
durante il loro eterno vagabondare, mostrava abiti moderni e non più vecchi dei primi del
novecento. Probabilmente dopo centinaia di anni anche il corpo eterico raggiungeva dei
livelli superiori come documentato dalla letteratura teosofica, sparendo per sempre alla vista.
Trascorsi un paio di anni, Stramonio tornò alla libreria ad incontrare di nuovo le due ragazze.
Di notte a Torino i mostri non si erano più fatti vedere e al cimitero monumentale il sotterraneo
era stato chiuso per la gioia dei simpatici necrofori dell’Ospedale per disabili.
Quella sera Godezia lavorava come sempre in libreria per far tornare i conti.
Con parsimonia vendevano a qualche collezionista privato volumi preziosi selezionandoli dal
sotterraneo quando si trovavano in difficoltà economiche. Il rapporto con Antea si era
consolidato e avevano deciso di adottare un bambino condividendo assieme il ruolo di madre.
All’orfanotrofio scelsero tra i ragazzi abbandonati, un fanciullo molto grazioso e simpatico ma
che nessuno voleva. Era strano. Quasi sempre da solo a giocare in giardino con i suoi amichetti
immaginari. A Stramonio avrebbe fatto piacere conoscerlo. Raccontò sul nastro del
registratore qualcuna delle sue avventure a spasso per il mondo, in attesa del ritorno di Antea
con il pargolo dalla passeggiata lungo la Dora prima di consumare la cena. Con una rapida
ispezione della sua ex proprietà, aveva constatato con piacere che suo padre aveva smesso di
occupare la libreria e di importunare le ragazze. Si era liberato un posto fisso da infestatore!
Mentre attendeva il rientro di Antea e del fanciullo per la cena, cercò di leggere al di sopra
della spalla di Godezia il suo libro in latino, aspettando con pazienza che finisse la pagina e la
voltasse, condividendo la lettura. Verso le 19.30 nel giardino del salice piangente, si sentì
ridere e lo scalpiccio di piccoli passi correre festosi.
Quando il bambino entrò nella libreria ad abbracciare una delle sue mamme esclamò:
“Mamma, mamma, perché nel negozio c’è un signore tutto nudo?” Sanctum Regnum!
L’antica libreria dei Mercanti della famiglia Stramonio aveva adottato un degno erede.

Ugo Pennacino

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