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LA FIAMMA DIVAMPA

Anno 340 dopo la Caduta della Fortezza


Avamposto minerario di Dusk su Zadislath II – Cintura mineraria solariana
Syntoras “La spia”

Arrivò a Dusk in un pomeriggio tetro e piovoso. I luridi carri cingolati dei mercanti daaraniti, a cui aveva
strappato un passaggio una settimana prima, si erano guastati decine di volte sulle strade fangose. Non po-
teva evitare di dare una mano visto il prezzo ridicolo che aveva contrattato per il viaggio e così si era ridotto
in condizioni pietose. Dal suo posto in cassetta, sul terzo carro, tremava come una foglia e passava il tempo
a sputare le piccole croste di terra e pietra grigia che continuava a trovarsi sulle labbra. Non aveva pro-
grammato un ingresso del genere. Prima ancora di passare le vecchie mura di pietra e ferro che lo circon-
davano, l’avamposto minerario di Dusk gli dava già sui nervi.
C’era un unico punto di accesso. Una larga porta automatizzata affiancata da una torretta che aveva visto
tempi migliori. Li fermarono sei guardie zadislake zuppe di pioggia. Mentre ispezionavano i carri per stabili-
re di quanto spennare i suoi compagni di viaggio, Syntoras si congedò dal capo carovana e si incamminò si-
curo e zitto verso l’ingresso sperando, nel trambusto, di entrare senza pagare tassa.
“Randan, dove vai?”. Syntoras si voltò verso il grosso soldato che gli si avvicinava con sguardo furente.
Sfoggò la sua espressione più ebete e bifolca.
“Ehm, scusa soldato. C’è un pedaggio?”
“Dove credi di essere, nel tuo accampamento puzzolente? Certo che c’è tassa”. Lo guardava male e non
sembrava per nulla disposto a discutere.
“Scusa. Ma io non ho niente con me”
“Non importa. Siamo in periodo di guerra e si paga un tributo di protezione per le mura”.
Il randan guardò le cadenti pareti di cinta. Non avrebbero protetto il villaggio neanche dai cerbiatti, figurarsi
da un attacco dei ribelli, ma annuì sottomesso: “Certo. Quanto devo al mio signore?”
“Due Zag di rame”.
Era sicuramente uno, ma le guardie si intascavano il loro. Non voleva che lo ispezionassero e così evitò di
fare storie. La guardia mostrò i denti marci in un sorriso compiaciuto. Evidentemente pensava di aver frega-
to l’ennesimo randan in fuga dalla propria carovana devastata. “Ho bisogno di un posto per dormire a buon
mercato”.
“Non so” lo guardò insolente la guardia: “voi vi trovate bene nelle stalle vero?”.
Syntoras lo fissò attentamente, memorizzò i tratti del suo volto sporco, la bocca nera, la barba unticcia, le
sopracciglia sporgenti. Poi sorrise: “Sì soldato, le stalle sono comode, ma devo incontrare qualcuno” gli al-
lungò velocemente un altro Zag “dimmi il nome di una buona taverna”.
“Il vecchio Arek dei colli fa un ottimo stufato di montone”.
“Ed è tuo parente vero?”.
Lui rise in modo complice, erano diventati amici.
Zadislaki! Grossi, sporchi e a buon mercato …
Dopo avergli spiegato come arrivare all’ostello di Arek, che per inciso era il padre di sua moglie, lo salutò
allegramente, contento di aver intascato uno Zag più del previsto. “Addio straniero” gli disse.
“Addio soldato. Ti auguro fortuna”.
Si addentrò per le strade fangose di Dusk. Sapeva abbastanza per cominciare il lavoro.

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Passò fra le case basse e umili e cercò riparo sgusciando silenziosamente in una stalla a cui mancava ogni
forma di sorveglianza e protezione. Era vero: a lui piacevano le stalle. Erano tranquille e accessibili. L’ultimo
luogo in cui la guardia cittadina sarebbe andata a cercarlo.
Anche se nessuno viene mai a cercare me.
Trovò un posto comodo in mezzo alla paglia, vicino a un mulo spelacchiato dalla schiena così inarcata che
sembrava spezzarsi. Nella sua vita doveva aver trasportato tonnellate di minerale di Rilian. Per un attimo
Syntoras fantasticò su quanti manufatti per condurre energie magiche o naturali fossero stati creati con il
frutto della fatica del ciuco. Si sedette e appoggiò la schiena ad una trave portante che saliva fino al basso
soffitto di pannelli argillosi, poi estrasse un sacchetto di tela da una tasca cucita ad arte all’interno del suo
giubbetto logoro.
Ogni volta che lo apriva sentiva un brivido freddo corrergli sulla schiena. Lì c’era la sua fortuna … e la sua
maledizione.
Con gesti affinati dalla consuetudine estrasse le due antiche monete d’oro. Come sempre le sentiva pesanti
sul palmo della mano, quasi fossero di piombo, e avvertiva la loro leggera vibrazione. Lentamente, pren-
dendo un respiro profondo, le avvicinò agli occhi.
Con un guizzo repentino si saldarono alla sua pelle come sanguisughe di ghiaccio premendo con forza so-
prannaturale. Il buio che lo assalì non era solo visivo, era l’asfissiante consapevolezza di essere sepolto vivo
ad una profondità inimmaginabile. La testa sembrava scoppiare dall’interno, il respiro si mozzò e parve che
acqua oleosa entrasse dalle narici riempiendogli il cranio. Era così ogni volta. Aprii la bocca in un urlo silen-
zioso. Tutto durò solo pochi attimi anche se, disgraziatamente, non era la parte peggiore.
Riaprì gli occhi, ma non era più se stesso … anzi, non era niente. Non sarebbe mai riuscito a capire in che
stato si trovasse quando “volava” con i suoi occhi dorati. Era nel buio, sospeso a mezz’aria, e non aveva
corpo. I suoi ricordi erano sbiaditi, la mente dolorosamente lucida e presente, dimentica del proprio involu-
cro di carne e ossa che si trovava in stato comatoso in attesa del suo ritorno.
Nella tenebra poteva avvertire confusamente il brulicare di vite che lo circondava. Era come avere piccoli
spilli gelidi conficcati nella pelle. Prese faticosamente il controllo di quel fluire di percezioni e si concentrò
sul bersaglio: i tratti del suo volto sporco, la sua bocca nera, la barba unticcia, le sopracciglia sporgenti.
Si sentì risucchiare verso una direzione che non avrebbe saputo descrivere e poi ebbe la terribile sensazione
di chi perde all’improvviso il terreno sotto ai piedi e precipita vertiginosamente nel baratro.
Syntoras “cadde” nella mente della guardia. Sentì la presenza dello zadislako schiacciata in un angolo che gli
lasciava spazio terrorizzata.
Ciao idiota. Adesso ci divertiamo.
Aprì gli occhi. Era per terra, con i soliti conati di vomito che seguono un asservimento. Il corpo massiccio
che ora comandava era ovviamente sorpreso e stordito, ma la sua mente reagì rapida e cominciò a racco-
gliere informazioni.
Intorno a lui, i commilitoni del soldato di guardia si stavano avvicinando.
“Garth, che ti succede?”
“Hey amico, stai bene?”
Due energumeni lo aiutarono a rialzarsi, erano entrambi giovani e visibilmente preoccupati. Il turno di
guardia doveva essere ancora in pieno svolgimento. Syntoras si alzò lentamente.
Così mi chiamo Garth.
Si pulì la bocca dalla saliva con un rozzo gesto della mano.
I due compagni lo fissavano incerti. In base All’esperienza di Syntoras le vittime della possessione spesso
assumono un colorito pallido. Aveva imparato a usare la cosa a suo vantaggio: “Tranquilli, sto ancora in
piedi … non so che cosa mi è successo. Tutto ad un tratto le gambe mi sono crollate”.

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Uno dei due, con i lunghi capelli che spuntavano fradici dall’elmetto di cuoio gli diede una pacca amichevo-
le: “Mi sa che ieri hai bevuto troppo”. Allora bevevano assieme.
“Credo di no. Mi è successo qualche giorno fa mentre ero solo. Ora di nuovo. Ho bisogno di sdraiarmi un
attimo”.
“Vai Garth. Ma non stare via troppo. Undral potrebbe fare un controllo”.
Meglio non commentare rischiando di fargli capire che c’era qualcosa di strano. Syntoras grugnì e si allon-
tanò all’interno dell’avamposto.
Il suo corpo era grosso e impacciato. Buono per spaccare teste e usare armi pesanti. Facendo una breve i-
spezione si trovò al fianco una spada senza troppe pretese e una daga in lega di Rilian, troppo impura per
bucare un qualsivoglia scudo di energia. La barba era fastidiosa e non ci vedeva troppo bene, ma per il resto
sembrava in ottima forma. La nausea iniziale stava passando rapidamente.
Facciamo presto!
Camminò per le strade interne tenendo la testa bassa e facendo attenzione a non attirare lo sguardo di
nessuno. Nei villaggi come Dusk si conoscono tutti, bisognava muoversi con grande circospezione.
Trovare la taverna di Arek non fu difficile. Era uno stabile in pietra su due piani che emanava odore di carne
stufata a distanza considerevole. Il suo stomaco suggerì che Garth non mangiava da un po’. I suoi bisogni si
agganciarono alla mente di Syntoras … ed ebbe fame.
Entrò in quella che a stento si sarebbe potuta definire una “bettola”. Tavoli sporchi, un fuoco incapace di
mitigare l’umidità e un capannello di avventori cupi.
Certo … che cosa c’è da ridere per uno che vive a Dusk?
Qualcuno lo salutò con un cenno del capo a cui rispose con il grugnito che ormai padroneggiava egregia-
mente. Doveva sembrare come loro: uno che si rifugiava al coperto in una giornata che non aveva niente da
offrire. Da un gruppo di minatori si alzò una donna dall’aspetto mascolino, con il naso più schiacciato che
Syntoras avesse mai visto.
“Da bere Garth?”. Era la locandiera.
“Dammi quello che hai, non mi sento bene”. La pratica gli aveva insegnato a non manifestare gusti persona-
li e che alle persone che non stanno bene è concessa una certa dose di stranezza prima di destare sospetto.
Gli servivano solo pochi minuti.
Sedette ad un tavolo e respinse un paio di tentativi di conversazione. La donna gli portò la peggior birra del-
la sua carriera di bevitore, ma lui la trangugiò ugualmente e si concesse un momento di riflessione. Dusk
sembrava un posto inoffensivo: sperduto e abitato da un’etnia rozza e ignorante di zadislaki: guerrieri e mi-
natori. Apparentemente nessuno poteva creargli problemi. Questa cosa gli mise i brividi.
I luoghi inoffensivi sono i peggiori … quelli dove la morte ti prende alle spalle.
Si accorse che aveva iniziato a tamburellare nervosamente sul tavolo e a fatica si concentrò per controllare
il corpo che stava possedendo. Poi la porta della taverna si aprì e un uomo coperto da un mantello scolorito
e grondante comparve sulla soglia, insieme ad una folata di aria gelida che fece tremolare il debole fuoco
del camino.
Eccolo!
Toltosi il mantello, il viandante si diresse al centro della sala, guardandosi attorno. Ovviamente tutti lo fissa-
rono di rimando e Syntoras potè studiarlo senza essere notato. Il suo uomo era alto e si muoveva con gra-
zia. Portava al fianco una bella spada d’acciaio lucido e affilato. Anche circondato dagli sguardi ostili degli
avventori ostentava orgoglio e sicurezza. Doveva avere quarant’anni o giù di lì, capelli castani striati di bian-
co con un taglio all’arengardiana e un pizzo molto curato. Non aveva bisogno di nascondersi … o semplice-
mente non ci aveva pensato, il vestito da viaggio che indossava non riusciva neanche a celare la fondina in-
terna nella quale probabilmente era riposta una costosissima e letale pistola ad avancarica a cristalli di Val-
nim. Era un nobile.
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Mi hanno mandato un mediatore.
Era una prima notizia. Voleva dire che le sue minacce avevano sortito l’effetto sperato.
Syntoras aspettò qualche istante per godere del disorientamento del nobile, poi si alzò e si avvicinò a lui. Gli
occhi del cicisbeo tradirono stupore. Stava sicuramente pensando: “Ma questo è la spia?”.
Sì mio sventurato amico.
“Ci conosciamo?” gli disse il nobile con malcelata arroganza. Tutti gli occhi e le orecchie della taverna erano
puntati su di loro.
Syntoras lo fissò con decisione: “Venga con me” e si avviò fuori, sotto la pioggia gelida.
Per condurre una trattativa bisognava cominciare da piccole cose, aver cura dei dettagli. Dopo pochi istanti
uscì anche il suo interlocutore: “Chi siete?”
“Seguitemi. Sono quello che cercate” e prese a camminare. Syntoras lo sentì muovere passi incerti e non
poté trattenere un sorriso. L’altezzoso nobile al seguito di un bifolco sporco e rozzo.
Lo condusse lungo un percorso contorto fra le stradine di Dusk. Camminavano veloci e in silenzio: doveva
decidere dove andare, facendogli credere di avere un nascondiglio già pronto. Farlo inzuppare per bene per
metterlo a disagio e seminare eventuali inseguitori. Dopo circa cinque minuti di marcia adocchiò un vecchio
magazzino abbandonato e ci si infilò con uno scarto improvviso. Era umido, buio e carico di polvere e ragna-
tele, perfetto per una trattativa fra gentiluomini.
Il suo ospite aveva lo sguardo disorientato. Syntoras si spostò in modo da metterlo spalle al muro e senza
aspettare che i suoi occhi si abituassero all’oscurità lo incalzò: “Io sono la spia. Ditemi che cosa avete deciso
in merito a quanto vi ho chiesto”.
Il nobile esitò per qualche attimo. Forse si aspettava un preambolo, una minaccia o una presentazione. Poi
riprese il controllo: “Il vostro modo di condurre la trattativa non piace al consigliere Janus”.
“Che cosa avete deciso. Ditelo o chiuderemo subito il nostro incontro”.
“Avreste solo da rimetterci!”.
Con uno movimento secco, Syntoras si incamminò verso l’uscita, il mediatore non poteva permettersi di la-
sciarlo andare. E infatti si affrettò a fermarlo: “Accettiamo il vostro prezzo. Diecimila corone vanno bene”
fece una pausa per respirare: “Ma non tollereremo più altre minacce per alzare i vostri compensi e voglia-
mo che oltre alle informazioni recuperiate un oggetto che ci è molto caro”.
Syntoras si voltò, guardandolo negli occhi: “L’ascia dell’orco?”.
“Sì. Se la porterete raddoppieremo il compenso”.
Un brivido corse lungo la schiena del corpo di Garth. Ventimila corone! Una vera fortuna. Ma in questi casi
lui tirava la corda.
“Trentamila” Forse stava esagerando. “L’orco è dannatamente sospettoso e se mi scopre mi fa a pezzi”.
L’uomo storse le labbra con sarcasmo: “Pensavo vi foste infiltrato ai più alti livelli della ribellione”.
“Dovrei infiltrarmi sotto le sue coperte per rubare l’ascia, e francamente non è il mio tipo. Trentamila.
Prendere o lasciare”.
Si fissarono intensamente. Tutti i piccoli disagi a cui aveva sottoposto il cicisbeo nei minuti passati, la piog-
gia, il buio, gli ordini perentori, la velocità della trattativa, erano stati studiati in vista di questo momento.
Le sue spalle si incurvarono per la tensione e collo si irrigidì.
Non ti piace stare qui. Vorresti tornare nella tua bella casa, ovunque essa sia. Cederai.
“Trentamila” ripetè Syntoras a denti stretti.
Silenzio.
Il nobile sbuffò. “Trentamila”.
Bravo cagnetto.
Poi si rilassò e riprese colorito e decisione: “E ora veniamo alle notizie che ha per noi”.

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Syntoras sorrise nel buio: “Credo che rimarrete soddisfatti. Ho scoperto un’attività secondaria della ribel-
lione che ha del bizzarro”.
“Parlate!” ora dava ordini.
Benissimo, diamogli il biscottino.
“Conosco il motivo per cui sembrano non aver bisogno di comprare energia sul mercato nero”.
“Hanno corrotto qualche controllore imperiale?”
“No… La estraggono direttamente. E da quello che ho visto, ne hanno per muovere tutte le navi che voglio-
no”.
Gli occhi dell’emissario si dilatarono. La notizia era di quelle che ti fanno passare l’appetito.
Nella guerra fra l’impero di Parnia Solaris e il movimento ribelle guidato dall’orco Atkuma, la lotta per il
controllo delle fonti energetiche di Valnim era un tassello fondamentale. Due mesi prima, al seguito dello
stesso Atkuma, Syntoras aveva partecipato ad una spedizione per visitare un luogo tenuto segreto ai più. Su
un pianetino sperduto di uno dei Sistemi Spinati la ribellione aveva scoperto un giacimento di energia dalle
dimensioni spaventose. L’intero nucleo del pianeta sembrava essere fatto di Valnim allo stato di plasma.
Questo spiegava la loro indipendenza dal mercato nero dei cristalli di contenimento.
Nemmeno gli esploratori ribelli erano riusciti a sondare a fondo le dimensioni del pozzo ma sarebbe bastato
a sostentare anni di guerra … e tutti sanno che le ribellioni che durano a lungo vincono. Naturalmente lo in-
tuiva anche il suo mediatore. Lo sentì deglutire.
A Syntoras non interessava nessuno dei motivi per cui le due parti stavano combattendo. Parnia Solaris lo
pagava bene e l’indipendenza degli umanoidi dalle leggi razziali o la costituzione di un loro governo rappre-
sentativo non avevano alcuna presa sul debole senso etico del Randan. Il giacimento, però, era qualcosa di
veramente misterioso e aveva stimolato l’unica sua vera virtù: la curiosità. Secondo le poche conoscenze a
sua disposizione, tutta quell’energia avrebbe dovuto distruggere ogni cosa nel raggio di diversi anni luce,
teletrasportando la materia in qualche spaventosa dimensione aliena o trasformando lo spazio in un gorgo
ribollente. Invece si sentiva solo una vibrazione costante. L’intero dannato pianeta sembrava ronzare come
un’ape in procinto di spiccare il volo … e le sue monete magiche avevano smesso di funzionare.
Il nobile ascoltò ogni parola con sgomento. Syntoras aveva fatto colpo. Una notizia del genere avrebbe mo-
dificato la strategia di guerra dell’impero. Per concludere aggiunse che avrebbe avuto bisogno di almeno
venti giorni per raccogliere le ultime informazioni e organizzare il furto dell’ascia leggendaria di Atkuma. Al
primo segno di interessamento dell’impero per il pianeta-giacimento la sua copertura sarebbe saltata. Il
nobile disse che avrebbe riferito ogni cosa e che nessuno si sarebbe mosso prima dei termini di sicurezza
per completare la missione. L’incontro si era concluso con successo.
“Effettuerete il pagamento del mio nuovo compenso con le modalità del precedente”.
Il mediatore gli rispose distrattamente, preso com’era a rimuginare sulle implicazioni della sua soffiata:
“Certo. Confido che il prossimo incontro sarà altrettanto proficuo”.
Syntoras sorrise nella semioscurità: “Non dubitatene”.
Uno strano rumore pulsante giunse alle sue orecchie da lontano.

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Pochi minuti prima
Cieli sopra Dusk
Sh’mor – Maestro della Gilda Mercantile del Laccio d’oro e Stregone della Fiamma

Zadislath era un insignificante pianeta roccioso di terza classe.


Le sue risorse minerarie avevano attratto l’interesse di Parnia
Solaris, della Lega di Remunnor, della Repubblica amaniana e
di altri potentati minori a partire dall’anno 226. I confini e le
aree territoriali erano da decenni soggetti a continue contrat-
tazioni e venivano spesso usati come merce di scambio negli
accordi commerciali e nei trattati di pace cosicché i gruppi et-
nici di minatori, ormai considerati autoctoni, si trovano a cam-
biare costantemente bandiera e ad estrarre Rilian, Drakite o
Pietra geofoba per quelli che fino a pochi mesi prima erano gli
avversari dei loro padroni.
Questo era il destino delle fasce minerarie esterne: non potersi neppure aggrappare ad un senso di appar-
tenenza. A qualcosa di più grande per giustificare la propria miseria.
Cineria, la nave che Sh’mor aveva fatto costruire in gran segreto nei mesi precedenti, si stava comportando
egregiamente. L’equilibrio delle forze magiche che ne tenevano insieme le complesse sottoparti era eccel-
lente. Il costante fluire degli impulsi elementali la nutriva, come sangue infuocato nelle arterie di una feni-
ce. Volavano silenziosi e rapidi sopra le grigie distese polverose che Sh’mor vedeva scorrere veloci dalla
plancia di comando nella zona di prua. Mai avrebbe pensato che un luogo così dimenticato dagli dei potes-
se rappresentare il grande punto di svolta nel suo cammino.
“Maestro Sh’mor”. Harikus, uno degli esperti membri della ciurma, aveva sollevato il capo dal tavolo delle
carte aeree: “Dusk è vicina, mi avevate detto di avvisarvi per …”
Sh’mor lo azzittì con un cenno della mano: “Preparate i nuclei fiammeggianti. Le navi solariane ci saranno
presto alle spalle”. Nei decenni trascorsi sulle grandi rotte mercantili del Multiverso lo stregone aveva com-
preso che un buon equipaggio parla poco.
Harikus si inchinò e corse a comunicare gli ordini al resto dei marinai.
Sh’mor si voltò e osservò Ral’shin’diel, il suo giovane apprendista pareshan, l’unico ad essere rimasto in
plancia. Sondò la sua aura superficiale e lo trovò calmo e sicuro. Consapevole che il suo anziano maestro
non avrebbe fallito. Aveva bene imparato dalle lezioni del passato e lui gli concesse un cenno accondiscen-
dente del capo.
Il loro popolo era considerato misterioso da quasi tutte le altre razze civilizzate. La pelle nera, il corpo com-
pletamente glabro e gli occhi multicolore privi di iride, segno di un profondo legame con le energie elemen-
tali, erano la cornice che circondava la loro fama di incantatori dalle grandi capacità. Fin dall’infanzia in cia-
scun pareshan si manifestano i tratti di uno degli aspetti fondamentali del Multiverso, rappresentati da uno
dei suoi molteplici elementi. Sh’mor portava impresso il tratto di Sulyhad, la Fiamma: la distruzione rigene-
ratrice che rappresenta il destino di tutto ciò che esiste. Un potere raro e instabile, che si diceva conduces-
se alla gloria … o alla follia.
Si diresse verso il timone e prese il controllo della nave. Al suo tocco, intense vibrazioni si ripercossero su
tutto lo scafo e Cineria ebbe un sussulto. Il legno, il metallo e i condotti energetici reagirono schioccando e
inarcandosi come i tendini di un drago, pronto a predare al suo comando.

Osh’karath Drath Oroho’kryl Drak, Osh’karath Drath Oroho’kryl Drak, Osh’karath Drath Oroho’kryl Drak …
La magia elementale è una delle forme di comando sulle energie del Multiverso …
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Osh’karath Drath Oroho’kryl Drak …
… è un’arte primordiale che richiede doti innate, non può essere insegnata e si basa su una sola legge …
Osh’karath Drath Oroho’kryl Drak …
… tutto esiste perché le parti hanno trovato un equilibrio. Il potere si manifesta quando l’equilibrio si rom-
pe. Gradualmente l’elementalista cavalca il flusso della sua Energia che filtra prima debolmente attraverso
una crepa e poi …
Osh’karath Drath Oroho’kryl Drak …
… trasforma ogni cosa.
Sh’mor entrò in consonanza con la Fiamma. La lasciò fluire e creò quattro piccoli falchi fiammeggianti. Nac-
quero fra le sue mani e crebbero in pochi istanti. Spiegarono le ali e volarono in direzioni diverse, fuori dalla
nave. Con i loro occhi potè vedere tutto intorno, come attraverso il calore di un deserto infuocato.
L’energia magica necessaria all’incantesimo era stata minima. Ma era così che poteva iniziare ad aprire il
varco per Sulyhad.
Dusk si avvicinava rapidamente: un piccolo avamposto oltre il quale si stagliavano le profonde voragini degli
scavi di Rilian. Immense ruote dentate si muovevano lente in lontananza, trasmettendo il loro impulso ai
montacarichi e ai sistemi di ventilazione delle gallerie sotterranee. Tutto sembrava tranquillo, silenzioso,
avvolto dal fischio cupo del vento e dalla pioggia.
Poi accadde. Il falco sonda che volava alla sua destra vide un vascello da caccia solariano levarsi in volo da
dietro una collina rocciosa. Sh’mor sapeva che l’emissario imperiale che avevano seguito fin là doveva per
forza avere una scorta. Qualche istante dopo anche il falco che volava alle spalle di Cineria ne scorse una
identica saettare da un avvallamento.
Erano snelle, con vele ventrali argentee e scafi rinforzati da ampie placche di Drakite, simili a scudi cavalle-
reschi. Li avevano subito individuati come intrusi sospetti. Cercarono di affiancarli per colpire Cineria con
dardi di bordata, ma la nave fu più rapida e balzò in avanti arrivando sopra Dusk con le due cacciatrici in co-
da.
La mente di Sh’mor si divideva fra gli occhi dei quattro falchi e il corpo teso di Cineria. I livelli di energia si
sovrapponevano disordinatamente davanti alla sua consapevolezza. Li ordinò cantilenando antiche formule
di risonanza per mantenere gli incanti, poi spostò l’attenzione verso il nucleo fiammeggiante che aveva fat-
to incastonare internamente alla coda della nave. Ne sbloccò la selvaggia energia con il semplice gesto con
cui si scioglie il laccio che imprigiona un toro furente. L’energia di Sh’mor si insinuò veloce all’interno della
massa infuocata e la plasmò. Uno stregone del suo rango poteva toccare e trasformare l’essenza delle cose
allo stesso modo in cui un maestro vasaio modella la creta proprio mentre si muove, roteando.
Una ruggente palla di fuoco saettò verso le due navi inseguitrici ed esplose a mezz’aria costringendo i loro
equipaggi ad una manovra evasiva.
Sh’mor guardò Ral’shin’diel: “Prendi il comando”. L’allievo obbedì senza esitare. Lui si voltò e si diresse ver-
so il laboratorio interno. L’esca era stata lanciata.
Per uno stregone, la vecchiaia giunge come un dono. Quello che si perde nel corpo viene ampiamente
compensato dalla semplificazione della mente, spogliata di molte inutili passioni e ormai abituata alle infini-
te imprecisioni della vita. Il metabolismo rallenta, l’Energia aumenta ed è per questo che gli incantatori più
saggi rimangono nella loro vecchiaia per un lunghissimo tempo utilizzando tutti i trucchi che conoscono.
Anche lui avrebbe fatto così, ora che il suo involucro materiale stava cominciando a sentire la debolezza
degli anni. Aveva bisogno di tempo per completare il suo progetto e avrebbe piegato qualsiasi forza per
giungere alla meta, a cominciare dalla morte.
Ho appena gustato il vero potere! Ed ho così tante cose da fare!

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Giunto al laboratorio vi trovò in attesa Dargo, poderoso soldato umano con molto sangue orchesco nelle
vene. Dopo un veloce inchino, il guerriero terminò di fissare i lacci di cuoio della sua armatura di ossidiana e
indossò lo spaventoso elmo nero forgiato con le fattezze di demone.
Il più grande dei suoi nuclei fiammeggianti fluttuava a mezz’aria sopra un cerchio runico creato per conte-
nerne il potere. Sh’mor spezzò la catena di simboli che lo imbrigliava e ne gustò la vibrante energia. Persino
il suo palato poteva avvertirne la dolcezza.
Athil emondil argath ithmir.
I suoni ritmici della formula antica allinearono i pensieri dello stregone verso la nuova forma che Sulyhad
avrebbe dovuto assumere. Il nucleo era una sfera informe e pulsante di magma. “Avanti Dargo, apri il pas-
saggio!”
Senza esitare, il mezz’orco tirò una leva metallica vicina al cerchio e si schierò al fianco di Sh’mor. Con un
rumore di sfregamento metallico e mille scintille, il boccaporto sul pavimento del laboratorio si aprì
sull’esterno. Il vento gelido e piccole gocce di pioggia entrarono vorticando dal basso, le lampade della
stanza si spensero con rapidi sbuffi di fumo.
Sh’mor prese una maschera metallica con un volto impassibile disegnato in modo stilizzato. Avrebbe nasco-
sto la sua identità. Un brivido di aspettativa corse lungo la sua schiena: stava iniziando la pagina più perico-
losa della sua storia.
Il suolo si muoveva veloce decine di metri sotto il ventre di Cineria. Sh’mor il pareshan richiamò a gran voce
ogni energia di trasformazione presente in quella porzione di spazio-tempo e una sfera di fuoco avvolse lui
e Dargo per poi sollevarli dal suolo e proiettarli fuori dalla nave. Dargo non poté trattenere un sussulto im-
pressionato.
Onora con il tuo stupore il potere che si manifesta davanti a te, piccolo soldato.
Tutto si fece confuso e Sh’mor dovette concentrare completamente la sua attenzione sulla destinazione del
volo oltre il crepitare delle fiamme, l’ululato dei vascelli che si inseguivano sopra di loro e i corni di allarme
dell’avamposto ormai consapevole della caccia che si stava svolgendo nei suoi cieli grigi.
In un baleno si schiantarono al suolo con un’esplosione che incenerì tutto per decine di passi. Erano in una
piazza. Il fango si era consolidato in una patina rugosa per effetto del calore e la pioggia evaporava attorno
a loro. Alcuni uomini sconvolti giacevano a terra vicino alla parete sfondata di un deposito. Lo spostamento
d’aria li aveva scaraventati con violenza fino lì e non avevano ancora compreso cosa fosse accaduto.
Guardò in alto. Ral’shin stava guidando Cineria in una complessa serie di evoluzioni e scagliava piccoli dardi
infuocati verso i vascelli imperiali. Nella confusione, il loro volo balenante non aveva attirato l’attenzione di
nessuno dei due cacciatori. Sh’mor si concesse un sorriso.
Dusk, vedrai presto qualcosa di eccezionale.
Liberò i falchi di fuoco perché sondassero le strade attorno a loro. Sentiva che Sulyhad cominciava a vibrare
nell’aria. Il campo si stava sgombrando dai brandelli delle altre energie.
Non riuscì a percepire dove fosse il suo obiettivo, ma la cosa non lo sorprese. Se era scaltro come aveva
sentito, non sarebbe arrivato a lui tanto facilmente. Così cambiò strategia … sapeva che il bersaglio era divi-
so in due in quel momento. La mente, subdola e invisibile, aveva già preso possesso di qualche vittima igna-
ra e lui non sarebbe mai riuscito a trovarla. Il corpo invece era solo e vuoto. Da qualche parte
Si voltò verso la figura inquietante di Dargo: “Vai e distruggi”
“Sì maestro” disse il mezz’orco correndo via dietro ad uno dei falchi rapaci. Sh’mor si concentrò.
Un vecchio magazzino, polveroso e diroccato.
Mentre i pochi sopravvissuti all’esplosione si affrettavano a sparire dalla sua vista, il mago si incamminò
verso il centro dell’avamposto... gli altri falchi erano già lì.
Non mi sfuggirai.

8
Nel frattempo
Zona ovest di Dusk
Synthoras – “La spia”

Le strade di Dusk erano piene di gente. Quelli più assennati che stavano correndo ai ripari e quelli curiosi e
stupidi, usciti sotto la pioggia ai primi segni di battaglia. Stavano con il naso all’insù ad inzupparsi per vede-
re le evoluzioni dei vascelli ed ammirare le esplosioni e le scie infuocate.
Idioti!
Syntoras sapeva per esperienza che, quando c’è un duello nei cieli, qualcuno dei contendenti prima o poi
sbaglia la mira o precipita e fa una strage. Se non altro nella confusione riuscì a sgattaiolare indisturbato
con il suo committente. Faceva fatica a tenerlo calmo. Sin dai primi rumori lontani il randan aveva capito
che qualcosa non andava e aveva invitato il nobile mediatore imperiale ad uscire in fretta dal magazzino
abbandonato. Lui lo aveva guardato con il suo labbro arricciato da damerino come se fosse ricoperto di
sterco, ma quando la seconda esplosione aveva fatto tremare tutte le pareti si era fiondato fuori con una
tale confusione sul volto che Syntoras aveva temuto fosse preda di una crisi di panico.
Lo aveva sospinto per l’avamposto mentre il caos aumentava di secondo in secondo. Le due navi imperiali
erano ovviamente la scorta del nobile solariano, ma cosa poteva mai cercare la ciurma dell’altro vascello?
A pensar male ci si azzecca sempre, si ero detto la spia, e aveva concluso che l’unica cosa interessante in
quel buco di roccia fosse lui stesso. Aveva commesso così tanti delitti e violato talmente tanti codici e leggi
che praticamente ogni creatura del Multiverso avrebbe avuto diritto di accusarlo di qualcosa.
E quindi è meglio filarsela.
Malauguratamente doveva mettere al sicuro anche il nobile. Stavano scivolando vicino ad alcune povere
abitazioni di minatori, quando gli fischiarono le orecchie. Il suono di un’esplosione, troppo vicina per essere
nei cieli, fece tendere tutti i suoi allenatissimi istinti di sopravvivenza. Poi avvertì il formicolio sul cuoio ca-
pelluto che lo aveva spesso avvisato della presenza di una potente magia, come se un vento delicato muo-
vesse appena le punte dei capelli del corpo di Garth. Un piccolo gruppo di soldati si stava ritirando e corre-
va nella loro direzione. Uno di loro portava sulle spalle il corpo di un compagno a cui era stato mozzato di
netto il braccio destro.
Syntoras si voltò verso il solariano: “Ce la fate a correre?”.
Era confuso e spaventato. “Non … ma che succede?”
“CE LA FATE A CORRERE?”. Non aspettò la risposta e si lanciò nella direzione di fuga dei soldati. Un grido di
panico lo avvertì che il suo compagno lo stava seguendo.
Garth era forte, ma non veloce. Lo maledisse in tutte le lingue che conosceva e svoltò prima in un vicolo,
poi in un altro cercando un punto di accesso a qualche casa o uno scarico fognario socchiuso.
Irruppe in uno spiazzo fangoso con un carro diroccato lasciato a marcire in un angolo e due donne che si
stringevano l’una all’altra guardando il cielo. Stava per chiedere di entrare nella loro abitazione quando da
un accesso laterale emerse un enorme guerriero in armatura nera con uno scudo senza stemma e un’ascia
gigantesca sporca di sangue. Un falchetto fiammeggiante sbatteva le ali qualche metro sopra di lui.
Syntoras deglutì appena: “Avete una spada amico mio?” disse con calma al cicisbeo.
“Quello sembra un guerriero esperto”. La sua voce era poco più che un sussurro strozzato.
Il soldato non disse niente e si lanciò di gran carriera verso di loro. Li stava cercando e Syntoras non aveva
più tempo. Con uno strattone improvviso spinse in avanti il suo sfortunato compagno e mentre l’ascia del
nemico calava dall’alto sul cranio indifeso del nobile, Syntoras estrasse la daga di Rilian. Notò solo allora
che il filo era seghettato e scomposto.

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Non gli piaceva farlo così, ma non aveva scelta. Lasciare il compito a quel mostro nero non era una bella
prospettiva. In un umido rumore di nobili ossa e cervella, mentre le fiamme del falchetto dipingevano il
mondo di rosso inferno, si tagliò di netto la gola.
E tanti saluti a Garth!
Era orribile, davvero orribile, la sensazione che provava al rientro da una morte violenta. Non era la calma
pace che pervade un’anima che si estingue, è il rantolo di una mente che cede all’inverosimile. E’ come pre-
cipitare e, proprio quando ci si è preparati per l’impatto, sentire che c’è ancora da cadere. Come trattenere
il respiro allo spasmo per poi riemergere in un mare di fango e inghiottirne a palate.
Però era vivo, come sempre. Tossì, rotolò per terra fra la paglia sbattendo contro le zampe dell’asino, in-
quieto per tutto il frastuono che lo circondava. Cercò di riprendersi, ma ci volle qualche secondo. Per prima
cosa strinse forte le monete e le staccò a fatica dall’orbita oculare, forzando la pressione che le teneva in-
collate al volto. Si alzò in piedi e tutto cominciò a girare intorno al suo osso del collo. Il corpo e la testa an-
davano in due direzioni diverse e il cervello premeva per schizzare fuori dal cranio. Barcollò verso la porta,
perché non c’era un istante da perdere.
Paradossalmente quando stava così male riusciva a pensare ad un sacco di cose, come se il tempo rallen-
tasse.
Chi sono questi? Amaniani per quella faccenda del barone Trogdart? No. E’ passato troppo tempo. Daaraniti
che rivogliono il libro con il rituale per evocare Achelon l’infernale? Figuriamoci, sanno che l’ho venduto a
quel necromante! Qualche mercante che ho fregato? Possibile. La ribellione che ha scoperto il doppio gioco?
Probabile. Mi uccideranno? No. Come diavolo potrebbero sapere dove sono?
Il mondo tornò a fuoco e Syntoras saettò oltre l’ingresso sgangherato della stalla.
Ricordava perfettamente la strada verso la porta di Dusk e giunse alla conclusione che una bella corsa sa-
rebbe stata vivificante. Si lanciò verso il primo vicolo a destra ma un muro di fuoco emerse dal terreno su-
blimando le gocce di pioggia e creando un calore così intenso da seccargli completamente la pelle del volto.
Indietreggiò all’istante coprendosi gli occhi per la luce intensa e improvvisa.
“Non cercare di fuggire spia. Non ci riusciresti”. Una voce profonda e calma, veniva dalle sue spalle.
Syntoras si voltò lentamente e fronteggiò la minaccia. Una sagoma alta e scura, vestita di un lungo abito da
capitano di vascello, avanzava lentamente verso di lui. Indossava una maschera metallica dai lineamenti i-
nespressivi.
Tutta la zona era circondata da un cerchio di fiamme e il calore distorceva i contorni del nemico. Ma era un
pareshan.
Ecco. Questo non me lo aspettavo.
“Che cosa ti ho fatto pareshan? Non lo ricordo”. Era l’unica cosa sensata da dire in quel momento, oltre che
infilare la mano sotto la giubba per stringere il pugnale.
Il misterioso individuo avanzò ancora fino a pochi metri da lui. Aveva occhi multicolore vorticanti dietro i
buchi della maschera e la pelle delle mani screpolata dalle prime rughe degli anni. “Non mi hai fatto nulla,
spia. E non ti distruggerò se farai quello che ti chiedo”.
“Mi sembra un po’ teatrale come modo di assoldarmi”.
L’altro socchiuse gli occhi privi di iride: “Non ti si trova facilmente”
E non sai quanto sono bravo a scappare.
Il calore si stava facendo insopportabile ma Syntoras doveva provare a sfidarlo: “Il tuo mastino ha ucciso un
messo dell’impero che mi doveva trentamila corone e mi ha rovinato sei mesi di copertura, non hai timore
di quello che potrebbero farti quando si saprà che ti sei intromesso negli affari di Parnia Solaris?”.

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“Quello che succederà, per ora non è affar tuo. Seguimi”. Il cerchio di fiamme
implose verso le sue mani, sentì lo spostamento di aria calda fin dentro le o-
recchie. In un attimo una bolla infuocata si gonfiò davanti al pareshan.
Era un elementalista di grande potere, anche un profano come Syntoras lo
poteva percepire chiaramente. E poi la magia di fuoco faceva sempre molta
scena. La cosa che più lo impressionò in quel momento, fu il pensiero di come
fosse stato capace di trovarlo. Le monete respingono la magia e non c’era
modo di tracciare il percorso che la sua essenza vitale compiva quando il cor-
po che controllato moriva o si disconnetteva.
Non era il caso di tentare la fuga. Allentò la presa sul pugnale e sospirò.
“Dove andiamo?” chiese entrando con il pareshan nella sfera.
Per un impercettibile attimo gli occhi dell’elementalista lasciarono trasparire
una determinazione ferrea, assoluta, purissima: “Lassù”.
E volammo via.

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Cieli sopra Dusk


Sh’mor – Maestro della Gilda Mercantile del Laccio d’oro e Stregone della fiamma

Salirono alti nel cielo e per un secondo Sh’mor lascò che la sfera fluttuasse a mezz’aria. Concentrandosi sul-
la vista dei quattro falchi individuò la torre di guardia in cui Dargo si era asserragliato per attirare
l’attenzione delle guardie dell’avamposto. Il mezz’orco aveva compiuto alla perfezione il suo lavoro: tutto
attorno molti corpi giacevano privi di vita mentre i soldati di rinforzo si stavano chiedendo se valesse vera-
mente la pena di affrontare quel sanguinario guerriero per la misera paga che ricevevano dal responsabile
della colonia. Ma poteva percepire che non sarebbe durata a lungo. Presto gli equipaggi dei vascelli solaria-
ni si sarebbero accorti degli strani movimenti di truppe a terra e sarebbero intervenuti.
Il fiato cominciava a mancargli e i muscoli pulsavano dolorosamente. Indirizzò la sfera verso la cima della
torre. Da quando eravano comparsi nei cieli di Dusk aveva gradualmente aperto un canale per il flusso di
Sulyhad ed ora l’Energia scorreva potente intorno a lui.
E’ ora di mostrare a tutti il tuo potere, Fiamma distruttrice!
Sh’mor si fermò sopra le teste dei soldati zadislaki, spaventati a morte dalla sua improvvisa comparsa. Con-
siderò la situazione: la torre di guardia si trovava a ridosso dell’unico ingresso dell’avamposto e i vascelli da
caccia avevano una perfetta visuale sulla sua posizione.
Lascò fluire Sulyad attraverso la mente. Pervase ogni angolo del suo essere. Le rune protettive che aveva
sul corpo evitarono che i suoi tessuti si sciogliessero per il calore, ma intorno a lui l’aria cominciò a fiam-
meggiare. La spia indietreggiò spaventata, imprecando sonoramente mentre la sfera si dissolveva vortican-
do in un anello di fiamme che in un attimo li circondò.
L’essenza di Sh’mor si espanse a dismisura ed entrò nell’anello vorticante. Era fuoco! Fuoco immortale e
onnipotente. Scorreva come energia pura attorno al suo misero corpo sospeso.
Il suo volere fu azione istantanea. Convocò i corvi, aprì mille canali che, come capillari invisibili, venarono il
tessuto stesso della realtà, stornò le armonie cristallizzate della materia che lo circondava verso piani di-
mensionali lontani e invocò la Fiamma. Vide il roboante bagliore di Sulyhad spalancarsi coprendo tutto il
cielo. Il suo corpo era teso allo spasmo, ma nemmeno un frammento di quel dolore giunse alla coscienza di
quello che era diventato: un vortice di pura energia.
Un suono antico e selvaggio proruppe dall’interno del suo logoro petto con una forza inaudita.
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“DRA’HANT!”
Per un attimo Sulyhad consumò tutta l’aria circostante e ogni essere vivente perse un lungo respiro. Fu un
silenzio assoluto. Poi un’enorme colonna di fuoco cadde dal cielo travolgendo uno dei vascelli solariani e
schiantandosi come un mare in tempesta contro i grandi scavi della miniera di Rilian. Il cielo si fece rosso,
ogni combustibile a Dusk si infiammò in un istante e, davanti agli occhi attoniti di tutti gli abitanti, le rocce
della miniera si fusero in un magma brillante, emanando un calore insopportabile persino dalla grande di-
stanza a cui si trovavano.
Per qualche attimo parve che tutta la terra si trasformasse in una fluida distesa di fiamme. Poi l’Energia si
liberò selvaggiamente in un’esplosione apocalittica e centinaia di tonnellate di roccia esplosero verso il cie-
lo in una raffica di lapilli incendiari. Giunsero al loro apice simili a stelle e ricaddero, come artigli roventi. Fu-
rono attimi lunghissimi.
Sotto quella pioggia luminosa Sh’mor vide Cineria planare verso la torre. La sua mente era migrata di nuovo
nel suo fragile involucro. Strinse i denti per sopportare il dolore bruciante. Non era stato creato per soppor-
tare quelle energie. Non aveva più forze per sorreggere se stesso e la spia in aria, così fluttuarono verso il
suolo mentre crampi dolorosi gli attanagliavano le viscere: era il tributo all’Energia che lo aveva attraversa-
to e lo pagò in silenzio.
Arrivati a terra, Dargo si schierò al suo fianco. Con una rapida occhiata riuscì a vedere il randan, stupito e
cupo, fissare il cielo pieno di dardi fiammeggianti che ululavano precipitando. Cominciavano proprio in quel
momento a colpire le prime strutture dell’avamposto.
Cineria si posò a terra con leggerezza, sollevando la prima fuligine che si stava già depositando. A prua si
spalancò un’apertura dalla quale emerse una rampa metallica.
Dargo invitò con un grugnito la spia a salire. Il randan non fece storie e lui lo seguì allacciando l’enorme a-
scia alle fibbie che la fissavano al fianco. Sh’mor rimase per un attimo a osservare l’operato di Sulyhad.
Dusk gemeva sotto la crepitante pioggia di fuoco caduta da un cielo nero di cenere ardente. Le miniere era-
no state completamente distrutte. Il minerale sarebbe stato difficilissimo da estrarre. Quel luogo non sa-
rebbe mai più stato lo stesso.
Chiuse gli occhi e respirò l’aria rovente.
E’ cominciata.
Poi si incamminò silenziosamente sulla rampa e si lasciò alle spalle quell’inferno.

Cineria riprese il volo sotto la guida attenta di Ral’shin’diel. Harikus chiuse il portello mentre l’aria calda vor-
ticava nell’ingresso di prua. La dolce penombra della nave li avvolse.
Tutto era in ordine, Sh’mor scandagliò le energie del vascello e ne fu soddisfatto. Si voltò verso Dargo:
“Scorta il nostro ospite nella cabina che gli abbiamo preparato e fa che si rilassi finchè non saremo lontani”.
Il mezz’orco chinò il capo e si voltò verso il randan che sembrava ancora stordito per la straordinaria mani-
festazione di magia elementale a cui aveva assistito: “Credo che mi dobbiate delle spiegazioni” azzardò con
finta ironia.
“Tutto a suo tempo” e lo lasciò alle cure di Dargo.
Lo stregone giunse faticosamente alla sua cabina, a poppa. La grande vetrata che aveva voluto al posto del-
la parete esterna lasciava entrare la luce infuocata della nube di ceneri e lapilli. Copriva Dusk e gran parte
dell’orizzonte alle loro spalle. Si sedette pesantemente sulla ricca poltrona imbottita intarsiata dagli artigia-
ni di Aman e ammirò la luce rossa e ondivaga danzare sulle pareti. Le sue ossa non reggevano più come un
tempo. Lasciò che i minuti passassero con gli occhi fissi sul panorama. La nube si fece piccola, poi minuscola
in mezzo alla grande perturbazione piovosa che si stava muovendo su quella zona del pianeta. Sentì l’eco
lontano di Sulyhad sparire come il ricordo del caldo tocco di un’amante. Poi uscirono dall’atmosfera di Zadi-
slath e tutto tornò al suo posto.
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Quante vite ho spezzato oggi?
Visto da così lontano, quel pianeta roccioso sembrava incapace di pesare sulla sua coscienza.
Con un gesto della mano richiamò dalla console in noce un bicchiere di costosissimo liquore alle erbe bian-
che di Remunnor. Lo sorseggiò in silenzio mentre la sua mente riprendeva a lavorare.
Aveva dato inizio alla sua impresa. Dopo anni di preparativi, la prima vera mossa sullo scacchiere si era infi-
ne conclusa. C’era solo un ultimo dettaglio. Chiamò Harikus.
“Porta qui la spia”.

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Pochi minuti dopo


Corridoni interni della Cineria
Synthoras – “la spia”

Aveva perso il suo ricco incarico con l’impero, era finito in mezzo al delirio di onnipotenza di un mago del
fuoco capace di sciogliere un’intera miniera di Rilian in pochi istanti, si era imbarcato su un vascello diretto
chissà dove e, cosa peggiore di tutte, aveva scoperto che esisteva un modo per individuare il luogo da cui
partiva per impossessarsi di un corpo. Era questo il riassunto che Syntoras si ripeteva mentre veniva “gen-
tilmente scortato” verso la cabina del capitano.
Che pessima giornata!
Ma quel pareshan non aveva calcolato il grado di pericolosità di un tipo come lui. In tutto l’universo cono-
sciuto erano pochissimi quelli che possedevano capacità simili alle sue. Alcuni li chiamavano ladri di anime,
altri spie mistiche, altri ancora larve fantasma. Due monete in lega d’oro e drakite sugli occhi e potevano
spostarsi come spettri e impossessarsi delle menti deboli e dei loro corpi. Non che la cosa fosse in qualche
modo meritata, per quel che Syntoras ne sapesse ci si nasceva con quel potere. Ma poteva sicuramente
vantarsi di appartenere a quella ristretta cerchia di individui che non vanno assolutamente fatti arrabbiare.
Da nessuno, in nessun caso.
Registrò attentamente i tratti somatici di tutti i membri dell’equipaggio che incrociò durante il breve per-
corso: gli odori, il calore che emanavano, il suono della loro voce mentre parlavano con i compagni di viag-
gio. Il mezz’orco era certamente il primo della lista. Di chi si sarebbe impossessato per tagliare la gola nel
sonno all’elementalista? Quanto lo avrebbe pagato l’impero per la testa del pareshan? Ne valeva la pena?
Prima di prendere qualsiasi decisione doveva parlare con lui. Così decise che non gli sarebbe dispiaciuto se-
guire gli ordini per un po’. E’ molto più dignitoso convincersi di avere la situazione in pugno anche quando si
è praticamente prigionieri, e Syntoras teneva molto alla dignità.
Fu fatto entrare nella cabina del mago e lo trovò seduto su una poltrona principesca, dietro una scrivania
finemente intarsiata, al centro di una stanza così riccamente arredata da sembrare lo studio di un lord sola-
riano. Non indossava più la maschera. Il suo volto tradiva l’incedere dell’età ma non sembrava quello di un
pirata. Piuttosto un nobile, un mercante o un diplomatico.
La grande vetrata dietro di lui gli confermò quello che già avevo intuito: erano nello spazio esterno in rapi-
do allontanamento da Zadislath e dalla cintura mineraria.
“Tutti ti chiamano la spia” disse il mago quasi distrattamente, senza alzare gli occhi dalle carte stellari che
aveva davanti.
Allora giochiamo. “Mi descrive meglio di qualsiasi altro nome. Che cosa volete da me?”.
“Intanto voglio assicurarti che non ti verrà fatto alcun male”.
Fu in effetti una bella notizia, ma Syntoras cercò di rimanere distaccato: “Ho perso trentamila corone, que-
sto per il mio modo di vedere è un grande male”.
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“Lo so” lo stregone si alzò dal tavolo e si voltò a guardare le stelle. Era alto e aveva spalle ben definite. Il suo
corpo in gioventù doveva essere stato energico e forte: “So anche a cosa stavi lavorando e credimi se ti dico
che ti è stato fatto un favore”.
Syntoras socchiuse gli occhi: “Un favore? Già … non vedo l’ora di ricambiarvi”.
“La tua ironia è del tutto fuori luogo … spia” la parola suonò come uno sputo: “I ribelli di Atkuma stavano
già sospettando dell’identità che hai utilizzato per infiltrarti. Credo che al tuo ritorno saresti stato accolto
dalla leggendaria ascia dell’orco”.
Allora sapeva davvero a cosa stava lavorando! “Sono colpito. Ma quanto dite è una vostra congettura ma-
stro … non credo che mi abbiate detto il vostro nome”.
Il pareshan si voltò con un sorriso anche troppo sinistro: “Sh’mor”.
Quindi era un personaggio importante su Paresh. Alla nascita i pareshan hanno nomi molto lunghi, formati
da molteplici parole che ne identificano famiglia, gruppo sociale, gene magico e altre cose irrilevanti per
chiunque sia sano di mente. Ascendendo nella loro gerarchia magico - mercantile si privano di parti del
proprio nome in segno di indipendenza e grandezza. I più nobili o ricchi fra i pareshan hanno nomi che so-
migliano a semplici suoni primitivi e i loro misteriosi sovrani elementali non ne possiedono affatto: tutti
sanno chi sono, non hanno bisogno di essere riconosciuti. Una magnifica manifestazione di arroganza.
Ma il nome di questo folle non mi è nuovo, dove l’ho già sentito?
Syntoras provò a far suonare la corda della vanità: “Credo di avervi già sentito nominare in ambienti più che
influenti”. Lo stregone inarcò un sopracciglio ma nei suoi occhi si accese una luce orgogliosa.
Colpito!
“Non sbagli, randan. Sono un membro dell’alta cerchia della gilda del Laccio d’oro”.
“Un ricchissimo mercante interplanetario ha forse bisogno di usare la forza per convincere una spia prezzo-
lata come me a farsi ben pagare per una missione?” E in effetti la cosa gli pareva alquanto strana.
“Non ho intenzione di pagarti per una missione”.
“Allora credo che la nostra discussione sarà per voi molto deludente. Non sono abituato a …”.
Lo stregone lo interruppe con un gesto veemente della mano: “Voglio che tu lavori per me a tempo pieno”.
Si aspettava forse che lui trasalisse ad un simile sfoggio di ricchezza? Assumerlo così sarebbe costato un pa-
trimonio. Ma non era la prima volta che gli veniva offerta un’opportunità del genere: “Ahimé mastro
Sh’mor devo declinare immediatamente, vi faccio presente che …”.
“Tu lavorerai per me Synthoras, spia mistica”. Cominciava ad interrompere troppo spesso, e la sua voce si
stava facendo aspra.
“Suona come una minaccia, nobile pareshan”.
“Potrebbe diventarlo. Ma in realtà si tratta di un’offerta di aiuto”.
Syntoras sbuffò: “Se vi riferite al fatto che Atkuma potrebbe volermi morto vi assicuro che non ho bisogno
del vostro generoso intervento”.
L’altro si avvicinò, guardando il randan dall’alto della sua stazza attraverso occhi multicolore. Sentì il suo so-
lito sgradevole formicolio fra i capelli: “Non ti sei chiesto come ho fatto a trovarti?”
Eccoci al dunque.
“Qualunque cosa crediate di aver scoperto sulle mie abilità non vi basterà a controllarmi”. Cercò di suonare
minaccioso ma la curiosità gli stava rovinando la parte.
“Io non ho bisogno di controllarti” si fermò per dare intensità alle sue parole. “Posso guarirti”.
Quella frase segnò la più grande svolta della vita di Syntoras il randan, spia mistica.
Non aveva uno specchio a sua disposizione ma pensò che la sua espressione avesse perso sicurezza e sfac-
ciataggine. Rimase comunque sulla difensiva: “Non vi seguo”
“Tu sei malato, Synthoras”.
E questo come diavolo fa a saperlo!
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“Voi siete matto, mastro Sh’mor” ironia poco efficace mentre probabilmente le sue pupille tremavano di
aspettativa.
“Non ho intenzione di giocare con te, spia mistica. Conosco la terribile conseguenza delle tue abilità. Lo spi-
rito si distacca dal corpo per conquistarne un altro, lo controlla e poi se ne separa, vivendo una morte in-
completa”.
“Descrizione da manuale”.
“Ma nel tuo manuale forse non era scritto che c’è un limite al logorio che una mente può sopportare. Un
confine che hai oltrepassato da un pezzo, per la brama di ricchezza”.
Syntoras rimase in silenzio, smarrito nei veloci pensieri in cui cercava di figurarsi con quali arcani mezzi lo
stregone avesse ottenuto le sue conoscenze. Sh’mor incalzò deciso: “Sei divenuto celebre, Syntoras. Un a-
gente che ha ricevuto lauti compensi da tutti i grandi regni conosciuti … ma stai pagando un prezzo molto
alto per la fama che hai conquistato. Io lo so. La tua mente comincia a dissociarsi, vivi incubi bizzarri, i tuoi
viaggi in cerca di prede sono sempre più dolorosi e hai l’inquietante certezza che questo sia solo l’inizio”.
Il randan cercò di sembrare aggressivo: “Come fate a sapere queste cose?” ma quasi inconsciamente ag-
giunse: “E cosa potreste mai fare per me?”
“Io e te siamo simili. Abbiamo pagato un prezzo amaro per il potere che ci è stato dato. Un fio terribile per
coltivare qualcosa che non abbiamo neppure chiesto di possedere”. Il pareshan tornò alla sua vetrata dan-
dogli le spalle e osservando le stelle, immobili testimoni della loro conversazione: “Eppure non potremmo
vivere senza”.
Rimase qualche attimo in silenzio. Syntoras non poteva negare di riconoscersi nella descrizione che aveva
appena fatto, poi lo stregone aggiunse: “Sono stato in un luogo lontano e ho riportato con me un frammen-
to dell’Occhio degli dei”.
Pensò di non aver sentito bene. Forse le sue parole erano giunte confuse al suo orecchio. “Avete riportato
cosa?”.
“Hai udito bene, randan”.
Ora sono sicuro: è un folle.
Ma aveva visto troppe cose impossibili nelle ultime ore e forse …
“Mentite, l’Occhio degli dei è stato distrutto”.
Ma l’altro mise la mano nella tasca interna del soprabito, proprio in corrispondenza del cuore. Si voltò verso
il randan ed estrasse con deferenza un piccolo involto di velluto nero.
Cosa sto per vedere?
Syntoras si avvicinò con un misto di sospetto e trepidazione. Sul palmo della mano dello stregone, adagiato
sul velluto che lo aveva protetto, stava il frammento di un osso spezzato. Era in tutto e per tutto simile a
quello di un randan o di un pareshan, tranne per uno strano lucore azzurrino che lo circondava.
Syntoras non era un mago ma un potere soprannaturale lo accompagnava dalla nascita. Nessuna creatura
che ne abbia almeno un soffio dentro di sé avrebbe potuto ignorare la vibrazione risonante che emanava
da quel piccolo resto. Lo sentì chiaramente, come se gli stesse parlando. Ad un tratto, seguendo una volon-
tà misteriosa, la sua tiepida luce si diffuse in tutta la stanza. La consapevolezza della spia si espanse assieme
ad essa e abbandonò la sua ristretta esistenza individuale. Per un attimo riuscì a pensare a quanto quella
sensazione fosse simile al volo mistico, poi un’onda di emozioni lo travolse. Una luce abbagliante. Un chia-
rore mai visto prima!
Tutta la conoscenza … ogni cosa mi è chiara … vedo il tempo e lo spazio per quello che sono … sento le voci
di ogni essere che abita i mondi infiniti … il rumore del crollo della Fortezza … il vento che sibila allo scio-
gliersi degli antichi sigilli … e la strada … mi conduce di nuovo lì … ancora, … e ancora … il rintocco di cam-
pane di vita e morte … sono in quel luogo … è lì che ho sempre dovuto essere.

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La luce si spense. I suoi occhi incontrarono quelli del mago. Lesse in lui lo stesso attonito stupore che aveva
invaso la sua mente.
Si accorse che non stava respirando e prese una lunga boccata d’aria: “Dov’è quel luogo?”
Il pareshan riavvolse diligentemente il frammento nel suo involucro: “Non lo so”.
“Ho visto qualcosa … ma non riesco a ricordare”.
“Hai osservato quello che ho visto io. Anche i più saggi a cui ho mostrato la luce dell’Occhio non sono riusci-
ti a rammentare quello che hanno scoperto in quel luogo”.
“Vita e morte allo stesso tempo”. Sapeva di avere un’espressione inebetita. Ma si sentiva leggero … e con-
solato. Forse quello era il vero Syntoras … o lo era stato.
I duri occhi di Sh’mor lo riportarono alla realtà: “Troppo vago, spia. Io ho visto qualcosa di preciso. Una cosa
importante. Un monito e una soluzione allo stesso tempo. Qualcosa che ha a che vedere con la Fortezza … e
non ho più potuto pensare ad altro”.
“E’ l’Occhio che ti ha svelato i miei segreti?”
“E’ così. E mi ha anche detto come curarti”.
Non poteva più pensare che mentisse: “Allora credo che io e voi, mastro Sh’mor, dovremmo fare una lunga
chiacchierata”. Quello che gli stava promettendo valeva più di ogni compenso.
“Ti unirai alla mia ciurma?”.
Sbuffò: “Una ciurma che non ha un luogo da raggiungere?”.
Il suo corpo cominciò a cedere alla stanchezza. Aggirò il tavolo e si sedette sulla sua comoda poltrona: “Ti
ho detto che non so dove l’Occhio mi abbia portato … non che non sappia come scoprirlo”.
Ormai il mago aveva completamente catturato l’interesse di Syntoras: “Sapete come far parlare l’Occhio?”.
“Ne sono certo”. Non mentiva. “Ma i costi di quello che dovrei fare sono estremamente alti”.
I costi?
“Siete un alto mercante del Laccio d’oro, non fatemi ridere”.
“Non ridere. Preparati. Oggi hai assistito alla prima mossa di un gioco molto pericoloso. Una partita durante
la quale le tue abilità mi saranno indispensabili”.
Fu questione di un attimo: riesaminò tutti i tasselli ed ebbe una prima visione d’insieme: non gli piacque.
“La vostra partita sarà brevissima. Appena l’impero saprà quello che è successo manderà i suoi soldati a
prendervi, e credetemi … non c’è abbastanza oro nei vostri forzieri per fermare un decreto solariano”.
Sh’mor si versò del liquore da una bottiglia che doveva valere un patrimonio, il ghiaccio tintinnò allegra-
mente: “Ma non c’è nessuno che possa ricondurre questo attacco a me”.
“Non crediate che basti una maschera per proteggere la vostra identità. Hanno visto il vostro vascello. Han-
no visto il vostro soldato”.
“Dargo è un mercenario della rivoluzione. Ha servito presso molti padroni, ma mai per Sh’mor di Paresh. Il
mio vascello, Cineria, non è codificato in nessun registro navale: l’ho fatto costruire in segreto e per quanto
riguarda la maschera … non serve a nascondermi, serve a manifestarmi”.
Syntoras non potè fare a meno di esplodere in una sonora risata.
Questo mercante crede di essere furbo! Vuol fare il pirata a tempo perso!
Ma aveva già sperimentato i suoi “raffinati” metodi criminali.
“Ah ah! Quanti sforzi mastro Sh’mor! Ma di elementalisti con le vostra capacità ce ne sono molto pochi.
Con l’elegante uscita di scena che avete architettato a Dusk basterà poco per scoprire chi mi ha rapito”.
“Nessuno ti ha rapito, Syntoras. Tu sei morto”.
Cominciò a capire.
“E io sono un ricco mercante pareshan … ma tutti sanno che sono assai limitato come mago del fuoco”.
“Impossibile! Dalla vostra nascita nessuno si è accorto delle straordinarie capacità che possedete? Non so-
no un mago ma so che non si posso ingannare così i propri mentori e tutto un popolo”.
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“Non ho ingannato nessuno, Syntoras” Il suo sguardo si fece d’acciaio, ma oltre la barriera si leggeva una
profonda tristezza. O forse era vergogna? “Ho sofferto molto per lo scarso talento che possedevo per la
magia elementale. In gioventù ho davvero consumato me stesso nel tentativo di guadagnare la stima dei
miei nobili genitori … ma solo la mia intelligenza mi ha aiutato nella scalata alle gerarchie mercantili che mi
ha fatto ricco. Ero un disastro come incantatore”.
Questo era troppo! Lo stava prendendo in giro: “Ma io vi ho visto incenerire un’intera miniera di Rilian!”
“L’ho fatto”.
“E come … ?” Poi nella mente di Syntoras balenò la verità. Logica e assurda allo stesso tempo: “L’Occhio”
Il mago parlò a denti stretti: “Ho ricevuto in dono un potere che sorpassa ogni mio più grande desiderio.
Perché? Non sono ancora riuscito a darmi risposta … ma l’Occhio lo farà … così come mi ha reso un mago
capace di simili prodigi”.
Syntoras aveva un talento speciale per capire al volo le persone, sarebbe morto altrimenti, almeno mille
volte. Ma questo stregone e la sua storia erano indecifrabili. Non gli aveva detto tutto … e perché avrebbe
dovuto? Ma aveva un frammento dell’Occhio degli dei, sapeva della sua misteriosa serie di sintomi, pareva
sicuro di potergli offrire una via di guarigione.
Cosa devo fare?
Provò a incalzarlo: “Ho visto altri tentare di condurre una doppia vita. Voi volete essere un ricco mercante e
un pirata inafferrabile per ottenere chissà quali risorse e avvicinarvi alla visione che pensate vi riguardi”
“Ora sei tu a descrivermi con esattezza, spia”.
“Non ci riuscirete”.
Il mago sorrise: “Sei con me?”
Sono con lui? …
Mi voglio imbarcare in questa avventura? …
Ma sì ... Almeno per ora.
“Accetto. Ma falliremo. Il Multiverso è troppo infido per pungere i giganti giocando solo secondo le proprie
regole. Verrete divorato, so di cosa parlo”.
“Questo lo vedremo”. Nella voce di Sh’mor, Syntoras sentì il piglio di un guerriero votato alla morte. Non gli
importava di nulla, se non della sua visione. Era pericoloso, e non solo per i suoi nemici. Così lo provocò: “Sì
… lo vedremo molto presto. L’impero solariano cercherà questo pirata che ha osato far fuori la spia che a-
veva assoldato. Si chiederanno come avete fatto a sapere dove sarebbe avvenuto l’incontro”.
“Ho amici che frequentano il capitano Terzianus e che gli hanno suggerito Dusk come luogo sperduto dove
farvi incontrare”.
“Spero che i vostri amici non parlino sotto tortura”.
Sh’mor alzò le spalle: “Nessuno li interrogherà, sono al di sopra di ogni sospetto”.
“Perché sono morti?”.
“Perché sono amici di Sh’mor di Paresh” i suoi occhi brillarono.
“Dovrebbero essere amici anche del proprietario della miniera di Dusk! Quell’uomo vi vorrà morto entro
domani e farà torchiare chiunque abbia partecipato alla vicenda. Gli avete causato una perdita immensa”.
“Terribile, è vero” lo stregone ruotò la poltrona e riprese a guardare le stelle. “Circa quattrocentomila coro-
ne in minerale grezzo ogni anno solariano … ma sono sicuro che se ne farà una ragione e non mi darà pro-
blemi”.
“E cosa vi da questa certezza?”
“Lo conosco bene”.
Che arroganza!
“E’ un altro vostro fortunato amico?”.
“No” Sh’mor sorseggiò il suo liquore: “Sono io”.
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Tre giorni dopo.
Forte di Euron – Sede del comando della prima armata imperiale – Parnia Solaris.
Sh’mor – Maestro della Gilda Mercantile del Laccio d’oro e Stregone della fiamma

“L’esercito imperiale è costernato per quanto è accaduto, mastro Sh’mor”. Il capitano Terzianum sicura-
mente era abituato a dire cose del genere. Le operazioni militari di Parnia Solaris avevano la fama di essere
sempre estremamente decise e ricche di “effetti collaterali”. Forse anche per quello nel suo studio persona-
le armi e armature erano esposte in bella vista, ricordando a chiunque la potenza dell’impero. Sh’mor fece
scivolare lo sguardo sull’impressionante vista della città di Gradius che si godeva dalle grandi arcate di pie-
tra della stanza. Alte torri facevano a gara per sfidare il cielo, immensi parchi coloravano le grandi dimore
dei nobili dell’impero. Chiunque avesse un po’ di potere doveva possedere una casa nella capitale: più
grande era la villa, maggiore il rispetto. Fra i ricchi quartieri commerciali si ergevano i magnifici templi dedi-
cati agli dei. Tutto circondato da mura possenti e da una dolce campagna di ordinati frutteti, campi di bion-
do grano e piccole città satellite dove viveva la popolazione comune.
Un vero capo deve avere uno studio con una vista incredibile. Dice a tutti che i suoi occhi vedono cose stra-
ordinarie.
Allo sguardo di un ingenuo visitatore tutto appariva paradisiaco, ma quello era il cuore politico e militare da
cui partiva il più ferreo e spietato tentativo di dominio interplanetario di tutto il Multiverso conosciuto. Un
impero costantemente impegnato a soffocare ribellioni, mostrare la propria forza per intimidire i rivali e
nascondere attentamente le ferite sotto la propria pelle d’acciaio.
Riprendendosi da quelle considerazioni, il pareshan cercò di mostrarsi irritato: “Ho subito una gravissima
perdita, e non so neanche perché! Accettare di ospitare un vostro incontro segreto mi pareva essere
un’opportunità per dimostrare la mia lealtà all’impero e godere di qualche vantaggio in più”.
Terzianum gli rivolse lo sguardo che si elargisce a un bambino noioso: “E lo avrete. Parnia Solaris non di-
mentica chi si schiera dalla sua parte. Terremo ben presente il vostro nome nella stipula dei futuri contratti
di transazioni minerarie ed energetiche”. Poi sorrise: “Potete star certo che vi rifarete di ogni singola corona
che avete perso in queste sfortunate circostanze”.
Terzianum si alzò dalla sedia e si apprestò a congedarlo. Era tutto. Nessuna spiegazione, nessun rimborso.
Strinse la mano di Sh’mor con morsa d’acciaio e forse le labbra del mago mercante si incresparono lieve-
mente senza mostrare la dovuta frustrazione, ma aveva davanti un soldato, non un diplomatico, che nella
sua sicurezza non si accorse di tutte le piccole rughe rivelatrici.
Sh’mor uscì dalla stanza con il suo piccolo seguito: due funzionari commerciali, un interprete solariano e al-
cune guardie armate, per mostrare a tutti che anche i mercanti possono difendersi.
Normalmente si sarebbe trattenuto qualche giorno a Gradius per partecipare alle feste che quotidianamen-
te venivano organizzate dai nobili e incontrare potenti esponenti dell’impero per tessere nuovi contratti
commerciali. Ma doveva sembrare irato e offeso. Inoltre, aveva ben altro a cui pensare in quel momento.
La prima mossa aveva sortito l’effetto sperato. Ora tutti sapevano che un pirata sconosciuto dal grande po-
tere solcava lo spazio con un fine misterioso. Ma il vero successo era un altro: aveva la spia. Gli avevo pro-
messo cose che forse non era ancora in grado di dargli e sapeva che un individuo come Syntoras rappre-
sentava un’arma a doppio taglio, ma non avrebbe raggiunto nessun ulteriore risultato senza le sue abilità.
Ci sono cose che né il denaro, né il fuoco divoratore riescono a conquistare.
Giunse alle enormi piattaforme di pietra dove stazionavano i vascelli approdati a Gradius. Passò fra decine
di enormi velieri volanti e piccole navi nobiliari, agili ed eleganti. Giunse infine alla “Diamante scarlatto”, la
grande ammiraglia della flotta mercantile con cui si muoveva nelle occasioni ufficiali. Ispezionò la piatta-
forma e scorse il piccolo vascello che aspettava, ormeggiato al fianco di un brigantino di scorta alla flotta di
lord Dirmian, un emissario amaniano. Lasciò da parte il suo seguito e si avvicinò alla rampa della snella im-
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barcazione che sembrava un insetto vicino ai grandi scafi delle sue vicine. Dal ponte scese Ral’shin’diel.
L’allievo si fermò dinnanzi a Sh’mor con un profondo inchino.
“Che notizie porti?”
“La missione è compiuta maestro. Il nostro nuovo amico è nella stiva con le informazioni che desiderate”
Lo stregone annuì soddisfatto e consegnò a Ral’shin’diel la pergamena ufficiale che aveva fatto preparare:
“Questo è il tuo visto commerciale di priorità. Dopo l’offesa che ho subito almeno me lo hanno firmato sen-
za fare troppe domande. Nessuno ti fermerà. Ci incontreremo sull’isola”.
L’apprendista prese il documento e risalì sulla nave.
Una buona ciurma parla poco.
Avrebbe voluto mantenere lo sguardo sul decollo del vascello con il suo prezioso carico di informazioni, ma
si costrinsi a salire sulla “Diamante scarlatto”.
I suoi funzionari commerciali stavano ancora discutendo animatamente su quanto l’impero fosse ingrato e
corto di manica nel risarcire i suoi collaboratori. Alcuni provavano ad intuire i motivi dell’attacco o quale
fosse la misteriosa finalità dell’incontro di Dusk.
Li lascò alle loro discussioni e si ritirò nell’enorme cabina del bastimento. Aveva sempre una vetrata a sua
disposizione per guardare il cielo.
Un vero capo deve avere uno studio con una vista incredibile.
La giornata era stata ricca di impegni e stancante. Era stato trattato come un piccolo, noioso mendicante e
aveva continuamente rivolto il suo pensiero alla missione di Syntoras. Contenere la pulsante magia che lo
pervadeva diventava ogni giorno più difficile e mentre prendevano il volo lasciò che una lingua infuocata gli
fluttuasse attorno, come un cucciolo di drago.
Cosa gli era accaduto in quell’anno? Aveva visto cose straordinarie e ordito il progetto più rischioso che un
uomo potesse immaginare.
Le fiamme scatenano un processo di trasformazione irreversibile. Non c’è ritorno una volta che il fuoco è
stato appiccato.
Gradius si stendeva sotto di lui. Maestoso simbolo di tutte le grandezze dei regni conosciuti … ed era solo
uno dei titani che avrebbe dovuto provocare, compiendo azioni che lo avrebbero fatto vivere costantemen-
te sul filo di una lama letale.
Estrasse l’involto con il frammento dell’Occhio degli dei. Anche attraverso il velluto sentiva il suo calore, la
sua misteriosa promessa di conoscenza e grandezza. Spinto da quella visione aveva acquisito un potere i cui
confini non riusciva ancora a sondare. Si era alleato con individui pericolosi ed era diventato il comandante
di una ciurma pirata. Il calore penetrò nelle sue ossa, invase gli occhi, lo portò lontano oltre il fluire del
tempo, verso la Fortezza, verso il luogo dove sapeva di dover andare.
Era pericoloso, ma ne sarebbe valsa la pena. Parnia Solaris spariva nell’immensità delle stelle.
Da lì persino l’impero sembrava minuscolo.
Si lasciò scivolare sulla poltrona di comando e chiuse gli occhi.
Lasciamo che la fiamma divampi.

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