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CAPITOLO 1

Il vascello volante fendeva ondeggiando le dense nubi grigie, ammassate sopra le colline nel nord
del regno di Heloria. Era un veloce brigantino militare sospinto da due sfere vorticanti di luce
argentea, situate ai lati dello scafo di poppa. Atrax ascoltava il rombo sommesso delle correnti
energetiche che le attraversavano. Era il rumore del Valnim nella sua fase di irradiamento, prima
che venisse canalizzato nei due potenti motori di squisita fattura. Il suo regno poteva vantare
grandi costruttori navali.
Mentre si stingeva nel mantello per proteggersi dal freddo pungente di quelle quote, un pensiero
si insinuò nella sua mente. Avrebbe dovuto riferirsi ancora a Heloria come alla propria patria?
Dopotutto ormai era un Guardiano Kailash. Poteva ancora chiamare Edenport “casa” e definirsi
“Heloriano”? Non fu un pensiero gradevole e il suo sguardo si adombrò.
Certo, avrebbe abitato per qualche tempo nei palazzi della Baronessa Lucilla, la nobildonna che lo
aveva accolto nella sua casa, che da orfano di strada ne aveva fatto un soldato. Ma infine l’ordine
Kailash lo avrebbe inviato lontano, in missioni di esplorazione o per risolvere conflitti in terre che
non aveva mai sentito nominare.
“Guardiano Atrax!” una voce lo ridestò dalle sue considerazioni. Si voltò e vide avvicinarsi sul
ponte il capitano Willen. Con i suoi sessant’anni, i grandi baffi bianchi e il soprabito militare blu e
rosso era il tipo d’uomo che ispirava fiducia. “Fra pochi minuti saremo in vista dell’obiettivo e
dovremo atterrare. Vi prego di avvertire il vostro maestro. I soldati sono già pronti a sbarcare”.
Atrax annuì: “Grazie capitano”. Doveva ancora abituarsi al titolo di Guardiano e al nuovo rispetto
che gli portavano persino i gradi più alti della gerarchia militare. Non poteva negare di provare
piacere per quegli ossequi. Ma avrebbe dovuto meritarseli. E non sarebbe stato facile.
Scese sotto coperta mantenendo agilmente l’equilibrio, nonostante le scosse dovute agli
assestamenti di rotta nella fase di discesa. Bussò alla porta di Veryon, il suo maestro. Entrò nella
piccola cabina. Una candela accesa illuminava fiocamente la scomoda branda e una rozza
cassapanca squadrata. Il delicato odore di un incenso fumante profumava l’aria. Veryon era
inginocchiato davanti a Fantasma, la sua spada. Era appena uscito dallo stato di focalizzazione e
respirava profondamente. Era un uomo di quasi cinquant’anni, dal corpo asciutto e muscoloso. I
capelli brizzolati e la corta barba ben curata incorniciavano un volto segnato dai solchi del tempo e
di innumerevoli avventure. Era rilassato, le labbra distese e leggermente socchiuse. Il medaglione
esagonale, simbolo dei sei pilastri del combattimento e marchio dei Kailash, pendeva dal suo collo.
Al centro era incastonato un diamante. Simbolo del rango di Veryon. Un Guardiano Maestro, nello
stadio di Othil, la pienezza del cammino dei guerrieri Kailash. Atrax stimava quell’uomo al limite
della venerazione.
Veryon aprì gli occhi: “Sei pronto Atrax?”
“No”. Inutile mentire al suo maestro.
“Molto bene. Almeno sei onesto”. Veryon si alzò e cominciò con calma a indossare i pezzi della sua
leggera armatura di cuoio borchiato.
Atrax tossì a disagio: “Hai percepito qualcosa? Riguardo all’albero …”.
“Credi che io sia un veggente Atrax?”
“No, lo so bene, maestro … però la tua visione spesso …”
Veryon lo interruppe: “Capisco che la nostra missione sia alquanto insolita e che i tuoi sogni
recenti ti abbiano preoccupato, però il tempo della preparazione è finito. Ora è il momento di
agire. Vedrai: il tuo istinto ti guiderà bene”.
Gli si avvicinò. Si fissarono. “Mi fai passare?”.
Atrax era proprio sulla porta: “Ma certo maestro!”.
Veryon uscì: “Mettiti l’armatura, prendi Einhander e raggiungimi sul ponte. Facciamo un bel
discorso ai soldati”.
Atrax si voltò. Non era il caso di preoccuparsi. Era la sua prima vera missione da Guardiano. Il
sogno che lo perseguitava da settimane in cui moriva fra le fauci di un demone non doveva
impressionarlo. Era sicuramente la tensione. La paura di non essere all’altezza delle aspettative del
suo maestro e della baronessa Lucilla. Tutto normale. Veryon aveva ragione, doveva fidarsi del
proprio istinto e dell’addestramento. Entrò nella cabina e indossò il corpetto di cuoio. Einhander
era distesa sul coperchio della cassapanca con la lama lustra per le applicazioni rituali di olio sacro
che precedevano la battaglia.
Per un momento rivide il giorno del suo primo incontro con Veryon, sei anni prima. Atrax doveva
ancora superare il ventesimo compleanno. La baronessa, alquanto accigliata, lo aveva convocato
nella sala delle udienze. E quello straniero misterioso e sorridente gli aveva mostrato Einhander:
“Questa spada cerca un Guardiano, ragazzo. E io credo che quel guerriero sia tu”. Con quelle
parole Veryon lo aveva legato per sempre ad un cammino di disciplina, pericolo e dedizione al
prossimo. Colpito e affondato. Prese tutto e si affrettò a salire sul ponte.
Il brigantino si trovava a pochi metri dal suolo, in mezzo alla nebbia. Trenta soldati heloriani
appartenenti alla fanteria esplorativa attendevano ordinatamente sul ponte insieme al
Luogotenente Graud. L’equipaggio della nave ed il capitano Willen erano radunati a prua.
Avrebbero sbarcato la pattuglia e raggiunto il lago dei Cristalli per mettere all’ancora il brigantino
in attesa dell’esito della missione.
Tutti guardavano in direzione di Veryon. Quando Atrax fu al suo fianco il Guardiano parlò: “Alcuni
giorni fa, alla corte di Granwald è arrivata una richiesta di intervento proveniente dal forte del
Picco di Avon” la sua voce era decisa e calma: “A quanto pare, in una della anse del fiume Baltis è
improvvisamente apparso un gigantesco albero. Nato e cresciuto in una notte sola per opera di
una forza sconosciuta”. I soldati si guardavano quasi divertiti. Gli occhi di Veryon si strinsero
impercettibilmente: “Troverete meno ridicolo il fatto che quella notte stessa ben dodici persone,
fra uomini, donne e bambini che vivevano nelle fattorie vicine siano state viste camminare nel
sonno, come in preda ad un delirio febbrile, in direzione dell’albero. Sono tutti svaniti nel nulla”.
Anche il luogotenente Graud, veterano di molte battaglie, ora ascoltava attentamente.
“Ovviamente il forte ha inviato i suoi soldati a ispezionare la zona intorno alla pianta”. Ci fu un
momento di silenzio. “Di loro e dei due cavalieri di grifoni che li accompagnavano non si hanno più
tracce”. A quel punto Veryon incontrò lo sguardo di Atrax e ammiccò per cedergli la parola.
Il ragazzo si schiarì la voce e cercò di sembrare padrone della situazione: “Io e maestro Veryon
siamo stati posti a capo di questa forza esplorativa. Il nostro compito sarà di avvicinare l’albero e
valutare l’origine degli oscuri fenomeni che lo circondano” la preoccupazione sui volti della truppa
era evidente. Atrax si rese conto che avrebbe dovuto rassicurarli: “Siete soldati heloriani ben
addestrati. Seguite i nostri ordini e stasera mangeremo e berremo nel forte di Avon, ospiti del
duca. Le forze oscure non ci spaventano”. Detto questo estrasse dal fodero Einhander. La lama
della spada magica cominciò a brillare attirando gli sguardi dei soldati e pulsando al ritmo del
respiro di Atrax. Esibì il suo sguardo più determinato: “Sbarchiamo e risolviamo questa faccenda”.
Mentre la ciurma abbassava le assi nella nebbia per far scendere i soldati, Atrax ripercorreva i
molti misteri di quella situazione. Cosa aveva generato l’albero? Cosa aveva spinto dodici contadini
a disperdersi nella notte in preda al delirio? Che genere di forza era in grado di annichilire
un’intera truppa di esploratori senza lasciare alcun sopravvissuto? Si rivolse al suo maestro: “Cosa
ne dici?”
Veryon lasciò vagare lo sguardo sugli uomini: “Il momento della spada luminosa potevi
risparmiarmelo” sorrise: “Ci vorranno almeno due ore di marcia per raggiungere l’ansa dove si
trova l’albero”.
Atrax annuì: “Se non altro la nebbia ci proteggerà da occhi ostili”. Ma il maestro non sembrava
convinto: “Non credo che abbiamo a che fare con il genere di occhi che si lasciano offuscare dalla
nebbia”. Probabilmente aveva ragione e Atrax rivide per un momento il demone del sogno.
Involontariamente strinse più forte l’elsa di Einhander. Veryon colse la sua tensione e gli mise una
mano sulla spalla: “Quella spada non ti ha scelto per gioco, Atrax. Sei un ottimo guerriero Kailash e
lo dimostrerai presto. Anche a te stesso”. Poi il maestro inarcò un sopracciglio e aggiunse: “Se ti fa
stare meglio posso fare anche io il giochetto della lama luminosa”. Gli strappò un sorriso. In realtà
Atrax aspettava da molto l’occasione di mettere in pratica il suo addestramento. Non era più un
orfano, figlio di nessuno, ma un Guardiano, un Guerriero Kailash. Era il tempo di dimostrare a tutti
quel che valeva. Era tempo di agire.

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