Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Sono due momenti di svolta della storia europea, non solo dei
paesi in cui hanno origine. Due momenti così epocali che anche
chi li ha vissuti si è reso conto dell’immensa importanza di ciò
che avveniva. Questi due momenti rappresentano
un’accelerazione della storia, inaugurano una serie di
trasformazioni sociali e materiali mai viste prima.
Il mutamento, da una spinta forte al desiderio di studiare la vita
sociale che muta rapidamente e in modo inarrestabile e sorge il
bisogno di capire le ragioni e le direzioni di questo mutamento,
per controllarlo, dirigerlo e non farsene travolgere.
Cultura - L’illuminismo:
Svolse un ruolo fondamentale nella critica dell’ordine feudale in
nome della ragione. Nulla è legittimo se non quello che è
motivato razionalmente. L’autorità per tradizione e le chiese che
vogliono rappresentare Dio, sono prive di fondamento. Il mondo
umano è un mondo storico che va verso il progresso che
coincide con l’illuminazione crescente che la ragione porta nelle
vicende umane. Gli illuministi portano il concetto di osservabilità e
descrizione razionale alla base della scienza moderna dagli
oggetti naturali a quelli sociali. Alla base dell’illuminismo c’è di
nuovo la borghesia, che considera il governo come una cosa
pubblica a cui tutti possono proporre idee e critiche. La ragione è il
principio di dialogo e critica, possibilità di parlare della cosa
pubblica senza censure da parte di sovrani, di principi divini, ecc.
Montesquieu:
La sociologia intesa come “discorsi scientifici sulla società” ha
inizio con gli illuministi anche se il primo ad adottare la parola
“sociologia” sarà più tardi Comte nella metà del 1800. Anche se
ogni paese può trovare in un suo studioso il primo che parlò di
sociologia (anche se non ancora conosciuta come tale) qui si
indica Montesquieu come “primo sociologo”. Con “Lo spirito
delle leggi” (1721) Montesquieu osserva le leggi che governano
gli uomini in varie società e prova a mettere in relazioni le leggi
con i vari contesti storici e naturali in cui le società vivono
(clima, costumi, eventi storici). Non prova a stabilire come gli
uomini dovrebbero vivere;; osserva come vivono e la relatività
delle loro leggi. Osserva e prova a spiegare. Questo è
l’atteggiamento di base del pensiero sociologico.
Nelle “Lettere persiane” fa finta di essere un re persiano in giro
per il mondo che in varie lettere descrive ciò che vede. Agli
occhi del lettore il suo mondo è esotico, strano, diverso. Poi il re
arriva in Europa e comincia a descrivere stupito le stranezze di
questa società e il lettore quindi si trova a domandarsi perché il
mondo in cui vive è così e quello del re così diverso. In base
alla prospettiva da cui si guarda, niente è “normale” e tutto può
essere “esotico”. La constatazione delle diversità, la
relatività delle società e il cercare di capirne il
perché è essenziale al pensiero sociologico.
Empirismo:
In Inghilterra e Scozia, sempre nel XVIII secolo.
Come gli illuministi l’osservazione è il suo credo. Non condivide
però la fede nella possibilità della ragione di venire a capo di
tutta la realtà. È più scettico. È però ugualmente critico verso
qualsiasi tipo di dogma, e cerca di applicare al regno umano i
principi scientifici. Per Ferguson nel “Saggio sulla storia della
società civile”: il mondo sociale è il prodotto
dell’attività degli uomini, non di un disegno
individuale, ma risultato dell’interazione di tutti.
Adam Smith:
Nel 1776 scrive “Trattato sulla natura e le cause della ricchezza
delle nazioni”.
La ricchezza di una nazione dipende dalla sua
capacità di produrre che dipende dalla grado di
divisione del lavoro raggiunta.
La divisione del lavoro comporta la specializzazione di ognuno
in un determinato campo, che accresce le capacità produttive
ma anche la dipendenza di ognuno rispetto agli altri.
Producendo un solo bene per ogni altro bene si è costretti a
rivolgersi agli altri, scambiando parte di ciò che si produce.
A regolare produzione e scambio c’è il mercato un’istituzione
sociale che regola tutto in base a domanda e offerta, con la
conseguente definizione del prezzo di ciascun bene. Un bene
poco prodotto e quindi scarso avrà un prezzo alto perché la
domanda sarà alta;; un bene prodotto in grosse quantità sarà
relativamente poco richiesto e il prezzo scenderà. La
produzione quindi si sposterà verso quel prodotto scarso, che
muterà quindi prezzo, e così via. Questo continuo
aggiustamento dei prezzi farà si che i prezzi siano sempre
giusti e la produzione si suddivida sempre tra i vari beni.
In base a questa concezione, non ha più senso chiedersi se gli
uomini tendano per natura ad aggregarsi o ad essere ostili tra
di loro, ma importa osservare le condizioni e i modi che
provocano la necessità degli scambi. Anche se questa idea del
mercato concorrenziale di Smith è in realtà rara, la divisione del
lavoro e l’autoregolazione della società sono tra i temi
fondamentali della riflessione sociologica.
2- Sociologia e positivismo
Il materialismo storico
È un modo di pensare partendo dalle condizioni materiali degli
uomini. I presupposti da cui parte sono gli individui reali, le loro
azioni, le condizioni, sia quelle che hanno trovato già esistenti
sia quelle che producono essi stessi. La storia è
essenzialmente la storia di come gli uomini si sono organizzati
insieme per produrre, cioè per rapportarsi con la natura per
garantirsi la sopravvivenza. Rilevante è la divisione del lavoro
fin’ora sempre stata ineguale. (patrizi e plebei, servi e signori..).
I modi concreti di divisione del lavoro e di proprietà, insieme alle
tecniche di produzione usate, formano la base della società,
che Marx chiama struttura. La struttura di una società
determina la forma di tutto il resto che chiama sovrastruttura
(istituzioni giuridiche, rappresentazioni religiose, morali,
filosofiche… dipendono dalla struttura).
La nozione di “classe”:
Per Marx la classe è un insieme di individui che si trovano nella
stessa posizione all’interno dei rapporti di produzioni di un
determinato modo di produzione.
Nella storia ogni società è sempre stata caratterizzata da varie
classi con interessi diversi che entrano in conflitto tra loro per
determinare il potere. La lotta fra classi è ricorrente nella storia.
Nel modo di produzione capitalistico Marx individua due classi
principali:
- la borghesia composta da capitalisti proprietari dei mezzi
di produzione
- il proletariato composto dai lavoratori salariati
Lo sviluppo del modo di produzione capitalistico porterà tutte le
altre classi ad avvicinarsi ad un o l’altra di queste due classi
principali.
Gli interessi sono opposti: i capitalisti tendono a sfruttare il più
possibile gli operai e gli operai tendono a liberarsi dallo
sfruttamento.
I capitalisti ammantano i loro interessi con una ideologia che
giustifica i rapporti esistenti e pongono il capitalismo come
rappresentante degli interessi di tutti. Gli operai hanno
raramente chiari i loro interessi. Il passaggio da un stato in cui
non riconosce i propri interessi (classe in sé) ad una in cui li
riconosce e si organizza di conseguenza (classe per sé) si
produce nel corso delle lotte di classe.
La classe è quindi anche una collettività capace di
intraprendere azioni congruenti con i propri interessi.
Individuo e società:
Per Marx l’uomo è un essere sociale. Gli uomini producono
insieme le condizioni della loro sopravvivenza, non esistono se
non in società. L’individuo isolato può esistere solo in
determinate condizioni storiche. Già all’inizio della storia ci sono
individui collegati tra loro, con la famiglia, da cui si nasce. Il
rapporto tra i sessi è la base dei rapporti sociali. È altrettanto
basilare il rapporto tra gli uomini e la natura, per produrre
quanto necessario per il proprio sostentamento. Man mano che
cresce e si affina la capacità di produrre, si accrescono e
raffinano i bisogni e le sensibilità, si modifica il mondo
circostante, le forme di convivenza, la coscienza di sé che è
anche un prodotto dell’interagire sociale. La coscienza infatti ha
alla sua base il linguaggio che è sociale in quanto non
esisterebbe un linguaggio parlato da un solo individuo.
L’idea che l’individuo possa essere opposto alla società è
un’idea relativamente recente e si sviluppa proprio quando i
rapporti sociali si fanno più sviluppati cioè a partire dal XVIII
secolo.
La spiegazione di questo paradosso è per Marx è che la società
moderna ha una divisione del lavoro sociale molto sviluppata.
Ciascun individuo è confinato nel suo ruolo. Il punto di
ricongiungimento di questo lavoro diviso è il mercato che però è
astratto, si basa su leggi impersonali e lo scambio di merci non
avviene su basi personali. Di fronte al mercato l’individuo può
immaginarsi isolato. È contro questa immaginazione che Marx
pone enfasi nel fatto che l’uomo è sociale.
La società in cui l’imperativo è produrre, diviene estraneo
all’uomo il senso stesso della vita. Si produce come mai prima,
si ha un controllo sulla natura mai avuto in precedenza, ma la
capacità di godere dei rapporti con gli altri e con la natura viene
meno. La società è immensamente potente ma l’individuo
estremamente incapace a dare un senso al tutto.
Osservazioni:
La rivoluzione predetta da Marx non c’è stata. Il suo punto di
forza però è stato dare ai lavoratori di tanti paesi, una bandiera
per cui lottare e basi su cui fondare le loro lotte.
Per gli economisti la debolezza della teoria di Marx sta nell’idea
del valore, senza il quale l’idea dello sfruttamento decade.
Dal punto di vista sociologico, le classi intermedie che Marx
ipotizzava si sarebbero polarizzate verso l’una o l’altra classe
principale, non si è avverato, ma i tecnici, impiegati, funzionari
pubblici, addetti a servizi e commercio, hanno sviluppato una
loro coscienza di classe e non si sono uniti agli operai. Per
quanto riguarda la “falsa coscienza”, nel Novecento si è
affievolita la voglia di rivoluzione all’interno della classe operaia,
e l’adesione al sistema capitalistico (sarebbe stata comprata
con la concessione di privilegi e la partecipazione al benessere)
è stata ben più ampia di quanto lui avesse immaginato.
Tra il 1890 e il 1910 nascono le prime cattedre universitarie,
associazioni professionali, e riviste, esplicitamente dedicate alla
sociologia. Parallelamente vari studiosi cercano di dare un
fondamento teorico e metodologico alla sociologia in quanto
tale. Durkheim, al contrario di Marx che non si sarebbe mai
definito un sociologo, ha un esplicito programma, quello di
fondare la sociologia. Fu uno dei primi ad occupare una
cattedra in sociologia all’università di Bordeaux e a fondare una
rivista di raccolta di studi sociologici, l’”Annèe sociologique”.
Le opere più importanti “La divisione del lavoro” 1893, “Le
regole del metodo sociologico” 1895 e “Il suicidio” 1897.
Il problema principale di D. è l’ordine cioè: che cosa tiene
insieme una società. Per lui la risposta è la morale.
La morale è
ciò che unisce i membri di un insieme sociale alla società
stessa. Consente la vita in comune creando una solidarietà tra i
membri: la società è un ordine morale.
D. risente dell’influenza di Spencer, ma mentre Spencer vedeva
la società come un contratto tra uomini che perseguono ognuno
il proprio interesse (visione utilitarista), Durkheim pensa che la
società non è comprensibile partendo dall’analisi dei singoli. La
società non è qualcosa che deriva dall’accordo tra uomini ma
piuttosto è qualcosa che precede e rende possibile ogni tipo di
accordo umano.
Approccio funzionalista.
Come il corpo umano no è la semplice somma dei suoi organi
ma qualcosa di più, di superiore, così la società è una realtà di
livello superiore che non si spiega descrivendo solo i i singoli
membri che la compongono. La “voce” della società si impone
sugli individui, esprimendosi tramite le norme morali, i costumi,
le credenze religiose, i riti.
La società si esprime in fatti sociali, e la sociologia è la scienza
che si occupa dell’insieme dei fatti sociali.
Il paragone della società ad un corpo mano, cioè un organismo
in cui ogni parte, ogni organo coopera con gli altri, è una
spiegazione funzionalista, cioè D. cerca di capire quale
funzione abbia ogni elemento, ogni fatto sociale, che compone
la società.
Questa spiegazione funzionalista, non è però l’unica che D.
ritiene possibile, ma sarà quella che verrà più ripresa negli anni
successivi. Non significa neanche che per D. ogni fenomeno
sociale debba per forza coincidere con un fine preciso.
Esempio: un fatto sociale come la devianza (cioè ogni
comportamento che si discosta dalla norma, che si percepisce
come “anormale”) come il crimine, non sembra avere una
funzione, anzi, ma in realtà, quando il comportamento anormale
viene punito, svolge la funzione di rinsaldare la coscienza
collettiva, di riaffermare le regole della società. La devianza,
può essere anche un momento di sperimentazione rispetto a
nuove norme, che possono diffondersi e affermarsi nel tempo.
L’anomia
Il rischio specifico delle società moderne è l’anomia, cioè
l’assenza di norme morali condivise, cioè un’incapacità della
società di vincolare a sé i suoi membri, di garantire la loro
adesione a un ordine di valori. I conflitti che vede tra borghesia
e classe operaia, sono per lui il mancato sviluppo della capacità
di cooperare nelle nuove condizioni del modo di produzione
industriale. Mentre per Marx i conflitti sono il motore della
dialettica della storia, per Durkheim sono delle patologie da
curare, tramite il corporativismo cioè associazioni professionali
intermedie tra singoli e società, e tramite il potenziamento dei
processi educativi che permettono lo sviluppo di un sistema
coerente e diffuso di morale nelle coscienze dei singoli.
Il suicidio
Il suicidio è scelto da Durkheim, per fare la prima dimostrazione
empirica della validità della sua impostazione della sociologia.
Anche se il suicidio può essere visto come qualcosa che
riguarda in modo drammatico un singolo individuo, e la scelta di
sottrarsi alla vita, viene scelto proprio per dimostrare che invece
l’individuo isolato, non esiste, e gran parte di quello che
consideriamo caratteristico dell’essere individuale è invece
riconducibile all’influenza della società.
Il suicidio che è un evidente libertà del singolo a sottrarsi alla
coesione sociale sembra in piena antitesi alla coesione sociale
stessa che invece per D. è fondamentale nella vita umana.
Vuole dimostrare che se perfino il suicidio è riconducibile
almeno in parte a spiegazioni sociologiche, allora la teoria di D.
sarebbe esatta per ogni altro tipo di fenomeno individuale.
L’oggetto della ricerca non è il suicidio di singoli individui, ma
il tasso di suicidi che si riscontra in una data società
Per questo studio D. si basa sul metodo empirico, , sull’uso
metodico di dati statistici che mostrano che il tasso di suicidi
all’interno dei vari paesi hanno la tendenza a restare costanti
nel tempo, e vuole dimostrare che a prescindere che a
suicidarsi sia un individuo piuttosto che un altro, non influisce il
fatto che in una data società il tasso resti più o meno lo stesso
e che quindi i fattori di suicidio abbiano spiegazioni di ordine
sociale, in particolari che dipendono dal grado di interazione
sociale che una data società consente.
Prima di proporre le sue spiegazioni, D. confuta le teorie più
accreditate in quel periodo, una delle quali correlava il numero
di suicidi a fattori climatici. D. dimostra che i dati non
presentavano, in concomitanza coi cambiamenti climatici,
cambiamenti nel tasso di suicidi. Allo stesso modo confuta
l’altra tesi per cui il suicidio è correlato alla diffusione della
pazzia, con l’ereditarietà o con il consumo di alcolici.
Poi nella sua spiegazione egli osserva che all’interno delle
comunità di religione protestante, il tasso è maggiore rispetto a
quelle di altre fedi, come ad es. la cattolica. Anno dopo anno il
tasso rimane costante. La religione protestante, dando
importanza al libero esame della propria coscienza, lascia il
singolo da solo con la propria coscienza , è meno vincolato
dalle tradizioni, deve confrontarsi da solo con Dio e trovare la
forza per imporsi delle leggi da seguire per il proprio
comportamento. Questo fornisce un minor grado di integrazione
sociale rispetto alle religioni, come la cattolica che
periodicamente rinsaldano la coesione tra i suoi membri con
cerimonie in comune. Il tipo di suicidio influenzato dalle
condizioni religiose è chiamato da D. suicidio egoistico nel
senso che è correlato con un forte sviluppo dell’ego, di un
enfasi della libertà e solitudine del soggetto di fronte alle proprie
scelte. D. stabilisce una correlazione tra il suicidio e il grado di
integrazione del singolo nella società. Lo dimostrerebbe anche
il fatto che il tasso è maggiore nelle persone non sposate, e
quindi con minori legami di relazione con gli altri.
C’è anche un altro motivo che fa variare il tasso di suicidi
all’interno delle società europee: l’andamento dell’economia. Il
numero di suicidi aumenta in momenti di crisi dell’economia,
che non significa solo in momenti in cui ci sono molte persone
che vanno in rovina, ma anche quando ci sono improvvise
ricchezze e quindi cambi repentini di status e del modo di
vivere, quindi anche quando la crisi economica è di tipo
positivo.
Questi periodi infatti, sono periodi di diffusa incertezza rispetto
al destino delle persone, ai valori fondamentali, a ciò che
“normalmente” una persona potrebbe aspettarsi dal futuro.
Questa mancanza di certezze è per D. il senso esatto
dell’anomia, cioè mancanza di norme chiare e condivise. Il
suicidio connesso all’anomia è detto suicidio anomico. Il
entrambe i casi il motivo è sociale. Non spiega perché sia un
individuo piuttosto che un altro a suicidarsi, spiega però la
presenza di un tasso maggiore o minore di suicidi in una certa
società. Terzo tipo di suicidio è il suicidio altruistico, come
quello di un eroe che da la propria vita per la sua patria. Questa
terza forma non va contro le prime due, ma anzi la conferma
come espressione, in questo caso di una fortissima coesione
sociale, quindi sempre in riferimento al grado di coesione e
integrazione dell’individuo all’interno del sistema morale.
Critiche
D. inaugura il metodo della variazione concomitante cioè il
confronto tra dati differenti, che, quando variano
simultaneamente, rivelano una correlazione significativa. Per
questo l’analisi del suicidio, ha avuto una forte influenza sulla
sociologia, essendo la variazione concomitante, uno dei metodi
di analisi dei dati più utilizzati dai sociologi. Inoltre è uno dei
primi esempi di ricerca che prova a verificare ipotesi con metodi
empirici. Ci sono però tre critiche principali al lavoro di D.
1. il controllo delle fonti di dati. D. utilizza dati statistici delle
autorità civili che dipendono a loro volta dalle
registrazioni dei medici. Questo però può voler
significare che alcuni casi di suicidio non siano stati
registrati come tali a causa dell’importanza sociale della
persona o in base ai contesti culturali in cui i suicidi si
sono avuti.. Quindi i dati potrebbero essere non del tutto
attendibili.
2. nelle società studiate da D. la popolazione protestante
tende a concentrarsi nelle città mentre quella cattolica
nelle compagne. Questo potrebbe significare che non sia
l’appartenenza ad una religione o ad un’altra, ma il tipo
di residenza e quindi il tipo di vita che ne consegue, ad
influenzare il tasso di suicidi. La realtà sociale è molto
complessa e non bisogna fermarsi ad una sola
correlazione ma cercare di individuarne varie.
3. l’analisi puramente quantitativa, sarebbe potuta essere
integrata da analisi qualitative, cioè dall’esame della
storia individuale dei suicidi. Questo avrebbe potuto
portare a risultati differenti da quelli che si sono
riscontrati fermandosi ai soli numeri. L’uso di metodi
quantitativi e qualitativi si integrano a vicenda,
compensando le debolezze dell’uno e dell’altro metodo.
Ancora: la religione è un sistema di simboli attraverso il quale la
società prende coscienza di sé.
Questo processo di secolarizzazione comporta per D. alcuni
problemi importanti.
Di fatto D. critica le religioni, mostrando che rappresentano una
proiezione fuori dal mondo umano di qualcosa che invece è
essenzialmente umano. Riconosce però la funzione delle
religioni per il sostegno delle norme morali che ci garantiscono
la coesione sociale.
Principalmente D. contribuisce con il suo studio nella
distinzione tra sacro e profano come caratteristica di tutte le
religioni, e per il riconoscimento della funzione di integrazione
sociale. In un modo o nell’altro ogni società si fonda su delle
credenze. Resta da capire come le credenze abbiano origine.
D: sviluppa una teoria a proposito, un po’ oscura la “teoria
dell’effervescenza sociale”, per la quale ci sono dei periodi in
cui gli uomini riuniti insieme sono capaci di proiettare fuori di sé
delle credenze a cui attribuiscono il valore di rivelazioni di una
potenza superiore.
Lo studio di D. sulle religioni contiene un paradosso:
una volta svelato che la religione non è quello che gli uomini
credono, è difficile mantenerne la potenza. Il processo di
secolarizzazione porta ad una critica scientifica delle religioni,
ne consegue però o la progressiva perdita di integrazione della
società moderna, oppure che non sono solo le religioni a tenere
coese le società.
Il paradosso è che gli uomini fondano la propria convivenza su
basi non razionali, però svelando razionalmente i contenuti di
tali credenze, minano alla base le fondamenta del
funzionamento della società. Questo paradosso è parte della
nostra condizione.
Si può criticare questa teoria di D. con il dubbio che ogni
simbolo della sfera religiosa si a unicamente espressione della
potenza della società. Secondo autori contemporanei, le
religioni sono un insieme di credenze e pratiche consolidate
che hanno a che fare con i grandi enigmi dell’uomo: nascita,
morte, esistenza del cosmo. Le religioni sono atte a controllare
il senso di vertigine che provoca il cercare di dare un senso a
questi grandi enigmi.
I durkheimiani
Durkheim raccolse attorno alla sua rivista “l’annèe sociologique”
molti collaboratori che continuarono l’opera.
Maurice Halbwachs condusse importanti studi sulla memoria
collettiva come elemento costitutivo dell’identità del gruppo e
quindi un fattore di coesione. Le immagini del passato vengono
periodicamente “riviste” da ogni gruppo o società, cosi da
mantenere ma anche riformulare la propria storia, in modo che
il passato sostenga e legittimi i valori e le aspirazioni del
presente. Nelle società più complesse ci sono vari gruppi e
quindi la verione da dare agli eventi storici può essere
conflittuale. Studiò anche ciò che succedeva nei totalitarismi
dove di tende a confiscare la memoria della società,
manipolando e sottolineando solo gli elementi storici che sono
più congeniali e occultando tutto ciò che va contro la versione
ufficiale del passato data dal regime. Halbwachs morì in un
campo di concentramento.
Marcel Mauss, un altro collaboratore di Durkheim, scrisse
un’opera celebre “Saggio sul dono” 1925, che influenzerà molto
l’antropologia. È uno studio su alcune tribù indiane del nord
america e su come lo scambio di doni, a cui bisogna rispondere
con doni pari o superiori a quelli ricevuti, sia un “fatto sociale
totale” perché adempie a molteplici funzioni, economiche (il più
della produzione viene ridistribuito), e di consolidamento dei
rapporti reciproci, e di definizione delle posizioni di prestigio.
Sempre tramite Mauss, verrà influenzato un gruppo di studiosi
“il College de sociologie”. Uno dei fondatori, Georges Bataille,
scrisse un’opera “scomoda” “Il dispendio” 1933 in cui spiega la
dissipazione, (la dispersione) cioè una tendenza naturale nella
vita dell’uomo che però tende a rimuovere coprendola con la
logica dell’accumulazione. La dissipazione è demonizzata in
quanto incompatibile con il razionalismo utilitarista. Ciò che è
represso però preme e viene fuori nelle forme della violenza
dell’uomo sull’uomo.
Quadro storico
Dalla metà dell’Ottocento alla prima guerra mondiale, in Europa
si succedevano continui mutamenti politici, economici, culturali:
industrializzazione di tutti i maggiori paesi, aumento della
produzione, mezzi di comunicazione come telegrafo e poi il
telefono, reti ferroviarie, navi a vapore e poi aerei, l’avvento
dell’elettricità, miglioramento dell’igiene, dei progressi in
medicina, fanno crescere la popolazione europea
costantemente. L’istruzione si diffonde, l’urbanizzazione
aumenta. Nascono regimi parlamentari e aumenta il diritto al
voto, nascono i partiti operai. Non ci sono guerre in Europa,
sono tutti presi dal colonialismo nel resto del mondo. Le colonie
portano materie prime, mercati, mano d’opera, armate.
Sorprendentemente i sociologi non si occupano di studiare gli
effetti che il colonialismo avrà sulle popolazioni.
Il termine “modernità” usato da Bodleire nel 1861 in un articolo,
avrà fortuna e significherà “l’epoca del nuovo” l’epoca in cui il
nuovo è la norma. La cultura europea visse un’euforia dettata
da un progresso che sembrava non fermarsi mai, dando l’idea
di essere parte di una civiltà superiore. La prima guerra
mondiale fu un trauma. La sociologia, specialmente tedesca,
aveva già preso consapevolezza del carattere problematico
della modernità.
Fredrich Nietzsche (1844-1900) era una voce fuori dal coro ma
che ebbe un enorme diffusione. N. non è un sociologo, ma fa
una critica forte alla civilizzazione moderna. Al centro della sua
opera c’è la nozione di volontà intesa come un’energia vitale
primordiale elementare tesa all’affermazione della vita. La civiltà
occidentale maschera questa volontà. La morale, cristiana in
particolare, è la responsabile della diffusione di una cultura di
“schiavi” dell’umiltà e dell’obbedienza che imprigionano gli
slanci creativi degli individui e nega la vita e promuove un
ipocrita camuffamento della realtà, della volontà.
La denuncia dell’ipocrisia cioè affermazioni che negano ciò che
si afferma coi fatti, e l’individuazione del risentimento cioè
dell’odio che chi reprime se stesso prova per tutto ciò che gli
ricorda la possibile libertà, sono a fondamento della morale.
Per N. il processo di secolarizzazione è già avvenuto. La “morte
di Dio” coincide con la fine dell’idea che ci sia un fondamento
trascendile a cui doversi ispirare per i valori umani. Riconoscere
che questo fondamento non esiste corrisponde ad
un’assunzione di responsabilità grandissima, l’uomo che potrà
assumersi questa responsabilità di definire il proprio destino
senza ipocrisie, non è ancora nato, è il superuomo a cui N.
intende preparare la strada. N. influenzerà la cultura europea a
cavallo del secolo, come denuncia e aggravamento di un senso
di crisi incombente.
Per Simmel la società è reciprocità ma anche sociazione cioè il
processo attraverso cui le azioni reciproche si consolidano nel
tempo. Salutarsi, pranzare insieme, giocare, scambiarsi beni,
sono azioni reciproche, ciò che uno fa influenza gli altri e
viceversa. La società ha al suo interno la sedimentazione di
alcune azioni reciproche protratte nel tempo e divenute stabili.
La sociologia è per S. una scienza formale, si occupa di
studiare le forme che assumono le relazioni di reciprocità in
situazioni e tempi diversi e se si solidificano nel tempo o
restano effimere.
La moda
Nel saggio sulla moda del 1905 Simmel si rende conto che
nella densità degli agglomerati urbani, è difficile far valere la
propria unicità e la ricerca ossessiva di segni distintivi o di
novità per costruirsi una personalità, si riduce spesso in
semplice collezioni di segni esteriori.
Nella moda si esprime contemporaneamente la voglia di
distinzione rispetto agli altri e l’imitazione dall’altro. Nella moda
si compenetrano l’esigenza di differenziarsi dalla massa e
quella di esaltare la nostra partecipazione ad un gruppo sociale
autorevole. Seguire una moda significa volersi distinguere da
chi non la segue, ma voler assomigliare a chi la segue. Nella
società moderna, la differenziazione sociale non è più un fatto
di nascita, ma di capacità di farsi valere. Imitando i gruppi più
prestigiosi, chi è più in basso cerca di scalare la società
mostrando di farne parte. Il paradosso della moda però è che
sia praticata solo da una parte, mentre la massa cerca di
raggiungerla. Quando la moda arriva alla diffusione tra tutti,
smette di essere moda.
Il concetto di capitalismo
L’organizzazione economica della società occidentale moderna
ha il suo perno nel capitalismo. Definire il capitalismo
significa definire un aspetto essenziale di questa
società.
Un agire economico è capitalistico quando è orientato a
perseguire un profitto in modo sistematico, continuo e
pacifico. Non è quindi uguale al desiderio di accumulare
semplicemente denaro né è uguale ad una rapina. È un agire
specificatamente orientato all’aumento costante di capitale.
Il tipico soggetto dell’agire capitalistico è il proprietario
d’impresa che dispone di un capitale e mira ad accrescerlo
mediante continui profitti che normalmente reinveste per
procurare nuovi profitti.
Solo questo non basta a definire il capitalismo moderno, perché
con questa definizione si rintracciano altri sistemi capitalistici
nel passato e in altri paesi del mondo.
La specificità del capitalismo occidentale moderno è
l’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero,
mediante cioè l’utilizzo di lavoratori salariati,
giuridicamente liberi per svolgere le attività dell’impresa.
Questo è un tipo di capitalismo mai sviluppatosi prima.
Non significa però che sia l’unico fattore. Weber mostra il
paradosso che questa etica produce: l’etica protestante
produce ricchezza, ma la ricchezza favorisce le tentazioni.
Quindi mentre si sviluppa il capitalismo perde i suoi fondamenti
culturali. Una volta innescato continua meccanicamente come
una valanga anche senza l’etica che lo ha creato. Il carattere
“tragico” del capitalismo è che tende a distruggere le forze che
hanno contribuito a farlo nascere.
La burocrazia
Ad ogni forma di potere corrisponde un tipo di apparato
amministrativo.
La forma tipica di apparato amministrativo del potere
razional-legale è la burocrazia.
La burocrazia consiste in un apparato di individui organizzato
per espletare i compiti amministrativi. Gli individui sono chiamati
funzionari che esercitano le funzioni relative alla loro carica in
base a procedure standardizzate e obbediscono ad un’autorità
impersonale.
La burocrazia ha i seguenti principi:
1. i servizi e le competenze sono definiti da leggi
2. gerarchia delle funzioni
3. separazione tra funzione e uomo non proprietà della
carica)
4. reclutamento dei funzionari in base alla loro formazione
e ad esami
5. la retribuzione è con salario erogato dallo Stato.
L’accesso di individui alle funzioni amministrative è fatto in base
a procedure regolate da leggi e le stesse funzioni vanno
eseguite a prescindere dalla persona che le svolge.
La burocrazia è un sistema di amministrazione che è più
efficace rispetto ad altri sistemi per amministrare società ampie
e complesse.
Gli svantaggi della burocrazia sono: basata sulla
spersonalizzazione, favorisce anche la deresponsabilizzazione
dei funzionari;; in quanto fondata su procedure standardizzate,
sfavorisce l’innovazione;; si possono sviluppare interessi propri
particolaristici di gruppi amministrativi.
Il controllo degli apparati burocratici è uno dei problemi
fondamentali delle democrazie moderne.
La stratificazione sociale
In sociologia la stratificazione sociale è il modo in cui gli
individui e i gruppi si differenziano e si ordinano
gerarchicamente in una società.
Per Weber, in ogni società coesistono vari ordinamenti, dipende
dai diversi “punti di vista” da cui si considera la società stessa:
- stratificazione economica: un insieme di individui che
condivide le stesse possibilità economiche appartengono
alla medesima classe. Stessa classe, stessi interessi
economici.
- Stratificazione culturale: un insieme di individui che
condividono lo stesso “status” sociale. Si appartiene ad
uno status o ceto in base al privilegio positivo o
negativo nella considerazione sociale. Può derivare dalla
condotta di vita, dal prestigio (o disprezzo),
dall’educazione ricevuta.
- stratificazione politica: si realizza tramite gli apparati
politici o amministrativi nelle cariche che si possono
ricoprire, o nella possibilità che un gruppo prevalga
sull’altro.
Razionalizzazione e disincanto
In una conferenza del 1918, la scienza come professione, ai
suoi studenti, Weber parla del processo di razionalizzazione
che è tipico della modernità, e del conseguente disincanto del
mondo.
Il processo di razionalizzazione corrisponde al crescente
predominio della fiducia nel fatto che tutte le cose possono
essere spiegate con la ragione, sostenuto da uno straordinario
sviluppo delle capacità tecniche e scientifiche. Questa fiducia
porta un disincanto del mondo cioè che gli uomini
progressivamente perdono i riferimenti a spiegazioni e
comportamenti magici o religiosi. L’uomo moderno tende a
sostituire all’antico senso del mistero, e della complicità con la
natura, sostituendolo con un atteggiamento razionale e
strumentale verso la natura.
La stessa fiducia che la ragione possa dominare ogni cosa
però, è di per sé una fiducia non giustificata razionalmente. La
scienza inoltre risponde a domande su come dominare
tecnicamente il mondo ma non se sia giusto o sbagliato. Il
mondo dei valori è extrascientifico.
La scissione tra razionalità e valori è caratteristico dell’era
moderna. Per Weber allora, è la responsabilità personale che
deve essere il fondamento dell’etica.
Conclusioni
Weber ha influenzato enormemente la sociologia del
Novecento. Il lessico che utilizzava è diventato oggi per la
maggior parte il lessico della sociologia.
Il suo approccio alla sociologia si può considerare individualista
(cioè parte dall’individuo sociale e non dalla società nel suo
insieme per i suoi studi) o conflittuale (cioè osserva i ricorrenti
conflitti fra individui e fra gruppi). Importantissime sono state le
sue osservazioni sulla stratificazione sociale e sulla sociologia
politica, dove da una definizione della sfera politica come
competizione per il potere e la trasformazione del politico in
professionista della politica, cioè un individuo che non vive per
la politica ma della politica, come fonte di reddito. Anche
l’analisi sulla burocrazia è stata la base per molti studi
successivi tra cui quello sul clientelismo, dove la burocrazia
mantiene il suo aspetto formale ma è stravolta nella sua
sostanza: il clientelismo è una forma di relazione sociale dove
c’è uno scambio di favori tra un patrono e uno o più clienti. Le
pratiche di ufficio si trasformano in favori e la logica
impersonale e standardizzata della burocrazia si trasforma in
logica personalistica e aperta a variazioni caso per caso. Lo si
rileva oggi in molti paesi del mondo tra cui l'Italia.
La città
La parola chiave della città moderna è mobilità. Si comprende
la mobilità geografica, (flussi migratori), mobilità sociale
(possibilità per un individuo o un gruppo di salire o scendere
socialmente), mobilità come vivacità spirituale-
Il fascismo
tra l'ottocento e il novecento, iniziano a presentarsi i problemi
relativi all'emergere delle masse sulla scena politica e sociale.
Inizialmente si parlava di folle. Ciò che più colpisce gli studiosi
è il carattere irrazionale che sembrano assumere gli uomini
quando si radunano in folla, la perdita dei segni di una
personalità autonoma, la violenza di cui sono capaci.
Una novità nel panorama sociale è quello dell'agglomerarsi
nelle città di folle di persone relativamente anonime e la
possibilità che queste folle si organizzino in manifestazioni
imponenti. Gli intellettuali di sinistra inizieranno a parlare di
masse invece che di folle, per sottolineare la maggioranza di
lavoratori che si organizzano in manifestazioni perché
nonostante siano indispensabili non vedono riconosciuti i loro
diritti. Per loro la massa è intesa in senso positivo, con
l'obiettivo di organizzarla e di inserirla progressivamente nella
partecipazione alla democrazia e al benessere. Nonostante
questo però, la “massa” conterrà sempre una valenza negativa
riferita ad un insieme indifferenziato e confuso di persone che
appaiono prive di capacità di giudizio. Per svilupparsi il
fascismo presuppone l'esistenza delle masse ma esso stesso le
genera. Le dittature moderne infatti, non si basano
esclusivamente sulla violenza, ma il consenso viene ricercato
soprattutto attraverso un rapporto tra leader e masse. È un
rapporto di tipo emotivo che presuppone l'utilizzo di riti e sistemi
di propaganda efficaci ma anche della disponibilità dei soggetti
a rinunciare alla propria individualità e al valore dei legami con
gli altri. Cosi diventano massa un insieme di individui uniti solo
dalla loro identificazione con il leader. Il fascismo si sviluppò in
molti paesi d'europa, non solo in Italia.
9 – Vienna e dintorni
La Prima Guerra Mondiale fu un brusco risveglio per la cultura
europea che aveva vissuto un periodo di euforia dovuto ad un
progresso materiale e sociale che sembrava inarrestabile.
La guerra mise di fonte i paesi che si consideravano i più civili
del mondo. la guerra di trincea, riportò la barbarie nella civiltà,
con l'uso di armi arcaiche come la baionetta e tecnologiche
come bombe e mitragliatrici. La miscela di brutalità e modernità
fu devastante e lo spirito dell'Europa intera non fu più lo stesso.
Non era più facile considerare della modernità solo i lai positivi.
E non era più facile sentirsi sicuri di qualsiasi cosa.
A Vienna si elaborarono alcune delle teorie che più avrebbero
influenzato il Novecento. C'è una crisi di fondo sulla visione del
mondo. Si scopre la molteplicità delle possibili prospettive a
proposito di ogni fenomeno. Viene meno l'idea di poter definire
la realtà in modo univoco. La realtà non è più ovvia. Questo
accade anche nel pensiero scientifico. Einstein in questo
periodo elabora la teoria della relatività, e le scienze diventano
consapevoli del fatto che la realtà può essere descritta in modo
plausibile da teorie diverse, senza che per questo siano
incompatibili tra loro. Le teorie sono modelli. I modelli sono
come delle mappe. Descrivono il territorio ma potremmo non
trovare dei dettagli in una, ma trovarli in un'altra che si sofferma
su particolari differenti, non per questo le due mappe saranno
sbagliate, solo mostreranno facce diverse di uno stesso
territorio.
Diventa chiaro che non c'è alcun luogo naturale da cui si
possono osservare i fenomeni. La realtà è sempre una
percezione della realtà. La relatività delle concezioni del
mondo nel corso dei secoli, fa porre il problema del relativismo
cioè se le concezioni del mondo sono relative al periodo storico
di cui fanno parte, è possibile avere un punto di vista assoluto
dal quale comprendere le differenze? Anche lo scienziato è
calato nel suo periodo storico relativo.
A queste riflessioni si aggiunge la consapevolezza sempre
maggiore che l'agire umano non è trasparente ma spesso non
ne conosciamo i motivi e tanto meno le conseguenze.
Le origini della scuola sono marxiste. Il nucleo del pensiero di
Marx era: nella società capitalistica il fine dell'esistenza degli
uomini diventa produrre, la vita è lavoro, consumo e di nuovo
lavoro. La vita diventa quindi un'appendice della produzione e
non il suo fine. Questo pensiero è anche il centro della scuola.
La riflessione è sullo sviluppo delle forze produttive e i rapporti
sociali. Bisogna rinnovare la teoria marxista però per capire
perché la rivoluzione non avvenga. Quali sono i meccanismi
che fanno si che i conflitti che generano tensione sociale restino
latenti? Bisogna comprendere l'integrazione della classe
operaia nel capitalismo. L'introduzione della psicologia e
psicanalisi aiutò questi studiosi.
Con la psicoanalisi la ricerca sociale si arricchisce di nuove
dimensioni precedentemente sconosciute. Il tipo di
socializzazione e la costruzione del carattere, spiega ciò che le
teorie economiciste non possono spiegare.
L'illuminismo non va per questo negato, questa teoria non nega
il valore della ragione. Gli affianca però una continua critica che
ne mostri le contraddizioni.
Nonostante il processo di razionalizzazione ci abbia fatto
sforzare ad adattarci ad una vita estraniata dalla natura, c'è
sempre in ognuno il ricordo di qualcosa che resiste alla
razionalizzazione, è il ricordo del desiderio di felicità che da
speranza per il futuro.
L'industria culturale
Sempre in “dialettica dell'illuminismo” , per industria culturale
Adorno e Horkheim intendono l’amministrazione dello svago.
Comprende cinema, radio, rotocalchi, e, dopo la guerra, la
televisione.
L’industria culturale mira a fornire una compensazione ai
lavoratori dei sacrifici che sono chiamati ad affrontare con il
lavoro, che è una necessità (il sacrificio) costantemente ribadita
dall’industria stessa.
L’industria culturale porta la cultura alle masse, che però viene
svuotata del suo senso. Non è più un luogo privilegiato di
elaborazione del pensiero, ma luogo di intrattenimento e
soprattutto mezzo per promuovere l’adattamento di ognuno al
sistema sociale esistente. La manipolazione è insita nella
comunicazione di massa. La comunicazione di massa è
“unidirezionale”. La democrazia apparente nell’informazione
disponibile per tutti, è negata dal fatto che gli utenti non è
previsto che siano “emittenti” ma solo “riceventi”. La
comunicazione di massa è simile alla produzione di massa,
cioè i prodotti, così come i programmi, tendono a
standardizzarsi, si somigliano l’un l’altro e tutti i settori (radio,
cinema…) sono armonizzati tra loro.
La funzione della comunicazione di massa è promuovere
l’adattamento al sistema sociale e quella di sostenere il
mercato invitando ognuno al consumo, tramite la pubblicità
che diventa strumento privilegiato. La cultura diventa essa
stessa merce. Qualsiasi cosa ha valore se si può scambiare e
non in quanto abbia un valore in sé.
Più complessi gli studi di Benjamin, critico letterario. Nel testo
“opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità” (1936) parla
della perdita di quell’”aura” di unicità di un’opera d’arte, dovuto
alla nuova possibilità di riprodurla. Nell’epoca moderna, si può
ammirare un dipinto o ascoltare una sinfonia senza muoversi
da casa. Questo aumenta la fruizione dell’opera, ma non si ha
più la sensazione dell’unicità che può dare l’andare a teatro ad
ascoltare la sinfonia o trovarsi davvero davanti al quadro.
Diversamente da Adorno, Benjamin non era completamente
contrario a queste trasformazioni anche se era innegabile la
loro radicalità. “autenticità” e “originalità” erano concetti quasi
inafferrabili quando non esistevano le copie. Ora, la
riproducibilità rischia di far sparire il senso di originale (non ha
senso per es. parlare di originale della pellicola di un film.) ma
diventerà un concetto estremamente diffuso.
Critiche
La scuola di Francoforte, pur insegnando sociologia diffidava di
questa e di tutte le altre scienze accademiche, perché la realtà
è una totalità di uomini immersi nella natura, ed ogni disciplina
è intrinsecamente collegata a tutte le altre.
Soprattutto diffidavano della sociologia positivistica, che vedeva
la realtà come un insieme di dati da osservare e registrare.
Per la scuola, la scienza non deve solo “duplicare” la realtà ma
essere critica, senza separare ragione e valori. Fare questa
distinziona sarebbe una negazione della responsabilità che il
pensare comporta.
Elias fu un sociologo che non concepì mai la sociologia
separata dalla storia. Un atteggiamento che nel XX secolo
diventa sempre più raro, ma a cui non bisognerebbe rinunciare.
Famiglia e socializzazione
Che le nostre azioni siano in linea con le aspettative degli altri,
è dato dal fatto che sia noi che gli altri abbiamo interiorizzato i
principi della cultura comune.
L'interiorizzazione, è per Parsons, ripresa da Freud, la
formazione del “Super-io” che riproduce dentro di noi l'autorità
che inizialmente ci è imposta dall'esterno.
L'interiorizzazione corrisponde con la socializzazione, e si
realizza nella prima infanzia all'interno della famiglia.
La famiglia ha quindi un ruolo fondamentale.
Critiche
Parsons ebbe un enorme successo grazie al fatto che la sua
sociologia forniva una grande teoria capace di dare un punto di
riferimento unitario alle ricerche empiriche.
Per molti anni quello di Parsons fu il “pensiero ortodosso” del
pensiero sociale, ma fu bersaglio di molte critiche.
Innanzitutto i limiti del funzionalismo: concentrandosi solo su ciò
che è funzionale al sistema sociale, non ne considera i conflitti,
visti solo come disfunzioni. Parsons infatti non riesce a dare
una spiegazione chiara ai motivi del mutamento sociale.
Per molti Parsons ha creato uno specchio degli ideali della
società americana del tempo. Le teorie sulla modernizzazione
parte dal fatto che tutte le società devono prima o poi
conformarsi alle società occidentali prese come modello e che
quindi la modernizzazione sia sempre uguale.
Questo significherebbe anche che i paesi in via di sviluppo
dovrebbero avere lo stesso percorso di quelli sviluppatisi prima.
La teoria della dipendenza, invece, basata su studi dei paesi
dell'America latina, fa emergere che questi paesi sono vincolati
ai paesi più sviluppati che hanno puntato sullo sfruttamento,e
rimangono ancora oggi nella loro morsa.
Per Merton il concetto di funzione è uno strumento utile alla
ricerca, ma non è la chiave di volta di una teoria totale della
sociologia. Merton infatti parla di analisi funzionale, e critica
invece il funzionalismo di Parsons. Critica innanzitutto che ogni
elemento del sistema debba essere considerato sempre e
comunque funzionale a tutto il sistema. Ciò che può essere
funzionale per alcuni può non esserlo per altri.
Inoltre Merton rifiuta l'idea che tutti gli elementi di un sistema
sociale debbano avere una funzione, e che ogni istituzione
abbia una funzione indispensabile. In realtà la società ha molti
fenomeni che hanno perso la loro funzione, o devono ancora
trovarla, o ne hanno più di una. Le stesse funzioni poi, nel corso
della storia, non state svolte da istituzioni diverse.
Infine, Merton distingue tra funzioni manifeste e funzioni latenti.
Per spiegare questi concetti, parte dal lavoro di Veblen sul
“consumo vistoso”, in cui mostra che il fenomeno consumo può
avere un significato diverso da quello apparente. Consumare
serve per soddisfare dei bisogni, ma può servire anche a scopi
diversi come il prestigio sociale. Il fenomeno è lo stesso, ma
una funzione è manifesta, mentre l'altra è latente. A volte
sfugge anche agli attori stessi che non sono sempre coscienti
degli scopi che perseguono. Stesso discorso è per le istituzioni.
La funzione della scuola, a parte quella manifesta, può a volte
essere quella latente di alleggerire la pressione sul mercato,
“parcheggiando” i giovani prima del loro inserimento nel lavoro.
Il senso comune
Come dice Schutz, il pensiero in cui siamo immersi
quotidianamente è il senso comune, è il pensiero dell'ovvio.
Preserva ciascuno dal dover continuamente risolvere problemi
che hanno già trovato soluzioni soddisfacenti. Pensare secondo
il senso comune è pensare come al solito, senza farsi domande
non necessarie alla continuità della nostra esistenza.
Il senso comune è un meccanismo che tende a tenere i dubbi
fuori dalla porta.
Solo una piccola parte della nostra conoscenza del mondo è
data dall'esperienza individuale, per la maggior parte deriva
socialmente dalle persone che mi circondano. Il senso comune
è un insieme di “ricette” per vivere, in modo che gli aspetti della
vita quotidiana siano considerati “ovvi”.
Non sempre affidarsi al senso comune è sufficiente: lo straniero
che si trova in un paese in cui niente è “ovvio”, e quello che
dava per scontato nel suo gruppo d'origine non è più tale, entra
in crisi in quanto deve abbandonare un senso comune e
impararne un altro.
Esistono quindi tanti sensi comuni.
Il mio senso comune è vero fino a quando funziona, cioè fino a
quando anche chi mi circonda lo condivide, fino a che la realtà
viene percepita da me e da chi mi circonda, nello stesso modo.
Il senso comune è quello che tutti credono che gli altri
credano.
Il senso comune deriva in parte dalla tradizione del gruppo, in
parte viene costantemente riprodotto e confermato dalle azioni
di ognuno. Senza di esso, la vita quotidiana precipiterebbe nel
caos. La realtà è una costruzione sociale , è ciò che
intersoggetivamente viene chiamato reale.
Schutz si occupa molto della sociologia della vita quotidiana
perché per lui non se ne può fare a meno per fare poi scienza
sociale. La sociologia da interpretazione dell'agire degli
individui, perché già gli individui stessi, nella vita quotidiana
interpretano continuamente il significato delle azioni proprie e
degli altri. Bisogna quindi prima capire come agisce
l'interpretazione spontanea della vita quotidiana per poi darne
spiegazione scientifica. In entrambi i casi si interpretano le
azioni con dei “tipi”. La differenza è che la tipizzazione del
singolo non si pone il problema di essere incongruente o
approssimativa. La tipizzazione scientifica invece si interroga
continuamente sulla validità delle sue affermazioni. Le
tipizzazioni della scienza sono solo ulteriori tipi fatti su quelli già
creati dagli individui.
L’etnometodologia
termine coniato da Garfinkel, che parte sempre dagli studi di
Shutz. Il senso comune era per quest'ultimo “un modo per
sospendere ogni dubbio”, ma allora, si chiede Garfinkel, se il
dubbio è sospeso, significa che da qualche parte esiste. Il
pensiero quotidiano ne è costantemente minacciato. Con i suoi
studi cerca di mostrare come il dubbio sia sempre in agguato e
come ogni volta, venga fugato.
Avere un atteggiamento non considerato “normale” provoca
disagio, a volte addirittura panico. Questo perché più si è
convinti che il proprio modo di vedere e di comportarsi sia
l'unico possibile, più il dubbio che non sia così crea panico.
Come si fugano i dubbi? Quando ci spieghiamo, non abbiamo
la garanzia che quello che diciamo venga capito cosi come noi
lo intendiamo. Solo ad un certo punto decidiamo che ci siamo
spiegati abbastanza. È un accordo tacito, che è ricorrente ma
non è esplicito, e non ha una regola fissa. Ogni volta sarà la
situazione a dettarci quando e se ci saremo spiegati. Le regole,
le norme, per Garfikel, non esistono infatti. Al contrario del suo
maestro Parsons, per lui la ricorrenza degli accordi che da
l'illusione di norme consolidate. Anche le regole scritte vanno
sapute usare, in base al contesto, non a priori. La realtà e le
sue norme apparenti sono costruzioni che si riproducono
costantemente. Il come questo avvenga è studio della
etnometodologia.
L’interazionalismo
un approccio teorico degli anni '60 che si basa sull'interazione
(cioè l'azione sociale reciproca di più individui) e il suo carattere
simbolicamente mediato (comprensibile cioè solo se si fa
riferimento all'interpretazione che gli attori fanno della
situazione). Si concentra soprattutto sui processi di formazione
dell'identità personale.
L'identità personale è il risultato del soggetto che si confronta
con le definizioni di se stesso che sente nei discorsi degli altri,
che interiorizza e d elabora.
La teoria dell'etichettamento è che la devianza sia l'etichetta
che viene data ad un comportamento ritenuto offensivo delle
regole basilari della vita comune, e che il deviato sia uno a cui
questa etichetta sia stata applicata con successo.
Se uno studente durante una manifestazione dice “criminali” ai
poliziotti, difficilmente sarà creduto, mentre se i poliziotti fanno il
contrario, saranno più facilmente creduti.
Ci sono infatti istituzioni specifiche preposte a dare etichette
che trasformano concretamente la vita del singolo. Polizia e
sistema giudiziario sono due di queste. Se i giornalisti
chiamano qualcuno “mostro” sarà difficile per quella persona
dimostrare il contrario. L'etichetta infatti porta ad una proiezione
dell'aspettativa ad es. se un ragazzo viene etichettato come
vagabondo o delinquente dagli insegnanti, anche le azioni che
in altri ragazzi sarebbero considerate con indulgenza, in lui
saranno viste come causa del suo carattere. Se una persona
ha commesso un reato e quindi in passato è stato etichettato
come criminale, se ci sarà un nuovo crimine, sarà sospettato
per primo. Questo trasforma la sua identità perché tutti lo
vedranno per “quello che si dice che sia”. L'etichetta viene
spesso interiorizzata e se mi chiamano criminale è probabile
che io sia spinto a comportarmi come tale.
Osservazioni
A Goffman è stato rimproverato di non prendere in
considerazione la dimensione strutturale della società, cioè
l'economia, la stratificazione, ecc.. Goffman però sa benissimo
che la sua teoria “drammaturgica” on spiega ogni cosa. La
decisione di concentrarsi su questo aspetto, non ha implicato il
fatto che gli altri aspetti non fossero importanti. Questa critica è
stata fatta un po' a tutte le teorie della vita quotidianae la difesa
di Goffman potrebbe essere applicata a tutte. L'importanza di
queste teorie, sta nel fatto che hanno proposto un approccio
diverso alla sociologia. I punti comuni che si possono
riscontrare nelle varie teorie, sono la valorizzazione della vita
quotidiana, vista dalle teorie classiche solo come l'esternazione
di comportamenti determinati da fattori non quotidiani,
(strutture, norme, cultura) e che quindi non meritano di essere
studiate.
Per le teorie della vita quotidiana invece, gli attori, con le loro
azioni quotidiane, i loro discorsi, i loro gesti, permettono la
riproduzione della società.
Il punto debole però è che passare dallo studio della vita
quotidiana a quello dei fenomeni più globali e generali, è molto
difficile.
Ciò a cui comunque invitano queste teorie, è di tener conto che
la riproduzione sociale, è un ripetersi di pratiche, che vanno
interpretate in quanto il nostro comportamento presuppone una
realtà che da senso al nostro agire, e non si può non tenerne
conto nello studio sociologico.
George Homans
Sviluppa la “teoria dello scambio”, in contrapposizione a
Parsons, che per lui non vede che, al di sotto di tutte le
differenze tra le varie culture, c'è una “natura umana” di fondo,
comune a tutti, universale.
Partendo dalla teoria di uno studioso, Skinner, (che affermava
che l'uomo, come ogni altro essere vivente, agisce
principalmente in base alla ricerca del suo utile, e reagisce agli
stimoli esterni in base alle “ricompense” che incontra.
Comportamenti che ripetuti vengano confermati da ricompense,
tendono a farsi stabili, mentre quelli che comportano troppi costi
o risposte negative, tendono ad essere abbandonati.), Homans
afferma che l'uomo agisce in base ad uno scambio, nel quale
ognuno cerca di massimizzare le ricompense e minimizzare i
costi. Gli individui sono esseri razionali che agiscono
scegliendo in modo razionale tra varie opzioni. Anche qui,
Homans non da per assoluta la sua teoria, ma la propone come
ragionamento da tener conto nello studio della società.
Partendo dalla sua teoria, vari studiosi hanno portato avanti
ricerche interessanti, volte soprattutto a definire il
“comportamento razionale” che è sempre e comunque limitato
soprattutto dalle informazioni disponibili.
Società e comunicazione
la comunicazione è un aspetto fondamentale delle relazioni
sociali, e hanno quindi acquisito un ruolo sempre più importante
nel pensiero sociale. Fino agli anni '50 non erano molto studiati
dai sociologi i mezzi di comunicazione, ma poi, visto il successo
di radio e televisione, non se ne è potuto più fare a meno.
Non tutti i mezzi di comunicazione sono di massa (non lo è il
telefono).
Il primo mass media fu il libro stampato, ma il suo impatto fu
lento perchè presupponeva la diffusione dell'istituzione. Dal XIX
secolo, è cresciuta perchè è cresciuto il pubblico interessato a
discutere della cosa pubblica, e l'istruzione. Dal 1900 la radio
non necessitava più della capacità di leggere ma solo di
ascoltare. Infine dagli anni '40/'50 la televisione presupponeva il
vedere e sentire.
Harold Innis avanzò l'idea che le epoche della storia fossero
state caratterizzate dai “modi di comunicazione” e non dai
“modi di produzione”. Il modo si comunicare favorisce di volta in
volta certe strutture sociali piuttosto che altre, influenzando i
modi di produzione e i modi di gestione del potere, così come la
mentalità degli uomini.
McLuhan, proseguendo la strada di Innis, più che ricerche
empiriche, propone intuizioni e affermazioni.
Cerca di descrivere gli effetti che il passaggio da una cultura
basata sulla carta stampata a quelli audiovisivi hanno sulla
percezione e sulla sensibilità degli uomini contemporanei.
McLhuan propone anche di guardare ai mezzi di
comunicazione di massa come mezzi che a prescindere dal
messaggio che inviano, danno anche altri messaggi in base alle
loro caratteristiche, che sono indipendenti,non sono quindi solo
dei veicoli di comunicazione.
Sua è la definizione di “villaggio globale”, per intendere
come i mezzi come la tv mettono quotidianamente in contatto le
parti più distanti del mondo come una sorta di villaggio
mondiale.
Le ricerche sui mass-media si sono poi concentrate
prevalentemente in 3 direzioni:
lo studio di diversi contenuti trasmessi, come ad
es. l'effetto di una pubblicità sui consumatori, o la
propaganda politica sugli elettori
l'effetto che l'insieme dei media ha sulla società
nel corso del tempo, in quanto influenzano grande parte
del “senso comune”
il rapporto con la cultura. L'ambiente che ci
circonda influenza la nostra esperienza e quindi alla
lunga non possiamo non venire influenzati dai media
nella percezione del mondo.
….FINE....