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Prefazione
Non si tratta di etichettare gli alunni a seconda del profilo individuato – che in realtà rivela
tendenze, propensioni, inclinazioni -, ma allenarci a scoprire queste tendenze, comprenderne
le cause al fine di creare relazioni, scegliere attività e situazioni di vita che orientano l’essere
e l’agire verso lo sviluppo di tutte le doti affettive e di tutte le capacità mentali: il meglio
delle risorse che ciascuno possiede.
In realtà una modesta percentuale di alunni esce dalla famiglia con un profilo armonico: si
tratta di personalità interiormente ricche, più libere, dinamiche e positive; sono anche
disponibili a frequentare altri ambienti, non per mantenere le abitudini costruite o le relazioni
più gratificanti, ma per espandere la loro vitalità, per allargare le loro amicizie, per
impegnarsi in qualcosa di nuovo.
Nel nostro territorio, i ragazzi e i giovani che escono invece dalla famiglia con profili
disarmonici sono una percentuale superiore al 70%. Già tendenzialmente predeterminati in
famiglia, sono portati a scegliere quegli ambienti che pongono loro minori difficoltà e che
sembrano assecondare il loro modo di vivere, rifiutando proprio le occasioni che
promuoverebbero il cambiamento e il loro sviluppo.
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Si fa strada ormai la convinzione, e le ricerche lo dimostrano, che nessuna Istituzione, da
sola, (famiglia, scuola, parrocchia, associazione giovanile) riesce a costruire personalità
nutrite dalle doti fondamentali del carattere - autostima, autonomia, iniziativa e
industriosità -, quei pilastri antisismici che garantiscono la riuscita umana e professionale
delle giovani generazioni.
Il rapporto di collaborazione genitori-docenti (ciascuno con il proprio ruolo) può ridurre gli
automatismi responsabili dei profili disarmonici, proprio realizzando quelle intese educative
che questo Progetto propone.
A seconda delle età degli allievi, la famiglia e la scuola individueranno poi gli ambienti
educativi più idonei per continuare a rafforzare l’obiettivo della educazione globale avviata.
Il presente Progetto comprende una consistente parte introduttiva per motivare alla
collaborazione e per comunicare la dimensione pedagogica e metodologica del lavoro, ma
anche i contenuti e i contesti operativi su cui concretizzare l’intervento educativo.
La parte di descrizione dei profili e di suggerimento dell’azione educativa (consigli educativi
ai genitori e interventi psicopedagogici e didattici proposti agli insegnanti) si potrebbe
considerare a se stante, tenuto conto dell’urgente richiesta di indicazioni risolutive
immediate; il tutto però presuppone prioritariamente e continuamente la messa a fuoco delle
finalità e della metodologia del Progetto per fondare la competenza educativa.
E’ questa una proposta di grande innovazione scolastica che poggia sull’obiettivo essenziale
di sviluppo delle persone, che domanda anche un notevole spessore della nostra personalità e
quindi un particolare lavoro su se stessi.
D’altra parte, prevedere in anticipo l’evoluzione della personalità, a seconda del profilo,
preserva dagli errori e rafforza l’impegno educativo.
Certo, ogni risultato raggiunto, il che significa ogni profilo di carattere armonizzato, apre la
strada all’accrescimento alla qualità del proprio ruolo, conferma l’efficacia della
collaborazione fra i diversi ambienti educativi.
Sono i cambiamenti sociali in atto che obbligano ad una diversa metodologia educativa e
all’esercizio di un dinamismo didattico che si autoalimenta con tentativi e conquiste.
Oggi tutti fanno diagnosi sui comportamenti, sulle reazioni e sui difetti giovanili: i genitori,
gli insegnanti, gli educatori della parrocchia e delle associazioni, i dirigenti professionali…
Quando l’educatore responsabilizzato chiede come intervenire e che cosa fare, pochi sono
capaci di prospettare con competenza gli interventi educativi conseguenti alla diagnosi.
Di fronte allo psicologismo dilagante favorito, non solo dalla televisione e dai giornali, ma
anche dall’aumentato coraggio di esprimere le proprie idee come verità obiettiva (quando
invece senza saperlo si esprimono i desideri, i timori, i sogni, la sensibilità e le fantasie
proprie);
di fronte anche all’aumentata sensibilità educativa che appare all’orizzonte come esigenza di
correre ai ripari (dopo avere sottovalutata e trascurata l’educazione nei primi anni di vita),
è giunto il tempo di difenderci dalla confusione delle lingue ricorrendo alle grandi fonti della
prima metà del secolo scorso e alle esperienze educative vissute dai grandi educatori. Essi
traducevano quotidianamente le conquiste pedagogiche maturate nei loro Paesi:
M.Montessori in Italia, A.Berge in Francia, D.Winnicott in Inghilterra, E. Erikson negli Stati
Uniti… quando la curiosità scientifica, il confronto e la messa in comune delle conoscenze
sulla natura umana avevano respiro internazionale e quando la ricerca pedagogica e la
tensione sperimentale avevano fatto passi da gigante.
Alla sapienza di questi ricercatori, grandi educatori, questo Progetto si ispira.
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Oggi il proliferare di ideologie e di culture, di teorie psicologiche, di improvvisazioni
educative dettate dalle mode del momento e dallo smarrimento del fondamento scientifico di
pratiche educative impongono di nutrire la volontà educativa degli attori della vita familiare,
scolastica, comunitaria, associativa, con ideali, conoscenze metodi e strumenti che
conducono a raccogliere il frutto del proprio lavoro con l’umiltà e il coraggio di sperimentare
e di proseguire.
La verificabilità della scelta pedagogica e metodologica del Progetto proposto permetterà di
uscire dalla confusione imperante in campo educativo: sarà l’efficacia ad alimentare la
sicurezza personale e la competenza professionale.
Se teniamo in mente quanto scrive M.Zundel che nessuno dovrebbe dare consigli che lui
stesso, per primo non riesce ad attuare, si capisce che l’educazione fatta soltanto di parole
non coinvolge più se l’esperienza non la fa diventare testimonianza.
E’ questo un Progetto che costringe a passare ai fatti, costi quel che costi.
Tre sono le ragioni che ci interpellano con urgenza a collaborare per sviluppare nei nostri
figli e allievi il meglio di quella umanità di cui sono dotati.
1. La dignità e grandezza di ogni essere umano che ha diritto di avere una comunità che
susciti la sua personalità, lo faccia diventare qualcuno (non qualche cosa), portatore di un
valore a cui dobbiamo fare credito.
2. Oggi si chiede agli educatori di far crescere giovani capaci di adattarsi alla società di
domani, con qualità e capacità umane che consentono loro di interagire attivamente in una
società ancora più complessa ed esigente.
3. Nell’emergenza in cui viviamo gli adulti devono diventare solidali: è indispensabile
trasmettere ai figli o allievi la convinzione che la riuscita dipende dal proprio dinamismo
interiore e che vale la pena diventare adulti per poter dare il meglio di sé e saper governare il
Progresso stesso.
4. Un’altra ragione che ci consentirà di uscire dal club degli uomini-robot (schiavi di un
automatismo complice di sé), più o meno gaudenti, per diventare un centro vivente interiore,
riguarda la nostra volontà di ridefinire, rivivere o reinventare il nostro specifico ruolo, non
solo facendo leva sulle nostre risorse personali, ma ricorrendo a tutti i contributi di
conoscenza che le scienze umane oggi forniscono.
E’ senz’altro motivante partire dai problemi che maggiormente assillano sia i genitori che i
docenti, da quei comportamenti familiari, scolastici e sociali che deviano dalla naturale
normalità, dai difetti di carattere che danneggiano le relazioni interpersonali e mortificano
l’impegno personale.
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Gli educatori di ieri, ma anche gran parte degli educatori di oggi, erano e sono ben lontani
dal vedere nei difetti del bambino o del ragazzo un’autostrada per comprendere il suo mondo
interiore, quelle emozioni e sentimenti inconsci che l’interessato non riesce, non sa, non
vuole comunicare. I difetti costituiscono infatti l’aspetto visibile di un conflitto profondo.
I difetti appaiono nel punto d’incontro della personalità del bambino con il mondo
esterno, rivelano una difficoltà di adattamento. Ogni difetto parte da una sua causa ed esso
all’inizio non deve essere ritenuto cattivo o morboso in se stesso.
Guai fare del difetto del bambino una manifestazione costitutiva del suo essere: un
particolare ingrandito, un comportamento diverso in casa o a scuola o dalla nonna rischiano
di nascondere il suo tutto, quando in realtà il bambino può sentirsi e comportarsi da cattivo
solo nel posto o nell’ambiente in cui il difetto è stato ingrandito.
Ciò è tanto più vero dal momento che
- i difetti che danno fastidio (l’eccesso di agitazione o di lentezza, lo spirito di
opposizione, la gelosia, la disubbidienza, la collera, l’ostinazione, la dipendenza);
- i difetti umilianti (la pigrizia, il disordine, la mancanza di cura, la sporcizia, i
modi villani);
- i difetti che ripugnano, (la gelosia e la cattiveria, la menzogna e il furto, le turbe
sessuali)
sono i meno gravi dal punto di vista morale e della costruzione futura della personalità, anche
se attirano il maggior numero di rimproveri.
- I difetti più pericolosi sono invece quelli indifferenti (l’egoismo l’orgoglio,
l’arrivismo, l’invadenza, la ghiottoneria, l’avarizia, la noia),
sono difetti compatibili con la vita sociale, non danno né fastidio, né vergogna, né scandalo o
indignazione, ma hanno un’origine egocentrica che porta ad escludere gli altri, non aprirsi a
diverse opportunità, come se l’egoismo fosse radicato nel carattere e corrispondesse ad una
stasi dello stesso sviluppo affettivo.
Il compito educativo del genitore o dell’insegnante non si esaurisce nel correggere i difetti o
nel reprimere gli istinti e le tendenze, ma piuttosto a far nascere le qualità che spesso si
trovano in potenza nel bambino o nel ragazzo, in sostanza “a formare dei caratteri, ad
allargare gli orizzonti, a fornire a ciascuno un massimo di elementi di stima per determinare
la sua scelta, ad accrescere il valore dell’essere di cui egli ha le responsabilità” (A.Berge).
E’ proprio André Berge che ci fornisce questo elenco di difetti e la chiave di volta per
contribuire, insieme (genitori e docenti), a costruire le fondamentali doti del carattere che
sono l’essenza dello sviluppo affettivo; egli afferma infatti che “è più facile agire sulle cause
affettive di un atto o di un pensiero che sull’atto o sul pensiero stesso”.
E’ fondamentale questa puntualizzazione del Berge perché i contenuti dell’Educazione sono
per lo più di ordine affettivo, agiscono sulla struttura psichica: la finalità propria
dell’Educazione è quella di suscitare e favorire l’evoluzione dell’Essere.
La Formazione – intesa in senso tecnico e quindi l’Istruzione – privilegia invece il lavoro
mentale ed operativo per fornire al soggetto, mediante l’acquisizione di conoscenze e di
tecniche, una competenza in più. Provvede all’accrescimento dell’Avere.
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Pedagogia, metodologia e contenuti della collaborazione genitori-docenti.
Lo sviluppo globale della personalità delle giovani generazioni sta diventando il problema, la
necessità e l’urgenza fondamentale della società del 2000.
Mai è capitato che, chiedendo più educazione, le tradizionali Istituzioni educative ed anche il
mondo dell’economia intendessero la stessa cosa: somma di capacità, capacità affettive non
solo abilità, sviluppo globale non solo istruzione.
Anche quando si usa la parola Formazione si intende e si auspica la formazione di tutto
l’uomo, almeno delle doti e capacità essenziali, educazione quindi.
Il problema è serio perché i maggiori cedimenti giovanili, le maggiori difficoltà, dipendono
non dalle modeste capacità intellettive dei giovani d’oggi, ma da uno scarso senso della loro
unità interiore, dal mancato accordo fra corpo (istintività), cuore (emozioni e sentimenti) e
mente (riflessioni, pensieri, significati).
Motivare allo studio o al lavoro significa conquistare il cuore dell’educando, dare un senso a
quel deposito di energie costituite dal suo mondo istintivo-emotivo, quando la voglia di
muoversi e la curiosità della mente si nutrono nella e della stessa esperienza, quando la
voglia di essere liberi e l’apertura verso gli orizzonti interiori costituiscono una realtà vissuta,
unica.
Le riforme scolastiche si accaniscono a fornire programmi con contenuti teorici sempre più
invadenti (sia nell’orario scolastico, sia nel tempo pomeridiano), quando si constata che ai
giovani “non adattati”, non collocabili professionalmente, è mancata l’educazione globale.
E’ strano: viviamo in una società che chiede più Educazione (sviluppo di tutto l’uomo), ci si
accanisce invece a fare più formazione, credendo così di governare il cambiamento.
Lo sviluppo affettivo avviene coinvolgendo tutto l’essere, per questo sono necessarie buone
relazioni (amicizie), l’impiego della propria vitalità, anche fisica, esperienze finalizzate,
risultati concreti e visibili.
Il noto psicoanalista americano, Erik Erikson, ha dato un nome a queste doti fondamentali
del carattere, che costituiscono l’essenziale dello sviluppo affettivo, quello che riguarda
l’intera personalità da cui dipende anche lo sviluppo mentale.
Quattro sono le tappe di crescita che il giovane può e deve raggiungere prima di cogliere il
senso della sua identità: le chiama “attitudini di base” (atteggiamenti di fondo che
strutturano l’Io): Autostima – Autonomia – Iniziativa – Industriosità.
Non si può tergiversare né perdere tempo prezioso perché ogni età porta con sé dei bisogni
tipici ed è la loro soddisfazione, ad ogni stadio di sviluppo che costruisce i pilastri
fondamentali della futura struttura psichica.
Nell’età evolutiva quindi sono quattro i fronti su cui concentrare l’attenzione e l’impegno
educativo.
Che cosa è indispensabile ad ogni stadio?
- Nell’infanzia (primo anno di vita) la qualità della relazione del bambino con la madre e
le successive relazioni positive radicano l’Autostima. Le relazioni affettive, i buoni
rapporti amicali devono trasmettere la convinzione di essere qualcuno per qualcuno.
- Nella prima fanciullezza (2-3 anni) la risposta al bisogno di movimento e di esercizio
fisico costruisce l’elasticità fisica dalla quale dipenderà l’Autonomia, la capacità cioè di fare
da sé. Autonomo è l’opposto di incerto, di insicuro, pauroso, lento, pigro, rigido.
- Nell’età del gioco (scuola materna) la richiesta di idee, di finalità nel proprio agire, serve
a coltivare il senso di libertà-scopo, da cui scaturisce l’Iniziativa, la capacità cioè di fare da
sé per un idea. Il bisogno di muoversi viene controllato per raggiungere degli scopi di gioco,
di scoperta (la libertà-sfogo, più tardi, la libertà-evasione sono la permanenza di un
automatismo infantile).
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- Nell’età scolare (scuola elementare) la ricerca di risultati concreti, visibili per sé e per gli
altri, anche utilizzando il proprio corpo come strumento di lavoro, adoperando materiali e
strumenti, porta a sviluppare il senso di Industriosità che è alla base del senso pratico.
Sentirsi fisicamente positivi è la condizione per non soffrire il senso di inferiorità.
Dalla pubertà all’adolescenza si sperimenta il raddoppio delle energie interiori e una gran
voglia di valere.
Le prime quattro doti fondamentali del carattere vengono rivissute e ricostruite alla radice,
anche quando sono state mortificate o inibite dalle esperienze di vita precedenti.
Il preadolescente, e tanto più l’adolescente, dovrà uscire dal “ventre familiare e scolastico”
per prendere parte ad un “corpo sociale” dove si muovono nuove opportunità e appartenenze,
nuove progettualità e realizzazioni.
Le doti fondamentali del carattere non si insegnano, ma si trasmettono con la propria vita
vissuta, sono frutto di relazioni, attività, iniziative, risultati.
Esse non possono essere insegnate in un corso di formazione o di aggiornamento, perché il
loro radicarsi presuppone l’ascolto dei bisogni tipici di ogni età, che sono di natura affettiva
e si soddisfano con situazioni di vita (relazioni, esperienze) non con i soli ragionamenti.
Se non si ascoltano i bisogni e le aspirazioni profonde proprie di ogni stadio di sviluppo tutto,
più tardi, diventerà più difficile e costoso.
Bisogna investire al momento giusto fino all’adolescenza per costruire quelle doti che la vita,
la società e il lavoro chiederanno sempre di più a tutti.
Porsi l’obiettivo di costruire forti personalità comporta la scelta per i figli delle
situazioni educative che più vi contribuiscono.
Le varie coincidenze della vita, la fortunata o sfortunata situazione in cui si inserisce questo o
quel bambino, ragazzo o giovane condizionano in bene o in male la sua crescita: una crescita
che non risulterà mai definitiva e sicura, poiché ogni nuova situazione può rafforzare o
ridurre gli effetti della situazione precedente.
Alla fine del suo libro La famiglia e lo sviluppo dell’individuo Winnicott scrive: “Né la
democrazia né la maturità possono essere imposte ad una società”.
A chi allora la responsabilità della riuscita o del fallimento della realizzazione di molti
giovani?
E’ la famiglia che deve prendere coscienza che la formazione della personalità del proprio
figlio non può dipendere dal caso.
E’ la famiglia che deve chiedere e volere il coordinamento e la collaborazione fra i
responsabili dei diversi ambienti educativi, in cui il figlio si immerge per mesi e per anni.
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E’ urgente stimolare intese e collaborazioni fra le Istituzioni (famiglia, scuola, parrocchia,
servizi sociali, associazioni di volontariato) per prevenire un futuro difficile e triste per i
nostri figli.
L’allarme è forte perché nei primi anni del 2000 i giovani saranno un bene prezioso (i
giovani lavoratori si ridurranno rispetto a qualche anno fa, di quasi il 50%): devono essi
sopportare oggi il mancato adeguamento delle strutture formative che emarginano o rendono
passiva una percentuale così alta di loro?.
Sta ai genitori riscoprire il valore e l’efficacia educativa di quelle occasioni e situazioni di
vita che l’Associazionismo giovanile sa offrire nei gruppi sportivi, scoutistici, di musica
d’insieme, teatrali…dove ogni bambino o ragazzo
- trovandosi in relazione, ha la possibilità di scoprirsi qualcuno per qualcuno (autostima);
- con attività di movimento e di confronto sperimenta la sua vitalità e sviluppa l’elasticità
fisica e mentale (autonomia);
- scopre che il suo agire ha un senso, perché lo scopo è definito e perseguibile (iniziativa);
- manipolando materiali e strumenti, vive il suo corpo come strumento per realizzare
risultati voluti e constatabili soprattutto dagli altri (industriosità).
E’ dalla nascita alla preadolescenza che si costruiscono le doti fondamentali del carattere o
che, al minimo, si fa l’ordinaria manutenzione; nell’adolescenza si è costretti a fare terapia
dei caratteri disarmonici dovendo spesso ricorrere a situazioni e interventi di cura
straordinari.
Scrive lo stimato pediatra francese Denis Wallon: “Banco di prova delle personalità fragili,
moltiplicatrice di ansie, motivo di evoluzione o di involuzione, arbitro in ultima analisi della
valorizzazione o della mortificazione dell’Io, la scuola può rivelare o annullare una
personalità e può farlo in brevissimo tempo”. “Se sa rispondere ai casi particolari, può con
un piccolo sforzo di adattamento salvare la situazione; in caso contrario, sua è la
responsabilità del fallimento”.
In verità la scuola deve tener presente che anche le capacità intellettive dipendono dallo
sviluppo affettivo, e che il profilo delle capacità intellettive corrisponde al profilo delle doti
fondamentali del carattere le cui fondamenta sono state costruite prima che la vita ne
pretendesse l’uso:
- la capacità di Sintesi presuppone un Io funzionante, capace di un proprio punto di vista,
un modo di esserci e di sentirsi, distinto e diverso dagli altri; presuppone quindi l’Autostima;
- l’Intelligenza inventiva presuppone l’elasticità fisica da cui la spontaneità e la
disinvoltura del carattere, la capacità di fare da sé, quindi l’Autonomia;
- l’Analisi presuppone la capacità di iniziare, di intraprendere, di cogliere il senso di
quello che si fa, il senso di finalità, da cui la concentrazione e l’organizzazione, quindi
l’Iniziativa;
- l’Intelligenza concreta presuppone la capacità di usare materiali e strumenti, la voglia
di partecipare ad una situazione produttiva, di realizzare risultati concreti, quindi
l’Industriosità.
Sempre più, l’obiettivo prioritario della scuola sta diventando la formazione globale della
personalità dell’alunno: non è tanto l’accumulo di conoscenze che viene richiesto, ma il
possesso di qualità umane, di atteggiamenti, di capacità, di metodi che mettono lo studente
nella condizione di assumere più tardi compiti di responsabilità nella vita sociale e
professionale.
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L’insegnante deve rendersi consapevole del valore formativo della sua materia, del
contributo che essa può dare per lo sviluppo globale della personalità degli allievi.
Bisognerà fare ricorso agli abbondanti contributi di conoscenza forniti in questi anni dalle
Scienze umane per capire non solo la natura intrinseca della materia insegnata e la
progressione necessaria al suo apprendimento, ma anche la natura e la prospettiva di crescita
delle potenzialità di quell’essere misterioso e unitario che è l’uomo.
E’ questo il tempo in cui gli adulti della famiglia, della Scuola e delle Associazioni sono
obbligati a collaborare per lo sviluppo globale delle persone loro affidate.
E’ straordinario questo auspicio di Erik Erikson:
“Gli adulti imparino ad aiutarsi l’un l’altro per non gravare la generazione successiva delle
immaturità che essi stessi hanno ereditato dalle precedenti generazioni”.
Ogni bambino o giovane che frequenta la scuola, vi arriva con una sua storia: il suo profilo
umano è la sintesi di un equilibrio più o meno armonico delle risorse istintive,emotive e
razionali.
Il suo comportamento che rivela il tipo di equilibrio realizzato, appunto, fra le forze istintive
(pulsioni, sensazioni, tensioni, bisogni…), emotive ( sensibilità, emozioni, sentimenti,
desideri…) e razionali ( ragionamenti, riflessioni, pensieri, ideali…).
Egli è un‘unità funzionante poiché le forze istintive iniziali, gli impulsi contrastanti del suo
agire, il prorompere di emozioni sempre nuove, lo hanno costretto a mettersi in contatto con
il mondo esterno e a fare i conti con se stesso.
La storia del rapporto con il suo IO e con il mondo esterno ( il suo sviluppo affettivo ) ha
stimolato la sua mente a scoprire il significato del suo scambio attivo con l‘ambiente fisico e
sociale circostante.
I modi di funzionamento del suo pensiero (le forme dell‘intelligenza ) via via si strutturano a
seconda della sua storia affettiva, come dire che il profilo della sua intelligenza corrisponde
ai tratti del suo carattere ( al tipo di sviluppo affettivo realizzato).
Le conoscenze che abbiamo sullo sviluppo dell‘età evolutiva e sul funzionamento del
cervello, ci consentono oggi di individuare quelle forme di intelligenza sono più o meno
sviluppate (analisi, sintesi, inventività, intelligenza concreta) in questo o quel
comportamento affettivo, come pure ad intravedere i tratti di carattere, partendo
dall‘osservazione delle modalità di funzionamento dell‘intelligenza, cioè dal profilo
intellettivo.
In poche parole si può dire: “da come usi l‘intelligenza capisco che carattere hai, come
pure dimmi quale è il tuo comportamento e ti dirò come usi la tua mente“.
È vero! Ogni allievo che entra nella scuola ha un suo comportamento frutto delle relazioni e
delle esperienze fatte, ma è acquisito da tutti che l‘apporto specifico della scuola è
l‘istruzione intesa come educazione intellettuale, la parte intellettuale dell‘educazione.
Le materie scolastiche sono quindi strumenti per l‘educazione intellettuale e sono perciò
strumenti adatti per scoprire singolarmente e nel loro insieme il profilo intellettivo di ogni
allievo: quali forme di intelligenza egli usa con facilità, quali invece con difficoltà.
È vero che molti elementi intervengono nel rendimento in questa o quella materia ( la storia
del suo rapporto con la scuola, con il leggere e con lo scrivere, con la personalità del
docente, con una quantità di preconcetti o pregiudizi per questa o quella materia, per questa o
quella scuola…).
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Ordinariamente però il rifiuto o l‘eccessivo entusiasmo per questa o quella materia scolastica
nasconde sempre il blocco o lo sviluppo spesso compensativo ( di tipo affettivo) di questa o
quella forma d‘intelligenza.
Giova semplificare con uno schema che visualizza le principali modalità d‘uso
dell‘intelligenza ( le forme dell‘intelligenza).
INIZIATIVA ANALISI
TEMPO
(schiena)
Emisfero Sinistro
RAZIONALITA’ INDUSTRIOSITA’
FIDUCIA SINTESI INT. CONCRETA
Emisfero Destro
EMOTIVITA’
SPAZIO
(corpo – volto)
AUTONOMIA INVENTIVITA’
Come risultano essere una minoranza gli allievi che raggiungono il medesimo rendimento in
tutte le materie, così sono una minoranza gli studenti che raggiungono in un test analitico
dell‘intelligenza l‘esagono regolare (uguali punteggi in tutte le forme d‘intelligenza).
Indipendentemente dalla quantità del punteggio, la qualità del profilo (l‘armonico sviluppo di
tutte le forme dell‘intelligenza) rivela equilibrio, serenità interiore, buona armonizzazione fra
le forze istintive, emotive e razionali.
È soprattutto l‘adolescente (e perché non l‘adulto) che deve fare unità fra istinto, sentimenti e
pensieri, fra corpo cuore e mente.
Se una delle forme d‘intelligenza è inibita, se si realizza quindi il mancato rendimento in
quelle materie che privilegiano quella forma d‘intelligenza, ciò significa che nella storia
affettiva dell‘allievo sono mancate le situazioni che ne hanno stimolato lo sviluppo o che ci
sono state situazioni che hanno inibito lo sviluppo già avvenuto.
Poiché le varie materie scolastiche privilegiano questa o quella forma di intelligenza, sarà
quanto mai importante individuare il profilo d‘intelligenza di ciascun alunno per stimolare e
sviluppare le capacità intellettive finora inutilizzate, dal momento che nella vita la serenità,
l‘equilibrio, la sicurezza dipendono sempre dall‘armonico sviluppo della persona.
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Si osservi lo schema:
MATERIE SCIENTIFICHE
Matematica, Fisica, Chimica,
Biologia, Geografia…
FUNZIONI INTELLIGENZA
SIMBOLICHE V
I
MATERIE LETTERARIE
INTELLIGENZACO MATERIE TECNICO-PRATICHE
Italiano, Storia, Filosofia, NCRETA Ed. Tecnica, Laboratori,
Lingue antiche e moderne…
Attività manuali…
ELASTICITÀ
MENTALE
MATERIE ESPRESSIVE
Ed. Musicale, Ed Artististica,
Ed. Fisica, Attività teatrali…
Poiché le materie scolastiche richiedono l‘uso delle diverse modalità del funzionamento del
cervello, esse diventano uno strumento privilegiato per conoscere le qualità dell‘impegno
mentale di ciascun allievo.
Spostare l‘attenzione della quantità dell‘impegno alla qualità dell‘impegno delle funzioni
mentali significa indirizzare la didattica a costruire capacità (assenti), programmare lo
sviluppo globale, non solo e semplicemente una promozione frutto di studio mnemonico.
Per semplificare: la non riuscita in matematica può nascondere il blocco della capacità di
analisi; se lo studente affronterà l‘avvenire senza capacità di analisi avrà nella professione e
nei diversi ruoli sociali difficoltà ed inconvenienti maggiori che non all‘esame di fine corso.
Se lo studente rifiuta le materie espressive, artistico-musicali-fisiche, diventerà un adulto
privo di elasticità, creatività, spontaneità, disinvoltura: potrà affrontare la società del 2000
senza queste capacità?
È naturale che questo momento diagnostico, preliminare ai lavori di programmazione
didattica, è un compito serio di tutto il consiglio di classe, sia perché le materie sono
interdipendenti, sia perché l‘intelligenza si esprime sempre come atto unitario e quindi le
varie modalità d‘uso dell‘intelligenza sono in un loro equilibrio, anche se disarmonico.
Le materie scolastiche non resteranno più lo solo strumento di sola misurazione delle
conoscenze dell‘allievo, ma strumento di conoscenza delle capacità dell‘allievo, ciò che i
genitori chiedono agli insegnanti, venendo spesso delusi.
A poco servirebbe la conoscenza del maggiore o minore utilizzo di questa o quella forma
d‘intelligenza se non fosse possibile un‘efficace terapia.
Ordinariamente si crede di fare questa terapia, con un aumentato sforzo di studio mnemonico,
ripetitivo, astratto, finalizzato alla promozione scolastica e non tanto alla promozione umana,
esso consiste invece nella ricostruzione alla radice della capacità inibita. È vero, alcuni
alunni riescono a conseguire il diploma malgrado l‘antipatia o il rifiuto di questa o quella
materia e si immettono ugualmente nella professione e nella vita, altri invece (e sono troppi)
rinunciano a proseguire negli studi.
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Per gli uni e per gli altri la scuola ha fallito: le varie materie scolastiche erano uno strumento
privilegiato per ricostruire capacità non o male utilizzate, ma in tanti anni di scuola non si è
raggiunto lo scopo; eppure tutti noi siamo convinti che è la vita a richiedere lo sviluppo di
tutte le capacita intellettive e delle fondamentali doti di carattere, non tanto la scuola.
Compito della scuola è di far riuscire tutti gli alunni in tutte le materie, non perché tutte le
informazioni scolastiche saranno loro indispensabili per la vita, ma perché la materia che
fotografa l‘insuccesso sarà la più terapeutica se sviluppa capacità ancora assenti.
Le materie scolastiche che lasciano l’allievo nella situazione di insuccesso falliscono nel loro
compito formativo non soltanto per il successo scolastico, ma soprattutto per il successo nella
vita.
A questo punto è indispensabile aprire uno spiraglio sul vasto campo di aggiornamento
pedagogico-didattico che trasforma la materia scolastica da nastro trasmettitore di
conoscenze in strumento specifico di formazione di capacità.
Ciò comporterà non solo una buona informazione psicopedagogica, ma una altrettanto seria
conoscenza della propria materia: non si può usare bene uno strumento se non si sa a che
cosa serve.
Si propone di partire dalla conoscenza dei profili di carattere più diffusi nelle nostre classi
per suggerire, da una parte ai genitori e dall’altra agli insegnanti “contenuti educativi” capaci
di armonizzare quei profili che vengono descritti, programmando un lavoro comune sullo
stesso obiettivo che si potrebbe definire terapeutico.
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Lo scopo di questo Progetto educativo non ha intenti diagnostici generalizzanti, né di lettura
sociologica degli stili educativi familiari e tanto meno di catalogazione dei diversi profili di
carattere.
A noi serve individuare quelle tipologie comportamentali che creano sofferenza in famiglia o
a scuola, non tanto per il mancato successo scolastico (da alcuni profili esso è garantito),
quanto piuttosto per la mancanza di adesione interiore o per una adesione da automa, per la
resistenza o il rifiuto di lasciarsi coinvolgere, per la non incidenza del lavoro educativo e
culturale della scuola.
Non si tratta soltanto di recuperare il tempo perduto nell’educazione familiare, ma di rendere
possibile quella cultura (la coltivazione dell’interiorità) che ha il potere di promuovere
l’autonomia e la migliore crescita dell’essere di ciascuno.
I profili di carattere non armonici prendono forma dagli automatismi dell’infanzia.
Fortunatamente l’automatismo infantile del bambino “non resta insensibile o incosciente e il
suo psichismo naturale si scontra con il carattere avventuroso della vita e tutti gli elementi e
tutte le energie di cui dispone convergono verso un’autonomia, verso una certa interiorità.
L’individuo-robot si salva se diventa persona, perché ciascuno pretende di essere un valore e
rifiuta di venir trattato come un oggetto e si sente colmato quando un rispetto sincero sveglia
in lui il senso della grandezza.
Non si può accettare di esistere come puro robot, strettamente e totalmente irresponsabile”
(M.Zundel).
E’ questa fiducia nelle aspirazioni profonde di ogni essere umano, che come una sorgente
nascosta tende alla sua espansione, come pure la constatazione frequente della sofferenza,
causata dagli impedimenti alla crescita globale, palese negli allievi rigidi, soli, infantili,
disadattati, a spingerci a realizzare il massimo di sviluppo.
Giova ricordare che stiamo prendendo in considerazione profili di caratteri di soggetti
giovanili che, pur presentando una discreta autosufficienza, nel loro rapporto con la scuola
sprecano o disperdono le loro energie, non utilizzano le loro risorse perché trattenuti da
automatismi inconsci, spesso costruiti già nell’infanzia. Per tutte le altre situazioni di difficile
adattamento scolastico, quando risultano problemi di natura patologica, saranno necessari un
approfondimento diagnostico e terapie mediche e psicologiche adeguate.
Lo scopo di prendere in esame i tipi umani più diffusi nei gruppi classe è senz’altro quello di
affinare la nostra sensibilità educativa e di sperimentare l’efficacia del nostro intervento, ma
anche quello di coinvolgere nella partecipazione al lavoro scolastico comune la maggioranza
degli alunni di una classe, in modo che sia questa maggioranza ad influenzare positivamente i
compagni, invece che sottogruppi caratterizzati da difficoltà di impegno o di carattere
influenzino negativamente i compagni migliori.
Segue la descrizione dei diversi tipi umani da cui emerge il profilo di carattere: per ogni
profilo seguiranno i consigli psico-pedagogici per i genitori e per i docenti per realizzare
insieme il profilo armonico.
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Il tipo iperattivo (il clown)
INIZIATIVA
AUTOSTIMA INDUSTRIOSITA’
AUTONOMIA
I consensi e le proibizioni devono trasmettergli una convinzione profonda, quasi fisica, che
ciò che egli fa ha un significato.
Egli deve passare dall’espressione ludica di sé all’impegno per realizzare un compito preciso.
I bambini e i ragazzi autonomi (capaci di fare da sé, vivi, attivi) devono sperimentare che è
più interessante fare le cose avendo una finalità.
Il bambino impara la distinzione fra gioco-capriccio e il gioco vero, che è quello condiviso
con gli altri. Impara il senso dell’aggressività che nei giochi competitivi ed organizzati viene
incanalata e va a fondersi con le regole della realtà.
Egli perde il senso di onnipotenza infantile, ma, conquistando la padronanza dei movimenti,
passa dall’impulsività istintuale all’interazione sociale.
Il figlio iperattivo non è stato rassicurato nei primi tre anni di vita o perché eccessivamente
posseduto dalla mamma (iperprotetto) o perché cresciuto troppo libero.
Lo stadio di sviluppo che gli è mancato è stato quello dai tre ai sei anni, quando il bambino
sviluppa il senso dell’agire se viene complimentato per i piccoli scopi che realizza e i
risultati che ottiene.
A questa età inoltre doveva sperimentare la presenza della figura paterna che rappresenta per
lui l’autorità, le regole, la volontà di agire per uno scopo.
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Il tu per tu con la mamma non ha rafforzato il funzionamento dell’Io (il suo punto di vista)
perché non è stata vissuta come una persona esterna, distinta da lui (si vive ancora in braccio)
o perché, essendo stata assente, è portato a da desiderare ancora l’unione con lei: questi due
motivi lo fanno dipendere dai suoi sentimenti e dalle sue reazioni, dal suo modo di essere.
Siccome interiormente si sente idealizzato o escluso, sa che può lasciarsi andare.
Da piccolissimo è infatti un bambino vivace che piace.
Il suo difetto quando cresce, è l’agitazione e un ritmo di vita che mal sopporta le regole di
adattamento (si muove, canta, grida per gran parte del suo tempo).
Il problema si pone con l’appuntamento dell’inserimento scolastico, perché la scuola sarà per
lui una gabbia: è come se avesse innestato la quinta marcia negli anni dell’infanzia ed ora
dovesse vivere senza correre, innestando a scuola, per ore, la prima o la seconda.
Capita a lui quello che succede ai bambini di strada, cresciuti liberi e sempre in movimento,
che non riescono ad adattarsi, ai nostri ritmi, specialmente scolastici.
Scrive André Berge: “guidati da una mano esitante il fanciullo e il cavallo hanno dei riflessi
identici: essi si impazientiscono di ciò che li imbriglia e di cui prima quasi non si
accorgevano; perdono il senso di ciò che dovevano fare; l’incertezza di colui che pretende di
guidarli si propaga loro pericolosamente. Se nessuno si occupasse di loro certamente
sarebbero meno inquieti e più saggi: ma poiché non è così, continuano ad affidarsi all’altrui
controllo e sotto questa fittizia protezione si sforzano di far trionfare assolutamente i loro
capricci”.
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Proprio perché il bambino e il ragazzo iperattivo giocano mentre si vestono, mentre
lavorano, mentre mangiano, mentre studiano o fanno una commissione, disperdono molte
forze in un modo assolutamente gratuito, bisogna aiutarli a raccogliere le proprie idee,
fermare l’attenzione, radunare le energie – insomma tutte le azioni che accrescono il tono
vitale dell’individuo sono impedite dalla constatazione e dalla sensazione di un caos che li
circonda; “esse sono stimolate da abitudini di ordine” (A.Berge).
Ad ogni stadio di crescita bisognerà mettere in atto quelle relazioni e attività che portano il
bambino, che scopre il gusto del muoversi per muoversi (2,3 anni), a dare un senso a quello
che fa.
d) Lo stadio più costruttivo è quello dai 3 ai 6 anni,
perché pone le basi del senso di iniziativa – la capacità di fare da sé per uno scopo
realizzabile.
Maria Montessori afferma che è necessario incominciare subito a costruire ordine nel
disordine del bambino in movimento: bisogna insegnare i gesti necessari alla vita quotidiana,
l’ordine,la calma, la padronanza del proprio corpo; bisogna poi insegnare tutto questo in
modo tale che il bambino vi prenda gusto e si rallegri dei propri progressi, perché non si può
non tener conto del principio di piacere; e più l’individuo è giovane più sarebbe assurdo
chiedergli qualcosa senza concedergli un compenso sufficiente per il fastidio che gli si
procura.
La strada maestra per incanalare le energie motorie del bambino è la presenza di una figura
paterna confidente e costruttiva perché il graduale riferimento al padre riduce l’attaccamento
alla madre, perché è tipico della virilità interessarsi allo spazio esterno del fare, dell’agire
guardando al futuro, e del concludere le attività intraprese. Può darsi che il papà debba
vincere l’antipatia per il figlio mammone per instaurare con lui un rapporto già
compromesso.
Già la scuola materna con la sua organizzazione, l’orario, le regole rafforza questa funzione
dell’autorità e i genitori dovrebbero dare per acquisito anche in casa ciò che questa
istituzione realizza in pochi anni (accettazione e rispetto degli orari, l’uso di spazi diversi, la
scoperta della convenienza di fare riferimento anche agli altri perché l’esperienza di gioco sia
possibile e soddisfacente.
E’ proprio l’esperienza del gioco condiviso con i coetanei l’attività educativamente
produttiva per i bambini dai 3 ai 6 anni, per gli effetti disciplinanti di alcuni giochi, sia
riguardo l’immaginazione che per il fisico, per la mente come per le relazioni sociali.
“E’ proprio mettendosi a giocare insieme che i fanciulli scoprono la necessità di una legge”
(A.Berge).
e) L’età della scuola elementare
Il bambino iperattivo comporta un impegno educativo familiare che va in direzione opposta
rispetto al comune atteggiamento di affidare alla scuola, con delega totale, il compito di
costringere il bambino “a calmarsi”.
Se gli insegnanti si lamentano della iperattività del figlio significa che i presupposti di ordine,
attenzione, concentrazione, non sono ancora stati costruiti in famiglia.
Scrive Denis Wallon: “Come sperare una scolarizzazione senza un minimo di
socializzazione, un grafismo senza basi motorie, un’espressione scritta senza essersi espressi
oralmente, una comprensione di ciò che legge, se il bambino non ha mai fatto lo sforzo di
seguire e comprendere una storia che gli viene raccontata.
Per collaborare in profondità con la scuola, non è di nessuna utilità esasperare il bambino nei
compiti per casa, anche se questo è l’unico consiglio che molti insegnanti danno ai genitori,
con il risultato che più il tempo passa, più il figlio odia la scuola.
Bisogna creare prima in casa le condizioni di autocontrollo motorio, di relazioni affettive
serene, perché diventino possibili le attenzioni e l’impegno e scolastici.
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Il gioco condiviso e il fare concreto hanno un effetto equilibratore e distensivo. Lo scopo da
raggiungere non è tanto l’imporre una immobilità contro natura agli agitati, ma trasformare la
loro agitazione in attività efficace ed armoniosa, dandole un oggetto” (A.Berge). Va ricavato
in casa uno spazio dove il bambino (possibilmente con qualche amichetto) possa esercitarsi
nel fare – giochi con la creta, i lavori manuali, il disegno libero, qualsiasi attività concreta,
con uso di materiali e strumenti che porti ad un risultato visibile. Bisogna offrirgli il mezzo di
esercitare la sua attività in modo conforme ai suoi gusti e ai suoi bisogni, prendendo contatto
con la materia per sottometterla al suo pensiero.
E’ questo fare che porta il bambino a finalizzare il suo agire e a rendere possibile anche un
lavoro che lo porta a pensare: il ragazzo si avvicina alla vita assai più che ricoprendo di
scritture pagine e pagine del suo quaderno, benché ogni difficoltà da superare abbia per se
stessa un valore spirituale” (A.Berge).
f) L’età della scuola media porta con sé il grande desiderio dei preadolescenti di voler
essere considerati come gli altri.
E’ proprio il tempo di ritenere l’ambiente familiare insufficiente per rispondere a tutte le
aspirazioni dei ragazzi di questa età, tanto più per coloro che sono diventati agitati perché le
quattro pareti di casa propria offrivano uno spazio limitato alla loro esuberanza infantile: più
le pareti sono ristrette, più si eleva la tensione nervosa.
E’ il tempo delle Associazioni giovanili, scoutistiche, sportive, musicali.
Il gruppo sportivo interviene proprio là dove egli incontra maggiore difficoltà: il non saper
sottostare all’organizzazione, alle regole. Fortunatamente le regole di gioco dell’attività
sportiva sono le più facili da accettare, poiché fanno parte del gioco. Più difficile per lui è
accettare l’organizzazione scolastica, le regole della convivenza. I bambini e i ragazzi
iperattivi non sono cresciuti con abitudini familiari, con il rispetto degli orari e dei ritmi di
vita.
I clown invece nuotano nell’associazione sportiva che valorizza il loro bisogno di muoversi,
lentamente però li porta all’organizzazione continuata e finalizzata.
L’allenatore (come ogni altro educatore d’altra parte) deve essere una guida benevola, non
ostile né insicura. Egli gli offre una situazione di vita ideale per incanalare le energie verso
movimenti, esercizi fisici, sportivi che coltivano il gusto delle prove, la voglia di riuscire, il
desiderio di comportarsi come un grande.
Nel contesto sportivo si accettano con minor fatica oltre alle regole di gioco anche quelle di
comportamento, ma si riesce anche a capire meglio che senso ha, a che cosa serve quello che
si fa.
L’allenatore libero, libera i propri atleti dai capricci e dall’istintività.
“Solo l’uomo che gioca (istintività) porta l’uomo che pensa (idealità) a diventare l’uomo
sapiente (che sente, vuole e decide)” (Winnicott).
Il genitore del preadolescente iperattivo quando sceglie l’Associazione giovanile per il figlio
non può trascurare quelle attenzioni educative (di sviluppo di tutto l’uomo) che meglio
favoriscono le doti fondamentali del carattere.
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- La ricerca di risultati, di finalità nel proprio agire, serve a coltivare il senso di libertà-
scopo, da cui scaturisce l’iniziativa: il bisogno di muoversi viene ordinato per
raggiungere degli scopi di gioco e di vittoria.
- La ricerca di risultati concreti e visibili per se e per gli altri, utilizzando il proprio
corpo come strumento di gioco e di lavoro, adoperando attrezzature e materiali, porta
a sviluppare il senso di industriosità, che è alla base del buon senso, il senso pratico
ed anche il senso di responsabilità.
Sono pochi i ragazzi che arrivano al gruppo sportivo con queste doti già costruite: e la nuova
situazione associativa ha il potere di ricostruirla: la frequenza al gruppo sportivo però deve
essere continuativa, l’allenatore o il tecnico deve essere capace anche di relazione
valorizzante, l’esercizio sportivo dovrebbe avere ancora le caratteristiche del gioco guidato,
senza esasperazioni agonistiche e selezioni.
Programmare un futuro che favorisca lo sviluppo globale del proprio figlio comporta da parte
dei genitori, la scelta di situazioni di vita che facilitano le relazioni e che aumentino quelle
attività che contribuiscono a rendere stabile quello stile di vita che lo fa essere sicuro di sé,
perché capace di controllarsi, non solo, ma perché pronto a preferire ciò che coltiva la
stabilità interiore, soprattutto quando nell’adolescenza, per realizzare quel distanziamento dai
genitori che lo porta a diventare adulto, ha bisogno delle amicizie costruite precedentemente
nell’Associazione di quartiere o di paese.
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MATERIE PROFILO DI CARATTERE FUNZIONI MENTALI
Funzioni Intelligenza
SCIENTIFICHE ANALISI
simboliche visiva
LINGUISTICO SINTESI INT. CONCRETA Intelligenza
LATTERARIE TECNICO-PRATICHE riflessione concreta
Elasticità
fantasia
ESPRESSIVE mentale
INVENTIVITA’
Il profilo intellettivo del tipo iperattivo presenta spesso un buon sviluppo delle capacità
inventive (fantasia ed elasticità mentale), a volte un discreto sviluppo della riflessione
personale e dell’intelligenza concreta, un vero blocco della capacità di analisi (intelligenza
simbolica e visiva).
E’ la sua situazione affettiva che gli impedisce di essere obiettivo perché non è stato
“educato” a dare un senso a quello che fa (è cresciuto dispersivo).
E’ la capacità di intravedere uno scopo al proprio agire che matura l’attenzione, la diligenza,
la perseveranza.
L’intelligenza visiva
È la seconda componente della capacità di analisi. E non riguarda certo solo la visione del
reale attraverso la vista, ma risulta essere la rappresentazione mentale dei rapporti, delle
distanze, delle quantità, delle forme, delle proporzioni, delle consequenzialità, …di tutti i
concetti logici che favoriscono l’obiettività scientifica.
Per questo è chiamata anche intelligenza spaziale.
Il bambino dai 2 anni in poi “ha l’attrezzatura cerebrale necessaria per immagazzinare
fotografie da solo, ma non dispone dell’apparecchio che gli permette di realizzarle.
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L’obiettivo si trova nell’occhio della persona che lo guarda.
E per questo motivo si impegna in quella che si presenta come una caccia agli sguardi, ma
costituisce una ricerca di senso.
Ogni volta che il bambino vive un’esperienza, si gira verso il genitore per sapere che cosa
egli è in quel preciso momento. Ed è quello che vede di se stesso negli occhi del genitore che
determina la natura e l’intensità dell’impronta interiore. Più il suo vissuto mobilita l’adulto di
riferimento, più l’impronta dovrebbe essere forte” (ibid.p.12)
“Al momento dell’accesso al pensiero simbolico (all’inizio dello sviluppo della capacità
d’analisi), il bambino scopre dunque una nuova dimensione di se stesso: ha la capacità
straordinaria di incarnarsi in una rappresentazione.
Alla capacità di avere che condivide con gli animali, si aggiunge quindi la capacità di essere
“che diventerà la capacità di guardarsi essere. /ibid.p.15,16)
Questo risultato affettivo conseguente allo sviluppo della capacità di analisi, è
pedagogicamente esposto da A.Berge nel suo volume Educazione familiare: “La migliore
maniera per condurre un fanciullo a vedere le cose come le vediamo noi, è quella di farlo, in
un certo senso, partecipare al nostro stesso atteggiamento mentale…Per fortuna
l’atteggiamento del più giovane si identifica spesso al nostro senza tanti raggiri: di solito,
basta che lasciamo al fanciullo la possibilità di associarsi ai nostri sforzi, al nostro pensiero,
alla nostra attività, perché egli ne approfitti con gioia. Lavorare insieme, anche
parallelamente, nella stessa attività, avere in comune uno speciale codice d’intesa, alcuni
simpatici progetti, insomma un segreto che il resto del mondo deve ignorare, non vi è nulla di
più attraente, né di più convincente! Più moltiplicheremo le occasioni di dire “noi”, parlando
del fanciullo e della nostra propria persona, più la solidarietà così stabilita sarà veramente
effettiva” (A.Berge)
Questa veloce scorsa sulla formazione del pensiero simbolico e dell’intelligenza visiva o
spaziale e sulle cause effettive del loro sviluppo, chiama in causa, senza possibilità di
appello, la funzione educativa dei genitori, soprattutto in considerazione dell’età in cui tali
processi prendono l’avvio. Infatti è nei primi due anni di vita che il bambino ha bisogno di
essere aiutato a passare da uno stato disordinato ad uno stato coordinato, assumendo un gran
numero di automatismi (il cibo, il vestire, l’uso degli spazi e degli oggetti, le relazioni
familiari…) tutti utili a fargli risparmiare le forze “umane”nei piccoli compiti quotidiani, per
lasciarle disponibili a compiti più alti.
Con questi allievi iperattivi (clown effettivi, selvaggetti mortificati), la collaborazione scuola-
famiglia indispensabile.
La scuola può proporsi di porre un dolce freno alle velleità di cambiamento degli instabili,
ma se in casa i genitori, invece di adempiere al loro compito di incoraggiare alla
perseveranza, per incoscienza, superficialità, con il loro comportamento incoraggiano
l’instabilità dei gusti, dei desideri e degli umori, l’iperattività motoria o emotiva diventa
insicurezza interiore o, nei casi peggiori, furbizia.
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Si può pretendere concentrazione nelle attività di laboratorio, specialmente se si usano
materiali e strumenti, aiutandolo anche, inizialmente, purchè realizzi il risultato.
Siccome egli ha una forte immaginazione, è senz’altro più afferrabile con letture
sentimentali, magiche, avventurose: l’italiano dovrebbe servirgli a dare ordine, efficacia alla
sua disponibilità espressiva.
La materia veramente terapeutica per l’armonizzarsi del suo profilo è la matematica; qui
entra in gioco il meccanismo che favorisce l’analisi, che è anticipare sempre lo scopo, il
senso di quello che si fa.
In questa terapia il docente deve mettersi a fuoco anche nella sua funzione di educatore,
perché a poco serve l’esercizio ripetitivo di compiti di matematica, geometria, fisica,
chimica, anche grammatica, se non si interviene a livello affettivo con attività e relazioni che
aiutano lo studente
- ad accettare le regole del gioco, (come fa nello sport,)
- a raggiungere i risultati prefissati (come nelle attività di laboratorio)
- ad aumentare il coraggio di iniziare, di intraprendere (come nelle avventure)
- a sentire necessaria l’organizzazione, l’attenzione, la concentrazione per arrivare alla fine
(come nella gara sportiva)
- ad accettare le conseguenze logiche del proprio agire (come si accettano le sconfitte nello
sport)
Anche le Scienze fisiche e matematiche hanno i loro obiettivi educativi (preliminari) da
realizzare con i contenuti della disciplina.
Non va dimenticata l’espressione sintetica e risolutiva di Denis Wallon: “La vera attenzione è
una partecipazione affettiva”. Lo studente clown non è molto lontano.
Non va trascurato il fatto che alcuni allievi iperattivi sono dei veri istintivi, impulsivi o molto
superficiali.
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In questi casi vanno programmate, nel piano di lavoro del ciclo di ogni grado della scuola,
delle attività motorie o pratiche che avranno come scopo di creare quegli automatismi di
adattamento infantili che producono l’autocontrollo motorio, prima del controllo scolastico.
Bisogna far leva anche sulla collaborazione dei compagni che spesso tendono a vedere nel
compagno istintivo un comportamento infantile che loro rifiutano.
Ad ogni modo, una volta scoperte le cause affettive, con il contributo di conoscenza da parte
dei genitori, è possibile concordare un progetto di collaborazione a breve o a lunga scadenza
come prospettato in questa proposta.
Infatti, per rendere armonico il figlio-allievo iperattivo, bisognerà sviluppare il senso di
iniziativa, quella dote fondamentale del carattere che pone le sue radici nell’età della scuola
materna, quando l’energia interiore, guidata dall’imitazione e fecondata dalle nuove capacità
intellettive, in forte crescita, tende a realizzare attività sostenute da un’idea, da uno scopo:
cosicché essa diventa energie volitiva – la volontà.
21
L’ ”ometto” o la “donnina” anzitempo (l’adultino)
INIZIATIVA
AUTOSTIMA INDUSTRIOSITA’
AUTONOMIA
22
E’ il blocco precoce dell’autonomia (la capacità di fare da sé) dell’elasticità e spontaneità del
carattere che rende disarmonico il profilo.
Sono mille le cause affettive che possono aver portato il bambino prima dei sei anni, o nel
periodo della scuola elementare, a schierarsi anticipatamente con l’adulto:
può avere la personalità dei genitori, ligi al dovere e troppo seri dal punto di vista morale,
può essere la posizione di primogenito che, alla nascita di un fratellino o sorellina, non
voleva perdere la stima dei genitori e si è messo ad imitarli in tutto per essere degno di loro,
può essere il prestigio smisurato in casa del fratello maggiore che conviene imitare per non
perdere il posto di membro di famiglia, ci sono anche figli che si impongono buona condotta,
risultati positivi a scuola,, per compensare, almeno loro, i genitori presi da troppi pensieri per
i problemi e le delusioni dei figli maggiori,
può capitare che una precoce e totale identificazione al maestro che lo idealizza, crei lo
studente adultino:
insomma il bambino o il ragazzo che rinuncia al gioco o alla compagnia, per diventare bravo
specialmente là dove i genitori si sentono più gratificati, cresce come un ragionatore e non
vive della sua sensibilità.
Ordinariamente non dà problemi a scuola, anzi, è talmente puntuale nel lavoro scolastico che
spesso è il preferito dagli insegnanti. Il suo problema è veramente di natura affettiva perché
sacrifica la sua sensitività e la sua sensibilità (la presa di coscienza delle soddisfazioni che
offrono il mondo della natura, il contesto di gioco, le relazioni con gli altri), vivendo più come
un razionale che come un appassionato.
L’inconveniente maggiore è proprio quello di aver staccato la spina che collega con le sue
forze inconscie, con le passioni vitali, con il mondo dei sentimenti e della vita interiore.
E’ il bambino o ragazzo che cresce senza amici e si troverà solo nell’adolescenza, spesso
escluso dai compagni perché “secchione”.
Il profilo va armonizzato non per i problemi che pone nella fanciullezza o nella pubertà, ma
perché l’equilibrio finora realizzato è artificiale ed instabile, così da non resistere durante la
crisi adolescenziale, quando il prorompere delle energie interiori e il bisogno di autonomia e
indipendenza psicologiche portano a sfide e a provocazioni a volte incontrollabili.
Il suo super-Io (gli ideali, i progetti, le aspettative) è tutt’uno con quello dei genitori;
combattere contro i genitori, distanziarsi da essi, comporta l’annullamento della sua struttura
mentale, del senso della sua esistenza.
Bisogna accorgersi per tempo di questa tendenza adultistica, anche se va tutto bene a scuola.
Spesso il difetto fisico, che diventa sintomo (avvisaglia) della rigidità, è la lentezza, la
meticolosità, il formalismo… insomma una certa pigrizia riferita al muoversi e al relazionare
con i coetanei.
Non è, di solito, il pigro che non riesce negli studi, anche se ha un ritmo lento, ma il pigro
fisico-motorio-emotivo.
a) Per correggere la pigrizia fisico-emotiva bisogna dare maggiore attenzione alla vita
interiore del figlio:
- cercando in lui ciò che lo appassiona, assecondando i suoi gusti e i suoi interessi,
- dando il tempo e lo spazio dovuti alle occupazioni preferite, quelle che hanno per lui
un’attrattiva particolare, a patto che non siano attività sedentarie, isolate, come con la TV,
i videogiochi o il computer,
- non assecondando aspetti di rigidità e formalismo o di lavoro scolastico eccessivamente
astratto, portandolo invece ad integrare nella vita ciò che studia e fa,
- facendo molta attenzione alla natura e sensibilità personali, come se si dovesse
convincerlo che ha diritto di essere originale,
23
- ricordando sempre che l’appello allo sforzo di tipo razionale od emotivo è recepito solo
dagli studenti che da piccoli hanno sperimentato lo sforzo fisico.
La pigrizia può essere considerata un difetto umiliante perché lascia come deposito interiore
la convinzione di essere uno che arriva sempre in ritardo o con l’intuizione o con la prontezza
di spirito, e di non poter gareggiare emotivamente con gli altri.
b) C’è una pigrizia che è conseguenza dell’egocentrismo (io al centro del mondo) e che si
esprime nell’idea fissa, nella rigidità di atteggiamenti e giudizi, nel disinteresse delle opinioni
ed esigenze altrui. Si caratterizza in alcuni difetti ritenuti indifferenti perché compatibili con
la mentalità familiare e sociale corrente. Essi sono:
- l’egoismo, una specie di impotenza a percepire la sensibilità altrui; per questo si prospetta
un’adolescenza difficile;
- l’orgoglio o il narcisismo che fa consistere il proprio valore quasi esclusivamente da ciò
che viene dall’esterno (il giudizio degli altri); il narcisista infatti, con l’esporsi
continuamente, nasconde la scarsa stima di sé. L’adulazione, l’ammirazione, come d’altra
parte l’umiliazione, sono rinforzi negativi, mentre la stima e la simpatia (che fanno leva
sui successi reali, sui progressi ottenuti e sui buoni sentimenti) tolgono nutrimento alla
ricerca dell’immagine esteriore e trasformano la vanità e la fatuità in amor proprio e in
desiderio di affermarsi (dal di dentro), proprio perché l’essere di ogni figlio vuole
essere.“Per molte persone l’orgoglio è uno stimolante artificiale chiamato a rimediare ad
una nascosta debolezza di carattere. Non appena lo stimolante viene a mancare si assiste
ad uno spiacevole sprofondamento di tutto l’essere che non poteva trarre nulla di solido né
di costruttivo dal proprio intimo” (A.Berge)
- L’arrivismo, “figlio naturale dell’egoismo e dell’orgoglio, subordina tutto ai propri
interessi e porta a calpestare la sensibilità altrui. L’arrivista sa piacere agli altri, fare la
corte, rendere servigi, purchè alla fine risulti lui il principale beneficiario; gli altri sono
considerati solo come pedine sulla scacchiera in una partita che bisogna vincere ad ogni
costo. Ogni educazione dei sentimenti può coltivare una sana emulazione piuttosto che un
arrivismo grossolano; un’ambizione personale è meno egocentrica dell’arrivismo:
l’ambizione infatti può essere generosa, l’arrivismo no” (A. Berge).
Sono questi i difetti che trovano terreno fertile nel tipo di personalità che stiamo prendendo in
esame. Siccome si tratta di difetti indifferenti non è improbabile che, intenzionalmente o con
il proprio comportamento, qualche familiare abbia accentuato questo sviluppo razionale a
scapito della sensibilità. Per creare gli anticorpi prima della turbolenza adolescenziale, viene
suggerito subito un contesto di esperienza fisico-emotiva che promuova relazioni più estese e
confronti utili.
c) L’inserimento del figlio nel gruppo giovanile organizzato comporta decisione,
gradualità e continuità.
Si può senz’altro fare proprio questo slogan: “le aspirine che curano la pigrizia e la lentezza
sono il movimento fisico e la vita di gruppo”.
Il gruppo sportivo, la squadra sono il contesto ideale per curare la pigrizia e l’eccesso di
progettualità.
E’ naturale che il ragazzo\a “adultini” abbiano bisogno di gradualità per essere introdotti
nella squadra: è utile che conoscano, prima di essere inseriti, i compagni di gioco, che
familiarizzino con l’allenatore (è un loro pregio saper solidarizzare con l’adulto). Poiché gli
adultini sono in aumento, è importante saperli inserire nel gruppo accettando anche che
facciano per un po’ di tempo i segretari dell’allenatore o gli aiutanti in qualche compito
organizzativo.
La fatica maggiore è solo quella del primo inserimento, a poche settimane dall’inizio proverà
grande soddisfazione nello sperimentarsi un giocatore come gli altri.
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Può darsi che nel gioco di squadra continui a privilegiare il ruolo del “tattico”,
dell’organizzatore, non del velocista o del commilitone. Per accelerare il suo affiatamento al
gruppo è utile proteggerlo dalla probabile iniziale antipatia dei compagni.
Anche A. Berge si schiera a favore dell’importanza educativa dell’associazionismo giovanile:
“la maggior parte dei giochi sportivi, quando siano opportunamente avviati, contribuiranno
anche a formare, senza costrizioni, numerosi riflessi morali e sociali, veramente preziosi:
lealtà, obiettività, onore, obbedienza consenziente, abnegazione verso la collettività, ecc.
Tutto questo ha anche maggior valore per le attività pratiche degli scouts. La maggior parte
dei nuovi metodi (ivi compreso lo scoutismo) tendono ad educare le facoltà sensoriali e
motorie dell’individuo, cioè ad esercitarlo a ben percepire ciò che lo circonda e a reagire
armoniosamente a contatto di questi dati” (A.Berge, pp.116,118)
Scrive il Winnicott: “E’ nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o
adulto, è in grado di essere creativo e di far uso dell’intera personalità, ed è solo nell’essere
creativo che l’individuo scopre il sé”.
C’è un momento nell’infanzia in cui il bambino scopre che riceve molta più soddisfazione
quando agisce per far piacere agli altri, che quando fa ciò che piace a lui.
E questa esperienza che è mancata al figlio adultino. Condizionato a rincorrere le aspettative
degli adulti, non è riuscito a lasciare che la sorgente della generosità si facesse strada nella
sua vita.
Se si prendesse come unico obbiettivo per armonizzare il profilo dell’adultino ( anche se
preadolescente o adolescente) quello di creare le condizioni perché si sviluppi la generosità,
crescerebbe la sima di sè, quell’intuito e quell’elasticità indispensabili per affrontare le
situazioni nuove, quella ricerca di solidarietà che salva l’adolescente, ma anche l’adulto, dal
peso angosciante della solitudine.
Elasticità
ESPRESSIVE fantasia
INVENTIVITA’ mentale
Dalla descrizione fatta del profilo dell’adultino e dai consigli dati hai genitori traspare che il
problema sul tappeto non è relativo al presente scolastico: possono aversi dei periodi di
sbandamento (fine 3 a media o nel biennio delle superiori) in cui egli si schiera con i
compagni più indisciplinati (i ripetenti), i più disinvolti o in opposizione all’organizzazione
scolastica per sperimentare la libertà di godere anche lui successo nel gruppo.
Il problema vero è relativo alla sua crescita futura quando dovrà prendere contatto con i suoi
bisogni profondi, con le sue vere passioni, quelle che nell’adolescenza, nutrono le sue
aspirazioni personali.
Gli risulterà allora artificiale comportarsi come un orologio nell’esecuzione dei doveri, a
volte con accentuazioni perfezionistiche per essere il migliore della classe, come se gli
automatismi avviati non dovessero fare i conti con la sua vitalità.
A livello scolastico bisogna sempre aver chiaro che tutti gli automatismi comportamentali
sono il risultato del protrarsi nel tempo dell’innata disposizione infantile che si chiama
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imitazione: il limite di questa inclinazione è che, all’inizio della vita, serve ad adattarsi al
mondo esterno, ma non agisce direttamente sulla vita interiore e resta alla periferia delle
emozioni.
a) il primo suggerimento pedagogico che risulta da questa considerazione è quello di
giudicare provvisori, propedeutici i vantaggi dell’imitazione-adattamento, e di porsi invece
come obbiettivo educativo la partecipazione, come metodologia portante della didattica per
dinamizzare le singole personalità nel e attraverso il gruppo-classe. Dovrebbe diventare un
chiodo questo binomio partecipazione-imitazione: al primo posto va messa la partecipazione
che comporta comprensione profonda alla tensione vitale di sè e degli alunni, presa di
coscienza della maniera migliore per la realizzazione più completa di se stessi (quel
sotterraneo istinto di realizzare la propria perfezione (Bergson); l’imitazione invece risponde
alla tendenza naturale all’organizzazione e alla conseguente disciplina per realizzare
l’adattamento.
“I più logici argomenti non avranno mai su un giovane individuo il potere stimolante di un
appello alla partecipazione-imitazione” (A. Berge).
Si intuisce l’efficacia educativa in questi allievi razionali di una vita di classe (anche
d’Istituto) in cui si realizza un coinvolgimento partecipativo che prende a pretesto gli
argomenti di studio per affrontare insieme la costruzione di sè, come persone, all’interno
della complessità del vivere attuale.
Certo, bisognerà far ricorso all’immaginazione e sensibilità proprie, quelle che mancano
all’adultino, alle interessanti esperienze di trasmissione partecipata e vissuta dei contenuti
umanizzanti della propria disciplina, alla capacità di immersione nei modelli e ideali
giovanili (i più infatuanti sono quelli collettivi) per far uscire gli allievi da una nozione di se
stessi vaga, caotica, e difficile da comprendere se non attraverso l’immedesimazione. Si può
ricorrere a mille altre modalità con iniziative svolte anche all’esterno della scuola.
In questo tempo però, in cui siamo tiranneggiati dai nostri problemi esistenziali, dai ritmi di
lavoro che riducono gli “angoli di silenzio” per riscoprire la nostra interiorità, non è fuori
luogo preventivare un recupero anche delle nostre idealità professionali (magari partecipato)
con un approfondimento dei significati profondi e delle aperture umanizzanti di questa
metodologia “la Partecipazione” rivolgendoci ad autori del passato (fotocopie di due capitoli
di educazione familiare del Berge: Formazione dell’automatismo e Lo sbocciare dell’essere)
ed autori viventi come Edgar Morin, La testa ben fatta, in particolare il capitolo 4.
b) il blocco dell’elasticità intellettiva e dell’immaginazione (fantasia), e di conseguenza
della vita emotiva, impone di accelerare il recupero di queste capacità il prima possibile,
almeno prima della fine della 3a media, con situazioni di vita extrascolastiche come
consigliato ai genitori previo un deciso loro coinvolgimento nelle scelte degli animatori e dei
gruppi più idonei; ciò può risultare risolutivo a tutto vantaggio dei genitori stessi.
Questo profilo di carattere dello studente tutto razionale e con il cuore rimpicciolito, che non
pone problemi dal punto di vista dell’applicazione allo studio, ma che risulta un egocentrico
dal punto di vista della socializzazione, che può raggiungere all’esame di Stato il massimo
dei voti e che lascia i suoi professori insoddisfatti per la non realizzata maturità affettiva,
costringe a riflettere sulla funzione educativa della scuola, ma ancor più sulla natura, le
finalità e sui metodi della trasmissione del sapere.
E’ la didattica messa in discussione!
E’ un problema che ha interessato la riforma dell’insegnamento, con particolare serietà negli
anni 60, 70, che ha perso via via la caratterizzazione psicopedagogia per inseguire altre
26
emergenze sociali (l’handicap, la dispersione scolastica, la droga…, compresa quella della
Riforma scolastica), ora riemerge per le prese di posizione, per lo più isolate, di importanti
Istituzioni internazionali e di grandi personalità del mondo della cultura contemporanea.
Coscienti che una tale problematica richiede ormai un approccio multidisciplinare, che dovrà
impegnare, non solo il singolo insegnante, ma gruppi di approfondimento e di
sperimentazione a tutti i livelli (Universitario, Organizzazioni professionali, soprattutto
Scuola per Scuola), sotto la pressione della necessità e dell’urgenza, bisognerà programmare
iniziative che, tenendo conto delle situazioni esistenziali e professionali dei docenti,
coinvolgono con continuità i collegi dei docenti delle singole scuole, gruppi di docenti della
stessa materia e singoli consigli di classe, in modo da avviare modalità di Educazione
Permanente.
Come primo approccio al problema si allega a questo progetto una dispensa già a
disposizione: Il significato delle materie scolastiche come strumento di conoscenza e di
formazione della personalità dell’allievo.
Ritornando al profilo dello studente adultino, che vive la scuola come “hortus conclusus”,
che privilegia alcune materie (le cosiddette importanti) e sottovaluta o rifiuta invece quelle
che avrebbero il potere di completare il suo sviluppo come persona, appare indispensabile il
recupero del significato educativo e formativo delle materie scolastiche: la materia va rivista
nei suoi obiettivi generali e nei suoi obiettivi specifici.
La convinzione di fondo che sostiene questo progetto è la seguente: la materia che fotografa
l’insuccesso, il disinteresse o il rifiuto diventa la più terapeutica; va considerata, come
affermato per difetti di carattere, l’autostrada per giungere a comprendere le cause
profonde, affettive, del mancato sviluppo di questa o quella qualità e capacità personali. E’
una convinzione di cui devono impossessarsi gli studenti stessi.
Si riporta a titolo esemplificativo, estrapolando dalle dispense le materie che più concorrono
al completamento del profilo in esame.
Premesso che ogni insegnamento disciplinare ha finalità e metodi:
- d’intervento sul piano affettivo (per vincere le resistenze al pieno utilizzo delle risorse
personali) e di cura degli automatismi devianti “Obiettivi generali”;
- di trasmissione dei contenuti propri delle discipline con i relativi metodi e tecniche
“Obiettivi specifici o strumentali”;
Si propone l’elencazione degli obiettivi di quelle materie che risultano più terapeutiche per
gli studenti “tutto testa”.
Educazione artistica
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Educazione tecnica e laboratori scientifici
Obiettivi generali - costruire la coscienza delle capacità strumentali del proprio corpo,
- sviluppare il senso di industriosità e la capacità di riferirsi alla propria
esperienza.
Obbiettivi specifici
- allenare la capacità di utilizzare materiali e strumenti per realizzare un
risultato,
- scoprire i vantaggi dell‘ideazione e progettazione
- stimolare la curiosità per gli strumenti tecnici e tecnologici,
- portare l‘alunno dalla realizzazione concreta alla tecnologia (la
progettazione dello strumento che riduce il lavoro umano)
Educazione musicale
Educazione fisica
Perché è tanto importante questa divisione fra obbiettivi generali e obbiettivi specifici?
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Perché l’interdisciplinarietà si fa negli obbiettivi generali, non in quelli specifici.
Perché la valutazione riguarda gli obbiettivi generali non gli obbiettivi specifici,
che vengono misurati, classificati.
Perché l’obbiettivo generale resta la meta ultima, fissa, costante, gradualmente conquistata
almeno a fine ciclo,
perchè l’obbiettivo specifico è una meta flessibile, variabile, strumentale, al
conseguimento dell’obiettivo generale.
La materia scolastica diventa cosi un esperienza, un’attività partecipata, una relazione e una
comunicazione interpersonale, una situazione di vita, che ha il potere di rompere difese
precostituite, di mettere in atto capacità non utilizzate, di creare abilità in campi sconosciuti.
Si può senz’altro notare come gli obiettivi generali contribuiscono a sviluppare l’autonomia
e di conseguenza l’elasticità mentale,la fantasia e l’immaginazione e che gli obiettivi
specifici, con la loro strumentazione, mettono nella condizione di far leva, nel tempo, delle
proprie energie fisiche e risorse emotive.
Visto che l’obiettivo generale da raggiungere è stimolare e coinvolgere emotivamente lo
studente “secchione”, va sottolineata la straordinaria efficacia di iniziative scolastiche, di
classe o di Istituto, come il teatro, il coro, il complesso musicale, gli sport studenteschi di
squadra, i gruppi di lavoro in ambito artistico, ambientale, sociale… che non riducono certo i
contenuti disciplinari ma contribuiscono a creare il clima scolastico, lo spirito di squadra, la
valorizzazione della persona.
Tutti si danno da fare per calmare il bambino iperattivo, per fargli accettare le regole della
convivenza, nessuno si preoccupa di curare la personalità dello studente la cui mente è troppo
ammaestrata, e pochi sanno coltivare il suo inconscio e mettersi a contatto con la sua
sensibilità.
“Noi siamo la nostra sensibilità” (M.Zundel)
L’Io non è nella mente, ma nella sensibilità ed è la sensibilità che fa da tramite fra gli impulsi
istintivi e le riflessioni razionali.
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Il profilo del tipo “concreto”
INIZIATIVA
AUTOSTIMA INDUSTRIOSITA’
AUTONOMIA
Con la definizione “sono un tipo concreto, bravo a lavorare con materiali e strumenti, poco
amante delle lettura e delle troppe parole” viene definito il bambino o il ragazzo pratico, di
buon senso, che vive il rapporto con la scuola come un ambiente di troppe chiacchiere dove,
in ultima analisi, fatica a concentrarsi sul lavoro astratto.
Egli manca soprattutto di orizzonti ed è egocentrico perché il suo interesse è trarre dalle
situazioni vantaggi pratici per sé. In casa assomiglia ad un piccolo lavoratore e in famiglia
viene spesso riconosciuto per questo. Il suo problema è il rapporto con la scuola, perché
troppo sedentaria e fatta di parole (parlate e scritte), non di lavori manuali.
Se la scuola non lo rovina, ma lo capisce e provvede alla sua formazione professionale
manuale sarà un ottimo lavoratore.
Non ha sviluppato l’autonomia (l’elasticità) e l’iniziativa (l’agire per uno scopo). La dote
fondamentale del carattere ben sviluppata, in maniera esclusiva, è il senso di industriosità.
Il concreto è dotato di buon senso nel giudicare, sia nel tu per tu, sia nel valutare i risultati
che ottiene.
I concreti vivono ai margini delle Istituzioni e non hanno i loro ambienti privilegiati: sono
sempre alla ricerca dell’ambiente in cui lavorare come fossero già artigiani. Trovano spesso
il compenso maggiore in famiglia se ci sono le condizioni, altrimenti cercano quegli ambienti
dove è possibile lavorare concretamente (dai nonni, dagli zii, o da vicini di casa) e ottenere
risultati pratici.
Il tipo concreto, se la famiglia non valorizza il suo bisogno di produrre, è come un randagio
che si ferma là dove trova qualcosa da fare.
Se non ci fosse il problema scuola, il figlio concreto in famiglia sarebbe ben voluto perché si
dà da fare in casa, riesce bene nei lavori manuali ed è anche industrioso.
E’ l’anticipata imitazione dei lavori degli adulti (sul trattore già a 5, 6 anni) che lo ha portato
a trascurare le esperienze dell’età del gioco e quindi la vita e il confronto con i coetanei.
La causa principale di questo profilo, nella maggioranza dei casi è la mentalità di casa o il
fascino di un adulto lavoratore vicino di casa che trasmette interesse, soddisfazione,
trasporto per il guadagno, per le cose fatte o il risultato immediato che si vede.
Ordinariamente il bambino viene attratto dal buon rapporto con l’adulto di famiglia, un
parente, un vicino di casa che lo coinvolge come lavoratore nei suoi lavori pratici
trasmettendogli soddisfazione e stima per le prestazioni effettuate.
E’ la concretezza del lavoro e il risultato ottenuto che fanno da calamita.
A volte si tratta di una mentalità grezza, senza elasticità e senza orizzonti, un correre verso il
risultato immediato e visibile.
Se prima della fine della scuola dell’obbligo lavora in casa come un ometto (collabora ai
lavori dei grandi usando anche le macchine vere), nel banco di scuola si sente come un
pulcino annegato, praticamente impotente di fronte alle attività culturali che non hanno per
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lui la caratteristica di un lavoro manuale, che non richiedono nessuna praticità e nemmeno
nessun sforzo fisico.
In realtà il “tipo concreto” è passato dall’età del movimento per il movimento (2,3
anni:autonomia) all’età del fare (6, 11 anni:industriosità) senza passare attraverso lo stadio
del gioco condiviso (3, 6 anni:iniziativa), quando si sviluppano l’immaginazione, quel senso
di iniziativa che dà uno scopo personale all’agire e non il senso stabilito dalle caratteristiche
del lavoro imitato dall’adulto o da quello della macchina.
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In sostanza, siccome nella maggioranza dei bambini e ragazzi concreti, risulta un mancato
sviluppo del linguaggio – povertà di vocabolario – si trae la conclusione che il bambino tutto
fare abbia sofferto di mancanza del tu per tu con i familiari (troppo agitati, troppo frettolosi,
troppo taciturni o introversi, troppo presi dal lavoro …).
Questa comunicazione ridotta e limitata alle cose e non alle persone rivela anche che il
bambino o il ragazzo e i suoi genitori sono eccessivamente concentrati nel quotidiano, senza
che l’eco interiore dei fatti recuperi i sentimenti vissuti nel passato e comunichi i sogni
riguardanti il futuro.
E’ proprio l’educazione della sensibilità (la presa di coscienza di ciò che i sensi trasmettono
nel rapporto con le persone e le realtà naturali) la strada maestra per arricchire il mondo
interiore del figlio troppo concreto.
E’ a disposizione presso la Direzione dell’Istituto la Dispensa Noi siamo la nostra
sensibilità, di M. Zundel, che dà la visione di una umanità dotata e aperta ad una ricchezza
straordinaria, quell’umanità che è sofferente nell’animo dell’uomo diventato macchina di
produzione – robot.
c) Il rapporto del figlio concreto con la scuola è un rapporto difficile, pur avendo il suo
profilo qualità che via via i suoi compagni apprezzeranno.
La causa principale non è tanto dovuta al suo comportamento (molto riservato all’inizio dei
vari inserimenti nelle prime classi e poi, per conto suo, irrequieto), ma alla povertà del suo
linguaggio: essa diventa l’ostacolo maggiore alla comprensione e alla interiorizzazione dei
contenuti scolastici.
Il problema si complica nel momento dell’interrogazione quando deve riferire (in pubblico o
in iscritto) ciò che egli spesso sottovaluta.
Solo la maestra che entra in simpatia proprio con il suo senso pratico, che lo aiuta a riferire in
classe e che riesce ad anticipare la simpatia dei suoi compagni, previene gli insuccessi
scolastici futuri soprattutto nelle materie teoriche che lui vive come parole senza riscontri
pratici.
Con questi caratteri, è preferibile costruire l’abitudine di fare i compiti alla stessa ora, nella
stessa stanza, con le stesse modalità (anche indipendentemente dalla conclusione dei
compiti), piuttosto che imporre lo studio astratto sedendosi vicino a lui, irritandosi per la sua
svogliatezza.
Non bisogna mai perdere il contatto con il senso di responsabilità del figlio concreto:
l’intelligenza concreta infatti è la capacità di cogliere il rapporto causa-effetto, di intuire le
conseguenze delle proprie azioni, con quel buon senso che prima o poi garantirà il suo futuro.
E’ lo svolazzo teorico che egli rifiuta, il susseguirsi di parole che non hanno riscontri reali.
Conviene mettersi nei suoi panni: guai sottovalutare in casa il lavoro culturale , è preferibile
invece comprendere la sua fatica di lavorare di testa, aprendo spiragli di applicazione pratica
di ciò che studia.
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Per fare questa terapia di accettazione dello studio pomeridiano sarebbe più adatto il
compagno di classe piuttosto che il genitore o il ripetitore a ore.
Se già ci si trova di fronte ad un radicato rifiuto dello studio, sono inutili le pressioni
adultistiche sull’importanza della cultura e insistere astrattamente che lo studio serve.
E’ probabile che il suo successo futuro si realizzi non in una Scuola di studio (licei o Istituti
tecnici), ma in un Istituto professionale o in un Centro di Formazione prof.le, dove
l’abbondanza di attività di laboratorio pratico e la risposta agli interessi professionali del
figlio porteranno anche al risveglio della disponibilità ad imparare la teoria per diventare più
bravo nel lavoro.
Molti con il trasferimento ad altre scuole sono arrivati al diploma.
I genitori del figlio concreto devono mantenere ferma la convinzione che egli è dotato di
senso pratico e di buon senso, qualità che tra l’altro sono in declino e che, quando ci sono,
vengono apprezzate: egli sa dare loro consigli pratici anche nelle situazioni difficili, sa
trattenerli da iniziative pericolose perché ne prevede gli effetti, sa suggerire praticamente
come organizzare quella determinata attività. Egli ha una moralità che lo protegge.
ANALISI
SCIENTIFICHE Funzioni Intelligenza
simboliche visiva
LINGUISTICO TECNICO-PRATICHE
SINTESI Intelligenza
LATTERARIE riflessione
INT. CONCRETA concreta
ESPRESSIVE Elasticità
fantasia
INVENTIVITA’ mentale
Bisogna rilevare subito che il tipo concreto ha una sua stabilità strutturale a motivo del senso
pratico e quindi della sua intelligenza concreta: la sua aderenza alla realtà “sperimentata”,
spesso è arricchita dallo sviluppo dell’intelligenza visivo-spaziale e dalla fantasia. E’
insomma un lavoratore riuscito.
Il blocco dell’intelligenza simbolica e dell’elasticità mentale (ha il profilo del contadino o
dell’artigiano che viveva isolato) lo rende refrattario alle materie cosiddette di studio.
In classe è lo studente distratto che lavora sempre con le mani.
Ordinariamente è un tipo tranquillo e per lo più isolato.
Le materie più antipatiche sono l’italiano (grammatica e lettura), la storia, la geografia, non
sempre la matematica e le varie materie scientifiche, le materie cioè che pretendono lo studio
pomeridiano.
La causa vera di questa antipatia è il mancato sviluppo del linguaggio e quindi la povertà del
vocabolario.
Gli sono mancate le favole serali, le baruffe con i coetanei nell’età del gioco, le passeggiate
nella natura con osservazioni e commenti dell’accompagnatore, le confidenze interessanti e
belle dei familiari.
Come già detto, ha sperimentato in anticipo le capacità strumentali del suo corpo sviluppando
abilità manuali e senso pratico prima di mettere in moto la mente con le curiosità infantili – i
tanti perché – e il gusto di realizzare una sua idea nel gioco costruttivo.
Non ha, in sostanza, una mente attrezzata per lo studio teorico, e per arrivare a possederla
sono necessari, per la riuscita scolastica, un arricchimento di vocabolario e dal punto di vista
affettivo, un cambio di mentalità in casa.
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Indubbiamente, per recuperare un sufficiente sviluppo dell’intelligenza verbale non serve
molto l’apprendimento mnemonico di nuovi vocaboli, anche se è utile fargli tenere una
rubrica con segnate le parole nuove.
Come già detto nei consigli ai genitori del figlio concreto, la parola nasce dalla relazione
affettiva: l’attore fa interiorizzare più parole che la televisione o un conferenziere.
Se si pone in primo piano questo aspetto relazionale (l’insegnante che conquista il cuore
dell’educando) la didattica finalizzata allo sviluppo del linguaggio è oggi ricca di
suggerimenti e di strumentazioni.
L’inconveniente da scongiurare è credere di risolvere il problema con strumenti tecnici e
tecnologici.
Ricordiamo tutti il fallimento dell’educazione musicale, anche della religione, fatte con le
audizioni di videocassette.
I vari tipi del linguaggio diventano esperienza quando sono messaggi che passano da cuore a
cuore; ne abbiamo conferma dalle letture che ci hanno conquistato.
Responsabile di questo sviluppo del linguaggio, non è solo l’insegnante di italiano, che per lo
specifico della sua materia dovrebbe essere uno specialista della comunicazione e capace di
suggerire ai genitori relazioni opportune per il figlio, ma tutti i docenti che possono nutrire la
comunicazione dei contenuti della propria materia con la passione e l’entusiasmo che li
hanno portati ad insegnare la disciplina scelta. Quando il cuore è gonfio, la parola penetra: è
di questo che ha bisogno il bambino o il ragazzo “mestierante”, che vive l’apprendimento
come un imparare a fare e che cerca nei risultati pratici il suo compenso affettivo.
La sua autostima, a volte alta, a volte meno, è un rimbalzo affettivo del risultato pratico
ottenuto; è come dicesse “ho un valore personale non perché percepisco il mio essere
positivo nelle mie relazioni o per le mie dotazioni interiori, ma perché sono bravo a fare …”.
h) Lo scambio umano fra compagni è quindi un ottimo stimolatore dello sviluppo del
linguaggio e, perché questo diventi più personale, vanno aumentate anche le attività
parascolastiche in modo che si creino le condizioni di nuove amicizie.
i) L’amicizia è una vera sorgente dello sviluppo della comunicazione vissuta e di questa ha
particolarmente bisogno il tipo concreto, spesso solo e quindi nel pericolo di essere
strumentalizzato dai coetanei adolescenti quando crescerà.
j) Il difetto in cui può incorrere il tipo concreto, in particolare nei confronti della scuola, è la
noia: essa si può classificare fra i difetti ignorati. Una volta veniva catalogata come un
peccato capitale (ora rimosso) e si chiamava, la nausea della vita (taedium vitae), sembra
infatti che nulla oggi polarizzi l’interesse del nostro studente.
A.Berge individua nella noia una causa esterna e una interna:
1. “I grandi trascurano troppo spesso i gusti e le esigenze del bambino”
2. “La noia è l’incapacità di investire le cose esterne di una carica affettiva sufficiente
per renderle interessanti e desiderabili ai propri occhi. In altre parole, la noia è la sensazione
del vuoto affettivo.
Più a scuola che in casa, il bambino o il ragazzo concreto ha l’impressione che gli si faccia
perdere tempo e che ciò che gli si chiede lo costringa a fare qualcosa senza ricavarne nessun
piacere.
La tentazione di accantonare l’alunno concreto perché non attrezzato linguisticamente al
lavoro culturale non rischia di costruire una persona annoiata? Se non fosse attivo in casa ci
sarebbero i presupposti psicologici per diventarlo.
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Che cosa fare dal punto di vista didattico?
E’ indispensabile
- nella scuola elementare non trascurare le cosiddette “attività manuali”, tanto più che la
dote fondamentale del carattere da costruire, tipica di questa età, è il senso
dell’industriosità. E’ questo aspetto operativo dell’insegnamento che salva il bambino
concreto dall’isolamento e spesso gli ottiene prestigio tra i compagni.
- Nella scuola media bisogna, per prima cosa, far funzionare il laboratorio di educazione
tecnica, creando occasioni per utilizzare realmente materiali e strumenti, per gustare i
risultati pratici, per sperimentare che mente e corpo lavorano insieme; è preferibile
introdurre il disegno tecnico come necessità dimostrativa, rinviando alla fine della terza
media l’eventuale insegnamento sistematico. Bisogna insomma evitare di trasformare la
materia in uno studio di soli contenuti tecnici e tecnologici come fosse materia scientifica
teorica e per di più con compiti per casa.
- Nella scelta della scuola media superiore, a seconda del recupero ottenuto, conviene
privilegiare gli Istituti prof.li o i Centri di Formazione professionale che offrono
un’abbondante parte dell’orario alle attività di laboratorio e che rispondano agli interessi
dello studente, prevedendo il proseguimento negli studi quando l’approfondimento
culturale sarà desiderato (come spesso capita).
Le materie “più terapeutiche” per loro sono però quelle che sviluppano l’intelligenza
simbolica e l’elasticità mentale.
Per lo sviluppo dell’intelligenza simbolica le materie principe sono l’italiano e la matematica,
come già accennato. Pur essendo convinti che lo studio e la lettura sono davvero la sorgente
sicura per lo sviluppo del linguaggio, bisogna evitare di insistere sull’impegno
eccessivamente mnemonico come negli anni passati è stato fatto fin dalle elementari,
responsabilizzando i genitori che hanno ottenuto, nella maggioranza dei casi, il rifiuto dello
studio.
E’ bene invece imporsi di leggere a scuola con continuità, con espressività, con
partecipazione ogni volta che si ritiene utile comunicare testimonianze di vita interiore anche
in riferimento agli argomenti del programma; in certe classi di scuola elementare e media è
preferibile che sia l’insegnante a leggere (senza troppe interruzioni di spiegazioni) invece che
far leggere agli alunni (anche il libro di narrativa). L’obiettivo è affezionare alla lettura per
tutta la vita, non leggere qualche libro in più.
Su questa tematica di promozione della lettura ci sono gruppi organizzati che raccolgono
esperienze e diffondono metodologie (Feltrinelli Verona). Certo l’abilità e l’espressività del
lettore (attore) sono condizioni indispensabili per affezionare i giovani al libro.
Anche l’aritmetica e la matematica (fisica, chimica, biologia) sono materie che poggiano
sull’intelligenza simbolica:
- la prima attenzione da mettere in atto è di non correre velocemente e non dare per
acquisito l’uso del simbolo, ma soffermarsi sulla sua nascita, natura, significato;
- in secondo luogo far comprendere i vantaggi che derivano dall’uso del segno, numero,
codice … almeno quello di semplificare i procedimenti, di renderli universalmente
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comprensibili, di realizzare cioè un linguaggio scientifico trasmissibile per la quantità e
qualità delle operazioni.
L’esemplificazione con i linguaggi del computer e in genere degli strumenti tecnologici sono
a portata di mano.
Da questi accenni si ricava la necessità di non trasmettere la materia come fredda
memorizzazione del saper del passato, ma come conquista dell’intelligenza di migliori
rappresentanti dell’umanità che si sono messi a fuoco con il mistero dell’universo, della
natura, della vita umana, come Edgar Morin invita a fare, specialmente con le sue ultime
pubblicazioni.
Il tipo concreto ha bisogno di trarre profitto dalla frequenza scolastica molto di più di quanto
non ne abbiano i compagni con profili diversi, perché lui, che ha bene i piedi per terra, ma la
testa vuota, è un bambino o ragazzo – lavoratore prefabbricato, ma molto disposto ad essere
attivo.
A causa della chiusura dei suoi orizzonti culturali, ha più bisogno di diventare persona e di
essere riconosciuto, nella sua dimensione umana, come portatore di un valore di cui egli è
sorgente.
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Il profilo dell’introverso (senso di inferiorità)
INIZIATIVA
INDUSTRIOSITA’
AUTOSTIMA
AUTONOMIA
Con la definizione “sono un tipo riflessivo, pensatore, che parla molto con l’adulto
prediletto e poco con gli altri, poco concreto, amico degli adulti” viene definito l’introverso.
E’ il bambino, il ragazzo o il giovane che si è precocemente identificato ad uno degli adulti di
casa, vivendo in simbiosi con colui che gode della sua presenza e compagnia. Imita e
fotocopia il suo modo di pensare e di giudicare il mondo: è questo infatti il canale di
comunicazione con la realtà esterna che egli filtra con il giudizio e le interpretazioni della
mente dell’adulto, non dando spazio alle emozioni che scaturiscono dalle percezioni
sensitive. A scuola appare sempre soprappensiero, a volte viene giudicato poco intelligente
pur dimostrando di rispondere se interrogato; non interviene mai spontaneamente. I
compagni lo lasciano isolato perché troppo chiuso o troppo serio. Manca di fantasia, di
iniziativa e spesso anche di senso pratico.
Gli introversi sono radicati in famiglia dove l’adulto introiettato fa da tramite con il mondo
esterno: il tu per tu familiare è il codice comunicativo fondamentale, un ping pong tra
famiglia e fuori, dove la parola è la pallina che rimbalza fra genitore e figlio.
A scuola gli introversi vivono isolati e vengono però conquistati più da un intesa affettiva che
dal lavoro scolastico, perché sono spesso lenti e poco finalizzati.
Fra i coetanei della parrocchia appaiono più spirituali e seri degli altri. Spesso si preferisce
che restino così, magari coltivando un rapporto esclusivo giovane-adulto, invece che
immetterli nelle associazioni dove diventerebbero fisicamente attivi e vivrebbero il confronto
con gli altri. Il suo misticismo infatti nasconde una spiritualità egocentrica all’opposto della
spiritualità-dono.
Il tipo introverso ha una serietà e vive in un isolamento che impressionano: anche il suo volto
è così tirato che lo fa sembrare ad un vecchietto.
E’ un tipo riflessivo che si rapporta cioè con la sua interiorità e comunica col mondo esterno
con gli occhi e la mente dell’adulto. Usa la parola parlando sottovoce, per tenere l’adulto a
suo contatto con la confidenza.
- Non ha sperimentato l’età del gioco durante la scuola materna dove è vissuto isolato;
- Durante la scuola elementare esce dal suo isolamento se una maestra, dandogli simpatia e
mettendosi con lui in rapporto di empatia, lo ributta nella convivenza dei coetanei;
- Nel triennio della scuola media, se entra nelle associazioni giovanili, riequilibra il
carattere, aprendosi all’amicizia e recuperando la passione di agire con il proprio corpo;
- nella scuola media superiore tende a vivere da filosofo isolato e bisogna evitare scelte che
lo portino a stare solo: se non si interviene per tempo, la pubertà e l’adolescenza
aumentano l’introversione.
E’ opportuno comprendere il funzionamento del suo Io: l’adulto familiare che si è
impossessato di lui in tenera età gli ha trasmesso simpatia e anche stima, tanto che la
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soddisfazione reciproca ha portato l’adulto (pure introverso) a comunicargli il suo mondo che
è diventato una specie di canovaccio psicologico sul quale, in seguito, gli atti e i pensieri del
bambino tessono ogni giorno un po’ della sua vita.
Questa stima iniziale costituisce il fulcro del rapporto del bambino introverso con il mondo:
tutta la vita è spesa nella difesa di questo tesoro percepito, che non viene però investito
nell’espansione e affermazione di sé: non gli è stata trasmessa questa dinamica rivolta al
futuro, né gli orizzonti verso cui dirigersi (l’adulto introverso è pessimista). Prevale quindi
l’atteggiamento di proteggersi da tutti gli attacchi esterni da cui si premunisce isolandosi.
Di fronte agli insuccessi si autocolpevolizza perché manca il confronto per relativizzarli.
D’altra parte l’isolamento dell’introverso, riducendo l’apertura dell’obiettivo fotografico,
minimizza l’orizzonte delle opportunità offerte dall’ambiente di vita.
La modalità del tu per tu, già assimilata nel rapporto con l’adulto (introverso) prediletto è
diventata l’unica “presa di corrente” del dialogo interpersonale, che inizialmente deve
trasmettere simpatia e stima, quasi per sintonia e trasporto naturale: se il nuovo educatore ha
caratteristiche di dinamismo interiore, apertura affettiva alle relazioni, sensibilità
comunicativa, riesce a rompere le difese dell’introverso:
- aiutandolo a uscire da se stesso per aprirsi al mondo esterno;
- portandolo ad osservare la realtà esterna e ad esprimere o a riprodurre quanto osservato
(importanza del disegno libero o di altre a attività espressive);
- allenandolo a sperimentare la convenienza dello scambio e della collaborazione con gli
altri per ottenere una soddisfazione maggiore.
Questa lettura dell’automatismo inconscio dell’introverso serve a programmare
concretamente le tappe per il superamento della sua introversione.
- Se l’introversione è dovuta all’identificazione ad un adulto introverso o almeno molto
chiuso ed ansioso, l’uscita da essa si realizza con l’identificazione ad una nuova persona
adulta dinamica e socialmente aperta;
- I genitori (ma anche i docenti) devono tenere gli occhi aperti per individuare al più presto
questa nuova persona (una zia o uno zio, amici di casa, un insegnante, qualsiasi adulto
che mostri simpatia per il figlio o la figlia introversa),
- Bisognerà ottenere dal figlio quelle comunicazioni che rivelano l’apparire di questo nuovo
adulto: di solito è l’insegnante, l’educatore, l’animatore di cui il figlio “dice bene” o da
cui si sente stimato;
- Per favorire il rapporto che consegue da questa nuova identificazione, i genitori devono
fare uno sforzo perché non si facciano avanti gelosie e contrasti di mentalità, facendo
proprie, interiormente, quelle iniziative suggerite e portate avanti dal nuovo educatore, che
stimolano l’apertura del carattere del figlio.
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Si è precocemente identificato all’adulto, ad un padre o ad una madre troppo ragionatori: si è
come impossessato di loro con la parola, diventando più un ragionatore che un lavoratore.
Questo difetto si instaura e si rafforza proprio durante il periodo della scuola elementare,
quando i suoi coetanei si associano in banda per far vedere agli altri il risultato del loro fare.
Mai come in questa età il fare ha una funzione così valorizzante: il bambino impara a
conquistare il riconoscimento degli altri, non più imitando o aggredendo gli altri, ma grazie
ad un lavoro produttivo, con i risultati che fa vedere loro.
Più che al funzionamento delle sue membra, il piacere è legato alla realizzazione di un
compito lavorativo e porta a sviluppare le abilità pratiche, la manualità.
Il bambino o il ragazzo con il senso di inferiorità che entra nel gruppo sportivo, ha la
tendenza a fare il segretario dell’allenatore, a solidarizzare con l’adulto, perché il suo
problema è la paura del confronto con i coetanei: quando perde, dà una risonanza esagerata,
spropositata, alla sconfitta.
Quando si lamenta sono gli altri a non volergli bene. L’attività sportiva cura alla radice
questo difetto perché ha il potere di assegnare compiti graduati e precisi.
Dal momento che il giovane atleta dispera dei suoi strumenti, delle sue capacità, del prestigio
tra i coetanei, l’allenatore (come pure il genitore) dovrà proporsi di farlo sentire fisicamente
positivo.
La parola industriosità - che è la dote tipica di chi non conosce il senso di inferiorità – dice
bene il significato psicologico del lavoro che si deve svolgere: stabilire un rapporto
adeguato fra il pensare e il fare fra capacità personali e il mondo dei materiali e degli
strumenti (prima fra tutti lo strumento corpo).
“Il funzionamento del proprio pensiero e la propria coordinazione fisica possono venire
verificati su materiali nuovi e incontri cooperativi (Erikson).
Egli deve diventare un piccolo giocatore (lavoratore), “un’unità volonterosa e partecipante di
una situazione produttiva”. E’ quindi importante sottolineare i risultati individuali o di
gruppo. Il pessimismo, il perfezionismo, l’agonismo esasperato creano l’inerzia, la noia.
Crescere industriosi significa essere capaci di costruire le cose da sé, non aver paura di
sporcarsi le mani.
Bisognerà aiutare i piccoli o grandi atleti a sperimentare di più che il proprio corpo (mani,
braccia, gambe, fisico) è strumento di lavoro, dare loro più occasioni di fare qualcosa con
l’impiego della propria energia, far gustar loro i risultati pratici che ottengono, far risaltare
quando la loro mente e il loro fisico lavorano assieme.
Viene da sé che artefice di questa ripresa delle energie interiori e apertura al mondo delle
possibilità dovrebbe essere una figura virile (il padre, uno zio, il nonno) perché il coraggio, il
senso di iniziativa, la volontà di fare, l’autorità, sono tutti frutto della stessa radice paterna.
Risulta con immediata evidenza che il profilo dell’introverso possiede un buon sviluppo
della riflessione personale, a volte accompagnata anche da intelligenza simbolica e da
elasticità mentale. Mancando però il completo sviluppo delle capacità analitiche e di quelle
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inventive, molto spesso anche dell’intelligenza concreta, tale capacità di riflessione non si
traduce in vera e propria capacità di sintesi, perché non preceduta dall’osservazione
obiettiva o non scaturita dall’esperienza. Essa non è ancora capacità di andare all’essenziale,
di procedere da punti di vista personali che tengono conto della realtà in generale e delle
esperienze diffuse.
In verità la storia affettiva dell’introverso rivela una vera incapacità di uscire da se stesso e di
mantenersi in contatto con il reale.
E’ una riflessione personale tutta rivolta alla difesa dell’Io, per niente sostenuta
dall’osservazione della realtà esterna, che si può definire introspezione, ma che giustamente
chiamiamo introversione. La sua memoria infatti è introspettiva, poco rivolta all’esterno, ed è
spesso ridotta dagli accumuli d’ansia.
Dall’analisi di questo profilo ne consegue la necessità di un lavoro preliminare fortemente
educativo così come proposto nelle pagine precedenti dedicate all’intervento educativo dei
genitori.
Si tratta cioè di completare i pilastri dello sviluppo affettivo, in particolare quelli relativi allo
sviluppo dell’autonomia, del senso di iniziativa e in molti casi anche il senso di industriosità:
ciò va fatto con la competenza e la gradualità che richiede l’entità di chiusura affettiva di
ciascun allievo introverso.
Il bisogno che ogni essere ha di sentirsi essere riguarda anche il tipo introverso anche se il
suo comportamento chiuso (lo stare per conto suo) viene inteso come autonomia.
Il grido dell’adolescente introverso “voglio essere io a costruire la mia vita, il mio divenire
dipende da me” è l’impulso sotterraneo anche del bambino o del ragazzo che si scopre non
trarre profitto da tutti gli elementi che gli giungono dall’esterno e che non può ignorare se
vuole arricchirsi e perfezionarsi.
L’intervento educativo deve diventare una strategia educativa volta a creare situazioni in cui
possa sbocciare l’interiorità vera, quel prendere coscienza dei suoi bisogni e dei suoi slanci
che lo porteranno a sperimentare momenti di gioia di essere in relazione, invece che
difendere l’interiorità dai pericoli esterni.
Una volta creato un rapporto di reciproca aspettativa (docente-alunno) anche attraverso la
comprensione dell’automatismo dell’introversione, può diventare utile “comunicargli le
nostre scoperte, i nostri pensieri, la nostra esperienza, con la certezza che li accolga di buon
grado, senza altra preoccupazione di trarne il massimo vantaggio” (Berge).
Siccome una tale pedagogia richiede a monte una filosofia di vita rimando al capitolo Lo
sbocciare dell’essere di A.Berge che ho già proposto di mettere a disposizione in fotocopia
perché il volume è esaurito.
Ho già suggerito ai genitori la situazione ideale per curare il senso di inferiorità: cura che
porta a sviluppare l’intelligenza concreta e a cui possono aggregarsi i docenti le cui discipline
comportano l’uso del corpo come strumento di lavoro, di materiali e di strumenti in attività di
laboratorio tecnico e artistico.
a) Lo sviluppo dell’intelligenza visivo-spaziale è un problema di particolare attualità
perché anche la televisione, i videogiochi, i computer stimolano l’uso di questa funzione
mentale.
L’isolamento del tipo introverso deve mettere in guardia soprattutto i genitori:la fuga verso
una realtà virtuale, che l’assuefazione all’uso degli strumenti tecnologici provoca, diventa
un ulteriore impedimento all’osservazione e conoscenza del reale che sono la condizione
indispensabile per accedere al processo di astrazione analitica, caratteristico dell’intelligenza
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spaziale. Essa è la capacità di leggere astrattamente i rapporti spaziali, di capire i codici di
comportamento, di distinguere i particolari nell’insieme, di afferrare la consequenzialità dei
fenomeni…
La matematica, la fisica, in genere le materia scientifiche, offrono un contenuto
esemplificativo continuo e progressivo. Con lo studente introverso però bisogna proporsi di
afferrare la sua attenzione al momento della presentazione del problema, in quegli aspetti di
osservazione e comprensione del fenomeno da cui scaturisce la procedura matematica di
semplificazione astratta (arricchendo emotivamente i dati di partenza, esemplificando
concretamente con altri fenomeni simili, interloquendo con gli alunni perché ne derivino
linguaggi più familiari o comprensivi, descrivendo un esperimento che si accosta al nuovo
procedimento da dimostrare… a costo di rallentare il tutto).
I docenti di queste materie sono gli esperti per creare le premesse perché l’allievo sperimenti
questo passaggio dal concreto all’astratto e prenda coscienza di questa modalità d’uso della
sua intelligenza, che è indispensabile per la conoscenza “obiettiva” delle realtà concrete e
astratte e per il progresso delle scienze, delle tecniche e il dominio della complessità della
conoscenza.
D’altra parte è questo “l’insegnamento educativo” proposto da Edgar Morin in La testa ben
fatta.
b) Lo sviluppo della fantasia e dell’immaginazione è il secondo obiettivo per far
uscire l’introverso dalla sua situazione di chiusura “riflessiva”:
la fantasia non coincide affatto con razionalizzazione e nemmeno con le innumerevoli
interpretazioni soggettive della realtà: ciò che fa spesso l’introverso quando ragiona.
La fantasia è la capacità della mente che l’inconscio partorisce fin dalla tenerissima età:
caratterizza l’infanzia normale del bambino ed ha uno sviluppo fecondo specialmente dai tre
ai sei anni. Risponde a quelle sete inconscia di vivere la vita come avventura, anche per
cercare una via d’uscita dalle situazioni che creano disagio o sofferenza.
La fantasia va mantenuta viva anche nelle età di forzato adattamento.
Il Winnicott scrive che “l’idea di democrazia in miniatura” nasce quando il bambino “ha
mostrato una crescente capacità di conservare la propria spontaneità pur rispettando la forma
e tutti gli altri controlli”.
Ogni docente può ricorrere alla sua immaginazione per dare una diversa direzione, un colpo
d’ala, ai momenti difficili della vita di classe.
I docenti delle materie il cui obiettivo generale e specifico è lo sviluppo delle capacità
espressive, creative, hanno più possibilità di tener viva l’immaginazione degli allievi.
Lo stimolo a questo aspetto dell’insegnamento fa parte dell’innovazione necessaria per
rendere più lieto il lavoro, ma è anche precondizione per il coinvolgimento emotivo degli
alunni.
La creatività, come già detto, “utilizza i materiali depositati nel proprio inconscio. E
l’inconscio è universale, le opere create da un creativo destano sintonie e risonanze anche in
altri” (De Masi, La fantasia e la concretezza, Rizzoli, 2003, p.690).
L’introverso ha soprattutto bisogno di risvegliare la vocazione creativa che ogni essere
umano possiede, anche se sotterranea. “La sua forza è la sorpresa” (ibid.p.691).
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Vengono presi in esame altri due profili di carattere - il dipendente e il conformista, che pure sono presenti
nelle nostre classi in percentuali inferiori, a seconda delle zone, rispetto ai profili precedenti.
E’ opportuno farlo perché la loro descrizione e i consigli conseguenti allargano la comprensione dei
meccanismi affettivi profondi che sottostanno al profilo disarmonico.
AUTOSTIMA INDUSTRIOSITA’
AUTONOMIA
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Se ciò avviene (non sempre) è salvaguardata la possibilità di proseguire gli studi oltre la
scuola dell’obbligo, soprattutto quando appropriati interventi educativi hanno rafforzato l’Io
e favorita la socializzazione.
I sintomi della dipendenza affettiva si sono manifestati molto presto: è il bambino con la
tendenza di non lasciare mai uno dei genitori e a non fare mai alcunché senza di loro.
“Di questi bambini si dice che sono “appiccicosi” e ci si mostra spesso esasperati da questa
dipendenza troppo stretta, quando diventa addirittura imbarazzante”(A.Berge, I difetti del
bambino).
Non è improbabile che i genitori di questo bambino abbiano trasmesso il convincimento che
senza di loro il bambino non sa fare nulla.
Ci sono due modi per disporre dei genitori, o con aggressività o con la dipendenza: ambedue
rendono i genitori dipendenti dai figli.
L’intervento educativo deve mirare alla causa profonda; essa consiste nella mancanza di
stima in casa: non si ha fiducia nelle sue forze fisiche perché malato, nella sua intraprendenza
perché pauroso, nel suo equilibrio perché maldestro…: Questo comportamento dei genitori
che protegge il figlio dalle sue debolezze, invece che immunizzarlo dai pericoli, lo
indebolisce sempre più, cosicché egli ha paura che la realtà nuova sia sempre più pesante di
quella precedente.
La conseguenza di questa protezione difensiva è l’allontanamento del figlio da tutti i pericoli:
vengono ridotti gli spazi di esplorazione, l’esercizio motorio che lo stimolerebbe al
movimento, gli incontri fuori casa che lo farebbero familiarizzare con gli altri.
Il problema del figlio dipendente è sottovalutato dai suoi genitori e la soluzione viene sempre
rinviata nel tempo. E’ probabile che sia stato il primo inserimento scolastico, apparentemente
riuscito (l’insegnante è soddisfatto dell’alunno obbediente), a chiudere gli occhi sul reale
quadro di insicurezza e di isolamento.
E’ il bambino o il ragazzo che si butta in braccio alla prima persona che gli vuole bene,
perché il suo punto di vista ancora non esiste e perché il suo fare non è motivato dai suoi
interessi, gusti, spinte interiori; egli infatti si impegna per far contenti gli altri.
In questi anni la cura diventa più difficile perché si sono ridotte le possibilità di incontri con i
vicini di casa, perché la famiglia di oggi è meno presente e disponibile per favorire le
amicizie e per impegnare i figli nel fare. Il preadolescente e gli adolescenti senza amici stabili
e con scarso senso pratico sono in aumento.
La dipendenza psicologica del figlio dipendente segnala un equilibrio fragile e provvisorio
anche se frutto di un automatismo e domanda di intervenire subito per scongiurare
un’esistenza in balia degli avvenimenti esterni.
Bisogna in fretta creare nuove relazioni affettive e costruire una maggiore aderenza alla realtà
con il fare assieme agli altri.
- Infatti è con le buone relazioni che si costruisce l’autostima: tutte le esperienze che
aumentano la coscienza del proprio valore, che trasmettono simpatia, che allargano le
amicizie, che danno incoraggiamenti nei momenti di insuccesso, coltivano il sentimento di
sentirsi qualcuno per qualcuno. Nella preadolescenza si attenua il riferimento ai genitori e
in generale agli adulti e cresce l’aspirazione di godere il consenso soprattutto dei coetanei:
dovranno essere loro a dare valore, simpatia e speranza.
- Sta ai genitori lavorare perché il figlio possa inserirsi in un gruppo organizzato o
associazione (scout) che gode della loro fiducia, perché questa è l’età “degli adulti
istruttivi e dei coetanei cooperativi” (E. Erikson).
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- La seconda iniezione di autostima, di cui ha bisogno il dipendente fin dall’età della scuola
elementare è la convinzione di valere fisicamente: deve sperimentare che il suo corpo è
strumento di lavoro.
Vale tutto ciò che è stato consigliato per curare il senso di inferiorità del tipo introverso.
Far sperimentare ai propri figli la loro forza e abilità fisica è un buon rinforzo all’autostima.
- Il genitore può anche farsi aiutare per sanare le ferite inconsce del figlio dipendente: è
stata una paura dell’abbandono della madre nella prima infanzia (allo svezzamento, in
occasione di un ricovero di uno dei due, a causa di un grande spavento, o anche per un
comportamento morbosamente possessivo della mamma …) che lo ha ributtato nel
riferimento esclusivo e totale a lei.
Ne è rimasto un vuoto affettivo da colmare, a qualsiasi costo, come fosse il vuoto dello
stomaco da riempire con il latte materno che ha pure un valore affettivo.
La mamma deve coltivare sempre la convinzione interiore che il bambino, anche se
piccolissimo, è una personcina con la sua dignità, con caratteristiche proprie, diverso da lei e,
nel dargli tenerezza, deve farlo sentire distinto da lei.
E’ questo un intervento educativo che deve durare negli anni avvicinando il figlio ai familiari
e agli amici di casa in modo che si senta valutato per sé e per le sue caratteristiche.
La confidenza e il gioco condiviso con il papà, specialmente dopo i tre anni, diventano la
calamita che rallenta il riferimento esclusivo del bambino alla mamma. Lo steso risultato
possono ottenerlo i fratelli, i cugini, i compagni della scuola.
Questa strategia di formazione dell’Io va portata avanti anche negli stadi di vita successivi
perché il dipendente nasconde una personalità infantile.
Elasticità
ESPRESSIVE fantasia
mentale
INVENTIVITA’
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essere diverso dagli altri, quello di voler essere considerato, amato per sé, non perché gli altri
sono contenti di lui.
Per uscire dall’esclusivo attaccamento all’adulto il dipendente deve scoprire che l’educatore
preferito è capace di rispondere al suo bisogno di amore e di riempire non solo il suo vuoto
affettivo, ma anche quello degli altri che hanno il suo stesso bisogno. E’ necessario che egli
gioisca di sé nel sentirsi come gli altri, per essere in qualche modo il guardiano e la
provvidenza di sé.
D’altra parte l’automatismo a cui obbedisce il bambino o il ragazzo dipendente non lo lascia
mai completamente insensibile e incosciente. Vale la pena usare tutta la nostra sensibilità per
costruire le condizioni perché egli possa farsi un amico: solo questo porterebbe alla scoperta
della sua interiorità e quindi al sentimento di sentirsi unico.
Anche il blocco della intelligenza concreta e della percezione sensoria e spaziale (che
presupponeva l’esperienza di vivere il proprio corpo come strumento di azione e di lavoro)
domanda una psicopedagogia competente, perché inizialmente bisognerà approfittare della
sua relazione di dipendenza per portarlo indirettamente al manipolare, al fare concreto,
proprio con il pretesto di fare contento l’insegnante.
Il complimento però non deve premiare l’esecutività ma il risultato visibile, quello che deve
essere apprezzato anche dai compagni.
Più aumentano le occasioni di soddisfazione per il risultato ottenuto, più si rafforza l’Io
perché si sente finalmente fisicamente capace.
In primo luogo dare per acquisite le capacità possedute dall’alunno dipendente: l’intelligenza
simbolica e la fantasia.
In realtà, l’intelligenza simbolica è tutta frutto di incosciente imitazione dell’adulto; la
fantasia è invece un attaccamento ostinato al passato da cui non riesce a staccarsi.
Dal punto di vista strumentale però sono capacità che aiutano a farlo uscire dalla stasi
affettiva.
Se l’intelligenza simbolica permette un progresso nello sviluppo del linguaggio, lentamente
la comunicazione, sia pure frutto di un doppiaggio, diventa cosciente quando l’interiorità
comincia a funzionare. Ordinariamente è questo che capita se la fantasia tenuta viva
dall’attaccamento al passato, quindi alle origini che sono dietro e dentro di lui, farà apparire
all’orizzonte il bisogno di una sua autonomia: la fantasia sarà disponibile a inventare risposte
al bisogno di avventura insito in ogni essere umano.
Per quanto riguarda il blocco dell’intelligenza visivo-spaziale e dell’elasticità mentale, esso è
conseguenza dell’automatismo dell’esecutività propria del dipendente.
L’intervento didattico suggerito per i profili dell’introverso e del tipo concreto possono
ridurre l’automatismo che quasi sempre garantisce, durante la scuola elementare il profitto sia
nelle materie analitiche sia in quelle espressive.
45
Durante le gite scolastiche il dipendente si affianca all’insegnante preferito o all’insegnante
più tranquillo e comunicativo: con gradualità bisogna creare l’occasione perché finalmente si
affianchi un amico come futura testa di ponte per la socializzazione (altruismo). Per ottenere
questo bisognerà favorire la vicinanza con l’amico per qualche mese, mettendolo in banco
insieme, nello stesso lavoro di gruppo…
Conviene ribadire che il profilo del dipendente fa emergere le qualità e le caratteristiche della
relazione educativa docente-alunno, fatta di comprensione dell’interiorità dell’alunno, anche
dei suoi automatismi, fatta di sensibilità e delicatezza e di tanta gradualità soprattutto durante
il lavoro didattico.
E’ responsabilità del docente ottenere dai genitori quella collaborazione che fa tesoro di
queste conquiste, perché il dipendente viene considerato in casa e dai compagni un debole e
un immaturo.
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Il profilo del conformista (il furbo).
INIZIATIVA
AUTOSTIMA INDUSTRIOSITA’
AUTONOMIA
E’ il tipo che si è imposto razionalmente, dopo una valorizzazione gratuita e totale da parte
dei genitori nell’infanzia a corrispondere alle aspettative dell’adulto, praticamente invece è
uno scansa fatiche.
Ha il profilo che i sordomuti, nella maggioranza dei casi, costruiscono a causa del loro
handicap: per la mancanza dell’udito sono costretti ad esercitare l’intelligenza visiva per
adeguare i comportamenti alle necessità del vivere; arrivando per questo un po’ in ritardo,
sviluppano una reazione motoria più efficiente.
Il motivo psicologico per cui un bambino normale sviluppa questo profilo dipende, come
sempre, da una causa affettiva: ha avuto nell’infanzia una particolare valorizzazione, a priori,
per aspetti per lo più esteriori, magari fatta di adulazione, ed è iniziata così una ricerca
assidua del consenso dei genitori e degli adulti familiari.
A seguito di un fatto di detronizzazione (un fratello o sorella genietti, una disgrazia in casa,
anche solo il difficile adattamento nel gruppo scolastico…) è stato costretto a rincorrere le
aspettative dell’adulto per voler ottenere conferma che lui è quello che è stato. La sua è una
rincorsa compensativa al super-Io dell’adulto (in questo è simile all’adultino) senza però
darsi da fare concretamente per meritare la stima ricevuta.
E’ sicuro che l’adulto conserva per lui la positiva immagine iniziale e si sente autorizzato a
tirare la corda più che può, già tanto sa che pensano bene di lui.
E’ il bambino o il ragazzo che intenzionalmente non vuole tradire i genitori né i superiori,
mentre nelle attività quotidiane familiari o scolastiche è il campione della disobbedienza,
tanto che i genitori sono costretti a cedere.
Bisogna innanzitutto capire se siamo stati noi genitori ad aver condizionato il nostro rapporto
educativo all’idea di coltivare un “figlio-progetto”, se trasmettiamo cioè con molte parole,
consigli, principi, un ideale nostro, su di lui, come se non avesse diritto ad un suo ideale di
vita.
Con tanta pazienza, in attesa del miracolo, si continua a trattarlo non come una persona con il
suo nome e cognome e quindi con la sua originalità, ma come un qualsiasi figlio che ha
inscritto un programma (per lui astratto) da attuare.
La sensibilità di relazione, la coltivazione dei gusti e degli slanci del figlio, l’arricchimento
della sua vita di emozioni e sentimenti passano in secondo piano perché è il progetto che
bisogna attuare: spesso si tratta di un progetto estraneo ma anche superiore alle capacità del
figlio, che diventa fascinoso per il figlio stesso, ma che non tiene conto delle sue passioni e
risulta totalmente prefabbricato. E’ naturale che il figlio diventi conformista.
Di fronte agli insuccessi scolastici e ai problemi di adattamento, specialmente dalle medie in
su, a poco servono i predicozzi, le lunghe discussioni, le disquisizioni sui doveri e sui
principi… lui si lascia presto convincere, e d’accordo con i genitori, con i superiori in genere,
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col super-Io dell’adulto; il grave è che, dopo mezz’ora, il suo comportamento scansa fatiche,
spesso anche provocatore dei compagni, riprende come prima, anzi, più cresce in età, più si
fa strada o lo spirito di opposizione o la rinuncia ad essere attivo.
Anche negli altri casi di formazione del profilo del conformista arriva il momento in cui i
genitori si concentrano sul problema della mancanza di volontà del figlio.
“Come si può in pratica far appello ad una volontà che si è cercato di piegare? Spesso si
crede che convenga prendere le leve di comando al posto del bambino e che sarà sempre
possibile di rendergliele quando avrà raggiunto l’età adatta. Ma in quel momento il ragazzo
sarà ancora capace di prenderle in mano da solo?
D’altra parte si dimentica che nessuno può veramente volere, se nel suo intimo non desidera
volere: e questo desiderio non può venir imposto dall’esterno come non è facile imporlo a se
stessi per deliberato proposito!
Esser convinto “che si ha il dovere di volere” non basta; è necessario poter volere e
desiderare di volere. Vi sono tante cose che sarebbe bene fare – nessuno lo mette in dubbio! –
e che nessuno tuttavia fa. Il problema della disobbedienza si può risolvere, dunque solo se
l’educatore pensa non soltanto ad esercitare la volontà-strumento, ma a suscitare la buona
volontà, ossia il desiderio di volere… La buona volontà nasce da sentimenti come la gioia, il
buon umore, la simpatia, l’entusiasmo: sfiorisce sotto l’effetto dei rimproveri continui, delle
critiche acerbe, delle prediche interminabili” (A.Berge).
Concretamente il figlio conformista ha subito bisogno di essere “gustato” dentro, non a
corrispondere alle nostre aspettative: va coinvolto anche a darci una mano in casa soprattutto
in quelle attività che piacciono a noi, a compiere liberamente piccoli favori con mansioni
materiali che piacciono a lui e ottengono la nostra compiacenza.
Come per il tipo dipendente, anche per il conformista l’armonizzazione del profilo comporta
orientare le attenzioni educative su due fronti principali:
a) aumentare le esperienze di “cuore a cuore” in casa e fuori casa per aumentare
l’autostima;
b) inserirlo in gruppi organizzati (scout, sport, musica) perché si sperimenti fisicamente
capace come gli altri.
Si vedano i suggerimenti dati per il tipo dipendente.
ANALISI
SCIENTIFICHE Funzioni Intelligenza
simboliche visiva
SINTESI Intelligenza
LINGUISTICO TECNICO-PRATICHE INT.CONCRETA riflessione concreta
LATTERARIE
Elasticità
fantasia
ESPRESSIVE mentale
INVENTIVITA’
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blocco dell’intelligenza concreta può nascondere un senso di inferiorità che rende difficile il
ricorso positivo al contributo dei compagni di classe, da cui si sente giudicato o anche
ridicolizzato.
Sono quattro le tendenze inconsce (mancanza di autostima, senso di inferiorità, blocco
dell’autonomia e dell’iniziativa) che contrastano con il lavoro cooperativo e solidale di
classe, perché le funzioni sviluppate portano a primeggiare, quelle bloccate a isolarsi per
timore del confronto.
L’apparente sintonia con l’adulto-insegnante resiste solo a certe condizioni e sempre in
presenza di attenzioni privilegiate nei suoi confronti. Ad esempio, durante la scuola
elementare può avere un rendimento normale se ha insegnanti autoritari; già nella scuola
media ciò è più improbabile a motivo del risveglio puberale.
D’altra parte l’atteggiamento autoritario, anche se ottiene il profitto, rinvia il problema del
suo squilibrio interiore. E’ ben vero che una strigliata del padre a pochi mesi dalla fine
dell’anno quasi sempre scongiura la ripetenza. L’atteggiamento autoritario, che si adotta in
caso di malattia per imporre le medicine, va usato invece per imporre la nuova situazione
educativa che riesce a far breccia sull’automatismo conformista.
Questo profilo, come quello del dipendente, domanda terapie anticipate (fine scuola media è
già tardi) perché alle superiori le attenzioni educative a scuola (poche ore di insegnamento
nella classe) e le opportunità educative in attività extrascolastiche pretendono strategie che
escono dall’ordinario. Siccome bisogna accelerare il più possibile la riequilibratura del
profilo, gli insegnanti dovranno trovare il modo per convincere i genitori a fare frequentare al
figlio (in maniera continuativa) quegli ambienti educativi extrascolastici che favoriscono
amicizie e organizzano attività fisico- manuali-artistiche, per curare il senso di inferiorità e in
generale il rapporto con la realtà corporea e naturale.
Nella scelta di questi ambienti, come pure nella scelta di futuri inserimenti scolastici,
bisognerà adottare una strategia particolare perché il conformista risolve il suo problema se
scegliamo per lui l’ambiente in cui può primeggiare: vanno scelti quindi gli ambienti che
domandano minor impegno rispetto alle capacità.
L’attività più terapeutica per il conformista è il teatro, anche il complesso musicale: lusinga
con l’esposizione al pubblico ed educa al controllo e al coordinamento delle prestazioni, dei
gesti, dei tempi…
Il conformista, non essendo un esecutore ma un disobbediente, nei lavori di gruppo
difficilmente collabora, a meno che lui non possa prevalere per abilità già acquisite.
Ordinariamente, se si ottiene la collaborazione convinta dei genitori (difficile da ottenere), si
riesce a provvedere a nuovi inserimenti che mettono l’allievo nella condizione di primeggiare
col risultato che, riducendo le delusioni in casa, si riduce la dipendenza mentale ai genitori.
Anche nella scuola ci sono insegnanti-adulti con una particolare forza morale che sanno
essere forti ed incisivi senza essere autoritari, espliciti e comprensivi senza creare dipendenza
o conformismo: sono gli insegnanti ideali per curare il dipendente e il conformista.
La migliore lettura che ho fatto sul non conformismo è il volume La forza di amare, di
Martin Luther King, in particolare il capitolo secondo. (SEI, 2003, pp.31,42).
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Conclusione.
Per realizzare insieme il progresso umano, compreso quello spirituale dei nostri alunni,
sembrano indispensabili almeno tre condizioni:
- una comune idea dell’uomo da costruire;
- una competenza professionale coltivata con passione perché la disciplina scelta diventi
strumento di promozione umana;
- una psico-pedagogia comprensiva del dinamismo interiore degli allievi e attenta ai
mutamenti culturali e sociali perché ognuno posa diventare attore di un futuro possibile.
Sono queste, tra l’altro le caratteristiche di una vera didattica.
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La valanga di consigli, suggerimenti, indicazioni metodologiche rimarrebbero, ancora una
volta, buone intenzioni e formule da applicare, ma se abbiamo di fronte quell’alunno, con
quel suo profilo di carattere da curare, diventa una necessità intervenire scegliendo le terapie
più adeguate.
Sicuramente anche la sola lettura di questo Progetto dà forse la possibilità di superare quella
parte di adulto-robot che anche i genitori e gli insegnanti inevitabilmente assumono
nell’esplicitare il proprio ruolo pressati dalla tradizione, dalla routine, dalle opinioni correnti.
Comunque ci si impegni, ne consegue una innovazione educativa e didattica da cui trarrà
vantaggio, non solo quello o questo tipo di carattere, ma tutti gli studenti che frequentano la
sua classe e forse anche la sua Scuola.
D’altra parte, l’abbondante esperienza accumulata e le enormi soddisfazioni avute da questo
tipo di impostazione psicopedagogica mi rassicurano sull’efficacia del progetto che potrebbe
col tempo diventare una prassi educativa rendendo attori (non gli psicologi che prima vedono
lo studente, poi i genitori, poi i docenti – quando si riesce, spesso una sola volta) i genitori
che hanno da sempre il figlio in casa e i docenti che lo seguono per anni.
Là dove questa collaborazione si è realizzata, a volte anche con il contributo di animatori
locali, educatori già a contatto con la famiglia o con il figlio, l’armonizzazione del profilo ha
premiato.
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al loro primo emergere nelle età precedenti, quando è più facile individuarne la natura e il
significato e quando “terapeuticamente” sono più comprensibili. Si dà per acquisito che le
loro ripercussioni nell’adolescenza domandano risposte che tengano conto delle tensioni
tipiche di questa età.
L’individuazione del profilo di carattere del bambino, del ragazzo o dell’adolescente, dà
spesso la fotografia di un equilibrio instabile. Conviene non perdere tempo perché la
sofferenza diventa una possibilità di riconoscimento di queste energie profonde e di
intervento quando le occasioni e le condizioni di cura sono ancora nelle nostre mani.
Per i genitori sarà più facile estrapolare da questo progetto l’eventuale profilo del figlio.
Ogni docente, inizialmente dovrà concentrarsi sul recupero di quei due o tre alunni con i
quali si realizza spontaneamente un buon rapporto (meglio se con profili simili), diventando
punto di riferimento dei colleghi per gli studenti presi a cuore: di anno in anno, magari
interessandosi ad altri profili, la professionalità di ciascuno si arricchirà progressivamente. Ci
si accorgerà nel tempo che l’impegno di curare i profili disarmonici porta noi stessi ad
allenare e ad utilizzare quelle stesse capacità affettive e mentali che si vogliono sviluppare
nell’alunno.
Questo Progetto dovrebbe essere considerato una bozza da arricchire e da perfezionare nella
Commissione Genitori-Docenti.
Che si tratti di un compito arduo che impegna tutta la vita, tanto più per chi lavora in una
scuola cattolica, risulta anche da questa convinzione di Maurice Zundel:
“Ciò che l’esperienza ci insegna, è che la fede più difficile è la fede nell’uomo. Credere
nell’uomo: per far questo ci vuole una specie di eroismo”.
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Una collaborazione possibile per la cura e lo sviluppo delle
doti fondamentali del carattere
INDICE
Prefazione pag. 1
Conclusione pag.50
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Questionario di approfondimento per ciascun docente.
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