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Aspetti fenomenologici nel pensiero di Marco De Natale

Un libro di Marco De Natale sempre una sfida intellettuale. Se poi, come nel suo ultimo lavoro1, il
tema riguarda nientemeno che una teoria dellAscolto musicale la posta si fa pi ambiziosa: occorre
entrare nelle maglie della sua prosa e dei suoi ragionamenti e orientarsi nei tanti percorsi intrapresi.
Mi limiter a raccogliere alcuni dei numerosi spunti presenti nel volume, per interloquire a distanza
con lAutore su un tema che mi caro. Ma andiamo con ordine.
Potrebbe stupire che un libro che parla di musica e di ascolto, scritto da uno dei padri degli studi
analitici italiani, non presenti nemmeno un esempio musicale. In realt lautore si pone da una
prospettiva particolare (come del resto nei suoi ultimi lavori, si veda La Musica come Gioco, 2008),
laddove la musica viene a nascere in quel luogo polimorfo che si intreccia con le nostre storie, i sensi
di vita, le molteplici relazioni con cui ci apriamo al Mondo. Lapproccio di De Natale appare, sotto
questo aspetto, una genealogia: una lettura che indugia sui meccanismi plurali che hanno
determinato lemergenza (pi che lorigine) di un pensiero musicale o di una teoria. Ci rimanda agli
interstizi della storia, alle sue pieghe, alla sua cronica opacit.
In tal senso occorre subito smarcarsi dalle terminologie consolidate: a cominciare dallo stesso
termine di ascolto che viene rideclinato in una nuova etichetta, lAuditio. Non solo un termine
dallarea di senso pi estesa; si tratta piuttosto di una sorta di intreccio noi-Mondo una condizione
contattiva la chiama lAutore con una felice espressione (p. 43) - con forte prevalenza di quote
dazione e di vissuto. Ci che ascoltiamo si d, prima di tutto, per quello che , come evento, ed
dunque un tuttuno con unazione, con un percorso di senso, con una gittata esistenziale. LAuditio
ci consegna unesperienza che non rimanda, ma esemplifica, in quanto i suoi materiali possono
vedersi come tratti di quelle stesse propriet che esibiscono. Il termine incarna non solo un intreccio
spaziale, ma anche temporale (oltre che esistenziale), in quanto si articola come processo
diacronico, implicando un prima e un dopo. Da qui la propriet cronosensitiva della mediazione
sonora, termine che lAutore mutua dal filosofo Marcello La Matina2: ci che ascoltiamo non pre-
esiste allevento comunicativo, ma si costruisce con quello. Infine lAuditio anche acquisizione,
cio unimpronta di Mondo che si lega a noi. Un incontro a due, naturalmente: come unorma sulla
sabbia che riassume tanto il materiale di cui fatta, quanto la sagoma delloggetto che vi si imprime.
Mi piace vedere in tutto ci una conferma di quanto ho sempre colto anche in altri libri di De Natale:
una singolare vicinanza ad una certa visione fenomenologica. Ed di questa che vorrei parlare.
Come quando si sofferma a discutere il concetto di risonanza, un termine che ci sembra scontato,
eppure capace di inquadrare un preciso paradigma epistemologico. Nel re-sonare implicito un
percorso circolare, con leffetto dun rispecchiamento, duna retroazione (87). Non pu esserci
voce senza udito, n udito senza voce. Unandata e un ritorno che istituiscono un comune spazio
entro cui acquistano senso suono e ascolto. uno spazio relazionale, di chiara marca
fenomenologica. Come scrive Giovanni Piana, non ci mai dato di essere in presenza del nostro
udire, in quella giusta messa a distanza che lidea comune di ascolto richiede3. La qualit circolare
della risonanza mi ricorda alcune memorabili pagine di Merleau-Ponty dove il filosofo si interroga
su cosa sia lilluminazione, per poi riflettere sul riflesso degli occhi. Cause e condizioni della visione
si intrecciano in un fenomeno unitario che sarebbe insensato separare. Che cosa accade nel
momento in cui una certa macchia di luce presa come illuminazione anzich contare per s? Sono
stati necessari secoli di pittura prima che si vedesse sullocchio quel riflesso senza il quale esso

1
Marco De Natale, Per una teoria dellAscolto musicale. Tra soglie vegetative e immaginario
eccentrico, Mimesis, 2015.
2
M. La Matina, Cronosensitivit, Una teoria per lo studio filosofico dei linguaggi, Carocci, 2014.
3
La mia voce e caratterizzata da un modo peculiare di restare inavvertita, di non essere mai alla mia
presenza, G. Piana, Filosofia della Musica, Guerini 1991, (ed. digit.) p. 77.
rimane spento e cieco come nei quadri dei primitivi.4 Quel riflesso - che in fondo visto solo con
la coda dellocchio, ma la cui assenza priva della vita e dellespressione sia gli oggetti che i volti -
proprio la marca di un legame indissolubile tra io e Mondo. Verrebbe da chiedersi quale sia
lequivalente musicale dellilluminazione. La risposta pi immediata potrebbe tirare in causa il
colore o la luminosit del suono, tutti aspetti che la teoria musicale ha sempre considerato qualit
secondarie, rispetto a quelle dure, come laltezza o le durate. E quindi, gi solo per questo, relegate
ad una soglia di importanza minore. Ma in unaccezione pi estesa farei rientrare anche il riverbero
che effettivamente introduce quella quota di circolarit indispensabile ad assegnare un profilo
esistenziale allesperienza sonora.
Il concetto di riverbero - che lodierna tecnologia digitale tende a farci vedere come uno dei tanti
parametri del suono - pu aprirci ad altre riflessioni su come i nostri edifici teorici siano intrisi di pre-
comprensioni che orientano inevitabilmente le nostre modalit percettive. necessaria allora
unelaborazione teorica consapevole, anche nei suoi risvolti pedagogico-didattici, che si faccia carico
di reintegrare gli oggetti di cui si occupa entro una cornice di esperienze vissute. Vorrei segnalare,
in tal senso, linteressante e nuovo contributo che proviene dal modello della cosiddetta Enazione,
che si recentemente rivolto anche alla musica, e dove registriamo i contributi di un giovane
studioso italiano, Andrea Schiavio. Si tratta di un modello in cui azione e percezione sono
strettamente unificati e questultima non pensabile senza il ruolo del corpo conoscente.
LEnattivismo richiede che il mondo esperito sia determinato da una cooperazione dinamica tra
fisiologia, organizzazione senso-motoria e lambiente, qualcosa in cui si sempre situati. Ne segue
che lobbiettivo non quello, caro ai cognitivisti tradizionali, di un soggetto teso a risolvere di volta
in volta dei problemi (problem solving) quanto piuttosto di costruire un senso. Questo implica una
continua e dinamica rimodulazione tra i vari agenti in gioco, che si dis-pongono reciprocamente. In
sede di didattica musicale ci ha delle importanti conseguenze: siamo abituati a porre domande ad
un testo musicale che consideriamo come la realizzazione di una struttura ingegneristica.5 Le
domande che un tale modello implica sono dunque del tipo: come viene progettata questa
Transizione sonatistica? con quali mezzi torniamo verso un centro tonale dopo la divagazione dello
Sviluppo? ecc. Ci induce inevitabilmente nellanalista e nellascoltatore una posizione da fuori,
che misura i pesi e le strategie con cui il meccanismo costruito. Tutti fattori sicuramente
interessanti, ma altra cosa accostarsi alla musica per cogliervi un senso o, meglio ancora, per
istituirne uno. Infatti un senso non gi presente nel pezzo e - secondo unimmagine cara a
Schenker - custodito quasi gelosamente nel suo interno, al punto che il compito dellascoltatore e
dellanalista sarebbe quello di portarlo alla luce. Al contrario, il senso del pezzo va costruito,
venendo cio a co-nascere insieme a chi ne fa esperienza, e in ci frutto di una reciprocit, di
uninterazione e negoziazione continue. Alcuni recenti indirizzi delle scienze cognitive parlano in tal
senso di partecipatory sense-making6.
A ben vedere ci che fa la differenza, nel nostro rapporto con la musica, prende necessariamente le
mosse dalla collocazione in cui ci poniamo nei confronti del fenomeno sonoro. Pi precisamente:
che posizione occupiamo in quel contesto? Siamo degli osservatori di qualcosa che fuori di noi, o
degli attori di un gioco in cui siamo noi stessi coinvolti? Solo in questa sede si gioca effettivamente
lintegrazione fra azione, percezione, pensiero immaginativo. A questo proposito toccher un altro
punto del libro di De Natale su cui vorrei estendere una personale riflessione. Mi riferisco al breve

4
Maurice Marleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani 2005 (1945), p. 405.
5
James Hepokosky e Warren Darcy assimilano la Sonata ad unimpresa ingegneristica, come la
costruzione di un ponte. Elements of Sonata Theory: Norms, Types, and Deformations in the Late-
Eighteenth-Century Sonata, Oxford University Press, 2006, p. 15.
6
Fuchs T., De Jaegher H. (2009), Enactive Intersubjectivity: Participatory sense-making and mutual
incorporation, Phenomenology and the Cognitive Sciences, 8-4.
riferimento dellAutore alla figura di David Lewin (p. 163), come rappresentante di un approccio
fenomenologico della teoria musicale.
La figura del teorico americano (1933-2003) si inserisce in modi non sempre trasparenti nellattuale
dibattito teorico, per la complessa molteplicit del suo pensiero. Da un lato abbiamo un
matematico, che ha lasciato alcune delle pi eleganti formalizzazioni del linguaggio musicale e,
proprio per questo, quanto di pi lontano potrebbe pensarsi rispetto a posizioni fenomenologiche.
Dallaltra un pensatore che si interrogato sulla natura del nostro approccio verso i processi
musicali. Pi in dettaglio, egli ha colto nellanalisi musicale convenzionale un'impostazione che ha
definito di tipo cartesiano, basata cio su una tendenza a immaginare uno spazio di note fuori di
noi. A questa egli affianca un differente approccio in cui la relazione tra due oggetti sonori -
poniamo s e t - viene inquadrata con la seguente domanda: se io sono ad s e voglio andare a t, che
particolare gesto dovrei eseguire per arrivarvi7? Insomma: invece di pensare un intervallo come
una distanza, su un piano misurativo, egli legge quella distanza nella forma di una possibile azione
da intraprendere necessaria per coprirla, e definisce questo approccio un atteggiamento
trasformazionale. Un tale termine ha una precisa accezione matematica, riferendosi a gruppi di
trasformazioni intesi come famiglie di funzioni che agiscono sopra famiglie di oggetti. In pratica, per
fare un semplice esempio, invece di vedere il movimento da un accordo A ad un accordo B come
una distanza, possiamo ipotizzare che laccordo A sia oggetto di una trasformazione x a seguito della
quale diventa B. Con una metafora, che riprendo da Ramon Satyendra, possiamo immaginare le
trasformazioni matematiche che agiscono sugli oggetti alla stessa stregua delle azioni che i verbi
esercitano sui sostantivi a cui si applicano.8 Aldil di un apparente formalismo, emerge chiaramente
da questo approccio lidea di voler tenere uniti i concetti di percezione e di azione; entrambi vivono
uno spazio che potremmo definire situazionale, dove particolari gesti intenzionano dei movimenti
che producono dei cambi di stato.
Su questi temi Lewin noto per aver rideclinato alcuni concetti del teorico tedesco H. Riemann
dando lavvio a quellindirizzo che ha preso il nome di teoria neo-riemanniana. Questo approccio
tende a concentrarsi non sulla realt (fisica o simbolica) dei singoli oggetti musicali - siano essi
accordi, figure ritmiche o altro - quanto sulle trasformazioni che avvengono tra di essi. Piuttosto che
etichettare un oggetto, inteso rigidamente, una trasformazione incorpora unazione specifica, da
intendersi come un gesto intenzionale. Le famose etichette di matrice neo-riemanniana (la L, la R e
la P, ma ce ne sono molte altre), come le ha pensate Lewin, sono altrettanti gesti con cui un accordo
guarda ad un altro accordo. Con lespressione formale DoM(R)=Lam si intende che DoM si pone,
rispetto a Lam, come pu farlo in quanto R. Cos R diventa, nella nostra metafora, non solo il nome
di quella trasformazione, ma anche quel particolare modo di guardare a Lam, come solo R pu
dar modo di farlo. Dietro quella lettura si nasconde una densit di senso, una sorta di determinabile
x, e dunque lidea che si attuata una selezione parziale di qualcosa di pi grande che potrebbe
legarsi a quelloggetto specifico (il Lam), che tuttavia non si d per intero dato il contesto particolare
in cui lo troviamo. Lewin elabora quindi dei grafi che descrivono le diverse prospettive con cui il
pezzo procede attraverso azioni indipendenti, ciascuna incarnando un particolare gesto
intenzionale9.
Nellarticolo Music Theory, Phenomenology and Modes of Perception del 1986, Lewin affronta in
modo specifico una posizione di tipo fenomenologico, nellidea che la musica si fa e non solo si

7
David Lewin, Generalized Musical Intervals and Transformations, Oxford U.P., 1987, pag. 159.
Dora in avanti GMIT.
8
Ramon Satyendra, An Informal Introduction to Some Formal Concepts from Lewin's
Transformational Theory, Journal of Music Theory, 2004, 48-1, p. 101
9
Pensiamo al grafo delle trasformazioni allinizio del 2 Movimento della Sonata op. 57 di
Beethoven. Cfr. GMIT cit., p. 213.
percepisce. In tal senso la teoria della musica deve occuparsi di specifiche azioni musicali,
diventando attiva, creativa, finanche poetica. Prendendo spunto da un passo del Morgengru di
Schubert, Lewin discute una variet di percezioni che possono generarsi da un certo contesto,
sostenendo come questultimo si colleghi ad un altro, e dalla loro interazione si generano altri
possibili sensi, e cos via. Ci che noi cogliamo, di volta in volta, lesito di un vedere per profili, per
prospettive; dunque solo una sfumatura di qualcosa di pi grande (unAbschattung direbbe
Husserl), e il senso che ne risulta proprio la mediazione tra il percetto e il referente.
In questa prospettiva, come si diceva, lanalisi musicale diventa qualcosa di creativo. Non pi la
disciplina che punta a spiegare la musica o a cogliere il lato giusto del suo apparire quanto lo
strumento di riflessione che apre nuovi scenari e nuovi oggetti, che spinge a costruire dei contesti
capaci, a loro volta, di assegnare nuovi sensi. Lewin si mostra sempre orientato a sviluppare, con
nuove sollecitazioni analitiche, le nostre capacit di ascolto. Un celebre esempio in un suo studio
su Stockhausen10, che ci invita ad un percorso di ear-training per cogliere le trasformazioni presenti
in quel contesto musicale.
Lanalisi diventa cos quellesercizio di costruzione di scenari che ci rimanda al concetto di vedere
come discusso da Wittgenstein nelle sue Ricerche Filosofiche. Nel vedere come cogliamo
lintegrazione tra un percepire e un pensare. In un attimo, in un balenare dello sguardo, ci appare
una relazione, una somiglianza, il consolidarsi di una forma. Pensiamo ad esempio a come sia
possibile imparare ad ascoltare una cadenza frigia come tale, e non come cadenza sospesa,
situazione ben nota in certi corali bachiani di origine modale. Oppure, nel caso della tonalit
romantica, a quando Chopin ci propone degli accordi che un ascolto tradizionale leggerebbe come
dominanti di qualcosa; ma poi quel senso viene come risucchiato fino a scomparire, venendo invece
ad emergere (un balenare dellaspetto, direbbe Wittgenstein) la sua qualit indipendente. Penso
al ruolo polivoco del Do Magg. nella 3a Ballata. Quanto di memoria o di pre-comprensione gioca
nella costituzione di questo senso? A met strada tra pensiero e percezione, tra memoria e
cognizione, lanalisi pu guidarci a sviluppare nuovi mondi e nuovi scenari. Dal suo canto lascolto si
fa traccia di tutte quelle condizioni che rendono possibile le singole selezioni di materiale
musicale, come una corrente che percorre un campo dinamico di forze capace dei pi svariati
scorrimenti.

10
Musical Form and Transformation, Yale, 1993, p. 42.

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