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Antonio Grande

I nuovi “mondi” di Albert Simon:


ipotesi per un’altra tonalità

Abstract
The theoretical works of the Hungarian musical theorist Albert Simon (1926-
2000) – a very eclectic musician, orchestra conductor and analyst – are thus far
unpublished. Only German musicology has been dealing with him: Bernhard
Haas, who was one of his students, wrote a book about his thought (2004), and the
German journal, «Zeitschrift der Gesellschaft für Musiktheorie», published
many theoretical contributions on this topic. This essay deals with the essential
lines of Simon’s theory, a multidimensional New Tonality based on Pitch-Fields
(Tonfelder), in the large scenario of the western musical theory. The aim is to argue
about the possibility of employing forms of description or interpretation, born
inside a “first practice” of tonality, with respect to a repertory (as the music of Ro-
manticism) depending on a “second practice”. Indeed the author thinks that a par-
ticular theoretical look is able to bring to life or to disappearance its “objects”: they
– as Foucault says – do not preexist the theory, but are direct emanations of it.
Besides a discussion of several analyses from German bibliographic area, the arti-
cle indicates some new perspectives showing how, starting from a Chopin’s work
analysed by Schenker, Simon’s theory highlights otherwise not recognizable
features.

I profondi mutamenti che attraversano l’Ottocento musicale, spingendosi fino ai


primi decenni del Novecento, si inquadrano nella progressiva trasformazione di
una visione del mondo che la riflessione teorica ha riassunto in gran parte come
“crisi” della tonalità, lungo un percorso che approderà alle avanguardie novecen-
tesche. Ma proprio il carattere di un mutamento che investe, con un cambio di
paradigma, il pensiero musicale e i suoi principi organizzativi, chiama in causa la
legittimità di un approccio teorico che, articolandosi a ridosso di ciò che possia-
mo definire “il discorso della crisi”, dovrebbe parlare del suo stesso superamento.
Detto altrimenti, sotto un profilo epistemologico ci si chiede come una teoria –
che, per comodità, chiameremo tradizionale (come può essere quella schenkeria-
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na) – nata “internamente” al pensiero della tonalità, possa parlare della crisi di
quello stesso pensiero. E se, a questo scopo, non sia piuttosto necessario far leva
su una teoria che si ponga “al di fuori” di quel particolare contesto culturale che,
in pieno Ottocento, sta per essere sopravanzato da nuove visioni del mondo.
Il problema non si riduce solo a un diverso inquadramento dei medesimi con-
cetti analitici. Ciò che ha conseguenze teoretiche ben più profonde è il fatto di
riconoscere che una differente teoria (un differente “discorso”) è di per sé in gra-
do di produrre oggetti nuovi (nuove pertinenze analitiche) e, nel contempo, di
annullarne degli altri.1 Ad esempio, vale la pena domandarsi se è plausibile man-
tenere categorie che potremmo definire “rigide”, come il concetto di accordo e di
linea, a fronte di un’evoluzione della musica, in età romantica, che tende ad attri-
buire sempre maggiore importanza a fattori sovrasegmentali come le dinamiche,
il suono, le fioriture e i gradi secondari.2 Ciò determina un riassetto delle forze in
gioco a favore di categorie più “liquide”, meno compatte e più propense a combi-
narsi, di volta in volta, secondo ordini mutevoli.3
Un secondo problema riguarda la valutazione del rapporto tra due possibili
modelli di rappresentazione di un fenomeno musicale: quello offerto dalla teoria
e quello derivante dell’esperienza di ascolto della musica. Ci si chiede, cioè, quan-
to possa essere grande la distanza tra la “complessità” con cui la teoria rappresen-
ta un certo processo musicale e l’immediatezza con cui, talvolta, quel medesimo
processo viene esperito in sede cognitiva. Quando questa distanza diventa trop-
po marcata, diventa legittimo cercare una diversa cornice teorica che, di quel
processo, metta a disposizione letture più dirette e immediate, capaci di ridurre la
distanza tra i due ordini di rappresentazione. Pensiamo, ad esempio, al famoso
passo che conduce alla Ripresa nel primo movimento della Sonata per violino e
pianoforte op. 24 di Beethoven. In un’ottica schenkeriana il V di Re, che risolve
insolitamente sulla tonica strutturale Fa (bb. 123-124), non è che la fase finale di
una progressione che abbraccia l’intero Sviluppo, e che – partita da un lontano V
(che Schachter pone a b. 28) – passa per il III (La Magg.) per risolvere infine, con

1. L’oggetto, scrive Foucault, «non aspetta nel limbo l’ordine che lo libererà e gli permetterà di incarnarsi
in una visibile e loquace oggettività; non preesiste a se stesso, quasi fosse trattenuto da qualche ostacolo
alle soglie della luce. Esiste nelle positive condizioni di un complesso ventaglio di rapporti» [1999, 61].
2. Su questo si veda l’ampia discussione di Leonard Meyer [1989, 208 seg.].
3. I concetti convenzionali di moto e di territorio possono assumere sfumature differenti in funzione delle
pratiche che vi agiscono [Deleuze-Guattari 2006]. In tal senso, uno spazio non è un territorio neutro su
cui si esercitano delle azioni, ma sono le azioni stesse che istituiscono uno spazio e che lo determinano
come struttura. Trasponendo queste sollecitazioni sullo scenario musicale del secondo Ottocento siamo
indotti a rivedere, fra l’altro, la netta distinzione tra le note strutturali e quelle che non lo sono: il mate-
riale si fà denso, i contorni sfumano in un quadro tonale diventato più liquido. Le linee che prima erano
tracce di energia in un percorso direzionato si disperdono in un contesto più diffuso. La categoria “linea”
non può essere la stessa in Mozart come in Brahms o Debussy.

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“magico effetto”, sulla tonica Fa di b. 124 [Schachter 1999, 142-143]. Si tratta però
di un inquadramento teorico troppo complesso per accordarsi alla naturalezza
con cui si percepisce il passaggio. Un altro caso è il ricorso alla “doppia commi-
stione modale” per spiegare successioni armoniche non facilmente inquadrabili
in un’ottica convenzionale e monocentrica [Salzer 1982, 180]: anche qui, il ricorso
a macchinosi espedienti teorici non rende ragione di passaggi che l’orecchio co-
glie senza particolari problemi.4 Come legittimare il salto tra i due ordini di rap-
presentazione, quello cognitivo e quello della teoria?
Il tema ha suscitato di recente un certo interesse, anche se in questa sede vor-
remmo raccoglierlo in modo indipendente. Penso, ad esempio, allo studio di Fa-
bien Lévy sui livelli di complessità percettiva, teorica e notazionale [2004]. Ma
anche, in sede più specificamente formale, alla riflessione neo-riemanniana sulla
possibilità di utilizzare funzioni trasformazionali che esprimano in modo diret-
to, piuttosto che mediato, alcune tipiche fenomenologie armoniche, come il pas-
saggio alla quinta inferiore (D piuttosto che RL).5
Da metà Ottocento, gli accostamenti di accordi o tonalità basati su relazioni
non convenzionali –sia a livello locale che su larga scala – diventano così abituali
che sembra legittimo dover ridisegnare una mappa di distanze capace di conte-
nerli e di interpretarli in base a una logica di relazioni coerenti.6 In particolare,
acquistano cittadinanza materiali variamente simmetrici – come le scale ottato-
niche, esatoniche e a toni interi – da cui si originano strutture polivalenti e ibride;
lo spazio che esprimono assume delle curvature paradossali e, diremmo, non eu-
clidee rispetto alle metriche convenzionali. Questa tendenza trova un paralleli-
smo nei diversi “mondi” che vengono a disegnarsi con le nuove geometrie del
secondo Ottocento: mondi autolegittimati dalla loro coerenza strutturale, e del
tutto indipendenti dal nostro spazio-tempo.7 Nuove strutture (pensiamo alle

4. Richard Cohn, che interviene sull’argomento, discute anche i contenuti “ideologici” sottesi a certe rispo-
ste della teoria [2004, 303 seg].
5. Hyer usa la D, mentre Cohn la sostituisce con le trasformazioni R ed L, ossia Relativo e Leittonwechsel
[Kopp 2002, 151-157]. Sebbene D sia formalmente ridondante, prove sperimentali hanno mostrato che ha
una sua «realtà psicologica indipendente» [Krumhansl 1998, 271]. Kopp discute anche il caso della suc-
cessione V-i (sulla tonica minore) che la teoria interpreta come DP (la Parallela della Dominante), con
un doppio passaggio. È difficile però negare – continua Kopp – che tale successione «suoni del tutto
chiara e diretta, senza alcuna tortuosità [twist] udibile che richieda quella doppia notazione» [2002,
169]. Sui rapporti tra distanza accordale e lunghezza della “parola” (nel senso quasi informatico del ter-
mine) con cui si descrive, interviene anche Nora Engebretsen commentando il Systematik der Harmonie-
schritte di Riemann [2011, 362]. Tuttavia Riemann non fornisce indicazioni su come l’intellegibilità della
relazione armonica sia funzione della lunghezza della “parola”.
6. Di grande interesse, ai nostri fini, potrebbe essere la strada intrapresa – sia pure con finalità più didattiche
che teoretiche – da Hugo Riemann con il suo sistema di Schritt/Wechsel.
7. Il matematico ungherese Janos Bolyai, in procinto di pubblicare un lavoro sul problema delle parallele
che apre uno spiraglio verso le nuove geometrie non euclidee, scrive al padre (1823): «Ora posso dire
soltanto questo: dal nulla ho creato un mondo nuovo e diverso» [Bartocci 2012, 67].

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“varietà” di Bernhard Riemann)8 si profilano sulla scena di ciò che può essere
pensato, e questo si riflette anche sul piano della creazione artistica: in musica,
l’annosa pregiudiziale naturalistica diventa ormai ingombrante, e i teorici del
tempo sono disposti a ritenere che l’Arte può sopravanzare la Natura, laddove
essa non basti più a giustificare i nostri parametri estetici [Locanto 2007, 211;
Rehding 2003, 21-22].

1. I Campi di Note di Albert Simon


Se le riflessioni precedenti hanno evidenziato la necessità di definire un nuovo
impianto teorico in grado di istituire nuove pertinenze analitiche, un modello
tonale dai tratti decisamente nuovi è quello che fa capo al teorico ungherese Al-
bert Simon (1926-2000).9 Si tratta di una figura di musicista a tutto campo – diret-
tore d’orchestra, musicologo, didatta e teorico – che nell’ultima parte della sua
vita si dedicò completamente all’analisi, in particolare della musica di Bartók.
Della sua ampia produzione analitica nulla, ad oggi, è stato ancora pubblicato;
nel 2004 è uscito un libro di un suo studente, Bernard Haas, che riassume i punti
essenziali dell’approccio teorico del Maestro – una sorta di “Nuova Tonalità” – e
propone una decina di analisi di brani da Schubert a Webern [Haas 2004]. Si
tratta di lavori redatti materialmente dallo stesso Haas, ma sulla base delle indi-
cazioni e del metodo di lavoro acquisiti durante gli anni di studio con Simon.
Successivamente sono apparsi sulla rivista tedesca «Zeitschrift der Gesellschaft
für Musiktheorie» alcuni autorevoli contributi: uno di Michael Polth, con una
recensione del libro di Haas [Polth 2006a], e un altro di Stefan Rohringer, che ha
applicato la nuova teoria all’analisi del Trio D. 898 di Schubert [Rohringer 2009].
Nel 2011 la stessa rivista ha dedicato a Simon un intero numero monografico, a
dimostrazione del fatto che in Germania si è ormai sviluppato un significativo

8. Per “varietà” di Riemann mi riferisco a spazi generalizzati, a curvatura costante o variabile, che non si
appoggiano alla nostra intuizione sensibile e che a livello locale risultano di tipo euclideo, mentre a livel-
lo globale non lo sono. Il dato interessante è la compresenza di aspetti globali e locali, distinti ma recipro-
camente determinati [Bartocci 2012, 97 seg.; Odifreddi 2011, 194]. Vale la pena richiamare questo concet-
to per via della sottile analogia che si può riscontrare con certi brani della tarda tonalità in cui, a livello
locale, si riscontrano procedimenti tonali di tipo tradizionale (secondo la nostra metafora, “euclidei”),
mentre a livello globale si richiedono differenti geometrie di organizzazione dei suoni.
9. Simon studiò a Budapest e divenne direttore dell’Orchestra di Stato. Nel 1962 fu chiamato a Londra da
Klemperer; dal 1965, e per diversi anni successivi, fu ospite ai corsi estivi di Darmstadt. Sempre nel 1965
divenne professore di Direzione d’Orchestra all’Accademia di Musica di Budapest. A partire dal 1980
insegnò per tre anni al Conservatorio di Parigi, ma già dalla seconda metà degli anni Ottanta si ritirò
dall’insegnamento per dedicarsi allo studio dell’opera di Bartók. Per una più ampia collocazione di Si-
mon nella tradizione teorica ungherese si rinvia all’articolo di Konstantin Bodamer [2011].

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interesse nei confronti di questo teorico.10 In mancanza di fonti primarie, è da


questi materiali che abbiamo attinto le informazioni necessarie alla realizzazione
di questo articolo, che intende contribuire alla diffusione in Italia di un pensiero
teorico e di potenzialità analitiche che meritano sicuramente maggior attenzione
da parte della comunità scientifica internazionale.
Il repertorio musicale nei confronti del quale la teoria di Simon può meglio
dispiegare le sue potenzialità analitiche è quello studiato da Haas nel suo libro,
da Schubert a Webern. In particolare, si può parlare di un primo periodo in cui la
Nuova Tonalità inizia a delinearsi come tonalità parallela rispetto a quella tradi-
zionale, e successivamente di un periodo “classico”, collocabile tra la metà
dell’Ottocento e le avanguardie storiche del Novecento, in cui la Nuova Tonalità
viene di fatto a sostituirsi a quella tradizionale.11 Si tratta di una tonalità non più
chiaramente basata su un centro tonale, o su una Ursatz, ma su una rete di rela-
zioni che Simon chiama “Campi di Note” [Tonfelder, d’ora in poi CdN], dove il
termine Campo sottolinea il principale elemento di novità rispetto alla tonalità
tradizionale. Un Campo – che non opera mai da solo, ma sempre insieme ad altri
Campi – non dipende da un centro, come ad esempio da una tonica, ma è un’e-
mergenza strutturale che “si attiva” in concomitanza con una determinata rete di
relazioni. Diversamente dalla vecchia tonalità, non implica punti salienti da cui si
irraggerebbe un’energia polarizzante; è piuttosto un’intera area, una regione, che
si connota per una sua particolare “piegatura”, ossia un particolare intreccio di
relazioni.12 Un Campo implica dunque più un’idea di area, di spazio, che non di
tempo o di flusso. Non si vuol dire che il flusso temporale venga cancellato: ve-
nendo meno il paradigma di un procedere teleologico, esso diventa tuttavia un
aspetto su cui il sistema non dice nulla. Una tonalità-CdN, infatti, non è orientata
verso un fine che si realizza lungo un arco tensivo, né si esprime in un movimento
che procede da uno stato di instabilità a uno stato di stabilità, dal momento che
un Campo si irraggia come una presenza diffusa e aggregante. Esso non riflette

10. Fra gli articoli della raccolta, quello di Bernhard Haas – Zu zwei Bartók-Analysen von Albert Simon [Haas
2011] – contiene gli estratti di due analisi scritte in tedesco dallo stesso Simon, risalenti ai primi anni
Ottanta e conservate dal 1985 presso la Paul Sacher Stiftung di Basilea. Si tratta delle analisi dei numeri
124 e 143 del Mikrokosmos di Bartók. Tali documenti non hanno un carattere compiuto: Haas dichiara di
essere intervenuto sul piano della lingua per sistemare un uso del tedesco non sempre corretto, e per in-
tegrare con note esplicative un testo che rimane talvolta oscuro. Gli stessi esempi non sono di Simon ma
di un suo studente, attualmente non ancora identificato. La medesima Fondazione conserva anche un
terzo documento originale, Die Eigentümlischkeiten der Bartóschen Musik anhand seines Werkes: Musik für
Seiteninstrumente, Schlagzeug und Celesta [Particolarità della musica di Bartók a partire dalla sua opera:
Musica per archi, celesta e percussioni].
11. Intorno al 1850, scrive Polth, alla tonalità tradizionale «era subentrato un nuovo sistema di relazioni to-
nali» [Polth 2006b, cit. in Rohringer 2009, 297].
12. «Un CdN si può considerare come un tipo di relazione musicale che si è istanziato in una particolare
composizione» [Polth 2011].

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un sistema fisico esposto a forze dinamiche ma vive unicamente delle proprie


relazioni che, in quanto tali, non soggiacciono a un ordine temporale, e neppure
a un “prima” e a un “dopo”. Questa è forse la proprietà che più differenzia questo
sistema dalla maggior parte delle altre teorie.13 Se un pezzo non è più la narrazio-
ne convenzionale di un percorso – con un inizio che “produce” la sua fine – l’ana-
lisi può focalizzare, e quindi valorizzare, altri momenti e altri dettagli rispetto a
quelli già noti.
Un altro aspetto importante, dal punto di vista teorico, è che i CdN non si ba-
sano né su teorie fisiche e naturaliste (come quelle legate al suono di Natura, agli
armonici, ecc.), né su fondamenti ideali o istanze numerologiche.14 In questa pro-
spettiva quella di Simon è una tipica teoria novecentesca, ormai disincantata ri-
spetto all’ipotesi di possibili fondamenti ultimi.
Ogni Campo si manifesta in una certa maniera, e in essa si esaurisce. Questo
aspetto va subito messo in chiaro per evitare fraintendimenti con altre teorie, si-
mili solo in apparenza. Un Campo non è una semplice collezione di note come
potrebbe essere ad esempio un insieme di classi di altezze (PC Set); non è un
materiale neutro e astratto, ma un’impronta formale percettivamente rilevante.
Non vi è una collezione di note a priori, che può assumere a posteriori varie for-
me; sono piuttosto le forme, che di volta in volta si enucleano come emergenze di
senso, ad attivare la presenza di un Campo.15 Un CdN è un ente fenomenologico,
strutturalmente connesso al suo modo di apparire, ossia alla sua articolazione. È
solo per comodità divulgativa che si definiscono le note presenti in uno specifico
Campo, perché ciò che è prioritario non è l’insieme di note, intese come materia-
le neutro originario, ma le forme del suo articolarsi.16 Il concetto di Campo, anzi,
esprime proprio una sostanziale indipendenza da ogni forma particolare di di-
stribuzione. Si può dire che l’articolazione sia il versante psicologico del CdN,
mentre le proprietà relazionali quello formale. Se ne conclude che, in sede anali-
tica, un CdN non implica la presenza di tutte le note che lo costituiscono, né che
queste siano tutte vicine fra loro. È sufficiente che vi sia “una tendenza” – come

13. Le teorie convenzionali (da Schenker a Schönberg, Hindemith, Lerdahl, Yavorskij) si basano per lo più
su un paradigma “omeostatico”, in base al quale l’esperienza del musicale si esprime essenzialmente attra-
verso condizioni di stabilità e instabilità, con relativi ordini dinamici di equilibrio.
14. Pensiamo, in tal senso, all’impianto teorico di Lendvai [1979], per molti aspetti dotato di significative
analogie con quello di Simon.
15. Haas sottolinea come un CdN diventi analiticamente pertinente «solo se lo si è sentito nella composi-
zione, e non quando lo si è staccato dal pezzo e lo si richiami in modo astratto» [2004, 82]. In termini più
formali, un CdN non preesiste come collezione astratta (di cui l’analisi dovrebbe verificare l’occorren-
za), ma viene “pro-vocato” – in senso fenomenologico – ossia “chiamato ad esistere” dai dettagli della
scrittura; ed è proprio questo l’aspetto che l’analisi dovrebbe essere in grado di chiarire.
16. Nell’analisi dei CdN «non si constata l’accadere degli eventi, ma si interpreta il loro apparire» [Polth
2011].

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scrive Haas – di un gruppo di note ad esprimere quel Campo, il che vuol dire una
tendenza «a suonare così» [2011, n. 78]. Quel certo colore, quel certo carattere
che si imprime in un complesso di suoni, è la testimonianza di un CdN al mo-
mento “attivo”.
Per tutte queste ragoni, la relazione con l’esperienza di ascolto assume un ruo-
lo assolutamente decisivo; e non è un caso che Haas, già nel titolo del suo libro,
faccia precedere l’attività di ascolto a quella dell’analisi come elemento qualifi-
cante della nuova teoria.17 Si tratta, tuttavia, di un cambio di prospettiva rispetto
al tradizionale “ascolto strutturale” di impronta schenkeriana: non solo per via
dei nuovi percorsi che si aprono, ma soprattutto per la qualità “pluricentrica” del-
le relazioni di cui si è chiamati a diventare sensibili. Mentre la tonalità-Ursatz ha
una natura convergente verso un centro, la tonalità-CdN è invece diffusiva e dal
carattere pluri-dimensionale. Per entrare nel vivo dell’esame di questa nuova
prospettiva teorica bisogna precisare innanzitutto che esistono tre tipi di CdN: la
Funzione, il Costrutto e la Serie di Quinte.

Funzione
La Funzione [Funktion] è un complesso di otto suoni costruiti disponendo, a
partire da uno di essi, una successione di 3e minori con le rispettive 5e. Partendo
da do si avrà do-sol, mi-si, fa-do, la-mi (vedi Esempio 1). Mettendo i suoni in
serie si ottiene la ben nota scala ottatonica, composta da una successione regolare
di toni e semitoni: nel nostro caso do, do, re, mi, fa, sol, la, si. Come si è già ac-
cennato, tuttavia, pensare che la scala ottatonica, o il set 8-28, “esprima” una Fun-
zione sarebbe fondamentalmente scorretto. Ciò che conta sono le possibili arti-
colazioni con cui quel complesso di note viene messo in gioco, diventando forma
fenomenica. Ad esempio, si può pensare a successioni di 5e poste a distanza di 3
min., ma anche a due settime diminuite a distanza di semitono; a successioni di
triadi maggiori o minori a distanza di 3a min.; a una combinazione di 7e (do-mi-
sol-si con re-fa-la-do); oppure a particolari collezioni di toni interi o
semitoni.

17. Il sottotitolo del libro, infatti, è “Ascoltare e analizzare la musica secondo Albert Simon”. Particolarmente
significativa è anche l’espressione usata da Haas, nell’Introduzione, per ricordare il Maestro: «Simon
ebbe la bontà di introdurmi al sistema d’ascolto da lui scoperto» (in das von ihm entdeckte System des
Hörens) [Haas 2004, 10].

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Es. 1. Funzioni.

Nella tipica disposizione per 5e, i primi suoni di ogni coppia sono le “note-
fondamentali” [Grundtöne, d’ora in poi note-F], mentre i secondi suoni della cop-
pia sono le “note-quinta” [Quinttöne, d’ora in poi note-Q ]. È una distinzione im-
portante, perché solo dalle note-F si ottengono le triadi maggiori o minori, e non
dalle note-Q. Altro aspetto di rilievo è che le note-F, con le relative triadi che
formano, sono poste tutte su un piano di equivalenza. Ad esempio, la triade di Do
Magg. o min. è equivalente a quella di Mi Magg. o min. oppure a quella di Fa o
di La, sempre maggiore o minore. Non è insomma il singolo accordo a costituire
un centro tonale ma l’intero Campo, dal momento che tutti i possibili aggregati
che ne fanno parte hanno il medesimo “peso”. Tutto questo contribuisce ad
espandere notevolmente la dimensione di un polo tonale rispetto alla tonalità
tradizionale.
Ma non è tutto: la scala ottatonica, infatti, è solo una sezione del totale dei do-
dici suoni. Com’è noto, si possono ottenere solo tre scale ottatoniche a distanza
di semitono, perché con un ulteriore scarto di semitono si verrebbero a ripetere le
medesime note. Queste tre collezioni sono viste da Simon secondo un ordina-
mento che ricorda le funzioni tradizionali, con una distanza di 5a l’una dall’altra.
Oltre alla Funzione costruita (ad esempio) su do, ve n’è un’altra una 5a sotto, su
fa, e una terza una 5a sopra, su sol (si veda l’Esempio 1; la posizione d’ottava è in-
differente): nell’insieme, queste Funzioni esauriscono tutte le possibilità. Va pre-
cisato, però, che parlare di do, sol e fa come elementi di base per la costruzione
delle scale è solo una scelta di comodo che ci avvicina all’universo tonale tradi-
zionale: si avrà dunque una Tonica (T), una Dominante una 5a sopra (D) e una
Sottodominante una 5a sotto (S), ma i significati che possiamo attribuire a queste
Funzioni sono completamente diversi rispetto alla loro accezione comune. Inol-
tre, data l’equivalenza di cui si è detto, se la triade di Do è una Tonica, lo saranno
anche quelle poste a distanza di terza minore, come ad esempio Fa minore. In
questa prospettiva, il passo che porta alla Ripresa del primo movimento dell’op.
24 di Beethoven che abbiamo citato all’inizio di questo articolo – dove la domi-
nante di Re min. si aggancia direttamente al I di Fa Magg. – può essere interpre-
tato in un’ottica che valorizza la successione in sé (come D-T) e non richiede in-

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termediazioni, poiché la dominante tradizionale di Fa (do-mi-sol) è equivalente a


quella di Re (la-do-mi).
Si crea dunque un fitto intreccio di ruoli tra le tre Funzioni, con un duplice
vantaggio: da un lato il Campo Funzione si avvicina alle relazioni tradizionali,
con la possibilità di interfacciare la tonalità dei CdN con i brani ancora impostati
in base alla sintassi convenzionale (ma disponendo di un raggio d’azione molto
più ampio); dall’altro si incrementa il gioco delle relazioni. In ogni caso, non vi è
più un centro unico da cui misurare una catena di distanze: una stringa di armo-
nie non deve convergere su T; la D non ha una posizione privilegiata nei confron-
ti di T e non ne è attratta, ma è semplicemente un’altra Funzione. Rimane poi la
distinzione, già presente nella tonalità tradizionale, tra i rapporti di 5a inferiore
– come quello da T ad S, o da D a T – chiamati “autentici”, che veicolano un senso
di energia, e quelli di 5a superiore – come quello da T a D, o da S a T – detti “pla-
gali”, che suggeriscono un ritrarsi, un regredire [Haas 2004, 15-16].
Le Funzioni determinano così un sistema di relazioni tonali che non richiede
altre precisazioni sulla morfologia intervallare delle scale ottatoniche, come
quelle avanzate da vari teorici che distinguono le collezioni che iniziano con un
semitono da quelle che iniziano con un tono. Non c’è dubbio che il particolare
tipo di ordinamento abbia dei riflessi sulla possibilità di generare diversi com-
plessi armonici, ma spesso ciò si risolve in una pura classificazione, senza che una
prospettiva funzionale integri le varie collezioni in un sistema più articolato. A
differenza di quanto avviene invece nella teoria di Simon, in cui la successione
do/do, piuttosto che do/re, esprime la presenza di due Funzioni distinte (ad
esempio T ed S), a loro volta collegabili con altri CdN.18
L’aspetto multidimensionale della tonalità-CdN, con riferimento alla Funzio-
ne, richiede tuttavia un’ulteriore precisazione. Ogni nota appartiene sempre a
due Funzioni differenti, dal momento che esse sono legate fra loro da rapporti di
5a. Le note-F di T sono note-Q di S, le note-F di S sono note-Q di D, e così via.
Ciò crea un’indeterminatezza strutturale che ben si presta a interpretare certa
musica del secondo Ottocento, in cui sarà l’analisi della situazione concreta a far

18. Tra i diversi teorici che hanno studiato le strutture ottatoniche ricordiamo Berger [1963], van den Toorn
[1983], Straus [1990] e Taruskin [1996]. Allen Forte ha osservato che la preoccupazione degli analisti si
esaurisce spesso nel rilevamento di particolari strutture – triade aumentata, diminuita, ecc. – senza però
collegare tali rilievi di superficie ai livelli più profondi [Forte 1987, 211]. Applicando la sua Set Theory al-
l’“idioma sperimentale” di Liszt (come lui lo chiama), egli riesce invece a trovare relazioni di indubbio
interesse anche su larga scala (come varie catene di inclusioni in diversi sovrainsiemi a partire dai set 3-10
e 3-12). Va però detto che il suo sistema è incapace di “vedere” i rapporti tra collezioni del medesimo set
come invece accade, ad esempio, tra una T e una D nelle Funzioni di Simon. Ne deriva un appiattimento
che può essere penalizzante proprio laddove il contesto musicale, nel tardo romanticismo, presenta
un’alta densità di informazioni ed esige, di conseguenza, che lo strumento analitico sappia farsi interpre-
te delle più sottili sfumature.

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propendere per l’una o l’altra Funzione.19 La poliedricità deriva anche dal fatto
che le quattro note-F costituiscono gli angoli (equivalenti) di un ipotetico qua-
drilatero. Le quattro dimensioni possono anche essere “orientate” come avviene
in certe musiche dell’Ottocento, in cui vi è ancora il primato di una tonica e i due
sistemi convivono. In questo caso, rispetto al suono principale (poniamo il do),
se ne creano due laterali, oppure uno sopra e uno sotto, (mi e la), più un terzo che
risulta “dietro” (fa) [Haas 2004, 14]. Ma ben presto queste categorie saranno
destinate a scomparire per lasciar spazio a un mondo a più dimensioni (o, forse,
senza alcuna dimensione) in cui ci si muove «all’indietro, di fianco, in avanti, da
tutti i lati».20 Si crea così uno spazio nuovo, assai più denso in termini di relazioni;
uno spazio che ha assorbito in sé, piegandola, anche la dimensione temporale.21

Costrutto
Una seconda categoria di CdN è il Costrutto [Konstrukt] che, nella sua forma
scalare, si compone di sei suoni disposti secondo un ordinamento di semitono
più terza minore – ad esempio do, do, mi, fa, sol, la – con tre possibilità di traspo-
sizione, per un totale di quattro forme. Una delle sue caratteristiche è la mancan-
za del tono intero e del tritono. Possiamo ottenere un Costrutto anche pensando
a tre note poste a distanza di 3a Magg. con le rispettive 5e, come do-sol, fa-do,

19. Un esempio di questa situazione si trova nell’analisi, attribuita a Simon, del n. 143 del Mikrokosmos di
Bartók [Haas 2011]. Le Funzioni, scrive Haas, «hanno la forza scivolosa dell’ambivalenza» [die gleitende
Kraft des Umdeutens] perché «ogni suono può anche far parte di altro» [2004, 32]. Nella descrizione,
peraltro assai elegante, che Lerdahl fa dello spazio ottatonico, manca invece una differenziazione (intra-
regionale) analoga a quella tra note-F e note-Q [Lerdahl 2001, 252 seg.]. Inoltre, l’ambiguità che egli
sottolinea si rivolge tutta sul versante di un possibile grado di “tonicità” di questi spazi, trascurando però
quella particolare ambiguità che si instaura tra le regioni (la “scivolosità” di Haas). La stessa misurazione
delle distanze fra le regioni, basandosi sui medesimi criteri con cui si misurano gli spazi tonali tradizio-
nali, sembra non poter cogliere una specificità che è nell’ordine qualitativo più che quantitativo.
20. Descrivendo un analogo materiale di tipo simmetrico, Lendvai scrive che «concetti come “sopra” e “sot-
to” diventano quasi privi di significato» [1979, 75]. La perdita del centro è un fenomeno che, sul finire del
periodo di cui ci stiamo occupando, riguarda tutte le arti. Per Hans Sedlmayr «tanto nell’architettura
quanto nella pittura si nota, nella sorprendente comparsa di forme capovolgibili, la tendenza a eliminare
la differenza fra “sopra” e “sotto”» [1983, 82]. Il proliferare di prospettive annulla di fatto un orientamento
spaziale, tanto che Schönberg può dire del suo nuovo sistema: «non v’è, in assoluto, sopra o sotto, destra
o sinistra, avanti o dietro» [1975, 115]. A sua volta Nietzsche si fa portavoce di una perdita di respiro
epocale (che a noi ricorda la morte della tonalità monocentrica): «Che mai facemmo a sciogliere questa
terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli?
Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un
alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?» [Nietzsche 1967, aforisma
125]. Queste testimonianze rendono assai discutibile lo strenuo tentativo di difendere una visione mo-
nocentrica della struttura tonale.
21. Lerdahl rileva una singolare coincidenza tra un certo uso dello spazio tonale usato da Wagner nel Parsifal
– ad esempio il ciclo delle 3e minori – e la frase di Gurnemanz “Vedi, figlio mio, qui il tempo diventa
spazio” (Du sieh’st mein Sohn, zum Raum wird hier die Zeit) [Lerdhal 2001, 137].

– 34 –
I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

la-mi; oppure, in alternativa, a una triade maggiore e una triade minore a distan-
za di 3a Magg. inferiore, come Fa Magg. e Do min. Altra forma di articolazione
del Costrutto è la coppia di triadi eccedenti a distanza di semitono, di 3m o di 5a
(ad esempio, do-fa-la e do-mi-sol).
Componendosi di soli sei suoni, il Costrutto tende a completarsi con il suo
complementare fino a formare un totale di dodici suoni. Indicando con Ia la col-
lezione do, do, mi, fa, sol, la, il suo completamento Ib sarà composto dalle note
re, mi, fa, sol, la, si. Il fatto di completare il totale cromatico, tuttava, non impli-
ca che le due collezioni rendano disponibili tutte le triadi. Un Costrutto può in-
fatti dar luogo solo a tre triadi (maggiori o minori), e con il suo complementare si
giunge a sei. Per arrivare a tutte le dodici triadi occorre una seconda, differente
coppia di Costrutti, denominati IIa e IIb. L’Esempio 2 mostra le due coppie di
Costrutti sia in forma scalare che nella disposizione per 5e.

Es. 2. Costrutti.

Il Costrutto è un Campo dal forte impatto percettivo. Il suo stesso nome sug-
gerisce l’idea che i suoni siano tenuti insieme, co-stretti l’uno con l’altro, forman-
do aggregati che difficilmente si troverebbero vicini in un contesto tradizionale.22
In ciò si contrappone alla Funzione, che è invece il Campo che più si avvicina al
gioco delle relazioni tonali.
Polth parla esplicitamente di “effetto di Costrutto” [Konstruktwirkung] per
sottolineare le sue qualità particolari. Anche Robert Cohn – che, da una prospet-
tiva neo-riemanniana, chiama tali relazioni Sistemi Esatonici [1996, 18] – ha pun-
tato l’attenzione sul loro “potere significante”.23 Questo è uno degli aspetti di
maggiore vicinanza con la teoria di Simon anche se, ad uno sguardo più attento,
22. In Schenker si trovano pochi esempi di questa struttura e comunque, laddove è presente, viene interpre-
tata come una tripla appoggiatura [1979, Fig. 100-2a; Haas 2004, 31].
23. Cohn dichiara di voler esplorare «le proprietà sintattiche che provocano il potere significante dei poli
esatonici», laddove la sintassi diventa l’agente primitivo e il “potere significante” l’agente secondario
[2004, 288]. Egli applica in modo particolarmente interessante la sua teoria all’analisi della Sonata D. 960
di Schubert. La pregnanza “perturbante” (Unheimlich) della relazione tra una triade maggiore e una mi-
nore, posta una 3a Magg. sotto, è stata rilevata anche da Lendvai, che evidenzia in essa la presenza di un
simbolismo legato all’immagine della morte e del sangue nella musica di Bartók [1979, 83].

– 35 –
Antonio Grande

si tratta di un accostamento solo di superficie. Il Sistema Esatonico di Cohn è il


risultato (a posteriori) di proprietà formali capaci di generare passaggi partico-
larmente morbidi tra le triadi in oggetto, con opportune operazioni trasformati-
ve. In Simon, al contrario, il Costrutto è un evento originario e di natura fenome-
nologica: è il suo effetto coloristico a determinare un’emergenza di senso che si
coagula (teoreticamente, e a posteriori) in una struttura di note, e non viceversa.
Inoltre in Cohn gli accordi sono dei dati di fatto, mentre in Simon sono delle
semplici occorrenze attraverso le quali il Costrutto può articolarsi.24
Benché il Costrutto si associ alla musica del secondo Ottocento, si possono
riscontrare alcuni esempi già in repertori precedenti.25 Tuttavia, se nella musica
più tarda sono possibili manifestazioni dirette di certe sequenze accordali che
seguono la logica di un CdN, in epoche precedenti (ad esempio in Schubert) tali
accostamenti risultano di norma mediati da pratiche armoniche più convenzio-
nali [Nowak 2011]. Ne risulta una particolare intersezione tra due criteri costrut-
tivi: quello della sintassi tonale e quello dei CdN, in un progressivo propendere
verso quest’ultimo. Nella tonalità tradizionale la struttura del Costrutto sarebbe
interpretata come una successione di elementi di superficie che prolungano un
accordo strutturalmente più importante. Nella tonalità di Simon, invece, non si
estende un accordo ma si dispiega un Campo, ossia una rete polidimensionale di
aggregati. E ciò può accadere non solo in superficie, ma anche a livello medio e
profondo.
Il problema analitico nasce dal fatto che un certo evento, o anche un intero
passaggio, possono continuare a essere inquadrati secondo le categorie tradizio-
nali conservando una loro coerenza. Ciò che è in gioco, però, è la legittimità di
tale operazione e i risultati che ne conseguono. Talvolta è necessario sentire in
termini diversi una certa situazione armonica, evitando i condizionamenti pre-
giudiziali di un inquadramento tradizionale.
Come ha scritto Patrick McCreless in riferimento a certa musica dell’Ottocen-
to, si tratta di attuare un ribaltamento, ossia di «esperire il diatonismo come un
sottoinsieme dell’universo spaziale cromatico, piuttosto che il cromatismo come

24. Tra gli elementi di contatto, ricordiamo che Cohn si propone di: a) non posizionare gli accordi rispetto
ad un centro tonale; b) applicare una concezione “reticolare”, più che gerarchica, di relazioni armoniche.
Nella sua analisi della Sonata D. 960/I di Schubert, inoltre, egli tratta i cicli esatonici (che chiama regioni,
e che per noi sarebbero dei Costrutti) come funzioni, avvicinandosi molto all’approccio di Simon. Tut-
tavia, scrive Rohringer, «già la circostanza che Cohn non possa far corrispondere nulla al Costrutto IIa
– una quarta funzione non esiste – pone degli interrogativi sulla fondatezza del suo sistema» [Rohringer
2009, n. 48]. In effetti Cohn sorvola sulla questione, scrivendo che «per i nostri scopi, la quarta regione
può rimanere senza nome» [2012, 219].
25. In Beethoven troviamo un “ciclo” completo nell’op. 24/II, tra le bb. 37 e 54. Un altro esempio assai famo-
so, nell’op. 57 (bb. 67-87), viene interpretato in senso schenkeriano come espansione di un accordo da
Aldwell e Schachter [2003, 611-612] .

– 36 –
I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

un’inflessione di quello diatonico» [1996, 102]. Evidente è l’allusione a un model-


lo di pensiero di matrice schenkeriana che può “piegare” e modificare, come ogni
sistema di osservazione, l’oggetto della nostra analisi. Infatti, continua McCre-
less, «laddove Schenker razionalizza i procedimenti dello spazio cromatico mo-
strando come essi funzionano in termini di prolungamento diatonico, la teoria
musicale del tardo Ottocento deve razionalizzare il prolungamento diatonico,
mostrando come esso si adatti entro ampi contesti di spazio cromatico» [1996,
103].
Dal nostro punto di vista, è sufficiente sostituire il vago (perché troppo inclu-
sivo) concetto di spazio cromatico con quei particolari spazi che sono i CdN per
ottenere una conferma alle nostre tesi. Alcuni brani del repertorio ottocentesco,
tuttavia, sembrano respingere del tutto un inquadramento convenzionale. Pen-
siamo al Preludio op. 28 n. 9 di Chopin dove non è possibile rinvenire, in profon-
dità, una dominante strutturale, a meno di non forzare in tal senso il debole ac-
cordo di V grado della penultima battuta. Dopo il Mi Magg. iniziale, su cui
avviene la prima articolazione fraseologica (sul battere della misura 5), il percor-
so tonale si snoda per altre quattro battute fino a toccare la forte cadenza in La di
b. 9. Nell’ambito del percorso, tuttavia, un’altra cadenza assume un giusto rilievo,
quella sul Do di b. 6. L’intera distanza da Mi a Mi risulta così suddivisa in nodi a
distanza di 3a Magg. (cfr. Esempio 3a), e ciò è confermato dal fatto che ciascuno
di essi è anche il punto di arrivo di altrettanti segmenti melodici (al canto), varia-
mente distribuiti (cfr. Esempio 3b).

Es. 3. F. Chopin, Preludio op. 28 n. 9, riduzioni analitiche.

In questo pezzo si assiste, insomma, al dispiegarsi in profondità di un Costrut-


to, anche se in superficie (e almeno nella prima parte) le successioni armoniche
sono ancora di tipo tradizionale.26 È proprio a partire da pezzi come questo che si

26. Nel suo ultimo libro Cohn discute, tra l’altro, le difficoltà teoriche legate alla presunta presenza di una
“doppia sintassi”. La questione – che storicamente si riferisce, per lo più, alla coppia diatonico/cromatico
o tonale/atonale, ma può riguardare anche il nostro caso – si articola lungo due direttrici: un’obiezione
di tipo ontologico e una cognitiva. La prima si interroga sulla possibilità che un opera di alto valore este-
tico possa mancare di unità organica distribuendosi su due sintassi; la seconda è invece scettica sulla

– 37 –
Antonio Grande

rende necessario un cambio di rotta nell’analisi come anche nell’ascolto, a co-


minciare dalle premesse su cui si basa.

Serie di Quinte
La possibilità di superare certe qualità “rigide” degli oggetti teorici tradiziona-
li – gli accordi, le cadenze, ecc. – è messo bene in luce dal terzo tipo di CdN, la
Serie di Quinte [Quintenreihe, d’ora in poi Sd5], basato sulla semplice seriazione
di quinte a partire da una nota qualunque. Perché abbia senso, o possa risultare
di una qualche utilità, il numero di suoni in questo CdN può variare da tre a no-
ve.27 Il più piccolo è il Tritono [Triton] – ad esempio do, sol, re –, il più grande
l’Enneatono [Enneaton] che, con i suoi nove suoni, contiene anche la 4a dimi-
nuita e la 5a eccedente. Anche in questo caso vi possono essere forme di articola-
zione differenti che fanno apparire il Campo in modi diversi: un Esatono [Exa-
ton], ad esempio, oltre che in forma scalare può mostrarsi come combinazione di
una triade maggiore e una triade minore posta un tono sopra.
Nella musica del secondo Ottocento e del primo Novecento accade spesso che
i suoni si raggruppino in insiemi da cogliere nel loro complesso, come una parti-
colare selezione di materiale, piuttosto che nella forma di oggetti (armonici) ben
definiti e separati da una rigorosa distinzione tra note dell’armonia e note estra-
nee. In un ambiente di questo genere gli accordi “svaporano” in un’area più estesa
che li avvolge. Polth discute con grande efficacia il concetto, mostrando la figura
di accompagnamento con cui si apre l’Impromptu n. 3 op. 34 di Fauré (cfr. Esem-
pio 4). Ascoltando quell’inizio, scrive Polth, non si può dire «se si tratta di due
accordi differenti (La Magg. e Si min.) o di un accordo di La Magg. con tre
note di volta. Il raggruppamento di note in un singolo aggregato instabile è senza
dubbio il risultato di un’intenzione estetica. Pertanto, se si cerca di “disambigua-
re” i sedicesimi in un senso o nell’altro (e dunque di differenziare un primo accor-
do da un secondo, o di distinguere fra note reali e note estranee all’armonia),
questo inizio perde il suo singolare fascino» [Polth 2006a]. Ciò che si coglie all’a-
scolto è piuttosto l’agire di un Campo, all’interno del quale l’insieme dei suoni
acquista quel particolare senso. Tale Campo è per Simon una Sd5 e precisamente
un Esatono, che viene denotato indicando il primo e l’ultimo dei suoi suoni, in
queto caso re/do (ossia re, la, mi, si, fa, do).

possibilità che la cognizione umana possa saltare facilmente da una sintassi all’altra [Cohn 2012,
199-201].
27. In tal senso la Sd5 ha una flessibilità intrinseca in quanto, diversamente dagli altri due tipi di Campi, non
ha un numero standard di note, e dunque nemmeno una completezza. Per una discussione teorica sui
limiti di estensione dei CdN si rimanda all’articolo di Dres Schiltknecht [2011].

– 38 –
I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

Es. 4. G. Fauré, Impromptu n. 3 op. 34, bb. 1-8.

È ben noto, d’altra parte, come alcuni repertori (pensiamo a Debussy) si pos-
sono pensare più efficacemente secondo una prospettiva scalare piuttosto che
armonica. In tal senso, le scale intese come contenitori di possibilità sonore sono
il risultato di modalità stilistiche di fine Ottocento e inizi Novecento poi conflu-
ite in pratiche assai consolidate, prime fra tutte il jazz.28 Il motto dell’improvvisa-
tore, «ricorda di pensare alla scala, non all’accordo » [Levine 1995, 127], riassume
bene l’idea di una struttura primitiva e generativa di senso che non è solo il luogo
delle note possibili, ma anche quello dei colori e delle particolari “pieghe” del
materiale che verranno a riflettersi anche nella dimensione verticale.
Rispetto alle tradizionali scale, tuttavia, le Sd5 hanno una flessibilità maggiore,
dal momento che possono generare aggregati di dimensioni sia inferiori a sette
suoni – dal Tritono all’Esatono – che superiori.29 La prospettiva tradizionale
guarda alla scala come a una riserva di materiale che si attualizza in varie forme,
privilegiando un livello di superficie: perché abbia senso deve essere completa,
quanto basta per essere riconoscibile. Le varie forme di Sd5 – soprattutto quelle
più riconducibili alle scale tradizionali come l’Esatono, l’Ettatono e l’Otta-
28. Tymoczko distingue tra brani con priorità di accordi e quelli con priorità di scale. A seconda dei casi,
ciascuna dimensione viene a dipendere dall’altra [2011, 308 seg.].
29. Polth ammette anche la possibilità di far rientrare in questo Campo, tramite opportune alterazioni, altri
aggregati della musica di tradizione tonale in cui si riconosce la presenza della scala minore armonica.
Prendiamo l’Esatono fa/mi, cioè fa, do, sol, re, la, mi. Alterando i suoni estremi della serie in senso
ascendente e discendente, le quinte giuste diventeranno diminuite, ossia fa, do, sol, re, la, mi, determi-
nando l’Esatono armonico rispetto a Sol min. Se aggiungiamo una quinta sopra (si) oppure una quinta
sopra e una sotto (si e si) si ottengono rispettivamente l’Ettatono armonico rispetto a Sol Magg. e
l’Ottatono armonico rispetto a Sol min. [Polth 2011].

– 39 –
Antonio Grande

tono – sono invece formazioni indipendenti e originarie, ossia né difettive né


estensive. Un Ottatono, ad esempio – come può essere si/si – comporta una
scala maggiore arricchita con il IV grado alzato che però non è l’alterazione di
una nota reale, ma una parte costitutiva della struttura. Sulle piccole dimensioni,
invece, una Sd5 fornisce degli aggregati (come il Tritono o il Tetratono) do-
tati di una coerenza strutturale che amplia il repertorio di possibilità implicito
nella tradizionale armonia per terze.30

2. Una rete di relazioni


Si è visto come i CdN siano aggregazioni che uniscono una componente percet-
tiva (un “certo modo” di suonare) ed una di tipo relazionale. Poiché l’analisi do-
vrà puntare a cogliere l’intero sistema di relazioni, si richiede uno sguardo che
non si fermi alla superficie, ma sappia cogliere anche legami a distanza. L’approc-
cio analitico si articola dunque per strati, come nelle tecniche tradizionali, ma
con una logica differente: i riferimenti non sono più degli oggetti solidi e ben
delineati, ma collezioni che nascono da possibilità relazionali di volta in volta
emergenti in uno spazio ormai trasformato. Cadono così i concetti tradizionali di
voce, di accordo e di modulazione.31
Quanto alle voci, pensiamo ad esempio all’universo schenkeriano, che com-
porta una planimetria verticale (accordi) e orizzontale (linee, Zuge) in cui le voci
incarnano flussi lineari rigidi che provengono “da” – e si dirigono “verso” – preci-
si obiettivi tonali; gli eventi sono consequenziali, in quanto orientati verso un
preciso nodo sintattico (per scendere da mi a do si passa da re). Nella geometria
dei CdN, invece, le note di un medesimo Campo possono provenire da linee
(contrappuntistiche) anche differenti, mentre la logica del loro apparire risponde
solo al gioco delle figure di quel contesto, e non al completamento di un percorso
(in altre parole, il sistema non è teleologico); lo stesso avviene per gli accordi.
Consideriamo ad esempio il celebre passaggio dal Tristan und Isolde di Wagner
(cfr. Esempio 5) nella lettura che ne dà Polth [2006a]. Nell’ambito della teoria
tradizionale – dove gli accordi sono oggetti rigidi e definiti – ci si domanda se il
sol sia da intendere come appoggiatura di la (quest’ultima nota reale) e il la di si,
o se invece il la sia una nota di passaggio verso l’armonia successiva; in entrambi
i casi si vengono a determinare armonie differenti.
30. Un interessante uso analitico del Tritono si ritrova nell’analisi di Haas dell’op. 19 n. 6 di Schönberg
[Haas 2004, 37-41].
31. Potremmo dire, con Foucault, che il problema non consiste nella ricerca dell’unicità e della persistenza
di un oggetto – nel nostro caso l’accordo o le voci – ma nell’individuazione «dello spazio in cui si profi-
lano e continuamente si trasformano diversi oggetti» [1999, 45]. È questo lo spazio della Nuova Tonalità
di Simon.

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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

Es. 5. R. Wagner, Tristan und Isolde, Atto I, bb. 1-2.

Optare per l’una o per l’altra soluzione, tuttavia, secondo Polth significa non
comprendere che l’ambiguità è parte integrante dello stile del Tristan. Nell’uni-
verso dei CdN la differenza tra note reali e note estranee è abolita: sol e la, come
pure la e si, fanno parte del medesimo Campo Funzione (S e D rispettivamente).
Questo non comporta un appiattimento, perché la teoria è ancora in grado di
differenziare i due suoni (sol e la), ma lo fa a modo suo: il sol è nota-F, il la nota-
Q di un medesimo Campo Funzione. In sostanza, osserva Polth, i CdN hanno
una contiguità con le funzioni tradizionali ma le superano in completezza ed
estensione; impedendo, al contempo, che vi siano demarcazioni troppo definite
[2006a, 173].
L’aspetto più rilevante – non solo da un punto di vista analitico, ma anche epi-
stemologico – è la particolare vocazione dei Campi a relazionarsi fra loro; da que-
sto punto di vista si riscontrano differenze notevoli rispetto a teorie che pure si
sono occupate di spazi tonali alternativi. In Lerdahl, ad esempio, l’innegabile
carattere tassonomico del suo impianto si traduce in una prospettiva che di fatto
sottolinea la distanza, piuttosto che la relazione. Il suo concetto di iper-modula-
zione, con cui indica il passaggio da uno spazio ad un altro (ad esempio dall’esa-
tonico al diatonico), si declina essenzialmente attraverso una descrizione dei cri-
teri che misurano le “distanze” a cui sarebbe sottoposto l’ascoltatore [2001, 280
seg.]. Nella teoria di Simon non troviamo un concetto come la modulazione, per-
ché – proprio in funzione della specificità dei materiali di cui tratta (la simmetria
interna, ad esempio) – prevale un approccio orientato alla relazione fra i Campi e
alle possibilità con cui si possono intersecare. La cognizione, in Lerdahl, si gioca
sullo scarto tra differenze, mentre invece in Simon è la sfida di un possibile incon-
tro. Il paradigma psicologico del primo è nell’ordine delle quantità, quello del
secondo nell’ordine delle qualità. In senso epistemologico, si può concludere che
Lerdahl si confronta con un concetto, la modulazione, che resta immutato anche
– 41 –
Antonio Grande

a fronte di un cambio cruciale di prospettiva.32 I concetti, tuttavia, nascono e


muoiono in funzione delle condizioni d’esistenza a cui sono legati, e non soprav-
vivono a quelle stesse condizioni.33
Anche l’ascolto, come categoria, dovrebbe essere rimesso in gioco, dal mo-
mento che in questa esperienza si depositano abitudini di pensiero che devono
essere di volta in volta inquadrate nelle loro specifiche “condizioni d’esistenza”.
Carol Krumhansl discute, ad esempio, le segmentazioni della scala ottatonica
proposte da van der Toorn in relazione alla musica di Stravinskij; tali segmenta-
zioni puntano ad evidenziare l’emergere di certi suoni, e quindi una gerarchia di
priorità, in linea con i ben noti esperimenti condotti dalla studiosa col metodo
del probe tone [1990, 238]. Tuttavia la ricerca scientifica sembra preoccupata so-
prattutto di convalidare, attraverso l’esperimento, le premesse paradigmatiche
che rappresentano il “suo” statuto e il “suo” fondamento: in questo caso, l’ipotesi
di una struttura monodimensionale e gerarchica.34 Il nocciolo della questione do-
vrebbe invece essere un altro: e cioè la possibilità di ascoltare i materiali simme-
trici in modo diverso, cogliendo altre relazioni e sottraendosi ad ipotesi pregiudi-
zialmente monocentriche.35
Si è già detto che il Costrutto, essendo formato solo da sei suoni su dodici,
chiama a sé il suo complementare: il Ia chiama il Ib, il IIa chiama il IIb. Analoga-
mente, anche le Sd5 puntano al completamento dei dodici suoni: l’Esatono con
un altro Esatono, il Pentatono con l’Ettatono, e così via. Un’altra interse-
zione interessante è quella che si verifica tra la Funzione e il Costrutto: nell’E-

32. Rosen ha scritto pagine illuminanti sulla trasformazione della modulazione nel passaggio dall’età classi-
ca a quella romantica. I compositori nati intorno al 1810 «riconcepirono la modulazione non come cre-
azione di un polo opposto, bensì nella forma di una coloritura cromatica della tonica iniziale» [2005,
287]. Questo fenomeno si verifica perché viene a cadere una gerarchia di tipo “rigido” delle relazioni
diatoniche, «barattata con una nuova concezione del continuum cromatico secondo la quale accordi di
abbagliante varietà potevano vicendevolmente mescolarsi in un caleidoscopico, reciproco scambio di
energia. Non solo ciò offrì inedite possibilità armoniche, ma anche un’inedita e molto più fluida conce-
zione del ritmo e del tempo» [ibid., 295].
33. Anche Messiaen parla di modulazione di “un modo verso se stesso” e di “un modo verso un altro modo”,
ma non fornisce indicazioni più precise sul significato di questa operazione [Messiaen 1999, 96 seg.].
34. Deleuze e Guattari affiancano le strutture rizomatiche a quella dell’albero-radice [2006]. L’albero, come
modello gerarchico, ha dominato l’Occidente, e con esso il metodo scientifico. Ma il pensiero non è ar-
borescente, e il cervello è piuttosto una molteplicità che si apre «ad un sistema probabilistico incerto»
[ibid., 50]. La non-struttura rizomatica ben si adatta ai nostri spazi simmetrici senza alto e basso, con le
loro possibilità di connessione: «un rizoma non inizia e non finisce, è sempre nel mezzo» [ibid., 62].
35. In merito alle nostre facoltà cognitive, il fatto che la teoria possa farsi interprete di ipotesi convenzionali,
contribuendo ad avallarle, è un problema epistemologico da non trascurare; queste ipotesi perderebbero
infatti il loro abito oggettivo, per diventare strumento del “discorso” scientifico (in senso foucaultiano).
In tal senso pensiamo di dover cogliere l’annotazione di Tymoczko, secondo cui il basic space di Lerdahl
«ci spinge a una comprensione relativamente tradizionale della relazione tra scala, macroarmonia, cen-
tricità» [2011, 425].

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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

sempio 6 la Funzione do/mi/fa/la e il Costrutto IIa, intersecandosi, producono


l’accordo Do Magg./min.36

Es. 6. Intersezione tra Funzione e Costrutto.

Un altro caso di intersezione particolarmente significativo è l’incontro tra un


Ottatono e una Funzione, entrambi di otto suoni, aventi sei suoni in comune e
due suoni diversi posti a distanza di semitono tra loro. Ad esempio, nell’interse-
zione tra l’Ottatono fa/fa e la Funzione fa/la/si/re, il sol e il mi del primo
Campo salgono e scendono rispettivamente di un semitono per portarsi su la-
mi del secondo, come viene illustrato nell’Esempio 7 (le note nere sono quelle
che si trasformano).

Es. 7. Relazioni tra Ottatono fa/fa e Funzione fa/la/si/re.

Anche tra Esatono e Costrutto si determina una relazione di grande interes-


se: in particolare, da ogni Costrutto si possono ricavare tre Esatoni scegliendo,
di volta in volta, una 5a del Costrutto e trasformandola in una 4a (con uno sposta-
mento di semitono rispettivamente sopra e sotto). Ovviamente questa relazione
può essere interpretata anche in modo inverso. Come viene mostrato nell’Esem-

36. Si riconoscerà, da questa intersezione, l’emergere di un aggregato Magg./min. assai frequente nella mu-
sica di Bartók e studiato da Lendvai [1979, 40].

– 43 –
Antonio Grande

pio 8, infatti, tra l’Esatono fa/mi e il Costrutto Ia, la 5a dell’Esatono diventa 4a


nel secondo, con uno slittamento di semitono di entrambe le note.

Es. 8. Relazioni tra Esatono fa/mi e Costrutto Ia.

3. Applicazioni analitiche
Uno degli compiti più delicati di cui oggi l’analisi musicale dovrebbe farsi carico,
è quello di chiarire i rapporti tra i due universi della tonalità-Ursatz e della tona-
lità-CdN. Entrambi i sistemi, scrive Haas, «mostrano di coesistere nella medesi-
ma opera in modo ancora inesplorato» [2004, 10, n. 2]. La questione investe nel
profondo la dimensione epistemologica della disciplina, che deve interrogarsi
sulla legittimità di integrare fra loro differenti prospettive. La tonalità dei CdN,
delineandosi in una prima fase all’interno della tonalità tradizionale, si serve dei
suoi dispositivi declinandoli però secondo un differente orientamento. Ad esem-
pio, i CdN nascono a ridosso del procedere delle voci, ma il concetto di voce non
fa parte, in sé, del mondo dei CdN: serve allora una giusta messa in prospettiva
dei due diversi programmi.

Brahms, op. 76 n. 7
Un caso caratteristico studiato da Polth, che mostra l’insediarsi di tipiche ma-
nifestazioni di CdN all’interno di una struttura saldamente tonale, è l’op. 76 n. 7
di Brahms: nella fattispecie, emerge il Costrutto Ia (cfr. Esempio 2) suddiviso in
due momenti nel pezzo, uno iniziale alle b. 7-9 e uno finale, alle b. 36-37. Sebbene
il Costrutto sia poco compatibile con la tonalità convenzionale, in questo pezzo i
due universi sembrano convivere efficacemente.
Il Costrutto Ia si compone delle quinte la-mi/do-sol/fa-do, dove la prima
quinta ha un ruolo preponderante, dal momento che il pezzo è in La min. (in
senso tradizionale). A livello profondo, fa notare Polth, tale quinta si unisce di
volta in volta alla quinta fa-do nella fase iniziale, e alla quinta do-sol in quella
finale. A livello medio, a questi quattro suoni se ne unisce un quinto, realizzando
forme incomplete (di 5 suoni) dell’unico Costrutto che caratterizza il pezzo. Alla
coppia la-mi/fa-do si abbina il sol, alla coppia la-mi/do-sol il do naturale. È inte-
ressante notare come il Costrutto, a b. 13, emerga in modo del tutto autonomo

– 44 –
I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

rispetto a un contesto dalle caratteristiche essenzialmente lineari (vedi Esempio


9). Il fa del basso procede di semitono lungo la linea mi-fa-fa-sol, e il sol e il re
sono altrettanti eventi lineari, rispettivamente verso il la (al contralto) e il mi (al
soprano). Anche alle bb. 36b/37 gli accordi sul secondo ottavo sono inseriti all’in-
terno di percorsi lineari (il do procede verso re e il si verso il do).

Es. 9. J. Brahms, Intermezzo op. 76 n. 7, bb. 12-14.

Volendo valutare la situazione in un’ottica diversa, dobbiamo pensare che il


Costrutto è un principio di aggregazione dei suoni che trascende le voci tradizio-
nali presentandosi, prima di tutto, come impatto percettivo: ed è proprio questa
emergenza di senso che, di fatto, contribuisce ad accumunare i due eventi. Polth
parla di un effetto scuro o “sinistro” (rispetto al contesto) che rende possibile
l’instaurarsi di un legame a distanza: «i suoni dei CdN sono interconnessi tra
loro come sonorità [Klänge], e non attraverso relazioni lineari o una tonica loca-
le» [2011]. Cosa rende possibile un tale legame, capace di sottrarre i due eventi
dalla tendenza a gravitare all’interno di un sistema di relazioni lineari, a vantag-
gio di un altro criterio di aggregazioni? Sicuramente non è la semplice presenza
di una determinata collezione di suoni, o qualcosa che si radica nei flussi profondi
della scrittura. Emerge piuttosto – osserva Polth – un particolare coordinarsi di
diversi dettagli compositivi. La prima apparizione del Costrutto, a b. 13, è suppor-
tata da un sol che segue immediatamente, in senso lineare, il mi e il do (forman-
do una triade eccedente). Nel contempo esso si presenta simultaneo a fa-do, ge-
nerando l’impressione di una triade di Fa min. con un’ambiguità latente tra sol e
la. Se il sol, osserva Polth, avesse fatto seguito (in senso lineare) ai suoni della
triade di La min., e se l’accordo di dominante non fosse stato contaminato da
note estranee, l’effetto di Costrutto sarebbe svanito. La seconda apparizione del

– 45 –
Antonio Grande

Costrutto (bb. 36b-37) ha un impatto meno forte, ma comunque significativo,


determinato dalla successione di una triade di Do min. e una triade di La min.
Il gravitare di alcuni suoni verso un sistema di relazioni, piuttosto che un altro,
richiama alla mente le teorie di Albert Bregman [1990; Huron 2001], che sottoli-
nea come i dettagli di certi insiemi di suoni sollecitino l’instaurarsi di particolari
scenari, sempre in bilico tra la “fissione” e la “fusione”: di colpo, il contesto sottrae
uno o più suoni dall’energia aggregante di un linea (fissione) a vantaggio di un
aggregato (fusione), e viceversa. Nel caso di una teoria fortemente lineare, come
quella schenkeriana, occorre spiegare come nelle cadenze possa convivere l’espe-
rienza verticale del grado [Stufe], che implica una fusione, con quella del compi-
mento di un percorso lineare, che è una fissione, in base a un principio di comple-
mentarità [Brown 2005, 56-58]. Nell’impianto di Simon, invece, l’emergere di
una prospettiva aggregante (un Campo) si concilia in modo efficace con la for-
mazione di particolari scenari uditivi.

Liszt, Am Grabe Richard Wagners


L’analisi di Haas del pezzo pianistico di Liszt Am Grabe Richard Wagners è uno
studio sulla disposizione spaziale di vari CdN, sul loro articolarsi e, soprattutto,
sul loro reciproco intrecciarsi [Haas 2004, 46-52]. I CdN in gioco sono tre: un
Costrutto (il IIb: si-re-fa, fa-la-do), un Esatono (fa/mi) e una Funzione (T:
fa-re-do-la incompleta, in quanto do e sol sono assenti in tutto il pezzo).37
In un primo momento può stupire la flessibilità con cui Haas rinviene le note
portanti dei CdN. Esse possono agire anche a distanza, tessendo trame che ope-
rano a vari livelli di profondità; inoltre, la stessa nota può partecipare a differenti
collezioni, in un sistema relazionale poliedrico. In questo caso possiamo imma-
ginare una “gabbia” a tre strati (i tre CdN). Iniziamo dal Costrutto IIb, che appa-
re a livello locale tra le bb. 1-7 (vedi Esempio 10). Il termine “locale” esprime il
fatto che esso agisce a livello di superficie, dal momento che tutte le note delle
prime sette battute rientrano nell’ambito di questo Costrutto.
Tale Costrutto agisce tuttavia anche a un livello più profondo, dal momento
che le sue componenti possono essere rinvenute anche a distanza. Haas mette in
evidenza il si (b. 2), il fa (b. 4) e il re (b. 6) come elementi risuonanti nel tempo
(si noti la presenza delle pause). Abbiamo così un’idea più precisa di cosa signifi-
chi un CdN, almeno a livello locale: un’impronta percettiva che si imprime nella
nostra sensibilità uditiva e caratterizza quel pezzo o quel momento del pezzo. Se

37. Precisiamo che la scelta di chiamare T proprio questa Funzione ha il solo scopo di mettere in relazione i
CdN con la tonalità tradizionale, dal momento che questo pezzo si sviluppa in una possibile tonalità di
Fa Magg./min.

– 46 –
I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

Es. 10. F. Liszt, Am Grabe Richard Wagners, bb. 1-8.

il CdN fosse una semplice collezione di note si potrebbe contestare che è troppo
facile andare a prendere note qua e là, finche non si trova ciò che si vuole. Ma il
punto è un altro: l’obiettivo è quello di volersi calare nell’immagine sonoriale del
pezzo, enucleando quei complessi di note che si presentano di volta in volta in
rilievo. È indubbio che quelle tre note, seguite da una pausa, assumono una certa
rilevanza. Questa riflessione potrebbe anche tradursi in un’indicazione esecutiva
per il pianista: “fai in modo che queste note rimangano scolpite nella mente
dell’ascoltatore, come il biglietto da visita del pezzo”. Ma come si completa il Co-
strutto? Dobbiamo arrivare a b. 39 per trovare le tre note rimanenti di livello pro-
fondo: do-mi-la. Con ciò non si vuol affermare, ovviamente, che l’ascoltatore
sappia collegare mentalmente questa triade con le tre note iniziali, ma solo che
questa triade ci riporta a un’immagine sonoriale di cui abbiamo già fatto espe-
rienza all’inizio, e che ora si viene a completare.
In definitiva, in questo pezzo il Costrutto si articola per mezzo di due triadi
eccedenti, una espressa in successione, l’altra in forma di accordo. Questo dimo-
stra che la teoria di Simon non è né scalare né accordale, ma si sviluppa su un
piano che coinvolge entrambe le dimensioni e le supera, dal momento che i ma-
teriali vengono scelti e selezionati in base al singolo contesto e al modo in cui essi
si manifestano (si “articolano”). Tutto questo avviene sempre con il controllo
– 47 –
Antonio Grande

dell’orecchio, e mai in termini puramente formali e astratti. Come osserva Haas,


«un CdN si presta a diverse modalità di realizzazione, e può essere condotto in
modo sequenziale o simultaneo, come successione lineare di suoni oppure in for-
ma di uno, due o tre accordi. […] Di conseguenza viene a cadere l’abituale con-
cetto di accordo; sono sempre e solo le relazioni contestuali dell’opera a stabilire
gli elementi che vanno messi insieme» [Haas 2004, 35].38
Osserviamo ora l’ultima nota che chiude la sezione introduttiva (b. 8), delimi-
tata dalla doppia stanghetta: si tratta di un re che rimane anch’esso “nell’aria”,
per via della pausa (cfr. Esempio 10). È una nota che non fa parte del Costrutto,
anzi è proprio la prima nota a non farne parte: essendo in posizione così accentata
ed esposta, viene ad assumere un rilievo particolare. Haas ci fa osservare come
essa vada ad accorparsi a un altro Campo, in parte sovrapponendosi al preceden-
te: si tratta dell’Esatono fa/mi. Anche questo CdN assume delle articolazioni
particolari, e può essere determinato ad esempio dalla combinazione di una tria-
de maggiore e una triade minore a distanza di 2a. Nel nostro caso, come era già
accaduto per il Costrutto, la prima triade è formata dalle note “risonanti” si (b.
2), fa (b. 4) e re (b. 8): un aggregato che si sovrappone a quello, in parte analogo,
del Costrutto (due note su tre sono uguali). Questo Campo, però, trova il suo
completamento con un’altra triade, e precisamente con i tre suoni di b. 37: do-
mi-sol. Anche in questo caso il complementare viene esposto in una situazione
di particolare rilevanza percettiva, determinando una messa in relazione tra i due
elementi. Non è un caso che i due accordi – che completano i due CdN portanti
dell’intero pezzo – producano una doppia successione che ferma, per così dire, il
flusso del pezzo, quasi a voler permettere di decantare la loro pregnanza uditiva.
Ed è anche il segnale di un momento di articolazione formale, dal momento che
subito dopo ha inizio la Coda.
Bisogna inoltre ricordare che Costrutto ed Esatono sono legati da una sottile
relazione: ogni 5a del primo può essere trasformata in una 4a del secondo (con
uno slittamento di semitono rispettivamente sopra e sotto). Nel nostro caso il
Costrutto re-la, fa-do, la-mi può diventare l’Esatono fa-do-sol -re-la-
mi trasformando la prima 5a re-la del Costrutto nella 4a re-sol. In altre parole,
due slittamenti di semitono determinano la differenza tra i due CdN. Sembra che
Liszt abbia voluto mettere in evidenza proprio i due nodi intorno a cui avviene

38. Sul piano teoretico questa considerazione è cruciale: mentre la teoria armonica tradizionale è fatta di
accordi come oggetti a priori di cui essa parla, qui la formazione accordale è un oggetto a posteriori. Più
precisamente è il risultato di ciò che la teoria – in quanto “discorso dell’ascolto” – rende pertinente come
aggregato fenomenologico di quel momento. Non vi sono insomma delle “dimensioni” rigidamente in-
tese che la teoria assume in quanto tali (il lineare e il verticale) come fa, ad esempio, lo schenkerismo.
Qui, lineare e verticale sono ”possibilità” che, per diventare operative, devono manifestarsi e acquistare
senso nelle singole fattispecie d’ascolto.

– 48 –
I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

questo slittamento da un Campo all’altro: il primo passaggio si verifica a b. 8,


quando il re diventa re; il secondo alle bb. 37-39, quando sol diventa la (vedi
Esempio 11).

Es. 11. F. Liszt, Am Grabe Richard Wagners, bb. 32-44.

Un terzo CdN che opera all’interno del pezzo è la Funzione Tonica (fa-la-do-
re), usata in forma incompleta (mancano do e sol). Anche questa Funzione, come
accade per l’Esatono, si può riferire a due triadi che ne esemplificano l’articola-
zione: Re min. e La Magg. La prima è quella che abbiamo già trovato nell’Esa-
tono, mentre la seconda viene ampiamente esposta tra le bb. 21-27. Si formano
così alcuni nodi strutturali intorno ai “rappresentanti” dei tre Campi operativi: la
triade aumentata iniziale si-re-fa (α), quella di Re min. (β), quella di La Magg.
(γ) e quella aumentata di b. 39 (δ, ossia do-mi-la). In particolare, β e γ si corri-
spondono nella Funzione T, α e δ nel Costrutto IIb.
Ma cosa troviamo in mezzo? Tra β e γ (bb. 9 e 21) vi è un “percorso cornice” in
cui si “srotola” – per usare un’efficace espressione di Haas – un Ottatono, pre-
cisamente il la/la con le triadi di Re min. (bb. 1-8), Si Magg. (9), Sol min. (13),
Mi Magg. (17), e infine La Magg. (21). Il percorso è abbastanza particolare: se vi
fosse un Dom, le triadi sarebbero tutte a distanza di 3a discendente, di volta in
volta minore e maggiore; la mancanza di Do min. è dovuta alla presenza di una
nota pedale che è proprio il do.
Nel percorso tra γ e δ (bb. 25 e 37) viene invece incastonato l’Esatono la/sol
che si articola nelle quinte la-mi (b. 25), si-fa (33), do-sol (37) secondo una suc-
cessione “autentica”, ossia di discesa di quinta. Ricordiamo infatti che la Funzio-
ne T comprende, tra le sue quinte, la-mi, mentre la Funzione S comprende si-fa
e la D do-sol. È degno di rilievo il fatto che Haas isoli le 5e giuste al canto, poiché
esibiscono una particolare presenza sonoriale che viene a rappresentare una pre-
cisa forma di articolazione del Campo. Non si occupa invece delle 3e di quegli
accordi, cioè del re e del mi, che pure sono presenti; quelle note si correlano con
– 49 –
Antonio Grande

altri Campi, tutti di cinque note. In questo segmento di dodici misure (da bb. 25
a 37) si concentra dunque una densa rete di relazioni in cui le Sd5 si intersecano
con la logica delle Funzioni. L’Esempio 12 può esserci di aiuto nel rilevare che:
tra le triadi contigue La Magg. e Fa Magg. (bb. 25-28) compaiono cinque note
di una Funzione di T (mancano do, re e sol);
tra Fa Magg. e Si Magg./min. (bb. 29-33) compaiono cinque note di un Esa-
tono si/la (manca il sol);
tra Si Magg. e Mi Magg./Min. (bb. 33-35) compaiono cinque note dell’Esato-
no mi/re (manca il do);
tra le ultime due triadi, Mi Magg./Do Magg. (bb. 35-37) compare ancora una
Funzione (sempre di cinque note) ma in questo caso di tratta di una D, mancante
di sol, si e re.

Es. 12. F. Liszt, Am Grabe Richard Wagners, relazioni tra CdN.

Campi di Note su vasta scala: il Trio op. 99 D. 898 di Schubert


Il problema della costruzione della forma è uno dei temi su cui una “nuova” teoria
può produrre significativi spunti all’analisi. Partiamo ovviamente dalla premessa
che la forma inerisce in modo strutturale all’impianto tonale sottostante, e non
può essere compresa al di fuori di esso. A partire dai compositori dell’età roman-
tica si assiste dapprima a una graduale forzatura, e poi a una vera e propria rottura
del principio di coordinamento tra forma e dispositivi tonali. Se non si vuole ri-
durre l’analisi a un resoconto di quanto il pezzo si discosti dalle coordinate tonali
“normative” – e cioè se si vuole andare al di là di quello che, nella nostra introdu-

– 50 –
I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

zione, abbiamo chiamato il “discorso della crisi” – occorre tuttavia cambiare pro-
spettiva e cercare di interpretare gli eventi all’interno di nuovi modelli
concettuali.
Ottimi esempi, sotto questa profilo, sono le costruzioni sonatistiche di Schu-
bert, che non a caso sono state oggetto di ampie discussioni e interpretazioni: da
un lato per sottolineare gli elementi di “stranezza” e irregolarità, ascrivendoli alla
tipica irriverenza romantica verso norme e convenzioni; dall’altro per cercare di
normalizzare gli aspetti più “devianti”, riportandoli entro le coordinate dell’orto-
dossia tonale. La legittimità di tali operazioni, tuttavia, è tutt’altro che scontata.
Su questi delicati argomenti si sofferma, con un’ampia discussione, l’articolo
di Stefan Rohringer [2009]. Partendo dal presupposto che nel corso dell’Otto-
cento si è realizzato un vero e proprio cambio di paradigma – dall’Ursatz schen-
keriana alla piena operatività della “nuova tonalità” di Simon – egli discute il di-
sallineamento tra forma e funzioni armoniche che si verifica nella musica di
Schubert e, nella fattispecie, nel primo tempo del Trio per pianoforte D. 898 in Si
Magg. Nelle sonate di questo autore il percorso convenzionale tra tonica e domi-
nante, pur continuando ad essere operativo, si articola in modo più complesso,
spesso con l’appoggio di una tonalità intermedia. Come integrare questa devia-
zione all’interno di una teoria coerente? In ambito schenkeriano si può far ricor-
so al concetto di “divisore” assegnato al III grado, ma nel Trio in oggetto la que-
stione non è di facile soluzione: la tonalità di Re Magg. (III grado), raggiunta nel
corso dell’Esposizione del tema principale (b. 18), torna indietro a Si (cfr. Esem-
pio 13). Dopo una Transizione accidentata si tocca la tonalità di La Magg. (b. 49)
che ha tutta l’aria di essere una dominante, e che sfocia più avanti nel tono secon-
dario di Fa Magg. (b. 59), con una cadenza che potremmo definire di 3a piuttosto
che di 5a. Il problema, però, è che la tonalità secondaria era già stata raggiunta a
b. 37, prima della Transizione – e dunque smorzando, o snaturando, l’efficacia
funzionale di questa sezione. L’area secondaria (di Fa Magg.) si arricchisce poi di
una tonalità non certo vicina, La Magg. (b. 85), prima che l’Esposizione si chiu-
da. Altri elementi inconsueti riguardano la Ripresa che si apre (o almeno così
sembra) a b. 187 nell’imprevedibile tonalità di Sol Magg. che, a sua volta, si dirige
verso Re Magg. per tornare poi alla tonalità d’impianto. Anche qui, come nell’E-
sposizione, l’area che precede l’arrivo del tema secondario (questa volta nella pre-
vista tonalità di base) è in Re Magg., con successiva cadenza sempre di 3a (Re
Magg. → Si Magg.) piuttosto che di 5a.
Tralasciamo, per ragioni di spazio, la discussione di Rohringer sulla letteratura
analitica che cerca di far fronte a tali incongruenze strutturali e vediamo come un
cambio di rotta possa invece restituire un percorso di senso alla macrostruttura
schubertiana. Di fatto, nel periodo tonale si constata una graduale alterazione del
– 51 –
Antonio Grande

rapporto tra i gradi principali e quelli vicini: quest’ultimi acquistano sempre


maggiore importanza mettendosi alla pari dei primi, soprattutto per via dell’e-
mancipazione delle relazioni di terza. Ciò si riflette in un Campo come la Funzio-
ne che non è più identificata da un solo grado (o, al massimo, dai suoi sostituti),
ma da un insieme di gradi. Il passaggio dal Re Magg. di b. 18 a Si si può cogliere
allora come un rapporto tra una (nuova) Dominante e una Tonica (nel campo
Funzione). Proprio il ritorno di Si Magg. di b. 26 ci fa capire che la sezione prece-
dente non è stata una fase di passaggio a una regione vicina, ma è un tutt’uno con
il tema principale, come se si trattasse di un “lato” differente della sua geometria.
In tal modo i nodi tonali, che in precedenza tendevano a connotarsi come singole
entità, si rimodulano intorno a una struttura a più facce che esprime la medesima
Funzione, e dunque il medesimo senso. Anche il passaggio tra l’armonia di La
Magg. (da b. 49) e il Fa magg. del tema secondario va colto come una successione
diretta, e non mediata da un’unica dominante che controllerebbe, da lontano,
l’intero spazio: il La Magg. equivale infatti al Do Magg. in relazione a Fa.
Questa lettura permette di restituire un preciso significato anche alla scelta di
porre una modulazione al V grado prima dell’inizio della Transizione: Schubert,
infatti, intende ormai il V grado in modo completamente nuovo. Anche il Re
Magg. della sezione interna al Tema principale viene normalmente interpretato,
in un’ottica monocentrica, come V grado di Sol min. Questa lettura ha l’obiettivo
di riconoscere un’affinità tra Si e Re Magg. che, non potendo essere diretta, può
almeno apparire di second’ordine (Si → Sol min. e Sol min. → Re Magg.). Tale
interpretazione inibisce tuttavia la possibilità di collegare il Re Magg. diretta-
mente al Si, immaginando un’idea di tonica più estesa che li comprenda entram-
bi come Costrutto (ne farà parte anche il tono di Sol). In questa prospettiva ac-
cordi e tonalità diventano un’altra cosa, e questo ha una portata epistemologica
profonda.39 Affermando che un III equivale ad un V, in un’ottica banalizzante
potremmo pensare a un’equivalenza di tipo tradizionale della D (i cosiddetti ac-
cordi sostituti); ma in questo modo non avremmo colto la portata della nuova
tonalità. Dobbiamo invece pensare ad una “qualità nuova” che trasforma anche le
relazioni che essa intrattiene con gli altri parametri musicali. Il rapporto 2/V, ti-
pico della dominante schenkeriana, si apre a nuove relazioni: ad esempio, la fon-

39. Che un differente inquadramento teorico istituisca nuovi oggetti e ne cancelli altri è un problema ben
noto in ambito scientifico. A proposito del contenuto di verità delle varie geometrie non euclidee, scrive
Agazzi: «si è stati indotti a riconoscere che non è la stessa retta quella di cui si afferma, rispettivamente,
che ammette una sola, nessuna o parecchie parallele». Ciascuna di queste considerazioni può «essere
considerata vera, purché la si riferisca al “mondo” geometrico che le è appropriato» [2012, 107]. Ogni
cambio di paradigma richiede la capacità di rapportarsi a un mondo cambiato, come ha sottolineato
Kuhn con un pizzico di humor: «Quello che nel mondo dello scienziato prima della rivoluzione erano
anatre, appaiono dopo come conigli» [1978, 168-169].

– 52 –
I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

damentale della “nuova” dominante qui rilevata (La magg.) diventa 3a della tona-
lità secondaria.40
Anche il passaggio a Re Magg. di b. 198 implica un primo ritorno alla tonica:
esso va interpretato come un “dondolare” (un beccheggio [Kippbewegung], scrive
Rohringer ) intorno a Si Magg., una diversa “visuale” della medesima Funzione.
A sua volta il Sol Magg. di b. 187 viene interpretato da Rohringer come una Ri-
presa delle sottodominanti.
Ma ecco che entrano in scena gli altri CdN: nello Svolgimento si osserva una
successione di 3e maggiori che possono essere interpretate come un Costrutto, il
IIa (do-mi-la). Il Costrutto è un Campo particolare: dal momento che ciascuna
delle sue tre 5e appartiene ad una diversa Funzione, può diventare luogo di inter-
sezione di differenti Funzioni, e ciò si riflette anche sul piano delle relazioni gene-
rali. Lo Svolgimento è costruito su uno dei poli sintattici di un sistema relaziona-
le che lo “chiama” a interfacciarsi con il suo complemento, il Costrutto Ia, presente
nell’Esposizione. Quest’ultimo si esprime a ridosso del tema secondario dove,
come si è visto, si manifestano in successione le tonalità di La Magg. (b. 49) e Fa
Magg. (b. 59) che, espresse in forma di triadi, ci restituiscono cinque delle sei
note del Costrutto. Manca solo il la che giungerà a b. 77, con la fine dell’Esposi-
zione. Ma un altro Costrutto, il IIb, si associa alla triade di tonica (intesa in senso
tradizionale): il discusso Re Magg., su cui si articola il tema principale, si connet-
te infatti con la triade di tonica producendo cinque dei sei suoni di IIb. Il suono
mancante, re, si avrà con l’inizio dello Svolgimento (la terza della triade di Si
min.). In questa prospettiva anche il Sol Magg. all’inizio della Ripresa (b. 187)
acquista un significato di livello medio, poiché viene a completare il ciclo di Si-
Re dell’Esposizione. A questa triade, dunque, si può riconoscere non solo un va-
lore di Funzione ma anche di Costrutto. Non è invece presente, all’interno del
pezzo, il Costrutto Ib.
Altra struttura importante è l’Ottatono la/la che, secondo Rohringer, è
uno dei due CdN del livello profondo. La sua rilevanza emerge sin dall’inizio: la
triade di Si Magg. con l’aggiunta del sol (nota di volta, a b. 2), insieme alla triade
del II grado (Do min.), al la di b. 9 e al la naturale di b. 10 formano complessiva-
mente otto suoni. Il la, peraltro, avrà un ruolo significativo anche nella Coda.
Anche in questo caso l’Ottatono non è una scala articolata in senso tradiziona-
le, ma qualcosa di completamente nuovo: una piattaforma dalla quale si diffon-
dono i vari suoni di superficie.

40. Resta comunque, almeno in questa fase, un forte legame tra i due programmi (quello dell’Ursatz e quello
dei CdN): dal punto di vista di Rohringer, questo non significa che entrambi convivano meramente
nell’opera, né che solo uno dei due detenga il controllo delle relazioni del pezzo [2009, 297]. Si tratta,
sicuramente, di una sfida decisiva per il futuro dell’analisi musicale.

– 53 –
Antonio Grande

Infine la Coda (da b. 289) – con la sua discesa per 3e, da Si a Sol, Mi, Do e La
– si adagia lungo un itinerario di Sd5 che, con l’aggiunta del Fa (in cui si trasforma
il La prima di approdare al Si di b. 309), determina l’Ettatono la/re, esteso
all’Ottatono la/la (con la sensibile la, a b. 309), per poi chiudere sull’Ettato-
no mi/la.
Va ricordato che, in un’ottica simoniana, la sezione conclusiva non viene inter-
pretata come un “fine” (télos), ma piuttosto come una “retrospezione”. Questa let-
tura è ben esplicitata dal “conseguente” della struttura del tema secondario (bb.
257-262), che riassume i Campi delle tre Funzioni implicate come se si trattasse di
un’azione di “recupero” nella memoria. Vi rileviamo, infatti, tre 7e diminuite con
successive risoluzioni (bb. 258-259, 259-260 e 260-261): «ciascuno di questi accor-
di può essere inteso come una serie di note-F di una delle tre Funzioni, integrate
con due note-Q attraverso gli accordi di volta in volta successivi» [Rohringer
2009, 301]. Ad esempio, il gruppo fa-la-do-mi di b. 258, integrato con si e sol
della sua risoluzione, produce S (sei suoni su otto). Analogamente, gli aggregati
successivi producono D e poi T. L’Esempio 13 propone un grafico riassuntivo che
mostra l’integrazione di Funzioni e Costrutti nell’Esposizione e nello
Svolgimento.

Es. 13. F. Schubert, Trio op. 99 D. 898, relazioni tra CdN.

È importante sottolineare che il completamento di un ciclo di CdN non deve


essere necessariamente interpretato in relazione alle funzioni armoniche tradi-
zionali (espresse dai simboli S, D e T). L’eventuale doppia lettura dei simboli
(quella convenzionale e quella di Simon) ci dice solo che nel pezzo sono operativi
entrambi i “programmi”. D’altra parte, il dato più rilevante della teoria di Simon
è proprio la tendenza a non conferire particolare rilievo al compimento di una
struttura formale intesa come una sorta di “destino ultimo” del pezzo: evitando,

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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

in tal modo, di cadere in un protocollo di tipo finalistico e temporalmente


orientato.41

4. Prospettive di analisi
Soffermiamoci ora sullo Scherzo n. 2 op. 31 di Chopin, un pezzo che ha creato
non pochi problemi all’analisi convenzionale per la sua insolita struttura tonale:
si pensi, ad esempio, all’accostamento tra il Re Magg. e il La Magg. delle sue due
sezioni principali. Schenker interpreta la particolarità di questo pezzo con una
riduzione analitica – la Fig. 102/6 di Der freie Satz – dagli aspetti quantomeno
insoliti. Il La Magg. della seconda sezione (da b. 265) – che egli interpreta diato-
nicamente, come un VI abbassato (ossia Si) – viene investito di un ruolo parti-
colare: non solo il basso riceve un’espressa indicazione di grado – con un VI5 –
ma, come ha rilevato Kopp, Schenker ammette «la presenza di note cromatiche
sia nell’arpeggio principale del basso che nell’Urlinie» [2002, 114-116]. Insomma,
qualcosa di secondario – una sovrastruttura cromatica – viene elevato al rango di
evento strutturale: anche a costo di forzare i limiti della sua teoria, continua
Kopp, Schenker è costretto a riconoscere il ruolo primario di un evento che in
linea di principio sarebbe estraneo all’impianto tipicamente diatonico della sua
costruzione teorica. Purtroppo la mancanza di un grafico di livello profondo ci
impedisce di cogliere pienamente come egli vedesse l’intera struttura, ma ciò che
abbiamo è già sufficiente per rilevare l’emergere di nuovi nodi strutturali.
Se proviamo infatti a leggere il pezzo in un’ottica diversa, possiamo subito no-
tare il ruolo giocato dai due ordini di terze – minori e maggiori – che ruotano
intorno al Re. Già nelle prime 46 misure, che fungono da introduzione, il Re
viene affiancato dalla sua 3a min. (Si) e dalla sua 3a Magg. (Fa). Se l’accordo di
Fa, nella sua versione maggiore (b. 18), può leggersi come dominante di Si, qual-
che battuta dopo, volto in minore, (bb. 38-43), acquista un ruolo più indipenden-
te. Ma è con l’inizio della seconda sezione, su un inatteso La Magg. (b. 265), che

41. Rohringer sembra disposto a concedere un significato formale al processo di “compimento”. Scrive, in-
fatti, che un procedimento «ottenuto con il completamento o l’eliminazione di un CdN, può conferire
alla drammaturgia formale un carattere processuale» [2009, 299]. Polth, da parte sua, cerca invece di
mantenere separati i due domini (CdN vs temporalità) quando afferma: «Anche il fenomeno, talvolta
osservato, secondo il quale il completamento successivo di un CdN appare come un processo finalizzato
[zielgerichteter Prozeß], non si basa su una caratteristica generale dei CdN, ma su un [loro] impiego par-
ticolare» [Polth 2011]. L’osservazione va messa in rilievo anche per evitare fraintendimenti con quanto
avviene in approcci solo apparentemente simili, come quelli sviluppati in un’ottica neo-riemanniana. Ad
esempio Michael Siciliano, analizzando Der Jungling und der Tod di Schubert, vede nel compimento del
ciclo trasformazionale (nella fattispecie una catena di RP) proprio il fattore che ci aiuta a capire che il
pezzo ha raggiunto la sua fine, invece del suo semplice interrompersi [Siciliano 2005, 97].

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Antonio Grande

questa tipologia di 3a viene ad assumere un rilievo di livello profondo, eviden-


ziando la presenza di un Costrutto (Ia).
La relazione di 3a Magg. ricompare nel percorso che conduce a Do min. (b.
310), una versione più scura della tonalità di base (enarmonicamente è un Re
min.). La seconda sezione prosegue attestandosi sulla tonalità di Mi (b. 334) che,
a prima vista, viene inquadrata come dominante della tonalità secondaria. Tutta-
via, dopo la ripetizione di entrambe le sezioni, al termine di una lunga cadenza
(b. 466) il Mi non si collega più a La, sua tonica tradizionale, ma attraverso pas-
saggi virtuosistici giunge a Sol min. (b. 492). Si tratta certamente di una tonalità
di difficile collocazione, che Schenker nel suo grafico liquida come un evento di
passaggio in seno al prolungamento dell’accordo di Mi (tra le bb. 460 e 516). Si
può invece interpretare sia il Mi che il Sol come il completamento di una più ge-
nerale struttura per 3e minori di livello profondo, già avviata nell’Introduzione,
che insiste sulle note si, re, mi, sol. In altri termini, ci troviamo di fronte a un
Campo Funzione su larga scala, una vera e propria tonica allargata che si ramifi-
ca, in profondità, lungo l’intero pezzo. Il Sol min., da intendere come una tonica
“polare” rispetto a Re, assume in questa prospettiva un ruolo di rilievo (non a
caso accoglie la riproposizione del tema secondario) mentre Schenker, nella sua
riduzione, gli attribuisce un ruolo solo incidentale.
Questa fase rappresenta anche l’acme dell’elaborazione del pezzo che prose-
gue, subito dopo, con una successione di tonalità disposte per 3e maggiori che
permette di sviluppare il Costrutto iniziale con un suo complemento: si tratta
della sequenza di Do min. (b. 500), La min. (510) e Mi Magg. (516). Vengono in
tal modo scanditi, con ritmo serrato, i poli di un differente Costrutto, fino ad ap-
prodare alla tonalità di Mi Magg. (516) con cui viene “riagganciato” un altro
CdN, la Funzione di T. Anche in questo caso il Mi Magg. mostra di non essere
una dominante di La, ma di svolgere un ruolo indipendente, e non a caso proprio
su questo Mi Magg. Chopin sceglie di riproporre il tema principale. Le successi-
ve tappe di medio livello sono Si (b. 544) – con la perorazione del tema seconda-
rio, nonché la Ripresa – e infine Re (632).
Il Finale ripropone i nodi del Costrutto originario: LaM (b. 716), ReM (b.
740) e quella “strana” cadenza in Fa Magg. di b. 774, di fatto inserita all’interno di
una più estesa chiusura in Re Magg.42 Come già per il Sol min. di b. 492, una

42. È difficile inquadrare in senso sistematico una “cadenza” in Fa Magg. a sole sei battute dal termine. Ro-
sen, rilevando l’anomalia, scrive che «intorno al 1840, l’impatto di una tale soluzione armonica non era
ancora divenuto consueto, ma poteva venire accettato con facilità» [2005, 288]. In altri termini, l’anoma-
lia viene giustificata chiamando in causa la maggiore disponibilità dell’ascoltatore del tempo ad accettare
situazioni armoniche che prima sarebbero state ritenute “impossibili”. Ma ad una teoria si chiede dell’al-
tro: e cioè che sappia dare un senso a un presunto disordine, per quanto attraente possa apparire.

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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

lettura basata sui CdN è in grado di dar senso a un procedimento armonico altri-
menti interpretabile solo in base all’estro momentaneo del compositore.
Possiamo riassumere la struttura del pezzo come il gioco complementare di
due CdN che interagiscono fra loro e condividono un suono comune, la “tonica”
re/do. L’Esempio 14 illustra schematicamente questa interazione: l’analisi non
si limita a rilevare soltanto la presenza di relazioni di 3a o, più in generale, di geo-
metrie simmetriche, ma riesce a interpretare tali elementi all’interno di una ma-
crostruttura profonda.

Es. 14. F. Chopin, Scherzo n. 2 op. 31, schema delle relazioni.

5. Conclusioni
Nel chiudere questa rassegna sul pensiero teorico di Simon occorre dare atto alla
comunità scientifica tedesca di aver saputo raccogliere con grande solerzia gli sti-
moli e le preziose opportunità che esso può offrire. Certo, si è solo agli inizi e
molta strada è ancora da percorrere: la sfida, assai stimolante, si apre su diversi
fronti. In prima istanza, già nella letteratura analitica attuale emerge l’esigenza di
un confronto con l’impianto schenkeriano. Oltre al contributo di Rohringer di
cui si è parlato, anche in un’analisi di Haas del Lied Ihr Bild di Schubert si coglie
l’intento di accostare i due programmi [Haas 2004, 70-81]. Deve essere chiaro,
tuttavia, che non può trattarsi di una vera e propria integrazione, perché i due si-
stemi parlano di mondi diversi. Ad esempio laddove Haas, analizzando il Lied,
scrive che «la progressione lineare di 5a [Quintzug] fa, mi, re, do, si (bb. 8-12),
che per Schenker sarebbe l’Urlinie di questo pezzo, viene interpretata come Esa-
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Antonio Grande

tono incompleto mi/re» [2004, 72], mette in relazione due universi differenti da
cui derivano anche altre implicazioni analitiche. Per dirla con Rohringer, egli
classifica «i suoni appartenenti ai CdN di Simon attraverso i procedimenti dell’e-
laborazione compositiva» [2009, 297]. Ma cosa legittima questa “traduzione” tra
i due sistemi? La linea è un oggetto “orientato”, con un suo impulso dinamico,
mentre l’Esatono di Simon – anche nella sua fattispecie lineare – ha una pro-
prietà “diffusiva”, in quanto Campo. Quest’ultimo presuppone un sistema rela-
zionale in cui è assente il moto e, di conseguenza, il tempo lineare.
Al di là delle differenze, tuttavia, è necessario immaginare la possibilità di un
coordinamento tra i due sistemi che possa risultare utile all’analisi, senza dover
riconoscere all’uno o all’altro una “verità” esclusiva. Va riconosciuto, infatti, che
anche nei confronti di pezzi ormai lontani da un impianto monocentrico di tipo
schenkeriano persiste la nostra “abitudine” a pensare, e quindi anche ad ascolta-
re, la musica secondo un ordine teleologico.43
Un secondo fronte si apre poi sulla questione del tempo: occorrerà immagina-
re un concetto di tempo che, per quanto “esterno” all’impianto teorico, offra una
solida base fenomenologica su cui operare. Già in pieno Ottocento molti fattori
vengono a piegare la corsa “progressiva” del tempo: ce l’ha spiegato Meyer [1989,
208 seg.], sottolineando l’impatto provocato dall’emergere dei parametri secon-
dari; lo cogliamo in Schubert, con i suoi “paesaggi formali” basati su un tempo
congelato.44 E persino in Beethoven, modello emblematico di una concezione
“forte” e processuale del tempo, Adorno vedeva agire un tempo dal duplice orien-
tamento – in “avanti” e “indietro” – in cui i punti intermedi della catena tempo-
rale non cancellano i precedenti, ma li trattengono in una cornice di lungo termi-
ne [Schmalfeldt 2011].
Perché non cogliere in tutti questi fattori le premesse di un’idea relazionale di
tempo, dove il “prima” e il “dopo” sono fortemente intrecciati, in un dispiega-
mento del divenire che presto verrà ad assumere connotati spaziali? L’arco tem-
porale si è ormai curvato e, una volta caduta la figura forte del Soggetto romanti-
co – la cui “formazione” (Bildung) implicava un tempo progressivo – potrà aprirsi
lo scenario di un tempo totale e cumulativo, terreno ideale per la rete di relazioni

43. La questione trova riscontro anche in altri ambiti scientifici, come attesta una nota affermazione di Poin-
caré: «Per selezione naturale, il nostro intelletto si è adattato alle condizioni del mondo esterno e […]
ha adottato la geometria “più conveniente” per la specie o, in altri termini, la “più comoda”. Tutto questo
è pienamente conforme alle nostre conclusioni: la geometria non è vera, è conveniente» [1989, 103].
44. L’ipotesi che un tempo di tipo relazionale possa esprimere forme di “permanenza” può sembrare contro-
versa, ma è pur vero che, in pieno Ottocento, certa musica di Schubert ha suggerito l’idea di un tempo
congelato, da cogliere tutto intero. Adorno ad esempio – scrive Burnham – «sviluppa l’idea che la mu-
sica di Schubert offre la verità ripetibile di un paesaggio, piuttosto che la traiettoria processuale di una
storia teleologica. I temi di Schubert, come paesaggi, sono forme di permanenza che non possono essere
fondamentalmente modificati, ma al massimo rivisitati» [Burnham 2005, 40].

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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

di una musica che verrà.45 A questo proposito, dobbiamo sottolineare che la forte
componente fenomenologica del programma di Simon configura di per sé una
dimensione temporale. La presa diretta con cui i CdN vengono esperiti – la “du-
rezza” dei Costrutti, la “scivolosità” delle Funzioni, la “morbidezza” delle Sd5 –
apre la strada a una visione della musica che supera i rilievi sintattici e ci consegna
una temporalità che è più “presenza” che passaggio.
Un ulteriore compito della teoria analitica sarà quello di aumentare l’attenzio-
ne sui rapporti tra i CdN e i dettagli compositivi. Il rischio, infatti, è che la discus-
sione sui Campi ci consegni l’immagine di una musica giocata tutta sul piano
delle altezze, contraddicendo la vocazione fortemente uditiva di questo approc-
cio analitico.
D’altra parte, la costruzione di «un nuovo sistema d’ascolto» [Haas 2004, 10]
è forse una delle sfide più impervie che Albert Simon ci ha lasciato in eredità. Ciò
implica un sovvertimento dei parametri della tonalità-Ursatz, fondata su una
struttura profonda di tipo rigido a favore di un sistema di riferimenti che, proprio
per la sua multivalenza, si profila ormai come orizzonte, nel senso fenomenologi-
co del termine.46
Alla fine degli anni Novanta Cohn sottolineava la forza decostruttiva 47 che la
teoria neo-riemanniana poteva esercitare nei confronti delle tradizionali “abitu-
dini di pensiero” [habits of thought]; ad essa doveva tuttavia affincarsi anche un
ruolo construens, che aiutasse a formulare domande propulsive [Cohn 1998, 168].
Un diverso impianto, come quello di Simon, non solo ci pone nelle condizioni di
vedere nuovi oggetti e nuovi eventi; non solo ci invita ad intraprendere nuovi
percorsi di ascolto, ma ci spinge a rimettere in gioco le nostre abitudini di pensie-
ro (i nostri “discorsi”). Per ricucire gli strappi che può provocare – e per superare
gli stalli a cui ci consegna (è il caso del Tempo) – è più che mai necessario uno
sguardo “alto”, filosofico, che sappia indicare una via di senso e stimolare la teoria
a parlare di se stessa.

45. Il tardo Ottocento non solo coglie la fine di un tempo progressivo, me ne interpreta anche il disagio.
L’idea di un télos, di un risultato da raggiungere, affoga così nella disillusione, e Nietzsche potrà scrivere:
«L’elemento comune a tutte queste rappresentazioni è che un qualcosa debba essere raggiunto attraverso
il processo stesso – e ora si capisce che col divenire nulla si ha di mira, nulla si raggiunge» [2001, 12].
46. È stato Lawrence Kramer ad aver introdotto, mutuandolo da Husserl, il concetto di “orizzonte” inteso
come quell’«immediato contesto entro cui l’oggetto prende forma e significato» [Kramer 1981, 193].
Essa va distinto dal concetto di struttura profonda perché non si basa su un presunto fondamento natu-
ralistico e non implica rigidi stati di attesa, cogliendosi invece come approccio fenomenologico alla co-
noscenza. Tuttavia Kramer, contrapponendo l’orizzonte alla “presentazione” (diremmo, di superficie), si
limita ad assegnare al primo il senso di una tonalità tradizionale intesa, in ultima analisi, come vissuto
dell’ascoltatore, come una base di pre-comprensione. Qui si vuole invece indicare la costruzione di un
nuovo vissuto che integri nel proprio orizzonte un sistema di relazioni multicentrico.
47. Il senso dell’espressione è da leggersi nel quadro del pensiero derridiano che, nell’ultimo scorcio del
Novecento, ha avuto una forte penetrazione nella cultura americana, anche in musicologia.

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Antonio Grande

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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità

Abstract
L’opera del teorico ungherese Albert Simon (1926-2000) – musicista assai polie-
drico, direttore d’orchestra e analista – rimane ancor oggi inedita. Di lui si è occu-
pata di recente la musicologia tedesca con un libro di Bernhard Haas, che fu suo
allievo, e con numerosi contributi pubblicati sulla rivista «Zeitschrift der Gesell-
schaft für Musiktheorie». Il saggio presenta le linee essenziali della teoria di Si-
mon – una Nuova Tonalità multicentrica basata su Campi di Note (Tonfelder) –
nell’ampio scenario della teoria musicale occidentale. L’obiettivo è discutere la
legittimità di forme descrittive e interpretative nate nell’ambito di una “prima
pratica” della tonalità rispetto a un repertorio (come quello del romanticismo) or-
mai strutturato su una sua “seconda pratica”. Ciò anche nella convinzione che uno
sguardo teorico ha il potere di far nascere o scomparire gli “oggetti” di cui si occu-
pa: essi infatti – nel senso di Foucault – non preesistono alla teoria, ma ne sono
dirette emanazioni. Oltre a discutere alcune analisi riprese dalla bibliografia di
area tedesca, l’articolo approfondisce le potenzialità di questa prospettiva teorica
mostrando come, a partire da un brano di Chopin studiato da Schenker, la teoria
di Simon sia capace di mettere in luce alcuni aspetti strutturali di rilievo e altri-
menti non riconoscibili.

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