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Abstract
The theoretical works of the Hungarian musical theorist Albert Simon (1926-
2000) – a very eclectic musician, orchestra conductor and analyst – are thus far
unpublished. Only German musicology has been dealing with him: Bernhard
Haas, who was one of his students, wrote a book about his thought (2004), and the
German journal, «Zeitschrift der Gesellschaft für Musiktheorie», published
many theoretical contributions on this topic. This essay deals with the essential
lines of Simon’s theory, a multidimensional New Tonality based on Pitch-Fields
(Tonfelder), in the large scenario of the western musical theory. The aim is to argue
about the possibility of employing forms of description or interpretation, born
inside a “first practice” of tonality, with respect to a repertory (as the music of Ro-
manticism) depending on a “second practice”. Indeed the author thinks that a par-
ticular theoretical look is able to bring to life or to disappearance its “objects”: they
– as Foucault says – do not preexist the theory, but are direct emanations of it.
Besides a discussion of several analyses from German bibliographic area, the arti-
cle indicates some new perspectives showing how, starting from a Chopin’s work
analysed by Schenker, Simon’s theory highlights otherwise not recognizable
features.
na) – nata “internamente” al pensiero della tonalità, possa parlare della crisi di
quello stesso pensiero. E se, a questo scopo, non sia piuttosto necessario far leva
su una teoria che si ponga “al di fuori” di quel particolare contesto culturale che,
in pieno Ottocento, sta per essere sopravanzato da nuove visioni del mondo.
Il problema non si riduce solo a un diverso inquadramento dei medesimi con-
cetti analitici. Ciò che ha conseguenze teoretiche ben più profonde è il fatto di
riconoscere che una differente teoria (un differente “discorso”) è di per sé in gra-
do di produrre oggetti nuovi (nuove pertinenze analitiche) e, nel contempo, di
annullarne degli altri.1 Ad esempio, vale la pena domandarsi se è plausibile man-
tenere categorie che potremmo definire “rigide”, come il concetto di accordo e di
linea, a fronte di un’evoluzione della musica, in età romantica, che tende ad attri-
buire sempre maggiore importanza a fattori sovrasegmentali come le dinamiche,
il suono, le fioriture e i gradi secondari.2 Ciò determina un riassetto delle forze in
gioco a favore di categorie più “liquide”, meno compatte e più propense a combi-
narsi, di volta in volta, secondo ordini mutevoli.3
Un secondo problema riguarda la valutazione del rapporto tra due possibili
modelli di rappresentazione di un fenomeno musicale: quello offerto dalla teoria
e quello derivante dell’esperienza di ascolto della musica. Ci si chiede, cioè, quan-
to possa essere grande la distanza tra la “complessità” con cui la teoria rappresen-
ta un certo processo musicale e l’immediatezza con cui, talvolta, quel medesimo
processo viene esperito in sede cognitiva. Quando questa distanza diventa trop-
po marcata, diventa legittimo cercare una diversa cornice teorica che, di quel
processo, metta a disposizione letture più dirette e immediate, capaci di ridurre la
distanza tra i due ordini di rappresentazione. Pensiamo, ad esempio, al famoso
passo che conduce alla Ripresa nel primo movimento della Sonata per violino e
pianoforte op. 24 di Beethoven. In un’ottica schenkeriana il V di Re, che risolve
insolitamente sulla tonica strutturale Fa (bb. 123-124), non è che la fase finale di
una progressione che abbraccia l’intero Sviluppo, e che – partita da un lontano V
(che Schachter pone a b. 28) – passa per il III (La Magg.) per risolvere infine, con
1. L’oggetto, scrive Foucault, «non aspetta nel limbo l’ordine che lo libererà e gli permetterà di incarnarsi
in una visibile e loquace oggettività; non preesiste a se stesso, quasi fosse trattenuto da qualche ostacolo
alle soglie della luce. Esiste nelle positive condizioni di un complesso ventaglio di rapporti» [1999, 61].
2. Su questo si veda l’ampia discussione di Leonard Meyer [1989, 208 seg.].
3. I concetti convenzionali di moto e di territorio possono assumere sfumature differenti in funzione delle
pratiche che vi agiscono [Deleuze-Guattari 2006]. In tal senso, uno spazio non è un territorio neutro su
cui si esercitano delle azioni, ma sono le azioni stesse che istituiscono uno spazio e che lo determinano
come struttura. Trasponendo queste sollecitazioni sullo scenario musicale del secondo Ottocento siamo
indotti a rivedere, fra l’altro, la netta distinzione tra le note strutturali e quelle che non lo sono: il mate-
riale si fà denso, i contorni sfumano in un quadro tonale diventato più liquido. Le linee che prima erano
tracce di energia in un percorso direzionato si disperdono in un contesto più diffuso. La categoria “linea”
non può essere la stessa in Mozart come in Brahms o Debussy.
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
“magico effetto”, sulla tonica Fa di b. 124 [Schachter 1999, 142-143]. Si tratta però
di un inquadramento teorico troppo complesso per accordarsi alla naturalezza
con cui si percepisce il passaggio. Un altro caso è il ricorso alla “doppia commi-
stione modale” per spiegare successioni armoniche non facilmente inquadrabili
in un’ottica convenzionale e monocentrica [Salzer 1982, 180]: anche qui, il ricorso
a macchinosi espedienti teorici non rende ragione di passaggi che l’orecchio co-
glie senza particolari problemi.4 Come legittimare il salto tra i due ordini di rap-
presentazione, quello cognitivo e quello della teoria?
Il tema ha suscitato di recente un certo interesse, anche se in questa sede vor-
remmo raccoglierlo in modo indipendente. Penso, ad esempio, allo studio di Fa-
bien Lévy sui livelli di complessità percettiva, teorica e notazionale [2004]. Ma
anche, in sede più specificamente formale, alla riflessione neo-riemanniana sulla
possibilità di utilizzare funzioni trasformazionali che esprimano in modo diret-
to, piuttosto che mediato, alcune tipiche fenomenologie armoniche, come il pas-
saggio alla quinta inferiore (D piuttosto che RL).5
Da metà Ottocento, gli accostamenti di accordi o tonalità basati su relazioni
non convenzionali –sia a livello locale che su larga scala – diventano così abituali
che sembra legittimo dover ridisegnare una mappa di distanze capace di conte-
nerli e di interpretarli in base a una logica di relazioni coerenti.6 In particolare,
acquistano cittadinanza materiali variamente simmetrici – come le scale ottato-
niche, esatoniche e a toni interi – da cui si originano strutture polivalenti e ibride;
lo spazio che esprimono assume delle curvature paradossali e, diremmo, non eu-
clidee rispetto alle metriche convenzionali. Questa tendenza trova un paralleli-
smo nei diversi “mondi” che vengono a disegnarsi con le nuove geometrie del
secondo Ottocento: mondi autolegittimati dalla loro coerenza strutturale, e del
tutto indipendenti dal nostro spazio-tempo.7 Nuove strutture (pensiamo alle
4. Richard Cohn, che interviene sull’argomento, discute anche i contenuti “ideologici” sottesi a certe rispo-
ste della teoria [2004, 303 seg].
5. Hyer usa la D, mentre Cohn la sostituisce con le trasformazioni R ed L, ossia Relativo e Leittonwechsel
[Kopp 2002, 151-157]. Sebbene D sia formalmente ridondante, prove sperimentali hanno mostrato che ha
una sua «realtà psicologica indipendente» [Krumhansl 1998, 271]. Kopp discute anche il caso della suc-
cessione V-i (sulla tonica minore) che la teoria interpreta come DP (la Parallela della Dominante), con
un doppio passaggio. È difficile però negare – continua Kopp – che tale successione «suoni del tutto
chiara e diretta, senza alcuna tortuosità [twist] udibile che richieda quella doppia notazione» [2002,
169]. Sui rapporti tra distanza accordale e lunghezza della “parola” (nel senso quasi informatico del ter-
mine) con cui si descrive, interviene anche Nora Engebretsen commentando il Systematik der Harmonie-
schritte di Riemann [2011, 362]. Tuttavia Riemann non fornisce indicazioni su come l’intellegibilità della
relazione armonica sia funzione della lunghezza della “parola”.
6. Di grande interesse, ai nostri fini, potrebbe essere la strada intrapresa – sia pure con finalità più didattiche
che teoretiche – da Hugo Riemann con il suo sistema di Schritt/Wechsel.
7. Il matematico ungherese Janos Bolyai, in procinto di pubblicare un lavoro sul problema delle parallele
che apre uno spiraglio verso le nuove geometrie non euclidee, scrive al padre (1823): «Ora posso dire
soltanto questo: dal nulla ho creato un mondo nuovo e diverso» [Bartocci 2012, 67].
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Antonio Grande
“varietà” di Bernhard Riemann)8 si profilano sulla scena di ciò che può essere
pensato, e questo si riflette anche sul piano della creazione artistica: in musica,
l’annosa pregiudiziale naturalistica diventa ormai ingombrante, e i teorici del
tempo sono disposti a ritenere che l’Arte può sopravanzare la Natura, laddove
essa non basti più a giustificare i nostri parametri estetici [Locanto 2007, 211;
Rehding 2003, 21-22].
8. Per “varietà” di Riemann mi riferisco a spazi generalizzati, a curvatura costante o variabile, che non si
appoggiano alla nostra intuizione sensibile e che a livello locale risultano di tipo euclideo, mentre a livel-
lo globale non lo sono. Il dato interessante è la compresenza di aspetti globali e locali, distinti ma recipro-
camente determinati [Bartocci 2012, 97 seg.; Odifreddi 2011, 194]. Vale la pena richiamare questo concet-
to per via della sottile analogia che si può riscontrare con certi brani della tarda tonalità in cui, a livello
locale, si riscontrano procedimenti tonali di tipo tradizionale (secondo la nostra metafora, “euclidei”),
mentre a livello globale si richiedono differenti geometrie di organizzazione dei suoni.
9. Simon studiò a Budapest e divenne direttore dell’Orchestra di Stato. Nel 1962 fu chiamato a Londra da
Klemperer; dal 1965, e per diversi anni successivi, fu ospite ai corsi estivi di Darmstadt. Sempre nel 1965
divenne professore di Direzione d’Orchestra all’Accademia di Musica di Budapest. A partire dal 1980
insegnò per tre anni al Conservatorio di Parigi, ma già dalla seconda metà degli anni Ottanta si ritirò
dall’insegnamento per dedicarsi allo studio dell’opera di Bartók. Per una più ampia collocazione di Si-
mon nella tradizione teorica ungherese si rinvia all’articolo di Konstantin Bodamer [2011].
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
10. Fra gli articoli della raccolta, quello di Bernhard Haas – Zu zwei Bartók-Analysen von Albert Simon [Haas
2011] – contiene gli estratti di due analisi scritte in tedesco dallo stesso Simon, risalenti ai primi anni
Ottanta e conservate dal 1985 presso la Paul Sacher Stiftung di Basilea. Si tratta delle analisi dei numeri
124 e 143 del Mikrokosmos di Bartók. Tali documenti non hanno un carattere compiuto: Haas dichiara di
essere intervenuto sul piano della lingua per sistemare un uso del tedesco non sempre corretto, e per in-
tegrare con note esplicative un testo che rimane talvolta oscuro. Gli stessi esempi non sono di Simon ma
di un suo studente, attualmente non ancora identificato. La medesima Fondazione conserva anche un
terzo documento originale, Die Eigentümlischkeiten der Bartóschen Musik anhand seines Werkes: Musik für
Seiteninstrumente, Schlagzeug und Celesta [Particolarità della musica di Bartók a partire dalla sua opera:
Musica per archi, celesta e percussioni].
11. Intorno al 1850, scrive Polth, alla tonalità tradizionale «era subentrato un nuovo sistema di relazioni to-
nali» [Polth 2006b, cit. in Rohringer 2009, 297].
12. «Un CdN si può considerare come un tipo di relazione musicale che si è istanziato in una particolare
composizione» [Polth 2011].
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Antonio Grande
13. Le teorie convenzionali (da Schenker a Schönberg, Hindemith, Lerdahl, Yavorskij) si basano per lo più
su un paradigma “omeostatico”, in base al quale l’esperienza del musicale si esprime essenzialmente attra-
verso condizioni di stabilità e instabilità, con relativi ordini dinamici di equilibrio.
14. Pensiamo, in tal senso, all’impianto teorico di Lendvai [1979], per molti aspetti dotato di significative
analogie con quello di Simon.
15. Haas sottolinea come un CdN diventi analiticamente pertinente «solo se lo si è sentito nella composi-
zione, e non quando lo si è staccato dal pezzo e lo si richiami in modo astratto» [2004, 82]. In termini più
formali, un CdN non preesiste come collezione astratta (di cui l’analisi dovrebbe verificare l’occorren-
za), ma viene “pro-vocato” – in senso fenomenologico – ossia “chiamato ad esistere” dai dettagli della
scrittura; ed è proprio questo l’aspetto che l’analisi dovrebbe essere in grado di chiarire.
16. Nell’analisi dei CdN «non si constata l’accadere degli eventi, ma si interpreta il loro apparire» [Polth
2011].
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
scrive Haas – di un gruppo di note ad esprimere quel Campo, il che vuol dire una
tendenza «a suonare così» [2011, n. 78]. Quel certo colore, quel certo carattere
che si imprime in un complesso di suoni, è la testimonianza di un CdN al mo-
mento “attivo”.
Per tutte queste ragoni, la relazione con l’esperienza di ascolto assume un ruo-
lo assolutamente decisivo; e non è un caso che Haas, già nel titolo del suo libro,
faccia precedere l’attività di ascolto a quella dell’analisi come elemento qualifi-
cante della nuova teoria.17 Si tratta, tuttavia, di un cambio di prospettiva rispetto
al tradizionale “ascolto strutturale” di impronta schenkeriana: non solo per via
dei nuovi percorsi che si aprono, ma soprattutto per la qualità “pluricentrica” del-
le relazioni di cui si è chiamati a diventare sensibili. Mentre la tonalità-Ursatz ha
una natura convergente verso un centro, la tonalità-CdN è invece diffusiva e dal
carattere pluri-dimensionale. Per entrare nel vivo dell’esame di questa nuova
prospettiva teorica bisogna precisare innanzitutto che esistono tre tipi di CdN: la
Funzione, il Costrutto e la Serie di Quinte.
Funzione
La Funzione [Funktion] è un complesso di otto suoni costruiti disponendo, a
partire da uno di essi, una successione di 3e minori con le rispettive 5e. Partendo
da do si avrà do-sol, mi-si, fa-do, la-mi (vedi Esempio 1). Mettendo i suoni in
serie si ottiene la ben nota scala ottatonica, composta da una successione regolare
di toni e semitoni: nel nostro caso do, do, re, mi, fa, sol, la, si. Come si è già ac-
cennato, tuttavia, pensare che la scala ottatonica, o il set 8-28, “esprima” una Fun-
zione sarebbe fondamentalmente scorretto. Ciò che conta sono le possibili arti-
colazioni con cui quel complesso di note viene messo in gioco, diventando forma
fenomenica. Ad esempio, si può pensare a successioni di 5e poste a distanza di 3
min., ma anche a due settime diminuite a distanza di semitono; a successioni di
triadi maggiori o minori a distanza di 3a min.; a una combinazione di 7e (do-mi-
sol-si con re-fa-la-do); oppure a particolari collezioni di toni interi o
semitoni.
17. Il sottotitolo del libro, infatti, è “Ascoltare e analizzare la musica secondo Albert Simon”. Particolarmente
significativa è anche l’espressione usata da Haas, nell’Introduzione, per ricordare il Maestro: «Simon
ebbe la bontà di introdurmi al sistema d’ascolto da lui scoperto» (in das von ihm entdeckte System des
Hörens) [Haas 2004, 10].
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Antonio Grande
Es. 1. Funzioni.
Nella tipica disposizione per 5e, i primi suoni di ogni coppia sono le “note-
fondamentali” [Grundtöne, d’ora in poi note-F], mentre i secondi suoni della cop-
pia sono le “note-quinta” [Quinttöne, d’ora in poi note-Q ]. È una distinzione im-
portante, perché solo dalle note-F si ottengono le triadi maggiori o minori, e non
dalle note-Q. Altro aspetto di rilievo è che le note-F, con le relative triadi che
formano, sono poste tutte su un piano di equivalenza. Ad esempio, la triade di Do
Magg. o min. è equivalente a quella di Mi Magg. o min. oppure a quella di Fa o
di La, sempre maggiore o minore. Non è insomma il singolo accordo a costituire
un centro tonale ma l’intero Campo, dal momento che tutti i possibili aggregati
che ne fanno parte hanno il medesimo “peso”. Tutto questo contribuisce ad
espandere notevolmente la dimensione di un polo tonale rispetto alla tonalità
tradizionale.
Ma non è tutto: la scala ottatonica, infatti, è solo una sezione del totale dei do-
dici suoni. Com’è noto, si possono ottenere solo tre scale ottatoniche a distanza
di semitono, perché con un ulteriore scarto di semitono si verrebbero a ripetere le
medesime note. Queste tre collezioni sono viste da Simon secondo un ordina-
mento che ricorda le funzioni tradizionali, con una distanza di 5a l’una dall’altra.
Oltre alla Funzione costruita (ad esempio) su do, ve n’è un’altra una 5a sotto, su
fa, e una terza una 5a sopra, su sol (si veda l’Esempio 1; la posizione d’ottava è in-
differente): nell’insieme, queste Funzioni esauriscono tutte le possibilità. Va pre-
cisato, però, che parlare di do, sol e fa come elementi di base per la costruzione
delle scale è solo una scelta di comodo che ci avvicina all’universo tonale tradi-
zionale: si avrà dunque una Tonica (T), una Dominante una 5a sopra (D) e una
Sottodominante una 5a sotto (S), ma i significati che possiamo attribuire a queste
Funzioni sono completamente diversi rispetto alla loro accezione comune. Inol-
tre, data l’equivalenza di cui si è detto, se la triade di Do è una Tonica, lo saranno
anche quelle poste a distanza di terza minore, come ad esempio Fa minore. In
questa prospettiva, il passo che porta alla Ripresa del primo movimento dell’op.
24 di Beethoven che abbiamo citato all’inizio di questo articolo – dove la domi-
nante di Re min. si aggancia direttamente al I di Fa Magg. – può essere interpre-
tato in un’ottica che valorizza la successione in sé (come D-T) e non richiede in-
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
18. Tra i diversi teorici che hanno studiato le strutture ottatoniche ricordiamo Berger [1963], van den Toorn
[1983], Straus [1990] e Taruskin [1996]. Allen Forte ha osservato che la preoccupazione degli analisti si
esaurisce spesso nel rilevamento di particolari strutture – triade aumentata, diminuita, ecc. – senza però
collegare tali rilievi di superficie ai livelli più profondi [Forte 1987, 211]. Applicando la sua Set Theory al-
l’“idioma sperimentale” di Liszt (come lui lo chiama), egli riesce invece a trovare relazioni di indubbio
interesse anche su larga scala (come varie catene di inclusioni in diversi sovrainsiemi a partire dai set 3-10
e 3-12). Va però detto che il suo sistema è incapace di “vedere” i rapporti tra collezioni del medesimo set
come invece accade, ad esempio, tra una T e una D nelle Funzioni di Simon. Ne deriva un appiattimento
che può essere penalizzante proprio laddove il contesto musicale, nel tardo romanticismo, presenta
un’alta densità di informazioni ed esige, di conseguenza, che lo strumento analitico sappia farsi interpre-
te delle più sottili sfumature.
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Antonio Grande
propendere per l’una o l’altra Funzione.19 La poliedricità deriva anche dal fatto
che le quattro note-F costituiscono gli angoli (equivalenti) di un ipotetico qua-
drilatero. Le quattro dimensioni possono anche essere “orientate” come avviene
in certe musiche dell’Ottocento, in cui vi è ancora il primato di una tonica e i due
sistemi convivono. In questo caso, rispetto al suono principale (poniamo il do),
se ne creano due laterali, oppure uno sopra e uno sotto, (mi e la), più un terzo che
risulta “dietro” (fa) [Haas 2004, 14]. Ma ben presto queste categorie saranno
destinate a scomparire per lasciar spazio a un mondo a più dimensioni (o, forse,
senza alcuna dimensione) in cui ci si muove «all’indietro, di fianco, in avanti, da
tutti i lati».20 Si crea così uno spazio nuovo, assai più denso in termini di relazioni;
uno spazio che ha assorbito in sé, piegandola, anche la dimensione temporale.21
Costrutto
Una seconda categoria di CdN è il Costrutto [Konstrukt] che, nella sua forma
scalare, si compone di sei suoni disposti secondo un ordinamento di semitono
più terza minore – ad esempio do, do, mi, fa, sol, la – con tre possibilità di traspo-
sizione, per un totale di quattro forme. Una delle sue caratteristiche è la mancan-
za del tono intero e del tritono. Possiamo ottenere un Costrutto anche pensando
a tre note poste a distanza di 3a Magg. con le rispettive 5e, come do-sol, fa-do,
19. Un esempio di questa situazione si trova nell’analisi, attribuita a Simon, del n. 143 del Mikrokosmos di
Bartók [Haas 2011]. Le Funzioni, scrive Haas, «hanno la forza scivolosa dell’ambivalenza» [die gleitende
Kraft des Umdeutens] perché «ogni suono può anche far parte di altro» [2004, 32]. Nella descrizione,
peraltro assai elegante, che Lerdahl fa dello spazio ottatonico, manca invece una differenziazione (intra-
regionale) analoga a quella tra note-F e note-Q [Lerdahl 2001, 252 seg.]. Inoltre, l’ambiguità che egli
sottolinea si rivolge tutta sul versante di un possibile grado di “tonicità” di questi spazi, trascurando però
quella particolare ambiguità che si instaura tra le regioni (la “scivolosità” di Haas). La stessa misurazione
delle distanze fra le regioni, basandosi sui medesimi criteri con cui si misurano gli spazi tonali tradizio-
nali, sembra non poter cogliere una specificità che è nell’ordine qualitativo più che quantitativo.
20. Descrivendo un analogo materiale di tipo simmetrico, Lendvai scrive che «concetti come “sopra” e “sot-
to” diventano quasi privi di significato» [1979, 75]. La perdita del centro è un fenomeno che, sul finire del
periodo di cui ci stiamo occupando, riguarda tutte le arti. Per Hans Sedlmayr «tanto nell’architettura
quanto nella pittura si nota, nella sorprendente comparsa di forme capovolgibili, la tendenza a eliminare
la differenza fra “sopra” e “sotto”» [1983, 82]. Il proliferare di prospettive annulla di fatto un orientamento
spaziale, tanto che Schönberg può dire del suo nuovo sistema: «non v’è, in assoluto, sopra o sotto, destra
o sinistra, avanti o dietro» [1975, 115]. A sua volta Nietzsche si fa portavoce di una perdita di respiro
epocale (che a noi ricorda la morte della tonalità monocentrica): «Che mai facemmo a sciogliere questa
terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli?
Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un
alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?» [Nietzsche 1967, aforisma
125]. Queste testimonianze rendono assai discutibile lo strenuo tentativo di difendere una visione mo-
nocentrica della struttura tonale.
21. Lerdahl rileva una singolare coincidenza tra un certo uso dello spazio tonale usato da Wagner nel Parsifal
– ad esempio il ciclo delle 3e minori – e la frase di Gurnemanz “Vedi, figlio mio, qui il tempo diventa
spazio” (Du sieh’st mein Sohn, zum Raum wird hier die Zeit) [Lerdhal 2001, 137].
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
la-mi; oppure, in alternativa, a una triade maggiore e una triade minore a distan-
za di 3a Magg. inferiore, come Fa Magg. e Do min. Altra forma di articolazione
del Costrutto è la coppia di triadi eccedenti a distanza di semitono, di 3m o di 5a
(ad esempio, do-fa-la e do-mi-sol).
Componendosi di soli sei suoni, il Costrutto tende a completarsi con il suo
complementare fino a formare un totale di dodici suoni. Indicando con Ia la col-
lezione do, do, mi, fa, sol, la, il suo completamento Ib sarà composto dalle note
re, mi, fa, sol, la, si. Il fatto di completare il totale cromatico, tuttava, non impli-
ca che le due collezioni rendano disponibili tutte le triadi. Un Costrutto può in-
fatti dar luogo solo a tre triadi (maggiori o minori), e con il suo complementare si
giunge a sei. Per arrivare a tutte le dodici triadi occorre una seconda, differente
coppia di Costrutti, denominati IIa e IIb. L’Esempio 2 mostra le due coppie di
Costrutti sia in forma scalare che nella disposizione per 5e.
Es. 2. Costrutti.
Il Costrutto è un Campo dal forte impatto percettivo. Il suo stesso nome sug-
gerisce l’idea che i suoni siano tenuti insieme, co-stretti l’uno con l’altro, forman-
do aggregati che difficilmente si troverebbero vicini in un contesto tradizionale.22
In ciò si contrappone alla Funzione, che è invece il Campo che più si avvicina al
gioco delle relazioni tonali.
Polth parla esplicitamente di “effetto di Costrutto” [Konstruktwirkung] per
sottolineare le sue qualità particolari. Anche Robert Cohn – che, da una prospet-
tiva neo-riemanniana, chiama tali relazioni Sistemi Esatonici [1996, 18] – ha pun-
tato l’attenzione sul loro “potere significante”.23 Questo è uno degli aspetti di
maggiore vicinanza con la teoria di Simon anche se, ad uno sguardo più attento,
22. In Schenker si trovano pochi esempi di questa struttura e comunque, laddove è presente, viene interpre-
tata come una tripla appoggiatura [1979, Fig. 100-2a; Haas 2004, 31].
23. Cohn dichiara di voler esplorare «le proprietà sintattiche che provocano il potere significante dei poli
esatonici», laddove la sintassi diventa l’agente primitivo e il “potere significante” l’agente secondario
[2004, 288]. Egli applica in modo particolarmente interessante la sua teoria all’analisi della Sonata D. 960
di Schubert. La pregnanza “perturbante” (Unheimlich) della relazione tra una triade maggiore e una mi-
nore, posta una 3a Magg. sotto, è stata rilevata anche da Lendvai, che evidenzia in essa la presenza di un
simbolismo legato all’immagine della morte e del sangue nella musica di Bartók [1979, 83].
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Antonio Grande
24. Tra gli elementi di contatto, ricordiamo che Cohn si propone di: a) non posizionare gli accordi rispetto
ad un centro tonale; b) applicare una concezione “reticolare”, più che gerarchica, di relazioni armoniche.
Nella sua analisi della Sonata D. 960/I di Schubert, inoltre, egli tratta i cicli esatonici (che chiama regioni,
e che per noi sarebbero dei Costrutti) come funzioni, avvicinandosi molto all’approccio di Simon. Tut-
tavia, scrive Rohringer, «già la circostanza che Cohn non possa far corrispondere nulla al Costrutto IIa
– una quarta funzione non esiste – pone degli interrogativi sulla fondatezza del suo sistema» [Rohringer
2009, n. 48]. In effetti Cohn sorvola sulla questione, scrivendo che «per i nostri scopi, la quarta regione
può rimanere senza nome» [2012, 219].
25. In Beethoven troviamo un “ciclo” completo nell’op. 24/II, tra le bb. 37 e 54. Un altro esempio assai famo-
so, nell’op. 57 (bb. 67-87), viene interpretato in senso schenkeriano come espansione di un accordo da
Aldwell e Schachter [2003, 611-612] .
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
26. Nel suo ultimo libro Cohn discute, tra l’altro, le difficoltà teoriche legate alla presunta presenza di una
“doppia sintassi”. La questione – che storicamente si riferisce, per lo più, alla coppia diatonico/cromatico
o tonale/atonale, ma può riguardare anche il nostro caso – si articola lungo due direttrici: un’obiezione
di tipo ontologico e una cognitiva. La prima si interroga sulla possibilità che un opera di alto valore este-
tico possa mancare di unità organica distribuendosi su due sintassi; la seconda è invece scettica sulla
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Antonio Grande
Serie di Quinte
La possibilità di superare certe qualità “rigide” degli oggetti teorici tradiziona-
li – gli accordi, le cadenze, ecc. – è messo bene in luce dal terzo tipo di CdN, la
Serie di Quinte [Quintenreihe, d’ora in poi Sd5], basato sulla semplice seriazione
di quinte a partire da una nota qualunque. Perché abbia senso, o possa risultare
di una qualche utilità, il numero di suoni in questo CdN può variare da tre a no-
ve.27 Il più piccolo è il Tritono [Triton] – ad esempio do, sol, re –, il più grande
l’Enneatono [Enneaton] che, con i suoi nove suoni, contiene anche la 4a dimi-
nuita e la 5a eccedente. Anche in questo caso vi possono essere forme di articola-
zione differenti che fanno apparire il Campo in modi diversi: un Esatono [Exa-
ton], ad esempio, oltre che in forma scalare può mostrarsi come combinazione di
una triade maggiore e una triade minore posta un tono sopra.
Nella musica del secondo Ottocento e del primo Novecento accade spesso che
i suoni si raggruppino in insiemi da cogliere nel loro complesso, come una parti-
colare selezione di materiale, piuttosto che nella forma di oggetti (armonici) ben
definiti e separati da una rigorosa distinzione tra note dell’armonia e note estra-
nee. In un ambiente di questo genere gli accordi “svaporano” in un’area più estesa
che li avvolge. Polth discute con grande efficacia il concetto, mostrando la figura
di accompagnamento con cui si apre l’Impromptu n. 3 op. 34 di Fauré (cfr. Esem-
pio 4). Ascoltando quell’inizio, scrive Polth, non si può dire «se si tratta di due
accordi differenti (La Magg. e Si min.) o di un accordo di La Magg. con tre
note di volta. Il raggruppamento di note in un singolo aggregato instabile è senza
dubbio il risultato di un’intenzione estetica. Pertanto, se si cerca di “disambigua-
re” i sedicesimi in un senso o nell’altro (e dunque di differenziare un primo accor-
do da un secondo, o di distinguere fra note reali e note estranee all’armonia),
questo inizio perde il suo singolare fascino» [Polth 2006a]. Ciò che si coglie all’a-
scolto è piuttosto l’agire di un Campo, all’interno del quale l’insieme dei suoni
acquista quel particolare senso. Tale Campo è per Simon una Sd5 e precisamente
un Esatono, che viene denotato indicando il primo e l’ultimo dei suoi suoni, in
queto caso re/do (ossia re, la, mi, si, fa, do).
possibilità che la cognizione umana possa saltare facilmente da una sintassi all’altra [Cohn 2012,
199-201].
27. In tal senso la Sd5 ha una flessibilità intrinseca in quanto, diversamente dagli altri due tipi di Campi, non
ha un numero standard di note, e dunque nemmeno una completezza. Per una discussione teorica sui
limiti di estensione dei CdN si rimanda all’articolo di Dres Schiltknecht [2011].
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
È ben noto, d’altra parte, come alcuni repertori (pensiamo a Debussy) si pos-
sono pensare più efficacemente secondo una prospettiva scalare piuttosto che
armonica. In tal senso, le scale intese come contenitori di possibilità sonore sono
il risultato di modalità stilistiche di fine Ottocento e inizi Novecento poi conflu-
ite in pratiche assai consolidate, prime fra tutte il jazz.28 Il motto dell’improvvisa-
tore, «ricorda di pensare alla scala, non all’accordo » [Levine 1995, 127], riassume
bene l’idea di una struttura primitiva e generativa di senso che non è solo il luogo
delle note possibili, ma anche quello dei colori e delle particolari “pieghe” del
materiale che verranno a riflettersi anche nella dimensione verticale.
Rispetto alle tradizionali scale, tuttavia, le Sd5 hanno una flessibilità maggiore,
dal momento che possono generare aggregati di dimensioni sia inferiori a sette
suoni – dal Tritono all’Esatono – che superiori.29 La prospettiva tradizionale
guarda alla scala come a una riserva di materiale che si attualizza in varie forme,
privilegiando un livello di superficie: perché abbia senso deve essere completa,
quanto basta per essere riconoscibile. Le varie forme di Sd5 – soprattutto quelle
più riconducibili alle scale tradizionali come l’Esatono, l’Ettatono e l’Otta-
28. Tymoczko distingue tra brani con priorità di accordi e quelli con priorità di scale. A seconda dei casi,
ciascuna dimensione viene a dipendere dall’altra [2011, 308 seg.].
29. Polth ammette anche la possibilità di far rientrare in questo Campo, tramite opportune alterazioni, altri
aggregati della musica di tradizione tonale in cui si riconosce la presenza della scala minore armonica.
Prendiamo l’Esatono fa/mi, cioè fa, do, sol, re, la, mi. Alterando i suoni estremi della serie in senso
ascendente e discendente, le quinte giuste diventeranno diminuite, ossia fa, do, sol, re, la, mi, determi-
nando l’Esatono armonico rispetto a Sol min. Se aggiungiamo una quinta sopra (si) oppure una quinta
sopra e una sotto (si e si) si ottengono rispettivamente l’Ettatono armonico rispetto a Sol Magg. e
l’Ottatono armonico rispetto a Sol min. [Polth 2011].
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Antonio Grande
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
Optare per l’una o per l’altra soluzione, tuttavia, secondo Polth significa non
comprendere che l’ambiguità è parte integrante dello stile del Tristan. Nell’uni-
verso dei CdN la differenza tra note reali e note estranee è abolita: sol e la, come
pure la e si, fanno parte del medesimo Campo Funzione (S e D rispettivamente).
Questo non comporta un appiattimento, perché la teoria è ancora in grado di
differenziare i due suoni (sol e la), ma lo fa a modo suo: il sol è nota-F, il la nota-
Q di un medesimo Campo Funzione. In sostanza, osserva Polth, i CdN hanno
una contiguità con le funzioni tradizionali ma le superano in completezza ed
estensione; impedendo, al contempo, che vi siano demarcazioni troppo definite
[2006a, 173].
L’aspetto più rilevante – non solo da un punto di vista analitico, ma anche epi-
stemologico – è la particolare vocazione dei Campi a relazionarsi fra loro; da que-
sto punto di vista si riscontrano differenze notevoli rispetto a teorie che pure si
sono occupate di spazi tonali alternativi. In Lerdahl, ad esempio, l’innegabile
carattere tassonomico del suo impianto si traduce in una prospettiva che di fatto
sottolinea la distanza, piuttosto che la relazione. Il suo concetto di iper-modula-
zione, con cui indica il passaggio da uno spazio ad un altro (ad esempio dall’esa-
tonico al diatonico), si declina essenzialmente attraverso una descrizione dei cri-
teri che misurano le “distanze” a cui sarebbe sottoposto l’ascoltatore [2001, 280
seg.]. Nella teoria di Simon non troviamo un concetto come la modulazione, per-
ché – proprio in funzione della specificità dei materiali di cui tratta (la simmetria
interna, ad esempio) – prevale un approccio orientato alla relazione fra i Campi e
alle possibilità con cui si possono intersecare. La cognizione, in Lerdahl, si gioca
sullo scarto tra differenze, mentre invece in Simon è la sfida di un possibile incon-
tro. Il paradigma psicologico del primo è nell’ordine delle quantità, quello del
secondo nell’ordine delle qualità. In senso epistemologico, si può concludere che
Lerdahl si confronta con un concetto, la modulazione, che resta immutato anche
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Antonio Grande
32. Rosen ha scritto pagine illuminanti sulla trasformazione della modulazione nel passaggio dall’età classi-
ca a quella romantica. I compositori nati intorno al 1810 «riconcepirono la modulazione non come cre-
azione di un polo opposto, bensì nella forma di una coloritura cromatica della tonica iniziale» [2005,
287]. Questo fenomeno si verifica perché viene a cadere una gerarchia di tipo “rigido” delle relazioni
diatoniche, «barattata con una nuova concezione del continuum cromatico secondo la quale accordi di
abbagliante varietà potevano vicendevolmente mescolarsi in un caleidoscopico, reciproco scambio di
energia. Non solo ciò offrì inedite possibilità armoniche, ma anche un’inedita e molto più fluida conce-
zione del ritmo e del tempo» [ibid., 295].
33. Anche Messiaen parla di modulazione di “un modo verso se stesso” e di “un modo verso un altro modo”,
ma non fornisce indicazioni più precise sul significato di questa operazione [Messiaen 1999, 96 seg.].
34. Deleuze e Guattari affiancano le strutture rizomatiche a quella dell’albero-radice [2006]. L’albero, come
modello gerarchico, ha dominato l’Occidente, e con esso il metodo scientifico. Ma il pensiero non è ar-
borescente, e il cervello è piuttosto una molteplicità che si apre «ad un sistema probabilistico incerto»
[ibid., 50]. La non-struttura rizomatica ben si adatta ai nostri spazi simmetrici senza alto e basso, con le
loro possibilità di connessione: «un rizoma non inizia e non finisce, è sempre nel mezzo» [ibid., 62].
35. In merito alle nostre facoltà cognitive, il fatto che la teoria possa farsi interprete di ipotesi convenzionali,
contribuendo ad avallarle, è un problema epistemologico da non trascurare; queste ipotesi perderebbero
infatti il loro abito oggettivo, per diventare strumento del “discorso” scientifico (in senso foucaultiano).
In tal senso pensiamo di dover cogliere l’annotazione di Tymoczko, secondo cui il basic space di Lerdahl
«ci spinge a una comprensione relativamente tradizionale della relazione tra scala, macroarmonia, cen-
tricità» [2011, 425].
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
36. Si riconoscerà, da questa intersezione, l’emergere di un aggregato Magg./min. assai frequente nella mu-
sica di Bartók e studiato da Lendvai [1979, 40].
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Antonio Grande
3. Applicazioni analitiche
Uno degli compiti più delicati di cui oggi l’analisi musicale dovrebbe farsi carico,
è quello di chiarire i rapporti tra i due universi della tonalità-Ursatz e della tona-
lità-CdN. Entrambi i sistemi, scrive Haas, «mostrano di coesistere nella medesi-
ma opera in modo ancora inesplorato» [2004, 10, n. 2]. La questione investe nel
profondo la dimensione epistemologica della disciplina, che deve interrogarsi
sulla legittimità di integrare fra loro differenti prospettive. La tonalità dei CdN,
delineandosi in una prima fase all’interno della tonalità tradizionale, si serve dei
suoi dispositivi declinandoli però secondo un differente orientamento. Ad esem-
pio, i CdN nascono a ridosso del procedere delle voci, ma il concetto di voce non
fa parte, in sé, del mondo dei CdN: serve allora una giusta messa in prospettiva
dei due diversi programmi.
Brahms, op. 76 n. 7
Un caso caratteristico studiato da Polth, che mostra l’insediarsi di tipiche ma-
nifestazioni di CdN all’interno di una struttura saldamente tonale, è l’op. 76 n. 7
di Brahms: nella fattispecie, emerge il Costrutto Ia (cfr. Esempio 2) suddiviso in
due momenti nel pezzo, uno iniziale alle b. 7-9 e uno finale, alle b. 36-37. Sebbene
il Costrutto sia poco compatibile con la tonalità convenzionale, in questo pezzo i
due universi sembrano convivere efficacemente.
Il Costrutto Ia si compone delle quinte la-mi/do-sol/fa-do, dove la prima
quinta ha un ruolo preponderante, dal momento che il pezzo è in La min. (in
senso tradizionale). A livello profondo, fa notare Polth, tale quinta si unisce di
volta in volta alla quinta fa-do nella fase iniziale, e alla quinta do-sol in quella
finale. A livello medio, a questi quattro suoni se ne unisce un quinto, realizzando
forme incomplete (di 5 suoni) dell’unico Costrutto che caratterizza il pezzo. Alla
coppia la-mi/fa-do si abbina il sol, alla coppia la-mi/do-sol il do naturale. È inte-
ressante notare come il Costrutto, a b. 13, emerga in modo del tutto autonomo
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
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Antonio Grande
37. Precisiamo che la scelta di chiamare T proprio questa Funzione ha il solo scopo di mettere in relazione i
CdN con la tonalità tradizionale, dal momento che questo pezzo si sviluppa in una possibile tonalità di
Fa Magg./min.
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
il CdN fosse una semplice collezione di note si potrebbe contestare che è troppo
facile andare a prendere note qua e là, finche non si trova ciò che si vuole. Ma il
punto è un altro: l’obiettivo è quello di volersi calare nell’immagine sonoriale del
pezzo, enucleando quei complessi di note che si presentano di volta in volta in
rilievo. È indubbio che quelle tre note, seguite da una pausa, assumono una certa
rilevanza. Questa riflessione potrebbe anche tradursi in un’indicazione esecutiva
per il pianista: “fai in modo che queste note rimangano scolpite nella mente
dell’ascoltatore, come il biglietto da visita del pezzo”. Ma come si completa il Co-
strutto? Dobbiamo arrivare a b. 39 per trovare le tre note rimanenti di livello pro-
fondo: do-mi-la. Con ciò non si vuol affermare, ovviamente, che l’ascoltatore
sappia collegare mentalmente questa triade con le tre note iniziali, ma solo che
questa triade ci riporta a un’immagine sonoriale di cui abbiamo già fatto espe-
rienza all’inizio, e che ora si viene a completare.
In definitiva, in questo pezzo il Costrutto si articola per mezzo di due triadi
eccedenti, una espressa in successione, l’altra in forma di accordo. Questo dimo-
stra che la teoria di Simon non è né scalare né accordale, ma si sviluppa su un
piano che coinvolge entrambe le dimensioni e le supera, dal momento che i ma-
teriali vengono scelti e selezionati in base al singolo contesto e al modo in cui essi
si manifestano (si “articolano”). Tutto questo avviene sempre con il controllo
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Antonio Grande
38. Sul piano teoretico questa considerazione è cruciale: mentre la teoria armonica tradizionale è fatta di
accordi come oggetti a priori di cui essa parla, qui la formazione accordale è un oggetto a posteriori. Più
precisamente è il risultato di ciò che la teoria – in quanto “discorso dell’ascolto” – rende pertinente come
aggregato fenomenologico di quel momento. Non vi sono insomma delle “dimensioni” rigidamente in-
tese che la teoria assume in quanto tali (il lineare e il verticale) come fa, ad esempio, lo schenkerismo.
Qui, lineare e verticale sono ”possibilità” che, per diventare operative, devono manifestarsi e acquistare
senso nelle singole fattispecie d’ascolto.
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
Un terzo CdN che opera all’interno del pezzo è la Funzione Tonica (fa-la-do-
re), usata in forma incompleta (mancano do e sol). Anche questa Funzione, come
accade per l’Esatono, si può riferire a due triadi che ne esemplificano l’articola-
zione: Re min. e La Magg. La prima è quella che abbiamo già trovato nell’Esa-
tono, mentre la seconda viene ampiamente esposta tra le bb. 21-27. Si formano
così alcuni nodi strutturali intorno ai “rappresentanti” dei tre Campi operativi: la
triade aumentata iniziale si-re-fa (α), quella di Re min. (β), quella di La Magg.
(γ) e quella aumentata di b. 39 (δ, ossia do-mi-la). In particolare, β e γ si corri-
spondono nella Funzione T, α e δ nel Costrutto IIb.
Ma cosa troviamo in mezzo? Tra β e γ (bb. 9 e 21) vi è un “percorso cornice” in
cui si “srotola” – per usare un’efficace espressione di Haas – un Ottatono, pre-
cisamente il la/la con le triadi di Re min. (bb. 1-8), Si Magg. (9), Sol min. (13),
Mi Magg. (17), e infine La Magg. (21). Il percorso è abbastanza particolare: se vi
fosse un Dom, le triadi sarebbero tutte a distanza di 3a discendente, di volta in
volta minore e maggiore; la mancanza di Do min. è dovuta alla presenza di una
nota pedale che è proprio il do.
Nel percorso tra γ e δ (bb. 25 e 37) viene invece incastonato l’Esatono la/sol
che si articola nelle quinte la-mi (b. 25), si-fa (33), do-sol (37) secondo una suc-
cessione “autentica”, ossia di discesa di quinta. Ricordiamo infatti che la Funzio-
ne T comprende, tra le sue quinte, la-mi, mentre la Funzione S comprende si-fa
e la D do-sol. È degno di rilievo il fatto che Haas isoli le 5e giuste al canto, poiché
esibiscono una particolare presenza sonoriale che viene a rappresentare una pre-
cisa forma di articolazione del Campo. Non si occupa invece delle 3e di quegli
accordi, cioè del re e del mi, che pure sono presenti; quelle note si correlano con
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Antonio Grande
altri Campi, tutti di cinque note. In questo segmento di dodici misure (da bb. 25
a 37) si concentra dunque una densa rete di relazioni in cui le Sd5 si intersecano
con la logica delle Funzioni. L’Esempio 12 può esserci di aiuto nel rilevare che:
tra le triadi contigue La Magg. e Fa Magg. (bb. 25-28) compaiono cinque note
di una Funzione di T (mancano do, re e sol);
tra Fa Magg. e Si Magg./min. (bb. 29-33) compaiono cinque note di un Esa-
tono si/la (manca il sol);
tra Si Magg. e Mi Magg./Min. (bb. 33-35) compaiono cinque note dell’Esato-
no mi/re (manca il do);
tra le ultime due triadi, Mi Magg./Do Magg. (bb. 35-37) compare ancora una
Funzione (sempre di cinque note) ma in questo caso di tratta di una D, mancante
di sol, si e re.
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
zione, abbiamo chiamato il “discorso della crisi” – occorre tuttavia cambiare pro-
spettiva e cercare di interpretare gli eventi all’interno di nuovi modelli
concettuali.
Ottimi esempi, sotto questa profilo, sono le costruzioni sonatistiche di Schu-
bert, che non a caso sono state oggetto di ampie discussioni e interpretazioni: da
un lato per sottolineare gli elementi di “stranezza” e irregolarità, ascrivendoli alla
tipica irriverenza romantica verso norme e convenzioni; dall’altro per cercare di
normalizzare gli aspetti più “devianti”, riportandoli entro le coordinate dell’orto-
dossia tonale. La legittimità di tali operazioni, tuttavia, è tutt’altro che scontata.
Su questi delicati argomenti si sofferma, con un’ampia discussione, l’articolo
di Stefan Rohringer [2009]. Partendo dal presupposto che nel corso dell’Otto-
cento si è realizzato un vero e proprio cambio di paradigma – dall’Ursatz schen-
keriana alla piena operatività della “nuova tonalità” di Simon – egli discute il di-
sallineamento tra forma e funzioni armoniche che si verifica nella musica di
Schubert e, nella fattispecie, nel primo tempo del Trio per pianoforte D. 898 in Si
Magg. Nelle sonate di questo autore il percorso convenzionale tra tonica e domi-
nante, pur continuando ad essere operativo, si articola in modo più complesso,
spesso con l’appoggio di una tonalità intermedia. Come integrare questa devia-
zione all’interno di una teoria coerente? In ambito schenkeriano si può far ricor-
so al concetto di “divisore” assegnato al III grado, ma nel Trio in oggetto la que-
stione non è di facile soluzione: la tonalità di Re Magg. (III grado), raggiunta nel
corso dell’Esposizione del tema principale (b. 18), torna indietro a Si (cfr. Esem-
pio 13). Dopo una Transizione accidentata si tocca la tonalità di La Magg. (b. 49)
che ha tutta l’aria di essere una dominante, e che sfocia più avanti nel tono secon-
dario di Fa Magg. (b. 59), con una cadenza che potremmo definire di 3a piuttosto
che di 5a. Il problema, però, è che la tonalità secondaria era già stata raggiunta a
b. 37, prima della Transizione – e dunque smorzando, o snaturando, l’efficacia
funzionale di questa sezione. L’area secondaria (di Fa Magg.) si arricchisce poi di
una tonalità non certo vicina, La Magg. (b. 85), prima che l’Esposizione si chiu-
da. Altri elementi inconsueti riguardano la Ripresa che si apre (o almeno così
sembra) a b. 187 nell’imprevedibile tonalità di Sol Magg. che, a sua volta, si dirige
verso Re Magg. per tornare poi alla tonalità d’impianto. Anche qui, come nell’E-
sposizione, l’area che precede l’arrivo del tema secondario (questa volta nella pre-
vista tonalità di base) è in Re Magg., con successiva cadenza sempre di 3a (Re
Magg. → Si Magg.) piuttosto che di 5a.
Tralasciamo, per ragioni di spazio, la discussione di Rohringer sulla letteratura
analitica che cerca di far fronte a tali incongruenze strutturali e vediamo come un
cambio di rotta possa invece restituire un percorso di senso alla macrostruttura
schubertiana. Di fatto, nel periodo tonale si constata una graduale alterazione del
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Antonio Grande
39. Che un differente inquadramento teorico istituisca nuovi oggetti e ne cancelli altri è un problema ben
noto in ambito scientifico. A proposito del contenuto di verità delle varie geometrie non euclidee, scrive
Agazzi: «si è stati indotti a riconoscere che non è la stessa retta quella di cui si afferma, rispettivamente,
che ammette una sola, nessuna o parecchie parallele». Ciascuna di queste considerazioni può «essere
considerata vera, purché la si riferisca al “mondo” geometrico che le è appropriato» [2012, 107]. Ogni
cambio di paradigma richiede la capacità di rapportarsi a un mondo cambiato, come ha sottolineato
Kuhn con un pizzico di humor: «Quello che nel mondo dello scienziato prima della rivoluzione erano
anatre, appaiono dopo come conigli» [1978, 168-169].
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
damentale della “nuova” dominante qui rilevata (La magg.) diventa 3a della tona-
lità secondaria.40
Anche il passaggio a Re Magg. di b. 198 implica un primo ritorno alla tonica:
esso va interpretato come un “dondolare” (un beccheggio [Kippbewegung], scrive
Rohringer ) intorno a Si Magg., una diversa “visuale” della medesima Funzione.
A sua volta il Sol Magg. di b. 187 viene interpretato da Rohringer come una Ri-
presa delle sottodominanti.
Ma ecco che entrano in scena gli altri CdN: nello Svolgimento si osserva una
successione di 3e maggiori che possono essere interpretate come un Costrutto, il
IIa (do-mi-la). Il Costrutto è un Campo particolare: dal momento che ciascuna
delle sue tre 5e appartiene ad una diversa Funzione, può diventare luogo di inter-
sezione di differenti Funzioni, e ciò si riflette anche sul piano delle relazioni gene-
rali. Lo Svolgimento è costruito su uno dei poli sintattici di un sistema relaziona-
le che lo “chiama” a interfacciarsi con il suo complemento, il Costrutto Ia, presente
nell’Esposizione. Quest’ultimo si esprime a ridosso del tema secondario dove,
come si è visto, si manifestano in successione le tonalità di La Magg. (b. 49) e Fa
Magg. (b. 59) che, espresse in forma di triadi, ci restituiscono cinque delle sei
note del Costrutto. Manca solo il la che giungerà a b. 77, con la fine dell’Esposi-
zione. Ma un altro Costrutto, il IIb, si associa alla triade di tonica (intesa in senso
tradizionale): il discusso Re Magg., su cui si articola il tema principale, si connet-
te infatti con la triade di tonica producendo cinque dei sei suoni di IIb. Il suono
mancante, re, si avrà con l’inizio dello Svolgimento (la terza della triade di Si
min.). In questa prospettiva anche il Sol Magg. all’inizio della Ripresa (b. 187)
acquista un significato di livello medio, poiché viene a completare il ciclo di Si-
Re dell’Esposizione. A questa triade, dunque, si può riconoscere non solo un va-
lore di Funzione ma anche di Costrutto. Non è invece presente, all’interno del
pezzo, il Costrutto Ib.
Altra struttura importante è l’Ottatono la/la che, secondo Rohringer, è
uno dei due CdN del livello profondo. La sua rilevanza emerge sin dall’inizio: la
triade di Si Magg. con l’aggiunta del sol (nota di volta, a b. 2), insieme alla triade
del II grado (Do min.), al la di b. 9 e al la naturale di b. 10 formano complessiva-
mente otto suoni. Il la, peraltro, avrà un ruolo significativo anche nella Coda.
Anche in questo caso l’Ottatono non è una scala articolata in senso tradiziona-
le, ma qualcosa di completamente nuovo: una piattaforma dalla quale si diffon-
dono i vari suoni di superficie.
40. Resta comunque, almeno in questa fase, un forte legame tra i due programmi (quello dell’Ursatz e quello
dei CdN): dal punto di vista di Rohringer, questo non significa che entrambi convivano meramente
nell’opera, né che solo uno dei due detenga il controllo delle relazioni del pezzo [2009, 297]. Si tratta,
sicuramente, di una sfida decisiva per il futuro dell’analisi musicale.
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Antonio Grande
Infine la Coda (da b. 289) – con la sua discesa per 3e, da Si a Sol, Mi, Do e La
– si adagia lungo un itinerario di Sd5 che, con l’aggiunta del Fa (in cui si trasforma
il La prima di approdare al Si di b. 309), determina l’Ettatono la/re, esteso
all’Ottatono la/la (con la sensibile la, a b. 309), per poi chiudere sull’Ettato-
no mi/la.
Va ricordato che, in un’ottica simoniana, la sezione conclusiva non viene inter-
pretata come un “fine” (télos), ma piuttosto come una “retrospezione”. Questa let-
tura è ben esplicitata dal “conseguente” della struttura del tema secondario (bb.
257-262), che riassume i Campi delle tre Funzioni implicate come se si trattasse di
un’azione di “recupero” nella memoria. Vi rileviamo, infatti, tre 7e diminuite con
successive risoluzioni (bb. 258-259, 259-260 e 260-261): «ciascuno di questi accor-
di può essere inteso come una serie di note-F di una delle tre Funzioni, integrate
con due note-Q attraverso gli accordi di volta in volta successivi» [Rohringer
2009, 301]. Ad esempio, il gruppo fa-la-do-mi di b. 258, integrato con si e sol
della sua risoluzione, produce S (sei suoni su otto). Analogamente, gli aggregati
successivi producono D e poi T. L’Esempio 13 propone un grafico riassuntivo che
mostra l’integrazione di Funzioni e Costrutti nell’Esposizione e nello
Svolgimento.
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
4. Prospettive di analisi
Soffermiamoci ora sullo Scherzo n. 2 op. 31 di Chopin, un pezzo che ha creato
non pochi problemi all’analisi convenzionale per la sua insolita struttura tonale:
si pensi, ad esempio, all’accostamento tra il Re Magg. e il La Magg. delle sue due
sezioni principali. Schenker interpreta la particolarità di questo pezzo con una
riduzione analitica – la Fig. 102/6 di Der freie Satz – dagli aspetti quantomeno
insoliti. Il La Magg. della seconda sezione (da b. 265) – che egli interpreta diato-
nicamente, come un VI abbassato (ossia Si) – viene investito di un ruolo parti-
colare: non solo il basso riceve un’espressa indicazione di grado – con un VI5 –
ma, come ha rilevato Kopp, Schenker ammette «la presenza di note cromatiche
sia nell’arpeggio principale del basso che nell’Urlinie» [2002, 114-116]. Insomma,
qualcosa di secondario – una sovrastruttura cromatica – viene elevato al rango di
evento strutturale: anche a costo di forzare i limiti della sua teoria, continua
Kopp, Schenker è costretto a riconoscere il ruolo primario di un evento che in
linea di principio sarebbe estraneo all’impianto tipicamente diatonico della sua
costruzione teorica. Purtroppo la mancanza di un grafico di livello profondo ci
impedisce di cogliere pienamente come egli vedesse l’intera struttura, ma ciò che
abbiamo è già sufficiente per rilevare l’emergere di nuovi nodi strutturali.
Se proviamo infatti a leggere il pezzo in un’ottica diversa, possiamo subito no-
tare il ruolo giocato dai due ordini di terze – minori e maggiori – che ruotano
intorno al Re. Già nelle prime 46 misure, che fungono da introduzione, il Re
viene affiancato dalla sua 3a min. (Si) e dalla sua 3a Magg. (Fa). Se l’accordo di
Fa, nella sua versione maggiore (b. 18), può leggersi come dominante di Si, qual-
che battuta dopo, volto in minore, (bb. 38-43), acquista un ruolo più indipenden-
te. Ma è con l’inizio della seconda sezione, su un inatteso La Magg. (b. 265), che
41. Rohringer sembra disposto a concedere un significato formale al processo di “compimento”. Scrive, in-
fatti, che un procedimento «ottenuto con il completamento o l’eliminazione di un CdN, può conferire
alla drammaturgia formale un carattere processuale» [2009, 299]. Polth, da parte sua, cerca invece di
mantenere separati i due domini (CdN vs temporalità) quando afferma: «Anche il fenomeno, talvolta
osservato, secondo il quale il completamento successivo di un CdN appare come un processo finalizzato
[zielgerichteter Prozeß], non si basa su una caratteristica generale dei CdN, ma su un [loro] impiego par-
ticolare» [Polth 2011]. L’osservazione va messa in rilievo anche per evitare fraintendimenti con quanto
avviene in approcci solo apparentemente simili, come quelli sviluppati in un’ottica neo-riemanniana. Ad
esempio Michael Siciliano, analizzando Der Jungling und der Tod di Schubert, vede nel compimento del
ciclo trasformazionale (nella fattispecie una catena di RP) proprio il fattore che ci aiuta a capire che il
pezzo ha raggiunto la sua fine, invece del suo semplice interrompersi [Siciliano 2005, 97].
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Antonio Grande
42. È difficile inquadrare in senso sistematico una “cadenza” in Fa Magg. a sole sei battute dal termine. Ro-
sen, rilevando l’anomalia, scrive che «intorno al 1840, l’impatto di una tale soluzione armonica non era
ancora divenuto consueto, ma poteva venire accettato con facilità» [2005, 288]. In altri termini, l’anoma-
lia viene giustificata chiamando in causa la maggiore disponibilità dell’ascoltatore del tempo ad accettare
situazioni armoniche che prima sarebbero state ritenute “impossibili”. Ma ad una teoria si chiede dell’al-
tro: e cioè che sappia dare un senso a un presunto disordine, per quanto attraente possa apparire.
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
lettura basata sui CdN è in grado di dar senso a un procedimento armonico altri-
menti interpretabile solo in base all’estro momentaneo del compositore.
Possiamo riassumere la struttura del pezzo come il gioco complementare di
due CdN che interagiscono fra loro e condividono un suono comune, la “tonica”
re/do. L’Esempio 14 illustra schematicamente questa interazione: l’analisi non
si limita a rilevare soltanto la presenza di relazioni di 3a o, più in generale, di geo-
metrie simmetriche, ma riesce a interpretare tali elementi all’interno di una ma-
crostruttura profonda.
5. Conclusioni
Nel chiudere questa rassegna sul pensiero teorico di Simon occorre dare atto alla
comunità scientifica tedesca di aver saputo raccogliere con grande solerzia gli sti-
moli e le preziose opportunità che esso può offrire. Certo, si è solo agli inizi e
molta strada è ancora da percorrere: la sfida, assai stimolante, si apre su diversi
fronti. In prima istanza, già nella letteratura analitica attuale emerge l’esigenza di
un confronto con l’impianto schenkeriano. Oltre al contributo di Rohringer di
cui si è parlato, anche in un’analisi di Haas del Lied Ihr Bild di Schubert si coglie
l’intento di accostare i due programmi [Haas 2004, 70-81]. Deve essere chiaro,
tuttavia, che non può trattarsi di una vera e propria integrazione, perché i due si-
stemi parlano di mondi diversi. Ad esempio laddove Haas, analizzando il Lied,
scrive che «la progressione lineare di 5a [Quintzug] fa, mi, re, do, si (bb. 8-12),
che per Schenker sarebbe l’Urlinie di questo pezzo, viene interpretata come Esa-
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Antonio Grande
tono incompleto mi/re» [2004, 72], mette in relazione due universi differenti da
cui derivano anche altre implicazioni analitiche. Per dirla con Rohringer, egli
classifica «i suoni appartenenti ai CdN di Simon attraverso i procedimenti dell’e-
laborazione compositiva» [2009, 297]. Ma cosa legittima questa “traduzione” tra
i due sistemi? La linea è un oggetto “orientato”, con un suo impulso dinamico,
mentre l’Esatono di Simon – anche nella sua fattispecie lineare – ha una pro-
prietà “diffusiva”, in quanto Campo. Quest’ultimo presuppone un sistema rela-
zionale in cui è assente il moto e, di conseguenza, il tempo lineare.
Al di là delle differenze, tuttavia, è necessario immaginare la possibilità di un
coordinamento tra i due sistemi che possa risultare utile all’analisi, senza dover
riconoscere all’uno o all’altro una “verità” esclusiva. Va riconosciuto, infatti, che
anche nei confronti di pezzi ormai lontani da un impianto monocentrico di tipo
schenkeriano persiste la nostra “abitudine” a pensare, e quindi anche ad ascolta-
re, la musica secondo un ordine teleologico.43
Un secondo fronte si apre poi sulla questione del tempo: occorrerà immagina-
re un concetto di tempo che, per quanto “esterno” all’impianto teorico, offra una
solida base fenomenologica su cui operare. Già in pieno Ottocento molti fattori
vengono a piegare la corsa “progressiva” del tempo: ce l’ha spiegato Meyer [1989,
208 seg.], sottolineando l’impatto provocato dall’emergere dei parametri secon-
dari; lo cogliamo in Schubert, con i suoi “paesaggi formali” basati su un tempo
congelato.44 E persino in Beethoven, modello emblematico di una concezione
“forte” e processuale del tempo, Adorno vedeva agire un tempo dal duplice orien-
tamento – in “avanti” e “indietro” – in cui i punti intermedi della catena tempo-
rale non cancellano i precedenti, ma li trattengono in una cornice di lungo termi-
ne [Schmalfeldt 2011].
Perché non cogliere in tutti questi fattori le premesse di un’idea relazionale di
tempo, dove il “prima” e il “dopo” sono fortemente intrecciati, in un dispiega-
mento del divenire che presto verrà ad assumere connotati spaziali? L’arco tem-
porale si è ormai curvato e, una volta caduta la figura forte del Soggetto romanti-
co – la cui “formazione” (Bildung) implicava un tempo progressivo – potrà aprirsi
lo scenario di un tempo totale e cumulativo, terreno ideale per la rete di relazioni
43. La questione trova riscontro anche in altri ambiti scientifici, come attesta una nota affermazione di Poin-
caré: «Per selezione naturale, il nostro intelletto si è adattato alle condizioni del mondo esterno e […]
ha adottato la geometria “più conveniente” per la specie o, in altri termini, la “più comoda”. Tutto questo
è pienamente conforme alle nostre conclusioni: la geometria non è vera, è conveniente» [1989, 103].
44. L’ipotesi che un tempo di tipo relazionale possa esprimere forme di “permanenza” può sembrare contro-
versa, ma è pur vero che, in pieno Ottocento, certa musica di Schubert ha suggerito l’idea di un tempo
congelato, da cogliere tutto intero. Adorno ad esempio – scrive Burnham – «sviluppa l’idea che la mu-
sica di Schubert offre la verità ripetibile di un paesaggio, piuttosto che la traiettoria processuale di una
storia teleologica. I temi di Schubert, come paesaggi, sono forme di permanenza che non possono essere
fondamentalmente modificati, ma al massimo rivisitati» [Burnham 2005, 40].
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
di una musica che verrà.45 A questo proposito, dobbiamo sottolineare che la forte
componente fenomenologica del programma di Simon configura di per sé una
dimensione temporale. La presa diretta con cui i CdN vengono esperiti – la “du-
rezza” dei Costrutti, la “scivolosità” delle Funzioni, la “morbidezza” delle Sd5 –
apre la strada a una visione della musica che supera i rilievi sintattici e ci consegna
una temporalità che è più “presenza” che passaggio.
Un ulteriore compito della teoria analitica sarà quello di aumentare l’attenzio-
ne sui rapporti tra i CdN e i dettagli compositivi. Il rischio, infatti, è che la discus-
sione sui Campi ci consegni l’immagine di una musica giocata tutta sul piano
delle altezze, contraddicendo la vocazione fortemente uditiva di questo approc-
cio analitico.
D’altra parte, la costruzione di «un nuovo sistema d’ascolto» [Haas 2004, 10]
è forse una delle sfide più impervie che Albert Simon ci ha lasciato in eredità. Ciò
implica un sovvertimento dei parametri della tonalità-Ursatz, fondata su una
struttura profonda di tipo rigido a favore di un sistema di riferimenti che, proprio
per la sua multivalenza, si profila ormai come orizzonte, nel senso fenomenologi-
co del termine.46
Alla fine degli anni Novanta Cohn sottolineava la forza decostruttiva 47 che la
teoria neo-riemanniana poteva esercitare nei confronti delle tradizionali “abitu-
dini di pensiero” [habits of thought]; ad essa doveva tuttavia affincarsi anche un
ruolo construens, che aiutasse a formulare domande propulsive [Cohn 1998, 168].
Un diverso impianto, come quello di Simon, non solo ci pone nelle condizioni di
vedere nuovi oggetti e nuovi eventi; non solo ci invita ad intraprendere nuovi
percorsi di ascolto, ma ci spinge a rimettere in gioco le nostre abitudini di pensie-
ro (i nostri “discorsi”). Per ricucire gli strappi che può provocare – e per superare
gli stalli a cui ci consegna (è il caso del Tempo) – è più che mai necessario uno
sguardo “alto”, filosofico, che sappia indicare una via di senso e stimolare la teoria
a parlare di se stessa.
45. Il tardo Ottocento non solo coglie la fine di un tempo progressivo, me ne interpreta anche il disagio.
L’idea di un télos, di un risultato da raggiungere, affoga così nella disillusione, e Nietzsche potrà scrivere:
«L’elemento comune a tutte queste rappresentazioni è che un qualcosa debba essere raggiunto attraverso
il processo stesso – e ora si capisce che col divenire nulla si ha di mira, nulla si raggiunge» [2001, 12].
46. È stato Lawrence Kramer ad aver introdotto, mutuandolo da Husserl, il concetto di “orizzonte” inteso
come quell’«immediato contesto entro cui l’oggetto prende forma e significato» [Kramer 1981, 193].
Essa va distinto dal concetto di struttura profonda perché non si basa su un presunto fondamento natu-
ralistico e non implica rigidi stati di attesa, cogliendosi invece come approccio fenomenologico alla co-
noscenza. Tuttavia Kramer, contrapponendo l’orizzonte alla “presentazione” (diremmo, di superficie), si
limita ad assegnare al primo il senso di una tonalità tradizionale intesa, in ultima analisi, come vissuto
dell’ascoltatore, come una base di pre-comprensione. Qui si vuole invece indicare la costruzione di un
nuovo vissuto che integri nel proprio orizzonte un sistema di relazioni multicentrico.
47. Il senso dell’espressione è da leggersi nel quadro del pensiero derridiano che, nell’ultimo scorcio del
Novecento, ha avuto una forte penetrazione nella cultura americana, anche in musicologia.
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Antonio Grande
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Antonio Grande
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I nuovi “mondi” di Albert Simon: ipotesi per un’altra tonalità
Abstract
L’opera del teorico ungherese Albert Simon (1926-2000) – musicista assai polie-
drico, direttore d’orchestra e analista – rimane ancor oggi inedita. Di lui si è occu-
pata di recente la musicologia tedesca con un libro di Bernhard Haas, che fu suo
allievo, e con numerosi contributi pubblicati sulla rivista «Zeitschrift der Gesell-
schaft für Musiktheorie». Il saggio presenta le linee essenziali della teoria di Si-
mon – una Nuova Tonalità multicentrica basata su Campi di Note (Tonfelder) –
nell’ampio scenario della teoria musicale occidentale. L’obiettivo è discutere la
legittimità di forme descrittive e interpretative nate nell’ambito di una “prima
pratica” della tonalità rispetto a un repertorio (come quello del romanticismo) or-
mai strutturato su una sua “seconda pratica”. Ciò anche nella convinzione che uno
sguardo teorico ha il potere di far nascere o scomparire gli “oggetti” di cui si occu-
pa: essi infatti – nel senso di Foucault – non preesistono alla teoria, ma ne sono
dirette emanazioni. Oltre a discutere alcune analisi riprese dalla bibliografia di
area tedesca, l’articolo approfondisce le potenzialità di questa prospettiva teorica
mostrando come, a partire da un brano di Chopin studiato da Schenker, la teoria
di Simon sia capace di mettere in luce alcuni aspetti strutturali di rilievo e altri-
menti non riconoscibili.
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