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366.97 M. Giuli, F. Pascucci - IL


Intorno al caff espresso si sviluppato in Italia un sistema di business ampio
ed articolato, al cui centro si collocano le imprese di torrefazione. Queste trasfor- Maurizio Giuli
mano la materia prima il caff verde in caff torrefatto e, sotto varie forme,
lo vendono in differenti canali, ciascuno dei quali presenta proprie specificit e Federica Pascucci
propri fattori critici di successo; nel presente lavoro, lattenzione verter soprat-
tutto sul canale Ho.re.ca. (Hotel, Restaurant, Catering), che costituisce il canale
storico del caff espresso, in cui operano oltre 700 torrefazioni, la maggior parte Il ritorno alla competitivit
delle quali sono di piccola dimensione.
Si tratta di un settore importante del Made in Italy, che in Italia ha raggiunto la
fase di maturit ormai da diversi anni: i mercati esteri rappresentano perci uno
dellespresso italiano
sbocco commerciale strategico, funzionale ad ogni strategia di crescita azienda-
le. Levoluzione che si sta verificando nel contesto internazionale, con lafferma- Situazione attuale
zione di nuovi competitors e la diffusione del consumo di caff anche in Paesi tra- e prospettive future

RITORNO ALLA COMPETITIVIT DELLESPRESSO ITALIANO


dizionalmente lontani a questa bevanda, pongono nuove opportunit ed allo stes-
so tempo nuove sfide alle imprese italiane. per le imprese
Lobiettivo del presente lavoro duplice: da un lato, riflettere sul posizionamen-
to competitivo delle imprese italiane in questo mutato quadro ambientale interna- della torrefazione di caff
zionale, anche alla luce dei vincoli e dei vantaggi derivanti dal contesto naziona-
le; dallaltro, fornire alcune indicazioni per il miglioramento di tale posizionamen-
to in una prospettiva futura.

Maurizio Giuli presidente dellAssociazione Italiana Costruttori Macchine per


Caff Espresso (UCIMAC) e dal 2002 direttore marketing della Nuova Simonelli.

ECONOMIA
Laureato in economia e commercio, ha conseguito il dottorato di ricerca in economia
e gestione delle imprese ed il Master Science in International Business a Londra. Ha
maturato esperienze come export area manager ed ha insegnato economia azienda-
le presso lUniversit degli studi di Camerino.

Federica Pascucci professore aggregato presso la Facolt di Economia


Giorgio Fu dellUniversit Politecnica delle Marche, dove insegna internet e marke-
ting; ricercatrice presso la medesima universit, ha in precedenza conseguito il tito-
lo di dottore di ricerca in economia e gestione delle imprese e svolge da anni studi
sui temi del web marketing e del marketing internazionale, rispetto ai quali autrice
di varie pubblicazioni.

La discussione continua su
www.espressocompetitiveness.com

FrancoAngeli
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366.97 12-03-2014 12:01 Pagina 2

Maurizio Giuli
Federica Pascucci
Il ritorno alla competitivit
dellespresso italiano
Situazione attuale
e prospettive future
per le imprese
della torrefazione di caff

FrancoAngeli
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Lopera, comprese tutte le sue parti, tutelata dalla legge sul diritto dautore.
LUtente nel momento in cui effettua il download dellopera accetta tutte le condizioni
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Indice

Prefazione pag. 9
Introduzione 11
Ringraziamenti 15
1. Il business del caff e le aziende di torrefazione, di
Federica Pascucci e Maurizio Giuli 17
1.1. La storia del caff espresso in Italia e il suo valore so-
ciale 17
1.2. La filiera produttiva del caff e il ruolo della torrefa-
zione 35
1.3. Struttura e dimensione dellindustria della torrefazione
in Italia 44
Riferimenti bibliografici 52
2. Unanalisi economica e strategica del settore, di
Federica Pascucci 54
2.1. Profilo strategico del settore: concorrenza e domanda 54
2.2. La performance economica delle imprese di torrefazione 63
2.3. Evoluzione dei principali indicatori di performance del-
le imprese di torrefazione 73
2.4. La situazione del mercato ho.re.ca. vista dalle aziende
di torrefazione: i risultati di unindagine empirica 90
Riferimenti bibliografici 98
3. Levoluzione del caff nel mondo, di Maurizio Giuli 99
3.1. Il pattern evolutivo del mercato del caff: unintro-
duzione 99
3.2. La Fase pionieristica 105

5
3.3. Firts Wave: linnovazione del packaging per il con-
sumo di massa pag. 116
Riferimenti bibliografici 123
4. Evoluzione dellespresso nel mondo: da prodotto
italiano a prodotto globale, di Maurizio Giuli 125
4.1. Second Wave: il movimento dello Specialty Coffee 125
4.2. Evoluzione della Second Wave: lavvento delle cate-
ne e la Latte Revolution 129
4.3. Third Wave e ritorno allartigianalit 148
4.4. I fattori di criticit per lo sviluppo della Third Wave 164
4.5. Il sistema monoporzionato: una Fourth Wave? 169
4.6. La collocazione del mercato italiano nel pattern evolu-
tivo 180
Riferimenti bibliografici 183
Appendice n. 1 al Capitolo 4. La via australiana del
caff: da Paese bevitore di th a punta di diamante
del caff 186
Appendice n. 2 al Capitolo 4. Principali sistemi sin-
gle-serve presenti sul mercato 193
5. Il mercato del caff a livello globale: i principali
trend, di Maurizio Giuli 197
5.1. Il processo di sviluppo del consumo di caff a livello
internazionale 197
5.2. Il consumo di caff nel mondo sulla base del Modello
Ricchezza-Consumo Caff 199
5.3. Lo sviluppo della domanda mondiale di caff e nuovi
mercati di consumo 218
Riferimenti bibliografici 229
6. La competitivit internazionale delle torrefazioni
italiane, di Federica Pascucci 231
6.1. La competitivit di un settore: concettualizzazione e
misurazione 231
6.2. La performance competitiva internazionale delle torre-
fazioni italiane: lanalisi fondata su misure trade-based 234
6.3. Principali competitors e mercati di sbocco delle impre-
se italiane 243
6.4. Le possibili cause della perdita di competitivit: un
framework metodologico 247

6
6.5. Le torrefazioni italiane allestero: i risultati dellindagi-
ne sul campo pag. 248
6.6. Strategie e processo di internazionalizzazione: lanalisi
di alcuni casi aziendali 259
6.7. Punti di forza e punti di debolezza delle torrefazioni ita-
liane sui mercati esteri 276
Riferimenti bibliografici 278
7. Il ruolo del contesto nazionale nella competitivit
delle torrefazioni italiane: fattori produttivi e do-
manda interna, di Maurizio Giuli 281
7.1. Il modello porteriano del Diamante: caratteri e limiti 281
7.2. Il ruolo dei fattori produttivi e delle competenze tecni-
che 288
7.3. Il ruolo della domanda domestica 293
7.4. Il Bar italiano: caratteristiche e dinamiche competitive 303
7.5. Le capacit anticipatorie e la saturazione della domanda
interna 319
7.6. Linternazionalizzazione della domanda interna 321
7.7. Analisi del consumatore italiano 322
Riferimenti bibliografici 335
8. Il ruolo dei settori correlati e della rivalit interna
nella competitivit delle torrefazioni italiane, di
Maurizio Giuli 338
8.1. Il ruolo dei settori industriali correlati e di supporto 338
8.2. Il ruolo della struttura e della rivalit allinterno del set-
tore 348
8.3. Il modello di business dei torrefattori italiani
nellHo.Re.Ca. e le sue anomalie 364
8.4. Quadro riassuntivo del ruolo del contesto nazionale nel-
la competitivit delle torrefazioni italiane 373
Riferimenti bibliografici 378
Appendice n. 1 al Capitolo 8. La dinamicit del mer-
cato coreano 380
9. Le vie per il recupero della competitivit, di Mauri-
zio Giuli e Federica Pascucci 390
9.1. Verso un nuovo sistema di business 390
9.2. Le direttrici per il rilancio del caff nellHo.Re.Ca. 395
9.3. Politiche per il miglioramento della capacit competiti-
va sui mercati esteri: alcune riflessioni 422

7
9.4. Il ruolo delle catene di coffee shop nelle strategie delle
torrefazioni italiane pag. 429
Riferimenti bibliografici 439

8
Prefazione

Quando Maurizio Giuli mi ha chiesto di scrivere una prefazione per


questo lavoro che ha curato insieme alla professoressa Federica Pascucci
ero molto scettico, pensando di trovarmi di fronte ad un complesso di in-
formazioni a me gi note.
Non avrei potuto sbagliarmi di pi.
Un lavoro estremamente originale che mi ha entusiasmato nella lettura,
quasi fosse un romanzo davventura!
Partendo da informazioni abbastanza note, arriva ad approfondire il per-
corso dellindustria del caff in Italia con un approccio globale e da un pun-
to di vista transnazionale.
Posso immaginare il difficile lavoro di recupero di dati non facilmente
accessibili, ma laspetto pi sorprendente sicuramente la meticolosit
nellanalisi dellevoluzione dei cicli dellindustria del caff, partendo da
quello che successo nel mercato nordamericano e poi nordeuropeo per ar-
rivare a chiedersi come e dove pu emanciparsi il settore italiano.
Lanalisi delle tre Waves dellindustria del caff a dir poco illuminan-
te, cos come quella del mondo del porzionato e della sua storia.
Il punto di vista degli autori Giuli e Pascucci si fonda, a parere mio, sul
seguente assunto: lindustria delle macchine professionali da caff, che Giuli
ben rappresenta, ha goduto della forza dellindustria della torrefazione italia-
na fino agli inizi degli anni Ottanta, ma ha saputo affrancarsene e raggiungere
numeri sempre pi importanti solamente nel momento in cui riuscita a fare
leva sulle proprie forze e a diventare vincente a livello mondiale.
Perch lindustria del caff non riuscita a fare altrettanto? Perch lItalian
Style del caff esploso non grazie agli attori italiani dellindustria del caff?
Come possono oggi questi stessi recuperare il terreno perduto?

9
Queste sono alcune delle domande che Maurizio e Federica si pongono
e a cui cercano di fornire delle risposte.
La loro corretta critica nei confronti dellevoluzione del rapporto torre-
fattore-cliente in Italia nel mondo del Fuori Casa direi che costituisce un
punto fermo, da cui trarre notevoli spunti per chiunque viva oggi nel com-
plesso mondo del caff in Italia.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro a tutti coloro i quali ab-
biano a che fare in Italia con il prezioso oro nero e che questo libro sia da
stimolo e auspico che possa indicare una strada a tutti noi.
Oggi pi che mai, in un mondo estremamente dinamico, tanti sono i pe-
ricoli ma altrettante sono le opportunit se, come sistema, torrefattori,
produttori di macchine da caff e operatori che ruotano intorno ad un bene
cos importante per leconomia italiana, riusciranno a trovare lo spirito di
collaborazione per rinnovarsi, al fine di tornare ad avere la voce che ci
spetta, come industria italiana, a livello mondiale.

Patrick Hoffer
Presidente del Comitato Italiano Caff

10
Introduzione

Il legame che esiste fra lItalia e il caff particolarmente stretto: nel no-
stro Paese si sono diffuse le prime coffee houses e sono nati il caff espresso
e il cappuccino, entrambi conosciuti e apprezzati in ogni angolo del mondo,
anche nei Paesi tradizionalmente consumatori di th. Si pensi, ad esempio, ai
Paesi asiatici, che, da quando hanno scoperto il caff espresso, stanno cam-
biando le loro radicate abitudini di consumo in modo sostanziale.
Allinterno di ogni cultura si consolidata nel corso del tempo una mo-
dalit di preparazione e di consumo della bevanda nera; ad esempio, in
Turchia e nei Paesi del Medio Oriente si diffuso lIbrick, in Norvegia il
caff bollito, nel Nord America e nel Nord Europa il caff filtro ecc. In
tutti questi luoghi la diffusione del caff espresso (e tutte le bevande da es-
so derivate Espresso Based Beverages), non ha sostituito le modalit tra-
dizionali, che persistono nei consumi abituali, piuttosto va ad alimentare un
nuovo modo di consumare il caff, volto ad appagare bisogni secondari, di
autogratificazione e di appartenenza; esso vissuto come un bene di lus-
so, sia pur accessibile, tant che presenta prezzi sensibilmente superiori,
sia rispetto alle modalit tradizionali di consumo della bevanda (che invece
sono price sensitive), sia rispetto a quelli normalmente praticati in Italia.
Lessere il nostro espresso considerato allestero come un lusso, e non
una mera commodity, implica, per le aziende italiane, doversi proporre al
mercato in modo diverso rispetto a quanto fanno in quello domestico, dove
esso, insieme al caff moka, costituisce la modalit di consumo abituale.
Lanalisi proposta in questo lavoro mira a comprendere le dinamiche
competitive che contraddistinguono il sistema caff espresso italiano, sia
in ambito domestico, sia in ambito internazionale.

11
Intorno al caff si sviluppato in Italia un sistema di business ampio e
articolato, al cui centro si collocano le imprese di torrefazione, che trasfor-
mano la materia prima il caff verde in caff torrefatto e, sotto varie
forme, lo vendono in differenti canali, ciascuno dei quali presenta proprie
specificit e propri fattori critici di successo. Il comparto nel suo complesso
d lavoro a oltre 7.000 addetti (a cui vanno aggiunte le centinaia di migliaia
di addetti che operano nei bar, nei punti di ristoro, nella distribuzione au-
tomatica ecc.) e genera un giro daffari superiore ai 3,5 miliardi, di cui circa
950 milioni di euro sono destinati allesportazione. Lexport mostra un
trend in costante crescita e ci fa s che lItalia sia il quarto Paese al mondo
nella graduatoria dei maggiori esportatori di caff, con circa 2,9 milioni di
sacchi e che la sua bilancia commerciale nel luglio 2013 abbia mostrato un
saldo positivo.
Al di l dei meri dati numerici, il caff espresso riveste anche un valore
simbolico, poich costituisce una delle icone dellItalia nel mondo e la sua
immagine contribuisce ad alimentare il Made in Italy.
Da queste semplici premesse si comprende il valore che il settore rive-
ste nelleconomia del nostro Paese. Risulta quindi abbastanza sorprendente la
scarsit di studi e di ricerche di natura economico-gestionale che lo hanno
interessato; gli unici ad affrontare la tematica in modo approfondito nel corso
dellultimo decennio sono stati De Toni, Tracogna (2005) e Cociancich
(2008), i quali per hanno osservato il settore soprattutto dalla prospettiva
della filiera e della sostenibilit del sistema. Esiste invece una certa prolifera-
zione di studi che hanno esaminato il prodotto caff da un punto di vista
biologico, chimico e botanico. Anche dal punto di vista storico esistono po-
chi studi che riguardano il settore italiano: pu sembrare paradossale, ma
lautore che ha accumulato maggiore conoscenza sulla storia del caff trico-
lore il professore inglese Jonathan Morris, che ha curato diverse pubblica-
zioni sul nostro prodotto. Eppure comprendere i fattori che hanno determina-
to levoluzione delle torrefazioni in Italia, le dinamiche di crescita e
lespansione del settore nei mercati internazionali, costituirebbe uno strumen-
to utile per gli operatori al fine di interpretare la realt attuale ed individuare
le strategie pi efficaci per rafforzare la loro competitivit futura.
Al di l dei segnali positivi sopra evidenziati, a chi ha maturato una plu-
riennale esperienza internazionale nel settore, non sar sfuggito che il sen-
timent nei confronti del caff Made in Italy, negli ultimi anni sta cambian-
do, almeno allinterno di certi contesti. Il mondo del caff in campo inter-
nazionale sta vivendo una fase molto dinamica, sottoposto a rapidi muta-
menti e sconvolgimenti che frantumano vecchi equilibri ed al contempo
creano nuovi spazi per nuovi operatori.

12
In questo quadro il presente lavoro si pone un duplice obiettivo: da un
lato, attirare lattenzione di ricercatori e studiosi su questo settore, cos da
poter alimentare una conoscenza diffusa e fornire agli operatori strumenti
utili alle loro strategie; dallaltro lato, fornire uno strumento utile agli ope-
ratori del caff, ed in particolare ai torrefattori, per avere una chiave di let-
tura del contesto in cui si trovano ad operare e per individuare quali politi-
che essi possono mettere in atto al fine di rendere le loro imprese pi com-
petitive, specie a livello internazionale.
In altri termini, le domande di ricerca a cui si intende rispondere sono:
qual il posizionamento competitivo delle imprese del settore caff
espresso italiano sui mercati esteri?
quali sono i fattori che agevolano la loro competitivit e quali quelli
che invece la ostacolano?
Pur essendo consapevoli dellinfluenza della recente crisi economica, la
prospettiva utilizzata nellanalisi di tipo strutturale, svincolata il pi pos-
sibile dal contesto congiunturale, proprio per comprendere i fattori alla base
della competitivit del settore. Gli autori ritengono infatti che le condizioni
di competitivit, soprattutto in chiave internazionale, siano svincolate dalla
condizione congiunturale, la quale non fa altro che amplificarne gli effetti.
Riguardo alla struttura e ai contenuti del lavoro, i primi due capitoli so-
no finalizzati a fornire un quadro il pi possibile esaustivo del settore della
torrefazione in Italia, dal punto di vista storico, economico e strategico. In
particolare, nel primo capitolo Maurizio Giuli esamina levoluzione storico-
economica che il settore del caff ha avuto nel nostro Paese, con particolare
attenzione al caff espresso; tale evoluzione riflette alcuni fra i principali
cambiamenti economico-sociali, che hanno caratterizzato la societ italiana
nel corso del secolo scorso. Successivamente Federica Pascucci ricostruisce
il profilo strategico del settore, tramite lanalisi della domanda e della con-
correnza, e la performance economica delle imprese di torrefazione dalla
seconda met degli anni duemila, tramite lanalisi dei dati di bilancio di un
campione di 147 imprese.
I capitoli 3 e 4, a cura di Maurizio Giuli, affrontano la tematica del mo-
dello evolutivo del caff nei mercati internazionali; in particolare, nel terzo
capitolo vengono esaminate le prime fasi di diffusione del consumo e del
commercio del caff nei Paesi occidentali, fino al consumo di massa, cer-
cando anche di individuare i fattori influenti su tale evoluzione. Il quarto
capitolo, pur essendo un prosieguo del precedente, focalizzato sul caff
espresso e sul processo mediante il quale da bevanda tutta italiana sia di-
ventata una bevanda globale, ormai consumata anche in quei Paesi, che
per ragioni culturali, erano grandi consumatori di th.

13
Nel capitolo 5 vengono analizzati i principali trend che stanno interes-
sando il mercato del caff a livello globale. Maurizio Giuli fornisce un mo-
dello interpretativo delle potenzialit di sviluppo futuro che i vari Paesi pre-
sentano riguardo al consumo di caff; Federica Pascucci illustra i nuovi
mercati di consumo del caff, che si sono recentemente aperti a seguito del-
lo sviluppo della domanda mondiale di tale bevanda.
Il capitolo 6, curato da Federica Pascucci, illustra i risultati di unin-
dagine empirica, volta ad analizzare la competitivit delle imprese italiane
di torrefazione sui mercati esteri e a ricostruirne il modello di sviluppo in-
ternazionale. Lindagine si fonda sullelaborazione di dati secondari, tratti
dalla banca dati Comtrade delle Nazioni Unite, e di dati primari, raccolti
mediante una web survey presso un campione di imprese e lanalisi di al-
cuni casi aziendali.
Nei capitoli 7 e 8 Maurizio Giuli affronta la questione del ruolo del con-
testo nazionale nella competitivit delle torrefazioni italiane, mediante
lapplicazione del modello del diamante di M.E. Porter. Lobiettivo in-
dividuare i fattori relativi al sistema Paese di origine, i quali possono favo-
rire (o viceversa ostacolare) la competitivit delle nostre aziende sui merca-
ti esteri.
Infine, nel capitolo nono entrambi gli autori propongono alcune politi-
che, utili a superare i punti di debolezza riscontrati nellanalisi contenuta
nei capitoli precedenti, evidenziando la necessit di un rinnovamento per
lintero sistema caff italiano.

Maurizio Giuli
Federica Pascucci

14
Ringraziamenti

Sarah Allen, Franco Bazzara, Gloria Bianchi, Eddy Bieker, Alessandra


Cagliari, Piergiorgio Cannara, Martin Causa, Claudio Cingolani, Maurizio
Cociancich, Gwilym Davies, Lauro Fioretti, Enzo Frangiamore, Giovanni
Fucili, Adam Genovese, Edoardo Giuli, Andrej Godina, Christine Grimard,
Angela Haisi, Patrick Hoffer, James Hoffman, Giorgia Maioli, Enrico Mal-
toni, Kentaro Maruyama, Enrico Meschini, Antonio Mignone, Matt Millet-
to, Anna Monti, Jonathan Morris, Pasquale Muraca, Alessandra Notaro,
Simone Pecora, Luca Pistolesi, Gianni Pistrini, Alberto Polojac, Lorenzo
Quaranta, Ric Rhineart, Eddy Righi, Nadia Rossi, Francesco Sanapo, Lu-
ciano Sbraga, Romina Seri, Kyonghee Shin, Toby Smith, Mario Vicentini,
Jeffrey Young.
Un ringraziamento particolare va alle torrefazioni che hanno collaborato
allindagine empirica, nelle persone di: Barbara Chiassai e Giorgio Moda
(Essse Caff), Mario Pascucci (Caff Pascucci), Barbara Bendoni e Santi
Anedotti (Corsino Corsini), Di Nisio Nicola (Mokambo), Giovanni Troisi
(Kimbo), Giuseppe Trovato (Zicaff), Stefano Martin e Ludovica Galvan
(Diemme), Alessandra Bianco, Simona Busso e Marcello Arcangeli (La-
vazza), Giuseppe Taccari e Roberto Di Martino (Illy).

15
1. Il business del caff e le aziende
di torrefazione

di Federica Pascucci e Maurizio Giuli

1.1. La storia del caff espresso in Italia e il suo valore so-


ciale

LItalia stata ed tuttora una protagonista importante nel mondo del


caff; nonostante oggi questa bevanda sia conosciuta e apprezzata in quasi
ogni angolo del mondo, in nessun altro Paese essa divenuta unicona
simbolo della cultura della nazione come in Italia (Morris, 2010, 158). Il
caff allitaliana strettamente identificativo con la nazione, perch, co-
me afferma Carlo Cambi (2005, 3), raccontando di questa bevanda in fon-
do raccontiamo di noi stessi, della nostra storia, delle nostre tradizioni. Il
costume italiano profondamente permeato dal caff. Sappiamo bene il si-
gnificato che attribuiamo nellandare a prendere il caff o nelloffrire un
caff; [] significa immergerci in unintima confidenza, significa socializ-
zare, significa condividere, significa ritrovarsi, significa recuperare energie
ed identit. Significa coccolarsi, volersi bene.
Ma il caff allitaliana importante anche sotto un altro aspetto: oggi
molti Paesi si stanno avvicinando al consumo del caff proprio grazie al
caff espresso, bevanda tutta italiana, che ha permesso di superare tutte
quelle barriere storico-culturali (basti pensare alla tradizione millenaria del
th dei Paesi asiatici) che fino a ora ne hanno limitato la diffusione.
LItalia, oltretutto, stata anche la porta daccesso del caff al Mondo
Occidentale. Fu Venezia il primo porto in cui nel 1570 arrivarono le prime
partite di caff in Europa; fu ancora Venezia a inaugurare nel XVII secolo
lepoca delle caffetterie, che poi si diffusero nel corso dei secoli successivi

Pur essendo frutto di riflessioni comuni, il paragrafo 1.1. stato curato da Maurizio Giuli e
i paragrafi 1.2. e 1.3. da Federica Pascucci.

17
nelle principali citt europee. Gi da allora il caff aveva permeato la cultu-
ra italiana: locali come il Florian a Venezia o il Caff Greco a Roma
divennero presto meta degli intellettuali; Carlo Goldoni consacr questa
bevanda nella commedia La Bottega del Caff nel 1750 e qualche anno
pi tardi, nel 1764, il filosofo illuminista Pietro Verri intitol il suo giornale
Il Caff.
Nellaccezione italiana, il termine caff non sta solo a identificare il
prodotto, ma anche il luogo in cui esso viene consumato: i primi caff era-
no luoghi di lite, dove si incontravano gli intellettuali dellepoca e dove si
discuteva di politica, di arte e di gossip. Secondo alcune fonti1, in alcune citt
la clientela di questi luoghi era fortemente caratterizzata: a fianco ai caff
letterari, vi erano quelli borghesi, quelli politici ecc.: i movimenti risor-
gimentali, ad esempio, vennero organizzati in alcuni caff di Torino.
Al di l della rilevanza che questo genere di locali ha avuto dal punto di
vista storico-culturale, essi non possono per ancora essere considerati em-
blema del caff italiano, poich il prodotto servito veniva preparato col
metodo dellinfusione, lo stesso usato nel resto dEuropa2.
La storia di quello che oggi unanimemente conosciuto come caff
allitaliana, inizia con linvenzione e poi la diffusione delle macchine per
caff espresso. Levoluzione tecnica di questo prodotto, associata agli stili
di consumo e ai luoghi in cui lespresso veniva servito, costituiscono la ve-
ra identit del caff allitaliana.
In gran parte della letteratura corrente, linvenzione della macchina per
caff espresso viene erroneamente attribuita a Luigi Bezzera, che nel no-
vembre 1901 deposit il suo primo brevetto3, ma, come sostiene Franco
Capponi (2005, 4): consultando le Gazzette ufficiali e la documentazione

1
Cerano i Caff spiccatamente politici, quelli riservati agli ufficiali e agli alti funzionari,
quelli prediletti dalla borghesia professionista, altri sede di incontro di anziani uomini
daffari o di sportivi e vi erano, ancor pi numerosi degli altri, i Caff letterari (Al Caff
con Quarantotti Gambini, in Enrico Falqui, 1962; citato in De Toni e Tracogna, 2005, 272).
2
Tuttavia mentre questi caff sono giustamente noti per lo splendore e la tradizione, per
molti versi rispecchiavano unesperienza europea comune, come si evince dal ruolo svolto
dai caff durante la Rivoluzione francese oppure nella cultura e nella politica dellimpero
asburgico (Morris, 2008, 8).
3
Dal titolo innovazioni negli apparecchi per preparare e servire istantaneamente il caff in
bevanda. Questo brevetto venne acquistato nel 1903 dal produttore Desiderio Pavoni, il
quale lo us per produrre a partire dal 1905 una macchina chiamata Ideale, che venne pre-
sentata alla Fiera di Milano del 1906. Questa macchina sar la prima prodotta a livello indu-
striale. Bench Pavoni fosse il produttore primario, egli permise a Bezzera di continuare a
fabbricare macchine con il proprio brand, per cui nella stessa fiera del 1906 fu presente an-
che Bezzera, come una nota foto del tempo illustra.

18
relativa alle privative industriali ed ai brevetti, si trovano varie registrazioni
di molte invenzioni analoghe antecedenti a tale data. [] A Bezzera pro-
babilmente da attribuire il merito di avere industrializzato la macchina per
caff espresso e di averla resa molto simile alle macchine che poi ebbero
grande diffusione per merito soprattutto di un altro pioniere dellepoca, De-
siderio Pavoni4, che intu la grande potenzialit dellespresso e ne svilupp
la commercializzazione nei pubblici esercizi. [] Lonore del primo bre-
vetto di una macchina che pu essere individuata come un vero dispositivo
per fare il caff espresso deve per essere riconosciuto al torinese Angelo
Moriondo, che in occasione dellEsposizione Generale del 1884 progett e
realizz alcuni esemplari di macchina da caff per i locali che gestiva (si
veda la Tabella 1).

Tab. 1 La prima macchina per caff espresso di Angelo Moriondo (1884)

Angelo Moriondo, nato a Torino il 6 luglio 1851 era anche lui proprietario di locali pubblici; egli gestiva fra
laltro Il caff Ligure a Torino. Per la macchina presentata allEsposizione di Torino del 1884 fu premiato con la
Medaglia di bronzo. Egli brevett la sua creazione depositando domanda il 16 maggio 1884 con il titolo di
Nuovi apparecchi a vapore per la confezione economica ed istantanea del caff in bevanda, sistema A. Morion-
do. Si trattava veramente di una macchina allavanguardia, con la caldaia dotata di tutti i controlli (livello
dellacqua e pressione del vapore) nonch di valvola di sicurezza; era inoltre versatilissima, potendo davvero
produrre da una a molte tazze di caff. Quel che la rendeva del tutto speciale e nuova era il fatto dessere munita
di maniglia porta-filtro con attacco di fissaggio rapido: questo la rendeva veramente una macchina per caff
espresso. La macchina di Moriondo attir lattenzione di un cronista dellepoca che cos scriveva infatti sul gior-
nale settimanale dellEsposizione parlando di questa macchina: Altra caffettiera degna dessere presa in seria
considerazione quella esposta in apposito chiosco vicino allentrata della Galleria dellElettricit dallinventore
signor Moriondo, padrone del Caff Ligure e da lui tenuta in esercizio. una curiosissima macchina a sposta-
mento con cui si fanno trecento tazze di caff a vapore in unora (proprio a vapore). Si compone di un cilindro o
caldaia verticale che contiene 150 litri dacqua, la quale vien messa in ebollizione da fiammelle di gas sotto il
cilindro, e per mezzo del vapore con una complicazione curiosissima di congegni si fanno in pochi minuti dieci
tazze di caff in una volta od una sola tazza se volete.
Successivamente Moriondo provvide a brevettare la sua invenzione anche allestero; nel 1985 ottenne infatti il
brevetto anche in Francia, che gli fu rilasciato a Parigi il 23 ottobre di quellanno. Angelo Moriondo tuttavia non sfrutt
industrialmente il suo brevetto avviando una produzione in serie e una commercializzazione su vasta scala della sua
macchina, come sarebbe stato logico attendersi: e forse questo il motivo per cui il suo nome stato a lungo ignora-
to dagli storici del caff. Le sue attivit imprenditoriali lo spinsero verso altri obiettivi: la sua macchina venne costruita
in un numero limitato di esemplari e venne posta in servizio soprattutto nei suoi esercizi pubblici.

Fonte: Capponi, 2005, 15.

4
Desiderio Pavoni era un esercente milanese di locali pubblici: egli gestiva sale per concer-
ti, teatri, caff e si interess persino di cinematografi.

19
La caratteristica principale di questa nuova tecnologia che essa permet-
teva di preparare la bevanda nel momento stesso in cui il cliente la ordinava,
da cui il nome espresso. La tecnologia era per diversa da quella delle
macchine moderne, cos come diversa era la qualit della bevanda: le-
strazione avveniva sfruttando la pressione del vapore in caldaia, per cui nel
momento del contatto con la polvere di caff, lacqua aveva una temperatura
intorno ai 120-130 C. Ci permetteva di ottenere una bevanda particolar-
mente liquida, di colore nero, dal sapore amaro-bruciato vagamente simile a
quella ottenuta con la moka (che verr introdotta dalla Bialetti nel 1933) e
senza la tipica crema sulla superficie. I tempi di estrazione erano pi lunghi,
intorno ai 40-50 secondi, quindi quasi doppi rispetto agli attuali standard.
Come fa rilevare Jonathan Morris (2010) queste macchine erano parti-
colarmente adatte ai cosiddetti American bars, in cui il caff, anzich es-
sere servito ai tavoli comera dabitudine in quei tempi, veniva consumato
dai clienti in piedi al banco; il primo bar con queste caratteristiche sembra
sia stato il Caff Manaresi di Firenze, per questo rinominato Caff dei
ritti5. La diffusione di questo genere di locali fu favorito anche dalle leggi
anti-inflazionistiche messe in vigore a intermittenza dal 1911, le quali da-
vano alle autorit locali il diritto di imporre un prezzo massimo per certi
articoli di consumo di base, tra i quali la tazzina di caff6.
Quando queste macchine comparirono sul mercato, il consumo pro capi-
te italiano di caff non raggiungeva i 500 grammi. Nel corso del primo de-
cennio del XX secolo (si vedano Fig. 1 e Fig. 2), fino cio allo scoppio del-
la Prima Guerra Mondiale, i consumi salirono del 60%, raggiungendo nel
1913 (Bacchin 1926) gli 820 grammi pro capite, equivalente a 80 tazze an-
nue (Morris, 2010).
La Prima Guerra Mondiale paradossalmente rappresent un momento di
sviluppo del consumo di caff: essa offr infatti lopportunit agli arruolati
(circa 1,8 milioni di soldati) di avere una razione giornaliera di caff pari a

5
Il caff Manaresi, apr a Firenze nel 1898 ed divenuto noto perch considerato il primo
bar italiano in cui il consumo del caff avveniva al banco in piedi (Banca Nazionale del La-
voro, 1960).
6
I prezzi venivano di solito stabiliti dalle autorit in accordo con i rappresentanti delle lo-
cali associazioni commerciali, un processo che venne formalizzato dallo Stato corporativo e
mantenuto dalla Repubblica postbellica. naturale che i proprietari volessero fornire questo
caff a tariffa controllata con il minimo servizio indispensabile, permettendo loro di aumen-
tare il prezzo se la bevanda veniva servita al tavolo. Quindi lusanza di consumare lespresso
in piedi al bancone si radic nella cultura dei consumatori, che non vedevano alcun motivo
per dover pagare di pi il caff, soprattutto quando veniva consumato rapidamente come
digestivo in forma concentrata (Morris, 2008, 14).

20
10-15 grammi. Nel 1918 le importazioni di caff avevano raggiunto le
51.000 tonnellate, di cui circa il 40% era assorbito dallesercito7.

Fig. 1 Consumi medi di caff pro capite in Italia dal 1861 al 1980 (Kg)

Fonte: ns. elaborazione da dati Istat (1986)

Fig. 2 Importazioni di caff verde in Italia per decenni dal 1861 al 1980 (Ton)

200.000
180.000
160.000
140.000
198.900

120.000
100.000
131.500

80.000
60.000
74.200
46.100

40.700
1901-10 20.000

1931-40 35.000
1911-20 36.300
1861-70 18.200

40.000
1871-80 12.900

1881-90 15.000

1991-00 13.200

20.000
-
1921-30

1946-50

1951-60

1961-70

1971-80

Fonte: ns. elaborazione da dati Istat

7
Gaetano Zingali, Il rifornimento dei viveri dellesercito italiano durante la guerra, in
Bacchi (1926), pp. 639-640. Secondo lautore nella citt di Torino i consumi pro capite sali-
rono dai 2,8 kg del 1912-1914 ai 3,8 kg del 1919. Questi dati tuttavia risultano poco compa-
tibili con quelli nazionali Istat; lo stesso autore ad evidenziare che questi dati non sono
particolarmente credibili poich il numero dei visitatori della citt era molto variabile e non
aveva senso calcolare lindice sui soli residenti.

21
Gli anni a cavallo fra le due Guerre Mondiali risultano invece partico-
larmente difficili per il mercato del caff, tant che i consumi, anzich sali-
re, cominciarono a scendere (si veda la Figura 3). Ci a seguito delleffetto
combinato di alcune misure messe in atto dai governi del tempo e della crisi
economica del 1929. In particolare ricordiamo:
gli anni successivi alla Grande Guerra furono anni di profonde diffi-
colt economiche: nel 1921 la disoccupazione aument di sei volte
rispetto allanno precedente e Giolitti, prima di dimettersi, abol il
prezzo politico del pane e impose tariffe doganali protezionistiche;
nellagosto del 1926 venne attuato il programma di protezione della
Lira con lobiettivo di rivalutare e stabilizzare la moneta nei confronti
della Sterlina inglese: fu la cosiddetta politica di quota novanta che
si poneva lobiettivo di far scendere il valore della sterlina da 154 a 90
lire. Tale politica si materializz in forti limitazioni alle importazioni e
quindi anche del caff, a cui si aggiunse il divieto di apertura di nuovi
esercizi pubblici a uso di bar e lintroduzione di una gravosa tassa co-
munale imposta sulle macchine da caff espresso installate8;
nel 1932 in Italia si fecero sentire gli effetti della crisi americana del
1929: il numero di disoccupati super la quota del milione;
nel 1934 ci furono le restrizioni alle importazioni a seguito della
campagna in Abissinia, che portarono al contingentamento del caff;
nel 1939, dopo lo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale, vennero
bloccate le importazioni di caff; in molti locali in cui, fino ad allora,
si era servito caff comparvero surrogati fra cui orzo tostato e ci-
coria.

8
Come riportato nella relazione allegata al bilancio della Victoria Arduino del 1926, il
nuovo gravame fiscale imposto agli esercenti per ogni macchina per caff in uso (tassa la cui
applicazione tuttavia fu momentaneamente sospesa) e il divieto di apertura di nuovi esercizi,
circostanze queste che aggravarono la situazione gi precaria dellindustria nostra e deter-
minarono una forte diminuzione nelle vendite, anche pel fatto della pressoch assoluta satu-
razione del nostro mercato, per quanto riguarda gli acquisti di macchine da caff. Nella
relazione dellanno successivo si legge: i fenomeni riscontrati gi nel 1926, di riduzione ed
arresti della produzione in genere si acuirono nel 1927, nel primo tempo per effetto della
rivalutazione, nel secondo tempo per effetto della stabilizzazione della lira nostra. Sicch
anche la nostra produzione subendo le conseguenze della situazione generale, ebbe a ridursi
nel decorso esercizio per le vendite diminuite fino a toccare un minimo mai prima dora
raggiunto. A queste determinanti di ordine generale, altre cause si aggiunsero particolarmen-
te riguardanti la nostra industria, quali il divieto di apertura di nuovi esercizi pubblici ad uso
di bar e di caff e la veramente gravosa tassa comunale imposta anche sulle macchine da
caff espresso in funzione (Capponi, 2005, 57-58).

22
Fig. 3 Importazioni di caff nel periodo 1921-1945 (Ton)

50.000

40.000

30.000 48.100
47.900

47.700
47.300

47.000

46.900
45.700

45.300
43.800
43.700
42.200

40.800

40.500
39.300
39.300

38.000
36.000
31.800
20.000

24.300
1940 16.500
10.000

1942 200
1941 600
-
1921
1922
1923
1924
1925
1926
1927
1928
1929
1930
1931
1932
1933
1934
1935
1936
1937
1938
1939
Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat

Nonostante tutti questi eventi, il numero di bar che servivano caff


espresso in quegli anni aument: lo dimostra la proliferazione di produttori
di macchine per caff espresso (Carimali, Rancilio, Snider, Universal, Si-
monelli ecc.); nel 1939, nella sola area del milanese si contavano 22 pro-
duttori. In quegli anni inizi a diffondersi la cultura del caff fuori casa, che
pian piano si sostitu a quella del vino nelle abitudini di consumo dei fre-
quentatori di locali pubblici, cos come il bar rimpiazz locande e osterie.
Date le difficolt del mercato interno, i produttori pi strutturati cerca-
rono presto nuove opportunit di sbocco nei mercati internazionali, come
risulta anche dalla relazione allegata al bilancio Victoria Arduino del 1923:
per quanto riguarda le vendite [] verso lestero che noi abbiamo rivol-
to da tempo le nostre maggiori cure per il collocamento dei nostri apparec-
chi; al riguardo siamo lieti di affermarvi che i nostri sforzi hanno gi con-
seguito successi confortanti sia in Francia come in Inghilterra, in Austria, in
Cecoslovacchia e Polonia e nellAmerica Latina; e che pratiche vantaggio-
se, le quali daranno indubbiamente in breve buoni frutti, sono state avviate
in Spagna e in Portogallo, nonch nellAmerica del Nord e nei paesi Scan-
dinavi (Capponi, 2005). A questi Paesi va aggiunta la Germania, in cui
lazienda aveva gi aperto una propria filiale.
Tuttavia la vendita di macchine per caff espresso allestero doveva fare i
conti con le resistenze di carattere culturale che si incontravano in quei mer-
cati; come la stessa relazione al bilancio evidenziava: anche lorganiz-
zazione per la vendita dei nostri prodotti allestero incomincia a dare buoni
risultati e ad affidarci di sempre maggiori successi per lavvenire. E questi
successi saranno tanto pi pronti se, come speriamo, riusciremo in breve a
superare ovunque, anche allestero, quella naturale diffidenza per tutto ci

23
che sa di novit e vincere i vecchi tradizionali sistemi di preparazione del caf-
f, i quali come ebbimo gi occasione di dirvi altre volte e come del resto voi
ben sapete costituiscono degli ostacoli per la pronta e copiosa espansione dei
nostri prodotti (Capponi, 2005, 49).
Pur con le difficolt sopra evidenziate, gli anni Venti e Trenta sono stati
importanti per il futuro sviluppo dellindustria italiana del caff in quanto
vennero effettuate delle invenzioni che risulteranno fondamentali nel se-
condo dopoguerra. Fra esse ricordiamo:
nel 1923 apparvero le confezioni in pergamini, un materiale che
consentiva la conservazione dellaroma e della fragranza del caff
appena tostato per alcuni giorni. Fu cos possibile allargare geografi-
camente il mercato, con un prodotto gi pronto, disponibile anche per
le famiglie che vivevano lontane dalle torrefazioni, altrimenti costret-
te ad acquistare e tostare autonomamente il caff crudo9;
nel 1926 si affinarono le conoscenze tecniche per migliorare la quali-
t del caff espresso. La Victoria Arduino infatti nellagosto di
quellanno deposit una domanda di privativa industriale per ottenere
il caff usando non pi il vapore ma lacqua a temperatura inferiore a
quella di ebollizione. Per dare pratica realizzazione a questo brevetto
fu costruita una macchina a due gruppi, ciascuno dei quali era equi-
paggiato con una pompa manuale che, tramite un pistone, forzava il
passaggio dellacqua calda (fornita al gruppo a temperatura inferiore
a quella di ebollizione) attraverso il caff. Era questa lidea che carat-
terizzer pi tardi la tecnologia del Crema Caff10;
nel 1933 la Bialetti introdusse sul mercato la Moka, sistema che
avr il suo boom a partire dagli anni Cinquanta nella preparazione
domestica del caff;
nel 1935 Francesco Illy, fondatore della torrefazione Illy, registr la
Illetta, una macchina che funzionava ad aria compressa, ma che
non fu mai messa in produzione;
nel 1936, il 24 giugno, lingegner Antonio Cremonese brevett un
pistone con pressa a vite per spingere lacqua attraverso il caff. A
seguito della sua morte, questo brevetto verr venduto dopo la Se-
9.
Lavazza fu una delle prime aziende a sfruttare questa innovazione e nel 1931 avvi la
tentata vendita con propri mezzi.
10
Come riportato nel testo dappoggio alla domanda di brevetto, la richiedente ha constata-
to che per preparare una buona bevanda di caff che abbia al massimo grado laroma e la
limpidezza, occorre far passare rapidamente attraverso ad un conveniente strato di polvere di
caff la necessaria quantit di acqua ad una temperatura di poco inferiore ai 100C (conve-
nientemente fra gli 85 ed i 98C) (Capponi, 2005, 59).

24
conda Guerra Mondiale dalla moglie Rosetta Scorza ad Achille Gag-
gia, che nel frattempo aveva anchegli depositato un proprio brevetto
simile, per una cifra di 12.000 lire (Maltoni, 2010)11.
Il vero boom nei consumi di caff arriva solo nel secondo dopoguerra,
quando, fra il 1946 e il 1970, il consumo pro capite decuplica, passando da
0,35 a 3,3 kg; in termini di volumi, questo corrisponde a un aumento da
15.000 a 164.000 tonnellate (si veda la Figura 4). Quegli anni corrispondo-
no al periodo del miracolo economico, caratterizzato dal passaggio da
uneconomia prettamente agricola a quella industriale e dal forte flusso mi-
gratorio interno, dalle regioni del Sud verso quelle del Nord.

Fig. 4 Importazioni di caff nel periodo 1946-1985 (Ton)

300.000

250.000

200.000

281.200
150.000

246.200
245.900
225.300

225.300

223.200
219.900
211.900
201.000
201.500
201.400

193.200
181.500
176.900
176.100
164.600

100.000
155.600
152.100
145.400
123.700
120.400
119.400
116.800
111.900
105.200
99.200
84.300
81.700
77.800
75.700
72.400
69.500
66.700

50.000
61.000
56.400

53.300
1950 52.700
1948 47.900
30.500
194615.900

-
1952
1954
1956
1958
1960
1962
1964
1966
1968
1970
1972
1974
1976
1978
1980
1982
1984

Fonte: ns. elaborazione su dati Istat

Agli inizi degli anni Cinquanta in Italia si contavano oltre 3.000 piccole tor-
refazioni, in gran parte artigianali, che vendevano il caff tostato sfuso (senza
confezione), ma la maggior parte della popolazione acquistava ancora il caff
crudo e in ogni negozio di drogheria, accanto ai sacchi di fagioli, farina, zuc-
chero ecc. cera quello del caff, che veniva poi abbrustolito in casa con dei
tostini e macinato con i macinini a mano se non addirittura con i mortai.
Gli anni Cinquanta sono importanti perch in quel periodo cambiarono le
abitudini degli italiani, che cominciarono a prediligere il caff torrefatto, dei
coloniali o dei bar. Molti di questi negozi si erano perci dotati di macchine
torrefattrici (spesso a legna) che consentivano di tostare dai 5 ai 10 chilo-

11
Secondo altre fonti limporto pattuito fu di 1.000 lire (Capponi, 2011).

25
grammi di caff per volta (De Toni e Tracogna, 2005). Nacquero e si diffuse-
ro cos le torrefazioni artigianali, spesso evoluzione di una precedente attivit
commerciale (come le drogherie), o di unattivit di somministrazione (e
quindi bar, come ad esempio nel caso di Caf do Brasil dei fratelli Rubino
a Napoli).
Ancora pi significativo il cambio di abitudini riguardante il consumo
fuori casa. Nel 1947 Achille Gaggia, titolare di un bar a Milano brevett il
sistema a leva12; questa innovazione diede luogo alla cosiddetta tecnologia
crema caff, che permetteva di servire per la prima volta il caff espresso
cos come lo conosciamo oggi: sciropposo, con una crema marrone in su-
perficie e dal sapore dolce e intenso. Lanno successivo comparvero le pri-
me macchine a leva Gaggia Classica, prodotte dalla Faema di Ernesto Va-
lente e soci13. Coincider con lavvio della diffusione su larga scala dei bar:
in 15 anni, dal 195614 al 1970 il numero di bar passer da 84.000 a 116.000
unit (si veda la Figura 5); nello stesso periodo il consumo pro capite di
caff raddoppia, passando da 1,5 kg a 3,07 del 1970 (si veda la Figura 6).
Il bar si afferma come un fenomeno sociale tutto italiano; come evidenzia
la Figura 5, la progressione numerica che fece registrare in quegli anni questo
genere di attivit non ebbe nulla a che vedere con quella realizzata dallaltro
comparto dei pubblici esercizi, ovvero i ristoranti. Lincremento di unit, in-
fatti, fu del 38% per i bar e dell1% per i ristoranti nel periodo 1956-1970.

12
Il sistema a leva composto da un pistone comprensivo di ingranaggi e una molla che
attraverso una leva comprime lacqua calda sulla cialda di caff. Luso del pistone significa-
va che lestrazione adesso avveniva ad una pressione di nove atmosfere e in questo modo gli
olii essenziali e i colloidi del caff creavano una mousse o crema sulla superficie della be-
vanda (Morris, 2008, 11).
13
Nel 1945 a trentadue anni, Valente con due soci Cantini e Peralla e con un capitale di
300.000 lire costitu la societ FAEMA (Fabbrica Articoli Elettromeccanici Meccanici Affi-
ni), con sede a Milano via del Progresso, per la produzione di fornelli, accessori per vagoni
dei treni e caschi per permanente. Lincontro fra Valente e Gaggia (1947) permise di avviare
la produzione: Achille Gaggia avrebbe messo il brevetto, mentre Valente e soci, lofficina
per la costruzione delle macchine per caff. Il primo modello nato da tale unione, e quindi
marcato Officine Faema e insieme Gaggia, fu il modello Classica del 1948. Nel primo anno
vennero prodotte 90 macchine (Maltoni, 2010, 13).
14
Il 1956 il primo anno in cui sono disponibili dati ufficiali Istat sul numero di esercizi
commerciali rispondenti alla dicitura bar caff, gelaterie, birrerie.

26
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
3,0
3,5
4,0
4,5
5,0
70.000
80.000
90.000
100.000
110.000
120.000
130.000
1946 0,35
0,66
1948 1,04
1,21 1956 93.958 84.250
1950 1,12 1957 92.845 86.083
1,13

so diversi fattori:
1958 92.824 88.355
1952 1,28
1,40 1959 92.671 91.545
1954 1,44 1960 93.043 93.516
1,49
1956 1,55 1961 93.140 95.727
1,59 1962 93.732 97.964
1958 1,66 1963 93.705 100.119

Fonte: ns. elaborazione su dati Istat


Fonte: ns. elaborazione su dati Istat
1,70
1960 1,98 1964 93.791 101.885
2,09 1965 93.928 104.196
1962 2,21 1966 94.639 106.404
2,29
1964 2,32 1967 95.152 106.728

27
2,32 1968 95.304 111.519
1966 2,36
2,76 1969 95.459 114.079
1968 2,87 1970 95.015 116.262
2,91 1971 94.608 118.029
1970 3,07
3,28 1972 93.535 118.099
1972 3,25 1973 89.945 117.888
3,68
1974 3,67 1974 89.780 118.133
3,64 1975 89.621 119.111
1976 3,81 1976 88.929 121.047
3,25
1978 3,45 1977 87.965 122.140
4,01 1978 85.537 120.506
1980 3,90
1979 86.739 123.212
Fig. 6 Evoluzione del consumo pro capite di caff nel periodo 1956-1985 (Kg)

3,99
1982 4,35 1980 87.717 119.524
n bar

4,35 1981 88.134 119.990


1984 3,95
4,97 1982 88.639 121.843
n. ristoranti
Fig. 5 Evoluzione delle licenze di bar e ristoranti in Italia nel periodo 1956-1983 (unit)

1983 87.896 124.030

Sul perch il bar abbia avuto questa dinamica dirompente hanno concor-
1. nel 1954, il 3 gennaio, venne inaugurato il servizio televisivo RAI.
Erano allora poche le famiglie che potevano permettersi un televisore
in casa per cui, la sera usavano riunirsi nei bar per guardare insieme i
programmi. Essendo il caff il prodotto meno costoso disponibile,
divenne il prezzo figurativo per fermarsi a guardare la televisione;
2. negli anni Cinquanta e Sessanta leconomia italiana si modernizz,
trasformandosi da agricola a industriale15. Tutto ci port ad una for-
te migrazione di massa dalla campagna alla citt (urbanizzazione);
nelle principali citt del Nord si crearono interi quartieri in cui le per-
sone non si conoscevano, per cui il bar divenne il luogo prediletto
per socializzare;
3. cambiarono le abitudini della popolazione, soprattutto di quella ma-
schile, che usava trascorrere le ore del dopo-lavoro (soprattutto sera-
li) nei cosiddetti Bar Sport, luoghi in cui si seguiva il calcio e gli
altri sport, si discuteva con gli amici di sport o di politica e si scom-
metteva al Totocalcio;
4. nel 1959 lItalia ader al Mercato Unico Europeo, che fece abbassare
i dazi di importazione di molti prodotti, fra cui il caff16: questo con-
sent un progressivo abbattimento del prezzo di vendita del caff (si
veda la Figura 7);
5. il reddito disponibile della popolazione sal sensibilmente: solo nel
corso degli anni Sessanta aument di 2,5 volte. Ci consent un cam-
biamento dello stile di vita di molti italiani, che potevano ora conce-
dersi nuovi lussi, come quello di fare colazione al bar. Prese piede un
fenomeno prettamente italiano: la moda del consumo del caff fuori
casa. A favorire questa dinamica contribu, in modo rilevante, la mi-
gliore qualit dellespresso del bar, rispetto al caff che veniva pre-
parato allinterno delle mura domestiche. Inoltre, al bar era possibile

15
Nel 1951 il 42% della forza lavoro attiva era occupata nellagricoltura, percentuale che
scende al 29% nel 1961 e al 17% nel 1971.
16
Fino al 1960 il caff era un prodotto relativamente costoso, anche perch veniva tassato
come un prodotto di lusso. Nel 1958 il dazio di importazione del caff verde era pari a 1,21
dollari USA al kg. Dopo lingresso dellItalia nel Mercato Unico Europeo i dazi si abbassa-
rono e il prezzo del caff inizi a scendere; dai 27 euro al kg (valori attualizzati al 2010) del
1959 scese a 19,30 euro del 1970. Questo trend continu anche negli anni successivi, fatta
eccezione per gli anni 1976-80 in cui ci fu un picco dei prezzi per il calo di produzione in
Brasile (a seguito di gelate e di altre calamit), a cui si aggiunse il corso del dollaro USA. Il
costo del caff pass dalle 2.000 alle 12.000 lire nel raggio di due anni. Nel 1974 cadde il
blocco dei prezzi, cos i maggiori costi poterono essere trasferiti sul mercato. Il consumo
nazionale sub una contrazione; nel 1977 lItalia assorb 500.000 sacchi in meno rispetto
allanno precedente.

28
consumare cappuccini fragranti e cremosi che mai sarebbero potuti
essere realizzati in casa;
6. nel 1961 Faema introdusse sul mercato il nuovo modello di macchina
E6117, innovativo sotto molti aspetti: dal punto di vista tecnico, essa
proponeva lerogazione continua con un nuovo gruppo di erogazione
che, utilizzando una pompa elettrica per comprimere lacqua calda,
agevolava i baristi nel suo utilizzo (soprattutto rispetto alle macchine
a leva che risultavano invece molto faticose). A ci si aggiunse anche
il suo posizionamento in termini di prezzo: la E61 aveva infatti un
costo dacquisto sensibilmente pi basso rispetto alle altre macchine
presenti sul mercato18. Questo rese possibile una rapida penetrazione
della macchina da espresso nei bar e trasform il caff espresso in
uno standard nazionale: anche i pubblici esercizi pi piccoli, o con
minori volumi di vendita, potevano permettersi di acquistare una
macchina da caff per servire espressi e cappuccini.
Il profilo del consumatore medio di espresso al bar di quegli anni era:
uomo, di classe sociale medio alta e per lo pi abitante nelle aree urbane del
Centro e del Nord Italia. Secondo una ricerca di mercato del 1953 (Luzzato
Fegiz, 1956), gli uomini bevevano mediamente 1,7 tazze di caff al giorno,
contro le 1,3 delle donne. Met dei consumi di caff degli uomini venivano
fatti fuori casa, mentre fra le donne tale quota scendeva al 14%. I picchi dei
consumi fuori casa venivano registrati nelle regioni del centro Italia (pro-
babilmente per il peso degli apparati amministrativi e governativi di Roma)
e nelle citt maggiori: nei comuni con oltre 250.000 abitanti la quota di
consumatori di caff raggiungeva il 90%, mentre in quelli con meno di

17
La vera conquista del mercato nazionale ed internazionale da parte di Faema, avvenne
con il lancio di una macchina da caff veramente innovativa; la cosiddetta macchina ad
erogazione continua, modello E61 che prese il nome E dalleclisse solare avvenuta pro-
prio in quellanno. Ci fu il frutto di diversi brevetti, risultato dalle evoluzioni di modelli
precedenti. Lacqua per il caff proveniva direttamente dalla rete idrica e non pi dalla cal-
daia e attraversava laddolcitore a resine che eliminava il calcare. La pompa volumetrica la
spingeva, pressurizzata a 9 bar, attraverso uno scambiatore di calore collocato allinterno
della caldaia a vapore che la riscaldava portandola alla temperatura ottimale. Dopo aver su-
bito questi processi lacqua entrava nel gruppo derogazione, attraversando il caff macinato
in circa 25 secondi. Inoltre il nuovo gruppo erogatore, staccato dalla caldaia, era mantenuto
costantemente caldo, alla giusta temperatura, dallacqua circolante a termosifone (Mal-
toni, 2010, 17).
18
A volte il differenziale di costo risultava inferiore anche del 60-70%. Valente ebbe un
impulso geniale: volle allargare il proprio mercato, attraverso la trasformazione in prodotto
industriale di ci che era stato, fino a quel momento, un prodotto artigianale, costoso e ven-
duto a caro prezzo. Solo un oggetto prodotto su scala industriale e ad un prezzo conveniente
poteva infatti trovare un mercato disposto a riceverlo, in quantit crescenti (ivi, 14).

29
50.000 abitanti si attestava al 65%. I livelli pi bassi di consumo venivano
registrati nelle regioni meridionali, la cui economia era prettamente agrico-
la e in cui non si superava la soglia del 60%. A livello nazionale, il 71%
della popolazione consumava abitualmente il caff, con una media fra i
consumatori pari a 2,1 tazze pro capite (che corrispondeva a circa 1,5 tazze,
estendendo la media a tutta la popolazione).

Fig. 7 Evoluzione dei prezzi al consumo di un kg di caff tostato (Euro in valore al 2010)

Fonte: ns. elaborazione su dati Istat: LItalia in 150 anni Tab. 21.4.

A partire dalla fine degli anni Cinquanta, con laumento dei consumi e
con le innovazioni nel packaging, lindustria del caff inizia a trasformarsi; le
piccole torrefazioni artigianali che vendevano il prodotto sfuso ai negozi e
bar vicini, lasciarono il posto a torrefazioni pi strutturate che vendevano il
prodotto impacchettato e con un brand riconoscibile. A favorire questo pas-
saggio contribu anche una nuova normativa anticontrabbando, la legge n.
344/1966, che introdusse severe restrizioni a tutela degli operatori contro il
contrabbando del caff e pose seri limiti al commercio di caff sfuso.
Alcune torrefazioni iniziarono cos ad allargare la loro sfera dazione
allinfuori dei confini provinciali o regionali, come ad esempio fece Lavazza,
che presto divent un player nazionale anche grazie a forti investimenti nella
pubblicit televisiva; nel decennio 1951-1961 la produzione dellazienda to-
rinese pass da 19.000 a 47.000 quintali (Lavazza, 2005).
A rallentare questo processo espansivo ha contribuito leterogeneit in
termini di preferenze di gusto del caff, che si erano consolidate nelle varie
30
aree geografiche del Paese. Ci costitu una vera barriera allespansione dei
torrefattori su larga scala; man mano che si scendeva verso il Sud, i consu-
matori tendevano a preferire caff pi forti con una maggiore quantit di
Robusta nelle miscele e una tostatura pi scura. Anche il caff in tazzina
veniva servito in modo diverso: dal momento che la Robusta risultava esse-
re pi amara e con una quantit doppia di caffeina rispetto allArabica, nel-
le regioni meridionali si diffuse la moda del caff ristretto, cio servito in
quantit molto pi concentrata (15 ml contro i 25-30 ml del Nord).
Tuttavia, luso di miscele di caff Robusta e Arabica naturali (in partico-
lare brasiliani) divent presto una prassi diffusa in tutta Italia e non solo da
parte dei torrefattori del Sud. Questo perch il metodo di estrazione dell
espresso, in virt della maggiore pressione dellacqua, tende ad esaltare
lacidit19 e allo stesso tempo a pronunciare il profilo aromatico dei caff;
ci fa s che anche i caff considerati deboli da un punto di vista aromatico,
come ad esempio i caff naturali brasiliani, nellespresso garantiscono
una buona qualit. Perfino i caff Robusta con il sistema espresso hanno un
risultato qualitativo migliore rispetto ad altre modalit di estrazione; in par-
ticolare essi apportano alla bevanda densit, corpo e maggiore quantit di
crema in superficie. Dallaltro lato, gli Arabica lavati, come i colombiani,
o i keniani, che normalmente vengono considerati pi pregiati negli altri
sistemi di estrazione, nellespresso risultano poco graditi al consumatore
italiano, per la loro eccessiva acidit. Per queste sue caratteristiche, Morris
(2010, 171) definisce il processo espresso come un modo per rendere i
caff ordinari buoni, ma i buoni caff ordinari.
Oltre agli aspetti aromatici e di resa in tazza, a favorire luso di Robu-
sta e Arabica naturali, cera anche il fattore costo; essendo essi pi econo-
mici rispetto agli Arabica lavati, i torrefattori potevano risparmiare sui costi
senza che questo si ripercuotesse in un calo della qualit percepita dal con-
sumatore.
Nei decenni Cinquanta e Sessanta, i Brasiliani naturali costituivano la
principale base delle miscele; dai dati sulle importazioni risulta infatti che
nei primi anni Settanta essi rappresentavano il 69% del totale dei caff im-
portati in Italia, mentre i Robusta pesavano per il 20% (Fig. 8). Questo mix
sub un drastico cambiamento a partire dalla met degli anni Settanta, a se-
guito di alcuni fattori:

19
The intensity of extraction under pressure enhances the flavour profile of the relatively
balnd-tasting unwashed Brazilian naturals, but magnifies the acidity in some of the spe-
cialty washed arabicas, such as Kenyan coffee, to the point that this overwhelms the desid-
erable fruit notes (Morris, 2010, 79). Si veda anche Antony Wild (2004, 271-276).

31
negli anni 1976-1977 in Brasile alcune gelate distrussero gran parte
dei raccolti, e ci fece schizzare in alto i prezzi. I torrefattori italiani
furono allora costretti a intensificare luso del Robusta per compen-
sare la scarsa disponibilit degli Arabica naturali;
il prezzo al pubblico della tazzina di caff era regolato dalle autorit
locali, per cui i torrefattori erano impossibilitati a traslare interamen-
te i maggiori costi della materia prima sul prodotto finito. Essi cerca-
rono allora di recuperare margini di redditivit spostando il mix di
produzione su caff pi economici;
i consumatori italiani non percepirono il calo qualitativo del caff, o
quanto meno non reagirono con una contrazione dei consumi, e
quindi i torrefattori si sentirono legittimati a proseguire la loro politi-
ca di impoverimento della qualit delle miscele, quando le quotazioni
tornarono ai livelli normali;
il mercato dei bar dalla fine degli anni Settanta aveva raggiunto il li-
vello di saturazione, per cui, a fronte dei minori margini di crescita, i
torrefattori avevano iniziato ad attuare politiche competitive basate
sullarricchimento dellofferta, che port ad alzare sensibilmente i
costi di acquisizione e di fidelizzazione dei clienti. Come effetto col-
laterale, la qualit della miscela di per s pass in secondo piano e
ci permise di recuperare marginalit attraverso un risparmio nei co-
sti della materia prima.
Il risultato di questi fattori fu che agli inizi degli anni Ottanta il mix de-
gli approvvigionamenti era profondamente cambiato: i Robusta erano saliti
al 43%, mentre i Brasiliani erano scesi al 36% (si veda la Figura 8).

Fig. 8 Evoluzione delle importazioni in Italia di caff verde per tipi di caff (secondo la
classificazione ICO)

100 7,24 Altri dolci


3,33 11,9 16,18 21,12 23,49
9,06 7,89
80 4,86 3,27
Colombiani
60 36,02 29,45 29,12 dolci
68,99 36,75
Brasiliani
40 naturali
43,02 46,48 44,9
20 36,49 Robusta
20,44
0
1970 1980 1990 2000 2010

Fonte: ns. elaborazione su dati Comitato Italiano Caff Relazione 2013.

32
Agli inizi degli anni Ottanta, il bar entra nella fase di maturit; il nu-
mero di esercizi, pur continuando ad aumentare, mostrava un ritmo di cre-
scita molto pi contenuto rispetto agli anni precedenti (si veda la Tabella
2): nel ventennio 1981-2001 il numero di unit locali cresciuto solo del
10%, passando da 110.795 a 121.751 (come evidenziato dalla Figura 9).
Tuttavia, nel corso dellultimo decennio (2001-2011) il ritmo di crescita
tornato a presentare i ritmi degli anni del boom, passando in dieci anni da
121.000 a 148.000 unit. Come avremo meglio modo di esaminare nei pros-
simi capitoli, questa dinamica non il riflesso di una nuova fase di sviluppo,
quanto piuttosto sintomo di una condizione di difficolt di questo genere di
esercizio.
Oggi in Italia si contano oltre 150.000 bar20, ovvero uno ogni 350 abitanti;
una densit questa che non ha pari nel contesto mondiale e che probabilmente
concorre a rendere il settore poco remunerativo. Essa in parte spiega il perch
questo comparto sia tuttora dominato da aziende familiari, disposte ad accet-
tare bassi margini e ad assorbire il costo del lavoro, anzich da altre tipologie
di aziende (come societ struttura o catene) per le quali esso risulta antieco-
nomico.

Tab. 2 Fasi evolutive del bar in Italia

Il bar italiano nasce e si sviluppa principalmente come luogo in cui si somministra caff e altri generi di be-
vande, ivi inclusi alcolici. In una prima fase la disponibilit di food perlopi limitata al dolce, inteso sia come
pasticceria che gelateria, anche se non mancano prodotti salati come tramezzini e panini.
Nel corso degli anni Ottanta, a fronte di un cambiamento economico e sociale, cambiano le abitudini alimentari
degli italiani. I bar, incalzati dalla spinta di una domanda di pasti funzionali in rapida crescita (soprattutto nei grandi
centri urbani) allargano (soprattutto nella pausa pranzo) la loro offerta con il food (come panini farciti, insalate e primi
espressi). Inizia cos a prendere piede il format del lunch bar, che si frappone fra il bar tradizionale e il ristorante,
distinguendosi da questultimo soprattutto perch propone pasti veloci e generalmente pi economici. Esso mira a
conquistare una fetta di quella popolazione (che oggi ha raggiunto la quota di 12 milioni di persone) la quale per ne-
cessit di lavoro si trova sempre pi spesso a consumare i pasti fuori le mura domestiche.
Negli anni Novanta levoluzione del bar prosegue attraverso laggiunta di nuovi servizi, come quelli di intrat-
tenimento. Questi format costituiscono un segmento minoritario rispetto al tradizionale bar commerciale, ma la
loro presenza risulta sufficientemente diffusa.

20
Esistono dati discordanti fra le varie fonti sul numero di bar presenti sul territori. Ci in
parte legato a una non omogenea classificazione delle attivit ricomprese allinterno del
comparto; alcune fonti ad esempio escludono gli esercizi stagionali (vedi chioschi e bagni-
ni), altre escludono i bar inseriti in altre strutture (vedi alberghi, campeggi, discoteche, ), e
cos via. Tutto ci fa s che il numero di bar oscilli allinterno della forbice compresa fra le
141.000 unit e le 164.000 unit. Unaltra fonte di distorsione legata al fatto che alcune
fonti confondono il numero di unit locali con il numero di imprese. Data la scarsa rilevanza
che nel contesto italiano rivestono le catene, i due numeri risultano infatti molto vicini.

33
Quadro evolutivo dellofferta del Bar negli ultimi decenni
TIPOLOGIA DI OFFERTA 1980 1980-90 1990-00 Oggi
Somministrazione bevande
Somministrazione Alimenti
Intrattenimento
Servizi

Con riferimento allincrocio tra modalit di fruizione, modelli di consumo e combinazione di prodotti e servi-
zi possibile definire quattro differenti macro-tipologie di bar:

Esercizi specializzati: sono caratterizzati dalla forte incidenza del consumo di specifici prodotti e/o servizi
e da modalit di fruizione ben definite (colazione, pranzo, sera ecc.). Essi riguardano il 76,1% degli esercizi pre-
senti sul territorio e comprendono:
Bar/caff tradizionali (15,1%)
Bar con sala da biliardo (13,4%)
Bar con prevalente vendita di alcolici (11,8%)
Snack bar (11,5%)
Bar di paese (9,5%)
Bar stagionali (5,5%)
Bar/Pizzeria (4,1%)
Bar corner (centri commerciali) (3,3%)
Bar/Latteria (2,0%)

Esercizi specializzati con take away: la variante rappresentata da quegli esercizi in cui il consumo non
viene svolto soltanto allinterno del locale, ma anche fuori per mezzo dellasporto. Essi riguardano quindi preva-
lentemente gelaterie e pasticcerie artigianali.
Bar/Past./Gelat. (14,9%)

Esercizi integrati: in cui presente una buona integrazione tra le caratteristiche tradizionali del bar con quelle
di altri servizi. il caso dei locali serali dove insieme a bevande e food si trovano servizi di intrattenimento.
Bar/tabacchi (5,1%)
Bar con intrattenimento (2,1%)

Integrati con take away: in cui lintegrazione con altri servizi si associa anche un servizio di asporto. Tali
locali sono per lo pi localizzati presso stazioni ferroviarie e/o stazioni di servizio.
Bar in stazioni ferroviarie (1,0%)
Bar in stazioni di servizio (0,8%)

Quadro evolutivo dei format del bar


1970 1970-80 1980-90 Oggi
Bar/Caff Bar/Pasticceria Snack Bar Bar on line
Bar Shop
Bar Music

Fonte: Ufficio Studi Fipe Il bar italiano.

34
Fig. 9 Levoluzione dei bar in Italia

148.513
141.764
150.000
145.000
140.000
135.000

121.751
130.000

116.218
125.000

113.031
120.000 110.795

107.685
107.360
105.349

115.000
102.660

110.000
105.000
100.000
1971 1981 1991 2001 2011

N. imprese N. unit locali

Fonte: Fipe Il bar italiano 2012, su dati Istat 1971-2001 proiezione su dati InfoCamere
(2011).

1.2. La filiera produttiva del caff e il ruolo della torrefa-


zione

Per definire il business del caff dal punto di vista merceologico-


manifatturiero, e quindi individuare quali sono le imprese che appartengono
al settore della torrefazione, indispensabile soffermarsi, in via prelimina-
re, sulla struttura della filiera tecnologica-produttiva del caff ed individua-
re la posizione occupata dalle torrefazioni allinterno di tale filiera. Si noti
peraltro che le modalit di gestione della filiera produttiva da parte delle
singole imprese (e la natura dei rapporti che si instaurano con i vari soggetti
economici che partecipano alla filiera) sono strettamente interdipendenti
con la strategia competitiva di queste.
Nella Figura 10 viene illustrata la filiera produttiva del caff, intesa co-
me sequenza delle attivit che devono essere svolte per trasformare la mate-
ria prima nel prodotto finito; vengono altres evidenziati linput principale e
loutput generato da ciascuna fase di lavorazione. Come si vede dalla figura
la filiera pu essere scissa geograficamente in due tronconi: il primo, che
comprende le fasi di lavorazione pi a monte, si svolge prevalentemente

35
nei Paesi produttori/coltivatori di caff, mentre il secondo, che comprende
le fasi di lavorazione pi a valle, e quindi vicine al mercato finale, si svolge
prevalentemente nei Paesi consumatori di caff.

Fig. 10 Schema semplificato della filiera produttiva del caff: input, output e attivit

Input Attivit Output

SEME Riproduzione della PIANTA


pianta di caff

PAESI PRODUTTORI
PIANTA Raccolta dei frutti CILIEGIA
(manuale, meccanica)

CILIEGIA Beneficiamento CAFF VERDE

CAFF VERDE Classificazione del


caff crudo

Selezione e pulitura

PAESI CONSUMATORI
del caff verde

Torrefazione CAFF
TOSTATO

Confezionamento del
caff tostato

Fonte: ns. elaborazione.

Riguardo alla riproduzione della pianta del caff, nella figura stato in-
serito il metodo pi utilizzato, che quello per seme21. Sono necessari anni
affinch la pianta cresca e fiorisca. La fruttificazione del fiore graduale:

21
In realt esistono altri due metodi di riproduzione: per innesto e per propaggine. Tuttavia,
il metodo pi utilizzato e pi sicuro risulta essere la moltiplicazione per seme, mentre gli
altri due sono impiegati solamente per alcune limitate variet di piante (De Toni e Tracogna,
2005).

36
dal colore iniziale verde, via via che raggiunge la piena maturazione, passa
ad un rosso sempre pi intenso (simile a quello di una ciliegia) per poi di-
ventare marrone scuro, quasi nero, se lasciato molto a lungo sul ramo.
Quando i frutti arrivano a perfetta maturazione si procede alla raccolta, di-
versa nei tempi da Paese a Paese, a seconda delle differenti situazioni geo-
grafiche, del clima e del terreno22.
Esistono tre metodi per separare i frutti dalla pianta: due manuali (pic-
king e stripping) e uno meccanico.
Il picking un lavoro del tutto manuale, che consiste nello staccare (se-
lezionare) una ad una solo le ciliegie arrivate al giusto punto di maturazio-
ne; un metodo costoso ma che assicura un raccolto omogeneo e di ottima
qualit.
Lo stripping un metodo pi rapido ma che determina una qualit infe-
riore del risultato. Avviene in un unico lasso di tempo, durante il quale
vengono staccati dai rami tutti i frutti, indipendentemente dallo stato di ma-
turazione in cui si trovano, per poi procedere alla successiva selezione di
quelli maturi.
Il terzo metodo (stripping meccanico), sovente applicato nelle grandi
piantagioni, basato sulla vibrazione dei rami dalbero di caff, usando
particolari macchine, che raccolgono le ciliegie tutte insieme, senza alcuna
distinzione.
Dai centri di raccolta le bacche arrivano alla fase del beneficiamento,
dove vengono depurate e separate dai corpi estranei (quali foglie, pietruzze,
terra ecc.); a questo punto si procede alla vera e propria estrazione del chic-
co di caff dai frutti, che andrebbe effettuata entro poche ore dalla raccolta
per evitare uneventuale fermentazione della ciliegia. Tre sono i metodi
principali: trattamento in umido, a secco e semi-umido.
Il primo metodo, impiegato per le qualit di caff pi pregiate, richiede
ciliegie dalla maturazione e dalla consistenza omogenea. I frutti vengono
spolpati mediante speciali macchine e posti in vasche contenenti acqua af-
finch fermentino; i chicchi vengono poi essiccati al sole o in essiccatoi in-
dustriali ad una temperatura di 45-60 e infine liberati della membrana pro-
tettiva (pergamino). Il caff cos ottenuto classificato come lavato, di
aspetto uniforme e privo di difetti, di colore verde per gli Arabica e verde-
giallo per i Robusta.

22
In linea di massima si pu affermare che nelle regioni a nord dellequatore, il periodo di
fioritura corrisponde alla nostra primavera e il raccolto avviene in inverno; a sud
dellequatore la fioritura avviene al termine della nostra estate e il raccolto in primavera.

37
Nel procedimento a secco le drupe vengono stese a seccare al sole per
2-3 settimane o in essiccatoi industriali, al termine delle quali il chicco vie-
ne separato dalla polpa e dalla membrana protettiva. Il risultato un caff
meno uniforme, di colore verdastro per gli Arabica e verde-marrone per i
Robusta, e classificato come naturale.
Il terzo trattamento (semi washed) si caratterizza per un consumo infe-
riore di acqua; le ciliegie appena raccolte vengono spolpate da una macchi-
na, che elimina sia la buccia, sia la polpa, permettendo di saltare la fase del-
la fermentazione. Il caff ottenuto viene cos essiccato al sole o negli essic-
catori e classificato come caff semi-lavato.
Ottenuto il chicco va effettuata una cernita per eliminare le impurit.
Queste vengono soffiate mediante una fase di pulitura, alla quale segue una
selezionatura, manuale o elettronica, per eliminare i chicchi immaturi o
fermentati, che possono rovinare la qualit del prodotto. Il crudo ottenuto in
seguito ai sopracitati trattamenti, per essere commercializzato, deve essere
classificato sulla base di criteri, diversi da un Paese produttore allaltro, che
tengono conto di varie caratteristiche, tra le quali la provenienza, il numero
di difetti, la specie botanica, il metodo di lavorazione, lannata del raccolto,
la forma e la grossezza della grana, il colore (www.caffe.it)23.
Effettuata la classificazione, il caff viene pesato e immesso nei sacchi
di juta da 60 kg, immagazzinati e raccolti in speciali ambienti protetti pronti
per essere imbarcati in container e quindi essere esportati.
Dopo essere sbarcato nel porto del Paese di destinazione, il caff verde vie-
ne sottoposto ad ulteriori processi di pulitura e selezione per migliorarne la
qualit. Vengono cos effettuati tutta una serie di interventi, atti
allindividuazione e alleliminazione di corpi estranei come foglie, legni e pie-
truzze (particolarmente presenti nei sacchi provenienti da alcuni Paesi produt-
tori, in cui la cura del chicco non adeguata) e dei chicchi difettosi o deteriora-
ti, in modo da evitare che il danno si estenda anche al prodotto sano.
A questo punto del processo, il caff pronto per subire una serie di tra-
sformazioni fisiche e chimiche, a seguito delle quali potr essere commer-
cializzato. Il processo di trasformazione del caff quello che determina il
sapore e le propriet della bevanda, la corposit o il grado di acidit. Tale
processo costituisce lattivit caratteristica delle imprese di torrefazione:
queste acquistano il caff crudo, impiegando vari canali di approvvigiona-

23
Si noti che il colore del caff varia a seconda della zona di provenienza, della specie bota-
nica, della durata di conservazione: il giallo dei vecchi raccolti di Arabica naturali, il bruno
dei Robusta, il verde dei nuovi raccolti di Arabica, fino al blu dei caff centro-americani la-
vati.

38
mento e rivolgendosi a diversi fornitori, lo trasformano e quindi vendono il
prodotto ottenuto mediante uno o pi canali distributivi per arrivare al con-
sumatore. Esse si trovano quindi nel cuore della filiera tecnologica-
produttiva del caff.
Dallosservazione della realt si possono individuare tre principali cana-
li di approvvigionamento del caff verde impiegati dai torrefattori italiani:
a) importazione indiretta tramite broker, il quale vende un contratto di
acquisto del caff (non il prodotto caff), che pu provenire da ogni
parte del mondo e che entrer in possesso del torrefattore soltanto in
un momento successivo; i broker richiedono solitamente dei quanti-
tativi minimi di acquisto;
b) importazione indiretta tramite dealer, il quale a differenza del broker
vende il prodotto caff e si impegna a consegnarlo al torrefattore, fa-
cendosi carico di tutti i rischi e i costi relativi; esso controlla anche la
qualit dei chicchi, eliminando eventuali impurit, e pu acquistare di-
rettamente dallesportatore o dal broker; una figura particolare quella
del crudista: si tratta di imprese che importano il caff crudo diretta-
mente dai fornitori localizzati nei Paesi di produzione del caff oppure
dai dealer internazionali. Esse riforniscono soprattutto le piccole torre-
fazioni, le quali acquistano quantitativi ridotti di caff e non hanno so-
vente al loro interno nemmeno una struttura o una persona dedicata in
modo specialistico alla gestione degli approvvigionamenti;
c) importazione diretta dallesportatore localizzato nel Paese di origine
del caff crudo oppure direttamente dal coltivatore della pianta di
caff.
Pi raramente limpresa di torrefazione gestisce in proprio anche la col-
tivazione della pianta, realizzando di fatto una strategia di integrazione ver-
ticale a monte. La scelta del canale di approvvigionamento dipende da vari
fattori, tra i quali la dimensione aziendale difficilmente infatti le imprese
di piccola dimensione riescono a sostenere una strategia di importazione
diretta ma anche la strategia competitiva quanto pi la qualit del
prodotto rappresenta lelemento determinante della strategia di differenzia-
zione dellimpresa, tanto pi diviene rilevante controllare la materia prima
che si acquista, e quindi maggiore la tendenza allimportazione diretta
(Borzoni e Poole, 2011)24. In alcuni casi la strategia di approvvigionamento

24
In questi casi il torrefattore cerca di sviluppare una relazione diretta con i fornitori nei
Paesi di origine, effettua investimenti relationship-specific (ad esempio per corsi di adde-
stramento, e di formazione) e cerca di sviluppare un linguaggio comune per comunicare in
maniera chiara e non equivoca sulle caratteristiche del prodotto oggetto di scambio; in tal

39
combina canale indiretto e diretto: il caso di Caff Pascucci, come descrit-
to nella tabella seguente.

Tab. 3 Politica di approvvigionamento di Caff Pascucci: il progetto Big Bio Haiti

La Torrefazione Pascucci seleziona attualmente circa 18 tipologie di caff verde da tutto il mondo; il princi-
pale canale di approvvigionamento costituito dai trader nazionali ed internazionali, che collaborano da tempo
con limpresa; questi inviano una serie di campioni sui quali lazienda effettua una serie di controlli al fine di sce-
gliere le variet, che andranno a far parte della miscela Pascucci. La restante parte degli approvvigionamenti
avviene in modo diretto, cio direttamente dalle piantagioni: si tratta di particolari qualit di caff organici, che
seguono il canale del commercio equo e solidale. In questo ambito rientra il recente progetto qualit con Haiti:
un luogo considerato di elevate potenzialit dal punto di vista della produzione del caff, ma ancora poco sfrutta-
te. La povert e le pessime condizioni di vita in cui vivono i coltivatori si riflettono sulla scarsa qualit del prodot-
to, perch i coltivatori non hanno risorse finanziare da investire in materiali e tecniche di coltivazione migliori.
Il progetto Big Bio Haiti nasce nel 2008 ed finalizzato alla commercializzazione del caff crudo coltivato e
raccolto dalle famiglie contadine di Haiti, con metodi completamente naturali, nel rispetto dei principi
dellagricoltura biologica. Lobiettivo principale del progetto, realizzato in collaborazione con Gino Girolomoni
(uno dei padri fondatori del biologico in Italia) far s che ai coltivatori di caff venga corrisposto un prezzo, tale
da garantire una corretta remunerazione delle attivit agricole, e contribuire al miglioramento delle capacit ope-
rative ed organizzative della comunit locale, fornendo assistenza tecnica per la produzione e la lavorazione del
caff, rafforzando le abilit nel campo della gestione e del monitoraggio nellagricoltura, migliorando le coltivazio-
ni tradizionali, introducendo coltivazioni di caff pi moderne ma sempre nel rispetto con il territorio, favorendo
unagricoltura sostenibile che abbia come obiettivo la salvaguardia dellambiente mediante una gestione raziona-
le delle risorse produttive. Con lassistenza gratuita fornita dal Servizio Agricolo Pascucci, attraverso la collabo-
razione dellagronoma Diane Nsengiyumva, si consente ai coltivatori di trarre vantaggio da un programma di
formazione allavanguardia e al contempo allazienda viene garantita la qualit necessaria per ottenere caff
eccellenti. Combinando visite presso aziende agricole e seminari, lagronomo insegna ai coltivatori le tecniche
per migliorare la qualit consentendo un maggiore guadagno. Durante la formazione vengono forniti anche stru-
menti da lavoro, come guanti, stivali, forbici e altre attrezzature e viene insegnato luso dei concimi organici per
incrementare la produttivit del suolo. La permanenza presso le comunit agricole e la relazione diretta con loro

modo si viene a creare un alto grado di dipendenza reciproca tra le parti, tale da scoraggiare
eventuali comportamenti opportunistici. Illy rappresenta un caso emblematico da questo
punto di vista: limpresa triestina seleziona e lavora, senza intermediari, con i migliori pro-
duttori di caff nel mondo, dai quali acquista la materia prima, e sviluppa con i coltivatori
relazioni di collaborazione a medio lungo termine.
La maggior parte delle imprese italiane (come Essse Caff, Caff Mokambo) impiega canali
di approvvigionamento indiretti come limportazione tramite broker; in tal caso diviene
fondamentale assicurare una serie di controlli del caff crudo in entrata; frequente
linvio da parte dei fornitori di campioni di caff crudo sul quale vengono effettuati dei test,
volti a verificare la conformit del prodotto agli standard e ai parametri qualitativi fissati
dallazienda (nel caso di Essse Caff, ad esempio, sono circa 20 gli elementi sottoposti a
valutazione, come laspetto, il profumo, laroma, la finezza ecc.). Soltanto dopo il supera-
mento di tali test, avviene la spedizione della partita di caff da parte del fornitore, la quale,
una volta giunta nello stabilimento, viene sottoposta ad ulteriori controlli organolettici e
chimici (intervista a Barbara Chiassai, 22 febbraio 2013; intervista a Nicola Di Nisio, 22
aprile 2013).

40
consentono di raggiungere un rapporto di fiducia e di arricchimento reciproco, che sono elementi fondamentali
per la buona riuscita del progetto.
Da questo rapporto nasce la miscela di caff biologico Big Bio Pascucci, la quale punta a soddisfare le
aspettative dei clienti che fanno attenzione, non soltanto al gusto, ma anche alla storia del prodotto che consu-
mano, alla sua tracciabilit, alla correttezza sociale delle sue origini, alla sua storia.
Il progetto dovrebbe essere esteso, a breve, anche ad altre realt produttive; tre sono le zone oggetto di in-
teresse: lIndia, che possiede grandi produzioni e mostra un maggiore interesse verso la qualit del prodotto,
oltre ad avere delle potenzialit enormi in termini di consumo; lUganda, in quanto lagronomo di Pascucci di
origine ugandese e pertanto possiede dei contatti sul posto; Cuba, considerata dallimpresa un luogo dalle condi-
zioni ambientali e climatiche favorevoli per la produzione del caff verde, ma ancora poco sfruttato.
Al fine di mettere in evidenza la provenienza del caff da coltivazioni biologiche, Pascucci ha creato il logo
Juta Bio. Il sole da sempre simbolo di vita e di energia; i suoi raggi sono i simboli etruschi delle onde e quindi
nel logo racchiuso anche lelemento acqua. Acqua e sole collaborano da sempre al ciclo inesauribile della vita.
La foglia lelemento vegetale che origine della vita ed la base per la sopravvivenza di tutti gli altri orga-
nismi; dalle foglie infatti ha origine il ciclo biologico. Le foglie sono tre: il numero perfetto.

Fonte: intervista a Mario Pascucci, 22 febbraio 2013; www.pascucci.it.

Il processo industriale di trasformazione del caff si articola in tre fasi


fondamentali: la tostatura, la miscelazione e la macinatura (si veda in pro-
posito la Figura 11). Si tratta di un processo di produzione a flusso poi-
ch una volta ottenuto il prodotto finito non pi possibile risalire al mate-
riale di origine, avendo questo subito trasformazioni fisico-chimiche e a
ciclo tecnicamente obbligato poich il ciclo di lavorazione imposto
dalla tecnologia di trasformazione merceologica dei materiali (Silvestrelli,
2003), fatta eccezione per la fase della miscelazione delle variet di caff,
che pu avvenire prima o dopo quella della tostatura.
Tostatura: esistono diversi gradi di tostatura, che impiegano temperature e
tempi diversi, in funzione del tipo di bevanda che si vuole ottenere, della varie-
t di caff e della sua zona di produzione. Alcune specie raggiungono la cottura
ottimale in tempi brevi, altre richiedono processi pi dilatati a temperature di-
verse (ad esempio, gli Arabica richiedono un trattamento blando per non altera-
re gli aromi poco intensi, mentre i Robusta necessitano di tempi e temperature
superiori)25. In Italia il processo di tostatura viene effettuato in modo molto
spinto: il caff viene portato ad una temperatura di 200-220 C, con una durata
del processo che va dai 12 ai 20 minuti circa, durante il quale il caff cambia

25
In realt questo vale in linea generale. Infatti, proprio in virt della diversa esperienza e
del risultato che si vuole ottenere, le aziende torrefattrici scelgono tempi e modalit diverse;
ad esempio, Lavazza adotta cicli di tostatura corti per i Robusta, per esaltare la corposit, e
tempi medi per gli Arabica, per evidenziare la dolcezza delle miscele (www.lavazza.com).

41
fisicamente e chimicamente26. Diventa oleoso ed assume la tipica colorazione
bruna, dovuta sostanzialmente alla caramellizzazione degli zuccheri; inoltre, i
chicchi diventano friabili, perdono il 18-20% di peso (a causa delleva-
porazione dellacqua), ma il loro volume aumenta del 30-50% perch
allinterno si sviluppa anidride carbonica. Dal punto di vista chimico, il conte-
nuto di caffeina si riduce con lintensit del trattamento (pi elevata la tempe-
ratura, maggiore la diminuzione di caffeina; in Italia si perde il 20% circa),
lumidit scende all1% e mutano le centinaia di sostanze chimiche presenti nel
chicco. La tostatura pu essere realizzata secondo due metodologie (Bazzara e
Bazzara, 2008):
il sistema con tostatrici a letto fluidificato, a ciclo continuo, pi rapido
ma che consente di ottenere una minore resa qualitativa del prodotto fi-
nale; in tal caso i grani di caff sono investiti direttamente da un vortice
di aria calda ad elevata pressione, che tiene in sospensione i semi per
qualche minuto;
il sistema con tostatrici a tamburo rotante, a ciclo discontinuo, che pi
lento ma permette di ottenere una qualit superiore del prodotto finale; i
chicchi in tal caso sono sottoposti ad una fonte di calore che aumenta in
modo progressivo e vengono fatti ruotare allinterno di un cilindro. la
tecnologia di gran lunga pi utilizzata dalle imprese italiane.
Raffreddamento: a fine cottura, il caff viene scaricato in una vasca di
raffreddamento, dove la temperatura si abbassa velocemente ed omoge-
neamente. Il raffreddamento pu avvenire ad aria o ad acqua. A questo
punto il caff pronto per leventuale miscelazione tra Arabica e Robusta,
e proseguire verso la macinazione ed il successivo confezionamento, o di-
rettamente in confezionamento se sar venduto in grani.
Miscelazione27: consiste nel dosare le differenti variet di caff, prove-
nienti da diverse zone, per ottenere il blend desiderato. La miscelatura
unarte, frutto di esperienza, tecnica e selezione, volta ad ottimizzare aroma,
26
opportuno precisare che in rari casi la tostatura avviene anche con tempi molto pi ve-
loci, di circa 6 minuti.
27
La creazione della miscela pu essere eseguita prima o dopo la tostatura: miscelare prima
presenta il vantaggio di una maggiore omogeneit gusto-olfattiva del prodotto, a fronte di
una maggiore difficolt nella cottura ad ottenere un colore omogeneo dei chicchi provenien-
te da partite diverse, che hanno quindi dimensioni e pesi differenti. Miscelando dopo la to-
statura tale problema non sussiste; tuttavia, laroma e il gusto del prodotto risultano meno
costanti e amalgamati (De Toni e Tracogna, 2005). Essse Caff, ad esempio, una delle
aziende che ha scelto di miscelare le 8-9 variet di caff crudo scelte prima della tostatura,
in modo tale da ottenere un risultato finale ottimale nella miscela; stessa strategia seguita
anche da Illy Caff e Corsino Corsini. Diversa invece la scelta operata da Caff Pascucci e
da Quarta Caff, che attuano la miscelatura dopo lattivit di torrefazione.

42
corpo e flavour per ottenere un caff con una qualit in tazza superiore rispet-
to a ciascuno degli ingredienti miscelati e per mantenere costante la qualit
della bevanda nel tempo. In questo sta il know-how principale dei torrefattori
italiani: una peculiarit rispetto a quanto accade allestero, dove molto pi
diffuso il consumo di caff mono-origine, quindi senza miscelatura. Pi
complessa la miscela, pi facile ottenere tale costanza qualitativa al varia-
re di alcuni ingredienti (Illy e Viani, 2009, 139). Le miscele composte di sola
Arabica di diversa provenienza sono pi dolci e aromatiche; quelle composte
da Arabica e Robusta risultano invece corpose e pi forti.
Macinatura: il chicco viene ridotto in polvere. La macinatura cambia
in funzione del tipo di preparazione a cui il caff destinato: nella prepara-
zione filtro, ad esempio, deve essere equilibrata, poich troppo fine impedi-
sce allacqua di scolare mentre troppo grossa non la trattiene; per la moka
necessaria una macinazione media; per lespresso, la macinatura deve esse-
re fine in modo da esaltarne la cremosit.

Fig. 11 Il ciclo di lavorazione nelle imprese di torrefazione

Miscelazione delle
variet di caff

Tostatura

Raffreddamento

Miscelazione delle
variet di caff

Caff in grani
Macinatura

Confezionamento

43
Riguardo alla tecnologia utilizzata nel processo produttivo, va rilevato
che si tratta di macchinari ed attrezzature ormai largamente diffuse, mature
e facilmente accessibili: da ci discende che le barriere allentrata nel setto-
re di natura tecnologica sono quasi inesistenti.
Il caff, in grani e macinato, deve essere preservato in modo opportuno
perch a contatto con laria esso si deteriora rapidamente e i suoi compo-
nenti si ossidano, facendone perdere laroma. Per tale motivo il caff do-
vrebbe essere confezionato appena uscito dalla macchina di torrefazione. Il
caff macinato quasi sempre confezionato in ambiente controllato, cio
sacchetto sottovuoto o lattina sottovuoto/pressurizzata, mentre per il caff
in grani spesso vengono utilizzati sacchi a valvole, che consentono allani-
dride carbonica di uscire, senza far entrare ossigeno.

1.3. Struttura e dimensione dellindustria della torrefazione


in Italia

Ricostruire la struttura e la dimensione del settore industriale non risulta


semplice, a causa delle difficolt nel reperimento dei dati, dovute anche alla
mancanza di una specifica federazione e alla frammentariet istituzionale,
che riguarda il mondo del caff. Come illustrato nella Figura 12, in Italia
infatti non individuabile un organismo unico di rappresentanza delle
aziende di torrefazione; sono presenti tre principali organismi, che rappre-
sentano in diversi contesti le imprese legate al business del caff:
la sezione Caff (n. 10) allinterno della federazione AIIPA (Asso-
ciazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari), facente capo a Con-
findustria, alla quale sono iscritte soltanto 31 aziende (dati a marzo
2014); non pertanto rappresentativa dellintero comparto che, se-
condo lAnnuario 2012-2013 Coffitalia, comprende ben 780 imprese
italiane della torrefazione;
lAssociazione Italiana Torrefattori, che fa capo a Confcommercio e
che racchiude circa un centinaio di aziende di torrefazione italiane;
la Federazione Caff Verde, che rappresenta le aziende italiane impor-
tatrici di caff crudo e quindi fornitori delle aziende di torrefazione.
Tutte e tre queste associazioni sono a loro volta socie del Comitato Ita-
liano Caff, che lente italiano di riferimento presso lInternational Coffee
Organization (www.ico.org).

44
Fig. 12 I principali enti di riferimento nel mondo del caff italiano

International Gruppo
Coffee Triveneto
Organization Torrefattori
di Caff
Associazione Italiana Divisione Caff
Torrefattori - Comitato Italiano AIIPA (Ass. Italiana Associazion
Confcommercio Caff Industrie Alimentari) - e Caff
Confindustria Trieste

Federazione Caff Federazione


Verde Europea del Caff

Altoga (Associazione Associazione Assocaf


Lombarda Torrefazione e Torrefazioni di Roma (Associazione
Importazione Caff e e Lazio Commercio
Grossisti Alimentari) Caff/droghe e
coloniali), Genova

A questi si aggiungono poi altri enti Associazione Caff Trieste, Alto-


ga, Associazione Torrefazioni di Roma e Lazio, Assocaf che aggregano le
aziende di specifiche aree geografiche28.
Secondo i dati ufficiali sulla natalit e mortalit delle imprese, risultanti
dal Registro delle imprese e diffusi da Unioncamere sulla base di Movim-
prese la rilevazione statistica condotta da InfoCamere, la societ di in-
formatica delle Camere di Commercio italiane il numero delle imprese
attive nella lavorazione del caff e del th in Italia, secondo lultimo dato
disponibile nel 2012, erano 1.20929. Le torrefazioni sono diffuse un po in
tutta Italia, ma ci sono significative concentrazioni a livello territoriale in
28
La maggior parte di tali enti non possiedono nemmeno un sito web, al quale riferirsi per
raccogliere dati e informazioni utili ai fini della ricerca.
29
bene precisare che nellarco di tempo considerato la statistica ha utilizzato tre differenti
classificazioni delle attivit economiche:
1) lAtecori 1991 (codice di riferimento per la lavorazione del th e del caff 15.86) dal
2000 al 2003;
2) lAtecori 2002 (codici di riferimento per la lavorazione del th e del caff 15.86, lavo-
razione del caff 15.86.01 e lavorazione del th 15.86.02);
3) lAtecori 2007 (codici di riferimento per la lavorazione del th e del caff 15.36, lavo-
razione del caff 15.83.01 e lavorazione del th 15.83.02).
I dati rilevati risultano comunque omogenei. Si scelto di considerare laggregazione lavo-
razione del th e del caff perch garantisce una maggiore omogeneit dei dati, visto che
comunque lincidenza delle aziende dedite al th minima e peraltro in calo negli anni con-
siderati; pertanto la loro aggregazione non comporta particolari problemi, come stato rile-
vato anche in altre pubblicazioni (Cociancich, 2008).

45
Lombardia, Lazio, Toscana, Campania e Sicilia (come illustrato nella Figu-
ra 13); in queste 6 regioni concentrato il 52% delle imprese italiane.
A parte il caso del Distretto Industriale del Caff di Trieste (istituito nel
2006 dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia), non possibile indi-
viduare veri e propri distretti industriali del caff.
Passando ad analizzare le variabili flusso, ovvero le iscrizioni e le ces-
sazioni delle imprese, emerge una dinamica piuttosto negativa: il tasso di
crescita (dato dalla differenza tra il saldo di natalit e il saldo di mortalit)
infatti stabilmente negativo in tutto il periodo considerato (si veda in pro-
posito la Figura 14), e quindi anche prima dellattuale crisi economica30.
Al di l della dinamica demografica, interessante indagare la dinamica
economica del settore, analizzando levoluzione di alcuni importanti indica-
tori. Va rilevato che si fatto riferimento a due tipologie di fonti informati-
ve:
la Statistica Nazionale sulla Struttura delle Imprese dellIstat per gli
anni dal 2002 al 2010;
i Conti Economici delle Imprese dellIstat per gli anni 2000 e 200131.
Come si vede dalla Tabella 4, il settore non ha subito grosse variazioni
nel periodo considerato, fatta eccezione per un anno quello del 2008 in
cui si manifestato un significativo incremento del fatturato (38,4%), del
valore aggiunto (28,4%), degli acquisti di beni e servizi (45,2%), degli in-
vestimenti (oltre 150%) a fronte di un pi modesto incremento del fattore
lavoro (in termini sia di numero di dipendenti 15,9%, sia di ore lavorate
18,1%).

30
Il saldo di natalit dato dal rapporto percentuale tra numero di iscrizioni e numero di
imprese registrate, mentre il saldo di mortalit dal rapporto percentuale tra numero di cessa-
zioni e numero di imprese registrate.
31
Purtroppo per gli anni precedenti al 2000 non stata verificata lomogeneit dei dati ri-
spetto a quelli relativi agli anni successivi, non essendo disponibile il dettaglio riferito alle
aziende di lavorazione del th e del caff, ma soltanto al raggruppamento superiore nella
classificazione dellIstat altre lavorazioni alimentari.

46
Fig. 13 Distribuzione geografica del numero di imprese di torrefazione iscritte nel Regi-
stro delle Imprese

2000 2005

Tot. 1.215 Tot. 1.236

2006 2007

Tot. 1.230
Tot. 1.213
segue

47
2008 2009

Tot. 1.219 Tot. 1.225

2011
2010

Tot. 1.227 Tot. 1.234


segue

48
2012

Tot. 1.209

Fonte: ns. elaborazione su dati Camera di Commercio di Ancona.

Fig. 14 Dinamica demografica delle imprese di torrefazione italiane

6 5,1
5 3,9 4,2 3,9 4,2
3,3 3,5 3,5
4 3 2,8 2,8 2,9
2,4
3
2
2,6
1 2,1
%

1,9 1,7 1,6 1,9


1,5 1,5 1,5
0 1,1 1 1,1
0,7
-1 0,2
-2
-1,4 -1,5 -1,5 -3,5 -1,5 -3,5
-3 -2,1 -1,8 -1,8 -2
-2,4
-4 -2,8
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012
Anni
Saldo di natalit Saldo di mortalit Tasso di crescita

Fonte: ns. elaborazione su dati Camera di Commercio di Ancona.

49
Tab. 4 Dinamica delle principali variabili economiche dellindustria di torrefazione ita-
liana (dati in migliaia di euro)

Investimenti Numero di ore


Valore
Acquisto di lordi in beni lavorate dai
aggiunto Costo del Numero di
Anno Fatturato beni e materiali dipendenti - in
al costo personale dipendenti
servizi (investimenti migliaia
dei fattori
lordi fissi)

2000 2.315.088 655.032 1.676.948 223.483 126.907 6.234 10.382


2001 2.306.896 739.193 1.559.006 204.855 116.502 5.690 9.801
2002 2.168.453 724.648 1.422.970 214.342 124.589 5.951 10.369
2003 2.020.520 684.390 1.308.734 208.383 100.224 5.693 9.780
2004 2.326.009 762.806 1.571.262 255.532 115.620 6.310 10.553
2005 2.385.015 658.464 1.747.960 256.488 98.079 6.208 10.262
2006 2.591.795 728.397 1.882.208 284.835 136.653 6.711 11.586
2007 2.313.682 635.916 1.663.045 252.307 111.890 6.661 10.997
2008 3.204.019 816.925 2.414.852 344.930 284.882 7.723 12.994
2009 3.052.480 735.212 2.240.018 338.287 230.864 7.918 13.176
2010 3.077.260 817.941 2.264.059 360.120 194.142 7.804 13.624

Fonte: ns. elaborazione su dati Istat, Statistica Nazionale sulla Struttura delle Imprese e
Conti Economici delle Imprese.

Il valore aggiunto il miglior indicatore della dimensione produttiva


aziendale, intesa come complesso delle attivit svolte allinterno dellim-
presa. In rapporto al fatturato realizzato, esso fornisce unindicazione circa
il grado di integrazione verticale delle imprese (Silvestrelli, 1980), specie
se messo in relazione con altri indicatori, come il rapporto tra valore ag-
giunto e investimenti e costo del lavoro e fatturato. Dalla Figura 15 si evin-
ce che, anche riguardo questa importante variabile economica, nel periodo
considerato, non ci sono state grandi variazioni.

50
Fig. 15 Evoluzione del grado di integrazione verticale delle imprese

33,9 32,8
35 32,0 33,4
28,3 27,6 28,1 27,5
30 25,5 26,6
24,1
25
20
15
10
5
0
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
VA/Fatturato %

11,7
12 11,0 10,8 11,0 10,9 10,8 11,1
9,7 9,9 10,3
10 8,9

0
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Costo del personale/fatturato %

10 8,9
7,6
8
6,3
5,5 5,7
6 5,1 5,0 5,0 5,3 4,8
4,1
4

0
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Investimenti/fatturato %

Fonte: ns. elaborazione su dati Istat.

51
Da rilevare la ridotta percentuale del fatturato destinata agli investimen-
ti, che si attestata in media intorno al 6% tra il 2000 e il 2010. La ridotta
incidenza del costo del lavoro sul fatturato indicatore della natura poco
labour intensive del processo industriale di torrefazione.
I grafici seguenti mostrano landamento della produzione (in quantit)
di caff torrefatto non decaffeinato da parte delle aziende italiane nellul-
timo decennio. Tranne un picco nellanno 2004, la produzione totale e la
produzione venduta non hanno subito grandi variazioni nel periodo di tem-
po considerato e sono comunque in calo dal 2008.

Fig. 16 Quantit della produzione di caff da parte delle aziende italiane

430.000
410.000
390.000
370.000
Tonnellate

350.000
330.000
310.000
290.000
270.000
250.000
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Produzione totale Produzione venduta

Fonte: ns. elaborazione su dati Istat, Statistica Annuale della Produzione Industriale, vari
anni.

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53
2. Unanalisi economica e strategica
del settore

di Federica Pascucci

2.1. Profilo strategico del settore: concorrenza e domanda

Dal punto di vista merceologico-manifatturiero risulta abbastanza agevole


individuare il settore di riferimento per il prodotto caff, essendo questo co-
stituito dalle imprese che, partendo dal caff verde, mediante uno stesso pro-
cesso di trasformazione chimico-fisica (cio la torrefazione), ottengono uno
stesso prodotto, cio il caff tostato, il quale pu declinarsi in varie forme
(macinato o in grani, decaffeinato o no, porzionato, solubile). Linsieme di
queste imprese costituisce lindustria della torrefazione. Nel momento in cui
si voglia approfondire lanalisi dal punto di vista competitivo occorre tenere
conto del fatto che non tutte le imprese di torrefazione sono in concorrenza
fra loro, poich differenti sono gli spazi di mercato nei quali ciascuna pu
operare. In particolare, opportuno distinguere tre ambiti di mercato, in fun-
zione dei gruppi di clienti ai quali lazienda si rivolge (che identificano i di-
versi canali di commercializzazione del caff):
1. Retail, ovvero la distribuzione al dettaglio (GDO e piccolo dettaglio),
che alimenta il consumo di caff domestico; in questo canale si verifica
un gap spaziale e temporale tra lattivit di acquisto e quella di con-
sumo, poich lacquisto avviene nei negozi al dettaglio ma il consumo
avviene a casa in un momento successivo. Pertanto, lesperienza di
acquisto separata e diversa rispetto allesperienza di consumo.
2. Ho.re.ca. (acronimo inglese che sta per Hotel, Restaurant e Catering),
ovvero il canale dei pubblici esercizi destinati alla somministrazione di
alimenti, bevande e simili, che alimenta il consumo di caff al di fuori
delle mura domestiche; oltre alla ristorazione commerciale, il comparto
ho.re.ca. comprende anche la ristorazione collettiva o sociale. In en-

54
trambi i casi, acquisto e consumo sono contestuali: in altre parole,
lesperienza di acquisto si fonde con lesperienza di consumo.
3. Vending e serving, ovvero il canale costituito dalle aziende di gestione
dei distributori automatici e dei sistemi per cialde e capsule. Non esisto-
no ancora definizioni chiare ed univoche su cosa rientri nel vending e
cosa nel serving. Nel presente lavoro per vending si intende la distribu-
zione automatica, cio la somministrazione di alimenti e bevande (tra
cui il caff) svolta direttamente dal consumatore, senza alcun interme-
diario, e in modo automatico; rientrano nellampia definizione di ven-
ding diverse tipologie di distributori: le macchine free standing di gran-
de dimensione (cosiddetti armadi), autoportanti e le macchine table
top, che sono di minore dimensione, collocabili su qualsiasi superficie
portante. Queste ultime vanno ad alimentare il canale OCS (Office Cof-
fee Service), cio del caff monoporzionato (cialde e capsule) destinato
prevalentemente al consumo in ufficio e sui luoghi di lavoro. Il serving
rappresenta invece il sistema monoporzionato nel suo complesso, che va
ad alimentare in maniera trasversale tutti i mercati (Ho.re.ca., OCS, fa-
miglie).
In genere, tale canale alimenta il consumo di caff nei luoghi non desti-
nati alla ristorazione (segmento no-food), ma che hanno allestito un cof-
fee corner al loro interno per migliorare latmosfera e offrire un servizio
ulteriore ai propri clienti (ad esempio, ospedali, universit, negozi al detta-
glio, concessionari, musei ecc.). Si noti per che di recente anche nei locali
destinati alla ristorazione, si sta diffondendo il ricorso ai sistemi per capsu-
le, che risultano particolarmente convenienti in situazioni dove i volumi di
caff serviti ai clienti sono ridotti1.
Osservando la realt degli ultimi anni va segnalato anche un ulteriore
canale di commercializzazione: quello costituito da Internet. Il canale elet-
tronico consente allazienda di torrefazione di vendere direttamente al con-
sumatore, saltando lintermediazione della distribuzione. Si tratta ancora di
un canale di nicchia, nel duplice senso che viene impiegato da poche im-
prese (il cui numero per in crescita) e in genere non per tutta la gamma
produttiva2 (Caff Pascucci, Casa del Caff Vergnano, Zicaff, Costadoro,

1
Competitive Data stima il consumo in questo canale emergente pari a 1.200 tonnellate
(2012), in crescita del 9,1% rispetto allanno precedente (Coffitalia, Annuario 2013-2014,
Beverfood).
2
Per un approfondimento sulle opportunit e sulle problematiche del commercio elettronico,
si veda: Pascucci, 2013.

55
Corsino Corsini, Caff Molinari, Illy, Caf Do Brasil, Segafredo Zanetti,
Lavazza limitatamente al segmento del monoporzionato).
Ciascuno dei canali sopra illustrati costituisce di fatto un mercato po-
tenziale con struttura e grado di attrattivit profondamente differenti da
quelli degli altri.
Il mercato Retail del caff si caratterizza per unelevata concentrazione,
dal lato sia dellofferta, sia della domanda. Per quanto concerne lofferta, i
primi 6 gruppi coprono circa il 70% del mercato (nellordine Lavazza, Ne-
stl Italia, Illy, Caf do Brasil, con i marchi Kimbo e Kos, Segafredo Za-
netti e Kraft Food Italia con i marchi Hag e Splendid). Per quanto riguarda
la domanda, essa costituita prevalentemente dalla distribuzione moderna
(super e iper mercati), che pesa per il 67,2% sulle vendite in quantit men-
tre il piccolo dettaglio tradizionale soltanto per il 6,6% (MarkUp, 2010). I
clienti con i quali limpresa di torrefazione deve confrontarsi sono pertanto
di grande dimensione e possono esercitare un elevato potere contrattuale
relativo (Porter, 1982, 32). Le piccole torrefazioni locali continuano ad ope-
rare in questo mercato, in un ambito territoriale circoscritto, servendo i pic-
coli dettaglianti locali ancora esistenti e seguendo due principali strategie:
una strategia competitiva fondata sul prezzo e sulle promozioni oppure una
strategia competitiva di focalizzazione, volta a servire piccole nicchie di
mercato con prodotti specifici e una distribuzione selettiva.
Nel canale ho.re.ca. lofferta pi frammentata, con le prime tre torre-
fazioni (Illy, Segafredo e Lavazza) che concentrano appena il 15% delle
vendite in quantit, lasciando ampi spazi di mercato anche ad aziende di
piccola dimensione (Coffitalia, Annuario 2012-2013). Anche la clientela
servita costituita in prevalenza da pubblici esercizi di piccola dimensione.
Tale diversa struttura della concorrenza tra mercato ho.re.ca e mercato
retail pu spiegarsi considerando le barriere allentrata rappresentate dagli
elevati investimenti di marketing (pubblicitari e promozionali in primis),
che sono necessari per entrare negli assortimenti della Grande Distribuzio-
ne, i quali di fatto precludono lingresso ai torrefattori di minore dimensio-
ne. Le grandi torrefazioni cercano, infatti, mediante una strategia di comu-
nicazione di tipo pull, di rafforzare la brand loyalty presso il consumatore e
cos facendo costringere la distribuzione a trattare i propri prodotti. Com-
pletamente differente la situazione nel canale ho.re.ca, dove i clienti sono
costituiti da pubblici esercizi diffusi sul territorio, sovente di piccola-
piccolissima dimensione, che richiedono, non soltanto il caff, ma anche
una serie di servizi (assistenza tecnico-commerciale, agevolazioni finanzia-

56
rie, ecc.) e di beni complementari (accessori, tazzine, macchine per caff
ecc.)3. La soddisfazione di tale domanda richiede una vicinanza al cliente
che i torrefattori locali di minore dimensione riescono ad assicurare pi
efficacemente rispetto alle grandi imprese. Inoltre, le preferenze riguardo al
caff variano in misura significativa a seconda dellarea geografica ed i
piccoli torrefattori locali riescono sovente a soddisfare meglio degli altri la
domanda locale, acquisendo una posizione di mercato di quasi monopo-
lio in una ristretta zona territoriale. LHoreca un mercato che presenta
barriere di tipo geografico e logistico, le quali proteggono di fatto i piccoli
torrefattori locali dalla concorrenza esterna dei grandi player.
La piccola dimensione, che nel canale Retail costituisce una condizione
assolutamente sfavorevole per la competitivit aziendale, nel canale
Ho.re.ca. rappresenta invece un elemento di forza.
In questultimo canale inoltre la fedelt al punto vendita, ovvero al bar o
locale, costituisce un fattore pi rilevante della fedelt al brand di prodotto
nelle scelte dei consumatori. Ci influisce inevitabilmente nei rapporti
competitivi e nelle decisioni di investimento delle imprese.
La Tabella 1 fornisce un quadro riassuntivo delle principali differenze
tra i due mercati considerati.

Tab. 1 Principali elementi distintivi tra mercato Retail e mercato Horeca

RETAIL HORECA

Concentrazione dellofferta (quota di Elevata Bassa


mercato dei principali player)
Concentrazione della domanda Elevata concentrazione (del det- Bassa concentrazione (elevata den-
taglio moderno) sit di locali per n. di abitanti)
Principali fattori di successo Investimenti pubblicitari nel brand Livello di servizio offerto, qualit e
di prodotto, promozioni variet delle miscele
Margini di profitto per il torrefattore Bassi Alti
Fedelt al brand da parte del consu- Medio-alta Bassa, maggiore la fedelt al punto
matore vendita

3
Al fine di garantire un miglior servizio al cliente e la migliore combinazione miscela di
caff macchina, alcuni torrefattori hanno diversificato la produzione, entrando nel business
delle macchine per caff espresso, mediante lacquisizione di imprese esistenti. il caso ad
esempio della Torrefazione Portioli Spa, che ha acquisito la GIME (Gruppo Italiano Mac-
chine Espresso).

57
Ogni torrefazione pu scegliere di operare in uno solo di questi mercati
oppure, mediante politiche distributive multicanale, pu scegliere di essere
presente in pi mercati. Nella figura seguente vengono illustrati in modo
semplificato i diversi canali di commercializzazione, insieme anche alla ti-
pologia di prodotti che possono essere venduti in ciascun canale. Ovvia-
mente nella figura non possono essere rappresentate in modo esaustivo tutte
le opzioni a disposizione dellimpresa, ma soltanto le principali.
Sul mercato italiano, in tutti i canali analizzati, ormai lintensit della
concorrenza molto elevata, non soltanto per la numerosit delle imprese
di torrefazione che vi operano, ma anche a causa di fattori legati alla do-
manda di consumo, la quale ormai satura: il livello della domanda ha rag-
giunto il potenziale di mercato e non ci sono significativi spazi di crescita
dei consumi. La quota di penetrazione del caff ha infatti raggiunto il 90%
e anche la frequenza di consumo non pu essere aumentata, a causa delle
caratteristiche organolettiche (presenza di caffeina) del prodotto. In effetti,
come mostra la Figura 2, i consumi totali di caff sono rimasti piuttosto
stabili nel corso degli anni 2000, con un calo negli ultimi cinque.

Fig. 1 Schema semplificato dei canali di commercializzazione del caff torrefatto


IMPRESA DI
TORREFAZIONE
e-commerce
e-commerce

indiretto

Grossisti VENDING E
diretto

SERVING

RETAIL FOOD Siti web di HO.RE.CA. Altri punti vendita del


(Gdo e indip.) vendita (rist. comm.le e collettiva) caff (es. uffici, ecc.)

Caff in grani
Caff macinato

Caff in cialde/capsule

CONSUMATORE

Fonte: ns. elaborazione personale.

Il calo si registrato sia nel canale del fuoricasa sia nel canale domesti-
co, anche se lincidenza di quello relativo al primo maggiore rispetto a
quello del secondo, tant che si avuta una leggera modificazione anche
nella ripartizione percentuale dei consumi tra domestico e fuori casa, a fa-
vore del primo (si veda la Figura 3). Il consumo domestico a tuttoggi

58
quello prevalente; secondo lultimo dato disponibile esso rappresentava ol-
tre il 66% del mercato italiano.

Fig. 2 Andamento dei consumi italiani di caff torrefatto per canale di vendita

280.000
247.540 249.680 251.000 248.900
260.000 241.550243.770244.800 250.180 252.000 249.000 241.100
240.000
220.000
200.000
180.000
160.000
165.000 166.000
000 kg

159.000 162.300 163.820 165.000


140.000 160.000 164.325 166.000 160.700
120.000
100.000
80.000
84.770 84.800 85.240 85.855 85.860 86.000 86.000 82.900
80.400
60.000 84.000
40.000
20.000
0
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
fuori casa domestico (comprese cialde e capsule) consumi totali

Fonte: ns. elaborazione su dati Beverfood, vari anni.

Come verr approfondito nel proseguo del lavoro, a sua volta il calo del
fuori casa imputabile alla diminuzione del consumo nel tradizionale
ho.re.ca., in quanto il canale del vending e del serving cresciuto, seppur
ad un ritmo pi contenuto negli ultimi anni4.
Proseguendo nellanalisi strategica della concorrenza, va rilevato che le
imprese attive sul mercato oltre ad essere molto numerose, presentano una
variet dei profili dimensionali, organizzativi, strategici ecc. piuttosto am-
pia, che non rende semplice procedere a qualche clusterizzazione.

4
La diminuzione delle vendite di caff nei pubblici esercizi stata confermata anche per il
2012, sia nelle quantit, sia nel valore (www.beverfood.com).

59
Fig. 3 Ripartizione dei consumi tra fuori casa e casa in Italia

100
90

33,31

33,35
33,73
34,13

34,26
34,43

34,32

34,39
34,77

34,64
80
70
60
50
%

40

66,69

66,65
66,27
65,87
65,68

65,74
65,57

65,61
65,36
65,23

30
20
10
0
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

domestico fuori casa

Fonte: ns. elaborazione su dati Beverfood, vari anni.

Ci premesso, per possibile fornire uno schema, utile ad individuare


alcuni gruppi di imprese, sulla base di tre variabili principali:
1. lambito di mercato nel quale le imprese operano, inteso come canale
di commercializzazione dei prodotti che offrono (ho.re.ca., retail,
vending e serving);
2. lampiezza geografica del mercato italiano servito, che pu essere
locale (regione di origine e zone limitrofe), pluriregionale e naziona-
le; nella figura sono state considerate torrefazioni a copertura pluri-
regionale quelle che realizzano una quota significativa (superiore al
20%) del proprio fatturato al di fuori della regione di origine;
3. lorientamento ai mercati esteri, inteso come presenza strutturata
(non occasionale) sui mercati esteri, la quale pu essere approssimata
dalla quota del fatturato realizzato allestero superiore o uguale al
20%.
Nella Figura 4 viene fornita unillustrazione semplificata di tali rag-
gruppamenti ( evidente che i nomi indicati costituiscono soltanto alcuni
esempi, che non possono di certo esaurire la numerosit delle imprese del
settore).
Tra tutte le imprese rappresentate nella figura, Nestl e Kraft sono le
uniche due straniere. Malgrado il caff sia uno dei pochi mercati del food &
beverage in Italia a non essere dominato da multinazionali straniere, va ri-
60
levata la non trascurabile presenza di due grandi imprese estere del food,
per le quali il caff rappresenta soltanto uno dei business in cui sono pre-
senti: Mendelez International con la controllata Kraft Food Italia e Nestl
con la controllata Nestl Italia; queste sono leader in alcuni segmenti speci-
fici, come il caff decaffeinato (si pensi al brand Hag della Kraft Food Ita-
lia), il caff solubile (si pensi al brand Nescaf) e il porzionato (con Ne-
spresso). Queste sono anche tra i maggiori player a livello mondiale insie-
me a D.E. Master Blenders 17535, Folger Coffee Company/Smucker6 e
Starbucks, che, pur essendo orientata al business delle caffetterie, acquista e
trasforma in proprio il caff che utilizza nei propri locali.
Oltre a Kraft e Nestl, le uniche altre imprese a copertura nazionale so-
no le quattro grandi multinazionali italiane del caff: Lavazza, Segafredo
Zanetti, Illy (che sono anche export oriented) e Kimbo Spa (non export
oriented, poich il processo di internazionalizzazione stato avviato di re-
cente e non ha raggiunto quindi i livelli delle altre). Per queste quattro im-
prese la torrefazione e la vendita di caff rappresentano il core business,
hanno una presenza significativa in tutti i canali e offrono unampia gamma
di prodotti, articolata sovente in linee piuttosto profonde.

5
D.E. Master Blenders 1753 uno spin off di Sara Lee Corporation, realizzato nel corso del
2012 per la gestione del business del caff e del th a livello internazionale, con sede in
Olanda. Attualmente non opera sul mercato italiano, ma leader in Olanda, Belgio, Dani-
marca, Ungheria, oltre che in Brasile.
6
Nel 2008 la Folger stata ceduta dalla Procter & Gamble alla JM Smucker dellOhio, nota
come produttrice di confetture e gelatine. La transazione stata realizzata con uno scambio
di azioni che, al termine delloperazione, ha visto la Procter & Gamble controllare il 53,5%
del capitale della nuova Smucker. Lacquisto dell Folgers Coffee Company stato concor-
dato intorno ai 3,3 miliardi di dollari USA, inclusa lassunzione di circa $ 350 milioni di
debito. Procter & Gamble ricever dalloperazione un pacchetto pari al 53,5% di azioni
Smucker. Quindi Folgers non uscir dallorbita P&G, ma andr ad integrarsi con il business
della Smucker, in unottica sinergica di prodotti per la prima colazione ed il dessert, di cui
P&G avr il 53,5% del capitale azionario (www.beverfood.it).

61
Fig. 4 Schema semplificato dei gruppi di torrefazioni sul mercato italiano

HORECA VENDING/OCS RETAIL

Lavazza, Illy, Segafredo Zanetti


COPERTURA
NAZIONALE
Nestl Kraft
EXPORT ORIENTED

COPERTURA Hausbrandt
PLURI-
REGIONALE Diemme, Portioli, Corsino Corsini, Caff Molinari, Caff Carraro
Costadoro

Caff del Doge, Pa-


COPERTURA scucci, Planet Cof-
LOCALE fee, Zicaff Saquella, Mokambo,

COPERTURA Kimbo spa


NAZIONALE
NONEXPORT ORIENTED

COPERTURA Essse, Gi.Fi.Ze.


PLURI-
REGIONALE
Casa del Caff Vergnano, Pellini

Saccaria, Caff Cagliari, Caff Carraro, Caff Trom-


COPERTURA betta, Dersut
LOCALE
Quarta Caff Quarta Caff

Fonte: ns. elaborazione personale.

Allinterno di ogni gruppo di imprese cos individuato si possono ri-


scontrare strategie competitive differenti, le quali dipendono da fattori firm-
specific, quali la storia, gli obiettivi aziendali, le risorse e le competenze di-

62
sponibili ecc. Ecco quindi che Illy, ad esempio, pur facendo parte dello
stesso gruppo di Lavazza e Segafredo, ha un posizionamento di mercato to-
talmente differente da quello delle altre grandi torrefazioni, frutto di una
spiccata differenziazione del brand, fondata sulla qualit e sullunicit del
prodotto.
Anche lampiezza della gamma produttiva non sempre uniforme
allinterno dei gruppi: alcune imprese scelgono di completare lofferta con
bevande e prodotti diversi dal caff (ad esempio, th, cioccolato, liquori,
caramelle, biscotti), altre invece sono focalizzate esclusivamente o quasi sul
caff. Nel gruppo, ad esempio, delle imprese non export-oriented a copertu-
ra locale, che operano in tutti e tre i canali di commercializzazione, Sacca-
ria a scelto di focalizzare la produzione sul caff, mentre Caff Cagliari,
Caff Trombetta e Caff Carraro offrono anche svariate altre linee di pro-
dotto. Cos come nel gruppo delle aziende non export-oriented a copertura
pluriregionale: Casa del Caff Vergnano presenta una gamma produttiva
meno diversificata rispetto a Dersut. Alcune aziende poi rivolgono una par-
ticolare attenzione al biologico, offrendo una o pi linee di prodotti bio (fra
queste Caff Pascucci, Corsino Corsini, Caff Molinari). Altro elemento
distintivo lapertura di caffetterie a marchio proprio. Mentre Caff Pa-
scucci, ad esempio, ha puntato da tempo su questa strategia, altre torrefa-
zioni non hanno finora fatto lingresso in questo business (Diemme, Zicaf-
f, Portioli, Costadoro), pur facendo parte dello stesso gruppo.

2.2. La performance economica delle imprese di torrefa-


zione

La conoscenza e la comprensione delle dinamiche economiche e compe-


titive del settore pu essere approfondita mediante unanalisi dei dati di bi-
lancio aggregati delle imprese, dalla quale possibile trarre significative
informazioni sulla performance e sul posizionamento competitivo delle
aziende, nonch sullevoluzione nel tempo di tali variabili. Il campione sot-
toposto ad analisi costituito da n. 147 aziende, ed stato tratto dalla banca
dati Aida prodotta dalla Bureau Van Dijk, per il quale si disponeva di una
serie storica di dati completa dal 2005 al 2011. Come si vede dalla figura
seguente, la maggioranza del campione costituita da imprese di piccole

63
dimensioni (45,58%) e da micro imprese (31,29%), mentre poche sono
quelle grandi, rispecchiando cos leffettiva composizione del settore7.

Fig. 5 Ripartizione del campione per area geografica e per dimensione (numero di impre-
se in %) dati 2011

7,48
15,65 31,29
21,09
55,78
45,58 23,13

MICRO IMPRESE
PICCOLE IMPRESE
MEDIE IMPRESE
GRANDI IMPRESE Nord Centro Sud e isole

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA

Analizzando la distribuzione dei ricavi per area geografica, si evidenzia


come l80% del fatturato sia realizzato dalle imprese del Nord, mentre
quelle del Sud e delle Isole generano soltanto il 12% del fatturato e quelle
del Centro quasi l8% (pur costituendo queste ultime oltre il 23% del totale
delle imprese per numerosit).
La maggiore dimensione delle imprese del nord Italia si evince anche
dal grafico seguente, che illustra il valore del fatturato medio dimpresa
realizzato nel 2011 nelle diverse aree geografiche.

7
La distinzione risulta dallapplicazione dei criteri definiti dalla Commissione Europea, se-
condo i quali sono da considerarsi micro imprese quelle con un numero di addetti inferiore o
uguale a 10 ed un fatturato non superiore a 2 milioni di euro; sono piccole imprese quelle
con un numero di addetti inferiore o uguale a 50 ed un fatturato non superiore a 10 milioni
di euro; sono medie imprese quelle con un numero di addetti inferiore o uguale a 250 e un
fatturato non superiore a 50 milioni; al di sopra di queste soglie si rientra nella grande im-
presa (La nuova definizione di PMI, Commissione Europea, 2006). Nel nostro caso la
classificazione stata fatta soltanto in base al dato del fatturato poich non per tutte le
aziende stato possibile trovare il dato relativo al numero di addetti.

64
Fig. 6 Fatturato medio (in migliaia di euro) dati 2011

28.314,68

30.000 19.635,22

20.000 11.149,20
6.439,65
10.000

0
Nord Centro Sud e isole Italia

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA

Lindice di concentrazione delle vendite, essendo pari a 0,81, risulta piut-


tosto elevato, denotando un significativo livello di concentrazione del setto-
re8; nella Figura 7 viene illustrata la spezzata di concentrazione del fatturato:
il 90% delle imprese genera soltanto il 24,3% del fatturato del settore.

Fig. 7 - Concentrazione del fatturato dati 2011

1
0,9
Distribuzione del fatturato

0,8
0,7
0,6
0,5 Il 90% delle imprese genera soltanto il
0,4 24% circa del fatturato
0,3
0,2
0,1
0
0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1

Distribuzione delle imprese ordinate per fatturato


Spezzata di concentrazione Equidistribuzione

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

8
Si ricordi che lindice di concentrazione pu essere compreso in un intervallo tra 0 e 1: un
valore vicino allunit denota che il fatturato generato dal campione prodotto da un nume-
ro ristretto di imprese, mentre un valore vicino allo 0 denota che il fatturato ben distribuito
tra le imprese. Esso si ottiene dal rapporto tra larea compresa tra la diagonale (che rappre-
senta la situazione di equidistribuzione del fatturato) e la spezzata di concentrazione e tutta
larea del triangolo al di sotto della diagonale: tanto pi ampia larea compresa tra la dia-
gonale e la spezzata di concentrazione, tanto maggiore sar il valore dellindice.

65
La Figura 8 illustra il tasso annuo di crescita di alcune importanti voci del
bilancio, calcolato considerando i valori aggregati di tutte le imprese del
campione, suddivise in due gruppi: imprese leader che comprende le
quattro grandi imprese multinazionali del caff (Lavazza, Segafredo Zanetti,
Illy, Caff do Brasil) e le altre imprese, che raccoglie tutte le altre. Negli
anni considerati si verificata una crescita significativa in termini di ricavi,
maggiore per le altre imprese rispetto alle imprese leader: le prime sono
cresciute ad un tasso annuo dell8%, mentre le seconde del 6,1%.
Tale aumento del fatturato non stato per accompagnato da un paral-
lelo aumento del reddito operativo, che anzi dal 2009 in calo: ci segnala
una certa tensione sui costi operativi, relativi cio alla gestione caratteristi-
ca dellimpresa. E infatti i costi della produzione sono aumentati in misura
superiore rispetto ai ricavi.

Fig. 8 Tasso di crescita annuale composto delle principali voci di bilancio (CAGR %)9

ALTRE IMPRESE IMPRESE LEADER


12,57%
15% 8,66%
8,29% 5,53% 6,76% 7,26%
10% 4,88% 3,90%
2,19%
5%
0% 6,68% 6,07%
3,54% 5,77%
-5%
-10% -8,53%
-15%
-20%
-19,22%
-25%
-26,97%
-30%

RICAVI COSTI DELLA PRODUZIONE


REDDITO OPERATIVO VALORE AGGIUNTO
RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE UTILE NETTO
TOTALE ATTIVITA' PATRIMONIO NETTO

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

Tale gap risulta particolarmente marcato nel caso delle imprese lea-
der, che infatti registrano addirittura una variazione negativa del reddito

9
Il tasso di crescita annuale composto misura la variazione subita nel corso di un dato pe-
riodo di tempo da una variabile con una maggiore precisione rispetto alla semplice media
aritmetica, poich considera gli effetti cumulati dei tassi di variazione annui; in presenza di
una significativa variabilit e di tassi di variazione negativi, esso fornisce uninformazione
pi rappresentativa della realt.

66
operativo (-8,5%), mentre per le altre imprese la variazione si mantiene
su un terreno positivo (3,5%)10.
Tale tensione risulta peraltro confermata dallandamento del valore ag-
giunto, che misura la ricchezza prodotta dalle imprese rispetto a quella ac-
quisita da terzi e che viene distribuita ai vari fattori produttivi che hanno
concorso a produrla (essendo dato dalla differenza tra il valore della produ-
zione e il valore dei beni e dei servizi impiegati): anchesso risulta in calo
dal 2010 nonostante laumento dei ricavi.

Tab. 2 Andamento di alcune voci di bilancio (valori aggregati dellintero campione)

CAGR VAR.
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
% 05-11 %
RICAVI 1.926.457 2.067.739 2.256.677 2.418.773 2.406.975 2.585.751 2.886.377 7% 49,8%
ALTRE IMPRESE 757.509 82.1197 878.766 940.625 950.507 107.0713 1.221.493 8,3% 61,2%
IMPRESE
LEADER 1.168.947 1.246.542 1.377.911 1.478.147 1.456.468 1.515.037 1.664.884 6,1% 42,4%
COSTI DELLA
PRODUZIONE 1.795.995 1.965.977 2.122.037 2.318.859 2.230.695 2.478.522 2.824.805 7,8% 57,2%
ALTRE IMPRESE 725.981 792.669 853.913 915.539 904.625 1.034.702 119.5044 8,7% 64,6%
IMPRESE
LEADER 1.070.013 1.173.307 1.268.124 1.403.320 1.326.070 1.443.819 1.629.760 7,3% 52,3%
REDDITO
OPERATIVO 171.256 169.949 16.8265 175.206 193.431 157.548 137.992 -3,5% -19,4%
ALTRE IMPRESE 58.311 58.899 58.353 55.374 69.787 72.555 71.862 3,5% 23,2%
IMPRESE
LEADER 112.945 111.049 109.912 119.831 123.643 84.992 66.129 -8,5% -41,4%
VALORE
AGGIUNTO 496.756 519.435 548.757 601.261 641.120 636.580 618.005 3,7% 24,4%
ALTRE IMPRESE 215.437 226.839 234.866 242.868 265.752 288.171 297.629 5,5% 38,1%
IMPRESE
LEADER 281.318 292.596 313.891 358.392 375.368 348.409 320.375 2,2% 13,8%
(continua)

10
Anche nel gruppo delle imprese leader la performance reddituale non omogenea: a fron-
te di una tenuta in termini di reddito operativo di Illy Caff, si registra infatti un marcato
peggioramento di Lavazza. Stesso andamento dicotomico si registra riguardo al valore ag-
giunto, che cresciuto per Illy mentre diminuito per Lavazza.

67
(segue)
RISULTATO PRIMA
DELLE IMPOSTE 187.175 178.435 17.8196 181.423 181.078 137.526 103.760 -9,4% -44,5%
ALTRE IMPRESE 46.105 49.148 49.929 48.183 60.971 67.767 64.566 5,8% 40%
-
IMPRESE LEADER 141.070 129.286 128.267 133.240 120.106 69.759 39.194 19,2% -72,2%
-
UTILE NETTO 106.248 95.499 106.046 111.470 108.373 78.219 50.723 11,6% -52,2%
ALTRE IMPRESE 18.374 19.185 24.377 26.628 37.346 44.885 37.397 12,6% 103,5%
IMPRESE LEADER 87.874 76.313 81.669 84.842 71.026 33.333 13.326 -27% -84,8%
TOTALE ATTIVIT 2.424.745 2.556.406 2.708.070 3.045.490 3.102.656 3.191.623 3.356.571 5,6% 38,4%
ALTRE IMPRESE 901.062 936.041 984.235 1.088.733 1.111.902 1.218.714 1.328.431 6,7% 47,4%
IMPRESE LEADER 1.523.682 1.620.365 1.723.835 1.956.756 1.990.753 1.972.909 2.028.140 4,9% 33,1%
PATRIMONIO
NETTO 1.540.174 1580848 1.649.414 .1912.446 1.988.917 2.014.027 2.029.091 4,7% 31,7%
ALTRE IMPRESE 409.639 415.096 428702 502.245 543.486 584.517 606.673 6,8% 48%
IMPRESE LEADER 1.130.534 1.165.752 1220711 1.410.201 1.445.430 1.429.509 1.422.418 3,9% 25,8%

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

Un importante fattore che pu aver influito su tale dinamica costituito


dallandamento dei prezzi del caff verde, i quali dalla met del 2009 hanno
subto un aumento significativo, toccando nel 2011 il valore massimo (si
veda la Figura 9)11.
Il valore medio dei costi di acquisto delle materie prime (che rappresen-
ta la principale voce di costo delle torrefazioni) infatti passato da
6.617.659 di euro (2009) a 10.356.156 di euro (2011), con un incremento
del 56,49%. Sembrerebbe pertanto che le imprese abbiano scelto di fron-
teggiare tale aumento, accettando una riduzione dei margini di guadagno
piuttosto che aumentare i prezzi di vendita del caff torrefatto.
Nel complesso lanalisi mostra una performance superiore delle altre
imprese rispetto alle imprese leader su tutte le voci considerate.

11
Secondo lInternational Coffee Organisation a fine dicembre 2010 i prezzi delle variet
Arabica hanno raggiunto il livello pi elevato degli ultimi 14 anni.

68
Fig. 9 Andamento del prezzo del caff verde (media composita ICO centesimi di dollaro
americano per libbra)

250
210,39

200
156,34
124,25 147,24
150 115,67
107,68
89,36 95,75
100 62,15
64,24 51,9
45,59 47,74
50

0
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Fonte: ICO.

Va precisato che, nel prosieguo della nostra analisi, si ritenuto opportu-


no procedere ad una differente suddivisione del campione rispetto a quella
derivante dallapplicazione dei criteri fissati dalla Commissione Europea: tra
le grandi imprese si scelto di inserire soltanto le quattro multinazionali del
caff, poich i fatturati delle restanti grandi imprese identificate con i cri-
teri della Commissione Europea si collocano molto al di sotto del fatturato
di quelle (tra i 50 e gli 80.000 euro) e si avvicinano di pi alla categoria delle
medie imprese: esse sono state pertanto classificate come medio-grandi per
tenerle comunque distinte da quelle medie (si veda in proposito la Tabella 3).
In proposito, va rilevato che nel corso degli anni considerati aumentata
lincidenza delle imprese di media (passate dal 10,8% al 15,6% del cam-
pione) e di medio-grande dimensione (passate da 1 a 7 unit su 147), men-
tre si ridotta quella delle micro imprese (che sono passate dal 42,8% al
31,2% del campione); il cluster delle piccole imprese ha aumentato, seppur
di poco, la sua rilevanza (passando da 42,8% a 45,5%).

69
Tab. 3 Elenco delle imprese indagate suddivise per dimensione

MICRO PICCOLE MEDIE MEDIO- GRANDI


GRANDI
Jamaica Coffee Corporation; Caff Universal; La Messi- Diemme; Zicaff; EL Pellini; Segafredo
Torrefazione Caff Mattioni; cana; Caff El Miguel; Gima Mundo; Caff Pa- Hausbrandt; Zanetti;
Torrefazione Caff Salomoni; srl; Caff Tomeucci; Fratelli scucci; Dersut; Caf- Casa del Caf- Illy; Lavaz-
Planet Coffee; Tc srl (Torre- Torrisi; Bocchia Caff; Pala- f Cagliari; Gi.Fi.Ze; f Vergnano; za; Caf
fazione Adler); Torrefazione dini srl (Caff Mokariko); Torrefazione Ionia; Julius Meinl; do Brasil
Vettori; Tm srl (Morandini Italcaff; Santos Caff; Toda Caff Guglielmo; Caffita;
Caff); Caff Cortese; La Caff; Torrefazione Moka- Moak; Romcaff; Co.Ind.; Caff
Costarica; Caff Frigerio flor; Industria Ligure Caff; Costadoro; Corsino Trombetta
1971; Torrefazione Saturno; Torrefazione Comense Tici- Corsini; Portioli;
Pio Piazzesi (Caff Mokalux); no; La Cittadella; Moka Arra; LAromatika; Caff
Caffen srl; Caff Bonito; Tor- Tris Moka; Torrefazione Molinari; Brunocaf-
refazione Caff Df; Incas Augusta; La Varesina Caff; f; Ekaf; Covim;
Caff; Rossini srl; Torrefa- La Brasiliana; Malabar; Mar- Caff Carraro;
zione Caff Almetti; Caff zotto; Barbera Caff; Torre- Quarta Caff; Essse
Sun; Serrani Spa; Caff Ca- fazione Mike; Pask; Caff Caff; Procaff
valiere; Torveca srl; Torrefa- Ghigo; Bei e Nannini; Torre-
zione Caff Bontadi; Ad srl fazione Caff Krifi; Demus;
(Torrefazione Caff Donatel- Ditta Niccolai di Corrado
lo); Caff Ventura; Caff Cappellini; Spinel Caff;
Maya; Antica Tostatura Trie- Marziali Leone Caff; Torre-
stina; Sideca srl (La tosteria); fazione Adriatica; Sandy;
Caff Tico; Norcaf; Caff Oro Caff; Caff River; Caf-
Port Moka; Crescenzi Caff; f Michele Battista; Castella-
Medcaff; Caff Sandrolini; ri Holding (Mokador); Caff
Sciubba caff; Ct&M Coffee; Poli; Villa; Nimex; Dicaf;
Crastan Caff; Caff Santa Industrie Riunite del Caff;
Cruz; Dada srl; Torrefazione Caff Camardo; Magazzini
Lucchese del Caff; Torrefa- del Caff; LabCaff; Caff
zione San Salvador; Lazzarin Aiello; Altogusto; Caff Otto-
Caf; Special Coffee; Dini lina; Magazzini Oriental
Caff; Torrefazione Caff Caff; Biancaff; Mokito;
Excelsior; Montano Caff T.n.y.; Classico Caff Circi;
Cellini; Caff Ninfole; Torre-
fazione Varanini;
Schreyoegg; Compagnia del
caff; Industria Torrefazione
Di Nisio; DMC (Manuel Caf-
f); Saccaria; Torrefazione
Parenti; Coffee Company;
Torrefazione Poli; Goppion
Caff; Milani

Sembra essersi verificata pertanto una certa crescita dimensionale delle


imprese del settore12. Come indicato nella Tabella 4, lanalisi per classe

12
Accanto ad aziende, come Caff Trombetta, Quarta Caff ed Essse Caff che sono rimaste
in una stessa classe (rispettivamente medio-grande la prima e media le altre due), ce ne sono
altre che hanno realizzato un processo di crescita dimensionale significativo: Pellini, ad

70
dimensionale mostra che le migliori performance in termini di fatturato
spettano alle grandi imprese (che sono cresciute del 6,07% annuo), proba-
bilmente grazie al contributo delle esportazioni sui mercati esteri; tale risul-
tato non risulta per confermato in termini di redditivit, visto il calo del
reddito operativo specie negli ultimi due anni (-8,53% annuo).

Tab. 4 Andamento del fatturato delle imprese suddivise per dimensione e relativo tasso di
crescita annuale composto (CAGR)

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 VAR. % CAGR %


Micro 1.078,24 1.143,79 1.150,13 1.243,62 1.249,19 1.237,06 1.296,81 20 3,12
Piccole 4.952,64 4.866,07 4.779,32 4.811,87 4.558,63 4.622,70 4.660,46 -6 -1,01
Medie 20.018,69 20.868,7 19.562,5 20.302,3 19.165,5 21.426,8 17.372 -13,2 -2,34
Medio-
57.266,00 65.504,0 59.855,0 60.592,0 60.638,0 60.915,3 64.290,5 12 1,95
grandi
Grandi 292.236,2 311.635,6 344.477,9 369.536,8 364.117,0 378.759,5 416.221,0 42 6,07

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

Anche le micro imprese hanno fatto registrare una buona performance


sul mercato con un trend abbastanza regolare (3,12% annuo), mentre altret-
tanto non pu dirsi sul fronte della redditivit, il cui andamento piuttosto
altalenante con una riduzione annua del 3,03%. Per le piccole imprese la
situazione ancor pi negativa, in quanto, oltre a veder diminuita la reddi-
tivit (-4,67% annuo), anche la performance sul mercato stata negativa (-
1,01% annuo). Le medie imprese mostrano un fatturato con un trend piutto-
sto stabile fino al 2010 e un reddito operativo molto altalenante; lultimo
anno presenta un calo significativo di entrambe le variabili. Le medio-
grandi imprese sono cresciute soltanto del 1,95% annuo in termini di fattu-
rato ma hanno migliorato sensibilmente la loro redditivit (+14,29% annuo)
soprattutto negli ultimi anni.
Nel complesso sono le imprese di media dimensione a presentare la si-
tuazione pi problematica: al calo del fatturato si aggiunge una forte dimi-
nuzione anche del reddito operativo.

esempio, passata dalla classe delle piccole a quella delle medio-grandi imprese; Caff Pa-
scucci e Dersut dalle piccole alle medie imprese; Hausbrandt e Casa del Caff Vergnano
dalle medie alle medio grandi.

71
Fig. 10 Andamento del fatturato e del risultato operativo per classe dimensionale (valori
medi)
Micro imprese Piccole imprese
1.500
5.000
1.000 4.000
3.000
500 2.000
1.000
0 0
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
FATTURATO REDDITO OPERATIVO FATTURATO REDDITO OPERATIVO
CAGR 3,12% CAGR -3,03% CAGR - 1,01% CAGR -4,67%

Medie imprese Medio-grandi imprese


20.000 60.000
50.000
15.000
40.000
10.000 30.000
20.000
5.000
10.000
0 0
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
FATTURATO REDDITO OPERATIVO FATTURATO REDDITO OPERATIVO
CAGR -2,34% CAGR -10,11% CAGR 1,95% CAGR 14,29%
Grandi imprese
400.000

300.000

200.000

100.000

0
2005200620072008200920102011
FATTURATO REDDITO OPERATIVO
CAGR 6,07% CAGR -8,53%

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

72
Tab. 5 Andamento del reddito operativo delle imprese suddivise per dimensione e relativo
tasso di crescita annuale composto (CAGR)

CAGR
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 VAR.%
%
Micro 73,60 80,07 78,10 100,63 90,02 77,00 61,17 -16,88 -3,03
Piccole 399,02 456,72 368,67 285,00 369,90 340,00 299,49 -24,94 -4,67
Medie 1.668,75 1.236,11 1.416,30 1.356,64 1483,04 1.709,58 880,43 -47,24 -10,11
Medio-
1.842,00 2.617,00 1.134,50 959,00 2.469,50 1.578,67 4.105,43 122,88 14,29
grandi
Grandi 28.236,32 27.762,43 27.478,11 29.957,98 30.910,87 21.248,22 16.532,50 -41,45 -8,53

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

2.3. Evoluzione dei principali indicatori di performance


delle imprese di torrefazione

Partendo dai dati dei bilanci aggregati stata effettuata unanalisi per
indici, procedendo ad una duplice elaborazione:
a) su base temporale, ovvero lanalisi dei trend dei principali indicatori
per verificare levoluzione che una data variabile ha subto nel tempo
(analisi dinamica);
b) cross-section, ovvero lanalisi delle differenze esistenti in un dato
momento allinterno del campione di imprese preso in considerazio-
ne riguardo ad una data variabile (analisi statica).
Entrambe queste elaborazioni risentono di alcuni ineliminabili limiti in-
formativi, che derivano dai dati contabili sulle quali vengono effettuate: que-
sti infatti sono il frutto di un certo livello di astrazione e delle ipotesi formu-
late dagli amministratori che redigono il bilancio, tali a volte da renderlo non
del tutto rappresentativo della realt13. Malgrado ci, lanalisi per indici costi-
tuisce uno strumento utile e relativamente agevole da usare negli studi eco-
nomico-aziendali. Dal punto di vista metodologico sono stati calcolati, per
ciascun indice e per ciascun anno oggetto di osservazione, i valori medi.
13
Come osservano Invernizzi e Molteni (1990, 6), i limiti informativi sono in particolare tre:
lincertezza connessa alla presenza di dati congetturati e stimati, accanto alle quantit eco-
nomiche; limpatto di quelle politiche di bilancio che, in considerazione delle ripercussioni
fiscali delle stesse o in relazione a obiettivi da conseguirsi nelle relazioni con i diversi inter-
locutori dellimpresa, si concretano nellinserimento di valori non veri che alterano i risultati
desercizio; la non confrontabilit di una serie storica di bilanci redatti con moneta che muta
il suo valore nel tempo.

73
La principale misura di performance economica costituita dallindice
di redditivit del capitale proprio (Return On Equity), dato dal rapporto tra
il reddito netto e il patrimonio netto dellimpresa: esso esprime la redditivi-
t complessiva (ovvero non soltanto della gestione caratteristica, ma anche
di quella finanziaria, patrimoniale, accessoria e fiscale) del capitale di ri-
schio (mezzi propri) investito nellazienda. Il valore medio di tale indice ha
subito un significativo deterioramento nel periodo di tempo considerato,
passando dal 6,89% al 2,49%, riduzione che stata particolarmente marcata
negli ultimi tre anni (si veda la tabella seguente).
Tab. 6 Evoluzione dei principali indici di redditivit e finanziari dellintero campione

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

ROE (%) 6,89 6,04 6,42 5,82 5,44 3,88 2,49

ROI (%) 7,06 6,64 6,21 5,75 6,23 4,93 4,11

ROS (%) 8,74 8,07 7,33 7,11 7,91 5,98 4,69

ROT. C.I. (n. volte) 0,79 0,80 0,83 0,79 0,77 0,81 0,85

EBITDA/VENDITE (%) 15,09 14,35 13,75 13,75 15,05 12,99 10,41

Rapp.Indebitamento 1,57 1,61 1,64 1,59 1,55 1,58 1,65

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

Il peggioramento risultato maggiore nel gruppo delle grandi imprese


(passando da 7,77% a 0,94%) e in quello delle micro (da 4,03% a 2,15%)14.
Tab. 7 Evoluzione del ROE per classe dimensionale (%)

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 CAGR %

Micro 4,03 0,52 8,02 5,94 4,87 5,36 2,15 -9,94

Piccole 4,76 6,08 5,37 3,72 6,21 5,50 4,94 0,62

Medie 4,10 3,72 6,95 6,80 8,71 11,23 4,76 2,52

Medio-grandi 8,80 11,24 -11,58 5,05 2,67 2,02 10,63 3,20

Grandi 7,77 6,55 6,69 6,02 4,91 2,33 0,94 -29,67

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

14
opportuno precisare che, dal punto di vista metodologico, tutti gli indicatori riferiti ai
gruppi di imprese sono stati calcolati sui valori aggregati di ciascun gruppo e non come me-
dia degli indicatori delle singole imprese di ciascun gruppo.

74
Il valore del ROE dipende da tre fattori:
i. dalla redditivit operativa, espressa dal Return on Investment (ROI);
ii. dalla struttura finanziaria, espressa dal Rapporto di indebitamento;
iii. dallinfluenza sul reddito di esercizio da parte delle aree gestionali
diverse da quella caratteristica (finanziaria, straordinaria, tributaria).
Fig. 11 Il tasso annuale di crescita composto del ROE, ROI, ROS e EBIT-
DA/FATTURATO per gruppi di imprese (%)

13,0 13,8
15

10 7,7
6,7 6,0

5 2,5 3,2 3,5


2,6
0,6
0

-5 -3,6 -2,8
-3,9
-6,9 -6,1
-10 -8,1
-9,9

-15 -12,8
-13,8

-20

-25

-30
-29,7
ROE ROI ROS EBITDA/FATT.

Micro Piccole Medie Medio-grandi Grandi

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

Nel caso delle imprese di torrefazione, la riduzione del ROE dipende in-
nanzitutto dal calo della redditivit (o rendimento) del capitale investito,
misurata dal rapporto tra reddito operativo e capitale investito (Return on
investment). Tale indicatore consente di valutare se limpresa in grado di
remunerare il capitale investito (sia proprio, sia di terzi), facendo leva sol-
tanto sullattivit caratteristica dellimpresa. Come si pu osservare dalla
tabella seguente, il ROI diminuito nel periodo considerato in maniera si-
gnificativa in quattro dei cinque gruppi di imprese considerati: la perfor-
mance peggiore quella delle imprese di maggiore dimensione.

75
Solo le medio-grandi imprese presentano una performance positiva, an-
che se landamento dellindice risulta molto variabile negli anni.
interessante notare (come mostrato nella precedente Tabella 6) che il
valore del ROE inferiore a quello del ROI per tutto il periodo considerato,
tranne negli anni 2007-2008: la redditivit operativa quindi inferiore a
quella totale, denotando uninfluenza negativa della gestione extra-
caratteristica delle imprese, cio della gestione che esula dallattivit prin-
cipale dellazienda (ovvero dalla torrefazione di caff).

Tab. 8 Evoluzione del ROI per classe dimensionale (%)

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 CAGR

Micro 5,16 5,28 5,06 5,79 5,08 4,71 3,41 -6,67%

Piccole 6,07 7,66 5,9 4,34 5,77 5,31 4,77 -3,94%

Medie 7,27 5,15 6,98 6,39 7,31 7,69 4,74 -6,88%

Medio-grandi 6,2 8,32 2,39 1,73 4,42 2,77 7,23 2,59%

Grandi 7,41 6,85 6,38 6,12 6,21 4,31 3,26 -12,79%

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

In effetti lindicatore di tale incidenza risulta inferiore allunit per tutto


il periodo considerato e in significativo calo (come illustrato nella figura
seguente)15. In altre parole, la gestione extra-caratteristica ha assorbito ri-
sorse, andando a ridurre la redditivit operativa aziendale.

Fig. 12 Andamento dellincidenza della gestione extra-caratteristica sul reddito (valore


unitario)

1,00

0,50
0,62 0,56 0,63 0,64 0,56 0,50
0,00 0,37
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

15
Lindicatore (TIGEC Tasso di incidenza della gestione extra-caratteristica) stato cal-
colato come rapporto tra il reddito netto e il reddito operativo, proprio per evidenziare
lincidenza della gestione straordinaria, patrimoniale, finanziaria e tributaria.

76
A sua volta la redditivit del capitale investito (ROI) il risultato di due
fattori:
1. lindice di rotazione del capitale investito16, che risulta inferiore
allunit per tutto il periodo considerato. Ci indice di un ridotto li-
vello di efficienza nello sfruttare le risorse che sono state investite.
Va segnalata per una certa differenza in funzione della dimensione
aziendale: le micro e le piccole imprese presentano infatti valori pi
bassi rispetto alle altre e soltanto il gruppo delle medio-grandi impre-
se presenta valori superiori allunit per tutto il periodo considerato,
per in peggioramento nel corso degli anni. singolare il fatto che le
grandi torrefazioni, malgrado la maggiore dimensione che dovrebbe
consentire un superiore livello di efficienza, presentino valori pros-
simi a quelli delle micro e piccole imprese.

Tab. 9 Evoluzione dellindice di Rotazione del Capitale Investito (n. di volte)

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 CAGR

Micro 0,76 0,75 0,74 0,72 0,71 0,76 0,72 -0,90%

Piccole 0,75 0,82 0,76 0,73 0,71 0,72 0,74 -0,22%

Medie 0,87 0,87 0,96 0,95 0,95 0,96 0,93 1,12%

Medio-grandi 1,93 2,08 1,26 1,1 1,08 1,07 1,13 -8,54%

Grandi 0,77 0,77 0,8 0,76 0,73 0,77 0,82 1,05%

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

2. LIndice di redditivit delle vendite (Return on Sales), che in sensi-


bile calo, specie per le grandi imprese, le quali hanno visto peggiora-
re la loro redditivit delle vendite in modo pi marcato rispetto a tut-
te le altre, raggiungendo nel 2011 il valore pi basso del settore17.
Lunica classe a registrare una performance positiva quella delle
medio-grandi imprese, anche se va rilevato che i valori assoluti
dellindice sono i pi bassi del campione fino al 2010. Il calo minore

16
Lindice di rotazione del capitale investito dato dal rapporto tra il fatturato e il capitale
investito; esso assume una duplice valenza: dal punto di vista economico, si tratta di un indi-
catore di efficienza, poich esprime la capacit dellimpresa di sfruttare le risorse che ha in-
vestito nella gestione; dal punto di vista finanziario, esprime la velocit di ritorno, tramite le
vendite, del capitale investito.
17
Il ROS (risultato operativo su fatturato) esprime il margine di guadagno operativo che
limpresa trae ogni 100 euro di fatturato.

77
stato registrato dalle piccole imprese, che sembrano aver subito
meno rispetto alle micro, alle medie e alle grandi gli effetti della crisi
congiunturale italiana, iniziata nel 2008.

Tab. 10 Evoluzione del ROS per classe dimensionale (%)

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 CAGR

Micro 6,71 6,86 6,6 7,92 7,07 6,1 4,62 -6,03%

Piccole 7,84 9,16 7,5 5,81 7,96 7,2 6,28 -3,63%

Medie 8,15 5,75 7,06 6,51 7,56 7,77 4,92 -8,07%

Medio-grandi 2,97 3,66 1,78 1,5 3,87 2,49 6,19 13,02%

Grandi 9,58 8,83 7,93 8,01 8,42 5,55 3,93 -13,80%

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

La riduzione della redditivit del capitale investito in definitiva dovuta


principalmente al calo della redditivit delle vendite, essendo la rotazione
del capitale investito diminuita di poco.
La ridotta redditivit va valutata anche alla luce delle condizioni eco-
nomiche del settore: quello della torrefazione un settore in Italia ormai
maturo ed noto che in tale situazione i margini tendono a contrarsi, asse-
standosi su valori piuttosto bassi.
Ad ulteriore conferma della crisi di redditivit delle torrefazioni ita-
liane, nella tabella seguente riportato landamento del rapporto tra Ebidta
e fatturato18. interessante notare come sia il gruppo delle medio-grandi
imprese lunico a presentare un tasso di crescita annuale positivo, anche se
il valore del rapporto il pi basso di tutte le altre classi dimensionali al-
meno fino al 2011.

18
LEBIDTA (Earning before interests, depreciation, tax and amortization) un margine
reddituale che misura lutile di unazienda prima degli interessi, delle imposte, delle tasse,
delle componenti straordinarie, delle svalutazioni e degli ammortamenti. LEBITDA espri-
me quindi il reale risultato del business dellazienda e rapportato al fatturato fornisce
unindicazione della redditivit delle vendite.

78
Tab. 11 Evoluzione del rapporto Ebidta/Fatturato (%)

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 CAGR

Micro 15,51 14,86 15,35 15,84 15,45 14,91 12,53 -3,49%

Piccole 16,16 16,91 16,2 14,43 15,91 15 13,63 -2,80%

Medie 15,9 13,86 13,86 13,28 15,28 14,88 10,92 -6,07%

Medio-grandi 5,25 5,93 6,28 4,84 7,48 6,9 11,39 13,78%

Grandi 15,08 14,31 13,78 14,43 15,45 12,61 9,34 -7,67%

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

Una prima riflessione che emerge dallanalisi di questi dati che nel set-
tore della torrefazione non esistono grosse differenze in termini di redditivi-
t tra le imprese di diversa dimensione: in altre parole, coesistono imprese
con fatturato di oltre un miliardo di euro ed imprese con un fatturato al di
sotto di un milione di euro, senza che vi sia una corrispondente discrepanza
di risultati reddituali. La maggiore dimensione aziendale non sembra essere
pertanto una condizione di per s favorevole alla redditivit. Tale afferma-
zione risulta confermata dal calcolo dellindice di correlazione tra la di-
mensione aziendale (misurata dal fatturato) e i principali indici di redditivi-
t: nel 2011 rispetto sia al ROE, sia al ROI, sia rispetto al ROS non stata
rilevata nessuna correlazione lineare con il fatturato, essendo lindice pros-
simo allo zero (rispettivamente -0,003, -0,009 e -0,02).
Allinterno della stessa classe dimensionale invece vi sono imprese che
presentano risultati anche molto differenti tra loro. La dimensione aziendale
non appare quindi una variabile discriminante fondamentale, sulla base
della quale spiegare le differenti performance economiche allinterno del
settore.
Ci si evince anche dalla Figura 13, dove sono stati rappresentati lentit
e la composizione del ROI, nei differenti gruppi di imprese; le imprese pic-
cole e medie hanno una redditivit pressoch simile, anche se differenti so-
no i fattori determinanti: nel caso infatti delle piccole imprese il Ros a
prevalere (assestandosi tra il 6 e il 7%), mentre nel caso delle medie impre-
se la rotazione del capitale investito19.

19
Tale differenza pu spiegarsi in ragione di una diversa strategia competitiva dei due grup-
pi di imprese: nelle piccole imprese la redditivit della gestione dipende soprattutto dai mar-
gini di profitto che si ottengono per ciascuno dei cicli acquisto caff verde lavorazione
vendita del caff torrefatto, mentre nelle medie imprese la redditivit dipende soprattutto

79
Fig. 13 Dimensione e scomposizione del ROI per gruppi di imprese (2011)

1,4
ROTAZIONE CAP. INVESTITO (n. di volte)

1,2
Medie Medio-grandi
1
Grandi
0,8
Piccole
0,6
Micro
0,4

La dimensione delle bolle rappresenta il valore


0,2 del ROI

0
3 3,5 4 4,5 5 5,5 6 6,5 7
ROS (%)

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

Le micro-imprese hanno una redditivit di poco inferiore. Si discostano le


imprese di medio-grande dimensione, che presentano la redditivit superiore,
frutto sia di un ROS elevato, sia di una buona rotazione del capitale investito.
opportuno precisare che il risultato del gruppo delle medio-grandi imprese
significativamente influenzato da unazienda: Caffita System Spa, il cui
Roi molto elevato per effetto dellalta redditivit delle vendite (ROS); non
pu sfuggire che tale risultato probabilmente dipende dal business nel quale
limpresa opera, cio quello del caff porzionato, nel quale il margine di pro-
fitto piuttosto alto. Larea di business nel quale limpresa opera appare per-
tanto un fattore influente sulla performance reddituale.
Le figure seguenti mostrano il dettaglio allinterno di ciascuna classe
dimensionale. Nei primi due grafici, vista la numerosit delle imprese con-
siderate, non stato possibile inserire i nominativi: essi hanno pertanto una
funzione prevalentemente indicativa della situazione del raggruppamento.

dalla velocit con cui questi cicli si ripetono. In altre parole, le prime puntano a vendere di
meno, ma a prezzi pi alti seguendo una strategia di differenziazione le seconde invece a
vendere di pi ma a prezzi pi bassi, avvicinandosi ad una strategia fondata sulla leadership
di costo.

80
Dal grafico che mostra lo spaccato delle micro imprese emerge chiara-
mente il trade-off tra redditivit delle vendite e rotazione del capitale inve-
stito, ovvero tra profittabilit ed efficienza: la maggior parte delle torrefa-
zioni hanno un ROS inferiore al 15% e una Rotazione del Capitale Investito
inferiore allunit. Nella Figura 14 non sono indicate le 9 imprese, che pre-
sentano un ROI negativo.
Nel gruppo delle piccole imprese la variet maggiore e il trade-off tra
profittabilit ed efficienza appare meno evidente; 4 sono le torrefazioni
aventi un ROI negativo (quindi non rappresentate nella Figura 15).
La Figura 16 mostra uno spaccato delle medie imprese. Come si pu no-
tare le differenze si giocano soprattutto sul valore del Ros, che presenta una
variet ben pi ampia della Rotazione del capitale investito (ad eccezione
dellimpresa BrunoCaff, che spicca per una bassa redditivit delle vendite
ed un alta rotazione). Tra queste aziende tre emergono per lelevata redditi-
vit, ben superiore al valore medio del gruppo al quale appartengono:
nellordine lAromatika, Torrefazione Portioli ed Essse Caff, tutte con va-
lori elevati del Ros, e seppur in misura minore anche della rotazione del ca-
pitale investito. Va segnalata anche la presenza di due imprese che presen-
tano un valore negativo del ROI (non rappresentate nella figura), dovuto
esclusivamente ad un ROS anchesso negativo.
Riguardo al gruppo delle medio-grandi imprese, tutte tranne una, pre-
sentano una rotazione del capitale investito superiore allunit (Figura 17).
Riguardo invece alle grandi imprese, tre imprese leader (cio escluden-
do Illy) presentano tutte una redditivit delle vendite bassa e uninsod-
disfacente rotazione del capitale investito (inferiore allunit) tali da deter-
minare una bassa redditivit; tra queste la situazione peggiore riguarda Caf
do Brasil, il cui ROS basso potrebbe dipendere dal fatto che per il 70% le
vendite dellazienda sono realizzate nel canale Retail, dove la marginalit
inferiore rispetto al canale Ho.re.ca.

81
Fig. 14 Dimensione e scomposizione del ROI nelle micro imprese (2011)

3,5
La dimensione delle bolle rappresenta il
valore del ROI
3

2,5

1,5

0,5

ROTAZIONE CAPITALE INVESTITO (n. volte)


0
0 5 10 ROS (%) 15 20 25

Valore medio del


gruppo

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.


Fig. 15 Dimensione e scomposizione del ROI nelle piccole imprese (2011)
3
La dimensione delle bolle rappresenta il
valore del ROI
2,5

1,5

0,5

ROTAZIONE DEL CAPITALE INVESTITO (n. volte)


ROS (%)
0
0 5 10 15 20 25
Valore medio del gruppo

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.


Fig. 16 Dimensione e scomposizione del ROI nelle medie imprese (2011)

La dimensione delle bolle rappresenta il


4 valore del ROI
3,5 Brunocaff

3
LAromatika
2,5
Valore medio del Portioli
2
Caff Cagliari Gi.Fi.Ze. gruppo
1,5
1 Essse Caff
Torrefazione
Romcaff
0,5 Ionia
Moak Quarta Caff
0
0 2 4 6 ROS (%) 8 10 12 14 16

ROTAZIONE CAP. INVESTITO (n. volte)


Diemme spa Zicaff spa El Mundo spa Caff Pascucci
Dersut Caff Cagliari Gi.Fi.Ze. Torrefazione Ionia
Guglielmo spa Moak Romcaff Costadoro spa
Torrefazione Portioli L'Aromatika Brunocaff Ekaf Industria Nazionale del Caff
Covim Caff Carraro Quarta Caff Essse Caff
Procaff MEDIA GRUPPO

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.


Fig. 17 Dimensione e scomposizione del ROI nelle medio-grandi imprese (2011)

2 Caff
Trombetta La dimensione delle bolle rappresenta il valore del ROI
ROTAZIONE DEL CAPITALE

1,8
1,6 Julius Meinl
INVESTITO (n. volte)

1,4
Pellini Hausbrandt Caffita
1,2
Casa del Caff
1 Vergnano
0,8
Co.Ind.
0,6 Valore medio del
0,4 gruppo
0,2
0
0 5 10 15 20 25
ROS (%)

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

Fig. 18 Dimensione e scomposizione del ROI nelle grandi imprese (2011)


1,2
ROTAZIONE CAPITALE INVESTITO (n.volte)

Segafredo Zanetti
1

0,8 Caf do Illy


Brasil
0,6 Lavazza
Valore medio del gruppo
0,4
La dimensione delle bolle rappresenta il
0,2 valore del ROI

0
0 1 2 3 4 5 6 7 8

ROS (%)

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

La differente posizione di Illy rispetto alle altre tre grandi imprese riflet-
te il differente posizionamento competitivo dellimpresa triestina, frutto di
una strategia di focalizzazione sulla fascia alta del mercato fondata su uno
spiccato orientamento alla qualit; interessante notare anche come Illy sia
la torrefazione maggiormente orientata ai mercati esteri del gruppo delle
grandi, presentando una propensione allesportazione (incidenza del fattu-

85
rato estero sul totale del fatturato) pari al 56% (www.illy.com) e superiore
di diversi punti percentuali.
Proseguendo nellanalisi cross sectional del campione di torrefazioni,
interessanti riflessioni possono emergere combinando la performance reddi-
tuale e la performance competitiva. Nel grafico seguente le imprese vengo-
no posizionate in base a due fattori:
da un lato, il confronto tra il valore medio del ROI aziendale e il va-
lore medio del ROI dellintero campione per gli anni 2005-2011
(quale misura della performance reddituale);
dallaltro lato, il confronto tra il tasso di crescita annuale composto
del fatturato dellimpresa per il periodo 2005-2011 e lo stesso indica-
tore dellintero campione (quale misura della performance competi-
tiva)20.
Nella figura sono rappresentati quattro quadranti, che includono i se-
guenti quattro gruppi di imprese.
Il primo comprende il 17,6% delle imprese del campione, le quali hanno
presentato una performance sia reddituale sia competitiva superiore alla
media del settore; si tratta di aziende di differente dimensione: dalla grande
impresa (Illy) alla medio-grande (come Caffita System) alla media (come
Torrefazione Portioli, Diemme, Caff Pascucci), alla piccola (come Demus,
Caff Poli, Torrefazione Varanini, Caff Aiello), alla micro (come Caff
Santa Cruz Salerno, Caff Sun).
Il secondo comprende il 29,9% delle imprese del campione, che presen-
tano una performance competitiva superiore alla media ma una perfor-
mance reddituale inferiore; anche in questo raggruppamento si possono
trovare imprese di differente dimensione: Antica Tostatura Triestina, Planet
Coffee, Torrefazione Caff Salomoni (micro); Santos Caff, Magazzini del
Caff (piccola); Caff Molinari, Corsino Corsini, Caff Carraro (media),
Pellini, Casa del Caff Vergnano, Julius Meinl (medio-grande).
Il terzo include il 17,5% delle imprese, le quali mostrano una performan-
ce competitiva inferiore alla media e una performance reddituale superiore;
alcuni esempi sono: Torrefazione Saturno (micro), Mokaflor (piccola), Der-
sut, Quarta Caff, Romcaff, Essse Caff (media), Hausbrandt (medio-
grande), con una netta prevalenza di imprese di piccola e micro dimensione.
Di queste, tre imprese presentano una dinamica negativa del fatturato.

20
Al riguardo si scelto di utilizzare la variazione del fatturato come indicatore, essendo
impossibile calcolare la quota di mercato con riferimento alle micro imprese, che formano
una parte consistente del campione: il confronto con le grandi e con le medie imprese sareb-
be stato privo di significato.

86
Fig. 19 Relazione tra redditivit e performance sul mercato

27%

IV I
22%

17%

12%

7%

ROI MEDIO 2005-2011


6,98%
2%

-15% -5% 5% 15% 25% 35% 45%


0
-3%

I III
-8%
CAGR Fatturato 2005-2011

5,85%

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.


Fig. 20 Relazione tra redditivit e performance sul mercato di un gruppo di imprese selezionate

22% ESSSE CAFFE

TORREFAZIONE PORTIOLI
19%

16%

13%
CAFFE OTTOLINA
HAUSBRANDT TRIESTE
ROMCAFFE 1892
10%
QUARTA CAFFE DERSUT CAFFE'
COSTADORO ILLYCAFFE

ROI MEDIO 2005-2011


7% SACCARIA DIEMME SPA
SEGAFREDOZANETTI CAFFE PASCUCCI
LAVAZZA
ZICAFFE
4% CAFFE TROMBETTA
CAFE DO BRASIL CASA DEL CAFFE
VERGNANO
GIFIZE CORSINO CORSINI
1% CAFFE CAGLIARI JULIUS MEINL ITALIA

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30%


-2% CAGR Fatturato 2005-2011

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.


Il quarto quadrante comprende il 35% delle imprese, che presentano una
performance sia competitiva, sia reddituale inferiore alla media. Si tratta del
raggruppamento pi consistente, nel quale sono ricomprese le restanti 3 grandi
imprese (Lavazza, SegafredoZanetti e Caf do Brasil), Caff Trombetta (me-
dio-grande), Caff Cagliari, Zicaff, Gi.Fi.Ze (medie), Classico Caff Circi
(piccole), Torrefazione Caff Almetti, Caff Sandrolini (micro). Due di queste
micro e piccole aziende presentano addirittura valori negativi sia per il ROI sia
per la variazione del fatturato, denotando una situazione di grave crisi; sei pre-
sentano un ROI negativo anche a fronte di un aumento delle vendite, e dodici
una dinamica negativa del fatturato, accompagnata da un ROI positivo.
Perseguire buone performance contemporaneamente dal punto di vista
reddituale e competitivo non appare facile; sono di pi le imprese che hanno
buoni risultati reddituali, rispetto a quelle che privilegiano i risultati competi-
tivi e la dimensione aziendale non un fattore discriminante.
Il settore appare quindi popolato da una minoranza di imprese eccellenti e
da una maggioranza di imprese equamente suddivisibile in due: un primo
gruppo di imprese con performance mediocri e un secondo gruppo di imprese
con performance del tutto insoddisfacenti, le quali addirittura distruggono valo-
re. Vi pertanto una certa variet di situazioni, allinterno della quale non ap-
paiono pi sostenibili alcune formule imprenditoriali, troppo vulnerabili rispet-
to alle dinamiche dellambiente esterno e allaumento dellintensit competiti-
va, derivante anche dalla recente crisi economica. Significativo che soltanto
Illy tra le grandi imprese rientri nel gruppo delle imprese eccellenti.
Passando ad analizzare la situazione finanziaria delle imprese del cam-
pione, emerge una dinamica molto differente tra il gruppo delle grandi im-
prese e tutte le altre; come illustrato infatti nella Tabella 12, il Rapporto di
Indebitamento dato dal rapporto tra Capitale Investito sul Capitale Pro-
prio aumentato per le imprese leader mentre si ridotto nelle altre.

Tab. 12 Andamento del Rapporto di Indebitamento

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 CAGR

Micro 2,77 2,85 2,87 2,66 2,6 2,53 2,51 -1,63%

Piccole 2,15 2,16 2,14 2,04 1,9 1,98 2 -1,20%

Medie 2,07 2,18 2,04 2,24 2,09 2,02 2,04 -0,24%

Medio-grandi 4,17 3,92 6,16 2,05 2,02 2,48 2,59 -7,63%

Grandi 1,35 1,39 1,41 1,39 1,38 1,38 1,43 0,96%

Fonte: ns. elaborazione su dati AIDA.

89
Questo indice evidenzia in quale misura il totale dei mezzi investiti
nellazienda stato finanziato dal capitale proprio e riveste una notevole
importanza per completare il giudizio sullindipendenza finanziaria, in
quanto, se troppo elevato, essa potrebbe essere compromessa da debiti ec-
cessivi e conseguenti oneri finanziari. Nel caso delle imprese di torrefazio-
ne esso esprime una struttura finanziaria sostanzialmente squilibrata.
Approfondendo lanalisi, al di l della dinamica temporale, interessan-
te confrontare la situazione finanziaria in funzione della dimensione azien-
dale; al crescere della dimensione diminuisce il Rapporto di Indebitamento:
le micro, le piccole e le medie imprese presentano valori intorno a 2, men-
tre le grandi al di sotto di 1,50. Tale discrepanza presente in ciascuno de-
gli anni considerati, denotando cos di essere una caratteristica strutturale
del settore. La classe delle medio-grandi imprese presenta una situazione
particolare, che si discosta dalle precedenti: innanzitutto una variabilit pi
elevata dellindice nel corso degli anni considerati (che passa da 4,17 nel
2005 a 6,16 nel 2007 a 2,59 nel 2011) e, in secondo luogo, anche un mag-
gior valore dellindice per quattro dei sei anni considerati.
Purtroppo non stato possibile trarre conclusioni in merito alleventuale
incidenza della leva finanziaria, poich i dati necessari per il calcolo del
ROD sono largamente incompleti nel database a disposizione21.
In conclusione, nonostante landamento dei ricavi sia stato sostanzial-
mente positivo negli anni considerati, i risultati reddituali sono andati pro-
gressivamente peggiorando: ci segnala la necessit di una profonda ristrut-
turazione, in quanto lattuale assetto non appare pi in grado di garantire un
positivo e sostenibile sviluppo.

2.4. La situazione del mercato ho.re.ca. vista dalle aziende


di torrefazione: i risultati di unindagine empirica

Sulle possibili cause del calo dei consumi fuori casa di caff sono sta-
te interpellate direttamente le aziende di torrefazione, mediante una web
survey realizzata nel corso del 2012 e volta ad indagare la visione di tali
aziende riguardo allevoluzione passata e alla possibile evoluzione futura
dellho.re.ca. italiano. La raccolta dei dati avvenuta tramite la sommini-
21
La leva finanziaria si riferisce alleffetto che lindebitamento ha sulla redditivit comples-
siva aziendale: se il costo delle risorse finanziarie (espresso dal ROD) inferiore al rendi-
mento operativo dellimpresa (espresso dal ROI), lindebitamento svolge una funzione mol-
tiplicativa positiva sulla redditivit.

90
strazione online di un questionario, al quale hanno risposto n.54 imprese22;
evidente che lindagine ha natura qualitativa-esplorativa e non ha nessuna
pretesa di rappresentativit statistica: essa fornisce per alcune interessanti
informazioni sulla visione attuale e prospettica del mercato, la quale stata
poi anche confermata da varie interviste personali svolte presso diverse
aziende.
I torrefattori sono concordi nellattribuire alla diffusione del caff mono-
porzionato un ruolo determinante nel calo dei consumi al bar: il 77% dei
rispondenti ritiene infatti che la concorrenza portata da questi nuovi modi di
bere il caff sia importante e molto importante nello spiegare tale calo
e l81% crede che continuer ad influire negativamente anche in futuro.
Meno influenza viene invece attribuita alla concorrenza di bevande sostitu-
tive del caff.
Altri fattori considerati rilevanti riguardano la qualit dellofferta dei
bar, dal punto di vista sia dei servizi offerti al consumatore, sia della qualit
del caff servito, oltre che lincapacit dei baristi di attrarre la clientela. Il
fattore prezzo non risulta invece rilevante per la maggioranza degli intervi-
stati: solamente il 4% ha infatti dichiarato che il prezzo eccessivo della taz-
zina di caff al bar una causa del calo dei consumi.
Nella Figura 21 viene illustrato il punteggio medio (con 1 poco impor-
tante e 5 molto importante) attribuito dai soggetti intervistati a ciascuno dei
fattori-causa del calo dei consumi di caff nellho.re.ca.

Fig. 21 Importanza attribuita ai fattori-causa del calo di consumi del caff nellho.re.ca.

Scarsa qualit caff


5
4
Prezzo 3 Scarsa qualit servizi
2
1
Incapacit baristi Concorrenza prodotti
attrarre clienti sostituti

Concorrenza altri modi


bere caff

Fonte: ns. elaborazione su dati survey.

22
opportuno precisare che le aziende rispondenti sono tutte di piccola e piccolissima di-
mensione (con ununica eccezione) e distribuite in maniera omogenea su tutto il territorio
nazionale; sono tutte aziende familiari, tranne in due casi per i quali non stata fornita
linformazione sullassetto proprietario.

91
Questa contrazione del consumo di caff nellho.re.ca. non stata esente da
ripercussioni sulleconomia e sulla gestione delle aziende di torrefazione, che
nella maggior parte dei casi hanno dovuto ripensare alle proprie politiche di
vendita nei confronti dei bar, e, in un numero significativo di casi, sono state
costrette a porre una maggiore attenzione ai costi per mantenere lequilibrio
economico. Di fronte ad una riduzione del volume di caff venduto in ciascun
bar, diviene sempre pi difficile assicurare il ritorno dellinvestimento fatto
nella cessione in comodato della macchina per il caff e questo provoca non
poche problematiche nella gestione economica-finanziaria dellazienda.
I torrefattori sembrano consapevoli che il mondo del bar in Italia sta cam-
biando e si attendono significative trasformazioni nei prossimi anni. Essi si
aspettano: innanzitutto, una maggiore differenziazione dei format di vendita e
quindi bar maggiormente specializzati, ma anche una maggiore concentrazione
della propriet dei bar, che, unitamente alle aspettative relative alla riduzione
del numero dei piccoli bar indipendenti, dovrebbe portare ad una differente
struttura del mercato con meno unit ma pi grandi. Le aziende non credono
che nel mercato italiano aumenter la presenza di catene estere, mentre riten-
gono che aumenter quella delle catene italiane, non per organizzate dai torre-
fattori stessi (infatti, la probabilit da questi attribuita allaumento delle catene
gestite dalle aziende della torrefazione piuttosto bassa). Il 51% ritiene infine
che aumenter il livello qualitativo dei servizi offerti al consumatore. I torrefat-
tori credono inoltre che nei prossimi anni il consumatore far maggiore atten-
zione alla marca del caff che consuma al bar. Ma le modifiche pi attese ri-
guardano lulteriore diffusione del monoporzionato e laumento della differen-
ziazione nellofferta di caff (caff speciali, monorigine ecc.).
La Figura 22 mostra il punteggio medio attribuito dai torrefattori alla pro-
babilit con la quale si attendono il verificarsi di ciascuno dei fattori di cam-
biamento indagati (con 1 poco probabile e 5 molto probabile).

Fig. 22 Probabilit attribuita ai fattori di cambiamento nellho.re.ca.

Nessun cambiamento
Maggiore attenzione alla 5 Aumento qualit servizi al
marca di caff da parte del 4 consumatore
Aumento monoporzionato e 3 Calo numero piccoli bar
vending 2 indipendenti
1
Aumento differenziazione
Aumento catene straniere
offerta
Propriet dei bar pi
Aumento catene italiane
concentrata
Maggiore differenziazione
format di vendita

Fonte: ns. elaborazione su dati survey.

92
Un dato particolarmente significativo che il 74% delle aziende riten-
gono che negli ultimi anni la qualit del caff servito al bar sia peggiorata,
a causa della combinazione di due fattori (con una prevalenza del primo):
da un lato, uno scadimento della professionalit e della preparazione
del barista;
dallaltro, i cambiamenti nelle strategie dei torrefattori stessi.

Fig. 23 Cause del calo della qualit del caff al bar

18,5% Cambiamento nel livello di professionalit


23,3%
e di preparazione dei baristi
11,7% Cambiamento nelle strategie delle
46,50% torrefazioni
Cambiamento sia della professionalit dei
baristi sia delle strategie delle torrefazioni
Altri fattori

Fonte: ns. elaborazione su dati survey.

Come si vede dalla Figura 23, una parte minoritaria degli intervistati at-
tribuisce la causa ad elementi esterni, indipendenti dai comportamenti dei
torrefattori e dei baristi (ad esempio, la recessione economica); essi sono
consapevoli che il problema nasce allinterno del settore e riconoscono la
responsabilit degli operatori del mercato per la situazione attuale. Il tema
della qualit un tema particolarmente caldo, che ricorre frequentemente
anche negli incontri fra imprenditori ed esperti del settore, come Pausa
Caff tenutosi a Firenze il 7 giugno 2012. Non facile individuare una de-
finizione univoca di qualit per il caff; di certo il risultato della bevanda in
tazza dipende da tante variabili, poste sotto il controllo di diversi attori del-
la filiera produttiva e commerciale: dal coltivatore del caff verde al bari-
sta. Ci ovviamente rende il raggiungimento della qualit molto pi diffici-
le, poich basta che una sola componente sia scadente per compromettere il
risultato finale. Da qui limportanza di diffondere la cultura per la qualit
del caff lungo tutta la filiera. Proprio di questo si di recente parlato a Fi-
renze (14 giugno 2013), durante una Tavola Rotonda alla quale hanno par-
tecipato esperti ed addetti ai lavori del settore, in occasione di Pausa Caff
Festival. ormai opinione comune che il calo dei consumi di caff nel
comparto ho.re.ca. la manifestazione evidente di uno scadimento qualita-
tivo del prodotto venduto al consumatore, per superare il quale risulta indi-
spensabile diffondere la cultura del caff a diversi livelli: dal torrefattore al

93
barista al consumatore. Da un lato infatti non pochi torrefattori hanno una
scarsa conoscenza dellorigine dei caff che utilizzano e delle realt eco-
nomico-produttive dalle quali i caff verde provengono; dallaltro, ci sono i
baristi che non conoscono le qualit e le caratteristiche della miscela che
servono al consumatore, il quale a sua volta beve un prodotto di cui non sa
praticamente nulla. La diffusione della conoscenza sul prodotto e sulle sue
origini rappresenta un passaggio fondamentale per creare la cultura della
qualit e pertanto la comunicazione assolve ad un ruolo fondamentale. In
tal modo si riuscirebbe a valorizzare anche dal punto di vista economico il
caff di qualit, ovvero a giustificare eventuali incrementi di prezzo al con-
sumo. Un altro aspetto rilevante, strettamente interdipendente con quello
della valorizzazione della qualit del prodotto, quello della valorizzazione
del ruolo e della professionalit del barista, che negli ultimi anni ha subito
un certo svilimento. Il barista, in quanto punto di contatto tra il consumato-
re e il torrefattore, la figura che, se adeguatamente preparato e formato,
pu comunicare allacquirente finale la qualit e stimolare una domanda
pi esigente e critica. In definitiva, i diversi attori della supply chain del
caff dovrebbero lavorare in sinergia, ognuno nel proprio ruolo e con i pro-
pri interlocutori, per far percepire ed apprezzare la qualit del prodotto.
Coerentemente con il ruolo critico svolto dalla qualit, i torrefattori ri-
tengono che il miglioramento di questa sia una leva competitiva che nel
prossimo futuro sar ancora pi importante di quanto lo sia oggi. Tale poli-
tica non pu per andare a determinare un aggravio nei costi, tant che an-
che la riduzione dei costi di produzione viene considerata una leva ancora
pi importante per il prossimo futuro. Pi rilevante rispetto allo stato attua-
le sar anche allargare il proprio mercato dal punto di vista geografico, an-
che al di fuori dei confini italiani, tant che laumento dellexport giudi-
cato una leva molto importante sia allo stato attuale, sia per il futuro; men-
tre il miglioramento dei servizi allho.re.ca. mantiene la stessa rilevanza,
fatta eccezione per la formazione dei baristi, che invece viene vista come
maggiormente rilevante in futuro rispetto ad oggi (sempre coerentemente
allottenimento di una maggiore qualit). Non pu sfuggire che il caff
venduto al barista un prodotto semilavorato, poich necessita di
unulteriore trasformazione prima di poter essere offerto al consumatore. In
questultima fase di lavorazione molteplici fattori possono influire sulla
qualit del prodotto finito, i quali sono sotto il controllo del barista: la sua
esperienza, il settaggio della macchina e del macinadosatore, la pulizia del-
le attrezzature, la conservazione del caff ecc. Da qui limportanza dei corsi
di formazione, che possono contribuire a migliorare queste attivit e ad ac-
crescere le competenze e la professionalit di chi si occupa della prepara-

94
zione del caff per il consumo. Ormai molte imprese di torrefazione sia
piccole, sia grandi organizzano tali corsi, seppur con modalit e metodo-
logie differenti, utili anche per rafforzare la relazione con lesercente com-
merciale nellottica di sviluppare con esso una partnership duratura.
Focalizzando lattenzione sulla natura dei servizi offerti allho.re.c.a. (si
veda la Figura 24, dove 1 poco importante e 5 molto importante), emerge
infatti che a fronte di una significativa perdita di rilevanza per il futuro dei
servizi di natura finanziaria, cresce quella nella formazione per la qualit e
per il miglioramento della gestione del locale, e, anche se in misura inferio-
re, quella dei servizi di natura logistica (come la puntualit e la frequenza
delle consegne).

Fig. 24 Importanza attribuita ai servizi offerti allho.re.ca.


Servizi finanziari
5

2
Formazione sulla
Servizi logistici 1 qualit

Attualmente
Formazione sulla In futuro
gestione attivit

Fonte: ns. elaborazione su dati survey.

I torrefattori intervistati non credono molto invece nellapertura di cof-


fee shop per avere un maggior controllo della distribuzione come leva
competitiva, n allo stato attuale, n per il prossimo futuro: il 46% ha di-
chiarato infatti che si tratta di un fattore poco o per nulla rilevante, a fronte
di un 28% che lo ritiene molto importante. Pi importante sarebbe una stra-
tegia di diversificazione produttiva, mediante laggiunta di nuove linee di
prodotto (ad esempio, monoporzionato, monorigine).
Riguardo in modo particolare al monoporzionato, la maggior parte delle
aziende gi presente in questo comparto da oltre 5 anni (si veda in propo-
sito la Figura 25), con unincidenza sul fatturato totale per molto variabile:

95
dall1% fino al 70% e comunque quasi tutte le aziende intervistate preve-
dono un aumento di tale incidenza nel prossimo futuro. Le piccole torrefa-
zioni che costituiscono la maggioranza del settore hanno iniziato ad
operare in questo comparto in ritardo rispetto alle torrefazioni leader, quan-
do ormai la fase di sviluppo del mercato era iniziata; sono state infatti le
torrefazioni pi grandi ad essere first mover su questo mercato (basti pensa-
re che Lavazza ha pi di venti anni di esperienza nel monoporzionato, il
quale incide per circa il 30% sul fatturato).
Le cialde ESE (Easy Serving Espresso)23 sono quelle pi diffuse, seguite
da quelle compatibili, mentre soltanto poche aziende hanno scelto di creare
proprie cialde e capsule personalizzate.

Fig. 25 La presenza delle imprese nel business del monoporzionato

8%
16% No
55%
21% S da meno di 2 anni
S, da 2 a 5 anni
S, da oltre 5 anni

Fonte: ns. elaborazione su dati survey.

Le principali ragioni che hanno spinto le aziende ad investire nel mono-


porzionato sono la strategicit di tale segmento di mercato e le potenzialit
di crescita; alcuni hanno attuato questa strategia in unottica difensiva, ov-
vero per bilanciare il calo del mercato del caff in grani; in misura inferiore
si trattato di una strategia imitativa della concorrenza. Tutte le aziende ri-
conoscono che si tratta di un segmento di mercato profittevole, comprese
quelle che non vi hanno ancora investito; le ragioni di tale mancato inve-
stimento sono infatti legate in primis alla mancanza di risorse finanziarie,
distributive e produttive necessarie, ma (in misura minore) anche alla vo-
23
Il sistema ESE uno standard industriale internazionale aperto, che consente ai produttori
di macchine e ai torrefattori di utilizzarlo per la preparazione del caff monoporzionato; im-
piegando tale sistema si riducono le barriere allingresso nel comparto del serving, essendo
minore il fabbisogno di risorse necessario rispetto ai sistemi chiusi.

96
lont di non creare conflitti con il cliente bar e alleccessivo affollamento
competitivo, che rende il segmento poco aggredibile. Significativo il fatto
che la maggioranza delle aziende intervistate ritiene che la qualit del caff
monoporzionato sia pi bassa rispetto a quella del caff in grani (anche se
in miglioramento), una quota significativa ritiene che la qualit sia simile,
mentre soltanto unazienda ritiene che sia migliore.
Sostanzialmente stabile risulta la rilevanza assegnata agli investimenti di
marketing nella comunicazione per migliorare limmagine e la visibilit del
brand, cos come anche quelli nella sostenibilit, sulla quale solo una mino-
ranza degli intervistati ha puntato e punter per il prossimo futuro: si tratta
ancora di una nicchia di mercato, servita da un numero ridotto di imprese,
anche se in leggero aumento.
Nella tabella seguente viene fornita una rappresentazione sintetica del
grado di importanza assegnato dai torrefattori intervistati alle diverse leve
competitive nella situazione odierna e nel prossimo futuro.

Tab. 13 Grado di importanza delle leve competitive attualmente e in futuro: la visione dei
torrefattori

LEVE COMPETITIVE OGGI FUTURO VARIAZIONE

Miglioramento della qualit del prodotto +++ +++++

Riduzione dei costi di produzione +++ ++++

Allargamento geografico del mercato di vendita ++ +++

Miglioramento dei servizi allho.re.ca. ++++ ++++ =

Aumento degli investimenti nella formazione dei baristi +++ ++++

Miglior controllo della distribuzione mediante lapertura di coffee shop + + =

Diversificazione produttiva + ++

Investimenti nella comunicazione di marketing ++ ++ =

Investimenti nella sostenibilit + + =

Aumento dellexport ++++ ++++ =

Fonte: ns. elaborazione su dati survey.

97
Riferimenti bibliografici
Invernizzi G., Molteni M. (1990), Analisi di bilancio e diagnosi strategica, Etas
Libri, Milano.
Porter M.E. (1982), La strategia competitiva: analisi per le decisioni, Compositori,
Bologna (trad. it. Competitive Strategy. Techniques for analyzing industry and
competitors, The Free Press, 1980).

98
3. Levoluzione del caff nel mondo

di Maurizio Giuli

3.1. Il pattern evolutivo del mercato del caff: unintro-


duzione

Nel commercio internazionale il caff costituisce la seconda commodity


pi scambiata, dietro solo al petrolio, generando un controvalore di circa 80
miliardi di dollari. Questo si deve al fatto che il caff un prodotto conosciu-
to e diffuso in quasi tutti i Paesi del mondo; si stima che ogni anno a livello
mondiale vengano consumate 400 miliardi di tazze e che ne vengano prodot-
te almeno 1 miliardo ogni giorno. Ciascun consumatore di caff beve in me-
dia 120 tazze lanno.
Leggendo questi dati, potrebbe suonare bizzarra la constatazione dello
psicologo americano Paul Rozin (1976) secondo cui siamo di fronte a un
prodotto innately aversive, ovvero intrinsecamente disgustoso. E allo-
ra, da cosa deriva tanto successo? Ce lo spiega lo psicologo Robert Charles
Bolles (1983, 68) secondo cui: il caff uno dei grandi e meravigliosi sa-
pori. Chi pu negarlo? Veramente amaro e senza carattere ed ha un catti-
vo gusto la prima volta che lo si assaggia. Ai bambini non piace, agli adulti
non avvezzi non piace, ai topi non piace; non piace a nessuno ad eccezione
di chi ne ha bevuto una discreta quantit, che lo adora. [] Con il tempo,
dopo aver bevuto migliaia di tazze, non si riesce pi a vivere senza. In al-
tri termini, come fa notare Morris (2010, 158), il gusto del caff viene ac-
quisito e non innato.
Occorre rilevare che quando si parla di caff non si fa riferimento a un
prodotto unico e uguale per tutti: ogni cultura ha sviluppato un proprio stile
di preparazione e consumo della bevanda. Ogni consumatore ha iniziato a
conoscere il caff allinterno del contesto culturale in cui cresciuto, matu-

99
rando quindi un gusto che coincide con quel tipo di caff che miscelato,
tostato, preparato e servito allinterno della propria comunit. Per questo
aspetto il caff pu essere considerato unevocazione sensoriale della propria
appartenenza ad un determinato gruppo sociale o etnico (Morris, 2010).
Le diverse culture alimentari e sociali, cos come le diverse abitudini delle
varie popolazioni, hanno favorito una certa eterogeneit alluso e al consumo
di questo prodotto; ogni popolo ha sviluppato una propria modalit di prepa-
razione della bevanda, che spesso risponde a un particolare significato o biso-
gno, e dunque a una tradizione. Il consumo attraverso il metodo dellIbrik
ad esempio, che molto diffuso in Turchia e nei Paesi balcanici e mediorien-
tali, con i suoi lunghi tempi di attesa necessari per il deposito dei fondi, ri-
sponde alla logica della conversazione, del rilassamento, dellospitalit. Tale
significato per certi versi opposto a quello dellespresso, che invece si ba-
sa sulla velocit di preparazione e di sorseggio, la cui piccola quantit suggeri-
sce un consumo rapido, quasi rapace: basta meno di un minuto per preparare e
consumare una cremosa tazzina di espresso. Ancora diverso il significato e il
bisogno a cui risponde il drip coffee (meglio conosciuto come caff fil-
tro), diffuso nei Paesi nordici americani ed europei; in questo caso il tempo
di preparazione non brevissimo, ma non coincide con il momento del con-
sumo: il caff viene infatti prodotto in lungo dosaggio e consumato tiepido
durante tutta la giornata, alla stregua di altre bevande, per fronteggiare il clima
rigido; il tepore e la caffeina incentivano il consumo della bevanda durante le
fasi lavorative, piuttosto che nei momenti di socialit e relazione (per un ap-
profondimento si rimanda alla Tab. 1).

Tab. 1 I principali metodi di preparazione del caff

Nel mondo esistono diversi modi di preparazione della bevanda; a seconda della metodologia di estrazio-
ne utilizzata la bevanda assume caratteristiche organolettiche diverse. Le modalit pi comuni sono:
Caff Filtro: sul caff macinato grosso e contenuto in un filtro di carta si versa dellacqua bollente che attra-
versa la polvere per gravit. Il tempo di preparazione varia tra i 6 e gli 8 minuti. Si ottiene cos una
bevanda con poco corpo, cio poco densa, in quanto non contiene, se non in minima parte, particel-
le solide in dispersione; le sostanze estratte dallacqua non vanno oltre la soglia del 16-18%. Di con-
seguenza sotto il profilo organolettico il caff filtro si presenta liquido, senza crema, dal gusto e
dallaroma delicato. Dati i lunghi tempi di preparazione, il caff viene preparato preventivamente in
grandi quantit e conservato in recipienti termici; la sua qualit si deteriora man mano che aumenta
il tempo intercorso fra la preparazione e il consumo. Questo metodo particolarmente popolare nel
Nord America (dove normalmente per ogni dose si impiegano 5-6 grammi di caff tostato chiaro),
nei Paesi del Nord Europa, e in parte anche in Francia, dove per vengono utilizzate dosi pi ricche
di caff per ogni tazza (10-12 grammi). Il volume in tazza tra i 150 e i 200 ml. Una variante al caff
filtro il Chemex, che consiste in una caffettiera in vetro con una strozzatura al centro in cui viene
appoggiato il filtro-carta.

100
Caff Melior (o French Press): nella caffettiera presso-filtro, detta melior, viene versata lacqua bollente
sopra il caff macinato lasciando la polvere in dispersione. Dopo aver aspettato qualche minuto, si
spinge uno stantuffo verso il fondo a cui collegato un filtro che separer la polvere dal filtro.
Caff alla Turca: lacqua viene portata a ebollizione in un recipiente alto di rame stagnato (Ibrick). In essa
si versa il caff macinato molto fine, senza interrompere lebollizione fino alla formazione della
schiuma. Il caff pronto viene versato nelle tazze senza essere filtrato, cos prima di berlo si aspetta
che il macinato si depositi sul fondo. La quantit utilizzata per ogni tazza di circa 5-6 grammi di caf-
f tostato medio o scuro. Il volume di caff in tazza di circa 50-60 ml. Questo metodo oltre che
in Turchia utilizzato nei Paesi Balcanici, in Grecia e nei Paesi Medio-orientali.
Caff bollito: il caff macinato grosso e tostato chiaro viene fatto bollire in acqua per circa 10 minuti. Si beve
dopo aver lasciato depositare i fondi. Questo metodo di preparazione usato soprattutto in Norve-
gia e nelle regioni settentrionali dei Paesi Scandinavi. Si utilizzano 10 grammi per tazza, allincirca la
stessa dose del caff filtro, che corrispondono a una capacit di 150-190 ml. Una variante del caff
bollito il Caf Solo, in cui la caraffa in vetro e ricoperta in neoprene per consentire la presa.
Vacuum & Syphon: un sistema che sfrutta il principio del sottovuoto. Lapparecchio per la preparazione si
compone di due elementi, normalmente in vetro, separati da un filtro in stoffa, plastica o vetro e col-
legati da un tubo. La preparazione del caff con il metodo vacuum avviene in tre fasi: nella prima
lacqua versata nel primo elemento viene riscaldata con una sorgente di calore esterna finch la
pressione esercitata dalla sua ebollizione permette il passaggio del liquido al secondo elemento, in
cui contenuto il caff in polvere (che normalmente ha una tostatura media e un grado di macinatu-
ra leggermente pi fine rispetto al metodo filtro). Nella seconda fase, che ha una durata di circa 2-3
minuti, avviene la macerazione della polvere di caff nel liquido per via del gorgoglio generato dal
vapore. La terza fase avviene quando, una volta rimossa la fonte di calore dal primo contenitore,
esso si raffredda creando un sottovuoto che aspira il liquido nel primo contenitore. Il filtro posto fra i
due contenitori trattiene la polvere di caff lasciando passare solo linfuso. La dose pari a 5-6
grammi ogni 100 ml di acqua e il risultato un caff pi corposo e ricco rispetto al caff filtro.
Aeropress: si tratta di un dispositivo che richiama la forma della siringa. Un cilindro realizzato in materiale
plastico, alla cui base viene applicato un filtro, viene appoggiato sui bordi del recipiente. Dopo aver
aggiunto al suo interno la polvere di caff, viene versata acqua calda a 90 C che viene mescolata
insieme al caff. Una volta terminato il tempo di infusione sulla sommit del cilindro viene inserito un
pistone, che con la pressione della mano spinge linfuso nel recipiente. Il risultato simile a quello
del caff filtro, ma possiede una maggiore intensit di gusto.
Caff solubile e liofilizzato: il caff solubile pu essere preparato con il processo spray-drying o attraverso
la liofilizzazione. Questultima tecnica permette di ottenere un caff solubile dalle qualit aromati-
che superiori, rispetto al metodo spray-drying, poich non prevede lutilizzo di alte temperature. La
preparazione del caff solubile molto semplice: basta aggiungere alla polvere di caff dellacqua
bollente. Le dosi normalmente utilizzate sono di 1,3 grammi di caff solubile per 50 ml di acqua.
Cold Brew: il sistema di infusione a freddo consiste in una lenta percolazione per gravit di gocce di acqua
fredda su un letto di caff in polvere. Il processo particolarmente lento e richiede lunghi tempi di
realizzazione (circa 12-18 ore). Linfuso cos ottenuto presenta note aromatiche molto originali e pu
essere conservato in frigo anche per qualche giorno, senza subire variazioni di gusto.
Caff Moka: la caffettiera moka composta da tre sezioni: la caldaia nella quale viene versata dellacqua
fredda, il filtro metallico in cui viene versato il caff in polvere e la parte superiore che contiene la be-
vanda una volta terminato il processo di estrazione. Il vapore acqueo che si forma passando attra-
verso la polvere di caff si condensa e sale al deposito superiore. Il tempo di contatto fra acqua e
caff di circa un minuto e lestrazione arriva fino al 22% delle sostanze contenute nel caff. Il risul-
tato una bevanda dal gusto deciso, con corposit media e aroma piuttosto intenso. Normalmente

101
si utilizzano circa 6 grammi di caff tostato da medio a scuro per un tazza dal volume di 40-50 ml.
Caff alla napoletana: la caffettiera napoletana lantenata della moka; anche in questo caso composta di
tre sezioni, ma, a differenza dalla moka, la caffettiera va capovolta quando lacqua inizia a bollire in
modo che sgoccioli lentamente attraverso il caff. Per sapere quando capovolgerla baster attende-
re il fischietto del vapore. Questo sistema ancora particolarmente utilizzato in Campania.
Caff espresso: un metodo di estrazione che utilizza la pressione dellacqua per ottenere la bevanda.
Tramite la macchina da caff espresso, lacqua a 90-95 C attraversa la polvere di caff, macinata
fine (6-9 grammi) e contenuta in un filtro metallico, a una pressione di 9 bar. Il volume della bevanda
in tazzina oscilla dai 20 ai 50 ml. Il caff espresso si presenta con uno strato di crema in superficie,
che si forma con la dispersione di gas, anidride carbonica e aria, in un liquido; la bevanda ha una
forte corposit, quindi risulta sciropposa in bocca, per la presenza di emulsioni oleose (formatesi in
presenza di lipidi polari) e per lelevata concentrazione di sostanze estratte in sospensione, che
normalmente intorno al 25%. In termini aromatici, il caff espresso risulta particolarmente intenso.

Nel corso del tempo le modalit di consumo del caff hanno tuttavia su-
bito unevoluzione in quasi tutti i Paesi. Ci prevalentemente per leffetto
combinato dellevoluzione della tecnologia, che ha finito per annullare al-
cune forme di barriere (come quelle logistiche) e della globalizzazione, che
ha determinato una sorta di contaminazione culturale su ampia scala fra
persone con abitudini e tradizioni diverse.
Il processo evolutivo non stato uniforme in tutti i Paesi, o almeno la porta-
ta dei cambiamenti che si sono verificati nel consumo e nella diffusione del
caff non sono necessariamente gli stessi ovunque. Per questo difficile deli-
neare un modello universale, valido per ogni contesto culturale. Ancora oggi,
la penetrazione della bevanda molto eterogenea da Paese a Paese, cos come
diversa la storicit del suo consumo: ci sono nazioni con una tradizione ultra-
centenaria (vedi in Europa occidentale) e altre che hanno conosciuto o stanno
conoscendo il caff solo recentemente (come alcuni Paesi asiatici).
Prima di esaminare i fattori che hanno rallentato la sua diffusione in
questi Paesi (tematica che verr affrontata nel prossimo capitolo), occorre
innanzitutto comprendere le dinamiche di sviluppo del consumo di caff
nei principali Paesi fruitori; quindi necessario servirsi di un modello
esplicativo, per costruire un quadro dinterpretazione delle principali fasi di
penetrazione di questa bevanda.
A questo riguardo pu essere daiuto il modello del pattern evoluti-
vo, con cui Alvin Toffler (1980) ha scandito le diverse fasi dello sviluppo
economico; come avremo modo di vedere, infatti, questa teoria si presta
bene nel fornire una valida schematizzazione dellevoluzione storica del
caff nei principali Paesi consumatori. Il modello contempla tre fasi sostan-
ziali, chiamate wave (ondate) e che sono:

102
First wave: corrisponde alla fase agricola, ovvero a tutta quella
fase storica antecedente alla rivoluzione industriale e che quindi ca-
ratterizz il periodo che va dall8000 a.C. fino alla met del XVIII
secolo;
Second wave: si riferisce alla fase industriale, che dalla met del
XVIII secolo ha caratterizzato leconomia dei Paesi industrializzati
fino agli anni Ottanta;
Third wave: riguarda invece la fase post-industriale (anche de-
nominata post-capitalista o era dellinformazione da altri autori),
contraddistinta dalleconomia della conoscenza, che Peter Drucker
nel 1959 identific nel knowledge worker.
Ognuna di queste ondate si contraddistinta per delle peculiarit: la
prima, ad esempio, stata trainata dal lavoro fisico delluomo e degli ani-
mali, la seconda dalle macchine (prima a vapore, poi a scoppio e infine
elettriche) e dai colletti blu, mentre la terza stata alimentata dalle tecnolo-
gie dellinformazione, dalla conoscenza e dai colletti bianchi.
I riferimenti temporali hanno un valore esemplificativo in quanto queste
tre ondate nel susseguirsi hanno avuto fasi di sovrapposizione pi o meno
lunghe. Ci non significa tuttavia che il passaggio da unondata allaltra sia
stato fluido e progressivo; al contrario, ogni evoluzione stata piuttosto
traumatica poich a ognuna di esse corrisposto un profondo cambiamento
delle professionalit e del tipo di organizzazione del lavoro con tutti i ri-
svolti di carattere sociale ed economico che ne sono conseguiti. In altri ter-
mini ognuna di esse ha contraddistinto un paradigma che stato poi messo
in crisi e in parte sostituito da quello dellondata successiva.
Secondo questo modello, inoltre, ogni ondata stata fondamentale per
lo sviluppo di determinate competenze, di cui rimasta traccia anche nelle
fasi a seguire, e ha allo stesso tempo creato le premesse per lavvento della
successiva, divenendo in tal modo fattore propulsivo al suo cambiamento
(Tab. 2).
Questa visione dellevoluzione del settore a ondate si consolidata
anche nel mondo del caff, soprattutto allinterno degli ambienti dello
Specialty Coffee.
Sembra che il primo autore a ricorrere alla terminologia di Toffler sia
stato il norvegese Trish Rothgeb (2003), quando nella newsletter The
Flamekeeper del Roasters Guild, ha postato larticolo Norway and Cof-
fee, in cui afferma: First Wave, Second Wave, Third Wave: this is how I
think of contemporary coffee. There seem to be three movements influenc-
ing what Erna Knutsen, a Norwegian immigrant to America, termed Spe-
cialty Coffee.

103
Tab. 2 Le principali caratteristiche del Pattern Evolutivo di Toffler

Il passaggio da unondata allaltra non stato immediato, ma ha richiesto fasi di transizione.


pressoch impossibile identificare la data di inizio di una nuova ondata.
Il susseguirsi delle ondate ha provocato cambiamenti tanto profondi da delineare ogni volta
un nuovo paradigma.
Ciascuna ondata ha creato le premesse per il suo superamento.
I protagonisti e alcuni fattori delle vecchie ondate hanno continuato a svolgere un ruolo anche
nelle ondate successive, sia pur con toni molto pi marginali.

Pur non facendo alcun riferimento esplicito al concetto delineato da Tof-


fler, egli tuttavia ripropone lo stesso schema di analisi. Come fa infatti rile-
vare Rothgeb, ogni ondata si contraddistingue per un suo sistema di priorit
e di valori, cos come per un diverso paradigma. Ognuna di esse ha contri-
buito a formare lesperienza del consumatore e ad aumentare la diffusione
del caff fra la popolazione. Le ondate si sono susseguite, in parte anche
sovrapponendosi, e ognuna ha riversato inevitabilmente la sua influenza
sulla successiva (Fig. 1).
Ma cosa si intende per First, Second e Third Wave nel mondo del
caff? Una definizione arriva dal Premio Pulitzer Jonathan Gold1, che scri-
ve di ondate riferendosi principalmente alle dinamiche evolutive del mer-
cato nordamericano: la prima ondata nella cultura americana corrisponde
probabilmente al XIX secolo, quando ha portato su ogni tavola americana il
caff Folgers marchio leader del mercato domestico con una quota di
mercato del 46% (pi o meno lequivalente a Lavazza per lItalia) la se-
conda stata quella della proliferazione, a partire dalla met degli anni Ses-
santa dello Specialty, nelle sue varie declinazioni fra cui la latte revolu-
tion, che trova la sua massima espressione nelle caffetterie Starbucks.
Siamo ora nella terza ondata di intenditori di caff, in cui i chicchi proven-
gono da farms invece che da Paesi, dove torrefare significa enfatizzare piut-
tosto che incenerire le caratteristiche uniche del chicco e il sapore pulito,
duro e puro.

1
The first wave of American coffee culture was probably the 19th-century surge that put
Folgers on every table, and the second was the proliferation, starting in the 1960s at Peets
and moving smartly through the Starbucks grande decaf latte, of espresso drinks and region-
ally labelled coffee. We are now in the third wave of coffee connoisseurship, where beans
are sourced from farms instead of countries, roasting is about bringing out rather than incin-
erating the unique characteristics of each bean, and the flavour is clean and hard and pure
(LA Weekly, marzo 2008).

104
Seguendo questa schematizzazione, la First wave corrisponde alla fa-
se in cui il caff divenuto un prodotto di massa grazie soprattutto alle in-
novazioni nel packaging. Per completare lanalisi evolutiva, riteniamo op-
portuno aggiungere e analizzare separatamente una fase antecedente alle
innovazioni sul confezionamento del caff, identificata come fase pionie-
ristica, che arriva fino agli inizi del XX secolo. Essa risulta importante per
comprendere le dinamiche di sviluppo e di diffusione della bevanda nei vari
Paesi, pur non avendo lo stesso impatto commerciale e di marketing delle
fasi successive.
Prima di addentrarci nellanalisi delle varie fasi riteniamo corretto fare
unulteriore precisazione: quando si parla di ondate, si fa prevalentemen-
te riferimento a quanto avvenuto nel mercato nordamericano, in molti casi
anticipatore dei fenomeni che si sono poi diffusi anche negli altri Paesi. Va
precisato per che non tutte le nazioni hanno seguito la stessa evoluzione, o
almeno non tutti hanno vissuto le varie fasi con la stessa intensit. LItalia
a questo riguardo un caso esemplare in quanto risulta difficile nel nostro
Paese parlare di Second Wave o di Third Wave, nellaccezione riferita
al mercato americano.

3.2. La Fase pionieristica

Nonostante le prime tracce storiche del caff risalgano al IX secolo2, la


sua storia commerciale molto pi recente; nel XVI secolo esso si diffonde
nellimpero Ottomano3 e solo un secolo pi tardi arriver nei Paesi europei.
Il primo studioso occidentale a parlare di caff fu il botanico padovano
Prospero Alpini (1553-1617), che nel 1580 durante un viaggio in Egitto eb-

2
Careful research discloses that most authorities agree that the coffee plant is indigenous to
Abyssinia, and probably Arabia, whence its cultivation spread throughout the tropics. The first
reliable mention of the properties and uses of the plant is by an Arabian physician toward the
close of the ninth century A. I)., and it is reasonable to suppose that before that time the plant
was found growing wild in Abyssinia and perhaps in Arabia. [] Some authorities believe that
the first cultivation of coffee in Yemen dates back to 575 A. D., when the Persian invasion put
an end to the Ethiopian rule of the Negus Caleb, who conquered the country in 525. Certainly
the discovery of the beverage resulted in the cultivation of the plant in Abyssinia and in Ara-
bia; but its progress was slow until the 15th and 16th centuries, when it appears as intensively
carried on in the Yemen district of Arabia (Uckers, 1922, 5).
3
Il caff conosciuto a Costantinopoli nel 1517, ma solo nel 1554 che esso entra a far par-
te del vissuto della popolazione, poich iniziano a diffondersi le prime coffee houses. Il suc-
cesso di queste case del caff fu tale che presto sostituirono le moschee. Ci determin, nel
1570 la proibizione del consumo di caff (ivi, 19).

105
be modo di conoscere la pianta e la descrisse nel suo trattato De plantis
Aegypti4. LItalia, e in particolare Venezia, per gli stretti rapporti commer-
ciali con limpero ottomano, fu la prima meta dOccidente del caff; cos
come Venezia a ospitare una delle prime botteghe del caff in Europa, nel
1645 (Uckers, 1922).

Fig. 1 Schema sintetico del modello del Pattern evolutivo del caff

Grado di diffusione del caff


Pionieri-

Fourth
Second

Wave
Wave

Third
Wave

Wave
First
Fase
stica

700 1900 1966 1995 2000


Anni

58
Alpini, De plantis Aegypti, 1592.

106
Fase First Second Third Fourth
Pionieristica Wave Wave Wave Wave
Il caff viene scoperto Nuove invenzioni nel Viene riscoperta Sistema fondato Nuova ondata di
dagli europei. packaging e nei pro- limportanza della sulla produzione invenzioni nel pac-
cessi produttivi. qualit del caff . artigianale. kaging.

Iniziano le prime for- Inizia a formarsi Il caff diventa La sfida competitiva Si diffondono sistemi
me di commercio. lindustria delle torre- prodotto Cult. si sposta sulla ri- monoporzionato.
fazioni. cerca dei migliori
caff.

La coltivazione si Cambiano i canali Si diffondono le Si diffondono forme Il caff si avvicina ai


estende a nuovi Paesi distributivi. caffetterie e nuove di direct-trade. momenti di consu-
(Asia e Sud America). abitudini. mo.

Il caff un prodotto Il caff inizia ad esse- Lespresso diventa Il caff non pi un Nuove forme di di-
elitario consumato nei re conosciuto dalla il metodo di estra- prodotto standard. stribuzione.
caff letterari. massa della popola- zione protagonista.
zione.

Il caff viene acqui- Il caff diventa un Lespresso viene Il consumatore La sfida competitiva
stato non torrefatto. prodotto domestico. associato a be- diventa intenditore. si sposta su politiche
vande con latte di branding.
(latte revolution).

Non c ancora Aumentano i consumi Le caffetterie di- Il contesto e la am- Il caff percepito
unindustria del caff. di caff. ventano il Third bientazione perdo- come un lusso ac-
place. no rilevanza. cessibile.

Consolidamento del Il mercato domi- Si aggiungono nuo-


settore attraverso nato dalle catene vi sistemi di estra-
acquisizioni e fusioni. di caffetteria. zione.

Prodotto mass mar- La ricerca della


ket. qualit diventa
maniacale.

Larrivo del caff nel Vecchio Continente costituir una tappa fonda-
mentale, poich in Europa che il mercato del caff nasce e si incrementa.
I Paesi europei hanno infatti generato una forte spinta alla domanda, dive-
nendo presto i principali consumatori mondiali; non solo, il contribuito eu-
ropeo si ripercuote anche sullofferta: con le loro colonie, gli olandesi pri-
ma e i francesi poi estesero rapidamente larea di coltivazione a regioni di-

107
verse da Etiopia e Yemen, dove la pianta cresceva spontaneamente. Nel
16995, gli olandesi riuscirono ad avviare la prima coltivazione di piante di
caff sullisola di Java. La coltivazione del caff fuori dalle zone indigene
ha dato il via a intensi scambi: un notevole cambiamento rispetto alla rigida
egemonia araba, in cui il caff era considerato un prodotto strategico e per-
tanto la vendita di bacche o di semi (non sterilizzati attraverso la bollitura)
era proibita6.
La produzione era per scarsa e non sufficiente a generare un mercato in
senso stretto. Secondo alcune fonti storiche, il francese Jean de la Roque
stato il primo europeo ad acquistare direttamente il caff in Yemen; la sua
non fu unimpresa semplice, dato che impieg sei mesi per reperire una
quantit di caff sufficiente a riempire la stiva della propria nave7.
Produzione e domanda non erano ancora collegate; tuttavia, a una pro-
duzione scarsa, corrispondeva una debole richiesta, poich il caff era an-
cora un prodotto di lite e poco conosciuto. In queste condizioni il prezzo
dipendeva molto dalla forza negoziale dei commercianti e dalla volont dei
pochi consumatori (per lo pi llite urbana e la classe media) di pagare per
quel genere di prodotto. Il basso consumo del caff anche testimoniato
dalla bassa frequenza delle aste, le prime delle quali si tennero in Olanda
con periodicit semestrale; tale frequenza aumenter lentamente e solo dal
1864 avr una cadenza mensile.
Il secolo XVIII, sar cruciale poich nel corso di quegli anni si crearono
le premesse per lo sviluppo futuro del mercato del caff. La sua coltivazione
si estender a gran parte degli attuali Paesi produttori: nel 1715 la pianta del
caff arriv in Martinica, ad Haiti, a Santo Domingo e nelle Isole de la Reu-
nion, nel 1730 in Jamaica, nel 1748 nelle Filippine e a Cuba, nel 1750 in
Guatemala, nel 1752 in Brasile (secondo altre fonti nel 1727), nel 1779 in
Costa Rica, nel 1784 in Venezuela, nel 1790 in Messico, nel 1840 in India,
nel 1852 in Salvador, nel 1878 in Africa centrale, nel 1887 in Indocina ecc.
Cambia dunque la geografia commerciale del caff: mentre lAsia e in
particolare Java, aveva dominato le importazioni europee del XVII secolo e

5
La pianta di caff arriv per la prima volta con successo in Europa nel 1616 (da Mocha
allOlanda). Questo costitu il primo passo per lespansione della coltivazione: nel 1658 gli
olandesi avviarono la coltivazione del caff a Ceylon (anche se secondo alcune fonti risulta
che gli arabi abbiano portato la pianta nellisola ancora prima, ovvero nel 1505). Precedenti
tentativi britannici a coltivare la pianta di caff a Madras, in India, erano falliti.
6
Un altro fattore di ostacolo allintroduzione della coltivazione della pianta in altre terre
dovuto al fatto che i semi tendevano a perdere la forza di germinazione molto velocemente.
7
Ibidem.

108
della prima met del XVIII secolo8, a partire dalla seconda met del secolo,
la maggior parte della produzione proverr dalle colonie americane. A ri-
dimensionare la quota di Java contribuirono anche gli effetti nefasti della
hemileia vasatrix, lepidemia che intorno al 1880 devast i raccolti
dellisola. In verit, il suo ridimensionamento in termini di importanza era
gi evidente nel 1750, quando quasi la met della quantit di caff importa-
to ad Amsterdam (lallora principale porto di ingresso del caff in Europa)
proveniva gi dalle colonie francesi del nuovo continente; quota che a ri-
dosso della Rivoluzione Francese salir all80% della produzione mondiale,
nonostante la rivoluzione degli schiavi di Haiti9.
Man mano che larea di coltivazione si estendeva, lofferta di caff au-
mentava; nel frattempo il caff iniziava a essere conosciuto e apprezzato da
fasce sempre pi ampie della popolazione. Gi dalla met del XVIII secolo,
domanda e offerta si integrarono creando un mercato sempre pi florido,
dove i prezzi risultavano ragionevolmente stabili, senza essere pi soggetti
alle spasmodiche fluttuazioni dei primi tempi. Gli scambi erano ancora do-
minati dagli europei, e in particolare dagli olandesi, i quali importavano il
prodotto dalle varie colonie e lo rivendevano ai principali Paesi consumato-
ri, che erano rappresentati da Germania, Francia, Impero austro-ungarico,
Belgio, Inghilterra e la stessa Olanda.
Il secolo XIX risult importante per il mercato del caff, sia in termini
dimensionali che geografici. Il consumo mondiale, infatti, aument di ben
15 volte grazie anche allavanzata di nuovi Paesi produttori e consumatori,
che spostarono il baricentro dallEuropa al continente americano: il Brasile
divent il principale produttore, arrivando a soddisfare i tre quarti del fab-
bisogno mondiale, mentre sul lato della domanda, oltre la met dei maggio-
ri consumi arrivarono dagli Stati Uniti, che pian piano spodestarono gli eu-
ropei nel consumo della bevanda.
Il Brasile guadagn il primato nella produzione mondiale grazie alla sua
vasta disponibilit di terre fertili e di manodopera a buon mercato (anche a
seguito del largo ricorso al lavoro di schiavit), fattori che hanno permesso
di attuare sistemi di coltivazione estensiva. Come emerge dalla Figura 2,

8
Nel 1720 Java forniva il 90% del caff importato in Olanda, quota che scender al 6% del
fabbisogno europeo un secolo pi tardi.
9
When the French Revolution provoked a slave rebellion in St. Domingue (today Haiti), great-
ly reducing the production of what had been the worlds premier producer, prices in Java and the
Americas jumped to take advantage. The massive concentration of African slaves led to the
most successful slave rebellion in the world. Haiti ceased being the leading producer; production
dropped from 40,000 metric tons in 1789 to 9,000 metric tons in 1818, so world prices for cof-
fee rose quickly in the first decades of the nineteenth century (Topik, 2004, 16-17).

109
lesportazione di caff pass dai soli 13 sacchi del 1800 agli oltre 11,3 mi-
lioni del 1900, fino a toccare la soglia dei 20 milioni nel 1906.

Fig. 2 Esportazioni di caff del Brasile nel secolo XIX (numero di sacchi)

20.409.314
25.000.000

20.000.000

11.373.445
15.000.000

5.782.984

5.591.784
3.231.265
3.178.375
10.000.000 2.151.516
1.037.988
484.226
97.494

5.000.000
13

0
1800

1820

1830

1840

1852

1860

1870

1880

1890

1900

1906
Fonte: ns. elaborazione da dati di Ukers, 1922.

La grande quantit di offerta riversata sul mercato da questo Paese fu


utile anche per calmierare i prezzi, che, a partire dal 1820, scesero sensi-
bilmente e si mantennero bassi nel corso di tutto il secolo.
Tutto ci fin per stimolare la domanda, rendendo accessibile il consu-
mo a fasce di popolazione sempre pi ampie; il caff divenne disponibile ai
lavoratori urbani, fino a coinvolgere occasionalmente i residenti rurali.
Un forte contributo allesplosione dei consumi fu anche dato dai notevo-
li progressi tecnologici nel campo dei trasporti e delle telecomunicazioni,
che permisero di abbattere sensibilmente i costi di intermediazione.
Ladozione di sistemi di propulsione a vapore sulle navi e la creazione di
reti ferroviarie (sia nei Paesi consumatori, che in quelli produttori) facilita-
rono sensibilmente i trasporti, comprimendone tempi e costi. Le comunica-
zioni furono rivoluzionate dallintroduzione del telegrafo e dalla posa del
cavo transatlantico nel 1866, che ridussero i tempi di comunicazione tra i
due continenti, da qualche settimana a pochi minuti. Ci permise
lomogeneizzazione dei mercati a livello internazionale, rendendo pi effi-
cienti gli scambi, e favor la creazione dei Coffee Exchange: il primo venne
creato nel 1882 a New York, seguito a breve distanza da Le Havre (1882),
poi Amburgo (1887), Rotterdam e Londra (1890) e Trieste (1905).

110
Alla crescita del Brasile come Paese produttore, si accompagnata
lavanzata degli Stati Uniti fra i Paesi consumatori; dal 1790 al 1890 le im-
portazioni di caff americane sono cresciute di 140 volte, passando da
26.000 a 3,7 milioni di sacchi (Fig. 3).

Fig. 3 Importazioni di caff negli Stati Uniti nel corso del secolo XIX (numero di sacchi)

5.660.934
3.705.624
6.000.000

3.327.374
5.000.000

1.747.672
4.000.000

1.376.294
3.000.000

981.223
652.411
290.029
241.920

149.697

2.000.000
89.859
66.471
26.460

1.000.000

-
1790 1800 1809 1811 1821 1830 1840 1850 1860 1870 1880 1890 1900

Fonte: ns. elaborazione da dati di Uckers, 1922, 296.

Questa crescita stata il risultato di due fattori: da un lato troviamo il


fattore demografico (la popolazione aument di 15 volte in quellarco tem-
porale) e dallaltro una maggior penetrazione della bevanda. Il consumo pro
capite pass in un secolo dagli 1,18 pound del 1783 ai 9 pound di fine
1890. Com evidenziato nella Tabella 3, al termine del secolo gli Stati
Uniti arrivarono ad assorbire il 40% della produzione, quota che super il
60% nel corso del primo conflitto Mondiale.
La crescita del consumo di caff negli Stati Uniti avvenuta a discapito
del consumo di th (soprattutto dopo la Rivoluzione per lIndipendenza e la
lotta del movimento bostoniano del Tea party, che nel 1773 ne band il
consumo in quanto considerato espressione delloppressione inglese). Lo
sviluppo della domanda di caff fu anche favorito dalla politica governativa
che agevol limportazione, prima attraverso politiche di bassi dazi dogana-
li, poi dal 1832 con la loro totale eliminazione.
La crescita dei consumi degli Stati Uniti nel corso del XIX secolo, tutta-
via non fu isolata: anche lEuropa in quel periodo fece registrare una cresci-
ta significativa.

111
Tab. 3 Dati sul commercio del caff (esportazioni e importazioni) nel periodo 1883-1920
(migliaia di sacchi da 60 Kg)

Esportazione Importazione
A. Fiscale Brasile Altri Paesi Totale Europa Stati Uniti Totale
1/7 - 30/6 Sacchi % Sacchi % Sacchi Sacchi % Sacchi % Sacchi
1883-84 5.047 53% 4.526 47% 9.573 6.774 72% 2.635 28% 9.409
1884-85 6.206 61% 4.004 39% 10.210 7.388 70% 3.169 30% 10.557
1885-86 5.565 61% 3.505 39% 9.070 7.198 71% 2.938 29% 10.136
1886-87 6.078 60% 4.106 40% 10.184 7.363 73% 2.672 27% 10.035
1887-88 3.033 49% 3.214 51% 6.247 5.888 73% 2.164 27% 8.052
1888-89 6.827 65% 3.672 35% 10.499 6.589 71% 2.659 29% 9.248
1889-90 4.260 52% 3.965 48% 8.225 6.716 71% 2.704 29% 9.420
1890-91 5.358 65% 2.886 35% 8.244 6.046 69% 2.673 31% 8.719
1891-92 7.397 62% 4.453 38% 11.850 6.392 59% 4.412 41% 10.804
1892-93 6.203 56% 4.887 44% 11.090 6.457 60% 4.389 40% 10.846
1893-94 4.309 45% 5.307 55% 9.616 6.272 59% 4.298 41% 10.570
1894-95 6.695 57% 5.069 43% 11.764 6.816 61% 4.396 39% 11.212
1895-96 5.476 53% 4.901 47% 10.377 6.803 61% 4.339 39% 11.142
1896-97 8.680 62% 5.238 38% 13.918 7.155 58% 5.080 42% 12.235
1897-98 10.462 65% 5.596 35% 16.058 8.535 59% 6.036 41% 14.571
1898-99 8.771 64% 4.985 36% 13.756 7.798 58% 5.682 42% 13.480
1899-00 8.959 65% 4.842 35% 13.801 8.937 60% 6.035 40% 14.972
1900-01 10.927 72% 4.173 28% 15.100 8.486 59% 5.843 41% 14.329
1901-02 15.439 78% 4.296 22% 19.735 8.853 57% 6.663 43% 15.516
1902-03 12.324 74% 4.340 26% 16.664 9.118 57% 6.847 43% 15.965
1903-04 10.408 65% 5.575 35% 15.983 9.280 58% 6.853 42% 16.133
1904-05 9.968 69% 4.480 31% 14.448 9.475 59% 6.687 41% 16.162
1905-06 10.227 69% 4.565 31% 14.792 9.934 59% 6.806 41% 16.740
1906-07 19.654 83% 4.160 17% 23.814 10.502 60% 7.042 40% 17.544
1907-08 10.283 69% 4.551 31% 14.834 10.481 60% 7.043 40% 17.524
1908-09 12.419 73% 4.499 27% 16.918 11.129 60% 7.519 40% 18.648
1909-10 14.944 78% 4.181 22% 19.125 10.811 60% 7.287 40% 18.098
1910-11 10.548 73% 3.976 27% 14.524 10.492 60% 7.015 40% 17.507
1911-12 12.491 72% 4.918 28% 17.409 10.712 61% 6.762 39% 17.474
1912-13 11.458 70% 4.915 30% 16.373 10.144 60% 6.675 40% 16.819
1913-14 13.816 70% 5.796 30% 19.612 11.027 59% 7.545 41% 18.572
1914-15 12.867 72% 5.019 28% 17.886 13.368 63% 8.010 37% 21.378
1915-16 14.992 76% 4.764 24% 19.756 11.050 56% 8.834 44% 19.884
1916-17 12.112 73% 4.579 27% 16.691 5.171 36% 9.046 64% 14.217
1917-18 15.127 80% 3.720 20% 18.847 6.209 42% 8.624 58% 14.833
1918-19 9.140 67% 4.500 33% 13.640 6.073 40% 8.994 60% 15.067
1919-20 6.700 44% 8.463 56% 15.163 7.047 42% 9.683 58% 16.730
1920-21 13.816 68% 6.467 32% 20.283 6.397 40% 9.701 60% 16.098

Fonte: ns. rielaborazione da Uckers, 1922, 274.

112
In particolare i Paesi del Nord Europa, come Germania, Francia, Olan-
da, Impero Austro-Ungarico e Belgio fecero registrare sensibili incrementi
nel consumo pro capite e quindi nelle importazioni di caff (si veda Tab. 4).
In termini di volumi il principale Paese importatore era costituito dalla
Germania, seguito dalla Francia, mentre per il consumo pro capite il merca-
to pi importante era costituito dallOlanda (si veda Fig. 4).

Tab. 4 Trend di consumo del caff nei principali mercati europei nel periodo 1853-1913
(numero di sacchi da 60 Kg)

Anno Germania Francia Olanda Impero A-U Belgio

1853 786.610 363.598 348.985 338.053 312.001

1863 1.111.086 661.681 229.060 339.943 297.146

1873 1.631.614 747.238 601.489 537.599 377.047

1883 1.902.897 1.137.538 985.673 560.536 475.116

1893 2.036.520 1.150.655 571.249 600.551 393.468

1903 3.047.209 1.860.682 592.160 787.752 392.054

1913 2.792.263 1.921.011 882.622 989.990 704.970

Fonte: ns. elaborazione su dati di Uckers, 1922, 296.

Il caff arrivava in Europa prevalentemente attraverso i porti di Ambur-


go, Bremen, Copenaghen, Amsterdam, Rotterdam, Antwerp, Le Havre,
Bordeaux, Marsiglia e Trieste. Alcuni di essi, in particolare Amburgo e
Amsterdam, costituivano centri di smistamento del caff per altre destina-
zioni, come Scandinavia e Russia, mentre gli altri erano pi orientati al
consumo domestico10. I principali Paesi consumatori coincidevano con
quelli economicamente pi sviluppati e che dunque presentavano tassi di
crescita pi elevati. Questo dato denota che, almeno nella prima fase di
espansione della domanda, esisteva una correlazione diretta fra consumo di
caff e crescita economica. Questa relazione era conseguenza sia degli ef-
fetti della caffeina, che risultava utile per rispondere ai ritmi imposti dalla
nuova organizzazione del lavoro nella societ industriale, sia dellelasticit
della domanda nei confronti del reddito. Questo genere di elasticit, che
non ritroviamo pi nella dinamica dei consumi del secolo successivo, era

10
Il porto di Trieste alimentava il mercato dellImpero austro-ungarico, di cui al tempo face-
va parte.

113
talmente forte da sterilizzare gli effetti della lievitazione del prezzo; il con-
sumo di caff ha infatti continuato a crescere anche nella seconda met del
XIX secolo, quando le sue quotazioni nel commercio internazionale sono
state in ascesa. Da questa prospettiva la dinamica evidenziata dalla doman-
da di caff risult unica, distinguendosi da ogni altra commodity, il cui
consumo rimase invece condizionato allandamento dei prezzi.

Fig. 4 Consumo medio pro capite a fine 800 nei principali Paesi europei (Kg)

9 8,0
8
7
6
5 4,1 4,0
4
3 2,4 2,3 2,3
2 1,4 1,0 0,7 0,3
1 0,1
0
Belgio

Aus.Hung

Portogallo
Olanda

Norvegia

Danimarca

Germania

Svezia

Francia

Grecia

Spagna
Fonte: ns. elaborazione su dati di Uckers, 1922, 289.

Riguardo allelasticit della domanda di caff al reddito notiamo che, da


uno studio sui Paesi pi sviluppati, emerso che nel periodo compreso fra
il 1830 e il 1900 essa stata pari a 1,3; questo significa che il consumo
cresciuto in modo pi che proporzionale rispetto alla crescita della ricchez-
za. Comprendere le ragioni di questa tendenza non difficile: agli inizi del
secolo la bevanda costituiva un bene di lusso e dunque ignorata dalla massa
della popolazione, che, in assenza, ricorreva a surrogati di vario genere.
Una volta che il caff ha raggiunto fasce sempre pi ampie della popola-
zione, condizionandone profondamente le abitudini, si trasformato in un
bene inelastico tanto al reddito, quanto al prezzo. Infatti, da uno studio rea-
lizzato dalla commissione federale americana del commercio emerso che
lelasticit della domanda del caff al reddito nel 1954 era scesa allo 0,2%:
questo significa che solo lo 0,2% dellincremento del reddito veniva desti-
nato al maggior consumo di caff. Tali dati sono in sintonia con la prima
legge di Engel (1857), secondo cui al crescere del reddito disponibile per
una data famiglia, la quota di spesa destinata allacquisto di beni alimentari
decrescente.

114
Oltre allincremento dei consumi, nel corso del XIX secolo si assiste an-
che a un cambio nelle modalit di consumo del caff: dalle coffee houses
si passati alle prime forme di consumo domestico. Da quando nel 1620 il
caff era arrivato a Venezia e da l si propagato al resto dEuropa, la prin-
cipale modalit di consumo era costituita dalle coffee houses; nelle princi-
pali capitali europee erano fioriti i primi caff letterari, locali alla moda
frequentati prevalentemente dai giovani pi facoltosi e istruiti, in cui si di-
scuteva di politica, ma anche di argomenti pi leggeri legati al gossip. In
diverse circostanze i fruitori dei caff letterari diedero luogo a movimenti
politici di protesta e per questo motivo, spesso, i locali erano mal visti dalle
autorit governative; si sono infatti verificati tentativi di controllo del fe-
nomeno attraverso delle restrizioni alla proliferazione di questo genere di
attivit, che in alcuni casi si spinse fino alla messa al bando, come avvenne
in Turchia e in Inghilterra.
Alla met del secolo, il consumo domestico era ancora molto limitato;
non erano ancora diffuse le torrefazioni, per cui gran parte del commercio
riguardava il caff verde che veniva acquistato per essere cotto in casa.
Ben presto per le condizioni cambiarono per cui il consumo domestico di-
venne il principale driver di sviluppo della domanda.
Le prime macchine tostatrici manuali risalgono alla fine del XVIII seco-
lo, ma fino a tutta la prima met del XIX secolo il mercato del caff torre-
fatto stent a decollare.
Negli Stati Uniti, la prima torrefazione venne creata a New York nel
1790 e sempre nello stesso anno ne apr una seconda11. Allinizio la tecno-
logia veniva importata dallEuropa, prevalentemente dallInghilterra e dalla
Germania, ma a partire dal 1846 fu avviata la produzione locale di macchi-
ne tostatrici a opera di James W. Carter e ci favor il processo di diffusio-
ne di imprese di torrefazione. Nel 1848 nella sola New York esistevano gi
21 torrefazioni, eppure lindustria della torrefazione non era ancora decolla-
ta; i maggiori ostacoli alla diffusione erano il rapido deperimento del pro-
dotto e linesistenza di un packaging tecnicamente ed economicamente ef-
ficiente per rendere il prodotto disponibile a lunghe distanze. Il sistema pi
diffuso di confezionamento era rappresentato dai barattoli a bocca picco-
la, come venivano denominati da alcune fonti dellepoca.
Se quindi il XIX secolo si contraddistinto per aver dato un certo im-
pulso ai consumi di caff, non altrettanto stato per lindustria di torrefa-
11
La prima venne creata al civico 4 di Great Dock Street, New York, mentre la seconda fu
aperta al 232 di Queen Street. Questa seconda nel 1794 divent nota come la City Coffee
Works.

115
zione, che prender forma solo a partire dagli ultimi decenni del secolo, e
vedr il suo sviluppo nel corso del XX secolo.

3.3. First Wave: linnovazione del packaging per il con-


sumo di massa

Gli anni a cavallo fra la fine del XIX e linizio del XX si caratterizzano
per una certa vivacit di innovazioni tecniche che cambieranno radicalmen-
te il mercato del caff. Ricordiamo a questo proposito:
nel 1862 fu creata a Brooklyn la prima fabbrica di sacchetti di carta
per il confezionamento del caff sfuso;
nel 1898 Edward Norton12 brevett il sistema di confezionamento
vacuum (sottovuoto), abbinato al packaging in lattina, che venne
per la prima volta applicato al caff nel 1900 da M.J. Brandestein &
Co di San Francisco;
nel 1899 il giapponese Sartori Kato (originario di Tokio, ma emigra-
to a Chicago) introdusse il caff solubile negli USA13;
nel 1902 venne realizzato da parte della Union Bag & Paper Corpo-
ration il primo sacchetto di carta duplex, ricavato da un rotolo di
carta con fibre di solfito e glassine;
nel 1902 la societ Manufacturing Company Coles e Henry
Troemner di Philadelphia, avvi la produzione di macinini elettrici;
nel 1902 la Jagenberg Machine Company Inc. avvi la commercia-
lizzazione negli Stati Uniti della macchina tedesca di confeziona-
mento ed etichettatura automatica del caff, subito impiantata da al-

12
In 1898, Edward Norton, of New York, was granted a United States patent on a vacuum
process for canning foods, subsequently applied to coffee. Others followed. Hills Brothers,
of San Francisco, were the first to pack coffee in a vacuum, under the Norton patents, in
1900. M. J. Brandenstein & Company, of San Francisco, began to pack coffee in vacuum
cans in 1914. Vacuum sealing machines to pack coffee under the Norton patents are now
made by the Perfect Vacuum Canning Company of New York (Uckers, 1922, 471).
13
Non c piena convergenza sullorigine del caff solubile. Secondo alcune fonti (fra cui la
stessa Nestl) la storia di questo prodotto inizia con il brevetto depositato nel 1771 in Inghil-
terra. Nel 1853 venne sviluppata una versione americana. Secondo altre fonti, invece il caff
solubile stato inventato e brevettato nel 1890 dal neozelandese David Strang (brevetto n.
3518). Il processo ideato da Strang si basava su un sistema dry hot-air. Precedentemente
linvenzione era erroneamente stata attribuita allo scienziato giapponese Sartori Kato, che
nel 1901 deposit negli USA il primo brevetto per il caff solubile (brevetto Usa n. 73577
Coffee Concentrate and Process of Making Same) e che present il prodotto
allEsposizione Panamericana. Nestl introduce il suo Nescaff nel 1938.

116
cune aziende (come Johnson Automatic Sealer Company, Battle
Creek, Mich) dando cos lavvio allindustrializzazione del confe-
zionamento del caff su larga scala.
Grazie a queste innovazioni, il caff tostato divenne un prodotto a lunga
shelf-life e che dunque poteva essere immagazzinato e trasportato facil-
mente, senza avere pi i vincoli di prossimit al luogo di produzione. Ci
favor, soprattutto negli Stati Uniti, la diffusione di nuovi sistemi distributi-
vi del caff, che resero fruibile il prodotto alla quasi totalit della popola-
zione (per un approfondimento si rimanda alla Tab. 5).

Tab. 5 Il sistema distributivo del caff negli USA negli anni Venti

Droghieri indipendenti: erano negozi del piccolo dettaglio che vendevano il caff prevalentemente
sfuso, crudo o anche tostato, insieme ad altre spezie. Nel caso di vendita di caff tostato,
normalmente questi droghieri si limitavano a rivendere il prodotto di altri torrefattori, anche
se non mancano casi in cui il droghiere tostava internamente il caff.
Specialty stores: questi negozi specializzati usavano la leva della qualit e della freschezza per
attrarre i consumatori. La maggior parte di essi tostava il caff internamente e lo vendeva
al cliente sotto forma di caff tostato fresco e spesso macinato allistante. Ci garantiva
una maggiore marginalit, ma questo genere di attivit non era alla portata di tutti, poich il
negoziante in questi casi doveva possedere le competenze tecniche necessarie per sce-
gliere le giuste partite di caff verde, miscelarle opportunamente e saperle tostare adegua-
tamente14. A volte questi negozi si limitavano a rivendere il caff tostato da piccoli torrefat-
tori locali, ma avevano sempre un occhio di riguardo nei confronti della qualit di quanto
offrivano. In questo secondo caso al negoziante non era richiesta la stessa competenza di
chi tostava, ma era sufficiente conoscere il giusto grado di macinatura necessario per la
modalit di preparazione impiegata dal proprio cliente. Il servizio di questa tipologia di ne-
gozi si distingueva anche per il fatto che essi proponevano diverse variet di caff a se-
conda dei vari segmenti; da documenti storici risulta che il Santos ad esempio veniva
proposto per la sua economicit, mentre una miscela a met fra Santos e un naturale del
Maracaibo o del Bucaramanga veniva proposta per il segmento medio; a un livello ancora
superiore, si offriva la miscela composta per un terzo dalle tre sopraindicate origini di natu-
rale, mentre la miscela premium era composta da parti uguali di caff colombiano con il
Maracaibo, o addirittura di tre quarti di colombiano e un quarto di Maracaibo. A volte gli

14
The practical grocer who makes up his own blend is acquainted with blending principles
and methods. While he cannot expect to be as expert as the large wholesale blender, he
should know that green coffees are generally classified by blenders in five great divisions;
(1) Brazils, including Santos, Bourbon and flat bean, Rios, Victorias, and Bahias; (2)
Washed milds, embracing, as of the most commercial value, Bogotas, Bucaramangas, Gua-
temalas, Mexicans, Costa Ricans, Maracaibos, and Meridas; (3) Unwashed milds, such as:
Maracaibos, Bucaramangas, La Guairas,. and Mexicans; (4) Javas, Sumatras, and Padangs;
(5) Mocha, and Harari (Uckers, 1922, 418-419).

117
specialty store operavano anche sotto forma di catene: nel 1916 fu costituita in California
una catena di negozi di questo tipo, che in quattro anni aveva raggiunto la soglia di 15
punti vendita, posizionati per lo pi allinterno dei mercati pubblici o lungo le principali vie di
passeggio. Ognuno di questi negozi tostava il caff quotidianamente e il layout interno era
tale da dedicare la vetrina alla macchina tostatrice, in modo da far vedere ai passanti le fa-
si operative e trasmettere loro i profumi del caff appena tostato.
Catene di negozi (chainstores): anche il fenomeno delle catene di negozi costituiva un canale im-
portante per la vendita del caff: agli inizi degli anni Venti nel Paese operavano 50 orga-
nizzazioni che gestivano nel loro complesso 30.000 negozi i quali vendevano 122.000 di
tonnellate di caff ogni anno, corrispondente al 20% dei consumi totali (Uckers, 1922,
418). La sola Great Atlantic & Pacific Tea Co., che era la pi grande, gestiva 5.000 nego-
zi e vendeva 18.000 tonnellate di caff ogni anno. Il caff proposto veniva fornito da azien-
de di torrefazione dotate di grandi impianti centralizzati, capaci cio di soddisfare gli enor-
mi fabbisogni in volume a loro necessari. La forza di questi negozi stava nei bassi costi
operativi (se confrontata ad esempio ad altri canali di vendita come quello del porta a porta
o per corrispondenza) conseguiti anche grazie allalta rotazione del magazzino (con una
media che oscillava fra le 12 e le 25 volte lanno) e al basso ricarico applicato, che in me-
dia corrispondeva al 3%. La principale leva delle catene di negozi consisteva infatti nel
prezzo e nella pubblicit.
Department store: questi grandi magazzini proponevano unofferta ampia di merceologie, che spa-
ziavano dal food al non food. Agli inizi del secolo essi introdussero il reparto caff, non so-
lo per il contributo alle vendite che questo business generava, ma soprattutto perch ave-
vano compreso limportanza strategica di questo prodotto per attrarre i clienti e quindi co-
me leva per le altre merceologie. Questi negozi infatti spesso posizionavano il reparto caf-
f nel posto pi strategico del punto vendita, ovvero vicino lingresso principale e tenden-
zialmente sul lato sinistro. Anche in questo caso la vetrina era dedicata a mostrare la mac-
china tostatrice (o quanto meno i dispenser pieni di caff). Da ricerche condotte era emer-
so che negli Stati Uniti gli appassionati di caff erano inclini ad acquistare il caff nel nego-
zio che offriva la qualit preferita, e tendevano a fare il resto degli acquisti nello stesso ne-
gozio. I gusti dei consumatori non erano uniformi e tendevano a differenziarsi anche in
termini di preferenza del grado di tostatura. Cos ad esempio i cittadini di origine inglese
tendevano a preferire un caff tostato chiaro, mentre i cittadini di origine francese, italiana,
turca o dei Paesi produttori preferivano un caff tendenzialmente scuro15. Per questo i de-

15
Al fine di standardizzare e codificare i vari livelli di tostatura fu creata la seguente scala
che ancora usata in alcuni ambiti. Partendo dal pi chiaro al pi scuro si ha: light, cin-
namon, medium, high, city (chicco scuro), full city (un po pi scuro ancora),
French (cotto fino al punto che la superficie del chicco diventa oleosa), Italian (cotto
fino al punto di carbonizzazione). I tedeschi preferivano il caff con un livello di tostatura
francese, mentre gli scandinavi preferivano il livello italian. Oltre che a seconda
dellorigine della popolazione, le diverse preferenze di tostatura avevano anche unorigine
geografica: cos ad esempio lungo la costa pacifica si consumava di pi caff light, negli

118
partment stores proponevano una notevole profondit di gamma, sia di caff sfuso e sia
confezionato. A questi fattori, si aggiungeva il fatto che la marginalit di questa merceolo-
gia era di gran lunga superiore rispetto alla media delle altre presenti nel negozio.
Vendita per corrispondenza: questo tipo di vendita decolla a partire dal 1912, quando cio il go-
verno federale adotta il sistema di pacchi postali. Attraverso la distribuzione di cataloghi,
lettere e pubblicit sui giornali, gli operatori di questo canale si rivolgevano prevalentemen-
te ai consumatori residenti in aree agricole e nelle piccole citt di provincia.
Distributori porta a porta (Wagon-route): operavano soprattutto nelle aree extra-urbane secondo la
logica della tentata vendita e si rivolgevano al consumo domestico. Normalmente gli ope-
ratori visitavano la clientela con una periodicit settimanale o massimo quindicinale, e pro-
ponevano una vasta gamma di prodotti alimentari, detersivi, saponi, prodotti da toilette,
ovvero prodotti che avevano unalta frequenza di acquisto. Questi agenti ricevevano spes-
so critiche dagli operatori degli altri canali per la scelta di proporre al consumatore solo le
linee merceologiche pi redditizie e pi facili da vendere. Il decollo di questo tipo di canale
avvenne a partire dal 1900, anche in virt delle politiche aggressive attuate per fidelizzare
e per stimolare gli ordini dei clienti, come quella delle vendite a premio (simili ai sistemi di
raccolta punti impiegate ancora oggi dalla GDO), in cui il cliente veniva omaggiato di og-
getti utili, tipo tazze, posateria varia ecc. a fronte dellacquisto di alcuni prodotti o del rag-
giungimento di un certo volume di ordine. Il successo di queste politiche stimolarono
lincremento del consumo del caff che in media era di circa mezzo chilogrammo alla set-
timana. Limportanza che ebbe questo canale nella vendita del caff dimostrata dal fatto
che nel 1921 si contavano negli Stati Uniti 600 aziende, le quali distribuivano l8% del caff
consumato nel Paese, alcune delle quali avevano dimensioni rilevanti: la pi grande gesti-
va 1100 mezzi e generava un fatturato annuo di 16 milioni di dollari.

La presenza di una moltitudine cos vasta ed eterogenea di canali distri-


butivi contribu ulteriormente ad avvicinare il prodotto al consumatore e
aliment un forte stimolo alle vendite. Molti di questi operatori si limitava-
no alla commercializzazione di caff torrefatto da aziende specializzate, i
torrefattori appunto.
La diffusione di nuove tecnologie di confezionamento favor una fase di
consolidamento del settore delle torrefazioni, che, attraverso una serie di
acquisizioni e di fusioni, trasform in pochi decenni quella che era una
moltitudine di piccole realt locali o regionali in un pugno di grandi player.
Nel corso del secondo dopoguerra tale processo sub unulteriore accelera-
zione quando i principali operatori, fra cui Folger e Maxwell House, furono

stati del sud si preferiva una tostatura pi scura, mentre negli stati orientali veniva preferita
una tostatura media. A Boston veniva preferito il livello cinnamon.

119
acquisiti dai grandi colossi del food, come Procter&Gamble e Kraft16. Le
torrefazioni persero allora ogni connotato localistico, assumendo carattere
nazionale o addirittura internazionale17. Le politiche aggressive di marke-
ting attuate da queste organizzazioni, ben presto, spostarono il focus dal
prodotto tout-court alle altre leve, quindi al prezzo, al packaging e al mar-
chio. Cambi anche il concetto di qualit del prodotto, non pi indice della
ricchezza aromatica e della bont delle materie prime, ma espressione della
costanza di gusto nello spazio e nel tempo: il caff doveva essere sempre lo
stesso indipendentemente da dove e da quando esso veniva acquistato. Co-
me risultato, i torrefattori omogeneizzarono e standardizzarono le miscele;
pur avendo ampliato a livello di marketing la gamma di miscele offerte, in
sostanza, esse risultavano molto simili da un punto di vista organolettico.
Al tempo stesso questi grandi player approfittarono del loro vantaggio
informativo, rendendo segreta la composizione delle miscele; si cre cos
una vera e propria asimmetria informativa sulla qualit e sulla tipologia
dei caff impiegati. Al consumatore, cos come al retailer, fu quindi preclu-
sa ogni possibilit di valutazione della qualit del caff, se non attraverso il
marchio18.
Tutto ci permise ai torrefattori di conquistare una posizione privilegiata
allinterno della Global Value Chain19 (GVC) del caff, che hanno poi
sfruttato per contenere i costi e dunque per massimizzare i loro margini. Es-
si infatti iniziarono a utilizzare caff via via pi scadenti ed economici, ta-
gliando le miscele con quantit sempre maggiori di Robusta. Come ri-
portato nellopera di Taylor Clark (2009, 13-14), un responsabile marketing
di una nota marca, con vanto, aveva confidato a George Howell che le
grandi aziende stavano progressivamente riducendo la qualit [] abbas-
16
Maxwell House fu acquisita da General Food nel 1928. General Foods fu a sua volta rile-
vata da Philipp Morris nel 1985 e nel 1995 fu fusa con Kraft. Nel 2011 il gruppo Kraft Food
ha scorporato il business del caff, snack e bevande ed cos nata Mondelez Inernazional,
societ a cui oggi fanno capo marchi come: Jacobs, Maxwell House, Carte Noire, Gevalia,
Hag, Splendid. Folgers venne acquisita da Procter&Gamble nel 1963; nel 2008 stata a sua
volta ceduta a Smuckers.
17
Dicum e Luttinger (1999), Pendergrast (1999), Daviron e Ponte (2005).
72
Daviron e Ponte (2005), De Toni e Tracogna (2005).
19
La Global Value Chain un framework metodologico che consente di analizzare le rela-
zioni che esistono tra i diversi attori operanti nella lunga filiera del caff. La struttura della
Global Value Chain (GVC) non si limita a tenere in considerazione i rapporti input-output di
una catena della produzione. Essa consente anche di identificare i leader della catena, quindi
coloro che sono in grado di coordinare la produzione, definendo i diversi ruoli ed imponen-
do gli standard che la catena dovr mantenere. Inoltre, questi attori chiave sono capaci di
influenzare il ritorno che i diversi partecipanti al processo produttivo potranno acquisire
(Parenti, 2008, 34-35).

120
savano la qualit del 5 per cento e nessuno se ne accorgeva, perci la ab-
bassava di un altro 5 per cento e di nuovo non se ne accorgeva nessuno.
Vennero anche ridotti i tempi di tostatura per ridurre le perdite di peso e
mascherare la bassa qualit della materia prima20.
Si assistette cos a un progressivo decadimento della qualit del caff,
compensato da un maggior peso attribuito allimmagine del prodotto.
Competendo quasi esclusivamente attraverso il packaging, lo shelf place-
ment e soprattutto la pubblicit21, i principali torrefattori avevano spoglia-
to il caff di gran parte del suo fascino; il caff torn cos a essere una vera
e propria commodity che, se da un lato non garantiva pi al consumatore
alcuna soddisfazione gustativa, dallaltro non assicurava pi una equa re-
munerazione economica n ai distributori, n ai produttori.
Il mondo del caff americano entr allora in una pericolosa spirale nega-
tiva cos descritta da Clark: [] supermarket e ristoranti, che adescavano i
clienti con la promessa di caff a prezzi stracciati, vendendolo spesso sotto
costo, spingevano incessantemente le aziende di torrefazione ad abbassare i
costi. I negozi di alimentari offrivano in promozione il caff a basso prezzo
come articolo civetta, sapendo che si trattava di uno dei pochi prodotti che
ogni nucleo familiare utilizzava quotidianamente. Nelle tavole calde,
lofferta di caff a volont per cinque centesimi era un obbligo commercia-
le non negoziabile; i clienti si ribellavano a qualsiasi tentativo di alzare il
prezzo anche solo di uno o due centesimi. Ma la fiumana di caff gratuiti
minacciava i profitti, spingendo i proprietari delle tavole calde a diluire il
prodotto mentre chiedevano ai produttori di abbassare il pi possibile il co-
sto del caff. Il Paese svilupp progressivamente tolleranza per una bevan-
da che era, in realt, acqua sporca allaroma di caff, preparata con chicchi
20
Nel solco del noto attaccamento americano allassoluta onest aziendale, i grandi gruppi
negavano pubblicamente di utilizzare la robusta; ma in privato si vantavano della propria
abilit nellingannare il consumatore. In occasione di un convegno dellindustria del caff
tenutosi negli anni Ottanta in Costa Rica, George Howell, pioniere del caff di qualit, ud
con stupore uno del marketing di una marca importante parlare schiettamente dellapproccio
dellimprese per cui lavorava. Disse che le grandi aziende stavano progressivamente ridu-
cendo la qualit, lo disse senza peli sulla lingua ricorda Howell Abbassavano la qualit
del 5 per cento e nessuno se ne accorgeva, perci la abbassava di un altro 5 per cento e di
nuovo non se ne accorgeva nessuno (Clark, 2009, 13-4).
21
Non essendoci sostanziali differenze di prezzo o di qualit tra le diverse marche, la gente
comprava sulla base della campagna pubblicitaria preferita. Pi il caff peggiorava, pi i
consumatori venivano bombardati di pubblicit, secondo cui il tale caff non era mai stato
migliore. Quando i messaggi sulla qualit iniziarono a perdere appeal, le pubblicit iniziaro-
no a speculare sulle ansie delle casalinghe. Negli spot televisivi della Folgers degli anni Ses-
santa, per esempio, i mariti rinfacciavano alle mogli di preparare un cattivo caff: negavano
loro i baci prima di uscire di casa, dicendo che le ragazze in ufficio lo preparavano meglio.

121
che sapevano di terriccio []. Le principali aziende di caff massacravano
il prodotto su richiesta altrui (Clark, 2009, 14).
La qualit del caff era scesa a un livello tale che, come ha affermato Jim
Stewart, fondatore di Best Coffee a Seattle, i caff si distinguevano lun
laltro ormai solo per il colore della confezione. Il caff era davvero terribile
allora, era sempre lo stesso, cambiava soltanto il nome, Folgers, Maxwell
House, Hills Brothers: sempre disgustoso. Fu il fatto che fosse cos disgusto-
so a far crescere il business del caff di qualit (Clark, 2009, 13).
A tracciare questo quadro cos sconcertante contribu anche lampia dif-
fusione del caff solubile, anchesso divenuto icona di questa fase storica
del mercato del caff.
Da quando Sartori Kato nel 1901 lanci il caff solubile, il pubblico
americano inizi pian piano ad apprezzarne la praticit, adottandolo come
sistema alternativo per la preparazione della bevanda. Fu soprattutto nel
corso del Secondo Conflitto Mondiale e negli anni successivi che esso si
diffuse in modo massiccio; le truppe alleate ne fecero ampio uso durante la
guerra, e, al rientro in patria, molti soldati finirono per preferirlo al caff
filtro. In quegli anni il consumatore era particolarmente attratto dalle mera-
viglie tecnologiche, soprattutto da quelle che rendevano la vita comoda; il
caff solubile interpretava in pieno questo stile.
Come noto, la maggior parte del caff solubile viene prodotto tramite
il procedimento spray-dry, un metodo che per ragioni produttive favori-
sce luso di caff scadenti e in particolare i Robusta. A volte i produttori,
per rendere il prodotto pi appetibile, immettevano un getto di aroma artifi-
ciale di caff durante la fase di confezionamento, affinch i consumatori
avvertissero un vago profumo di caff fresco quando aprivano la confezio-
ne; ma ci non influiva sostanzialmente sulla qualit del prodotto in tazza22.
Il decadimento qualitativo derivato da questo modello di business ebbe
due importanti conseguenze:
da un lato, il calo dei consumi: dopo una lunga fase espansiva (durata
due secoli), nel 1963 il consumo pro capite negli Usa inizi a declina-
re23;

22
La qualit del caff solubile era talmente bassa che una recensione pubblicata su un nume-
ro del Consumers Research Bulletin negli anni Cinquanta arriv a sostenere che il caff
solubile era caldo e liquido e sembrava caff, ma che ogni somiglianza con il caff era
puramente casuale (Clark, 2009, 15).
23
Da unindagine di settore emerse che il consumo pro capite di caff diminu per la prima
volta nella storia degli Stati Uniti. I consumatori americani iniziarono a considerare come
sostituti del caff le bibite gassate, che offrivano comunque caffeina in forma liquida. Fu

122
dallaltro, la nascita del fenomeno degli Specialty coffee, e quindi
la Second Wave, successivamente evoluta nella Latte revolution.
Anche in Europa le multinazionali e i grandi torrefattori si mossero nel
mercato del caff sulle orme dei torrefattori americani, pur mantenendo uno
standard qualitativo superiore, grazie ai diversi modelli di consumo che si
erano consolidati (Dicum e Luttinger, 1999).
Possiamo parlare di First wave anche in Europa, per intendere la fase
di forte espansione del caff di massa, veicolato per lo pi nel canale retail.
Anche in questo contesto i principali driver della competizione erano costi-
tuiti dalla pubblicit, dallo shelf placement e dal packaging, mentre la quali-
t del prodotto in s perse di rilevanza. Uno degli aspetti salienti della
First Wave che essa corrisponde a una forte penetrazione del caff in
tutte le fasce della popolazione e al conseguente boom dei consumi in tutti i
principali Paesi consumatori. Da prodotto dlite, il caff divent un vero e
proprio prodotto di massa.

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124
4. Evoluzione dellespresso nel mondo:
da prodotto italiano a prodotto globale

di Maurizio Giuli

4.1. Second Wave: il movimento dello Specialty Coffee

Il movimento dello Specialty Coffee nasce in Nord America, in rispo-


sta al progressivo decadimento della qualit di caff immessa sul mercato
dai principali torrefattori, i mainstream roasters, della First Wave.
A partire dagli anni Novanta, questo movimento si diffonder nel resto
del mondo, toccando anche lEuropa, dove per la ricerca della qualit non si
era estinta; nel Vecchio Continente infatti sono sempre esistiti locali in cui si
poteva consumare o acquistare (per poi portare a casa) un caff di qualit.
Attraverso questo movimento il caff ritrova la sua corretta considera-
zione da parte dei consumatori, trasformandosi da bevanda commodity,
in una bevanda dalla forte valenza culturale e sensoriale. Al fianco di una
domanda tradizionale che continuer a consumare il caff generico dal
prezzo competitivo, si forma una domanda pi evoluta che desidera risco-
prire il piacere del caff, nella sua variet e dunque con unorigine ben de-
terminata e con una modalit appropriata di tostatura, di lavorazione, di
estrazione e di servizio.
Alcuni autori individuano lorigine dello Specialty con il fenomeno
Starbucks (1971), anche se la maggior parte delle fonti lo fa risalire alla
met degli anni Sessanta.
Trattandosi di un movimento, non facile individuare con precisione il
suo inizio: secondo alcuni autori lo si pu convenzionalmente far coincide-
re con lapertura dei battenti della prima caffetteria Coffee Bean and Tea
Leaf avvenuta a Los Angeles nel 1963, che era anche torrefazione e che

125
presto divent la caffetteria preferita da molte star hollywoodiane1. Secon-
do altri pi corretto invece farla coincidere con lapertura del Peets Cof-
fee and Tea shop2, avvenuta il primo aprile 1966 a Berkeley, in California.
Non si trattava di una vera e propria caffetteria, ma piuttosto di uno Spe-
cialty store, orientato a vendere buon caff in grani appena tostato; il
Peets stato un modello e una fonte dispirazione per molte attivit che
oggi vengono connotate allinterno della Second Wave, fra cui anche
Starbucks3. Il suo fondatore Alfred Peet, di origine olandese, riusc infatti
a trasformare il caff in un culto, una sorta di prodotto di devozione. In
quegli anni, le pochissime caffetterie americane che servivano lespresso
non erano conosciute per il caff di qualit, ma soprattutto come santuari
dellarte, della protesta e della new generation4.
Il caff di Peets si distingueva soprattutto per tre aspetti:
innanzitutto per la qualit della materia prima, dal momento che usava
solo caff pregiati;

1
Ma la prima torrefazione a dare al caff il prestigio sociale che avrebbe successivamente
lanciato Starbucks nella stratosfera fu la caffetteria Coffee Bean and Tea Leaf nella Cali-
fornia del Sud, fondata nel quartiere di Brentwood a Los Angeles nel 1963. Il proprietario
Herb Hyman sperava di far decollare la sua attivit, attirando la gente ricca e mondana della
vicina Beverly Hills. Fece anche di meglio; riusc ad accalappiare le celebrit. Se Peets era
la cattedrale del caff, Coffee Bean and Tea Leaf era il suo tappeto rosso hollywoodiano. Il
comico e presentatore Johnny Carson aveva la sua miscela personale. Lattore Jason Ro-
bards ne ordinava venticinque chili alla volta, quando era di scena a Broadway, mentre
loceanografico Jacques Cousteau si organizzava in modo tale da trovare i rifornimenti in
Hyman pronti ad aspettarlo nei porti di tutto il mondo. Mezza Hollywood aveva il numero di
casa di Hyman in caso di inatteso esaurimento delle scorte di caff (Clark, 2009, 21).
2
Alfred Peet era figlio di un torrefattore olandese che nel 1955 emigr negli USA in cerca di
fortuna. Dopo aver lavorato per un importatore di caff di San Francisco e soprattutto dopo
aver scoperto con sua sorpresa che nel Paese pi sviluppato al mondo si beveva uno dei peg-
giori caff, decise di aprire un negozio che offriva chicchi di qualit, come quelli che aveva
tostato suo padre, e persino caff importato dallEuropa, dal momento che riteneva assai dub-
bia la competenza degli americani in materia di caff. Oggi Peets Coffee una catena di cof-
fee shop, che dal 2012 entrata a far parte del gruppo D.E. Master Blenders 1753.
3
Starbucks fu fondata da tre amici: Gordon Bowker (amante di caff di qualit), Zev Siegl
(figlio di un direttore dorchestra) e Jerry Baldwin (dipendente presso la Boeing). Bowker e
Baldwin mandarono Siegl a San Francisco a compiere una ricognizione delle torrefazioni di
cui avevano sentito parlare. In quelloccasione visit anche Peets Coffee, che identific
Peet come il vero guru del caff. Peet accett di aiutarli nella loro impresa con consigli e
forniture di caff offrendo loro anche la possibilit di lavorare presso il suo negozio. Grazie
allintraprendenza dei tre amici e ai consigli di Peet, mosse i primi passi Starbucks, che apr
bottega a Pake Place, Seattle il 29 marzo 1971.
4
Ritrovi come il Caf What? al Greenwich Village ospitavano scrittori e giovani astri
della musica folk, tra cui un Bob Dylan [] e quando i beatnik si fusero con gli hippie, i
caff divennero sempre pi il covo di tipi anticonformisti e trasandati che fumavano erba,
[] (Clark, 2009, 18).

126
per il grado di tostatura pi scuro5;
infine per la ricca variet di caff proposta (circa una trentina), che
potevano essere assaggiati in negozio prima di portarseli a casa.
Pian piano cominciarono a spuntare nel Paese piccoli torrefattori, molto
spesso a opera di giovani senza alcuna esperienza nel settore, ma con tanta
curiosit e con la voglia di offrire un buon caff6. Essi erano accomunati
dalla ricerca della qualit (si veda Tab. 1) e fornivano al cliente, oltre che
un prodotto fresco e di qualit, tutte le informazioni per creare una cultura a
supporto del prodotto.

Tab. 1 I cinque fattori della qualit nella Second Wave

1. Selezione di monorigini Arabica pregiate;


2. Processo di tostatura tendenzialmente scuro;
3. Freschezza del prodotto (consumo entro 15, max 20 giorni dalla tostatura);
4. Macinatura allistante (effettuata nel negozio al momento dellacquisto);
5. Educazione al cliente: fornire informazioni dettagliate sullorigine e sulle caratteristiche organolettiche del
caff proposto.

A queste caratteristiche si aggiunse presto, come vedremo meglio in se-


guito, la preparazione della bevanda attraverso il sistema espresso e, soprat-
tutto, con laggiunta di latte per la preparazione di bevande alternative
(Espresso Based Beverages EBB come cappuccino, latte macchiato ecc.).
Tale processo continu nel corso di tutti gli anni Settanta e Ottanta; anni
in cui queste piccole torrefazioni si moltiplicarono e si dedicarono per lo
pi alla sperimentazione di nuove tecniche di tostatura e di selezione del

5
Poich ragionavano in termini di perdite e profitti, le marche principali avevano labitudine
di non tostare il loro prodotto a sufficienza; pi peso voleva dire pi introiti e con tempi di
tostatura pi brevi era minore la parte di chicchi che si dissolveva nellaria. Peet corresse
questo aspetto, lasciando i chicchi tostarsi pi a lungo e perdere pi acqua per ottenere un
aroma pi marcato e pi pieno (Clark, 2009, 19).
6
Allinizio non capivano molto di caff, ma, poich le vecchie aziende di caff erano intente
a rastrellare i chicchi pi economici sul mercato, erano gli unici che potessero davvero cam-
biare le cose. Ed Kvetko, che fond in Illinois Gloria Jeans Coffee Bean, era un costrutto-
re. Martin Diedrich era un archeologo che vagava per le foreste tropicali del Guatemala pri-
ma di fondare la catena Diedrick Coffee. Jim Steward dopo studi da optomestrista apr il
negozio di gelati e di caff Wet Whiser, che divenne in seguito Seattles Best Coffee,
poi rilevata da Starbucks. George Howell, studente a Yale, dopo aver sorseggiato ogni
mattina per sei anni il caff di Peet, nel 1974 si trasfer a Boston in cerca di un lavoro. Non
trovandolo apr una piccola caffetteria, la Coffee Connection in Harvard Square, che ri-
scosse subito un gran successo.

127
caff, e si prodigarono nel creare una base di clientela fedele ed educata al-
le qualit dei caff pregiati da loro serviti.
Nel 1982 il movimento si struttur in unorganizzazione, la Specialty Cof-
fee Association of America (SCAA), a cui aderirono le principali piccole tor-
refazioni regionali seguaci della via della qualit, al fine di promuovere e tra-
smettere al consumatore la cultura delleccellenza del caff e di alimentare il
processo di miglioramento delle tecniche di coltivazione e lavorazione del pro-
dotto7. Anche in Europa si costitu pi tardi unassociazione simile: nel 1998
venne infatti creata a Londra la Specialty Coffee Association of Europe
(SCAE).
Ma solo a partire dagli anni Novanta che il mondo Specialty divent un
fenomeno dilagante e assunse quei connotati che ancora oggi lo contraddistin-
guono.
Secondo i dati SCAA presentati a Portland nel 2012, su un valore com-
plessivo del mercato americano del caff di 30-32 miliardi di dollari, il 37%
del volume attribuibile allo Specialty che genera quasi il 50% del valore. Il
caff espresso rappresenta circa l8% del volume totale di caff. La crescita
dello Specialty solo in parte avvenuta a discapito del mainstream, poich
proprio grazie a questo fenomeno il numero di consumatori si ampliato
(vedi Fig. 1), cos come salito il consumo medio.

Fig. 1 Trend del numero di consumatori di caff negli USA, nel decennio 1997-06 (milioni)
200
150
100
162
158
155
153
146
140
124
108
94
80

50
-
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
Fonte: Coffee statistics Report 2010 Top 100 Espresso.

7
Com infatti stabilito nella sua mission: SCAA is to be the recognized authority on spe-
cialty coffee, providing a common forum for the development and promotion of coffee ex-
cellence and sustainability through our:
Commitment to quality;
Spirit of cooperation;
Dedication to continuing education;
Sensitivity to the environment;
Consciousness of social issues;
Encouragement of sound business practices and ethics;
Promotion of the value of specialty coffee to consumers. (http:/www.scaa.org/
about_scaa.asp).

128
Da un recente sondaggio (NCA, 2012) risulta che tale processo ancora
in corso: nel 2011 il 58% degli ultra diciottenni americani (contro il 56%
dellanno precedente) consuma caff quotidianamente. In particolare, fra i
giovani di et 18-24 anni il 40% consuma caff (percentuale che nel 2010
era del 31%); nella fascia di et 25-39 anni tale percentuale pari al 54%
(quando nel 2010 era del 44%).
Il significato del movimento del caff di qualit sfugg completamente
ai giganti protagonisti della First Wave, come Folgers, Nestl e Maxwell
House. Per decenni il settore del caff di qualit si era preparato al temuto
attacco di uno di questi giganti che sarebbe piombato sulla scena, mettendo
in difficolt le piccole aziende in rapida crescita sotto il peso delle enormi
risorse finanziarie di Procter & Gamble o di Philip Morris. Ma i grandi
brand si limitarono a variare gli investimenti e i messaggi pubblicitari, sen-
za mai intervenire per cambiare il loro paradigma (Clark, 2009, 105-105).

4.2. Evoluzione della Second Wave: lavvento delle ca-


tene e la Latte Revolution

Se una forzatura far coincidere linizio della Second Wave con


lapertura del primo Starbucks, tuttavia impossibile trattare questa rivolu-
zione senza far riferimento alla catena della sirena, che riuscita a contestua-
lizzare il prodotto caff con uno stile di vita e una serie di valori positivi che
oggi legano i consumatori di tutto il mondo a questa bevanda. Combinando
ambientazione, teatralit, consumo e scelta tra tipi, origini, tostatura e maci-
nazione, Starbucks riuscita nelloperazione di de-commodizzare il caff:
se il prezzo di una tazza di caff nero filtrato non andava oltre i 50 centesimi
sostiene Staglian (2009, IX) da Anchorage, Alaska, a Zenda, Wisconsin,
nella neonata catena riuscivano a farsela pagare un dollaro e sessanta, che
come se per un espresso qualcuno volesse spillarvi, invece di uno, tre euro.
Come hanno successivamente riconosciuto diversi operatori della Third
Wave, il principale merito di Starbucks stato quello di avere reso redditi-
zio il settore delle caffetterie, che non sarebbe mai cresciuto in maniera cos
florida senza la sua opera di popolarizzazione dellespresso e di formazione
di clienti sensibili alle stravaganti manie degli intenditori di caff.
Lispirazione per questo modello di business derivata dal bar italiano;
fu infatti nel corso di un viaggio di lavoro in occasione della fiera Macef
nel gennaio 1983 che Howard Schultz, allora neo responsabile marketing (e

129
futuro proprietario) della piccola torrefazione Starbucks, visse latmosfera
per lui nuova e folgorante8 di un tipico bar di Milano, in cui il barista, nel
preparare e nelloffrire il prodotto con professionalit, usava interagire col
cliente e intrattenerlo.
Come Schultz9 stesso avr modo di raccontare in diverse circostanze:
after a warm Buongiorno the barista moved so gracefully that it looked
as though he were grinding coffee beans, pulling shots of espresso, and
steaming milk at the same time, all the while conversing merrily with his
customers. It was theater10.
In virt di questa vicenda Howard Schultz comprese soprattutto che il
prodotto caff, per essere adeguatamente valorizzato, aveva bisogno di un
contesto e di un ambiente capace di trasmettere al consumatore unespe-
rienza piacevole, in cui potersi rilassare, conversare e socializzare. La stes-
sa offerta di prodotti doveva essere ricca, tale cio da soddisfare i gusti e
soprattutto i diversi bisogni dei consumatori. Per questo oltre al semplice
caff, servito nelle varie taglie, egli propose una moltitudine di nuove be-
vande a base di caff (EBB), tutte realizzate con ingredienti di prima quali-
t (come sciroppi, creme, cacao ecc.) e soprattutto con un largo impiego di
latte. Questo stato lEffetto Starbucks, una vera e propria rivoluzione
nel mondo del caff, che ha cambiato radicalmente i connotati del mercato.
Per sottolineare la portata di questo cambiamento, Stefano Ponte (2002a)
lha ribattezzata la Latte revolution nel mondo del caff (Tab. 2).
I veri protagonisti di questa rivoluzione sono state le catene di coffee
shop, che hanno basato il loro business su due ingredienti:
il caff espresso, sia pur reinterpretato secondo le esigenze e lo stile
del consumatore americano11 (per questo pi corretto parlare di
EBB, espresso based beverages);

8
Cos racconta la scena nella sua autobiografia: fu cos immediata e fisica da farmi trema-
re. Sembrava cos ovvio [] se fossimo riusciti a ricreare in America lautenticit del bar
italiano, essa avrebbe potuto colpire altri americani come aveva colpito me (Schultz e
Yang, 1997).
9
Pendergrast, Febbraio/Marzo 2002.
13
Dopo un caloroso Buongiorno, il barista con grazia macinava il caff, estraeva il caff
dalla macchina, montava il latte, il tutto sempre conversando allegramente con i suoi clienti.
Era uno spettacolo.
11
Sulla base dellesperienza non particolarmente entusiasmante realizzata con lapertura del
caff Il Giornale nel 1986, Schultz si rende conto che replicare tout-court il bar italiano in
America non era la soluzione pi appropriata. Come egli stesso ha modo di raccontare: In
quel primo negozio decidemmo di ricreare un bar-caff allitaliana. La nostra missione prin-
cipale era quella di essere autentici. Non volevamo fare nulla per diluire lintegrit
dellespresso e lesperienza del bar-caff allitaliana a Seattle. Come musica mettevamo solo

130
lambientazione in cui il prodotto viene offerto.
Il caff espresso12, con tutti i suoi derivati (EBB, come cappuccino, latte
macchiato ecc.) stato il vero protagonista di questa rivoluzione, costituen-
do lingrediente centrale e il fattore caratterizzante dellofferta di questa
nuova tipologia di locali.

Tab. 2 Le cinque caratteristiche della Latte Revolution

1. La preparazione del caff attraverso il sistema espresso allitaliana


2. Luso di caff con un processo di tostatura scuro
3. La proposta di un ricco men di bevande EBB (a base espresso con aggiunta di latte)
4. La contestualizzazione del prodotto in un ambiente piacevole e rilassante (Third place)
5. Lofferta di unesperienza sensoriale incentrata sul caff

Le macchine per caff espresso erano in commercio negli Stati Uniti


dagli inizi degli anni Cinquanta, quindi almeno un paio di decenni prima
dellavvio della Second Wave, eppure la fusione fra caff espresso e
mondo Specialty si verific solo in una fase successiva. Fino allavvento di
Starbucks, il caff allitaliana era relegato a prodotto etnico e confinato
allinterno delle comunit di italo-americani presenti nelle varie citt del
Paese; allinfuori di esse, il prodotto non entusiasmava particolarmente i
consumatori americani, poich risultava per loro troppo piccolo nelle quan-
tit e troppo forte nel sapore.
Sar dunque Starbucks a sdoganare questo prodotto facendolo diventare
un prodotto cult a livello globale. La stessa catena inser il caff espresso
solo in una seconda fase, dopo cio lesperienza folgorante che Schultz eb-
be in Italia (per approfondimenti sullo sviluppo Starbucks, si veda Tab.
3). Cos Clark racconta il giorno della sua introduzione:
Tutti concordano che Starbucks abbia servito il suo primo espresso in
una fredda, umida mattina dellaprile 1984, allangolo tra la Quarta e

pezzi dopera italiana. I baristi indossavano camice bianche a farfalle. Tutto il servizio era in
piedi e non cerano posti a sedere. Il men era pieno di parole in italiano. Anche larredo era
italiano. Un po alla volta ci rendemmo conto che molti di questi dettagli non erano adeguati
per Seattle. La gente si lamentava della musica dopera incessante. Le farfalle si rivelarono
poco pratiche. I clienti che non erano di fretta volevano delle sedie. Alcuni cibi e bevande
italiane dovevano essere tradotti (H. Shultz e D. Yang, 1997, 87).
12
Lintero business ruota intorno a questa bevanda italiana, come viene anche evidenziato
da alcuni manuali: linclusione di bevande espresso e laspetto attraente di una macchina
da espresso fornisce alloperazione unimmagine di qualit superiore, cosa che a sua volta
pu promuovere la vendita di altri caff speciali (Foodservice Directors College Coffee
House Manual, Coffee Development Group, 1986).

131
Spring a Seattle. Tutti concordano anche che il negozio fosse affollato di
clienti venuti per lespresso il giorno dellinaugurazione, anche se non ne-
cessariamente a causa della sua popolarit. Il bar and alla grande, ricor-
da Baldwin. Gordon e Howard dissero che si form una coda fuori dalla
porta sin dal primo istante, ma forse la ragione fu che andavamo lentissimi.
Non che sapessero ancora bene come gestire la cosa. Secondo il conteg-
gio di Schultz, 400 avventori visitarono quel giorno il negozio, 150 in pi
del solito. Due mesi pi tardi, i clienti del bar erano raddoppiati. Lesperi-
mento era un successo e si doveva ringraziare una sola bevanda: il cafflat-
te o latte macchiato, vale a dire un bicchiere di latte caldo nella quale viene
versata una dose di espresso. [] Non fu il primo latte macchiato servito in
America, al contrario di quanto afferma Schultz nella sua autobiografia. In
effetti, allora gi alcune neonate caffetterie di Seattle The last Exit, Rai-
son dtre, Cause clbre servivano quello che oggi ci vergogneremmo
di chiamare espresso, sostiene Monaghan.
Il primo venditore ambulante di espresso, Monorail Espresso, apr a
Seattle nel 1980 e si dice che incassasse pi soldi di alcuni grandi avvocati;
un altro kart, Ambrosia Espresso, venne realizzato con pezzi di ricambio
degli aerei Boeing. [] Nessuno mette in discussione che il caffelatte sia
stato un grande successo. Il caffelatte fu subito la bevanda pi popolare e,
pi erano grandi, pi la gente li amava, mi ha detto Baldwin. Non avevo
idea di quanto lAmerica amasse il latte. Anni dopo, in pieno diluvio di
caff i media avrebbero strombazzato lossessione nazionale per lespresso.
Ma gli americani non bevevano espresso, bevevano caffelatte. Lespresso
non ha mai avuto successo qui da noi, ha detto Corbt Kummer, autore di
The Joy of Coffee. Sono sempre state le bevande con il latte a dominare.
Sono pi semplici da bere ed stata anche la logica transizione per chi par-
tiva da una grande tazza di caff americano. La gente crede di amare
lespresso. Non cos. Nella terra dei Big Mac e dei men extralarge, la
tazzina di caff non avrebbe mai potuto attrarre clienti abituati a ottenere
qualcosa di pi sostanzioso in cambio dei propri soldi, come invece riu-
scito benissimo a fare il caffelatte. Bicchiere dopo bicchiere di carta
Schultz si convinse che fosse unidea che valeva miliardi di dollari (Clark,
2008, 42-43).
Possiamo dunque affermare che, se da un lato le nuove tecnologie di
confezionamento (in particolare sottovuoto e caff solubile) hanno caratte-
rizzato e contraddistinto la First Wave, dallaltro, la macchina da caff
espresso la tecnologia che identifica e connota la Second Wave e in mo-
do particolare la Latte revolution.

132
Oltre alla macchina per caff espresso, un altro fattore caratterizzante la
Latte revolution la sua forte ispirazione alla cultura italiana e il suo ten-
tativo di scimmiottare latmosfera del bar italiano: gli arredi e latmosfera
interna alle caffetterie richiama spesso gli stereotipi del locale italiano, cos
come la denominazione delle bevande, delle confezioni di caff e anche la
stessa denominazione delle catene si rif spesso a nomi italiani (espresso,
cappuccino, latte, macchiato ecc.) o a nomi dal forte Italian sound13 (Caf-
f Nero, Barista, Aroma Espresso, Caff Verona, Caff Firenze, Caff Ro-
ma ecc.).
Il successo commerciale di Starbucks, che nel giro di pochi anni riu-
scito ad aprire migliaia di caffetterie negli Stati Uniti e che poi ha esportato
il business in molti altri Paesi nel mondo, si traduce in un potente fattore di
diffusione dellespresso e con esso dello stile italiano del caff.
Limmagine nel mondo della nostra bevanda ne ha tratto profondi bene-
fici, ampliando le prospettive di crescita per unindustria che altrimenti dif-
ficilmente avrebbe avuto la spinta propulsiva per entrare in mercati difficili,
come ad esempio quelli del nord America, nord Europa e dellAsia. In mo-
do indiretto, il settore italiano del caff ha goduto delle variazioni di merca-
to accadute negli Stati Uniti, cambiamenti che hanno permesso a una picco-
la azienda come Starbucks di trasformarsi in un colosso economico capace
di lanciare il business del caff espresso in nuovi mercati (M. Cociancich,
2008, 78). Purtroppo gli operatori nazionali, soprattutto i torrefattori, non
hanno saputo cavalcare questa immensa opportunit che si era offerta loro;
nei prossimi capitoli cercheremo di comprenderne meglio le ragioni.
Il secondo fattore che ha caratterizzato la latte revolution legato al
lato esperienziale, ovvero allatmosfera e al valore sociale che i coffee
shop hanno saputo trasmettere al consumatore.
Il periodo storico in cui il caff espresso si affacciato sulla scena ame-
ricana era caratterizzato dalla sperimentazione di nuove mode in campo
alimentare, come yogurt, spremute di frutta, cibi esotici ecc., che, per, a
differenza del caff espresso, si sono poi rivelate passeggere. Ci significa

13
LItalian sounding il fenomeno di imitazione e contraffazione dei prodotti agroalimen-
tari italiani, attuato dai produttori stranieri che, attraverso luso di marchi ed etichette che
ricordano nel nome quello dei prodotti tipici italiani, cercano di sfruttare il valore aggiunto
che il brand Italia trasmette al consumatore mondiale (in termini di qualit gusto e sapore
tipico), facendogli credere che sta consumando un prodotto di origine italiana quando invece
non ha nessun legame con il nostro territorio (Buttiglione, 2012b).

133
che il prodotto alimentare in quanto tale non era sufficiente per affermarsi
nel medio periodo e per cambiare le abitudini alimentari degli americani.
Perch allora il caff espresso ha avuto un destino diverso rispetto alle
altre mode?
Per rispondere opportunamente a questa domanda, occorre fare un passo
indietro e comprendere il contesto sociale del Paese in quegli anni:
essi coincidono con il boom economico: tra il 1980 e il 1999 il reddi-
to medio reale era passato da 15.000 a 21.000 dollari;
il reddito disponibile era cresciuto ancora pi velocemente per
leffetto dellampia diffusione delle catene di supermarket (come
Wal-Mart), che avevano abbassato il costo della vita;
lo sviluppo aveva comportato anche un allungamento degli orari di
lavoro: in media si lavorava 160 ore in pi rispetto ai primi anni Ses-
santa;
il benessere economico spingeva verso unesasperazione sociale per
raggiungere il successo. Una tendenza che leconomista svedese
Stoffan Linder gi negli anni Settanta aveva identificato nellassil-
lata classe agiata (Linder, 1970);
il senso disolamento sociale era diventato sempre pi pressante, fa-
vorito dallampia diffusione della televisione prima, del computer
poi, e dalla crescente tendenza ad abitare in aree suburbane, dove i
momenti dincontro e socializzazione con i vicini erano meno fre-
quenti.
In questo contesto il cittadino avvertiva il bisogno di auto gratificazione,
che spesso manifestava nel concedersi piccoli piaceri, attraverso lacquisto
dei cosiddetti lussi accessibili. Egli andava alla ricerca di una soddisfa-
zione non pi solo materiale, ma soprattutto emotiva. Il caff di qualit era
un prodotto che arrivava nel momento giusto, ma il fascino delle caffetterie
come luogo era ancora pi potente.
Esse costituivano il rifugio ideale, in cui passare il tempo a ricaricare le
batterie, sfuggire dallo stress e vivere unesperienza rilassante, in comunio-
ne con altre persone. In altri termini, come afferma lo scrittore austriaco Al-
fred Polgar, la caffetteria costituisce un luogo ideale per la gente che
vuole stare sola, ma in compagnia di altri (Polgar, 1993, 149-154).

134
Tab. 3 Starbucks e le sue tappe del successo

1971: il 30 marzo del 1971 fu aperto a Western Avenue di Seattle la caffetterie Starbucks per opera di tre gio-
vani, rispettivamente Jerry Baldwin (insegnante di inglese), Zev Siegel (insegnante di storia) e Gordon
Bowker (scrittore). I tre erano stati ispirati da Alfred Peet, che fu al tempo stesso loro fornitore di caff
verde.
1976: il locale si sposta in 1912 Pike Place Market, sempre a Seattle.
1982: Howard Schultz, ex marketing manager di unazienda che commercializzava articoli regalo e che riforniva
Starbucks, dopo una visita a questo curioso cliente diventa socio, come responsabile Retail Operations
and Marketing.
1983: Howard Schultz, visita Milano per affari e rimane sorpreso dellatmosfera del bar italiano cos come del
modo di preparare la bevanda caff.
1984: Starbucks, su input di Schultz inserisce lespresso nella loro offerta.
1986: Schultz in disaccordo con gli altri soci sui piani di sviluppo dellazienda esce e crea Il Giornale coffee
bar, con lintento di fornire un servizio simile a quello del bar italiano.
1987: Schultz, insieme a dei soci finanziatori, rileva Starbucks e ribrandizza i 3 locali Il Giornale in Starbucks.
1988: Starbucks inizia a espandersi aprendo dei coffee shop fuori Seattle: prima a Vancouver, poi seguir Chi-
cago.
1992: Starbucks si quota in borsa e gi conta 165 negozi.
1996: Starbucks apre il primo negozio estero in Giappone.
1998: Acquisizione della catena inglese Seattle Coffee Company che presente con 60 negozi. Dopo
lacquisizione diventeranno tutti Starbucks.
2000: Starbucks passa dalluso della macchina tradizionale a quello di una macchina superautomatica.
2003: Acquisizione di Seattles Best Coffee e la Torrefazione Italia da AFC Enterprises. Il numero di punti
vendita sal cos a 6.400.
2006: Acquisizione del rivale Diedrich Coffee insieme a Coffee People. Anche in questo caso i negozi furono
riconvertiti in negozi Starbucks.
2007: In Cina apre un negozio nella prestigiosa Citta proibita. Nello stesso anno apre il primo negozio in Rus-
sia.
2008: Starbucks introduce il Wi-fi gratuito. Nel frattempo continua lespansione internazionale aprendo negozi in
Argentina, Bulgaria, Repubblica Ceca, Portogallo ecc. In quello stesso anno la catena avverte i segnali
di una profonda crisi che costringer Schultz a tornare al timone. Verranno chiusi 600 punti vendita, di
cui 61 degli 84 aperti in Australia e fatti licenziamenti per oltre 1.000 persone.
2009: la catena debrandizza il primo locale a Capitol Hill, Seattle, che verr chiamato 15th Avenue Coffee and
Tea.
2012: avvio programma monoporzionato Verismo.

Come McDonalds aveva risposto al bisogno di cibo veloce ed econo-


mico della frenetica cultura del dopoguerra, i coffee shop di Starbucks rap-
presentarono un antidoto al deficit sociale vissuto da una nazione assillata e
frammentata.
Il grado di soddisfazione che questi luoghi, con le loro poltrone, gli ar-
redi caldi e lambiente rilassante, erano in grado di trasmettere al consuma-

135
tore andava al di l del semplice fabbisogno di assorbire caffeina attraverso
piacevoli bevande. Come ha evidenziato Schultz: abbiamo creato un setto-
re che non esisteva. Abbiamo trasformato una bevanda, la sua preparazione
e i suoi ingredienti italiani, in unesperienza di vita. Abbiamo creato un lin-
guaggio che non esisteva. Abbiamo trasformato la cultura e migliorato la
vita della gente con una semplice tazza di caff non solo in America, ma in
tutto il mondo (Clark, 2009, 143).
Le caffetterie concretizzarono quello che il professore di sociologia Ray
Oldenburg pochi anni prima aveva definito Third Place, ovvero il terzo
luogo dopo casa e lavoro (Oldenburg, 1989). Tali luoghi, secondo lautore,
si contraddistinguevano come spazi pubblici di ritrovo, sicuri, non connota-
ti ideologicamente e imperniati sulle bevande. Pur non riferendosi alle caf-
fetterie, al tempo quasi sconosciute, ma alle tea house, egli aveva traccia-
to i caratteri di questo nuovo fenomeno.
Il caff di qualit divenne cos molto pi di una bevanda: i coffee shop,
adottando come principio guida il concetto di terzo luogo, trasformarono
il caff in uno stile di vita.
Questo passaggio non fu tuttavia casuale; come dimostrano le varie fonti
che si sono occupate della storia di Starbucks, lazienda dedic parecchie
energie a questo riguardo: in una serie di focus group che lazienda organizz
nei primi anni Novanta, emerse che gli intervistati parlavano pochissimo del
caff vero e proprio, e parecchio di sentimenti e atmosfera. Alla maggior par-
te dei consumatori non interessavano dettagli come laroma o lacidit, fin-
ch il prodotto aveva un gusto decente; volevano invece il senso di relax, di
calore e di lusso combinati nello spazio sociale protetto della coffee house.
Lazienda assunse cos nel 1996 Jerome Conlon, che aveva precedentemente
rivestito il ruolo di responsabile dellanalisi psicologica dei consumatori
presso la Nike. Come egli afferm: la caffetteria, al suo meglio, una specie
di pubblico salotto. Il punto quindi non era tanto il caff, quanto il posto,
perch in esso: il consumatore spende i soldi per avere unesperienza tota-
le. Da qui nata la Starbucks Experience, probabilmente uno dei princi-
pali fattori che spiega il successo di questa azienda.
Sempre per soddisfare il cliente dal punto di vista esperienziale,
lazienda assumer pi tardi anche Wright Massey, il disegnatore dei Di-
sney Store. Dopo un attento studio egli defin le linee guida dei nuovi ne-
gozi: la macchina dellespresso andava collocata al centro della scena (al
contrario di quanto facevano altri operatori del settore che credevano costi-
tuisse una barriera per il consumatore e fonte di rumore) in modo che il
cliente potesse ogni volta osservare il barista compiere i suoi gesti che as-
sumevano il sapore di teatralit per il consumatore. Molta attenzione venne

136
dedicata alla zona di contatto compresa tra gli occhi e le ginocchia del
cliente; il design degli arredi si orient verso materiali naturali e caldi. An-
che i tavoli furono oggetto di attenzione; essi dovevano essere a forma cir-
colare e piccoli in modo da preservare lautostima dei clienti ed evitare loro
la sensazione di solitudine (in un tavolo circolare, infatti, non ci sono posti
vuoti). Le sedute erano costituite da sedie e divani, proprio per ricreare
latmosfera del salotto domestico. Altrettanta attenzione venne riposta sugli
altri sensi: riguardo lolfatto ad esempio si cerc di fare in modo che laria
interna inebriasse il cliente dellaroma di caff, mentre riguardo ludito,
venne bandita la televisione, perch i negozi dovevano costituire un angolo
di relax, a favore di un piacevole sottofondo musicale, con una selezione
molto curata di brani musicali14. Infine, per stimolare le vendite, il layout
dei negozi fu sviluppato affinch il cliente passasse davanti alla vetrina dei
dolci prima di arrivare alla cassa.
La combinazione di caff espresso e ambientazione sar cos vincente
che il fenomeno delle caffetterie diventer nel giro di pochi anni un vero e
proprio fenomeno planetario. Per avere un quadro della sua portata basta
riportare alcuni dati: Starbucks nel giro di un ventennio passato dagli 11
negozi del 1997 ai 15.011 negozi nel 2007, trend che continuato, sia pur
un po attenuato, negli anni successivi; a fine 2012 vantava 18.066 locali in
54 Paesi (Fig. 2). Nessuna catena al mondo aveva mai avuto un ritmo di
crescita simile a quello di Starbucks; la stessa McDonalds che oggi conta
poco pi di 30.000 locali nel mondo, per raggiungere tale quota ha impie-
gato oltre sei decenni.
A rendere ancora pi sorprendente il quadro vi il fatto che Starbucks
ha basato il suo business prevalentemente sulla gestione diretta dei locali,
quando invece le altre catene, come la stessa Mc Donalds, hanno preferito
la formula del franchising. Com riportato dalla Tabella 4, la maggioranza
dei negozi Starbucks sono gestiti direttamente; questa quota sale al 62% se
si fa riferimento al solo mercato interno.
Il successo di Starbucks ha alimentato un forte fenomeno di imitazione,
che ha generato un consistente numero di catene di coffee shop: come Co-
sta coffee, The Coffee Bean and Tea Leaf, Seattles Best Coffee che verr
poi acquisita nel 2003 dalla stessa Starbucks Second Cup, Caribeou Cof-
fee, Gloria Jeans, Tullys Coffee, Diedrick Coffee, Coffee Beanery,

14
La musica era, in realt, talmente ben scelta che lazienda divent una specie di autorit in
materia, acquistando letichetta Hear Music nel 1999 e, successivamente, dando il via alle
trasmissioni sulla stazione XM Satellite Radio di sua propriet e a una sezione dedicata al
repertorio di iTunes.

137
Peaberry Coffee, Aroma Espresso, Dome, Barista, Caff Coffee Day, Caff
Nero ecc. Il fenomeno stato ancora pi esteso se si considera che aziende
storiche che gi operavano in settori complementari, come quello della ri-
storazione (vedi il caso McDonalds, Burger King ecc.), dei dolci da forno
(come Dunkin Donuts, Krispy Kreme ecc.), o anche delle panetterie (Pane-
ra Bread ecc.) ben presto hanno inserito nella loro offerta il programma caf-
f espresso per stimolare le vendite e attrarre nuova clientela. McDonalds
ad esempio nel 1993 ha creato in Australia una divisione proprio dedicata
alla caffetteria, che sotto il marchio McCaf, ha aperto dei locali, o molto
pi spesso degli shop in shop allinterno dei suoi ristoranti. In pochi anni,
insegne di coffee shop si sono diffuse in ogni angolo di citt, negli Stati
Uniti, in Europa (si veda Tab. 5 e Tab. 6) e in molti Paesi asiatici: negli
States nel 2011 operavano oltre 21.000 caffetterie, in Europa, solo quelle a
insegna erano 13.820, a cui vanno aggiunte le diverse migliaia presenti nei
Paesi asiatici e in Australia. La loro diffusione coincide con lallargamento
della domanda, poich ogni nuovo coffee shop aperto, pi che sottrarre
clienti a quelli gi operanti, ne riesce ad attrarre di nuovi.

Fig. 2 Evoluzione del numero di punti vendita Starbucks

19.000
18.000
17.000
16.000
15.000
14.000
13.000
12.000
11.000
10.000
18.066
17.003
16.858
16.680
16.635

9.000
15.011

8.000
12.440

7.000
6.000
10.241

5.000
8.569
7.225

4.000
1.412

5.886
4.709

3.000
1.015

3.501
675

2.000
425

1999 2.498
161

1998 1.886
1993 272
1991 108
1988 26

1.000
1990 76
1987 11

1989 46

-
1992

1994
1995
1996
1997

2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012

Fonte: ns. elaborazione su dati Starbucks Annual Reports

138
Tab. 4 Starbucks: Evoluzione della distribuzione dei locali fra diretti e in licensing

USA USA
Anno Altri Paesi diretti Altri Paesi lincensed Totale
diretti Licensing
1987 11 11
1988 26 26
1989 46 46
1990 76 76
1991 108 108
1992 161 161
1993 272 272
1994 425 425
1995 628 49 677
1996 938 77 1.015
1997 1.270 94 31 17 1.412
1998 1.622 133 66 65 1.886
1999 1.820 159 315 204 2.498
2000 2.208 501 411 381 3.501
2001 2.706 769 560 674 4.709
2002 3.239 1.033 708 906 5.886
2003 3.817 1.422 834 1.152 7.225
2004 4.338 1.839 978 1.414 8.569
2005 4.918 2.435 1.217 1.671 10.241
2006 5.728 3.168 1.457 2.087 12.440
2007 6.793 3.891 1.743 2.584 15.011
2008 7.238 4.329 1.979 3.134 16.680
2009 6.764 4.364 2.068 3.439 16.635
2010 6.707 4.424 2.126 3.601 16.858
2011 6.705 4.082 2.326 3.890 17.003
2012 7.857* 5.046* 1.548* 3.615* 18.066
* i dati del 2012 si riferiscono alla riformulazione delle aree in macro regioni: Americas; EMEA, CAP. Gli USA
sono considerati parte della regione Americas

Fonte: ns. elaborazione da dati Starbucks Annual Reports.

La maggior parte di queste catene operano attraverso la formula del


franchising o del licensing, attivando dei rapporti con aziende master fran-

139
chisee che operano nei vari mercati e che molto spesso gestiscono diversi
brand contemporaneamente.
La forza della dinamicit del mercato dellespresso tale che, anche
allinterno di un contesto di congiuntura economica difficile come quello
degli ultimi 5 anni, il business delle caffetteria ha continuato a espandersi.
In molti Paesi lavanzata della Latte Revolution arriva a prescindere
dalla First Wave e anzi, costituisce un importante fattore di scardinamen-
to delle barriere culturali che avevano fino ad allora ostacolato il consumo
di caff.

Tab. 5 Le top 25 catene di caff presenti in Europa (anno 2012)


Rank Brand Paese N. pdv 2012 N. Paesi in EU Var % su 2011
origine
1 Costa coffee UK 1.787 16 15%
2 McCaf Australia 1.689 26 12%
3 Starbucks Coffee Company USA 1.553 23 5%
4 Tchibo Germania 830 8 -3%
5 Caff Nero UK 581 3 22%
6 Segafredo Zanetti Espresso Italia 500 37 4%
7 Shokoladnica Russia 339 5 13%
8 Coffeeright Grecia 260 4 2%
9 Coffee House Russia 235 2 10%
10 Hema Koffiebuffet Olanda 215 4 2%
Totale Top 10 7.989 9%
11 Coffeeshop Company Austria 199 13 22%
12 Coffee Republic UK 175 6 52%
13 Espressamente Illy Italia 158 17 14%
14 Caff & th Spagna 136 1 2%
15 Espresso House Svezia 128 1 17%
16 Everest (Vivartia) Grecia 127 1 3%
17 Waynes Coffee Svezia 124 5 2%
18 Cafetal Club Spagna 109 1 36%
19 Kahve Dunyasi Turchia 96 1 9%
20 Caff Ritazza (SSP Intern.) UK 93 1 -15%
21 Flocaf (Vivartia) Grecia 92 5 0%
22 Coffeeheaven (Costa Ltd) Polonia 91 1 5%
23 Jamaica Coffee Shop Spagna 70 1 -20%
23 Coffee Fellows Germania 70 2 4%
23 Chicco di caff Germania 70 1 9%
Totale top 25 9.727 9%

Fonte: FoodService Europe & Middle East 2/13, 23.

140
Il concept della caffetteria, espressione della Second Wave, non si so-
vrappone dunque a quello del tradizionale consumo domestico che contrad-
distingue la First Wave, ma si sviluppa e vive di energia propria, dando
luogo a un nuovo paradigma di business, distinto e autonomo da quello del-
la First Wave, sotto i seguenti aspetti:
tipologia degli attori;
modello di business;
tipologia dei consumatori.

Tab. 6 Le top 50 catene di caff presenti in Europa (anno 2012)


Rank Brand Sede N. pdv N. Paesi in Var % su
azienda 2012 EU 2011
26 Travelers Coffee Russia 68 4 42%
27 Insomnia Coffee Irlanda 66 1 5%
28 AMT Espresso UK 65 3 63%
29 Il Caff di Roma (Lavazza) Spagna 62 5 -3%
30 Linos Coffee Italia 60 8 3%
31 Roberts Coffee Finlandia 55 7 6%
32 Gastro-Kanne Germania 54 1 4%
33 Empik Cafe Polonia 53 1 18%
33 Columbus Caf Francia 53 2 10%
35 Bagels & Beans Olanda 52 2 6%
35 Burgher King Caf USA 52 7 41%
37 BBs Coffee & Muffins Australia 50 2 -11%
37 Cafs Caracas Spagna 50 1 2%
39 Caff Dallucci Germania 45 1 5%
40 Baresso Coffee Danimarca 44 2 2%
41 Gloria Jeans Coffees Australia 41 5 -39%
42 Bracaf Spagna 38 1 -5%
43 Esquires Coffee Houses Canada 36 2 -12%
43 Kaldi Koffie in Thee Olanda 36 2 -10%
45 Charlotte Caf Spagna 35 2 6%
45 Cafe Club Polonia 35 1 9%
45 Thorntons Cafes UK 35 1 0%
48 Dunkin Coffee Spagna 33 1 -13%
48 Puccinos (Segafredo) UK 33 2 6%
50 Coffee Company (DE Blenders) Olanda 32 1 0%
Totale Top 50 10.910

Fonte: FoodService Europe & Middle East 2/13, 24.

141
Gli attori protagonisti del nuovo paradigma sono infatti realt aziendali
diverse da quelle che avevano caratterizzato la First Wave, spesso realt
nuove, come appunto la stessa Starbucks, ma anche The Coffee Bean and
Tea Leaf, o Peets ecc., oppure realt gi esistenti, ma che operavano in busi-
ness diversi da quello del caff, come appunto McDonalds, Dunkin Donuts
ecc. I vecchi protagonisti, come Folger, Maxwell, Nestl, non sono stati in
grado di cavalcare la nuova onda, per cui hanno subito un forte ridimensio-
namento di ruolo proprio a causa dallavanzata del nuovo paradigma.
In termini di modello di business, la Second Wave si discosta signifi-
cativamente da quello dellondata precedente, poich si rivolge a un con-
sumo diverso da quello domestico, essendo prevalentemente concentrato al
fuori casa. Come tale, sono diversi i fattori che definiscono lofferta; il pro-
dotto caff sicuramente importante, ma come abbiamo avuto modo di
esaminare, costituisce solo una delle componenti dellintera offerta. Da solo
il caff non in grado di giustificare il successo di una catena, se non inte-
grato in una proposta pi ampia, in cui risulta molto importante laspetto
servizio, lambiente e, in ultima analisi lappagamento sensoriale del con-
sumatore. Fattori cruciali della First Wave come prezzo e investimenti
pubblicitari, passano in secondo piano, dal momento che il consumatore si
reca in una caffetteria non certo per usufruire di condizioni economiche pi
vantaggiose, n perch ha visto uno spot televisivo. Se prendiamo a riferi-
mento gli investimenti pubblicitari fatti dallazienda leader, nel primo de-
cennio dal suo lancio sul mercato (1987-1997) Starbucks ha investito poco
pi di 10 milioni di dollari, ovvero una cifra che unazienda affermata come
Coca Cola spende in soli due giorni. Altri sono i fattori di successo per una
caffetteria; come emerge chiaramente dai report di Allegra Strategies, il fat-
tore pi importante costituito dalla localizzazione del negozio. La mag-
gior parte delle caffetterie sono infatti posizionate lungo le principali vie di
passeggio delle citt, nelle arterie di comunicazione o presso strutture in cui
le persone rimangono a lungo, come ad esempio universit, ospedali, centri
commerciali e centri direzionali.
Secondo molti operatori, la condizione di leadership acquisita da Star-
bucks anche e soprattutto frutto dellattenzione e degli sforzi che essa ha
compiuto su questo fronte. Come ha spiegato Enge Saez, un ex direttore
marketing di Starbucks, lazienda di Seattle non ha il brevetto esclusivo
sugli arredamenti interni; non ha un brevetto esclusivo sullatmosfera; e
non ha un brevetto esclusivo sui chicchi o sulle tostature. Tutte queste cose
possono essere copiate. Quindi, alla fine dei conti, lo strapotere immobi-
liare a fare la differenza. un ambito nel quale nessuno riuscito ad essere
pi efficace di Starbucks (T. Clark, 2009, 94). Il suo motto per il posizio-

142
namento dei propri negozi : lincrocio fra il corso e il corso; per conqui-
stare le posizioni pi prestigiose delle citt, lazienda ha costituito al pro-
prio interno un team ad hoc, agguerrito, che analizza decine di statistiche e
di foto satellitari per determinare i siti migliori dove piazzare i propri nego-
zi (in base ai parametri target dellazienda, come alto reddito, alta densit,
alto livello di istruzione, alto passaggio ecc.). Come ha rivelato un altro ex
dipendente dellazienda, nella divisione immobiliare, lazienda sceglie le
persone da inserire non solo in base alla loro capacit, ma tiene conto anche
della loro spregiudicatezza e determinazione, perch sa che l che si vince
la battaglia competitiva (Clark, 2009, 94).
Ci spiega la non casualit della facilit con cui ci si imbatte in un nego-
zio Starbucks mentre si passeggia in una citt, cos come di trovare i locali
della sirena quasi sempre lungo il lato destro delle strade che portano verso il
centro quando si in auto. Da alcune ricerche infatti emerso che il 65% dei
consumi di caff vengono fatti nel corso della mattinata, quando la gente si
dirige verso il centro per recarsi al lavoro, per cui logico che se i negozi si
trovano lungo questa direttrice aumenta la probabilit di consumo.
In altri termini, pi di ogni altro, Starbucks, ha saputo mettere a frutto, il
vecchio motto di McDonalds secondo cui occorre posizionare lo zucche-
ro dove passano le formiche senza costringerle a fare neanche una curva.
Tuttavia la localizzazione di per s non giustifica il successo di una ca-
tena, se essa risulta poi carente su altri aspetti altrettanto importanti per il
consumatore.

Fig. 3 Fattori competitivi per le catene di coffee shop

48%
50% 44%
37%
40%
26% 24%
30%
20% 15% 15%
10% 10% 10% 9% 8%
10% 4% 4%
Buona

Menu innovativo
Management

Consistenza del
Attenzione al
Menu food
Buon rapporto

Servizio veloce

Interior design

0%
Marketing locale
Livello servizio

Forte brand identity


Qualit del caff

Atmosfera

Fonte: ns. rielaborazione su dati Young, 2013.

143
Fra essi la qualit del caff sta acquisendo sempre maggiore importanza;
anzi secondo lultimo report di Allegra Strategies risulta che, per la prima
volta, il fattore qualit ha superato per importanza quello della localiz-
zazione (Young, 2012). Sulla crescita di importanza dellaspetto qualitati-
vo del caff, ha un ruolo rilevante lavanzata della Third Wave, che ana-
lizzeremo nel prossimo paragrafo.
Seguono poi altri fattori (si veda Fig. 3), per lo pi legati al servizio, che
risultano comunque importanti per il successo di una caffetteria, come:
qualit del servizio,
atmosfera del locale,
velocit di servizio,
convenienza in rapporto al valore offerto,
reputazione del marchio.
Il nuovo paradigma di business si contraddistingue anche per coinvolge-
re una tipologia di consumatore diversa: mentre lo stereotipo del consu-
matore della First Wave rappresentato dalla massaia con et medio-alta,
le caffetterie attraggono prevalentemente le fasce giovani (fino a 30-50 an-
ni) di ambo i sessi, con elevata scolarizzazione, e un lifestyle moderno e
cosmopolita. Essi possono essere studenti (per lo pi universitari), manager
o impiegati, con un buon tenore di vita, che hanno inglobato la frequenta-
zione dei coffee shop nel loro stile di vita quotidiano. In quanto tali, rispet-
to a un consumatore abituale di caff, risultano anche pi esigenti, sia in
termini di prodotto, sia di qualit del servizio.
Lespansione delle caffetterie ha significato il coinvolgimento di una
nuova tipologia di consumatore che spesso non aveva fino ad allora mostra-
to interesse al prodotto caff, ma che ha imparato ad apprezzarlo e a con-
sumarlo proprio grazie alla variet di ricette servite allinterno di questi lo-
cali e alla piacevole atmosfera che li caratterizza.
In conclusione possiamo affermare che la Second Wave, e in partico-
lare la Latte Revolution che stata protagonista a partire dagli anni No-
vanta, ha avuto lindubbio merito di far uscire il caff dallo stato di com-
modity in cui era caduto al termine della First Wave, riuscendo cos ad
attirare nuove e pi giovani fasce di consumatori.
Pur essendo nata sullonda dello Specialty, ben presto la rapida espan-
sione del fenomeno delle caffetterie ha imposto alle principali aziende prota-
goniste nuove priorit, che hanno finito per stravolgerne la natura originaria.
emblematica a questo riguardo la decisione da parte di Starbucks di
passare nellanno 2000 dalluso della macchina per caff espresso tradizio-
nale, tipica della tradizione italiana e indice di un certo tipo di servizio, alla
pi facile, ma meno qualificante macchina superautomatica. Questo pas-

144
saggio avvenuto per rispondere al bisogno di standardizzazione del servi-
zio e di minimizzazione dei costi di formazione del personale (fattori dive-
nuti importanti a seguito delle dimensioni acquisite dallazienda), e ha se-
gnato labbandono di quel legame di intimit col cliente che aveva fino ad
allora contraddistinto il servizio. Come lo stesso Howard Schultz ha rico-
nosciuto pi tardi (si veda Tab. 7): abbiamo sottratto gran parte del roman-
ticismo e della teatralit che avevamo quando usavamo La Marzocco
macchina per caff espresso tradizionale [] abbiamo annullato
lesperienza di intimit con il barista. Anche la scelta di usare confezioni
sigillate per preservare laroma del caff ha finito per far perdere uno dei
segnali non verbali pi potenti che avevamo nei nostri negozi. [] i nostri
negozi hanno perso lanima del passato e riflettono quella di una catena di
negozi [] non riflettono pi la passione che i nostri clienti hanno per il
nostro caff15.
Man mano che cresciuta di dimensioni, Starbucks ha dunque sempre
pi assunto i connotati di una grande multinazionale standardizzata e sper-
sonalizzata, al pari di McDonalds e di tante altre grandi realt presenti sul
mercato.

Tab. 7 Messaggio e-mail interno di Howard Schultz allallora CEO Jim Donald sulla
Commodizzazione della Starbucks experience

From: Howard Schultz


Sent: Wednesday, February 14, 2007 10:39 AM Pacific Standard Time
To: Jim Donald
Cc: Anne Saunders; Dave Pace; Dorothy Kim; Gerry Lopez; Jim Alling; Ken Lombard; Martin Coles; Michael
Casey; Michelle Gass; Paula Boggs; Sandra Taylor
Subject: The Commoditization of the Starbucks Experience

As you prepare for the FY 08 strategic planning process, I want to share some of my thoughts with you.
Over the past ten years, in order to achieve the growth, development, and scale necessary to go from less
than 1,000 stores to 13,000 stores and beyond, we have had to make a series of decisions that, in retrospect,
have lead to the watering down of the Starbucks experience, and, what some might call the commoditization of
our brand.
Many of these decisions were probably right at the time, and on their own merit would not have created the
dilution of the experience; but in this case, the sum is much greater and, unfortunately, much more damaging
than the individual pieces. For example, when we went to automatic espresso machines, we solved a major prob-
lem in terms of speed of service and efficiency. At the same time, we overlooked the fact that we would remove

28
Schultz, Commoditazation of Starbucks experience, messaggio riservato al CEO Jim
Donald, 14 febbraio 2007.

145
much of the romance and theatre that was in play with the use of the La Marzocco machines. This specific deci-
sion became even more damaging when the height of the machines, which are now in thousands of stores,
blocked the visual sight line the customer previously had to watch the drink being made, and for the intimate
experience with the barista. This, coupled with the need for fresh roasted coffee in every North America city and
every international market, moved us toward the decision and the need for flavor locked packaging. Again, the
right decision at the right time, and once again I believe we overlooked the cause and the affect of flavor lock in
our stores. We achieved fresh roasted bagged coffee, but at what cost? The loss of aroma -- perhaps the most
powerful non-verbal signal we had in our stores; the loss of our people scooping fresh coffee from the bins and
grinding it fresh in front of the customer, and once again stripping the store of tradition and our heritage? Then
we moved to store design. Clearly we have had to streamline store design to gain efficiencies of scale and to
make sure we had the ROI on sales to investment ratios that would satisfy the financial side of our business.
However, one of the results has been stores that no longer have the soul of the past and reflect a chain of stores
vs. the warm feeling of a neighborhood store. Some people even call our stores sterile, cookie cutter, no longer
reflecting the passion our partners feel about our coffee. In fact, I am not sure people today even know we are
roasting coffee. You certainly cant get the message from being in our stores. The merchandise, more art than
science, is far removed from being the merchant that I believe we can be and certainly at a minimum should sup-
port the foundation of our coffee heritage. Some stores dont have coffee grinders, French presses from Bodum,
or even coffee filters.
Now that I have provided you with a list of some of the underlying issues that I believe we need to solve, let
me say at the outset that we have all been part of these decisions. I take full responsibility myself, but we des-
perately need to look into the mirror and realize its time to get back to the core and make the changes necessary
to evoke the heritage, the tradition, and the passion that we all have for the true Starbucks experience. While the
current state of affairs for the most part is self induced, that has lead to competitors of all kinds, small and large
coffee companies, fast food operators, and mom and pops, to position themselves in a way that creates aware-
ness, trial and loyalty of people who previously have been Starbucks customers. This must be eradicated.
I have said for 20 years that our success is not an entitlement and now its proving to be a reality. Lets be
smarter about how we are spending our time, money and resources. Lets get back to the core. Push for innova-
tion and do the things necessary to once again differentiate Starbucks from all others. We source and buy the
highest quality coffee. We have built the most trusted brand in coffee in the world, and we have an enormous
responsibility to both the people who have come before us and the 150,000 partners and their families who are
relying on our stewardship.
Finally, I would like to acknowledge all that you do for Starbucks. Without your passion and commitment, we
would not be where we are today.

Fonte: http://starbucksgossip.typepad.com/_/2007/02/starbucks_chair_2.html.

Perdendo il rapporto di intimit col cliente, che ha costituito uno dei


principali asset di successo, limmagine di Starbucks si pian piano lo-
gorata agli occhi dei consumatori, indebolendone cos la capacit competi-
tiva; nel 2007 questo sfoci nella prima profonda crisi, quando i clienti si
allontanarono e il valore delle azioni Starbucks scese del 48%. Per risolle-

146
vare le sorti dellazienda, Howard Schultz fu costretto a tornare al timone
(che aveva lasciato nel 2000)16.
Come lui stesso ha poi dichiarato: quando sono tornato, nel gennaio
2008, la situazione era peggiore di quanto immaginassi. [] Per qualche
misteriosa ragione sembravamo essere diventati il simbolo delleccesso. La
gente diceva che ordinare un caffelatte da Starbucks non era una scelta in-
telligente. I manifesti di McDonalds dicevano che non aveva senso pagare
quattro dollari per un caff. [] Durante la giornata cerano dei momenti in
cui avevamo un fatturato orario insufficiente a giustificare la presenza di
addetti. E tutto questo per unazienda che aveva sempre avuto un successo
clamoroso. [] Non avevamo mai avuto molta concorrenza. Tutto quello
che facevamo funzionava quasi sempre. Questo successo costante ha creato
una certa arroganza, che ci ha indotto a trascurare i trend in atto nel merca-
to. Diverse grandi aziende hanno cominciato a rendersi conto che questo
business delle caffetterie interessante e molto redditizio. McDonalds e
Dunkins Donuts operavano nella fascia pi bassa del mercato. E erano di-
sposte a fare qualunque cosa per catturare o intercettare dei clienti. []
Nella fascia alta del mercato stavano gli imprenditori indipendenti che vo-
levano imitare Starbucks. E poi cera la diffusa idea di supportare le
aziende locali. Perci Starbucks stata presa in mezzo, ed era una posi-
zione molto scomoda per noi17.
Come si evince da queste parole, Starbucks era divenuta vittima del suo
successo, perdendo quella che Schultz chiama distinctive Starbucks expe-
rience. Per riportarla sui binari della crescita, il CEO prese una serie di mi-
sure drastiche ed eclatanti, volte a ricreare le condizioni originarie del rap-
porto con il cliente. Le misure operate da Shultz per invertire la rotta
dellazienda furono drastiche: per cominciare, il 23 febbraio 2008, chiuse
tutti i suoi negozi dalle 17.30 alle 21.00 per riaddestrare il personale18 e ri-
focalizzare il brand sul caff; poi chiuse 600 negozi diretti19, tagli i piani
di espansione e licenzi 1.000 dipendenti20 (per lo pi personale non impie-

16
Il suo posto fu lasciato a Orin C. Smith nel periodo 2001-2005 e poi a Jim Donald nel pe-
riodo 2005-2007. Schultz nel frattempo ricopriva comunque la carica di presidente.
17
Schultz, 2010, intervista a cura di Adi Ignatius.
18
Qualcuno diceva: Ma quanto ci coster?. Cerano degli azionisti che mi telefonavano
per chiedermi se ero andato fuori di testa. Io rispondevo: Sto facendo la cosa giusta. Stiamo
riaddestrando il personale perch abbiamo dimenticato qual la nostra missione, il perse-
guimento di un impegno assoluto e senza equivoci alla qualit (H. Schultz, 2010 p. 113).
19
Coffee Crisis? Starbucks closing 600 stores, ABC News, 1 luglio 2008.
20
Starbucks cuts 1.000 non-store jobs, Financial News, Yahoo! Finance, 29 luglio 2008.

147
gato nei negozi); quindi allinizio del 2009 annunci21 unulteriore chiusura
di 300 negozi e il licenziamento di altri 7.000 dipendenti.
Qualche settimana pi tardi fu presentata una nuova macchina per caff
espresso, sempre superautomatica, ma molto pi bassa della precedente,
che permetteva cos al barista di interloquire con il cliente. Fu abolito luso
di caff pre-macinato, in modo da riportare laroma, il romanticismo e la
teatralit nei punti vendita attraverso la macinatura del caff in grani. An-
che lofferta di servizi fu rivisitata, eliminando tutte quelle merceologie che
contrastavano con il core-business del caff (come vendita di musica,
sandwiches ecc.). In altri termini Schultz ha cercato di riportare al centro
dellattivit il valore del brand, che definito dalla qualit del caff ma
anche e soprattutto dalla relazione che il barista intrattiene con il cliente e
dal fatto che questultimo si senta o meno valorizzato, apprezzato e rispet-
tato22.
Grazie a questa drastica cura, Starbucks riuscita a superare la fase cri-
tica e a tornare a crescere, anche se non pi con i vecchi ritmi, poich come
sostiene lo stesso fondatore: la crescita deve essere sostenibile senza an-
nacquare i fattori che hanno costituito lessenza stessa del successo23.
Il grande successo e la forte crescita dimensionale dei protagonisti della
Latte Revolution ha posto le basi per larrivo di una nuova ondata, la co-
siddetta Third Wave, che sar oggetto di analisi del prossimo paragrafo.

4.3. Third Wave e ritorno allartigianalit

Al pari di quanto avvenuto con il movimento della Second Wave, an-


che quello della Third Wave si alimentato degli eccessi che hanno ca-

21
Starbucks to close more stores, Wall Street Journal, 28 gennaio 2009.
22
Non abbiamo costruito Starbucks attraverso il marketing o la pubblicit tradizionale, ma
attraverso lesperienza che offriamo ai consumatori. E quellesperienza si determina solo se
le persone sono orgogliose, se rispettano e si fidano del grembiule verde e di coloro che rap-
presentano (Schultz, 2010, 114-115).
23
Parafrasando Schultz, il successo non sostenibile se definito solo dai numeri della tua
dimensione. Ci che conta non perdere i valori originari e dunque lunico numero che
interessa Uno: una tazza, un cliente, un partner, unesperienza alla volta. For Starbucks
its not enough to serve what they believe is the best coffee in the world. The Starbucks mis-
sion statement reads: to inspire and nurture the human spirit one person, one cup, and one
neighbourhood at a time. To inspire and nurture the human spirit, sounds more like the
mission of a faith community than a coffee company. Schultz understands that when we buy
a Starbucks we expect more than good coffee we are buying an experience (http://
leadingtoserve.com/?p=274).

148
ratterizzato la fase precedente. Come hanno fatto rilevare Daviron e Ponte,
man mano che il settore dello Specialty Coffee cresciuto, ha perso
gran parte del suo spirito originale, bench siano rimasti i piccoli torrefatto-
ri la cui attivit si fonda tuttora sullinterazione quotidiana con i clienti.
Come conseguenza, il legame originario tra il termine Specialty e la per-
cezione di eccellenza della qualit della materia prima andata sempre pi
in crisi (Daviron e Ponte, 2002, 152-153). Inoltre, aggiunge Ponte: man
mano che le catene di caffetteria sono cresciute e si sono consolidate, la
qualit del caff di per s divenuta sempre meno rilevante. Le catene,
quando diventano grandi tendono a ricommodizzare e semplificare le
pratiche di approvvigionamento: pi elevati volumi di vendite comportano
il bisogno di una maggiore centralizzazione degli acquisti e quindi difficol-
t a rapportarsi con i fornitori di piccolo taglio. Inoltre lesigenza di garanti-
re uno standard qualitativo su grandi volumi, comporta una predilezione per
luso di miscele piuttosto che di origini dirette (Ponte, 2001, 21). Questo,
secondo Daviron-Ponte, significa che con lavvento della Latte revolu-
tion, una parte del settore Specialty ha spostato linteresse da una rigo-
rosa attenzione alla qualit della materia prima, verso la fornitura di prodot-
ti pi manipolati in cui la qualit del caff sottostante diventa secondaria.
Lampio ricorso alle bevande a base di espresso (espresso based drinks),
con laggiunta di abbondanti quantit di latte, topping e sciroppi aromatici
vari (che secondo gli stessi attori del settore offrono maggiori margini di
profitto) hanno favorito luso delle pi economiche variet, a scapito delle
pi pregiate variet Arabica (Daviron e Ponte, 2002, 152).
La Third Wave, costituisce dunque una risposta a queste distorsioni, e
in particolare una reazione a coloro che vogliono automatizzare e omoe-
geneizzare lo Specialty Coffee, come ha sostenuto Rothgeb (2003) nellar-
ticolo in cui ha coniato il termine Third Wave.
In realt questo movimento, a differenza degli altri due che lo hanno
preceduto, non ha avuto origine negli Stati Uniti, ma nasce e si sviluppa, a
partire dalla seconda met degli anni Novanta, in Australia e Nuova Zelan-
da. Due Paesi questi, che paradossalmente non hanno mai sposato fino in
fondo la logica della Latte revolution; la stessa Starbucks ha registrato in
questi mercati il pi grande flop commerciale della sua storia. Infatti, dopo
aver avviato nel 2000 un graduale piano di espansione nel mercato austra-
liano, stata costretta nel luglio 2008 a chiudere 61 degli 84 operativi, a
seguito delle consistenti perdite accumulate (143 milioni di dollari, di cui
36 milioni solo nellultimo esercizio). Come ha sostenuto a questo proposi-
to il professor Nick Wailes, direttore del Master in Management
dellUniversit di Sydney: purtroppo Starbucks ha fallito nel capire vera-

149
mente la cultura del caff in Australia ed diventato un esempio di quella
grande azienda, da cui essa stessa ha inizialmente cercato di distinguersi.
Parte del problema che loriginale modello di business Starbucks non
facilmente traducibile nei vari mercati. Il successo iniziale della catena ha a
che fare con il fatto che esso introduce la cultura europea del caff ai mer-
cati che non avevano questa tradizione. LAustralia ha una fantastica e ric-
ca cultura del caff e le aziende come Starbucks fanno veramente fatica a
competere con essa24.
A differenza del mercato americano, infatti, in Australia (cos come in
Nuova Zelanda), il caff espresso era diffuso e rientrava nelle abitudini de-
gli australiani gi prima che arrivassero le catene di coffee shop, per cui le
loro esigenze risultavano diverse da quelle dei Paesi senza tradizione
nellespresso; fin dagli inizi degli anni Cinquanta25, gli emigranti italiani
avevano introdotto nel Paese la loro tradizionale bevanda di caff, che pre-
sto aveva conquistato i favori anche delle altre comunit. Secondo O. Hof-
mann, in Australia, la forte cultura del caff ha fortemente influenzato la
crescita degli specialist coffee shops, soprattutto fra le fasce pi giovani
della popolazione. Labitudine di prendere il caff entrato a far parte del
moderno stile di vita australiano ed i coffee shop Specialist sono divenuti
qualcosa che va al di l del semplice luogo per il caff26. Ci significa che,
questo mercato, pur essendo stato coinvolto dallondata della Latte revolu-
tion attraverso le catene come Gloria Jean Coffee (si veda Tab. 8), Hudson
Coffee, Starbucks, McCaf27 ecc. si tuttavia caratterizzato per la simulta-

24
N. Wailes said organisations such as Starbucks, who lose sight of what initially made the
business successful and failed to recognise the importance of local culture, would always
fail in the Australian market. There are a number of important business lessons that can be
learned from this situation, said Wailes. Unfortunately Starbucks failed to truly under-
stand Australias cafe culture and has become an example of the big corporate machine it
originally tried to differentiate itself from. [] Part of the problem is that Starbucks origi-
nal business model just doesnt translate across markets. Starbucks original success had a
lot to do with the fact that it introduced European coffee culture to a market that didnt have
this tradition. Australia has a fantastic and rich coffee culture and companies like Starbucks
really struggle to compete with that (30 luglio 2008, http://sydney.edu.au/news/
84.html?newsstoryid=2467).
25
Sembra che la prima macchina per caff espresso sia arrivata dallItalia nel 1954, installa-
ta a Melbourne a Lygon Street, nel ristorante Don Camillo. In quegli stessi anni, sempre a
Melbourne, aprirono anche i primi bar che servivano caff espresso: Pelligrinis Espresso
Bar e Legend Caf, rispettivamente nel 1954 e 1956 (Gee D. e M., 2005).
26
Euromonitor International (http://www.marketresearchworld.net/content/view/1089/77).
27
Il concept di coffee shop che va sotto il marchio McCaf stato sviluppato originaria-
mente dalla divisione McDonalds Australia nel 1993, prima di essere successivamente, a
partire dal 2000, esteso al resto del mondo.

150
nea presenza di un nutrito numero di piccoli torrefattori locali (circa 400),
che si sono sfidati puntando sullalta qualit del prodotto e riuscendo cos
ad acquisire unelevata forza competitiva anche nei confronti delle realt
aziendali molto pi grandi di loro, quali appunto le catene.

Tab. 8 Scheda informativa di Gloria Jean Coffee

Gloria Jean Coffee nasce nel 1979 a Chicago (USA) a opera di Jean Kvetko. Nel 1996 la Jireh International
Pty Ltd (azienda fondata da Nabi Saleh e Peter Irvine) acquisisce i diritti per il franchising in Australia e nello
stesso anno apre i primi due coffee shop a Sydney (Miranda e Eastgarden). Nel 1998 d avvio al programma di
franchising che nel raggio di 6 anni consente di aprire 185 negozi da parte di un centinaio di franchisor. Dal 2003
Glora Jeans Coffee ha propri negozi in ogni stato dellAustralia. Nel 2005 la Jireh International Pty ltd acquista i
diritti del brand per tutti i Paesi internazionali a eccezione di Usa e Porto Rico. Lazienda consegue una lunga
serie di riconoscimenti: nel 2005 viene eletta Miglior franchisor australiano, lanno successivo consegue il titolo
di Franchise Export Award of the Year, nel 2007 Food Franchisor of the Year e cos via. Gloria Jeans Coffee
si rivolge a un target giovanile (18-25 anni) diverso da quello di Starbucks (dai 15 ai 64 anni) e pi focalizzato sul
mondo femminile. Nel dicembre 2013 lazienda stata acquisita dalla Global Yellow Pages di Singapore per la
cifra di 35,6 milioni di dollari. Attualmente Gloria Jeans Coffees opera in 39 Paesi al mondo con oltre 800 negozi.

Sono gli indipendent a dominare la scena australiana: secondo il re-


port IbisWorld 201228, delle 6.500 caffetterie e coffee shop presenti sul ter-
ritorio, ben il 95% sono indipendenti. A questo proposito, Suzannah Row-
ley, senior IbisWorld analyst, ha sostenuto che la dimensione non neces-
sariamente un fattore di successo in questo settore, data la radicata osses-
sione nazionale per il caff di alta qualit che deriva da una forte cultura del
caff giunta in Australia con larrivo degli immigrati europei nel secondo
dopoguerra. In quanto tale, la concorrenza nel settore particolarmente in-
tensa con i piccoli indipendenti che sono molto agguerriti e che spesso han-
no la meglio sulle multinazionali del caff. Questo lo si deve in parte ad
una maggiore comprensione della radicata cultura del caff che si diffusa
nel Paese ed alla capacit di integrarla nel loro modello di business29.
Quando arrivata londa della Latte Revolution, il consumatore au-
straliano, diversamente da quello americano e asiatico, era gi divenuto
molto pi sofisticato, avendo acquisito una maggiore competenza nel caff,
e per questo era, da un lato, molto pi esigente in termini di aroma, e
dallaltro, era poco incline a coprire le proprie bevande con i dolcissimi sci-
roppi aromatici. Esso inoltre non apprezzava neanche il format di servizio
28
IbisWorld, Cafes & Coffee Shops in Australia Market Research, 2012.
29
Franchising Net Australia, Brewing success in the coffee industry, 10 giugno 2011
(http://www.franchise.net.au/inspire/franchisee/brewing-success-in-the-coffee-industry).

151
delle grandi catene, come ad esempio luso delle macchine superautomati-
che al posto delle tradizionali, o luso di bicchieri di carta, anzich di tazze
in porcellana (per unanalisi pi approfondita delle peculiarit del mercato
australiano del caff si rimanda alla scheda in Appendice 1: La via Austra-
liana del caff: da Paese bevitore di th a in punta di diamante del caff).
Per queste ragioni, il mercato australiano, insieme a quello neozelande-
se, hanno favorito lo sviluppo di un modello di business diverso da quello
delle catene di coffee shop, basato su unattenzione maniacale alla qualit
del caff, a una lavorazione artigianale, ad un servizio al cliente molto sofi-
sticato. Sono questi alcuni degli elementi di quella che stata poi denomi-
nata Third Wave.
Essa, in realt, non propone un modello di business del tutto nuovo, in
quanto riprende alcuni principi della Second Wave, quelli della sua fase
iniziale, precedente alla Latte Revolution (si veda Tab. 9). Da questa pro-
spettiva la Third Wave rappresenta per certi versi un ritorno alle origini
della Second Wave, alla sua fase esplorativa, contraddistinta dai puristi
del caff che mettevano la qualit al centro dellattivit.
Secondo il nostro punto di vista la Third Wave, pur presentando dei
caratteri identificativi propri, ha molti pi elementi in comune con la Se-
cond Wave degli albori, di quanto questa non ne abbia con la Latte revo-
lution e le sue catene. Potremmo dunque ritenere che la Latte revolution
e la Third Wave costituiscono entrambe unemanazione della Second
Wave, sia pure con declinazioni molto diverse. Per lattenzione che la
Third Wave ripone nella qualit del caff, nel rapporto con il cliente,
nellaspetto formativo/educativo del consumatore, nella tracciabilit del
prodotto e nellartigianalit del servizio, potrebbe essere considerata
unevoluzione della Second Wave primordiale, che, come un fiume car-
sico, riaffiorata in superficie dopo una lunga fase latente, contraddistinta
dal boom delle catene di coffee shop. Da questa prospettiva difficile con-
siderare la Third Wave come un nuovo paradigma, in antitesi con quello
che lo ha preceduto, quanto piuttosto una sua naturale evoluzione. Infatti,
essendosi diffusa in una fase storica successiva, e anche relativamente lon-
tana rispetto a quando ha avuto inizio la Second Wave, la nuova ondata
incorpora tutti quei caratteri distintivi che contraddistinguono il nuovo con-
testo; lo scenario del mondo del caff nel periodo della Third Wave (dal-
la fine degli anni Novanta in poi) era ben diverso e molto pi evoluto ri-
spetto a quello dei primi anni Sessanta, a cominciare dal consumatore, che
nel frattempo divenuto molto pi maturo, competente e sofisticato. al-
trettanto vero tuttavia che, se la si pone in relazione con la Latte revolu-
tion, la terza ondata costituisce, allora, un paradigma di business diverso

152
sia in termini di attori, sia di tipologia di consumatori e in parte anche in
termini di modello di business.

Tab. 9 Le 12 caratteristiche della Third Wave

1. Produzione artigianale in piccoli lotti con presenza dei microroaster;


2. Esaltazione della variet del prodotto (stagionalit dei caff proposti) con unattenzione maniacale verso
la qualit;
3. Tracciabilit del prodotto e rapporto relazionale diretto fra tutti gli attori della filiera;
4. Tostatura tendenzialmente chiara;
5. La freschezza del caff un parametro della qualit;
6. Il men essenziale con focalizzazione su poche bevande e poche varianti;
7. Centralit del caff in ogni bevanda e dunque lunghezza bevande contenuta;
8. Oltre allespresso, vengono impiegati altri tipi di estrazione del caff, come Aeropress, Syphon, Chemex,
ecc.;
9. Barista con elevati skill (come il latte art) e importante formatore del consumatore;
10. Forte coinvolgimento del consumatore, che generalmente giovane, particolarmente sofisticato e ten-
denzialmente prosumer;
11. Locale e ambientazione non pi necessariamente Third place;
12. Forte integrazione e senso di comunit attraverso i social media.

In termini di attori, le aziende protagoniste della Third Wave sono


piccole realt artigianali, che considerano la piccola dimensione un valore
e al tempo stesso un fattore caratterizzante. Se focalizziamo lattenzione
alle aziende pi rappresentative, vedi la triade USA Stumptown Coffee, In-
telligentsia e Counter Coffee Culture (altri torrefattori vengono indicati nel-
la Tab. 10), notiamo che nessuna di esse ha un fatturato superiore ai 50 mi-
lioni di euro.
Pur cercando di ampliare il loro business, queste realt non aspirano a
primeggiare dimensionalmente con i colossi della Latte revolution, ma
piuttosto ambiscono a conservare e preservare la propria identit distintiva
di aziende artigianali. Infatti, anche laddove sono entrate a far parte di or-
ganizzazioni molto pi grandi, come nel caso di Atomic Coffee e di
Tobbys Estate Coffee che sono state rilevate dal gruppo alimentare Ce-
rebos (gi operante nel settore caff con il marchio di Mocopan), oppure
la stessa Stumptown, che nel 2011 stata rilevata dal fondo finanziario
TSG Consumer Partners, hanno tuttavia conservato la loro autonomia ge-
stionale e operativa e spesso mantenuto lo stesso management.

153
Tab. 10 Alcune fra le pi rappresentative torrefazioni Third Wave nei principali Paesi

USA
Batdorf & Bronson, Blue Bottle coffee Co., Barefoot, Coava, Counter Culture, De la Paz, Ecco Caff, Espresso
Vivace, Four Barrel, Gaslight, Grumpy, Handsome Coffee Roasters, Gimme! Coffee; Heart, Intelligentsia, Irving
Farm, Joe Coffee NY, Klatch, Kuma, Madcap, Magpie, Metropolis, Paradise Roasters, Portola Coffee Lab, PTs
Coffee, Ritual, Sightglass, Stumptown, Taylor Maid, Terroir, The Hub, Tobys Estate, Verve Coffee Roasters,
Victrola Coffee Roasters, Wrecking Ball, Zoka.
CANADA
49th Parallel, Transcend, Social Coffee, Phil & Sebastian, Bows & Arrows.
NORVEGIA
Tim Wendelboe, Solberg & Hansen, Kaffa, Supreme Roastworks.
SVEZIA
Koppi, Johan & Nystrom, Lilla Kafferosteriet, Love Coffee, Stockholm Roast, Haugaard, Drop Coffee, Solde Kaf-
ferosteri, Da Matteo, re kafferosteri, Per Nordby.
DANIMARCA
Coffee Collective, Kent Coffee, Kontra Coffee.
OLANDA
CoffeeXperts, Bocca Coffee.
REGNO UNITO
Has Bean Coffee, Monmouth, Nude Espresso, Squaremile, Union Hand Roasted, Workshop Coffee Co., H+H
(Harris & Hole).
GRECIA
Taf Coffee.
COREA DEL SUD
Coffee Libre, Coffee Graffiti, Lee Jong Hoons, Caffe Themselves, 5 Extracts, Coffee LEC, Club Espresso, Paul
Bassett, Apgujeong Coffee House (), MOMOS, Coffea, Alegria, Tailor Coffee.
GIAPPONE
Maruyama coffee, Tashiro Coffee
AUSTRALIA
ST. Ali, Mecca Espresso, Market Lane, Single Origin, 7 seeds coffee roaster, Small Batch, Proud Marys, 5
Senses, Coffee Alchemy, Tobys Estate.
NUOVA ZELANDA
Ozone Coffee Roasters, Atomic Coffee.

Anche il consumatore di queste caffetterie artigianali non lo stesso del-


le grandi catene di coffee shop; normalmente di giovane et e magari, dopo
aver conosciuto il caff espresso attraverso i protagonisti della Latte revolu-
tion, ha poi sviluppato un percorso evolutivo che lo ha portato a non accon-

154
tentarsi pi del prodotto standard, tipico di queste realt. Esso divenuto un
appassionato e al tempo stesso un esperto di caff, interessato a esplorare il
mondo di questa bevanda in tutte le sue sfaccettature. Il suo consumo non
pi animato dalla ricerca della costanza dellaroma della bevanda e da
unesperienza asettica (sia pur piacevole nel suo contesto) quanto dalla curio-
sit di conoscere sapori e aromi nuovi, capaci di arricchire il suo bagaglio
culturale e approfondire la sua competenza sul mondo del caff. Il suo stile di
consumo si avvicina per certi versi a quello dellintenditore di vini di qualit,
che nel consumo cerca di vivere unemozione gustativa e al tempo stesso di
alimentare la sua cultura sul prodotto.
Per inquadrare meglio le potenzialit di questo consumatore, credo sia
utile citare un episodio a cui ho avuto modo di assistere recentemente in
una di queste caffetterie situata nel Quartiere Latino di Parigi (in cui sta ini-
ziando a diffondersi la moda della Third Wave). Mentre attendevo che il
barista mi servisse il cappuccino (rigorosamente latte art) che avevo ordina-
to, una signora di mezza et appena entrata chiede: qual il caff di og-
gi?. Il barista con naturalezza risponde: oggi vi proponiamo un Colombia
Supremo proveniente dalla zona vulcanica del Nevado nella regione della
Huilla. Si tratta di un caff coltivato in altura, a 1600 metri di altitudine, in
un suolo particolarmente ricco di minerali. La piantagione posta lungo le
pendici e le foglie di palma la protegge dai raggi del sole. Questo fa s che
il ciclo di maturazione della drupa sia molto lento permettendo al chicco di
assorbire molti minerali. Pur trattandosi di un caff lavato, ha una buona
corposit, una scarsa acidit, unaccentuata dolcezza e, sotto il profilo aro-
matico, si caratterizza per note di gelsomino, vaniglia, cioccolato e mandor-
la. Si presenta molto gradevole e pi equilibrato rispetto a quello di ieri.
Inoltre, colpisce la sua armoniosit aromatica e la sua estrema dolcezza.
Da episodi come questo risulta facile intuire che, rispetto allo stereotipo
del consumatore dei coffee shop delle catene, il consumatore della Third
Wave molto pi esigente ed elitario, disposto a pagare cifre pi elevate
(anche quattro o cinque euro), ma a fronte di un prodotto e un servizio di
qualit superiore.
Anche in termini di modello di business, questa nuova ondata presenta
tratti distintivi rispetto a quello delle grandi catene. Pur condividendo la
specializzazione al consumo fuori casa, tuttavia lapproccio al mercato
risulta essere marcatamente diverso. Un primo tratto di differenziazione,
come gi evidenziato, la dimensione degli operatori: mentre nella Latte
revolution il modello di offerta attuato dagli operatori (non solo i pi

155
grandi) mira a offrire al consumatore unesperienza uniforme in ogni punto
vendita della catena, nella Third Wave la diversit, unita alla qualit, il
fattore caratterizzante lofferta. Al cliente non viene pi offerta la bevanda
standardizzata, dal gusto costante e dalla formula segreta, ma un prodot-
to stagionale sempre diverso e soprattutto con una certa variet di scelta
fra origini e caff diversi. Ogni caff offerto riporta sulla confezione una
vera e propria scheda didentit, in cui sono indicate tutte le informazioni
dei caff utilizzati per la sua produzione e quindi, nel caso di miscele di
caff, vengono specificate non solo la composizione percentuale delle varie
origini, ma per ogni origine viene indicata la variet, il luogo di provenien-
za e spesso anche il nome del coltivatore, la data di raccolta, laltitudine di
coltivazione, la tipologia di coltivazione, la descrizione del sistema di lavo-
razione subito dal frutto, fino alla descrizione delle caratteristiche organo-
lettiche che le contraddistingue. In alcuni casi nel sito del torrefattore, o
nelle app create ad hoc (come ad esempio Intelligentsia), vengono in-
tegrate altre informazioni, fra cui immagini e video della raccolta, del colti-
vatore e i parametri suggeriti per ottenere la migliore bevanda.
La piena tracciabilit del prodotto costituisce un fattore integrante del
servizio e ci, oltre a rassicurare il consumatore, lo educa a riconoscere i vari
tipi caff e a formarsi una propria cultura e opinione. Come sostiene Tony
Konecny, master roaster della Victrola Coffee: molti torrefattori gelosamen-
te nascondono la ricetta della loro miscela, ma il Third Wave si fonda sulla
trasparenza. Noi abbiamo molto pi da guadagnare nel rivelare alla gente la
cura che dedichiamo al nostro caff, invece di presentarlo come un qualsiasi
prodotto brandizzato dagli ingredienti segreti (Reynolds, 2006).
Anche la qualit del servizio molto diversa: mentre nelle catene
larticolazione dei men costituisce uno dei principali elementi di marketing
e per questo tende a essere molto abbondante sia nella numerosit delle be-
vande offerte, sia nelle dimensioni delle stesse (per cui il consumatore pu
scegliere non solo fra cappuccino, espresso, double espresso, macchiato ecc.,
ma per ognuna di esse fra 3 o 4 diverse taglie 8, 12, 16, 20, fino a 30oz, che
poi pu personalizzare ulteriormente aggiungendo al suo drink i topping
aromatici), dallaltro lato, invece, lofferta dei Third waver coffee shop ri-
sulta molto pi semplice, in cui il men circoscritto alle principali bevande
a base di caff espresso (vedi espresso, double espresso, cappuccino, mac-
chiato, Flat White), a cui sempre pi frequentemente si associano altri modi
di estrazione del caff (vedi Filtro, Aeropress, Syphon, Clover, Chemex
ecc.). Raramente al cliente viene concessa la possibilit di scegliere formati

156
diversi, ma piuttosto gli viene offerta la possibilit di scegliere le origini (e/o
miscele) di caff con cui ottenere la bevanda. Il vero protagonista di ogni be-
vanda il caff e per questo gli espresso based-beverages vengono serviti su
tazze di medio-piccola dimensione, proprio per non diluire eccessivamente il
caff in esso contenute; ci consente al consumatore di apprezzare meglio le
sue qualit. Non pi la quantit il driver del consumo, ma la qualit pura del
prodotto. Per questa ragione, alcuni di questi locali arrivano a degli eccessi e
a delle forzature, come quello di non offrire n zucchero, n altri dolcificanti,
n tanto meno sciroppi aromatici, che a volte viene vissuto con fastidio dallo
stesso consumatore se meno integralista.
Questo implica che il barista sia professionalmente molto pi qualifica-
to; a differenza delle catene che hanno sviluppato una struttura di servizio
semplificata, tale per cui si possono avvalere di personale poco qualificato
e a basso costo, i coffee shop della nuova generazione richiedono elevate
competenze al barista: egli deve infatti conoscere approfonditamente il caf-
f, sia per selezionare i caff migliori da proporre, sia per soddisfare le va-
riegate esigenze dei consumatori, e, soprattutto, per saper interpretare ogni
caff nelle diverse modalit di estrazione, al fine di adeguare i parametri di
estrazione (quantit di caff, macinatura, temperatura e pressione
dellacqua, tempo di infusione/percolazione ecc.) per conseguire la miglio-
re qualit delle bevande. Nulla standardizzato, ma tutto interpretato. Al
barista anche demandato il compito di guidare ed educare il cliente alla
scelta, informandolo di tutti gli aspetti organolettici che caratterizzano i vari
caff proposti. Al pari di quanto avviene nel mondo dei vini di qualit, die-
tro ogni caff c una storia da raccontare, legata alla conoscenza dei colti-
vatori, al luogo di coltivazione con le sue peculiarit in termini di suolo e di
microclima in cui la pianta cresciuta, alle modalit di raccolta e lavora-
zione, agli accorgimenti adottati per esaltare le qualit organolettiche, fino
a descrivere le peculiarit che contraddistinguono il profilo aromatico.
Anche lo standard di preparazione delle bevande risulta molto difforme
rispetto alle caffetterie della Latte revolution: il cappuccino ad esempio
viene spesso servito sotto forma di latte art, e comunque con una micro
tessitura della crema latte particolarmente pregiata, pratica che richiede
unelevata competenza tecnica del barista.
In altri termini, nel nuovo contesto il barista non pi un elemento pas-
sivo della catena del valore, dedito solo a trasformare un prodotto solido in
una bevanda, ma, al pari di un bravo sommelier o di un grande chef di cu-
cina ha il compito di scegliersi i suoi ingredienti in base agli aspetti qualita-

157
tivi, senza risultare vincolato a un particolare torrefattore e di trasformarli
nel modo migliore. In quanto tale, quella del barista una professione par-
ticolarmente qualificata, che ha poco in comune con quella di un dipenden-
te di una qualsiasi catena di caffetterie.
Un altro elemento distintivo dellofferta costituita dalla freschezza del
prodotto offerto. Lintervallo di tempo che intercorre fra la tostatura e il suo
consumo generalmente molto breve, e comunque non superiore alle due o
tre settimane. La freschezza in quanto tale infatti considerata un elemento
distintivo e qualitativo dellofferta: distintivo in quanto crea un argine di
diversit con i caff diffusi nella First e Second Wave. Per rendere an-
cora pi evidente questa difformit, in molti casi, nelle confezioni dei caff
serviti viene indicato non solo il giorno di tostatura, ma persino lora in cui
essa avvenuta. Sempre per ragioni di freschezza la preparazione delle be-
vande avviene attraverso la macinatura allistante, per cui dal tradizionale
macinadosatore30, si passati alluso dei pi moderni macinini on de-
mand, dove appunto la macinatura viene effettuata immediatamente prima
dellerogazione.
In alcuni casi, allinterno del coffee shop c una piccola macchina to-
statrice utilizzata per tostare i caff serviti; a volte il cliente ordina o sceglie
il proprio caff, il quale gli viene tostato allistante e consegnato caldo per
portarselo a casa. Si parla allora di microroasters, fenomeno non nuovo,
ma che ha avuto grande impulso con la Third Wave. Come mi faceva no-
tare Karl Schmidt, presidente di Probat (lazienda leader mondiale nella
produzione di impianti di tostatura), il mercato delle tostatrici negli ultimi
anni sta subendo una drastica evoluzione: da un lato si registra una contra-
zione della domanda degli impianti di medio-grande formato (60-240 Kg),
mentre dallaltro c una vera e propria esplosione della domanda dei pic-
coli impianti (fino a 30 kg). Daltro canto la freschezza costituisce un
elemento qualitativo in quanto, al pari di ci che avviene per gli altri pro-
dotti alimentari, il consumatore generalmente associa al prodotto fresco un
valore qualitativamente superiore rispetto a quello confezionato dalla lunga
scadenza e percepito pi industriale.
La diffusione dei microroasters, oltre a rispondere alla logica della fre-
schezza, anche conseguenza di un percorso di crescita professionale dei
30
Nel macinadosatore tradizionale la fase di macinatura e quella di dosatura non sono ne-
cessariamente simultanee (dal momento che il caff una volta macinato viene stoccato nel
dosatore). Nei macinini On Demand invece il caff viene macinato direttamente nel portafil-
tro e solo al momento delluso.

158
baristi, molti dei quali, dopo aver maturato esperienze pluriennali sia
nellerogazione e sia nella tostatura del caff, ambiscono aprire un proprio
coffee shop (magari con un partner finanziario che li supporti nellinvesti-
mento iniziale), equipaggiato di una piccola tostatrice, con cui poter creare
il proprio caff. Molte torrefazioni protagoniste di questa ondata sono ac-
comunate anche dal fatto che i loro fondatori sono professionalmente nati
come baristi.
Il caff servito nei locali Third Wave si distingue anche per il grado
di tostatura; a differenza delle catene che prediligono un livello di tostatu-
ra molto scuro, per rendere pi identificabile il gusto del caff allinterno
delle lunghe bevande EBB che propongono nei loro men, nel caso delle
caffetterie di nuova generazione, si predilige una tostatura pi chiara. Ci in
quanto si vuole evidenziare la diversit degli aromi piuttosto che la costan-
za: ogni variet, ogni piantagione o ogni circoscritta area geografica propo-
ne caff dal profilo unico che, secondo il punto di vista dei third wavers
deve essere enfatizzata e non omogeneizzata. Come sostiene John Moore di
Dallis: ci che accomuna la gente della terza ondata una certa repulsione
alla modalit di Starbucks e dei suoi competitors, di ipertostare il loro caff.
Il loro scopo quello di ottenere caff uniformi, costanti e facili da tra-
sformare. Per questo vengono miscelati e tostati scuri al fine di rendere fa-
cile lottenimento della crema e di realizzare il generico aroma di caff
che la gente comune si aspetta, nel modo pi facile possibile. In realt ogni
variet di caff, soprattutto gli arabica di una certa qualit, varia per sua na-
tura a seconda della stagionalit, della tipologia, della sua freschezza e per
questo costituisce un target mobile. Ogni caff ha dunque il suo aroma spe-
ciale, il suo livello ottimale di tostatura, i suoi parametri estrattivi. Non un
compito facile identificarli, ma quando si riesce, si percepisce il caff nelle
sue peculiarit ed in una dimensione diversa del caff (Ozersky, 2010). Al
contrario, come afferma Tyler Wells, presidente di Handsome, se si pren-
dono cinque caff di diversa provenienza e si tostano tutti scuri, nessuno
sar in grado di identificare le loro variet (McLaughlin, 2012). Molti tor-
refattori di questa generazione stanno abituando il consumatore alla tostatu-
ra chiara, poich costituisce il modo migliore per enfatizzare e percepire
tutte le note aromatiche che contraddistinguono i caff pi pregiati.
La ricerca estrema della qualit e lindividuazione dei corretti parametri
di tostatura e di estrazione presuppone una profonda conoscenza del caff;
non basta conoscere la variet, ma occorre sapere a fondo come stato col-
tivato, le peculiarit del microclima, il sistema di lavorazione realizzato dal

159
coltivatore, le modalit di stoccaggio ecc. Tutto ci ha favorito la creazione
di un vero e proprio sistema di relazione di medio-lungo termine fra i
principali attori della filiera, ovvero, coltivatore, torrefattore, barista e con-
sumatore, volto a generare un continuo interscambio di informazioni e di
competenze. Molti dei torrefattori di questa generazione (come ad esempio
gli americani Stumptown, Counter Culture Coffee, Intelligentsia, il giappo-
nese Maruyama Coffee, gli scandinavi Tim Wendelboe, Solberg & Hansen
ecc.) hanno basato lidentit del loro business sulla ricerca e la selezione
dei migliori caff, attraverso la conoscenza diretta dei migliori coltivatori31,
sulla costante visita delle piantagioni, volta a scoprire nuovi caff, e
sullattivazione di relazioni con i coltivatori al fine di guidarli nel miglio-
ramento della qualit del loro prodotto e alimentare cos un processo evolu-
tivo della qualit. Attraverso queste relazioni e il direct trade che ne sca-
turisce, si ottengono dei vantaggi tangibili, poich il coltivatore, che spesso
non in grado di valutare la qualit del suo prodotto, ricevendo dei feed-
back sui risultati del suo operato, viene coinvolto e stimolato a produrre
caff di maggiore qualit, che poi si traduce anche in una maggiore remu-
nerazione attraverso il riconoscimento di prezzi di vendita superiori rispetto
a quelli di mercato. Il torrefattore dal canto suo riesce a garantirsi partite di
caff pi pregiate e a conoscere tutte le peculiarit che le contraddistingue,
mentre il barista, non solo ha la possibilit di ottimizzare lestrazione in vir-
t della conoscenza di tutte le variabili a monte della filiera, ma anche in
grado di fornire un feed-back tecnico e commerciale sul prodotto (sul ri-
scontro del consumatore), sia al torrefattore, sia al coltivatore.
Questo genere di rapporti, in particolare quello fra coltivatore e torrefatto-
re, sono stati favoriti anche dal programma Cup of Excellence (si veda
Tab. 11), promosso dallo SCAA, che dal 1999 effettua una sorta di competi-
zione annuale a livello di Paese produttore finalizzata alla selezione dei caff
di pi alta qualit che vengono poi venduti attraverso aste on-line. Oltre a te-
stare e valutare i lotti inviati dai produttori, i buyer che partecipano al concor-
so come giudici, prima dellavvio delle aste normalmente visitano le pianta-
gioni e si confrontano con i coltivatori. Molti di essi stabiliscono cos dei
rapporti diretti, non solo con il vincitore dellasta, ma anche con gli altri pro-
duttori concorrenti e a volte anche con quei produttori, che pur non avendo
partecipato, applicano tuttavia le stesse pratiche di lavorazione dei vincitori.

31
Ci emerge chiaramente dalla dichiarazione del fondatore di Stumptown, Duane Soren-
son, abbiamo avviato Stumptwon con lidea di andare alla fonte (Ozersky, 2010).

160
Tab. 11 Il Programma Cup of Excellence

Il programma Cup of Excellence consiste in un concorso volto a premiare la qualit del caff. Esso stato isti-
tuito nel 1999 per il Brasile e poi via via esteso ad altri Paesi produttori. I partecipanti alla competizione di ogni
Paese produttore coinvolto possono sottoporre campioni di caff che vengono esaminati in un primo screening,
per verificare che soddisfino standard minimali. Poi il caff viene valutato, almeno cinque volte, da un panel qua-
lificato di giudici in un blind-test. Il panel fornisce una valutazione finale da cui emerge il caff migliore. Il caff
vincitore viene cos venduto in unasta on-line, che pu raggiungere anche valori molto elevati, anche oltre i 700$
al kg di caff verde, come avvenuto nel caso del caff Mocca di El Injerto del Guatemala, che stato battuto
per 210,5 dollari per pound. Valori interessanti vengono anche raggiunti da tutti quei caff che hanno comunque
superato buone valutazioni, normalmente oltre gli 80 punti. Al momento hanno partecipato alla competizione:
Brasile, El Salvador, Costa Rica, Nicaragua, Guatemala, Honduras, Messico, Burundi, Ruanda, Colombia e Boli-
via. Per maggiori approfondimenti, si rimanda al sito ufficiale:
http://www.allianceforcoffeeexcellence.org/en.

In questo sistema di interscambio viene sempre pi spesso coinvolto an-


che il consumatore finale; molte torrefazioni e coffee shop realizzano infatti
delle sessioni di assaggio (attraverso il metodo del cupping alla brasiliana)
aperte ai consumatori, consentendo loro di essere da un lato partecipi alla
selezione dei caff e dallaltro di approfondire sempre pi il loro livello di
conoscenza.
Il consumatore si tramuta cos in quello che Toffler (1980)32 ha definito
prosumer e che secondo la sua visione costituisce un elemento caratte-
rizzante dellera post-industriale (da lui chiamata appunto Third Wave).
Il coinvolgimento del consumatore consolida i rapporti con il coffee shop e
funge dunque da importante fattore di fidelizzazione.
Unaltra particolarit della Third Wave il forte senso di comunit
che lega i vari soggetti: esso in parte conseguenza del rapporto relazionale
che unisce verticalmente i vari attori della filiera, e in parte frutto
dallampio ricorso alle tecnologie del web 2.0 e dei social media. I prota-
gonisti di questo mondo, infatti sono prevalentemente giovani, figli della
web generation, e quindi sono particolarmente inclini a sfruttare tutte le
potenzialit offerte dalle comunit virtuali. Allinterno di queste comunit
si percepisce un forte senso di appartenenza fra tutti i soggetti, i quali par-
tecipano allo scambio di informazioni e di esperienze: i baristi ad esempio

32
Secondo Toffler lera post-industriale (Third Wave) si caratterizza per la parziale sosti-
tuzione dei consumatori puri (che acquistano i prodotti e servizi da altri soggetti) con i
prosumer, ovvero con un genere di consumatore che partecipa attivamente alla produzione
dei prodotti e servizi che entrano nel suo consumo. Alla base di questi due generi di consu-
matore c la distinzione fra produzione per luso e produzione per lo scambio.

161
si confrontano direttamente sui social (in particolare su Twitter, Fa-
cebook, YouTube, Pinterest, Instagram, Flickr, Vimeo ecc.),
sui blog e forum (come ad esempio Coffeegeek, Coffeed, Cof-
feeexhange, Sprudge ecc.), scambiandosi opinioni, esperienze, suggeri-
menti. In questo processo viene spesso coinvolto lo stesso consumatore,
almeno quello pi aperto e fidelizzato, che partecipa attivamente alle di-
scussioni. Come sostiene Nich Cho, fondatore di Murky coffee e fra i pi
seguiti blogger del settore: per ottenere risposte e/o connettersi con coeta-
nei, non abbiamo pi bisogno di attendere seminari o corsi offerti dalle fie-
re. Sembra che lintera comunit della Third Wave risieda online. Alcuni
degli argomenti pi interessanti e dibattiti pi attivi avvengano su forum
on-line, come il BGA (Barista Guild of America) e bacheche come RG
(Rostaers Guild) (T. Skeie, 2006). In questo modo non esistono pi barrie-
re geografiche, per cui le informazioni rimbalzano contemporaneamente in
tutti i continenti e il processo di scambio diventa veloce e globale.
Un contributo al senso di comunit viene fornito anche dalle varie ema-
nazioni delle associazioni dello Specialty Coffee (SCAA), fra cui il Bari-
sta Guild (si veda Tab. 12), in cui convergono i baristi che condividono la
stessa passione e filosofia del caff e che attraverso eventi, momenti forma-
tivi e incontri (vedi ad esempio i Barista Jams33) si sfidano, si confronta-
no sulle tecniche del barista e si scambiano competenze e conoscenze; op-
pure come il Roaster Guild (si veda Tab. 12), che riguarda il mondo delle
torrefazioni artigianali, e che promuove e stimola il miglioramento della
qualit del caff attraverso la definizione di linee guida legate alla tostatura,
o ancora come il World Coffee Events, che, attraverso le competizioni
nelle varie discipline (World Barista Competition34, World Latte Art,
World Coffee in Good spirits, World Coffee Roasting, World Cuptaster,
World Brewers cup, Ibrik championship), organizza e coordina eventi che
costituiscono importanti momenti di sfida, sia a livello nazionale che mon-

33
Il Barista Jams, consiste in un evento in cui due o pi baristi si riuniscono nello stesso
luogo per condividere le conoscenze e la tecnica associata al mestiere di barista. Spesso que-
sti barista jams coinvolgono un certo numero di baristi (10 o pi) creando un vero e pro-
prio evento mediatico che rafforza il senso di comunit.
34
Il World Barista Championship la competizione pi prestigiosa e la pi antica. Nata su
iniziativa dello SCAE e dello SCAA (che sono tuttora i proprietari dei diritti), dal 2000 ogni
anno elegge il Barista Campione del mondo, che generalmente espressione del mondo
Third Wave. Alle finali mondiali possono partecipare i baristi che sono risultati campioni
nazionali. Allo stato attuale partecipano 56 nazioni. Per un maggiore approfondimento, si
rmanda al sito ufficiale : http://www.worldbaristachampionship.org.

162
diale, rappresentando cos anche grandi occasioni di socializzazione, di
networking, di scambio di competenze fra operatori di tutto il mondo.

Tab. 12 Il Barista Guild e il Roaster Guild

Barista Guild
Il Barista Guild unassociazione di baristi creata nel 2003 negli Stati Uniti per rappresentare gli interessi
dei baristi allinterno dello SCAA. Essa si occupa di promuovere caff di qualit come principio base per il suc-
cesso, di stimolare la ricerca e lapprofondimento della conoscenza sul caff, la comunicazione fra i baristi mem-
bri attraverso la comunit, qualificare e riconoscere il ruolo del barista. Come associazione organizza workshop
formativi per baristi, eventi di incontro e di confronto (come il Barista Jams), competizioni, e fa networking an-
che attraverso canali social, newsletter, blog. Per maggiori informazioni, il sito ufficiale :
http://www.baristaguildofamerica.net.
Roaster Guild
Il Rosters Guild una sorta di corporazione interna allo SCAA (Specialty Coffee Association of America),
la quale coinvolge i torrefattori artigianali e specializzati nei caff di qualit e che promuovono la qualit come
principio base del successo. In quanto associazione rappresenta gli interessi di questo genere di torrefattori e
delinea le linee guida per farne parte. Si occupa della formazione dei torrefattori, organizza eventi di incontro e di
confronto, e condivide le informazioni attraverso forum, social network e riviste. Per un approfondimento, si ri-
manda al sito ufficiale: http://roastersguild.org.

La velocit con cui circolano le informazioni, attraverso queste comuni-


t, stimola linnovazione da parte di tutti gli attori e, quindi, in ultima anali-
si, favorisce il rafforzamento competitivo del settore nel suo complesso. Ne
prova quanto avvenuto nel settore delle macchine per caff espresso; le
aziende maggiormente coinvolte in questo mercato, vedi La Marzocco,
Nuova Simonelli, Dalla Corte, Synesso, si sono dimostrate molto pi
dinamiche in tema di innovazione tecnologica, rispetto ai loro competitor,
pi focalizzati sui mercati tradizionali.
Un altro aspetto che differenzia la Third Wave dalla Latte revolu-
tion riguarda lambientazione: in questo caso il locale per s, assume un
ruolo diverso rispetto a quello che esso ha nelle catene di coffee shop. Ri-
sulta meno rilevante il ruolo del third place oldendburghiano, poich il
consumatore si rivolge a questa nuova tipologia di coffee shop per
unesperienza sensoriale diversa da quella di trascorrere del tempo in relax.
Sono lautenticit e la vera passione per il caff ad essere essenziali per il
consumatore, che normalmente fidelizzato (e quindi un habitu del locale)
e vuole sentirsi parte di una certa lite culturale, un intenditore, e in quanto
tale pretende purezza e qualit, mentre vive con fastidio qualsiasi artificio o
accorgimento barocco falsamente autentico. Il coffee shop Third Wave
tendenzialmente molto pi minimal nellarredamento, mediamente pi pic-

163
colo in termini di superficie e raramente posizionato lungo le principali
vie di passeggio o di comunicazione. In termini di arredo i locali della nuo-
va generazione usano materiali poveri, come legni non trattati, metallo e
muratura, con una prevalenza di colori caldi. Il bancone, generalmente di
grandi dimensioni, posto al centro e risulta molto semplice nella sua fat-
tezza, con un banco di servizio e mescita spesso in legno, in cui la macchi-
na da caff, rigorosamente tradizionale, insieme ai molteplici macinacaff
on-demand (uno per ogni tipologia di caff proposta), risulta essere
lelemento pi in vista. I pochi dolci disponibili sono tenuti e serviti su ta-
glieri di legno, raramente c una vetrina, e quando presente di piccole
dimensioni e semplice. I tavoli, generalmente poco numerosi, sono piccoli e
contornati da sedie o panche a muro. Vero protagonista della scena il caf-
f, che spesso viene anche proposto su confezioni in grani per luso dome-
stico. Il locale diventa cos una sorta di negozio specializzato del caff
dove lintenditore pu trovare, oltre al caff nelle sue variet, tutti i prodotti
complementari necessari per coltivare la sua passione allinterno delle mura
domestiche.

4.4. I fattori di criticit per lo sviluppo della Third Wave

Come abbiamo visto precedentemente, uno degli elementi distintivi del


nuovo movimento Specialty lelevata sofisticatezza del servizio, con
una preparazione meticolosa di ogni bevanda. Questo fattore costituisce, al
tempo stesso, una criticit allo sviluppo e alla diffusione del movimento per
due motivi:
la bassa produttivit e la difficile sostenibilit economica;
le elevate skill richieste al Barista.
Un servizio particolarmente curato richiede tempo: non inusuale at-
tendere anche 5 o 10 minuti per avere un caff o una tazza di cappuccino.
La lentezza costituisce uno dei limiti di questa tipologia di locali, almeno
per certe fasce di consumatori, cos come lo , a volte, una certa ostentazio-
ne nel presentare il prodotto, che pu essere percepita ridondante, se non
addirittura presuntuosa.
Come fa notare Jamie Cunningham, direttrice del training centre di
Bongo Java Roasting Company: nella mia esperienza, la maggior sfida
per chi dietro al bancone rappresentato dal flusso. I nostri negozi sono
estremamente affollati. Prendersi pi di un minuto o due per coinvolgere il
consumatore, con cinquanta persone in coda una sfida impossibile. Molti
clienti non vogliono la storia, ma vogliono semplicemente il loro caff (L.

164
Kubota, 2012). Aggiunge poi Lorenzo Pewrkins, un barista membro del
Barista Guild of America Executive Council: per gran parte della gente
il caff pi unabitudine che unesperienza. Ogni mattina la gente del glo-
bo inizia la giornata col suo rito del caff. Pu quindi risultare difficile
coinvolgere il cliente nel tentativo di spiegare in cosa diverso o unico il
suo caff, quando arriva in uno stato di sonni-veglia e nella fretta di recarsi
al lavoro (Kubota, 2012). Labilit di essere inclusivo, e quindi di saper
distinguere fra chi cerca la storia del suo caff, e chi no, costituisce spesso
un fattore che caratterizza il bravo barista.
La lentezza del servizio ha anche un risvolto economico in quanto si
traduce in bassa produttivit e dunque in elevati costi gestionali, soprattutto
di personale. Tali aspetti, laddove il mercato non disposto a riconoscere
prezzi sufficientemente remunerativi, possono rivelarsi critici per
lespansione ad ampio raggio di questo genere di locali. Ci stato in parte
riconosciuto dal direttore generale SCAA, Richard Rhinehart (Kubota,
2011), quando nel corso del Symposium del 2011, individu le tre impor-
tanti sfide a cui sottoposto il mondo del caff:
il caff deve essere unattivit remunerativa per tutti gli attori coin-
volti nel ciclo di produzione;
il caff deve essere unattivit dallinvestimento ragionevole dal pun-
to di vista finanziario;
il caff deve costituire unesperienza preziosa e appagante per il con-
sumatore.
La seconda criticit alla diffusione su ampia scala di questo genere di
locali sta nelle elevate competenze richieste al barista, che sono necessarie
per garantire una costanza e al tempo stesso unelevata qualit delle bevan-
de servite; due condizioni fondamentali, quanto indispensabili, per soddi-
sfare e attrarre il consumatore. Come evidenzia a questo riguardo Lorenzo
Perkins, unaltra sfida imminente che noi baristi dobbiamo fronteggiare
la nostra abilit a servire costantemente lesperienza di gusto che dichia-
riamo di offrire. Mantenere gli standard qualitativi, sia nei momenti di mas-
sima affluenza, che in quelli di minor traffico e rimanere costanti giorno
dopo giorno e barista dopo barista, qualcosa che le caffetterie della nuova
generazione devono saper fronteggiare. Un barista poco attento pu, nel gi-
ro di pochi secondi, distruggere ci che sarebbe stato un caff eccellente
(Kubota, 2012). Fra laltro, i delicati caff che vengono utilizzati in questo
genere di locali risultano molto meno indulgenti rispetto a quelli usati ad
esempio nelle catene, per cui anche piccoli errori nella preparazione posso-
no significare un evidente decadimento qualitativo. Quello delle elevate
competenze richieste al barista costituisce uno scoglio che il movimento sta

165
cercando di superare, sia attraverso la realizzazione di percorsi di forma-
zione sempre pi qualificati e sia attraverso le competizioni fra i baristi (si
veda ad esempio il campionato World Barista Championship, o quello
del World latte art, o ancora del World brewing championship) che
sfornano veri e propri professionisti del mestiere.
Il movimento Third Wave oggi presente in molti Paesi al mondo e sta
contaminando sempre pi nazioni. Attualmente, oltre allAustralia e Nuova
Zelanda, esso particolarmente forte negli Stati Uniti, Canada, nei Paesi
Scandinavi, in Olanda, nel Regno Unito e in alcuni Paesi asiatici, fra cui il
Giappone e la Corea. Il movimento si sta affacciando anche a Paesi con una
lunga tradizione al caff e al caff espresso, come ad esempio in Francia e in
Grecia, mentre incontra ancora forti resistenze in Italia e Spagna.
Pur essendo costituito da realt di piccole e piccolissime dimensioni, e pur
essendo ancora circoscritto a un ristretto numero di Paesi (soprattutto alle lo-
ro aree metropolitane), il movimento in oggetto sta rivelando una certa forza
nel lanciare nuove mode e nel cambiare lo stile di consumo del caff fra i
consumatori, che, in pi di unoccasione riuscito a mettere in seria difficol-
t i colossi della Latte Revolution (come abbiamo anche riscontrato nel ca-
so di Starbucks), imponendo loro di adeguare, se non di ripensare, le loro
strategie ed i loro modelli di business. Lo dimostra il fatto che molte catene
stanno in qualche modo riposizionando il loro servizio e revisionando la loro
offerta per proporre unesperienza pi Specialty: cos c chi, come ad
esempio McCaf, sostituisce la macchina superautomatica con macchine tra-
dizionali, per trasmettere un valore pi autentico e qualificato al servizio, o
chi, come Starbucks, sta debrandizzando alcuni negozi a insegna per testa-
re nuovi format, pi vicini ai locali della Third Wave, oppure chi, a fianco
alla classica offerta di caff, propone caff a tostatura chiara, come ha recen-
temente fatto Peets Coffee & Tea, o Tullys, o la stessa Starbucks quando,
nel gennaio 2012 ha introdotto il Blonde Coffee35, chiamato cos per ragio-
ni di marketing36. Pi che di un atto di volont, si trattato di una scelta ob-
bligata, dal momento che la pressione della clientela per avere un caff dalla
tostatura pi chiara stava crescendo sia sul web e sia nei negozi; in un son-
daggio commissionato da Starbucks il 42% dei clienti intervistati avevano
espresso la preferenza per un caff pi chiaro.

35
Roast Magazine 2-2-12 Coffee snobs Unite Over Hatred of Dark Roasts.
36
Luso del termine Light (leggero) per intendere che il caff aveva subito un minor grado
di tostatura stato ritenuto poco opportuno poich esso avrebbe potuto condurre il consuma-
tore a credere che si trattasse di un caff pi povero. Per questo si preferito luso di un
termine pi neutro come Blonde (biondo).

166
Alla luce di questi cambiamenti, risulta evidente che limpatto del nuo-
vo movimento di gran lunga superiore alla forza economica che le sue
piccole realt riesce a esprimere; esso riuscito ad alzare lasticella delle
aspettative del consumatore e quindi a porre gli operatori, i grandi torrefat-
tori e le catene in primis, di fronte a nuove e pi ambiziose sfide. Grazie a
questo fenomeno, la qualit del caff ritornata al centro della scena com-
petitiva, come risulta anche dallindagine di Allegra Strategies (si veda Fig.
3), secondo cui i vari operatori, dopo aver dedicato particolare attenzione
allambientazione e alla localizzazione dei negozi, stanno ora rimodulando
la loro offerta per elevare la qualit del prodotto.
Un contributo al maggior interesse verso la tematica della qualit arri-
vato paradossalmente dalla difficile congiuntura economica degli ultimi
anni. Come evidenzia lo SCAA Coffeehouse Sales Trends Report (2011),
se, da un lato, essa non ha avuto sostanziali ripercussioni negative sul con-
sumo del caff (proprio per la sua valenza di costituire un lusso accessibi-
le) dallaltro, per, il consumatore ha reagito abbassando lo scontrino me-
dio. Infatti, come emerge da alcune ricerche di mercato, in concomitanza
con la crisi economica, le vendite delle bevande di puro caff (caff filtro e
caff espresso tradizionale) sono cresciute pi velocemente rispetto alle pi
costose bevande con aggiunta latte. Ci significa che, la qualit del caff
divenuta pi percettibile per il consumatore.
In sintesi possiamo concludere che, pur sembrando impari il confronto fra
le micro-realt della Third Wave e le mega realt della Latte Revolution,
se non altro in termini di forza muscolare, in realt esse si stanno rivelando
particolarmente insidiose soprattutto per queste ultime. Infatti, nonostante le
catene commerciali stiano facendo di tutto per saturare le citt di coffee shop,
e occupare ogni spazio interessante disponibile, in realt sembra che ci non
comporti ripercussioni negative nei confronti dei piccoli indipendent che
operano nel segmento alto dello Specialist. Abbiamo gi trattato delle diffi-
colt incontrate dalle catene (Starbucks in primis) in Australia e Nuova Ze-
landa, ma se spostiamo il focus anche sulla patria delle catene di coffee shop,
ovvero negli Stati Uniti, notiamo che la situazione non poi molto diversa.
Secondo i dati dello SCAA, il 57% delle caffetterie americane sono esercizi
indipendenti; se osserviamo quanto avvenuto nel periodo tra il 2000 e il
2005, che corrisponde al quinquennio della massima espansione delle catene
(in cui ad esempio la sola Starbucks passata da 2.700 a 7.500 negozi), os-
serviamo che il numero di caffetterie indipendenti statunitensi anchesso
cresciuto, passando da 9.800 a poco meno di 14.000 unit (Clark, 2007, p.
140). Ci significa che lespansione delle catene non avvenuta a scapito

167
degli indipendent e anzi, in molti casi, esse si trovano paradossalmente in
condizioni di maggiori difficolt nel confronto competitivo.
Questo quadro contrasta con quanto avvenuto in altri comparti, non ul-
timo quello della distribuzione, in cui lespansione della GDO avvenuta
soprattutto a spese dei piccoli dettaglianti. Ci viene allora da chiederci, per-
ch nel caso delle caffetterie non si sta verificando la stessa cosa?
Una delle ragioni, secondo Clark, risiede probabilmente nel fatto che
Starbucks, al pari dei suoi diretti competitor, non gode degli stessi vantaggi
competitivi degli altri mega distributori. Infatti, se osserviamo le leve utiliz-
zate dai grandi big della GDO per prevalere sui piccoli dettaglianti, notiamo
che essi si sono basati fondamentalmente su politiche di prezzo particolar-
mente aggressive (almeno nelle fasi iniziali), su unelevata estensione
dellofferta di prodotti (sia in termini di ampiezza che di profondit) tale da
far sfigurare quella dei dettaglianti, e su una serie di servizi accessori gratuiti
particolarmente utili per il cliente, come la disponibilit di ampi parcheggi
gratuiti, orari di apertura pi lunghi rispetto a quelli degli altri esercizi, for-
mule di acquisto a rate e sistemi di fidelizzazione con sostanziosi premi.
Nulla o quasi di tutto questo applicabile nel caso delle catene di caffette-
ria. I loro prezzi sono normalmente pari, se non addirittura superiori, a quelli
degli esercizi indipendenti; ci in quanto i costi di affitto e quelli del persona-
le hanno unincidenza particolarmente elevata. In termini di orari, i negozi
delle catene chiudono spesso nelle prime ore della sera, quando invece le caf-
fetterie indipendenti possono restare aperte fino a tardi per attirare studenti e
nottambuli sino alle ore piccole. Anche in termini di offerta, le caffetterie non
si discostano molto dagli indipendenti, in quanto ogni tentativo di estendere
la gamma a panini, insalate o altri prodotti, si rivelato nella maggior parte
dei casi un flop commerciale. Da ci si evince che nel caso delle caffetterie,
le catene non possono avvantaggiarsi di quelle leve competitive che general-
mente sono associate alla scala della grande dimensione.
A ci si aggiunge un secondo fattore: come sostiene Bruce Milletto, pre-
sidente dellAmerican Barista Coffee School di Portland, i negozi tipo
Starbucks sono una garanzia per una prima esperienza del caff di qualit,
dopo la quale la gente ha meno paura di partire in esplorazione (Clark,
2007, 142). Ci significa che le catene fungono da porta di accesso al caff
per nuove fasce di consumatori, i quali per poi sviluppano un loro percor-
so evolutivo nel consumo, che presuppone esigenze pi sofisticate e non
pi compatibili con lofferta standardizzata delle catene. I coffee shop della
Latte revolution costituiscono dunque il primo step di questo percorso,
mentre gli specialties store vanno a soddisfare gli step successivi.

168
Da questa prospettiva, il rapporto fra le catene e gli indipendent sembra
pi di tipo complementare che non conflittuale. Ci avvalorato anche dal-
la constatazione che nel settore del caff, cos come avviene in quello della
ristorazione, un insieme di caffetterie contigue normalmente raggiunge
(come gruppo) risultati migliori di quanto non farebbe lo stesso numero di
caff lontani gli uni dagli altri, poich vicini formano un polo che attrae pi
consumatori.
La contemporanea presenza di entrambe le tipologie di coffee shop por-
ta a un ulteriore vantaggio, poich esse vengono reciprocamente stimolate a
rendere pi competitiva la loro offerta e a migliorare il loro servizio, facen-
do cos progredire il settore nel suo complesso verso spazi sempre pi diffi-
cili da raggiungere per le realt di altri Paesi. Le varie misure attuate da al-
cune catene per rendere pi Specialty la loro offerta, cos come la loro
rincorsa verso un miglioramento qualitativo del caff sono solo due esempi
di questa evoluzione.

4.5. Il sistema monoporzionato: una Fourth Wave?

Negli ultimi tempi, diversi operatori e analisti del settore si stanno chie-
dendo se sia gi in atto un nuovo paradigma nel mercato del caff; alcuni di
loro parlano di Fourth Wave per contraddistinguere aspetti gi contem-
plati dalla Third Wave, come ad esempio il rafforzamento del legame re-
lazionale e lintensificazione degli scambi comunicativi fra produttore, tor-
refattore, barista e consumatore, in modo da elevare ulteriormente il livello
qualitativo del prodotto e rendere il business pi sostenibile a ciascun attore
della filiera. Altri, fra cui Jeffrey Young (2012), AD di Allegra Strategies,
ritengono che la Fourth Wave si caratterizzi per una maggiore scientifici-
t delle competenze e delle conoscenze fra i vari attori della filiera. In en-
trambi i casi, pi che essere di fronte a un nuovo paradigma, ci troviamo di
fronte a step evolutivi dellattuale paradigma. Infatti, come abbiamo visto
nel corso del presente capitolo, si pu parlare di nuovo paradigma quando
ricorrono tre condizioni:
si di fronte a un cambio radicale degli attori coinvolti sul lato
dellofferta;
cambia il modello di business attuato dalle aziende protagoniste;
ci si rivolge a una nuova tipologia di consumatori.
Nei casi sopra citati non si realizza nessuna di queste condizioni e per
questo risulta a nostro avviso improprio parlare di Fourth Wave.

169
Si pu invece parlare di nuovo paradigma quando si fa riferimento a un
fenomeno che sta esplodendo in quasi tutti i principali Paesi consumatori
del mondo: ci rifacciamo al fenomeno del monoporzionato, ovvero al
caff pre-macinato, dosato e pressato servito su capsule (in plastica o in al-
luminio) o su cialde in carta filtro.
Pur non trattandosi di una novit tecnica, in quanto i primi esperimenti
risalgono agli inizi degli anni Settanta e il primo brevetto risale al 1976 (si
veda la Tabella 13), tuttavia la sua forza dirompente sul mercato arrivata
in tempi molto pi recenti e, possiamo ritenere che, solo a partire dal nuovo
millennio, questo business ha acquisito quella dimensione significativa ti-
pica di un nuovo paradigma.
Il motivo di questa lunga fase embrionale probabilmente da attribuire
in prevalenza allimmaturit della domanda e solo in piccola parte a limiti
tecnologici. Infatti, se vero che nelle fasi iniziali la tecnologia non era an-
cora sufficientemente affidabile (sia riferita al sistema di confezionamento,
che alle apparecchiature di estrazione), essa ha comunque raggiunto un li-
vello accettabile dalla seconda met degli anni Ottanta. Inoltre, cos com
avvenuto in molti altri mercati, normalmente la tecnologia tende ad accele-
rare il ritmo di innovazione quando c una forte spinta in tal senso da parte
del mercato.
A limitare lesplosione del mercato stata soprattutto la domanda, che,
fino alla seconda met degli anni Novanta, non aveva ancora maturato tutti
i presupposti necessari alla sua deflagrazione. Il mercato del monoporzio-
nato, pur non riguardando oggi solo il caff espresso, tuttavia nasce e si svi-
luppa intorno a questa tipologia di prodotto.
Ancora una volta il bar italiano a fornire lispirazione a tale mercato;
come ha dichiarato Favre, lautore del primo brevetto Nestl (1976), la sua
idea stata stimolata dalla volont di rendere possibile a chiunque di prepa-
rare e gustare il miglior espresso italiano nel comfort della propria casa.
Lintuizione gli arrivata frequentando insieme a sua moglie (italiana) il
Caff SantEustachio a Roma osservando i gesti del barista. Come lui
racconta, il signor Eugenio barista usava ancora le vecchie macchine
da caff a leva a quattro gruppi. Per preparare un caff egli non tirava la le-
va in basso una sola volta come facevano tutti gli altri baristi, ma pompava
per tre o quattro volte. In questo modo mi spieg che faceva areare il caff.
Cos ho capito che per fare un buon caff espresso necessario introdurre
una quantit massima di aria in acqua prima che entri in contatto con il caf-
f. Lespresso fatto di una miscela di oli, aria, acqua e caff. Laria il 20
per cento di ossigeno; questo ossida gli aromi e gli olii essenziali e rende
possibile estrarli pi rapidamente. molto semplice, ma nessuno ci aveva

170
pensato prima. Infatti, non ho inventato la capsula, ma ho inventato una
formula (Wipo Magazine, 2010). Dopo questa esperienza inizi a lavorare
a una cella di estrazione e dunque alla creazione della prima capsula.
Risulta evidente che non si pu parlare di sistemi monodose senza far ri-
ferimento al caff espresso allitaliana, il quale, come abbiamo visto, si dif-
fonde in gran parte dei Paesi esteri a ridosso degli anni Novanta. La sua
espansione ad ampie fasce di consumatori stata una pre-condizione per lo
sviluppo di tale mercato.
A ci se ne associa una seconda, in parte legata alla prima, e che riguar-
da levoluzione delle esigenze del consumatore. Il prezzo di vendita del
caff monoporzionato sensibilmente superiore a quello tipico della First
Wave (dalle tre alle otto volte pi costoso), e tale differenziale costituiva
una barriera, fino a quando il consumatore non ha maturato un livello di so-
fisticatezza tale da renderlo propenso ad accettare un prezzo pi elevato pur
di godere di un caff di qualit superiore, oltre che pi facile da usare.
Entrambe le condizioni si concretizzano, in gran parte dei Paesi esteri,
solo dopo laffermazione delle catene di coffee shop, che hanno, da un lato,
decomodizzato il caff e, dallaltro, hanno fatto conoscere nuovi modi di
preparazione della bevanda e in particolare hanno diffuso la moda del caff
espresso e dei suoi derivati. In altri termini, larrivo della Latte revolution
ha fatto s che il consumatore abituato a gustare le bevande dei coffee shop,
una volta a casa o in ufficio, non si accontenti pi di un caff mediocre e
non si lasci scoraggiare da un costo maggiore pur di assecondare questa
esigenza.

Tab. 13 Scheda storica Nespresso

1970: Nestl, fino ad allora molto focalizzata sul caff solubile, rileva un rallentamento dei consumi in alcuni mer-
cati chiave, come quello USA, e cerca nuove vie per contrastare questa dinamica. Cos, nel reparto R&S
vengono avviati i primi studi per sviluppare un sistema capace di dare la possibilit agli amanti del caff
espresso allitaliana di poterlo gustare a casa o in ufficio senza doversi necessariamente recare in un bar
o in una caffetteria.
1974: Nestl acquista i diritti di commercializzare lidea del Battelle Research Institute.
1976: Nestl brevetta un nuovo concetto di caff in capsula (per opera di Eric Favre). Il progetto incontra resi-
stenze interne, per lo pi legate ad aspetti commerciali legate allelevato costo del prodotto per il consu-
matore e ad aspetti relativi allincostanza qualitativa dellespresso e a problemi legati alla freschezza del
prodotto. Il progetto prosegue grazie alla determinazione di un gruppo di persone della R&S.
1982: La divisione Nestl Food Service fa i primi test nel mercato della ristorazione, ma dopo aver installato le
prime macchine il progetto viene abbandonato da questa divisione. Il progetto passa quindi alla Sobal,
unazienda svizzera che distribuiva elettrodomestici e che era presente nel mercato del caff negli uffici.
1986: Viene fondata a Vevey la societ Nestl Nespresso SA e inizia cos lintroduzione del sistema Nespresso

171
nel mercato ufficio svizzero, cos come in quello italiano e successivamente in quello giapponese. Quat-
tro sono le variet proposte: Capriccio, Cos, Decaffeinato, e Bolero (poi rinominato Volluto). Due modelli
di macchina: C100 e C1100.
1987: I risultati commerciali non sono particolarmente soddisfacenti: la vendita di macchine largamente inferio-
re rispetto ai target e senza macchine non si vendono capsule. Le performance del mercato giapponese
sono molto deludenti. Ad aggravare la situazione contribuisce lelevata inaffidabilit delle macchine, che
facevano lievitare il budget per i servizi di manutenzione. Tutto ci aveva reso il progetto economicamen-
te insostenibile.
1988: Jean-Paul Gaillard succede a E. Favre come CEO e d un forte impulso al marketing e alle vendite.Viene
assunto Yannick Lang (un executive della Philip Morris) che sposter il target del business dal mercato
degli uffici a quello domestico. Lorganico dellazienda di 8 persone.
1989: Nespresso sigla un accordo commerciale con Turmix per la produzione e la distribuzione delle macchine
Nespresso nel mercato svizzero. Nespresso si rivolge ora a un nuovo target, quello domestico. Dopo
aver verificato che il canale della GDO non era particolarmente adeguato per veicolare il nuovo prodotto,
viene creato il Nespresso Club per offrire servizi personalizzati ai clienti, al fine di avere un contatto di-
retto con i consumatori, di garantire la loro fedelt e di difendere la marginalit (che sarebbe stata persa
se si fosse optato per il canale retail).
1991: Vengono aperti nuovi mercati esteri come: Francia, USA.
1992: Si aprono i mercati della Germania e del Benelux. Vengono introdotti dei miglioramenti tecnici alla capsula
spostando il filtro dallesterno allinterno della stessa.
1993: Vengono introdotte due nuove variet di caff: Roma e Toscana (poi rinominata Arpeggio). Viene
creata una seconda linea di produzione nello stabilimento di Orbe per raddoppiare la capacit produttiva.
1995: Nespresso raggiunge il break-even point.
1996: Viene introdotta una nuova generazione di macchine: C250/554 con funzioni pi automatiche e migliorate
da un punto di vista dellaffidabilit. Vengono aperti altri mercati: Spagna, Austria, Regno Unito, Medio
Oriente, Australia. Il sistema Nespresso viene adottato da alcune compagnie aeree (British Airways, Ca-
thay Pacific, Swissair) per le lounge di prima classe. Nespresso pu contare su 3.500 punti vendita e cir-
ca 180.000 membri iscritti al Club Nespresso. In Francia iniziano i primi test di mercato per il settore out-
of-home.
1997: Viene aggiunto Ristretto, lottava variet di caff. Alla comunicazione del passa parola viene aggiunta
anche quella pubblicitaria. Vengono avviate collaborazioni con altri partner, come Jura per la Svizzera e
Benelux, Magimix per la Francia e KitchenAid per gli USA; pi tardi avvier la collaborazione anche con
Krups, Alessi, DeLonghi. I membri del Nespresso Club hanno raggiunto quota 220.000 unit.
1998: Viene creato un sito web al fine di promuovere le-commerce.
1999: Il parco macchine installate raggiunge la soglia delle 350.000 unit, di cui 100.000 vendute in un solo an-
no. La capacit produttiva pari a 350 milioni di capsule annue. Viene lanciato il sistema Nespresso
Professional con macchine dedicate e con un format di capsula a forma di cialda. Nespresso intende ri-
volgersi al pi grande mercato di consumatori di espresso; da una ricerca era infatti emerso che in Italia,
il Paese con il maggior consumo di espresso, solo il 20% della popolazione beveva caff espresso in ca-
sa. Ancora pi bassi i tassi negli altri Paesi: in Francia, i consumatori di espresso sono il 66% della popo-
lazione e solo il 12% lo consumava in casa, mentre negli Stati Uniti tale percentuale era inferiore all1%.
2000: A Parigi viene inaugurata la prima boutique Nespresso. Lazienda ha un organico di 330 persone.
2001: Viene lanciato sul mercato un nuovo modello di macchina da caff (dal nome Concept) innovativo per

172
ergonomia. Viene introdotto anche il primo caff Grand Cru che dar avvio al programma Limited Edi-
tion, che proseguir negli anni successivi con due nuovi tipi di caff (le Special Club e le Limited Edi-
tion) ogni anno.
2002: Viene inaugurato un nuovo stabilimento che quadruplica la capacit produttiva.
2003: Viene lanciato il programma Nespresso AAA Sustainable Quality Program con lo scopo di promuovere e
sostenere lo sviluppo sostenibile di caff di migliore qualit.
2004: Viene inaugurato a Monaco il primo Nespresso Boutique Bar.
2005: Lazienda conta su un parco di 1 milione di macchine, mentre i membri del club hanno raggiunto quota 2,2
milioni (cresciuti di 800.000 solo nellultimo anno); il suo fatturato cresce del 36% raggiungendo quota
819 milioni di CHS, generato da 1,7 miliardi di capsule vendute (+29% sul 2004). La quota mercato de-
tenuta in Europa pari a 16,6% (secondo dati European market leader in espresso machines).
2006: Lattore George Clooney viene ingaggiato come global Nespresso ambassador e testimonial della campa-
gne pubblicitarie fino al 2013. Viene ampliata anche la gamma dei prodotti con lintroduzione delle cosid-
dette Variations, che vengono caratterizzate da diversi aromi (anice, caramello, cardamomo, cioccolato
e arancio ecc.). Lazienda presente in 35 Paesi con 42 boutique e sfonda la soglia di 1 miliardo di CHF
con un organico salito a 1.400 dipendenti.
2007: Viene aperta negli Champs-Elyses di Parigi la prima Flagship Boutique. Viene lanciata anche Lattissi-
ma, una nuova macchina che per la prima volta permette di soddisfare le esigenze di chi ama consuma-
re bevande a base di caff e latte.
2008: Il fatturato dellazienda raggiunge quota 2 miliardi di CHF.
2009: Viene inaugurato un nuovo impianto di produzione ad Avenches in Svizzera, con una capacit produttiva
annua pari a 4,8 miliardi di capsule.
2010: Viene inaugurato il nuovo quartier generale a Losanna; a fine anno il fatturato supera i 3 Miliardi di CHF
(con un incremento del 20% rispetto al 2009, in cui aveva fatturato 2,77 miliardi di CHF). Il Club Ne-
spresso ha nel frattempo raggiunto la quota di 10 milioni di membri, mentre le boutique nel mondo sono
pari a 215.
2011: Vengono lanciate due nuove macchine legate al programma B-to-B: Zenius e Aguila.
2013: Lazienda vanta una presenza in 60 Paesi con una rete di oltre 300 boutique e ha un organico complessivo
di 8.300 dipendenti.

I caff speciali e le limited edition


2002: Mysore (India) e Sidamo (Etiopia);
2003: Tarrazu (Costarica) e Korgua (Papua Nuova Guinea);
2004: Ixhuatlan (Messico) e Yunnan (Cina);
2005: Senang (Giava) e Sandona (Colombia);
2006: Bourbon Amarelho (Brasile) e Ensibuko (Uganda);
2007: O (Kenya) e Jalayatra (India);
2008: Goroka (Papua Nuova Guinea) e Jinogalpa (Nicaragua);
2009: Singatoba (Sumatra);
2010: Tanzar (Tanzania e Per) e Kazaar (Brasile e Guatemala);
2011: Onirio (Etiopia) e Dhjana (Brasile, Colombia, Costa Rica e India);
2012: Kazaar (Brasile e Guatemala).

173
Variations, prodotti proposti a partire dallanno 2006
2006: Vaniglia, Anice, Mela e Cannella;
2007: Mandorla, Cardamomo, Cioccolato e Arancio;
2008: Caramello, Zenzero candito, Mandarino;
2009: Crema di Marroni, Pan di Zenzero, Albicocca;
2010: Mandorla, Caramello, Vaniglia;
2011: Cherry, Dark Chocolate, Fiori di Vaniglia.

Ecco perch lavanzata del monoporzionato avviene solo dopo la diffu-


sione della Second Wave e in alcuni casi anche della Third Wave, la
quale, a differenza della precedente ha introdotto nel consumatore
laspettativa della variet del caff e la voglia di esplorarne i diversi aromi.
Il fatto che le ondate precedenti abbiano creato le premesse per larrivo
e la diffusione della nuova ondata, la Fourth Wave, coerente con la vi-
sione di Toffler, che parla di nuovo paradigma quando la portata dei
cambiamenti apportati sono tali di sconvolgere gli equilibri pre-esistenti e
quindi quando la sua manifestazione genera effetti dirompenti sulle prece-
denti.
Con riferimento al mondo del caff, possiamo ritenere che, pur non po-
tendo ancora considerare concluso il processo di affermazione dellondata
del monoporzionato, sono tuttavia gi evidenti alcuni effetti che essa sta
generando sul mercato.
Infatti, se da un lato, essa sembra coinvolgere soprattutto le aziende che
operano nellambito della First Wave, essendo rivolta prioritariamente al
consumo domestico e al consumo in ufficio (Office Coffee System, OCS),
tuttavia illusorio supporre che i suoi effetti siano circoscrivibili a questi
mercati.
Questa ondata, a differenza delle tre che lhanno preceduta, non attrae
nuove fasce di consumatori e quindi non genera nuova domanda, ma piut-
tosto va a sostituire altre forme di consumo.
Nei Paesi in cui ha gi raggiunto ampia penetrazione (come Svizzera,
Italia, Olanda, Belgio, Francia, Stati Uniti, Australia ecc.), le vendite dei
prodotti tradizionali della First Wave (caff solubile e caff macinato
confezionato) hanno subito sensibili contrazioni a vantaggio di una crescita
nei volumi del porzionato. In Australia ad esempio la quota del caff solu-
bile venduto nella GDO scesa dall80% degli inizi del decennio scorso, al
60% attuale, proprio per lavanzata del caff in capsula, che divenuta nel
frattempo la seconda categoria pi importante nelle vendite di caff. Negli
Usa il 13% dei consumatori di caff (e quindi l8% degli adulti) usa il si-
stema monoporzionato (Fernau, 2013).

174
Con riferimento al mondo Ho.Re.Ca, due sono gli effetti che questa
nuova tipologia di business sta generando:
effetti diretti, in quanto i principali player del monoporzionato, dopo
aver invaso il mercato domestico e quello dellOffice Coffee System,
stanno ora attaccando in modo sempre pi aggressivo il mercato
Ho.Re.Ca, in particolare il mondo degli Hotels e quello della ristora-
zione. Aziende come Nespresso, Lavazza e Green Mountain Coffee
(GMC), hanno messo in atto strategie (come la differenziazione dei
prodotti con linee dedicate e la creazione di attrezzature ad hoc) per
acquisire una maggior presenza in questo mercato, finendo quindi
per mettere in difficolt i torrefattori tradizionali che vi operavano;
effetti indiretti, legati al fatto che proponendo una tipologia di pro-
dotto simile a quello offerta nei coffee shop (caff espresso, cappuc-
cino ecc.), il monoporzionato converte una parte del consumo fuori
casa in consumo domestico o in consumo nei posti di lavoro, com-
primendo la domanda nellHo.Re.Ca. Ci particolarmente evidente
nei mercati pi maturi, come ad esempio quello italiano, in cui la
frenata dei consumi al bar registrata negli ultimi quindici anni in
parte attribuibile alla maggior diffusione di macchinette da caff ne-
gli uffici e nelle abitazioni. Tale processo altres in corso anche in
quei mercati meno maturi nel caff porzionato, come nel caso degli
USA, dove i grandi player del settore stanno mettendo in campo stra-
tegie per convertire una parte dellattuale consumo fuori casa in con-
sumo in capsule. Lo testimonia fra laltro lAD di Lavazza, Antonio
Baravalle, secondo cui c un grande potenziale di circa 90 milioni
di famiglie statunitensi che potrebbero consumare caff e altre be-
vande attraverso le capsule. Ci sono ben 4 miliardi di caff, cappuc-
cini e bevande a base di latte sorseggiate ogni anno dagli americani e
l85% fatto per strada []. Lobiettivo quello di fare in modo che
parte delle consumazioni di cappuccino che oggi avvengono fuori
casa si trasferisca tra le mura domestiche, con la stessa qualit di
prodotto, ma con un risparmio importante da parte del consumatore.
La sfida quindi quella di convincere gli americani a scegliere il caf-
f e il cappuccino fatto in casa (Ceia, 2012).
I player del caff pre-dosato stanno applicando al loro business alcune
delle stesse tecniche che abbiamo visto caratterizzare la Third Wave: Ne-
spresso ad esempio dal 2002 propone, a fianco alle 16 variet di Gran
Cru, le variet speciali a Limited Edition che cambiano di anno in anno.
Proposte simili sono state attuate poi anche da altri operatori, come ad
esempio K-cup, o Illy, la quale ad esempio propone i caff monorigine solo

175
nel formato capsula (iperespresso) e non nel formato grani. Queste tecni-
che di premiumisation, oltre ad assottigliare il gap percettivo fra le pro-
poste di offerta dei coffee shop e quelle delle capsule, finisce anche per
educare il cliente a un consumo pi evoluto del caff e quindi a elevare le
sue aspettative, alzando cos lasticella competitiva per tutti gli altri opera-
tori attivi nel business del caff. Infatti, una volta che il cliente si abituato
ad assaggiare a casa (o in ufficio) diversi profili di caff, a differenziarne il
consumo a seconda dei momenti della giornata o delle preferenze dei com-
ponenti del nucleo familiare, sar difficile poi soddisfarlo quando, recando-
si in un coffee shop o in un bar, gli si propone una singola miscela di caff.
Questi fattori evidenziano la portata della sfida che la nuova ondata del
monoporzionato sta lanciando a tutti i protagonisti delle precedenti ondate.
Come fa notare uno dei massimi esponenti della Third Wave, il torrefat-
tore e campione mondiale barista 2007, James Hoffman: linnovazione di-
struttiva spesso definita come il tipo di innovazione che crea nuovi mer-
cati. Linnovazione del monoporzionato sicuramente stata uninnovazione
di questo genere; sin dalla sua creazione, si contraddistinta da uninaf-
ferrabile penetrazione presso i consumatori e, in alcuni casi ha avuto una
crescita esponenziale. Ci che pi interessante, e per certi versi pi preoc-
cupante, il fatto che, come spesso avviene in questo genere di innovazio-
ne, il mercato sottovaluta la portata della nuova tecnologia e si rivela inca-
pace di reagire. [] Nel caso del monoporzionato, unampia fetta della
comunit specialty ha snobbato il suo impatto. Siamo convinti di essere
in grado di produrre una tazza migliore e cos stiamo sottovalutando le
enormi capacit finanziarie e tecnologiche delle imprese per colmare
lattuale gap qualitativo (Hoffman, 2012).
Il business del monoporzionato sta avanzando con ritmi di crescita annui
del 20-30%, che sono sensibilmente pi elevati rispetto a quelli registrati in
qualsiasi altro comparto del caff. Secondo recenti stimedi Mintel (K. Fer-
nau, 2013), il mercato vale 11,8 miliardi di dollari (dati riferiti al 2012,
quando nel 2007 era pari a 103 milioni di dollari e nel 2011 pari a 8 miliar-
di di dollari); la sola Nespresso, divisione della multinazionale Nestl che
opera in questo mercato, nel 2012 ha fatturato 3,66 miliardi di euro37. Per
avere un quadro della velocit di crescita basti pensare che questa azienda

37
Nespresso Nuova sconfitta nella battaglia legale contro i produttori di capsule compa-
tibili. Alta corte inglese d ragione a Dualit, che potr vendere liberamente i suoi serving
NS. Il colosso svizzero inaugura intanto il suo terzo stabilimento a Romont (cantone di Fri-
burgo) (Comunicaff, 29 aprile 2013).

176
nel 2000 dava lavoro a 331 persone e dopo dodici anni vanta un organico di
8.300 persone.
Tali dati, oltre a evidenziare la notevole forza durto di questa nuova
ondata, ci indicano anche unaltra sua peculiarit: il mercato fortemente
concentrato ed in mano a pochi grandi player. Gli attori del presente pa-
radigma sono dunque diversi da quelli che hanno caratterizzato sia la Se-
cond Wave e sia la Third Wave; a parte alcuni nuovi player (come
lamericana Green Mountain Coffee), essi sono costituiti da aziende del ca-
libro di Nestl (sia attraverso la divisione Nespresso e sia attraverso Ne-
scaf con Dolce&Gusto), Lavazza (con A Modo mio, Lavazza
Blue, Espresso Point), Douwe Egberts (con Senseo), Kraft (con Tas-
simo), Tchibo, ovvero operatori gi protagonisti della First Wave.
Possiamo allora rilevare che questo business (si veda Tab. 14) ha molti
tratti in comune con la First Wave fra cui:
anchesso trae origine da alcune innovazioni tecniche relative al pac-
kaging;
favorisce le aziende di grandi dimensioni, soprattutto per ragioni di
economie di scala legate agli ingenti investimenti iniziali;
vede come principali protagonisti le medesime multinazionali del
caff (salvo poche eccezioni);
fa largo uso delle leve del mass marketing, in cui la pubblicit e il
marchio rivestono un ruolo importante;
si rivolge prevalentemente al mercato domestico e a quello
dellOffice Coffee System, mentre solo marginalmente al mondo
Ho.Re.Ca (che include anche caffetterie e coffee shop).

Tab. 14 Le cinque caratteristiche della Fourth Wave

1. Si rivolge prevalentemente al consumo domestico e OCS;


2. Il prodotto non viene proposto in modo commodizzato, ma in unampia variet di gusti e aromi;
3. Il consumatore viene stimolato ad approfondire la sua cultura sul caff;
4. Gli operatori sono prevalentemente aziende multinazionali di grandi dimensioni;
5. Il brand e la leva della comunicazione sono fondamentali per il successo in questo mercato.

Al tempo stesso questo nuovo paradigma si distingue dalla First Wave


per delle peculiarit, come:
il prezzo non costituisce una variabile fondamentale;
il prodotto non viene proposto in modo indifferenziato (commodi-
ty), ma in unampia variet di gusti e aromi;

177
il sistema di estrazione dominante, sia pur non esclusivo (si veda
Keurig o Senseo), quello del caff espresso;
la distribuzione avviene prioritariamente nei canali Internet e del
vending oltre che nei classici canali della GDO;
il consumatore viene educato a scoprire i vari profili del caff.
La velocit con cui il business del monoporzionato sta crescendo evi-
denzia che esso ancora lontano dalla soglia di maturit; ci significa che
gli equilibri attuali non necessariamente saranno gli stessi una volta com-
pletata la sua fase di sviluppo.
Due sono gli aspetti che potrebbero condizionarne le dinamiche future:
il primo riguarda lingresso di nuovi competitor. Gli interessanti
ritmi di crescita che lo caratterizza sta attirando lattenzione di altri
importanti player: Starbucks ad esempio a fine 2012 ha lanciato il
suo programma per capsule Verismo; come ha dichiarato Schultz:
fa parte di una formidabile strategia di lungo termine per catturare
gli oltre 8 miliardi di dollari annui che il settore del caff monodose
genera negli USA38. La partita al suo interno non quindi necessa-
riamente chiusa ai soli operatori della First Wave, ma altri operato-
ri potrebbero entrare in scena e conquistare spazi di mercato;
il secondo aspetto riguarda la scadenza dei brevetti (per unanalisi
pi approfondita si rimanda allAppendice 2 Principali sistemi sin-
gle-serve presenti sul mercato); quando parliamo di caff porzionato
facciamo infatti riferimento a tre diverse tipologie di sistemi:
sistemi aperti, come ad esempio il sistema cialde E.S.E. svilup-
pato da Illy e poi volutamente lasciato aperto. Tali sistemi posso-
no essere liberamente utilizzati dai vari operatori, i quali, utiliz-
zando tutti lo stesso standard, si confrontano sul mercato in base
alla qualit del prodotto, al prezzo di vendita, al canale distributi-
vo e alla notoriet del brand. Il consumatore che equipaggiato di
una macchina da caff con questo standard pu liberamente uti-
lizzare i vari caff proposti dai diversi torrefattori;
sistemi chiusi, come Nespresso, A Modo Mio, Lavazza
Blue, Caffitaly, Illy Iperespresso ecc. Tali sistemi sono co-
perti da brevetto per cui i concorrenti non possono proporre i loro
caff con lo stesso sistema. Anche le macchine da caff per
lestrazione di queste capsule sono coperte da brevetto. Ci signi-
38
Nestle and Starbucks global coffee pod battle heats up, Australian Food News, 22 ot-
tobre 2012 (http://www.ausfoodnews.com.au/2012/10/22/nestle-and-starbucks-global-coffee
-pod-battle-heats-up.html).

178
fica che il consumatore che ne in possesso, indifferentemente se
acquistata o avuta in forma gratuita, potr utilizzarla solo con i
prodotti offerti dallazienda che detiene i diritti di brevetto. Ogni
sistema ha quindi sul mercato un parco macchine che costituisce
il principale bacino di utenza perla vendita dei suoi prodotti;
sistemi scaduti, come Espresso point Lavazza. Si tratta di si-
stemi chiusi il cui brevetto estinto e sono quindi utilizzabili da
qualsiasi operatore. In quanto tali essi sono similari ai sistemi
aperti, ma con il vantaggio che il torrefattore nel momento
dellingresso pu contare sul parco macchine che si stratificato
sul mercato nel corso dellarco temporale coperto da brevetto, a
cui si aggiungono le macchine introdotte successivamente dagli
altri operatori entrati successivamente. Tale parco forma il poten-
ziale bacino di utenza.
Alcuni dei brevetti riferiti a sistemi chiusi con un ampio parco macchine
sono appena scaduti, o sono in procinto di scadere. Ci significa che quel
mercato diventa permeabile ad aziende diverse da quella che ha detenuto il
brevetto, per cui la sfida competitiva futura si giocher con regole del tutto
diverse rispetto al passato.
Il caso pi eclatante quello di Nespresso, il cui mercato stimato in-
torno ai 5 miliardi di euro, e i cui brevetti sono scaduti o sono vicini alla
scadenza. Nonostante le ingenti risorse umane e finanziarie messe in campo
dalla multinazionale svizzera per tutelare i suoi privilegi, non sembra riu-
scire ad arginare lavanzata dei competitor. Le cronache degli ultimi due
anni sono piene di sentenze di tribunali dei vari Paesi che riguardano la
questione Nespresso e che nella maggior parte dei casi vanno contro le
istanze avanzate dallazienda svizzera39. legittimo attendersi che in futuro

39
La battaglia per la spartizione della torta di Nespresso iniziata in Francia alla scadenza
del primo brevetto, quando la multinazionale Sara Lee e la neonata Ethical Coffee, fondata
da Jean Paul Gaillard, un ex capo della Nespresso, hanno messo sul mercato cialde compati-
bili dal prezzo dimezzato. Nonostante Nestl abbia reagito immediatamente, con una causa
legale contro i due competitor, non riuscita a circoscrivere la vicenda alla sola Francia. Le
aziende e i brand che hanno attaccato le capsule Nespresso sono aumentate e con esse le
cause per fermarle. In Svizzera c la Denner della Migros, la principale catena di distribu-
zione al dettaglio, in Spagna Marcilla, in Olanda e Belgio Douwe Egberts, un altro brand del
circuito ex Sara Lee (ora appartenente al gruppo D.E. Masterblenders 1753), in Italia Caff
Vergnano, in Inghilterra Dualit, e altre cause hanno riguardato anche altri Paesi come Ger-
mania, Sudafrica, Belgio. Molti torrefattori dellespresso stanno guardando con interesse
lesito delle battaglie legali contro le imitazioni per decidere se e come aggredire a loro volta
il mercato Nespresso.

179
molti competitor entreranno nello spazio che fino a ora stato monopolio
di Nespresso e ci alimenter una sfida competitiva molto agguerrita.
Difficilmente per i piccoli torrefattori riusciranno a svolgere un ruolo
significativo in questa battaglia competitiva, poich le ingenti risorse finan-
ziarie necessarie per mettere a punto e lanciare con successo un nuovo si-
stema chiuso, sono incompatibili con le loro disponibilit. Il loro ruolo pu
essere circoscritto allo sfruttamento dei sistemi aperti o dei sistemi scaduti,
dove per, non potendo fronteggiare i grandi player sul piano della distri-
buzione, della pubblicit e della notoriet del brand, sono spesso relegati a
competere con la sola leva del prezzo, alimentando una vera e propria pri-
ce competition.
oramai chiaro che lavanzata del mercato monodose comporter nel
medio-lungo termine degli sconvolgimenti nellassetto dellindustria del
caff ben pi evidenti rispetto a quelli visti fino a ora, che andranno proba-
bilmente a scapito del mercato Ho.Re.Ca, anche se non necessariamente dei
principali operatori che vi operano (come nel caso di Starbucks).

4.6. La collocazione del mercato italiano nel pattern evo-


lutivo

Nel corso del capitolo abbiamo visto quanto sia complessa la dinamica
del mondo del caff a livello internazionale. Tale articolazione rende diffi-
cile fornire un quadro interpretativo esaustivo e allo stesso tempo omni-
comprensivo delle situazioni presenti nei vari Paesi.
Il modello proposto del pattern evolutivo, ispirato al modello toffle-
riano, ha il merito di fornire un quadro sufficientemente schematico degli
stadi evolutivi che hanno caratterizzato il mercato del caff nei principali
Paesi di consumo. Tale modello ci fornisce indicazioni qualitative per de-
codificare lo sviluppo evolutivo che ha contraddistinto la diffusione del caf-
f nei vari mercati e allo stesso tempo per comprendere e interpretare ci
che sta avvenendo nellattuale contesto.
Come si visto il percorso evolutivo a ondate susseguenti non stato
uguale in tutti i Paesi poich esistono delle realt, come quelle di alcuni
Paesi asiatici tradizionalmente consumatori di th, in cui il consumo del
caff avvenuto prevalentemente nel corso della Second Wave e in par-
ticolare della Latte revolution, senza aver maturato una fase First Wa-
ve. Al contempo, ci sono altri mercati, vedi quello australiano e neo-
zelandese, in cui larrivo della Third Wave avvenuto quasi in contem-
poranea allevoluzione della Second Wave.

180
Abbiamo infine visto che, in alcuni Paesi, gi in corso una nuova on-
data, quella del monoporzionato, che si preannuncia particolarmente si-
gnificativa in termini di impatto sullattuale contesto del mercato.
Un dato che emerge in modo chiaro da questo modello che ogni fase si
contraddistinta per la presenza di protagonisti nuovi e comunque diversi
da quelli delle ondate precedenti, evidenziando il fatto che levoluzione nel
mercato del caff avvenuta anche e soprattutto attraverso il rinnovo degli
attori.
Inoltre, ogni nuova ondata ha creato le condizioni per un ulteriore svi-
luppo del settore, anche in quei Paesi in cui il consumo del caff aveva rag-
giunto la soglia di maturit, consentendo a esso di rigenerarsi ogni volta e
offrire sempre nuove opportunit di crescita.
Infine, si registrato che le ultime tre ondate che hanno caratterizzato
levoluzione del business del caff, nella loro diversit, sono accomunate
da un elemento: il caff espresso allitaliana lartefice o la fonte del cam-
biamento.
Sembra quindi legittimo chiedersi: come si pone lItalia allinterno di
questa cornice?
Nel nostro Paese il caff espresso esiste da oltre un secolo e costituisce
una realt consolidata da diversi decenni. Ci significa che le condizioni
del mercato interno sono necessariamente diverse da quelle di tutti gli altri
mercati. Per questo da noi difficile parlare di Second Wave dal momen-
to che la realt delle caffetterie, che nel nostro caso si identifica nel bar,
congenita nella nostra cultura ed una costante del nostro mercato del caf-
f. Quando negli altri Paesi si sviluppa il fenomeno della Second Wave e
ancor di pi quando esso assume la declinazione della Latte revolution,
non fa altro che adattare al contesto locale il concetto del bar italiano.
chiaro quindi che lItalia, essendo la fonte della novit, non poteva essere
coinvolta in questa dinamica. Questa ondata per, proprio per la sua genesi,
offriva alle torrefazioni italiane delle grandi opportunit di sviluppo che tut-
tavia esse sono riuscite a cogliere solo parzialmente.
Sfumata lopportunit offerta dalla Second Wave, con le sue catene di
caffetteria, ci si sarebbe aspettati che lItalia, con il suo modello basato sul-
le piccole realt, avesse giocato un ruolo centrale allinterno della Third
Wave, in cui, come abbiamo visto, la piccola dimensione e lartigianalit
costituiscono due fattori identificativi.
Effettivamente, oltre alla piccola dimensione, ci sono altri elementi in
comune fra il mondo Third Wave e il modello italiano: entrambi si rivol-
gono al mercato dellHo.Re.Ca e in entrambi i contesti il caff espresso
gioca il ruolo di protagonista, nonostante che in alcune realt del Third

181
Wave si siano poi affiancate altre modalit di estrazione del caff
(lAeropress, il Syphone, il Chemex ecc.), le quali tuttavia, non hanno la
stessa centralit del caff espresso. Ma a fianco a queste similarit, i due
mondi risultano distanti su altri aspetti: in termini di prodotto nei bar italia-
ni viene utilizzata una sola miscela di caff, mentre negli artisan coffee
ne vengono proposte diverse per stimolare il consumatore a esplorare e co-
noscere pi a fondo il mondo del caff. C quindi un diverso approccio,
per certi versi antitetico, fra quanto proposto in Italia e quanto nel mondo
del Third Wave; infatti mentre nel nostro bar il consumatore non viene
coinvolto nella conoscenza del caff, ma lasciato in uno stato di ignoran-
za (questo aspetto verr meglio esaminato nei prossimi capitoli), nelle caf-
fetterie artigianali estere esso viene educato e stimolato a elevare il suo
status conoscitivo del caff.
Ne consegue che, laddove il bar italiano considera abituale il gesto del
consumatore che ordina un caff, le caffetterie estere lo interpretano come
unesperienza che deve essere coltivata e stimolata.
Lo stimolo viene fornito non solo dalla presenza di una vasta offerta di
caff diversi, ma anche dalla trasparenza delle origini utilizzate, permetten-
do quindi al consumatore di formarsi una sua opinione sui vari caff e ali-
mentare cos un profilo culturale simile a quello che in Italia esiste per
quanto riguarda il consumo dei vini pregiati. Ciascun consumatore di questi
vini si infatti formato un background culturale tale da permettergli, non
solo di definire le proprie preferenze, ma addirittura di fare le combinazioni
pi opportune fra vino e contesto in cui viene consumato (come ad esempio
a seconda della tipologia di pietanza a cui viene abbinato, oppure a seconda
del contesto conviviale ecc.).
In Italia invece il consumatore del caff, e spesso anche il barista, non
viene minimamente coinvolto nellesplorazione delle diverse origini e non
gli viene quindi permesso di crearsi una propria cultura e competenza sui
vari caff, poich vige la prassi della segretezza della formula, che per
sempre pi spesso oggetto di critica allestero (soprattutto nel mondo dello
Specialty e della Third Wave); questo perch luso dei caff pregiati pu
costituire un importante elemento di marketing per il torrefattore, cha ha
tutto linteresse a rendere pubblici gli ingredienti impiegati per differenzia-
re e valorizzare adeguatamente il suo prodotto. Il fatto che in Italia questa
prassi non sia cos comune, viene interpretato dai detrattori come una di-
mostrazione che i caff utilizzati non siano sempre di cos elevata qualit.
Ma al di l delle ragioni pi o meno valide per la segretezza della for-
mula (su cui ritorneremo nei prossimi capitoli), ci che ci preme sottolinea-
re che questo diverso approccio attuato nei confronti del consumatore

182
porta a una divaricazione sempre pi profonda fra il sistema italiano e il si-
stema degli altri Paesi. Infatti, mentre nel caso italiano si persegue
unomologazione, e quindi una costanza del caff servito (che su questo
fronte lo accomuna alla First Wave), nelle caffetterie artigianali estere si
mira allevoluzione qualitativa del caff, attraverso il coinvolgimento sia
dei consumatori e sia dei coltivatori. I due modelli di offerta rispondono a
due approcci diversi: da un lato la conservazione, dallaltro levoluzione.
Ci si chiede allora perch in Italia si sviluppato un modello di business
che non la favorisce nel contesto internazionale?
Nei prossimi capitoli cercheremo di rispondere in modo analitico a que-
sta domanda e comprendere le peculiarit che contraddistinguono il mo-
dello italiano del caff.

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185
Appendice n. 1 al Capitolo 4
La via australiana del caff: da Paese
bevitore di th a punta di diamante del caff

Fino agli anni Ottanta lAustralia era una nazione con una spiccata tra-
dizione al consumo di th; ci a seguito della forte influenza inglese (es-
sendo ex colonia britannica e tuttora Paese membro del Commonwealth).
Nel corso del XX secolo sono iniziate le migrazioni di altre comunit euro-
pee, soprattutto greche e italiane, le quali hanno introdotto nel Paese la tra-
dizione del caff.
Nel 1910 viene aperta a Sydney la prima torrefazione per opera dei fra-
telli Ndronicus (di origine greca), ma il mercato del caff rester molto li-
mitato fino al secondo dopoguerra. Un primo impulso al suo sviluppo ven-
ne fornito durante la Seconda Guerra Mondiale dalle truppe americane, im-
pegnate sul fronte del Pacifico, che erano solite trascorrere i periodi di con-
cedo in Australia. Gli americani erano gi grandi consumatori di caff cos
cercarono di avere caff anche in queste fasi di riposo. Ernest Singer, un
ebreo austriaco scappato in Australia nel 1938 per sfuggire alle leggi raz-
ziali, fu il primo valido interlocutore per lapprovvigionamento del caff,
avendo gi esperienza nel caff per aver precedentemente lavorato per
Daarnhouwer. Egli divenne cos uno dei pionieri nellimportazione di caff
verde in Australia, attivit che proseguir anche dopo il conflitto. Quando
le basi americane lasciarono il Paese, un nuovo mercato inizi presto a svi-
lupparsi, alimentato dal flusso migratorio degli italiani. Sfruttando le sue
competenza Singer cerc sin dallinizio di importare nel Paese solo caff di
buona qualit e, quando negli anni Sessanta, il caff inizi a essere coltiva-
to nella Nuova Guinea, la Ernest Singer, al tempo dominatore incontrastato
del mercato, si impose la regola che almeno il 30% degli acquisti dovevano
riguardare il caff di questa regione, che era di buona qualit; ci contribu
a elevare ulteriormente gli standard qualitativi dei consumatori.

186
Nel 1954 a Melbourne, nel ristorante Don Camillo, venne installata la
prima macchina per caff espresso e ci fu il primo passo verso la diffusio-
ne della tradizione italiana del caff. Nello stesso anno apr Pelligrinis
Espresso bar, un paio di anni pi tardi, sempre a Melbourne, apr Legend
Caf; a essi seguirono una moltitudine di caff allitaliana come Caf
dItalia (successivamente The latin), The Society, Florentinos,
Molinas and Marios, a Sydeny Bill & Tonis, The Arch, Bar Coluz-
zi, Tropicana, Cafe Roma, Bar Italia, solo per citare i pi noti.
Sempre nel 1954 tre immigrati, Monaci, Coperchini e Panettieri costitui-
rono la torrefazione Mocopan (che dopo essere passata di mano pi volte,
ora una delle pi importanti realt presenti sul mercato australiano, e fa
parte del gruppo Cerebos), che inizi a tostare localmente, risultando quindi
particolarmente competitiva nei confronti di quelle aziende che importava-
no il prodotto finito dallItalia.
Il mercato del caff per lungo tempo stato legato a famiglie di immigrati
italiani: a parte quelli elencati sopra, ricordiamo la famiglia Dimattina, che
rilev Mocopan e la trasform in una importante realt nazionale, la famiglia
Cantarella, che ha costituito la Cantarella Brothers, unazienda che opera sul
mercato con i marchi Vittoria Coffee, Aurora e Delta ed ora fra i
leader nel segmento del pure-coffee, con una quota del 41,1%. Altre famiglie
degne di nota sono la famiglia Crivelli, che ha creato The coffex coffee
(poi ceduta agli attuali proprietari) e successivamente Crivelli Coffee, la
Genovese con la omonima torrefazione, e pi recentemente Malatesta, che ha
fondato St. Ali, Di Bella, che ha fondato la Di bella Coffee.
Se la cultura del caff espresso inizi in Australia negli anni Cinquanta,
sar soprattutto nel corso degli anni Settanta-Ottanta che si espander rapi-
damente in tutto il Paese, entrando a far parte dello stile di vita degli austra-
liani; il consumo pro-capite di caff salito dal 1970 a oggi da 1,2 kg a 4,0
kg, mentre nello stesso periodo il consumo pro-capite di th sceso da 1,2
kg a 0,5 kg.
LAustralia si trasformata in un Paese bevitore di caff. Anche nel
consumo domestico, le vendite di caff sovrastano quelle di th: secondo le
stime di Datamonitor, nel 2012 il volume di caff venduto stato pari a
773,5 milioni di dollari, mentre quello del th si fermato a 452,6 milioni
di dollari. A dominare il consumo domestico tuttora il caff solubile che
rappresenta il 58% del mercato (e in cui i principali player sono costituiti da
Nestl, Cantarella, Sara Lee, che insieme rappresentano pi dei due terzi
del mercato); le migliori performance di crescita si registrano tuttavia nel
comparto del caff in grani (caff gourmet e specialty) e del monoporziona-
to, che nel periodo 2005-2011 sono cresciuti rispettivamente del 44% e del

187
101%. Secondo Datamonitor, nel consumo domestico si sta verificando una
forte crescita della domanda di caff di alta qualit in grani, poich i con-
sumatori cercano di replicare in casa la qualit e il gusto del caff delle caf-
fetterie; sempre pi frequente trovare nei supermercati unampia gamma
di confezioni di caff speciali. Il consumo fuori casa comunque rilevante:
secondo Datamonitor, ogni sette tazze di caff consumate da un australiano
medio, almeno una viene consumata fuori casa. Il vero protagonista di que-
sto mercato il caff espresso, dal momento che sono pochi i locali che
servono caff filtro o solubile. Pi che il caff espresso puro, che costitui-
sce appena lun percento delle ordinazioni, il cappuccino nelle sue varie
declinazioni (cappuccino, flat white, caff latte) la vera star del fuori casa,
rappresentando oltre l80% delle ordinazioni (si veda Fig. A).

Fig. A Mix Ordini caff in Australia

1%
3%
4%
5% Cappuccino
5% 31% Flat White
Caffe latte
Caffe Mocha
21% Hot Chocolate
Long Black
Espresso/short black
30% Others

Fonte: ns elaborazione da Datamonitor 2013.

Il Flat White, che una variante inventata dagli australiani, si diffe-


renzia dal cappuccino classico per un minor contenuto di crema latte, che
arriva fino al bordo della tazza senza presentare quella bombatura centrale
tipica del cappuccino (da cui flat), e al tempo stesso particolarmente
densa e vellutata e senza aggiunta di cacao. Contrariamente agli italiani, gli
australiani bevono cappuccino nel corso dellintera giornata, quando invece
noi italiani lo consideriamo una bevanda prevalentemente mattiniera. Ci
evidenzia la diversa modalit con cui gli australiani hanno adattato nel loro
consumo locale la tradizione italiana al caff. In termini di preferenze si ri-
scontra che il caff latte pi diffuso fra la popolazione femminile, men-
188
tre il Flat white si rivolge pi al pubblico maschile, lespresso preferito
dai giovani, mentre il cappuccino popolare soprattutto nei piccoli centri
e nelle periferie delle citt.
Secondo recenti stime, nel mercato del caff fuori casa australiano ope-
rano 12.500 caffetterie e coffee shop, di cui 8.500 (il 70%) sono piccoli
operatori specializzati (indipendent), che basano il loro successo compe-
titivo sulla capacit di soddisfare le alte attese di un consumatore che ha
una radicata cultura del caff (Tab. A).

Tab. A Mercato Australiano dei coffee shop

2005 2010 Var %

Coffee chains 1.200 2.327 93,9%

Caff Indipendenti 5.788 8.531 47,4%

Bakery con caff 693 1.410 103,5%

Tot. Caf 7.552 12.268 62,4%

Fonte: Bis Foodservice.

Il mercato delle catene costituito da 2.380 punti vendita ed dominato


da Gloria Jeans, che conta oltre 460 coffee shop, seguita dalla catena
McCaf (nata proprio in Australia nel 1993) che conta 450 coffee shop, a
fronte di 700 ristoranti McDondalds, seguiti da altre catene come The Cof-
fee club (241), Wild Bean Coffee (109), Jamaica Blue (66), Zaffaras
Coffee (48 caffetterie) ecc. Starbucks, dopo la drastica contrazione di ne-
gozi subita nel 2008 ora opera con 22 punti vendita (si veda Tab. B).
Il mondo delle torrefazioni specializzate nel fuori casa composto da 400
realt, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, che riforniscono gli
8.500 indipendents. A parte alcune realt pi grandi che operano a livello na-
zionali, fra cui Victoria Coffee, Grinders Coffee, Mocopan, Coffex Coffee,
Nestl (con il marchio Di Manfredi), il resto degli operatori ha una presenza
locale, spesso circoscritta allinterno di una citt o al massimo a livello regio-
nale. La maggior parte di queste realt (come ad esempio St. Ali, Tobbys
Estate, Compos, Could Black, La Genovese, Di Bella coffee, Di Mattina)
operano secondo il modello della Third Wave, in cui cio al centro del bu-
siness c la qualit del caff e del servizio. Alcune di esse gestiscono anche
dei punti vendita diretti.

189
Tab. B Numero di punti vendita delle principali catene di coffee shop che operano nel
mercato australiano
Dati del 2012 N. coffee shop Quota % Quota Cumulata
Gloria Jeans 468 19,7% 19,7%
McCaf 453 19,0% 38,7%
Michels Patisserie 330 13,9% 52,6%
The Coffee Club 241 10,1% 62,7%
Wild Bean Caf 109 4,6% 67,3%
Jamaica Blue 66 2,8% 70,0%
Ferguson Piarre Bakehouse 50 2,1% 72,1%
Dome Caf 49 2,1% 74,2%
Hudsons Coffee 44 1,8% 76,1%
Zarraffas Coffee 43 1,8% 77,9%
BBs Caf 38 1,6% 79,5%
Muzz Buzz 38 1,6% 81,1%
Aroma Caf 26 1,1% 82,1%
Caffissimo 26 1,1% 83,2%
Coffee Guru 25 1,1% 84,3%
Billy Baxters 23 1,0% 85,3%
Starbucks 22 0,9% 86,2%
Cibo Espresso 17 0,7% 86,9%
Merlo Coffee 13 0,5% 87,4%
Panache Cafe & Creperie 9 0,4% 87,8%
Bean Bar 8 0,3% 88,2%
Crema Espresso 8 0,3% 88,5%
Baristas 7 0,3% 88,8%
Santos Coffee 7 0,3% 89,1%
Caf Buongiorno 6 0,3% 89,3%
Caf Ritazza 6 0,3% 89,6%
Coffee Bean & Tea Leaf 6 0,3% 89,8%
Vooda 6 0,3% 90,1%
GG Espresso 5 0,2% 90,3%
Altri 231 9,7% 100,0%
Totale 2.380

Fonte: BisFoodservice.

A seguito della forza acquisita sul mercato, alcuni grandi player hanno
rilevato qualcuna di queste realt per avere una presenza nellimportante
segmento del Third wave; ne un esempio Tobbys estate, che stata ri-
levata dal gruppo Cerebos. In questi casi, spesso il cambio di propriet non
corrisponde a un cambio strategico-operativo dellazienda, proprio per pre-
190
servare limmagine agli occhi del consumatore e, soprattutto per non inde-
bolire i fattori che ne hanno decretato il successo.
Per evidenziare le differenze con il passato, si parla di new style per
identificare le realt di nuova generazione e distinguerle da quelle old sty-
le, che invece riguardano quelle che importavano il caff dallItalia, che
secondo i nuovi standard viene considerato di bassa qualit.
Lo dimostra anche il trend delle importazioni (Tab. C): lItalia pur es-
sendo tuttora il primo Paese fornitore di caff tostato sta perdendo veloce-
mente quota: nel periodo 2005-2011 le sue esportazioni sono scese del
41,6% a fronte di un incremento delle importazioni di caff tostato del
28%. Ci ha significato, in termini relativi, che la quota delle importazioni
dallItalia sono passate dal 75% del 2005 al 34,6% del 2011, quota che in
valore scesa al 20%.

Tab. C Importazioni australiane di caff tostato per principali Paesi

2005 2011
Q.t Val (milioni di Quota % Quota % Q.t Val Quota % Quota %
(ton) dollari) Q.t Val (ton) (milioni di Q.t Val
dollari)
Italia 2.442 27,8 75,9% 72,4% 1.427 15,5 34,6% 20,6%
Indonesia 0,0% 0,0% 972 5,2 23,6% 6,9%
Svizzera 0,0% 0,0% 620 45,1 15,0% 59,8%
Germania 503 4,7 15,6% 12,2% 327 2,7 7,9% 3,6%
Altri 274 5,9 8,5% 15,4% 777 6,9 18,8% 9,2%
Totale 3.219 38,4 4.123 75,4

Fonte: Bis Foodservice.

LAustralia costituisce oggi un vero e proprio case study, dal momen-


to che, partendo dalle radici della tradizione italiana, riuscita a sviluppare
un modello di business del caff espresso evoluto, capace cio di crescere e
prosperare a vantaggio di tutti gli attori della filiera. Questa sua capacit
rende il modello sostenibile, poich associa valore alla soddisfazione del
consumatore finale. Come conseguenza di questa sua capacit, diversi bari-
sti e operatori australiani vengono oggi considerati veri opinion leader nel
mondo; non casuale da questo punto di vista il fatto che in Inghilterra, co-
s come in Francia e altri Paesi, gran parte del business della Third wave
sia guidato da persone di origine australiana o neozelandese.

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Coffee: What is unique about Australian Coffee Culture.
Comunicaff International (23 aprile 2013), Australia 2/ Istant coffee in decline
as mobile barista prevail.
Current (11 luglio 2013), Australia Why capsule coffee machines have claimed
a 75% portion of the market (http://www.current.com.au/2013/07/11/article/
Why-capsule-coffee-machines-have-claimed-a-75-portion-of-the-market/OGJI
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Datamonitor report: Hot drinks in Australia to 2013.
Datamonitor www.quora.com/coffee/what-is-unique-about-Australian-coffee-culture.
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http://www.franchise.net.au/inspire/franchisee/brewing-success-in-the-coffee-
industry.
IbisWorlds report: Cafes and Coffee shops in Australia 2013.

192
Appendice n. 2 al Capitolo 4
Principali sistemi single-serve presenti sul mercato

Nome
sistema
Propriet
Anno Lancio
Produttore Macchine
Utilizzatore del sistema
Mercati presenza
Tipologia
Note informative

Uno Per Edoardo Macchi, 1983 Uno Per modello 1x Vari Italia Capsule Viene prodotta la prima macchina per capsule.
Adriano Foglia e L azienda verr poi acquisita nel 1989 da La-
Franco Pavero vazza
Flavia Mars, Inc. 1984 Flavia (Mars) Flavia (Mars) Regno Unito, Capsule Il caff in polvere contenuta in una capsula
Beverage USA cos non subisce contaminazioni. Azienda con-
Systems trollata da Mars.
Nespresso Nestl 1986 Eugster/Frismag Nespresso Worldwide Capsule Nestl deposita il primo brevetto nel 1976 e nel
brandizzata come 1986 costituisce la societ Nespresso SA, da
Krups, Magimix, essa interamente controllata
Siemens; Delonghi
hanno fatto il model-
lo Latissima

Espresso Lavazza 1991 Lavazza Lavazza Worldwide Capsule Lavazza lancia la prima macchina Espresso
Point Point
(continua)
(segue)

Espresso Lavazza 1992 The ECL (Espresso Lavazza Worldwide Capsule Usa una nuova capsula bi-dose
Point MAXI e Cappuccino La- Capace di erogare due caff simultaneamente
vazza) brandizzata
Lavazza

K-Cup (Keu- Green Mountain 1998 Keurig, Breville, Cui- Vari, fra cui Green Mountain, US, Canada Capsule My K-Cup una capsula utilizzabile per qual-
rig) Coffee Roasters sinart Starbucks, Dunkin Donuts, siasi tipo di caff filtro e altre bevande, come
th e infusi vari. Nel 1996 GMC entra nel capi-
tale con il 35% di quote e nel 2006 rileva
lintero pacchetto azionario

ESE (Easy Consorzio ESE 1998 Vari: Delonghi, Fran- Vari Worldwide Pod Dopo che Illy nel 1996 aveva liberalizzato il
Serving Es- (stan- cisFrancis, Han- brevetto della cialda in carta-filtro, nel 98 viene
presso Pod) dard) dpresso, Kitchenaid, costituito il consorzio ESE, per creare un unico
Krups, Saeco standard industriale.
I soci fondatori sono: Briel, Euromatik, Girmi,
Illycaff, Little Italy, SGL, Unic.

BLUE Lavazza 2003 Saeco, N&W, Wega Lavazza Worldwide Capsule BLUE (acronimo di Best Lavazza Ultimate
Espresso) un sistema di capsula basato sulla
tecnologia Monodor (azienda fondata
dallinventore di Nespresso E. Favre) e rivolto
sia al mercato OCS, sia al vending (AFH). Oltre
al caff, vengono offerti anche altri prodotti,
come th, infusi, cioccolata.
(continua)
(segue)

Caffitaly Caffita System 2004 Caffita System Vari: Tchibo, Julius Meinl, Worldwide Capsule Lazienda viene fondata dal sig. Zappella (fon-
SPA Dallmayr, Bewleys, Caff Ca- datore di Saeco) insieme ad altri soci. La socie-
gliari, Crem Caff, Espresso t Caffita si occupa dellattivit di produzione
Club, Map Coffee ecc. delle capsule per conto terzi e offre un servizio
integrato. Ricca la gamma di prodotti offerti
(tisane, th, orzo ecc.). Essa offre un servizio
integrato di sistema a capsule multibrand.

T-Discs Kraft 2004 Saeco, Bosch bran- Vari: Maxwell House, Carte North America, Capsule Sistema a capsule che attraverso la lettura del
(Tassimo) dizzato come TAS- Noire, Kenco, Hacobs Su- Europe codice a barre la macchina adegua i parametri
SIMO chard, Twinings, Second Cup, di estrazione a seconda della bevanda inserita
tim Hortons ecc.)

Bodecker Bodecker 2005 TBD Bodecker Brewed Canada Cups Sistema capsula che effettua lerogazione
Brewer Brewed sfruttando il principio degli impulsi dacqua.
Capsule riciclabili e con una variet di prodotti
che va oltre il caff

A Modo Mio Lavazza 2007 Saeco (Philips) Lavazza Worldwide Capsule Prodotto ideato per il mercato domestico e
brandizzata Lavaz- distribuito nel canale retail.
za/Gaggia, Electro-
lux

iperEspresso Illy 2007 FrancisFrancis (Illy), Illy Worldwide Capsule Sistema sviluppato da Illy per presenziare il
Gaggia (Saeco) mercato delle capsule in forte espansione. Il
programma iperEspresso successivamente
viene ampliato con 4 monorigini.
(continua)
(segue)

Delta Q Delta CafsDelta 2007 Flama, brandizzata Delta Cafs, Tetley Portogallo, Capsule Sistema sviluppato da Delta per presenziare il
Q Delta Cafs,Brasilia Spagna, Ango- mercato del monoporzionato
S.p.A,Casa Bugatti la, Brasile, Lus-
semburgo, Ca-
nada

Dolce Gusto Nestle 2008 Krups, De Longhi, Nescafe (Nestl) Regno Unito, Cpsule Sistema sviluppato da Nestl per mercato fa-
brandizzate Nescafe Usa, Canada, miglia con una piattaforma prodotto multibeve-
Germania, Italia rage
ecc.

Folgers Folgers - None needed The J.M. Smucker Co USA Confezioni Confezioni singole di caff filtro Folgers

K-Fee KRGER Group 2010 Expressi Vari K-Fee, Tesco, Paulig, Europa, USA Capsule Sistema multibeverage
Starbucks-Verismo ecc.

A questi sistemi occorre aggiungere tutta la serie di sistemi compatibili a uno di essi e che stanno proliferando man mano che alcuni brevetti sono arrivati a scadenza
5. Il mercato del caff a livello globale:
i principali trend

di Maurizio Giuli

5.1. Il processo di sviluppo del consumo di caff a livello


internazionale

Nel precedente capitolo abbiamo esaminato la dinamica evolutiva del


mercato del caff nei vari Paesi dal punto di vista qualitativo; agli occhi di
un operatore del settore tale informazione senzaltro utile, ma da sola non
in grado di fornire tutte le risposte necessarie per poter realizzare una stra-
tegia di internazionalizzazione. Occorre comprendere quali sono le dinami-
che di diffusione dei consumi del caff nei vari mercati e quali sono quelli
che offrono le maggiori potenzialit di sviluppo.
Il consumo pro capite di per s poco indicativo, dal momento che non
necessariamente i Paesi con il minor indice di consumo sono quelli destina-
ti a crescere di pi o pi in fretta.
Si potrebbe allora ricorrere al modello del ciclo di vita del settore per
classificare lo stadio evolutivo della bevanda, e quindi il grado di penetra-
zione della domanda nei vari Paesi del mondo; secondo questo modello
avremmo i Paesi del blocco occidentale europeo (a eccezione del Regno
Unito) e il nord America posizionati nello stadio di maturit, dove cio
stata raggiunta ampia diffusione della bevanda nella popolazione e in cui si
registrano modesti livelli di crescita annuale (inferiori al 2%); i Paesi che
vivono invece la fase di crescita sono costituiti da alcuni Paesi asiatici (vedi
le Tigri Asiatiche, il Giappone, la Corea del sud) i Paesi dellOceania, i
Paesi dellEuropa extra-UE, il Regno Unito, il Brasile e i Paesi Mediorien-
tali. In questi Stati c gi una discreta penetrazione del caff allinterno
della popolazione, ma esistono ancora ampi margini di crescita. I tassi di
sviluppo sono quindi pi elevati rispetto a quelli dei Paesi maturi. Nella fa-

197
se di sviluppo troveremo invece la parte restante dei Paesi asiatici e
dellAmerica latina (Fig. 1).
Se da un lato questo modello ha il merito di consentirci di tracciare un
quadro sufficientemente chiaro e semplice dello stato attuale del mercato,
dallaltro poco o nulla ci dice riguardo le vere potenzialit dei singoli Paesi:
non necessariamente infatti le nazioni che si trovano nella fase di sviluppo
evolveranno verso le fasi successive se ad esempio non si realizzano le
condizioni necessarie per tale sviluppo. Al contempo, non necessariamente
i Paesi che si trovano nello stadio della maturit sono destinati a volgere
verso il declino; levoluzione dei consumi registrata nei Paesi del Nord
America ed Europa Occidentale nel corso degli ultimi due o tre decenni
sembra prospettare una dinamica diversa.
Tale modello inoltre sembrerebbe suggerire una naturale evoluzione nel-
lo stile di consumo, secondo cui ad esempio le modalit di preparazione
della bevanda nei Paesi maturi dovrebbe essere diversa rispetto a quella
praticata nei Paesi in fase di crescita o di sviluppo. In realt il modello del
ciclo di vita del settore ci fornisce scarse informazioni al riguardo, dal mo-
mento che troviamo unevidente eterogeneit negli stili di consumo
allinterno di gruppi di Paesi che vivono la stessa fase di sviluppo, mentre
pi facile trovare analogie fra Paesi che si trovano in stadi diversi.

Fig. 1 Ciclo di vita del settore caff nelle macro-aree del mondo

Europa

Nord America

America Latina

Asia

Sviluppo Crescita Maturit Declino

Da ci si evince che il modello del ciclo di vita del settore risulta di


scarsa utilit da un punto di vista strategico, in quanto incapace di fornire
indicazioni chiare agli operatori del settore riguardo le prospettive di svi-
luppo del settore nei vari Paesi.
Se dunque tale modello non ci permette di avere un quadro sufficiente-
mente esaustivo del fenomeno osservato, ed incapace di farci comprende-
re le potenzialit di sviluppo, occorre allora integrare linformazione da es-

198
so fornito con un modello capace di spiegare la dinamica evolutiva del con-
sumo del caff. Da varie evidenze emerge che esiste una correlazione diret-
ta fra il consumo del caff con il livello di reddito del Paese; come rilevano
Daviron e Ponte: il consumo del caff tende a crescere in funzione della
crescita del reddito (Daviron e Ponte, 2005, 75).
Eppure anche questa osservazione non risulta sempre corretta. Come sotto-
linea Cociancich, la variabile reddito di per s non in grado di spiegare il li-
vello di diffusione della bevanda. Infatti, il livello aggregato della domanda e
i consumi pro capite sono utili a comprendere la struttura di mercato e la sua
evoluzione. Per capire appieno le modificazioni dello scenario competitivo
per necessario investigare il cambiamento spaziale del consumo e le evolu-
zioni qualitative dello stesso. La conoscenza dei diversi contesti culturali ed
economici delle varie realt statuali una necessit imprescindibile nella piani-
ficazione delle strategie dingresso nei singoli mercati. Questi sono caratteriz-
zati da profonde differenze, che non sono percettibili da unindagine basata
esclusivamente sugli andamenti dei consumi e delle importazioni. Unanalisi
pi qualitativa che quantitativa, che sia in grado di discernere i trend e le pro-
spettive di crescita del caff espresso nei diversi Paesi, pu offrire una panora-
mica pi completa ed esaustiva di un dato aggregato, come la crescita del con-
sumo globale del caff. [] Il reddito pro capite risulta essere una determinan-
te fondamentale nellintroduzione e nello sviluppo di un bene non primario
come il caff in una determinata realt sociale (Cociancich, 2008, 130).
Ma anche la misura del reddito pro capite ha i suoi limiti e non spiega le
differenze di consumo esistenti fra Paesi con lo stesso tenore di vita. A tal pro-
posito lautore osserva che le differenze sociali allinterno della nazione non
vengono rilevate da tale indicatore [reddito pro capite], a meno che non si ela-
bori una segmentazione pi precisa del mercato tramite analisi a livello di re-
gione, citt o quartiere. Con studi geografici pi sofisticati cos possibile sta-
bilire il tipo di prodotto da introdurre e il suo posizionamento (Cociancich,
2008, 130).
Certamente unanalisi pi accurata, come quella suggerita da Cociancich,
consentirebbe di tracciare un quadro pi preciso della realt; essa tuttavia non
ancora in grado di fornire tutte quelle risposte necessarie a comprendere la di-
versa penetrazione del consumo di caff, essendo essa comunque fondata sulla
sola variabile economica, anche se esaminata in modo pi rigoroso e analitico.

5.2. Il consumo di caff nel mondo sulla base del Modello


Ricchezza-Consumo Caff
Se si mette in correlazione il reddito pro capite con il consumo pro capi-
te di caff si ottiene un quadro pi eloquente di come il consumo di caff

199
sia distribuito fra i vari Paesi; questo ci permette soprattutto di delineare
meglio le aree con maggior potenziale di sviluppo nel breve e nel medio
termine. Come evidenziato nella Fig. 2, la maggior parte dei Paesi si distri-
buiscono lungo la direttrice evidenziata dalla linea obliqua.

Fig. 2 Matrice Consumo pro capite caff e Pil pro capite (dollari, dati del 2010)

50.000

USA

45.000

Svizzera
Paesi Bassi
40.000 Australia Austria
Irlanda Canada
Svezia
Belgio Germania DK
35.000 UK
JP Francia
Pil Pro-Capite

30.000 Corea Spagna IT


Cipro Grecia
Slovenia
NZ
25.000 Malta Rep. Ceca
Portogallo
Slovacchia
20.000
Polonia Ungheria Estonia
Lituania
Russia
15.000
Messico Lettonia
Panama Bulgaria
Romania Venezuela
Costa Rica
Serbia Brasile
10.000
Tunisia Colombia
Rep. Dominicana
Equador El Salvador
Ucraina Algeria
5.000 Guatemala
Indonesia Honduras
Filippine
Vietnam Nicaragua
Costa dAvorio
Haiti
Etiopia
Madagascar
0 0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Kg Pro-Capite

200
Fig. 3 Modello Ricchezza-Consumo caff

50.000

USA

45.000

40.000

MERCATI
2. Irlanda
Paesi Bassi
Australia 3.
MERCATI
Austria
Canada
Svezia
Svizzera

Belgio Germania DK
35.000
IMMATURI UK
MATURI
(fattori culturali) JP (Basso potenziale
Francia di crescita)

30.000
Pil Pro-Capite

Corea Spagna IT
Cipro GreciaSlovenia
NZ

25.000 Malta Rep. Ceca


Portogallo
Slovacchia

20.000
Polonia Ungheria Estonia
Lituania

15.000

MERCATI
1. Russia
Messico Lettonia
Panama Bulgaria
Romania Venezuela
Costa
MERCATI Rica
Serbia Brasile
CON MEDIO
4.
10.000 Tunisia Colombia
AD ALTO
Equador
POTENZIALE
Rep. Dominicana
El Salvador
POTENZIALE Ucraina Algeria (fattori economici)
5.000 (fattori economici
Guatemala
Indonesia Honduras
eFilippine
culturali)
Vietnam Nicaragua
Costa dAvorio
Haiti
Etiopia
Madagascar
0 0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Kg Pro-Capite

201
Ci a conferma del fatto che esiste una forma di correlazione diretta fra
ricchezza economica e consumo di caff.
Notiamo per che esistono dei Paesi che si posizionano al di sopra e al-
tri al di sotto di essa: quelli che si pongono nella parte superiore corrispon-
dono ai Paesi che hanno raggiunto un tenore di vita sufficientemente alto
per il consumo del caff, ma che al momento hanno un consumo pro capite
inferiore rispetto alle loro potenzialit. In questo caso occorre comprendere
quali sono i fattori che ne ostacolano la diffusione, se cio legati a motivi
culturali, o di altro genere. Dallaltro lato, i Paesi che si posizionano al di
sotto della linea, sono quelli in cui la domanda di caff ostacolata soprat-
tutto dal fattore economico. In queste nazioni, la crescita del PIL pro capite
determina inevitabilmente un innalzamento della domanda.
Da questa rappresentazione siamo anche in grado di fornire un modello
teorico sul processo di sviluppo del consumo di caff (si veda Fig. 3) che si
articola nelle seguenti tipologie di mercato:
1. mercati ad alto potenziale;
2. mercati immaturi;
3. mercati maturi;
4. mercati con medio potenziale.

1. Mercati ad alto potenziale


Il primo quadrante evidenzia i mercati ad alto potenziale. In questo caso
la bassa domanda conseguenza delleffetto combinato di una condizione
economica non ancora sviluppata e di una scarsa attitudine culturale al con-
sumo del caff. In questi Paesi lincremento della domanda pu avvenire
per motivi culturali (spostamento laterale verso il quarto quadrante) se, ad
esempio, vengono rimosse le barriere che ne hanno impedito la sua diffu-
sione (di costume, di religione o di tradizione), ma ci risulta alquanto inu-
suale, anche perch fino a quando la popolazione vive in condizioni disa-
giate, difficilmente sar sensibile a un consumo voluttuario come quello del
caff. molto pi frequente invece ottenere una crescita nel consumo di
questa bevanda attraverso la leva economica; man mano che un Paese cre-
sce economicamente nascono nuovi ceti medi e si allarga la fascia delle
classi abbienti che spesso, per affermare il loro status sociale, tendono a
emulare gli stili di vita e di consumo dei cittadini delle economie sviluppa-
te. Il caff uno dei simboli dellOccidente e come tale considerato un
indice di ricchezza; consumare caff in un coffee shop in molti Paesi costi-
tuisce uno status al pari di possedere unauto lussuosa o sportiva o frequen-
tare determinate sfere sociali.

202
La Cina un evidente esempio di questo fenomeno; il suo basso reddito
pro capite lascerebbe supporre di trovarsi di fronte a un mercato ancora non
pronto al consumo del caff (si veda Tab. 1).

Tab. 1 Il caff in Cina

La Produzione
La pianta di caff stata introdotta in Cina (nella provincia dello Yunnan) intorno al 1887, ma fi-
no agli anni Sessanta (fino a quando cio il Governo ha creato una piantagione di Arabica di 4.000
ettari) non c stata produzione di caff. La produzione rimasta molto limitata fino alla fine degli
anni Ottanta, quando cio il Governo Cinese insieme allo UNDP (United Nations Development Pro-
gramme) hanno sviluppato un programma per lo sviluppo e la produzione di caff, programma che
stato incoraggiato anche da alcune grandi aziende, come Nestl. A seguito di questo programma la
produzione passata dai 104.000 sacchi del 1998 ai 748.000 del 2012. Attualmente, oltre allo Yun-
nan (dove si concentra il 95% della produzione nazionale e in cui si produce prevalentemente la
variet Arabica), le principali aree di produzione sono costituite dalla provincia di Fujian e dallisola
di Hainan (produzione di variet Robusta). Nel 2012 la Cina ha esportato 1.073 sacchi di caff

Produzione, importazioni, esportazioni e consumo di caff in Cina (000 sacchi da 60 Kg)


Produzione Importazioni Disponibilit Esportazioni Consumo
1998 104 232 336 137 199
1999 146 238 383 120 263
2000 193 239 431 106 326
2001 287 297 584 213 371
2002 324 313 637 211 426
2003 386 360 746 284 462
2004 361 397 758 283 474
2005 365 425 791 226 564
2006 428 505 933 326 607
2007 433 535 968 361 607
2008 442 592 1.033 415 619
2009 450 618 1.068 568 500
2010 483 784 1.267 561 706
2011 541 1.066 1.607 657 950
2012 748 1.396 2.144 1.073 1.071
Crescita media
15,1% 13,7% 14,2% 15,8% 12,8%
(1998-2012)

Fonte: Coffee in China, ICO September 2013.

Il Consumo
Il consumo di caff in Cina stato moderato fino alla fine del 900: nel 1998 i cinesi hanno con-

203
sumato in totale 199.000 sacchi, che corrisponde a circa 25 grammi pro capite. Nel corso degli ulti-
mi 15 anni per si registrata unaccelerazione con una domanda che cresciuta costantemente (a
eccezione dellanno 2009, quando si verificata una flessione a causa della crisi economica) con
un tasso medio del 12,8%. Nel 2012 i consumi interni hanno superato la soglia del milione di sacchi,
con un consumo pro capite cha ha raggiunto i 47,6 grammi, un valore questo che ancora molto
basso e non equiparabile a quello di altri Paesi economicamente sviluppati; ci testimonia lelevata
potenzialit di crescita futura del mercato cinese.
Alla crescita dei consumi ha corrisposto anche una crescita delle importazioni di caff tostato,
che nel periodo considerato sono aumentate mediamente del 17,5%, passando da 15.000 del 1998
a 145.000 sacchi del 2012.

Consumi caff in Cina e importazioni di torrefatto (000 sacchi da 60 Kg)

1200

1000

800

926
600
827
606

400
505
518
536
517

412
432
422
304

395
345
243

200
184

20 22 26 31 40 42 47 71 89 114 88 100 123 145


0 15
1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

Consumo caff Importaz Caff Tostato

Fonte: ns. elaborazione su dati Coffee in China ICO 12/9/2013.

In Cina presente anche il fattore culturale che ne ostacola il consumo:


una millenaria tradizione legata al th. Il consumo medio di caff non rag-
giunge neanche le 5 tazze lanno, contro una media mondiale di 120; persi-
no nelle principali aree metropolitane, Shangai e Pechino, il consumo an-
cora allo stadio embrionale: non supera infatti le 20 tazze, che se paragona-
te alle 400 degli Stati Uniti, alle 800 italiane o alle 1.450 della Finlandia,
evidenzia la distanza nei consumi. Eppure, da diversi anni la Cina costitui-
sce un mercato interessante in termini di volumi, con vendite che nel 2011
hanno raggiunto i 992 milioni di dollari, oltre il 20% in pi rispetto al 2010,

204
ma soprattutto il 92% in pi rispetto al 20061. Le elevate potenzialit di
crescita sono confermate anche dallattenzione particolare che Starbucks
sta dedicando a questo mercato; il responsabile aziendale per la regione
Asia-Pacifico, John Culver, in una recente dichiarazione2, ha annunciato
che lobiettivo della catena per i prossimi tre anni di triplicare i propri
punti vendita, passando da 500 a 1.500. La Cina si accinge cos a diventare
il primo mercato mondiale della catena dopo quello degli Stati Uniti. At-
tualmente il colosso Usa ha circa 10.000 dipendenti e conta di arrivare a
30.000 al termine del triennio.
La forte crescita nel consumo del caff in uneconomia che presenta anco-
ra un basso tenore di vita stata resa possibile da una distribuzione molto
eterogenea del reddito fra la popolazione, con unampia forbice fra classi so-
ciali, per cui al fianco di una grande fetta di popolazione che vive tuttora in
stato di povert, si creato un ceto di popolazione, soprattutto urbano, che
vive in condizioni piuttosto agiate e che pu quindi permettersi di spendere
lequivalente di 3 o 4 dollari per consumare un cappuccino o unaltra bevan-
da in un coffee shop. Si tratta della fascia di consumatori che i sociologi
chiamano i nuovi ricchi, ovvero di coloro che avendo rapidamente acquisi-
to uno status di ricchezza materiale, hanno lesigenza di ostentare il nuovo
status (anche per affrancarsi dalle ristrettezze derivanti dalla precedente ap-
partenenza a classi sociali modeste), attraverso consumi orientati alla vistosi-
t e alla visibilit sociale, definiti anche beni di Veblen. Infatti, il sociologo
Thorstein Veblen nella sua nota opera La teoria della classe agiata (1899),
evidenzi come il comportamento di questi consumatori negli acquisti (in-
sieme alla tendenza a emulare i costumi delle classi pi agiate, o di Paesi pi
evoluti) non rispondesse a necessit di sussistenza, ma fosse piuttosto da in-
terpretare come un segno di distinzione e di prestigio sociale (Tab. 2).
Come mi ha fatto notare uno store-manager Starbucks di Shangai, il
consumatore cinese esige una buona visibilit, poich per lui, essere seduto
e consumare allinterno di una caffetteria Starbucks assume un valore sim-
bolico molto pi elevato rispetto al consumatore americano o europeo.
Quando noi cerchiamo una location per un nuovo store, dobbiamo assicu-
rarci che esso abbia buona visibilit nei confronti dei passanti, perch nes-
1
Wall Street Journal, 1 aprile 2012: Starbucks to Brew a Bigger China Pot; ripreso da
Comunicaff, 3 aprile 2012: CINA E Starbucks annuncia che triplicher i punti vendita
entro i prossimi 3 anni passer da 500 a 1.500 caffetterie.
2
We see opportunities to continue to expand our retail footprint and capture the demand
that has currently existed for Starbucks.Chinas coffee market, including fresh brews and
instant varieties, is booming. Sales rose to 6.25 billion yuan ($992 million) in 2011, up 20%
from a year earlier and a 92% increase from 2006 (Wall Street Journal, 1 April 2012).

205
sun cinese sarebbe disposto a consumare in una caffetteria se si trovasse in
un luogo nascosto.
Tutto ci confermato anche da quanto ha dichiarato al Wall Street
Journal Tom Doctoroff, North Asia managing director della societ di pub-
blicit J. Walter Thompson: in Cina la gente non va in uno Starbucks per
il caff. Va l per presentarsi come un cinese moderno seduto in un luo-
go pubblico3.

Tab. 2 La teoria della Classe agiata di Veblen

Una notevole attenzione sociologica al fenomeno dei consumi si svilupp in tutto il Novecento,
a seguito della pubblicazione da parte del sociologo ed economista americano Thorstein Veblen
del saggio La teoria della classe agiata. Veblen svilupp il nuovo paradigma dellappariscenza
dei consumi per sostenere che la propriet privata non risponde solo a necessit di sussistenza,
ma assolve anche a una funzione di ostentazione sociale: la propriet di beni, secondo Veblen, va
interpretata come un segno di distinzione e di prestigio sociale che si aggiunge alle qualit perso-
nali. Per questo laccumulazione di beni non un fatto che si realizza e si esaurisce nella sfera
privata delle persone, ma coinvolge lambito sociale, producendo un fenomeno di ostentazione
attraverso beni costosi e oggetto di desiderio, i cosiddetti beni di Veblen; la funzione ostentativa
influenza anche le scelte estetiche e porta alla formazione di un gusto peculiare, in cui il valore
estetico di un oggetto legato strettamente al suo costo economico. Linteresse e il desiderio di
acquisto si rivolge quindi ai cosiddetti beni di Veblen e risulta tanto accresciuto quanto pi costo-
so il bene: si tratta di beni, come profumi e vini pregiati, il cui stesso prezzo li segnala come di
categoria superiore; uneventuale discesa del loro prezzo, allinverso, ne diminuisce la desiderabili-
t e linteresse allacquisto da parte dei nuovi ricchi, dal momento che il minor valore economico
comporta la perdita della percezione di esclusivit del bene. Secondo Veblen, questa deriva con-
sumistica, che porta a desiderare maggiormente i beni pi costosi, tipica, in particolare, di quella
classi di capitalisti che vivono di speculazione, senza produrre beni e lucrando sul lavoro di altri.

Levoluzione naturale da parte delle nazioni che si trovano nel quadran-


te 1 quella di spostarsi verso lalto (dunque verso il quadrante 2), attraver-
so una crescita economica, la quale si tradurr inevitabilmente
nellinsorgenza di necessit distintive da parte delle classi sociali pi ric-
che; necessit che si materializzano nel desiderio di emulazione dello ste-
reotipo del successo, ovvero il consumatore occidentale, con il suo consu-
mo di caff.

3
Wall Street Journal, 4 luglio 2003: Starbucks Road to China. Prime Locations Are the
Key, but so Is Using Snob Appeal to Lure Nation of Tea Drinkers.

206
2. Mercati immaturi
Il secondo quadrante evidenzia i mercati immaturi; essi sono costituiti
da quelle nazioni in cui c gi stata una crescita economica, ma essa non
ha comportato un sostanziale cambiamento nello stile di consumo. In questi
Paesi persistono dunque fattori culturali o di costume che ostacolano la dif-
fusione su larga scala del caff. In molti di essi la maggior parte del consu-
mo riguarda il caff solubile, mentre quello del fuori casa e delle caffetterie
ancora poco sviluppato. Lo spostamento verso il terzo quadrante, e quindi
verso maggiori consumi, pu avvenire solo laddove si inneschi il fenomeno
della globalizzazione sociale, che tende a uniformare i costumi delle diver-
se popolazioni.
Negli ultimi anni, sullonda del successo e della moda delle caffetterie,
diversi Paesi, appartenenti a questo quadrante, si stanno convertendo al
consumo di caff; uno di questi il Regno Unito, Paese che vanta una lun-
ga e consolidata tradizione al consumo di th, ma che nellultimo decennio
stato protagonista di una vera e propria rivoluzione culturale. Nel periodo
2003-2010 il consumo pro capite (si veda Fig. 4) passato da 2,25 kg a
3,14 kg, mentre il consumo di th sceso; secondo dati Food & Agriculture
Organization (FAO) i consumi di th degli inglesi negli ultimi quindici anni
sono scesi del 15% (Ghosal, 2012) e, solo nel periodo 2006-2010, le impor-
tazioni di th sono scese da 136.000 tonnellate a 119.200 tonnellate.

Fig. 4 Consumo pro capite di caff nel Regno Unito (kg)

3,2 3,1
3,0 3,0 3,0
3,0
2,8 2,8
2,8 2,7

2,6 2,5
2,4
2,4 2,3 2,3
2,2 2,2
2,2

2,0
1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

Fonte: ns. elaborazione su dati ICO.

207
Da una recente indagine commissionata da Nespresso (Neate, 2012) ri-
sulta che il 52% degli inglesi dedica ora pi attenzione al caff che non al
th e, nel 45% dei casi considera il caff una bevanda di maggior prestigio
rispetto al th (contro solo il 10% che ritiene ancora il th superiore al caf-
f). Il caff si dunque radicato profondamente nelle abitudini quotidiane
degli inglesi e ha sostituito il th come bevanda conviviale (nel 60% dei ca-
si); un terzo dei consumatori abituali considera oramai il caff una bevanda
indispensabile. Lesplosione della cultura del caff, tanto a livello dome-
stico quanto nelle caffetterie spiega il professor Charles Spence, docente
di psicologia sperimentale a Oxford simile a quella avvenuta nella cul-
tura del bere, dove si passati dal consumo di un tempo di vini come il
Lambrusco o lo Chablis, alla sofisticata enologia attuale. Il fenomeno coin-
volge lintera popolazione, anche se molto pi evidente fra i giovani, in
particolare nella fascia di et compresa fra i 18 ed i 24 anni, i quali si stan-
no rivelando consumatori sempre pi sofisticati ed esigenti; molti di essi
dichiara di conoscere meglio il caff del vino e un terzo addirittura in
grado di abbinare correttamente i vari tipi di caff (Ghosal, 2012).
NellInghilterra di oggi il caff anche una sorta di status symbol, tant
che le persone ad alto reddito hanno un consumo pro capite del 50% supe-
riore rispetto alla media nazionale; questi consumatori considerano il caff
come indispensabile alla loro produttivit e, fra i senior manager, il 77%
preferisce il caff al th durante i meeting di lavoro.
Levidenza del fenomeno inoltre facilmente percettibile dalla capillari-
t di caffetterie e coffee shop che popolano le vie del Paese, le quali hanno
oramai superato quota 15.000 unit4: alle 5.000 caffetterie5 delle principali
catene (che nel corso del 2011 hanno servito 2 miliardi di caff), vanno ag-
giunte le 5.500 caffetterie indipendenti e i 5.000 corner creati allinterno di
negozi, pub, aree di servizio autostradali ecc. Tanto per avere un confronto,
nel 1999 il numero di branded coffee shop era appena di 522 unit (si ve-
da Fig. 5). Il loro numero cresce sensibilmente di anno in anno e, secondo il
parere di operatori e analisti, siamo ancora lontani dal livello di saturazio-
ne6. Il quotidiano inglese The Guardian ha chiamato questo fenomeno

4
Secondo una recente ricerca le caffetterie presenti nel Regno Unito ad inizio 2013 erano
pari a 15.723 (+4% rispetto al 2012) (FoodService Europe & Middle East 2013, 32-34).
5
The Guardian, 22 giugno 2012: Coffee shop revolution continues to stimulate the high
street.
6
Allegra Strategies stima che il Regno Unito ha il potenziale per ospitare oltre 8.000 negozi
di caff di marca e potenzialmente oltre 10.000 definitivi. (FoodService Europe & Middle
East 2013, 32-34).

208
coffee revolution made in UK7, proprio per evidenziare la sua enorme
portata culturale ed economica.

Fig. 5 Il numero di coffee shop nel Regno Unito per tipologia

18.000
17.000
16.000

5.383
5.178
15.000

4.904
4.831
14.000

4.768
4.388
13.000

3.874
1.668
12.000

1.543
1.287
11.000
1.252
1.158
10.000
1.002

6.327
6.013
9.000
523

5.859
522

5.633
8.000

5.469
562

5.336
522

5.236
5.136
7.000

3.492 5.041
3.133 4.867
6.000
2.739 4.860
2.4844.769
2003 2.240 4.587
2002 2.036 4.453
2001 1.797 4.345

5.000
2000 1.382 4.260
1999 778 4.500

4.000
4.056

4.387

4.648

4.817

5.246

5.646

5.950

6.194
3.000
2.000
1.000
0
2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

*2012

*2013

*2014

*2015
branded coffee chains indipendents non specialist
* Dati stimati
Fonte: ns. rielaborazione su dati Allegra e Foodservice Europe & Middle East 20128.

Al di l degli aspetti culturali, questo cambiamento sta infatti avendo


profonde ripercussioni anche in campo economico e sociale (Tab. 3). Lo
dimostra il fatto che, nelle vie delle citt, le caffetterie stanno rimpiazzando
i pub, sempre pi in difficolt: secondo le ultime stime ogni settimana 12
pub chiudono i battenti, mentre sorgono altrettante nuove caffetterie. Inol-
tre, i gruppi della grande distribuzione organizzata si stanno cimentando nel
nuovo business: Tesco, ad esempio, nel 2012 ha lanciato un innovativo
progetto di caffetterie9 Harris + Hoole proprio per non lasciarsi sfuggire
le opportunit offerte da questo settore.
Un caso emblematico della portata del cambiamento in atto testimo-
niato dal caso della Whitbread Plc (si veda Tab. 4), azienda fondata nel

7
The Guardian, 22 giugno 2012: Coffee shop revolution continues to stimulate the high
street.
8
FoodService Europe & Middle East, 2012, 36-37.
9
Lingresso nel corso del 2012 di Tesco nel mercato con la sua joint venture Harris + Hoo-
le segnala lavvio di una nuova fase competitiva (FoodService Europe & Middle East
2013, 32-34).

209
1792 e divenuta leader nazionale nella produzione di birra e nella gestione
di pub, al punto che negli anni 1991-1992 fu costretta dallautorit antitrust
a cedere complessivamente 2.300 pub. Pochi anni pi tardi, nel 2001, il
gruppo ceder lintero ramo di attivit dei pub (che fino ad allora aveva co-
stituito il core-business dellazienda), non pi per per vincoli esterni, ma
per un cambio di strategia; alla luce del cambio delle abitudini degli inglesi,
lazienda aveva infatti deciso di focalizzarsi sul business delle caffetterie
attraverso la catena Costa Coffee (rilevata sei anni prima per 20 milioni
di sterline).

Tab. 3 Scheda sul mercato del caff nel Regno Unito

Il mercato del caff nel Regno Unito stimato pari a 5,8 miliardi di sterline (dato riferito al 2012,
incluse anche le catene non specializzate nel caff), con un trend in crescita del 7,5% sullanno pre-
cedente. Il caff solubile il metodo pi diffuso, costituendo il 75% dei consumi, anche se in termini
relativi sta perdendo terreno a vantaggio del caff in grani e del monoporzionato. Il consumo pro
capite degli ultimi anni mostra un trend in crescita: da 2,2 kg del 2001 salito fino a 3,14 kg del
2009, per poi scendere lievemente negli ultimi (2,8 kg nel 2012).
In questi anni il settore della torrefazione e commercializzazione del caff attraverso il canale
pubblici esercizi stato interessato da molteplici cambiamenti che ne hanno rivoluzionato le caratte-
ristiche e impresso una crescita fortissima.

Volumi consumo caff in UK (000 sacchi da 60 kg)

3.500

3.000

2.500
2.431
2.352
2.338
2.403

2.185

2.000
2.178
2.133
2.175

1.965
2.056

1.952

1.849
1.807
1.907

1.828

1.500 Solubile
1.000
Grani
789
782
740

500
729
656
645
547
493
2003 429
1998 413

2002 412
2000 390
1997 385

2001 387
1999 369

-
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011

Fonte: ns. elaborazione su dati Ico 2012.

La competizione si gioca su due fronti:


da un lato, fra le grandi catene di coffee shop a marchio che gestiscono centinaia di locali

210
(a fine 2012 si contavano in totale 5.225 shop, incluse anche le catene non specializzate
nel caff) e sono dotate di una intelligenza di marketing evoluta;
dallaltra fra le torrefazioni medie e piccole che a loro volta si distinguono in torrefazioni che
perseguono una politica di qualit (come limpiego di caff Specialty, o certificato equo e
solidale) e torrefazioni che perseguono una mera strategia di prezzo, pi in difficolt rispet-
to alle prime.
Il successo che stanno riscuotendo le torrefazioni di qualit (Third wave) tale da spingere le
catene a marchio a evolvere la loro offerta in termini qualitativi, attraverso una migliore selezione dei
caff utilizzati, e una maggiore attenzione ai sistemi di preparazione delle bevande.
In questo contesto di crescita soffrono soprattutto le torrefazioni medie che non riescono a diffe-
renziarsi rispetto ai grandi brand e alle torrefazioni di qualit.
Il mercato si presenta particolarmente concentrato: la quota a valore delle prime 8 imprese pa-
ri al 76,7%. Ancora pi concentrato il mercato delle catene a marchio: la quota di fatturato genera-
to dalle tre principali catene (Costa Coffee, Starbucks e Caffe Nero) pari al 52% del comparto.
La crescita trainata dal caff espresso, con i suoi Espresso Based Beverages, che continua
a far segnare performance superiori alla media del mercato. La domanda di questo prodotto nel
2011 infatti cresciuta del 6,4%, contro un incremento del 3,3% fatto registrare dal volume di caff
nel canale dei pubblici esercizi.

Numero negozi delle Top 15 Catene di coffee Shop nel Regno Unito

Quota Totale Totale Londra


Mercato 2012 2011 2012 (Var 11)
1 Costa Coffee 42,8% 1.552 1.342 265 (+40)
2 Starbucks 20,9% 757 743 274 (+12)
3 Caff Nero 14,6% 530 490 186 (+6)
4 AMT Coffee 1,5% 53 65 22 (-7)
5 Caff Ritazza 1,3% 47 55 8 (-1)
6 Caff Thorntons 1,0% 37 37 0 (-3)
7 Esquires 0,9% 32 35 5 (+1)
8 Puccinos 0,8% 28 27 5 (-5)
9 Coffee # 1 0,7% 26 15 0 (-)
10 Coffee Republic 0,6% 22 29 6 (-)
11 Soho Coffee Comp. 0,5% 19 19 0 (-)
12 Love Coffee 0,5% 18 18 0 (-)
13 Caff Fratelli 0,4% 16 12 13 (+3)
14 Boston Tea Party 0,3% 12 11 0 (-)
15 Harris + Hoole 0,2% 6 0 (-)
Altri 12,9% 500 479 130 (-17)
Totale 100% 3.600 3.377 914 (+29)

Fonte: Foodservice Middle East 2013 e 2012.

211
Il mercato delle catene di coffee shop quello in cui si sono registrate le migliori performance:
nel 2012 sono stati aperti 245 nuovi negozi (a cui vanno aggiunte le 600 aperture del 2011): negli
ultimi 6 anni il mercato raddoppiato e in 15 anni il mercato cresciuto di 10 volte (incluse anche le
catene non specializzate nel caff). Secondo dati ICO (2012), la quota a volume di caff venduto
attraverso le catene di coffee shop nel 2011 era pari al 17,3%, quando nel 1997 essa era del 6,6%.
Anche in una prospettiva futura si prevede che saranno le catene a marchio i principali driver di svi-
luppo del mercato, con tassi di crescita del 10,7% almeno fino al 2015 e raggiungere cos un volume
di affari pari a 3,2 miliardi di sterline.
Uno dei fattori pi importanti per competere nel settore delle catene limmagine; le azienda di
caffetterie che fanno maggior uso di attivit di comunicazione realizzano performance superiori alla
media settoriale. Per queste realt limmagine si lega anche alla necessit di presentarsi agli occhi
dei consumatori come unazienda attenta ai valori etici e aderente ai principi del commercio equo e
solidale.

Lo sviluppo del business delle caffetterie sembra inarrestabile anche di


fronte al difficile contesto economico degli ultimi anni: lo dimostra la rapi-
da espansione di caffetterie, che a fine 2012 aveva raggiunto quota 2.527
(+324 rispetto allanno precedente), di cui 1.578 operano nel Regno Unito
(salite in un anno di 186 unit). I risultati ottenuti dallazienda sembrano
premiare questa politica, dal momento che nel 2011 i profitti di Costa Cof-
fee sono cresciuti del 38% (pari a 70 milioni di sterline) sullanno prece-
dente; nel 2012 la divisione caff cresciuta del 24%, contribuendo per cir-
ca un terzo al fatturato complessivo del gruppo (pari a 2.031 milioni di ster-
line) e ha erogato complessivamente 320 milioni di tazze10.
Secondo Jeffrey Young11, Amministratore delegato della societ di ri-
cerche e consulenza Allegra Strategies, il numero di punti vendita com-
plessivi, tra negozi indipendenti e non-specialisti superer la soglia delle
20.000 unit entro il 2017, quando generer un giro daffari complessivo di
8 MLD. La crescita sar trainata dalle catene a marchio che cresceranno
mediamente del 6%, arrivando a quota 7.000 punti vendita entro il 2017.
Alla luce di questi dati, necessario capire cosa abbia scatenato questa
rivoluzione.

10
Risultati Costa Coffee per lesercizio 2012/2013: fatturato a 672 Mln con 2527 caffette-
rie, Beverfood http://www.beverfood.com/risultati-costa-coffee-per-lesercizio-201213-
fatturato-a-672-mln-con-2-527-caffetterie.
11
FoodService Europe & Middle East 2013, 32-34.

212
Secondo Harrison12, Chief Executive di Whitbread, e altri osservatori, il
merito della popolarizzazione della nera bevanda nel Regno Unito, cos
come in altri Paesi, va attribuito al caff espresso, con le sue caffetterie, che
riuscito a trasformare la pausa per il caff al bar (coffee shop) in
unabitudine quotidiana anche per chi, come i sudditi di sua maest britan-
nica, fino ad allora era rimasto ancorato al tradizionale rito del th. Fra i
primi artefici di questo cambiamento vanno citati i fratelli italiani, Sergio e
Bruno Costa che, nel 1971 crearono la loro torrefazione e nel 1978 aprirono
il loro primo negozio di caff italiano a Vauxhall Bridge Road. Da
quellembrione si sviluppata unazienda che oggi leader europea delle
caffetterie.

Tab. 4 Withbread Company: da leader della birra a leader delle caffetterie

Whitbread PLC attualmente uno dei principali operatori nel settore del tempo libero nel Re-
gno Unito, concentrato nellattivit della ristorazione, bar e hotel. Le radici della Whitbread, tuttavia,
sono legate alla produzione della birra. Nata come birrificio, si sviluppata fino a diventare uno dei
principali e fra i pi prestigiosi gruppi di produzione di birra del Regno Unito. La storia del gruppo
strettamente legata a quella della famiglia Whitbread, che ha mantenuto il controllo della societ
dal 1742 fino al 1992. Whitbread ha cominciato a diversificare lattivit nei primi anni Sessanta. La
sua lunga esperienza nel settore pub ha portato lazienda ad avviare nel 1974 la catena di ristoran-
ti informali Beefeater. In seguito la societ ha cominciato ad aprire punti vendita di due catene sta-
tunitensi (Pizza Hut e TGI Fridays) nel Regno Unito e ha acquisito la catena Costa Coffee nel
1995. In questo periodo Whitbread ha diventato anche il secondo gruppo inglese nellhotellerie,
con la catea Inn Travel, costituita nel 1987 e con i diritti di licesing Marriott (1995).

Scheda Storica
1742: Dopo aver lavorato come apprendista Samuel Whitbread crea la propria birreria a Londra.
1750: Whitbread apre un secondo birrificio a Chiswell Street.
1760: Lazienda raggiunge una produzione annua di birra Stout di 64.000 barili.
1834: La gamma di prodotti viene ampliata aggiungendo la birra Ale.
1868: Inizia la produzione di birra in bottiglia.
1869: Lazienda si quota in borsa.
1955: Whitbread avvia un processo di espansione attraverso lacquisizione di piccoli birrifici.
1968: La compagnia acquisisce i diritti di produrre sotto licenza la Heiniken Lager.
1971: Lazienda acquisisce il 26 birrificio regionale.
1974: Apre il primo ristorante Beerfeater.

12
Gli inglesi popolo di caffettieri. Un sondaggio Nespresso definisce il caff uno status
symbol secondo il Guardian, i coffee shop prosperano mentre tantissimi pub chiudono a
causa della crisi (Neate, 2012).

213
1982: Whitbread crea una joint venture con Pepsi Co. Inc per aprire i ristoranti Pizza Hut nel Re-
gno Unito.
1985: Lazienda sigla un accordo di franchising con lamericana Carlson Hospitality per sviluppare
nel Regno Unito la catena di ristoranti casual dining T.G.I. Fridays.
1987: Viene lanciata la catena di hotel Travel Inn.
1989: Viene rilevato il birrificio a Boddingtons Brewery; viene ceduta la divisione vini e liquori (di
Allied-Lyons).
1990: La Commissione Antitrust impone a Whitbread di cedere 1.300 dei suoi pub e di darne in
locazione altri 1.000 entro il 1992.
1995: Whitbread rileva Scotts Hotels con i suoi 12 Hotel Marriott oltre ai 4 Courtyard e sigla un
accordo con Marriott International per sviluppare il brand nel Regno Unito. Acquisisce anche
la catena di sport e fitness club David Lloyd. Lazienda entra bel business del caff rilevando
la catena di coffee shop Costa Coffee (azienda fondata nel 1971 dai fratelli Costa, che ave-
va aperto il primo coffee shop nel 1978 e che in quellanno contava su 41 coffee shop) per
un controvalore di 20 milioni di Sterline
1999: Costa Coffee avvia la fase di internazionalizzazione con lapertura del primo Coffee shop a
Dubai.
2000: Viene rilevato il gruppo Swallow Group, che gestisce 36 hotel di lusso; la Whitbread Beer
Company viene ceduta allazienda belga Interbrew S.A.
2006: Costa Coffee crea una joint venture (JV) con la cinese Yueda Group per lanciare linsegna
nel mercato orientale. Inoltre lazienda cede la sua quota del 50% della JV che gestisce i
600 ristoranti Pizza Hut allamericana Yum! Restaurants.
2007: Whitbread cede i ristoranti TGI Fridays a Carlson. Nello stesso anno cede anche i 71 Leisu-
re Business David Lloyd a Next Generation Clubs.
2011: La divisione Pub (che conta 3.000 esercizi) viene venduta per 1,6 MLD di Sterline a Morgan
Grenfell Private Equity (che diventer Laurel Pub Company). Lazienda si focalizza cos sui
tre principali business (Hotel, Ristorazione e Coffee Shop).
Dati 2012 Gruppo Whitbread
Consolidato Attivit Attivit Attivit Coffee
Gruppo Alberghiera Ristorazione shop
Brand attivi Premier Inn Table Table, Costa Coffee
Beefeater Inn,
Taybams, Pub
Brewers Roba
Fatturato 2012 2.031 $ 853 506 672
(feb. 2013
M.io))
Var. % + 14,2 % + 9,7% + 5% +24,1%
Utile 357 (+11%)
Dati 2012 in 14.000.000 46.000.000 320.000.000
volume: (n. camere (n. pasti serviti) (n. caff
vendute) venduti)
N. dipendenti 40.000
Fonte: Whitbread PLC Annual Report and accounts 2012/13.

214
Costa Coffee numero di Coffee Shop (dati 2012)

Dati numero di negozi Costa Coffee 2012 2011 Var.


N. Coffee shop in UK 1.578 1.392 186
N. Coffee shop in EMEI (Europe, Middle East, India) 692 n.d.
N. Coffee shop in Est Asiatico 257 n.d.
N. Totale Coffee shop 2.527 2.203 324
Fonte: Whitbread Plc Annual Report.

La crescita della diffusione del caff va di pari passo a una sempre mag-
giore consapevolezza del consumatore, il quale risulta sempre pi interessa-
to al Paese di provenienza del caff, al modo in cui viene lavorato, torrefat-
to e macinato. Un trend questo che favorisce un modello di business basato
sulle piccole torrefazioni artigianali, che abbiamo visto caratterizzare la
Third Wave.

3. Mercati maturi
Il terzo quadrante segnala i mercati maturi, cio quei mercati in cui il
consumo di caff ha gi raggiunto il suo apice, e dove pertanto ci sono po-
che possibilit di aumentare ulteriormente il consumo in volume. Lunica
opportunit percorribile in questi mercati quella dellupgrading del con-
sumo (attraverso strategie di premiumisation13), ovvero dello spostamen-
to della domanda da un prodotto a basso valore verso uno a pi alto valore.
Ci esattamente quanto avvenuto nel mercato americano ed europeo
con la Latte revolution (Ponte, 2001), e quindi con la rapida diffusione
delle caffetterie che, oltre ad aver allargato la domanda a nuove fasce di
consumatori, ha moltiplicato il prezzo medio del caff fino a 3-4 volte (ri-
spetto a quello presente fino ad allora sul mercato). Il fatto che nei Paesi
appartenenti a questo quadrante si sia raggiunta la fase di maturit dei con-
sumi non significa dunque che non ci siano spazi per nuove opportunit di
business.

13
Alcuni autori a questo proposito parlano di strategia di premiumisation. Per Ravi Dhar
(professore in Management e Marketing e direttore del Centre for Customer Insights della
Yale University) la premiumisation un modo per le imprese di fronteggiare un mercato
maturo. The way to think of premiumisation is how do we get people to pay more money
for the same product and provide a richer experience? Egli sostiene che la premiumisation
porta a creare delle versioni premium dellattuale prodotto (C. Grimard, 2013).

215
Il caso americano evidenzia infatti che l, la condizione di maturit14 ca-
ratterizza il mercato da almeno un cinquantennio (dagli inizi degli anni Ses-
santa), ma ci non ha impedito al settore di rigenerarsi e di mostrare inte-
ressanti ritmi di crescita in alcuni suoi comparti. Se, ad esempio, focaliz-
ziamo lanalisi al comparto del caff espresso e dello Specialty, notiamo
che solo negli ultimi 20 anni esso ha fatto registrare una notevole perfor-
mance, arrivando oggi a generare un volume di affari di circa 30-32 miliar-
di di dollari15 (che corrisponde al 50% in valore e al 37% in volume
dellindustria del caff statunitense). Dal 2000 al 2005 il numero di coffee
shop cresciuto del 70%, raggiungendo quota 21.400 esercizi; in pratica
uno ogni 14.000 abitanti. Ogni nuova apertura fa aumentare la domanda,
richiamando nuovi clienti e facendo loro cambiare le abitudini al consumo
sostiene Billy Hulkower16, analista della Mintel analysis di Chicago. La so-
la Starbucks ha un volume daffari complessivo pari a 12 miliardi di dollari,
di cui la met realizzato nel mercato domestico; in 20 anni passata da 108
punti vendita agli attuali 18.000. Tutto ci dimostra che anche nei mercati
maturi la domanda pu essere alimentata attraverso le innovazioni e lo spo-
stamento della stessa verso segmenti a maggior valore aggiunto e in parti-
colare nel fuori casa. Come stato dimostrato da vari autori17, al crescere
del reddito le persone dedicano una quota crescente della spesa alimentare
al fuori casa, e anche il mercato del caff sembra confermare questo model-
lo; ci significa che legittimo attendersi una maggiore velocit di crescita
dei consumi di caff nel mercato del fuori casa, rispetto al consumo dome-
stico, che notoriamente presenta valori unitari molto pi contenuti.

4. Mercati con potenziale medio


Il quarto quadrante identifica i mercati con potenziale medio. Essi sono
costituiti dai Paesi che da un punto di vista economico non hanno ancora
raggiunto una piena maturit, ma in cui la penetrazione del caff ha co-
munque conquistato ampie fette della popolazione. Verosimilmente il con-
sumo dominato da caff di bassa qualit e di basso valore, poich il mo-
desto tenore di vita della popolazione non permette alle persone di acquista-
re i caff pi pregiati. Anche questi mercati, al pari dei mercati maturi, pre-
sentano moderate potenzialit di crescita in termini di volume, ma che in-

14
Pur presentando un consumo medio pro capite tendenzialmente pi basso rispetto a quello
europeo: 4,1 Kg contro i 5 Kg europei.
15
Secondo recenti dati SCAA (http://www.scaa.org/PDF/resources/facts-and-figures.pdf).
16
Bolton (2010).
17
Kinsey (1994), McDowell, Allen-Smith e McLean-Meynsse (1997).

216
vece offrono sostanziali opportunit di crescita in termini di valore. Queste
opportunit sono per legate allo sviluppo industriale ed economico del
Paese, che, elevando il tenore di vita dei cittadini, consente lo spostamento
dei consumi verso prodotti pi sofisticati e verso stili pi evoluti, come ap-
punto quello delle caffetterie. Per il mondo Specialty e per le caffetterie,
questi mercati hanno quindi un buon potenziale.
Il Brasile un caso emblematico: lo sviluppo che sta caratterizzando la
sua economia negli ultimi anni si sta traducendo in una crescita della do-
manda di caff: fra il 2000 e il 2009 il consumo interno cresciuto del 39%
(quando la crescita registrata dal mercato nord-americano nello stesso pe-
riodo, ad esempio, non andata oltre il 14%); oggi in termini di volumi il
Brasile il secondo mercato al mondo sfiorando i 20 milioni di sacchi (con-
tro i 21,7 degli Stati Uniti, che rappresenta il mercato pi grande), ma i suoi
elevati ritmi di crescita (con un ritmo del 4% annuo dal 2003) lo porter
ben presto a diventare il primo mercato mondiale.
Alla crescita quantitativa dei consumi si associa anche una crescita qua-
litativa; il maggior potere dacquisto conseguito dalla popolazione ha infatti
portato a un consumo pi sofisticato del caff e, soprattutto, ha spinto i
consumi del fuori casa. Come ha affermato Nathan Herskowicz, Executive
director di ABICs, in unintervista a Reuters: il numero di tazze consu-
mate ogni giorno sta crescendo. La gente non si limita pi a prendere il caf-
f a colazione, ma consuma anche espresso, lattes e cappuccino nei bar e
nei ristoranti (P. Murphy, 2011). La crescita qualitativa sta imponendo
nuovi standard e le stesse autorit governative si stanno adeguando, attra-
verso lintroduzione di una regolamentazione pi severa sui livelli minimi
qualitativi del caff rivolto al consumo interno; in una scala qualitativa da 1
a 10 (basata su diversi parametri, tra cui tasso di impurit e tasso di umidit
massima consentita) vengono ora considerati idonei, e quindi commerciabi-
li, solo i caff che hanno un punteggio superiore a quattro. Fino a poco fa
invece, in Brasile (come tuttora in molti altri Paesi produttori), il consumo
interno costituiva la principale fonte di sbocco di quella parte di produzione
che non soddisfaceva gli standard minimi del commercio internazionale.

Il modello appena proposto offre uno schema interpretativo delle poten-


zialit di sviluppo dei vari mercati, partendo da parametri oggettivi e facil-
mente reperibili. Laddove le informazioni da esso fornite vengono incrocia-
te con i dati di carattere qualitativo, come gli stili di consumo del caff, la
tradizione e la predisposizione della popolazione verso questa bevanda, i
trend di crescita nei vari segmenti e lo stadio evolutivo del mercato (in base
al modello del pattern evolutivo che abbiamo esaminato nel capitolo 3),

217
esso permette di tracciare un quadro esaustivo delle dinamiche di sviluppo
di ciascun Paese.

5.3. Lo sviluppo della domanda mondiale di caff e nuovi


mercati di consumo18

Negli ultimi decenni si assistito ad uno sviluppo significativo della


domanda di caff a livello internazionale; tale sviluppo stato duplice:
dal punto di vista quantitativo, si registrata una crescita della quan-
tit richiesta e consumata;
dal punto di vista qualitativo, si verificata una crescita del grado di
sofisticazione della domanda, ovvero della capacit del consumatore
estero di valutare la bont del prodotto, la quale si traduce in un au-
mento del livello delle aspettative.
Prima di analizzare lo sviluppo quantitativo, opportuno premettere al-
cune indicazioni di natura metodologica. Per stimare quanto caff viene
consumato in ogni Paese viene impiegato il volume delle importazioni di
caff verde (espresse in quantit di sacchi, ciascuno del peso di 60 kg.).
Non pu sfuggire che tale grandezza rappresenta un indicatore piuttosto
grezzo del consumo di un Paese, in quanto non tiene conto di due altre va-
riabili importanti: le ri-esportazioni di caff dal Paese importatore verso al-
tri mercati19 e il livello dello stock di caff presente nel Paese. Per ovviare a
tali inconvenienti, possibile impiegare altri due indicatori del consumo:
le importazioni nette, date dalle importazioni lorde meno le ri-espor-
tazioni di caff;
la disappearance, data dalle importazioni nette pi la variazione nel
livello delle scorte detenute dati Paesi importatori.
I dati che seguiranno faranno riferimento a queste due grandezze, e sono
stati tratti dalle banche dati dellInternational Coffee Organization (ICO)20.

18
Questo paragrafo a cura di Federica Pascucci.
19
Le ri-esportazioni sono dovute a ragioni commerciali in alcuni Paesi vi sono imprese
fortemente specializzate nel trading di caff verde, mentre in altri no ed anche logistiche
derivanti dalla localizzazione dei porti di sbarco del caff (in Europa, ad esempio, i principa-
li porti sono: Antwerp, Bremen, Amburgo, Trieste, Genova e Le Havre).
20
LICO unorganizzazione intergovernativa, promossa dallONU, volta a favorire la cre-
scita e lo sviluppo sostenibile del settore del caff in ambito globale. I membri sono suddivi-
si in due gruppi: i Paesi produttori/esportatori di caff verde e i Paesi consumato-
ri/importatori di caff verde.

218
Il consumo mondiale di caff pi che raddoppiato tra il 1964 e il 2006,
passando da poco pi di 50 milioni di sacchi ad oltre 120 milioni di sacchi
(fonte: dati ICO, Letter from the Executive Director maggio 2007) e la
crescita continuata (ed anzi si intensificata) anche negli anni successivi
(tranne un calo tra il 2008 e il 2009), come indicato nella tabella seguente.
Certamente lincremento della popolazione mondiale ha contribuito a que-
sto trend positivo (Cociancich, 2008, 117), ma non lunico fattore influen-
te; come ha sottolineato il direttore dello SCAE [] la crescita del con-
sumo non esattamente lineare. Essa segue vari cicli, i quali riflettono la
crescita del reddito mondiale, linnovazione tecnica e la moda (Global
Coffee Review, settembre/ottobre 2012, p. 24).

Tab. 5 Consumo mondiale di caff nellanno solare (dati in migliaia di sacchi da 60 kg)

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

109.5 111.1 113.7 119.7 120.5 124.6 129.6 132.7 132.2 136.9 139 142.2

dato previsto.
Fonte: dati ICO, Monthly Coffee Market Report vari anni.

Analizzando i dati in maggiore dettaglio, emerge che la crescita dei


consumi non stata uniforme a livello mondiale; soprattutto negli ultimi
anni infatti essa stata trainata in modo particolare dai Paesi non tradizio-
nalmente consumatori di caff, ma produttori ed esportatori di caff verde
(in primis, i Paesi dellAmerica Latina).
Non rientra nelloggetto del presente lavoro lanalisi della supply chain
globale del caff e delle problematiche economico-sociali sottostanti, ma
risulta utile un breve cenno al riguardo (si veda la Tab. 6).
La dispersione geografica della produzione di caff verde si accompa-
gna ad un elevato grado di concentrazione delle quantit prodotte ed espor-
tate: meno del 20% dei sessanta Paesi in via di sviluppo che producono caf-
f realizza il 90% delle esportazioni; il 68,9% della produzione di caff si
concentra (nellordine) in cinque Paesi: Brasile, Vietnam, Colombia, Indo-
nesia ed Etiopia21. La gran parte della produzione viene esportata, mentre la
restante viene consumata localmente.
21
Il solo Brasile copre quasi il 35% della produzione mondiale. Nel primo semestre del
2012, secondo i dati ICO, Vietnam e Brasile hanno generato oltre il 47% delle esportazioni
di caff verde, pari complessivamente a 56,7 milioni di sacchi; il Vietnam ha sorpassato il
Brasile nella quantit di caff esportato (con 14,3 milioni di sacchi contro i 12,6 di sacchi
del Brasile), che costituito totalmente dalla variet Robusta.

219
Va rilevato per che la quota destinata al consumo interno aumentata
in modo significativo negli ultimi anni: dal 2000 al 2010 complessivamente
i Paesi esportatori hanno aumentato il consumo interno di circa il 50%, con
punte di quasi il 100% dellIndonesia, di quasi il 300% del Vietnam. Seb-
bene in termini assoluti i valori siano ancora bassi, il trend di crescita si-
gnificativo (come illustrato nella Fig. 6) e decisamente pi marcato rispetto
a quello dei Paesi tradizionalmente consumatori (si veda la Fig. 7).
Ci , in parte, il frutto delle politiche governative di non pochi Paesi
produttori, volte proprio a promuovere il consumo interno di caff. Il Brasi-
le in questo ha fatto scuola con il Programa do Selo de Pureza, lanciato
nel 1989 allo scopo di migliorare la qualit del caff offerto ai consumatori
brasiliani. Tra il 2000 e il 2010 il consumo interno totale aumentato quasi
del 46% e anche quello pro capite ha subito un significativo incremento. La
crescita si mantenuta anche nel corso del 2012 (20,2 milioni di sacchi, in
aumento del 3,1%) ed stata via via accompagnata da una maggiore diffe-
renziazione delle modalit di consumo del caff da parte dei brasiliani, i
quali nellarco della giornata variano il tipo di bevanda consumata (dal caf-
f filtro allespresso, dal caff in cialda al cappuccino).

Tab. 6 Cenni sulla supply chain globale del caff

La geografia del mercato del caff si caratterizza per una netta asimmetria tra la produzione di
caff verde, la quale risulta concentrata per ragioni climatiche nella parte sud del mondo (America
del sud, Africa e alcuni Paesi asiatici), e il consumo di caff torrefatto, il quale concentrato in Eu-
ropa, negli USA e in Giappone, sebbene il consumo si stia diffondendo anche in alcuni Paesi in via
di sviluppo.
Il caff verde acquistato dai Paesi importatori viene in parte ri-esportato senza subire alcun
trattamento, in parte esportato in forma solubile e la maggior parte esportato dopo essere stato tor-
refatto.
Il torrefattore svolge un ruolo da protagonista nellambito della supply chain: esso dominante
nei confronti sia dei coltivatori, sia dei traders internazionali, grazie alla strategia di differenziazione
nellapprovvigionamento del caff verde e ad alcune innovazioni tecnologiche; linnovazione tecni-
ca del lavaggio a vapore della variet Robusta, che ne migliora la qualit consentendone quindi
una maggiore sostituibilit con le variet Arabica, ha permesso infatti ai torrefattori di diversificare i
fornitori. Essi sono in grado oggi di lavorare con tipologie e variet diverse di caff, manifestando
una maggiore flessibilit nella gestione delle fonti di approvvigionamento e quindi un maggior pote-
re negoziale nei confronti dei produttori. Per contro, essi si dimostrano pi vulnerabili nei confronti
della grande distribuzione organizzata.
I grandi torrefattori internazionali tendono a localizzarsi nei Paesi di consumo piuttosto che in
quelli in cui il caff verde viene prodotto, per diversi motivi. Innanzitutto, per essere vicini ai mercati
di consumo: lelevata distanza geografica tra questi e i Paesi produttori tale da rendere logisti-
camente inefficiente la localizzazione in questi ultimi dellattivit di torrefazione. Ma non solo: esse-

220
re pi vicini alla propria clientela permette di offrire servizi migliori e tempestivi, di captare meglio e
pi velocemente i segnali provenienti dal mercato, di rispondere adeguatamente e in tempi brevi
alle nuove richieste, di sviluppare relazioni collaborative anche a lungo termine con clienti-chiave.
La distanza e le differenze economiche tra i luoghi di produzione del caff verde e i luoghi di
consumo del caff torrefatto sono alla base del cosiddetto coffee paradox, ovvero dello squilibrio
esistente nella ripartizione del valore economico generato dallintera catena tra i produttori di caff
verde, da un lato, e i traders e i torrefattori di caff, dallaltro, a netto beneficio dei secondi (Daviron
e Ponte, 2005). Attualmente, quella del caff una catena del valore globale buyer driven (Ge-
reffi, 1999)22, ovvero dominata dai soggetti acquirenti pi vicini al mercato di consumo, quali i
grandi traders internazionali e i torrefattori. Specialmente a partire dalla seconda met degli anni
Ottanta infatti in seguito al processo di liberalizzazione e di deregolamentazione che ha portato
allo smantellamento degli ICA e alla privatizzazione delle Agenzie di Stato nei Paesi produttori che
si occupavano del controllo e del coordinamento delle esportazioni di caff verde e della formazio-
ne del prezzo di vendita si verificato un significativo processo di concentrazione dal lato
dellacquisto/rivendita del caff, al quale si accompagnata una forte frammentazione dal lato del-
la produzione di caff verde. I coltivatori di caff sono senza dubbio lanello pi debole della cate-
na: si tratta sovente di piccoli agricoltori, con uno scarso potere contrattuale rispetto agli interme-
diari, uno scarso o nullo accesso alle informazioni sulle quotazioni internazionali.
da sottolineare come, sebbene in un quadro di collaborazione, esista una concorrenza verti-
cale tra traders e torrefattori, in alcuni casi relativa anche ad una ridefinizione dellambito del pro-
prio business (De Toni e Tracogna, 2005, 79). I primi stanno allargando il proprio pacchetto di of-
ferta di servizi, mostrandosi in grado di coprire unampia frazione della catena del caff, dalla colti-
vazione alle attivit prettamente industriali di torrefazione, secondo unottica from the plantation
down to the factory. Dallaltra parte, i torrefattori si stanno muovendo sia a monte, mediante
lacquisizione delle attivit di produzione e coltivazione della materia prima nei Paesi di produzio-
ne, oppure investendo nelle attivit di import-export; sia a valle, entrando nel business dei bar, con
diversi gradi di integrazione e controllo.

Esperti del settore ritengono che il Brasile diverr fra qualche anno il
primo consumatore di caff al mondo e le previsioni dellICO riguardo al
consumo di caff proiettano il Brasile a 25.193.000 sacchi nel 2019, con un
incremento rispetto al 2010 del 31,6% (ICO, Outlook of coffee market
2010-2019).
Confrontando i dati del consumo di caff dei Paesi produttori con quelli
relativi ai Paesi tradizionalmente consumatori di caff evidente la diffe-
renza nel trend di crescita, il quale nettamente inferiore per i secondi ri-
spetto ai primi (si veda in proposito la Fig. 8).

22
Alle catene buyer-driven si contrappongono quelle producer-driven, pi frequente-
mente riscontrabili in settori a maggiore intensit tecnologica e capital intensive, come
lautomobilistico; in questo caso si affermano network di produzione coordinati da
unimpresa industriale di grande dimensione, sovente multinazionale.

221
Fig. 6 Evoluzione del consumo di caff in alcuni Paesi tradizionalmente produttori (nume-
ri indice base=2000)

2,5

1,5

0,5

0
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

BRASILE ETIOPIA INDONESIA MESSICO

Fonte: ns. elaborazione da dati ICO.

Fig. 7 Evoluzione del consumo di caff in alcuni Paesi tradizionalmente consumatori (nu-
meri indice base=2000)

1,25
1,2
1,15
1,1
1,05
1
0,95
0,9
0,85
0,8
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

GERMANIA ITALIA FRANCIA


USA GIAPPONE

Fonte: ns. elaborazione da dati ICO.

222
Fig. 8 Consumo di caff nei Paesi tradizionalmente consumatori e tradizionalmente pro-
duttori (dati in migliaia di sacchi da 60 kg)

120000

100000 +24,5%

98.546
96.114

95.484
94.848
93.074

92.293
90.194
80000

89.099

88.172
84.645
82.975
82.008
79.116

60000

+64,7%
40000

43.467
42.412
41.040
39.675
38.119
36.373
34.427
32.623
30.906
29.392

20000
28.453
27.800
26.383

0
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

PAESI PRODUTTORI PAESI CONSUMATORI

Fonte: ns. elaborazione da dati ICO.

Come illustrato nella Fig. 9, i tassi medi annui di crescita del consumo
per i Paesi produttori aumentano in misura significativa soprattutto a partire
dagli anni novanta, superando stabilmente sia quelli dei Paesi importato-
ri/consumatori, sia quelli mondiali.
Va inoltre rilevato che la crescita dei consumi nel gruppo dei Paesi im-
portatori dovuta in particolare ai Mercati emergenti, i quali nel periodo
2000-2010 sono cresciuti del 46,4% (tasso medio annuo 3,9%), contro il
11,6% dei mercati maturi (tasso medio annuo 1,1%)23. Ne deriva che la
quota del consumo dei Paesi tradizionalmente importatori, e dellEuropa in
particolare, sul consumo totale mondiale sta sensibilmente calando dalla
met degli anni novanta, dopo un periodo di relativa stabilit.

23
Nel dettaglio, i consumi di caff nel decennio 2000-2010 sono aumentati (in quantit) di
solo lo 0,4% in Svezia, 0,5% in Polonia, 0;6% in Germania, 0,8% in Spagna e Giappone,
0,9% in Francia, 1,2% in Italia e 1,5% negli USA; il Regno Unito stato il mercato pi di-
namico con una crescita del 3%. In Olanda c stata addirittura una diminuzione del 3,2%
(World Coffee Outlook, Antwerp 12-14 settembre 2011, www.ico.org). Dati pi recenti indi-
cano che tra il 2011 e il 2012 il consumo calato in Francia e Germania (rispettivamente del
2,9% e 6,7%) mentre rimasto stabile in Italia e nel Regno Unito. Attualmente gli USA so-
no il principale Paese consumatore al mondo con 22,2 milioni di sacchi nel 2012.

223
Fig. 9 Tasso medio annuo di crescita del consumo di caff

4,6%
5,0%
4,5%
4,0%

3,1%
3,5%

2,5%
3,0%

2,1%
1,7%

1,8%

1,7%
1,7%
2,5%

1,5%
1,3%

2,0%
1,5%
0,5%
0,3%

1,0%
0,5%
0,0%
1970-79 1980-89 1990-99 2000-10

MONDO PAESI PRODUTTORI PAESI IMPORTATORI

Fonte: ns. elaborazione da dati ICO.

Studi fatti dallICO (ICO, 2010) confermano che il consumo sembra


aver raggiunto il punto di saturazione in alcuni dei maggiori Paesi impor-
tatori di caff. Malgrado lincremento della popolazione, la crescita nei
consumi stata infatti assai modesta. Anche la relazione tra reddito pro ca-
pite e consumo sta diventando sempre pi debole, cos come tra prezzi e
consumo: in altre parole, un aumento del reddito o una diminuzione dei
prezzi non porta ad un aumento significativo dei consumi. Le variazioni
nella composizione delle miscele operate dai torrefattori in alcuni Paesi
possono spiegare in parte questi cambiamenti nel comportamento di con-
sumo, visto che in diversi Paesi il livello del prezzo non sembra essere un
fattore determinante nella domanda. Lopinione generale avanzata da alcu-
ni operatori che i cambiamenti operati dai torrefattori nelle miscele, i
quali hanno incrementato la proporzione di caff con un alto contenuto di
caffeina o di qualit inferiore, hanno contribuito al declino nel consumo di
caff nei Paesi tradizionalmente consumatori (ICO, 2004).
In questa situazione, molti consumatori ricercano pi alta qualit o altri
attributi del caff; ci spiega gli elevati tassi di crescita dei mercati di nic-
chia, come quelli dei caff speciali e dei caff certificati (come sta av-
venendo, ad esempio, negli USA).
Secondo Wheeler dello SCAE ogni mercato dellEuropa occidentale
ormai saturo e le variazioni del consumo di anno in anno riflettono, non sol-

224
tanto i cambiamenti nelle abitudini di consumo, ma anche il tempo meteoro-
logico e il calendario lavorativo, ovvero il numero di giornate lavorative nel
corso dellanno (Global Coffee Review, settembre/ottobre 2012, p. 26).
Nelle Figure 10 e 11 vengono illustrati alcuni dati significativi relativi al
consumo di caff nei principali Paesi importatori/consumatori, riferiti
allanno 2011. Dalla prima si evince chiaramente che la maggior parte dei
Paesi sono abituati a consumare caff torrefatto piuttosto che quello solubi-
le, il cui consumo risulta concentrato in quattro mercati: Turchia, Ucraina,
Russia e Regno Unito. A fianco di ogni Paese stata indicata (con una
freccia) la tendenza allaumento o alla diminuzione del consumo di ciascu-
na tipologia di caff rispetto allaltra negli ultimi 15 anni. Labitudine a be-
re un certo tipo di caff piuttosto che un altro risulta piuttosto radicata in
ogni mercato, essendo la percentuale del consumo del tipo di caff domi-
nante superiore al 50% per tutti i Paesi considerati.

Fig. 10 Tipologia di caff consumato nei principali Paesi importatori/consumatori (2011)

CAFF TORREFATTO CAFF SOLUBILE


100%
Finlandia = Svezia USA Turchia
Danimarca Italia Norvegia
Svizzera Ucraina
Francia Olanda
Austria Belgio Portogallo Spagna Russia

Germania UK

Giappone

Polonia
50% Grecia

Fonte: ns. elaborazione su dati ICO, 2012.

Nella Fig. 11 viene illustrata la ripartizione percentuale del consumo di


caff in funzione dei luoghi nei quali avviene tale consumo: in casa o fuori
casa. Come si vede in tutti i Paesi a dominare il consumo domestico; i
mercati nei quali il consumo fuori casa rappresenta comunque una percen-
tuale significativa sono la Spagna, il Giappone, la Turchia e la Grecia.

225
Fig. 11 Luogo di consumo del caff nei principali Paesi importatori/consumatori (2011)

100
90
80
70
60

98,2
%

92,9
50
87,9

87,9

84,6

82,2
80,7

78,6
78,3

76,6

75,6
82

80
40

71,4
68,5

65,5
62,8

56,6
30
20
10
0
Belgio
Danimarca
Finlandia
Francia

Grecia
Italia

Norvegia
Polonia
Spagna
Svezia
Svizzera
Turchia
Ucraina
UK
Austria

Germania

Giappone
Olanda
Consumo domestico Consumo fuori casa

Fonte: ns. elaborazione su dati ICO, 2012.

Le politiche governative favorevoli hanno incentivato la crescita del con-


sumo di caff nei Paesi esportatori e nei mercati emergenti, ma un fattore de-
cisivo legato allo sviluppo della classe media, grazie allaumento del reddi-
to pro capite e al fenomeno dellurbanizzazione. Secondo il Brookings Glo-
bal MetroMonitor, tre quarti delle economie metropolitane con maggiore cre-
scita nel 2012 si trovano nellAsia Medio orientale, in America Latina e in
Africa, mentre quasi il 90% delle economie metropolitane con minore cresci-
ta si trovano in Europa e in Nord America (Global MetroMonitor, 2012)24.
Come illustrato nella Fig. 12, molti di questi Paesi sono tradizionalmen-
te legati al consumo di th (si pensi ai mercati asiatici) e quindi la diffusio-
ne del consumo di caff favorita dalleconomicit e dalla facilit di prepa-
razione del caff solubile (istantaneo).

24
Nelle prime 50 aree metropolitane, ben 33 sono cinesi e 4 indiane.

226
Fig. 12 Geografia del consumo di th e di caff

Fonte: Coffee 2013: Ready for take-off, presentato a Seminar on Trends in new coffee
consuming markets, organizzato dallICO, 5 marzo 2013 (www.ico.org).

stato in proposito verificato che esiste una correlazione tra il consumo


pro capite di th e quello di caff solubile (come illustrato nella Fig. 13).
Ci sta avvenendo, ad esempio, in Cina; il caff in questo Paese ha co-
minciato ad essere consumato soltanto a partire dagli anni Novanta e tra le
classi sociali pi abbienti; in seguito ha iniziato a diffondersi anche tra la
gente comune nelle principali aree urbane, la quale ama bere il caff nelle
caffetterie diventate punti di incontro e simbolo della cultura occidentale
urbana. Di gran lunga preferito il caff solubile, di costo inferiore e di fa-
cile utilizzo (ICE, Il mercato cinese dei prodotti agroalimentari e del vino,
Market Report 2010).
Un altro mercato fortemente dinamico la Corea del Sud, dove il con-
sumo di caff non soltanto aumentato quantitativamente, ma sta anche
evolvendo verso migliori livelli qualitativi, denotando lo sviluppo di una
certa cultura del caff. Anche se la maggior parte del consumo riguarda il
caff istantaneo, il caff torrefatto sta rapidamente guadagnando terreno:
mentre nel 2007 esso rappresentava soltanto il 5% del mercato coreano
contro il 95% di quello istantaneo, nel 2001 era gi cresciuto al 15%. Le
importazioni di caff torrefatto sono aumentate da 814 tonnellate del 2002 a
5438 tonnellate del 2011 e in valore la crescita stata anche pi consisten-

227
te: da 7,437 a 90.526 milioni di dollari. Il caff americano e lespresso sono
le tipologie di caff pi consumate25.

Fig. 13 Correlazione tra consumo pro capite di th e di caff solubile

Fonte: Effect of new markets on the supply-demand balance, presentato a Seminar on Trends in
new coffee consuming markets, organizzato dallICO, 5 marzo 2013 (www.ico.org).

Anche in Russia evidente il trend positivo del consumo di caff, il


quale alla fine del 2010 ha superato quello del th, stimolato dalla diffusio-
ne di coffee shop e dallarrivo dei grandi player internazionali come Stur-
bucks e Costa Coffee (Food Service Europe & Middle East, n. 3/2011, p.
17). La Russia ormai in principale Paese consumatore tra i mercati emer-
genti con 3,8 milioni di sacchi nel 2012, in aumento del 2% rispetto
allanno precedente.
Paesi tradizionalmente produttori di caff (come India, Vietnam e Mes-
sico) e mercati-Paese emergenti (come Cina e Corea) presentano due diffe-
renti modelli di sviluppo della domanda di caff, in quanto diverso il gra-
do di conoscenza della bevanda caff e diversa la disponibilit della mate-
ria prima (cio del caff verde). Nei Paesi produttori di caff le persone so-
no abituate a bere caff a casa, quindi la vera sfida trasferire il consumo
fuori casa, dove sono presenti numerose catene locali di coffe shop, es-
sendo il caff verde facilmente reperibile; in questo contesto, le catene este-
re hanno il ruolo di favorire linnalzamento della qualit del consumo e di

25
I dati sulla Corea sono stati tratti da Korea Coffee Market, presentato a Seminar on Trends in
new coffee consuming markets, organizzato dallICO, 5 marzo 2013 (www.ico.org).

228
esaltare i fattori emotivi legati al consumo di caff, innescando un processo
di premiumization della bevanda26.
Nei mercati emergenti dei Paesi non produttori di caff invece il consu-
mo nasce fuori casa, sovente ad opera di brand stranieri e deve essere tra-
sferito allinterno delle mura domestiche. Si pensi, ad esempio, al ruolo di
Starbucks nellinnescare la rivoluzione del caff in Cina, essendo stata la
prima catena di caffetterie occidentali ad essere entrata nel mercato cinese
nel 1999. Dopo di essa altre catene internazionali e locali hanno iniziato ad
operare sul mercato27. Pur possedendo ogni mercato le proprie peculiarit,
possibile individuare due fattori comuni che caratterizzano lo sviluppo della
domanda di caff nei mercati emergenti:
la crescita trainata dalle giovani generazioni e dalle classi sociali pi
abbienti, essendo il caff un elemento di novit rispetto alle tradizioni
locali, il cui consumo richiede una certa disponibilit a pagare;
il ruolo fondamentale di trend setter dei coffee shop riguardo al
consumo di caff; latmosfera e lambientazione di questi locali con-
tribuiscono a creare un legame emotivo tra il consumatore e il caff,
legame che poi pu spingere le persone a consumare il caff anche a
casa. In gran parte dei mercati emergenti negli ultimi anni si verifi-
cato un vero e proprio boom dei coffe shop, appartenenti sia a catene
internazionali, sia a catene locali, sia indipendenti. In Corea, ad
esempio, nel 2011 cerano 12.000 coffe shop, di cui 3.034 facenti
parte di grandi catene; la proporzione totalmente mutata dal 2006,
quando su 1.600 coffe shop quasi la totalit era rappresentata da
grandi catene (1.500).
I luoghi privilegiati di consumo del caff non si esauriscono per ai cof-
fee shop; anche i luoghi di lavoro stanno diventando unarea chiave dove
consumare caff nei mercati emergenti: spesso sono il primo luogo dove i
giovani consumatori bevono il caff.

Riferimenti bibliografici
Bolton D. (2010), Ten 2010 trends: Overview, Specialty Coffee Retailer, 30
March.

26
Out of home consumption, presentato a Seminar on Trends in new coffee consuming mar-
kets, organizzato dallICO, 5 marzo 2013 (www.ico.org).
27
Il numero dei coffee shop in Cina aumentato da poco meno di 4.000 unit nel 2000 ad
oltre 14.000 unit nel 2012.

229
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Century Classics, New York.

230
6. La competitivit internazionale
delle torrefazioni italiane

di Federica Pascucci

6.1. La competitivit di un settore: concettualizzazione e


misurazione

Obiettivo del presente capitolo di indagare la posizione competitiva


delle imprese italiane di torrefazione a livello internazionale. Come si vi-
sto nei capitoli precedenti, la maggior parte di queste sono organizzazioni
di piccole dimensioni (sovente a carattere artigianale), le quali appaiono pi
vulnerabili rispetto ad un contesto economico sempre pi globalizzato e
complesso com attualmente quello del caff.
In letteratura non esiste una definizione univoca e condivisa di compe-
titivit; si tratta di un concetto complesso e multi dimensionale, la cui ana-
lisi pu essere svolta a quattro differenti livelli:
a livello di intero sistema economico nazionale;
a livello di settore;
a livello di filiera;
a livello di singola impresa (o di un gruppo di imprese, come nel ca-
so dei distretti industriali).
Qualsiasi livello di analisi si utilizzi, due elementi qualificano il concet-
to di competitivit:
la sua natura relativa, ovvero la necessit di un confronto con qual-
che unit di riferimento;
la sua natura dinamica, ovvero il riferimento ad una tendenza nel
tempo.
In questo lavoro il focus sul II livello, essendo lobiettivo quello di
valutare la performance competitiva di un Paese a livello internazionale
con riferimento ad uno specifico settore (Trail e da Silva, 1996, 152). Pur

231
focalizzandosi lanalisi a livello di settore, non possono essere trascurati
anche gli altri due livelli, che sono strettamente interdipendenti fra loro: la
competitivit di un settore influenzata da quella delle singole imprese che
ne fanno parte e da quella del Paese di origine (Depperu, 2006, 48). Daltro
canto, lo studio della competitivit a livello di settore pu essere utile anche
nellanalisi della performance a livello di impresa (Buckley et al., 1988).
La competitivit di un settore viene definita come la prolungata abi-
lit di settori e imprese di un paese a competere con le controparti estere nei
mercati internazionali cos come nei mercati nazionali in condizioni di free
trade (Kim e Marion, 1997).
In letteratura esistono due fondamentali modelli di riferimento per
lanalisi della competitivit: quello che fa capo alleconomia neoclassica e
quello che fa capo allo Strategic Management.
Il primo si fonda sul concetto di vantaggio comparato relativo (Ricar-
do, 1817) ed collegato alla specializzazione nel commercio internazionale
di un Paese in prodotti per i quali esso presenta costi comparati inferiori ri-
spetto a quelli di altri Paesi: tale impostazione misura la competitivit sulla
base di indicatori trade-based, come la quota di mercato delle esportazioni,
il net export index e lindice RCA di Balassa. Si tratta quindi di una compe-
titivit cosiddetta ex-post ovvero intesa come risultato, come perfor-
mance ottenuta in un dato periodo di tempo.
Il modello facente capo allo Strategic Management si fonda sul concetto
di vantaggio competitivo elaborato da Porter, il quale (nellambito del
filone dellIndustrial Organization) riconosce limportanza della condotta
strategica delle imprese e della struttura dei settori ai fini della competitivi-
t; il framework di riferimento, utile per ragionare sulle determinanti della
competitivit delle imprese di un certo Paese, appartenenti ad un medesimo
settore, il modello del diamante della competitivit (1990).
Allinterno dello Strategic Management, un altro filone di studi ha enfa-
tizzato le risorse e competenze aziendali quali fonti della competitivit
la Resource based view focalizzando lo studio sui processi mediante i
quali le imprese creano e sfruttano le risorse e le competenze al fine di bat-
tere la concorrenza (Dhanaraj e Beamish, 2003; Fahy, 2002).
Lintegrazione dei due framework teorici dello Strategic Management
consente di pervenire ad una conoscenza approfondita delle determinanti
della competitivit essendo il focus del modello di Porter su quelle ester-
ne allazienda, e il focus della Resource-based view su quelle interne o
firm specific.
Secondo Buckley et al. (1988) lanalisi della competitivit non pu fon-
darsi soltanto sulle misure di performance, poich queste, fornendo una

232
prospettiva storica, nulla dicono riguardo alla sostenibilit di tale perfor-
mance nel tempo (si veda in proposito la Figura 1). pertanto necessario
inserire nellanalisi anche altre dimensioni, quali:
il processo, ovvero la gestione delle attivit che hanno portato ad una
data performance;
il potenziale, ovvero le risorse e le capacit che, opportunamente
combinate nel processo, possono generare una data performance.

Fig. 1 Lanalisi della competitivit: le dimensioni rilevanti e le relazioni tra di esse

Generazione di potenziale com-


PERFORMANCE petitivo (sostenibilit) POTENZIALE

Capacit di migliorare la per-


formance

Generazione di risorse da
Miglioramento del Generazione di gestire nel processo
processo nuovo potenziale
Gestione del potenzia-
le per ottenere la per-
formance
PROCESSO

Fonte: Buckley et al., 1988, 178.

Lanalisi del processo e del potenziale utile soprattutto per compren-


dere le fondamenta della competitivit di un settore o di unimpresa, le ra-
gioni di uneventuale perdita della competitivit o i fattori sui quali si fonda
il successo competitivo.
Lintegrazione del modello di Porter con la teoria della Resource based
view permette appunto di analizzare le determinanti della competitivit, in
termini di potenziale e di management process, andando cos a comple-
tare lo schema di Buckley et al. (1998).
Nel presente lavoro lo studio della competitivit internazionale delle
imprese di torrefazione italiane verr affrontato integrando i tre modelli
teorici discussi sopra, come illustrato nella Figura 2, in modo da pervenire
ad una comprensione il pi possibile esaustiva della situazione attuale delle
imprese e delle determinanti di tale situazione.

233
Fig. 2 Framework della ricerca: dimensioni della competitivit e rispettivi modelli teorici

Approccio neoclassico
Resource based view
(misure trade-based)
Modello del Diamante di Porter
PERFORMANCE
EX POST POTENZIALE

PROCESSO
Resource based view

Fonte: ns. elaborazione.

Nei paragrafi due e tre verr illustrata la performance competitiva inter-


nazionale delle imprese italiane, fondata sullanalisi delle misure trade-
based: questa costituisce il necessario punto di partenza, per valutare la for-
za competitiva delle torrefazioni italiane sui mercati internazionali e la sua
evoluzione nel tempo. Il periodo di riferimento dellanalisi si estende dalla
seconda met degli anni Novanta al 2011.
Nei successivi verr invece approfondita lanalisi sul potenziale e sul
processo, ricorrendo al framework concettuale della Resource based view
per lanalisi dei fattori interni allimpresa; lanalisi dei fattori esterni
allimpresa, tramite lapplicazione del modello del diamante di Porter, sar
invece oggetto dei successivi due capitoli.

6.2. La performance competitiva internazionale delle torre-


fazioni italiane: lanalisi fondata su misure trade-
based

Pur essendo consapevoli della complessit e della multidimensionalit


del fenomeno indagato, si deciso di iniziare dallosservazione degli an-
damenti delle principali grandezze connesse ai flussi di commercio interna-
zionale delle imprese italiane e delle quote di mercato ottenute da tali im-
prese; si tratta di misure trade-based della performance competitiva che,
essendo la produzione di caff torrefatto quasi totalmente realizzata entro i

234
confini nazionali, possono essere sufficienti per pervenire ad una valutazio-
ne attendibile della competitivit internazionale (Trail e da Silva, 1996)1.
Lanalisi empirica basata sui volumi e sui valori a prezzi correnti delle
esportazioni ed importazioni, forniti dalla banca dati Comtrade delle Na-
zioni Unite, considerando la voce NC8 09012100 caff torrefatto non de-
caffeinizzato della classificazione Sistema Armonizzato a 6 cifre (SH6). Si
scelto di focalizzare lanalisi su tale comparto merceologico in quanto es-
so rappresenta il segmento largamente pi consistente nel commercio inter-
nazionale2.
Un primo set di indicatori per valutare lattrattivit dei prodotti di un Pae-
se sui mercati esteri costituito dallandamento delle esportazioni, delle im-
portazioni e del saldo commerciale. Le esportazioni italiane in valore sono in
crescita dal 1994, salvo un calo tra il 2008 e il 2009 (si veda la Figura 3).

Fig. 3 Andamento delle esportazioni, delle importazioni e del saldo dellItalia (in $ a
prezzi correnti)

1.200.000.000
1.000.000.000
800.000.000
600.000.000
$

400.000.000
200.000.000
0
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011

IMPORT EXPORT SALDO

Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE.

Come illustrato nella Figura 3, le importazioni in valore risultano abba-


stanza costanti negli anni considerati, con una crescita pi marcata negli ul-
timi 5-6; tale crescita non per confermata dai dati in quantit, che anzi
sono in calo dal 2008 (Figura 4).

1
Nel nostro caso, solo Lavazza e Segafredo Zanetti hanno realizzato IDE produttivi.
2
Parte dei risultati di tale analisi empirica sono stati precedentemente pubblicati in: Pascuc-
ci, 2013.

235
Fig. 4 Andamento delle esportazioni, delle importazioni e del saldo dellItalia (in kg)

140.000.000
120.000.000
100.000.000
80.000.000
60.000.000
40.000.000
20.000.000
0
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
IMPORT EXPORT SALDO

Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE.

Fig. 5 Le esportazioni italiane di caff torrefatto non decaffeinizzato (1994=100)

600

500

400

300

200

100

0
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011

vol. export valore export

Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE.

236
Anche utilizzando i numeri indice semplici a base fissa (anno 1994)3 per
lanalisi dellandamento delle esportazioni, risulta evidente il trend positivo
delle vendite italiane di caff torrefatto sia in quantit, sia in valore, deno-
tando unelevata attrattivit del prodotto italiano allestero. Dalla Figura 5
risulta abbastanza chiaro che fino al 2002 la crescita delle esportazioni in
quantit e in valore stata abbastanza omogenea, successivamente i due
trend iniziano a divaricarsi: le esportazioni in valore crescono molto di pi
rispetto a quelle in quantit.
Sia nel caso che si considerino le quantit, sia che si considerino i valo-
ri, il saldo commerciale dipende fortemente dalle esportazioni e ne ricalca
abbastanza fedelmente landamento. Ci unulteriore conferma che
lItalia un Paese decisamente esportatore, come si evince anche
dallanalisi del saldo normalizzato dato dal rapporto tra il saldo commer-
ciale e la somma delle esportazioni e delle importazioni che stabilmente
sopra il 70% (si veda in proposito la Figura 6). opportuno ricordare che
tanto pi il valore dellindice del saldo normalizzato si avvicina allunit,
tanto pi il Paese specializzato e quindi competitivo nel settore indagato.
Va comunque rilevata una certa tendenza alla riduzione del valore di tale
indice, che nel periodo considerato sceso da 0.89 a 0.72.

Fig. 6 Andamento del saldo normalizzato (net export index)

1,00
0,89
0,90 0,83 0,83 0,82 0,83 0,82 0,83 0,80
0,76 0,75 0,79 0,76 0,77 0,74
0,80 0,73 0,71 0,75 0,72
0,70
0,60
0,50
0,40
0,30
0,20
0,10
0,00
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011

Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE.

3
La logica dei numeri indice la seguente: a quanto ammonterebbero le esportazioni al
tempo t se quelle del tempo scelto come base fossero pari a 100?.

237
Passando ad analizzare il valore medio unitario (VMU) delle esportazioni
(ovvero il prezzo medio), si nota che esso quasi raddoppiato dal 1994 al
2011, passando da 5,17$ a 9,49$ (si veda la Figura 7)4. Ci conferma che la
crescita delle esportazioni italiane dovuta pi allandamento dei prezzi che
non alle quantit (specie dai primi anni 2000 fino al 2008).
Come si vede dalla Figura 7 per, il valore medio unitario delle impor-
tazioni aumentato ancora di pi di quello delle esportazioni specie nella
seconda met degli anni 2000. Anzi, negli ultimi anni il valore medio uni-
tario delle importazioni ha superato di gran lunga quello delle esportazio-
ni, segno che il prezzo del caff torrefatto che lItalia importa dagli altri
Paesi maggiore di quello che le imprese italiane esportano.

Fig. 7 Andamento dei valori medi unitari delle importazioni e delle esportazioni italiane
di caff torrefatto non decaffeinizzato ($)

20

15

10

0
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
VMU EXPORT VMU IMPORT

Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE.

Non solo, ma confrontando il VMU delle esportazioni italiane e quello


delle esportazioni mondiali emerge che il gap tra il prezzo medio del caff
torrefatto italiano e quello estero si significativamente ridotto, e nel 2011
avvenuto il sorpasso (Figura 8).

4
Il valore medio unitario una proxy del prezzo medio delle importazioni e delle esporta-
zioni di un Paese ed sovente utilizzato come un indicatore del livello di qualit percepita di
un bene. Malgrado i limiti che tale indicatore presenta (i prezzi sono in realt influenzati da
vari fattori, oltre la qualit; inoltre, rapportando il valore delle esportazioni alle quantit,
lindice riflette sia la variazione dei prezzi, sia quella della composizione delle merci espor-
tate), esso viene impiegato frequentemente nelle indagini economiche in quanto i dati neces-
sari sono rilevabili in modo omogeneo per un elevato numero di Paesi e con un buon livello
di disaggregazione (Borin e Lamieri, 2007).

238
Dai risultati di questa prima analisi sembrerebbe che il settore della tor-
refazione italiana goda di unottima salute, vista la crescita significativa dei
valori e delle quantit esportate dalle aziende italiane. Ma tre dati sembrano
denotare alcuni elementi di criticit, che rendono opportuno un approfon-
dimento dellanalisi; essi sono i seguenti:
la riduzione del saldo normalizzato, che sceso ad un livello simile a
quello di met anni Novanta;
il sorpasso del valore medio unitario delle importazioni italiane sul
valore medio unitario delle esportazioni italiane;
la riduzione del gap tra il valore medio unitario delle esportazioni ita-
liane e il valore medio unitario delle esportazioni mondiali; se si ac-
cetta che il valore medio unitario delle esportazioni pu essere una
proxy del livello di qualit percepita del prodotto, negli ultimi anni si
verificato un progressivo avvicinamento della qualit percepita sul
caff estero a quella del caff italiano. A conferma di ci vi
landamento dellindice di qualit relativa (o indice di differenza in
prezzo-qualit), che dato dalla differenza percentuale tra il VMU
italiano e quello totale delle esportazioni mondiali di caff. Esso co-
stituisce una proxy del posizionamento qualitativo delle esportazioni
di un Paese: se positivo vuol dire che i prezzi e/o la qualit dei beni
esportati dal Paese di riferimento sono superiori a quelli mondiali.
Nel caso esaminato lindice dellItalia positivo per tutto il periodo
considerato, ma in significativo calo dal 2004 (si veda la Figura 9).

Fig. 8 Andamento dei VMU esportazioni italiane e di quelle mondiali ($)

12
10,01
10 8,67
7,72 8,13 7,95
7,03 9,49
8
6,04 6,08 5,95 6,48 6,71 6,18
5,51 5,83
4,90 4,70 4,93 5,13 7,29 7,17 7,63
6
3,85 4,25 4,66
3,40
4 4,91 5,03 5,19
4,34 3,89
3,50
2

0
1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

VMU MONDO VMU ITALIA

Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE.

239
Unanalisi pi approfondita che metta a confronto landamento dei dati
italiani con quelli a livello mondiale, mostra infatti un quadro differente,
rispetto a quello roseo offerto dallanalisi dei dati di export. Dai grafici se-
guenti evidente infatti che le imprese italiane stanno perdendo competiti-
vit sullo scenario internazionale.

Fig. 9 Evoluzione dellindice di qualit relativa dellItalia

0,40
0,34 0,34
0,35 0,31 0,31
0,30 0,26 0,27
0,25 0,21 0,21 0,20
0,19 0,17
0,20 0,16
0,15 0,13 0,12
0,10
0,04
0,05
0,00
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
-0,05
-0,10 -0,06

Fonte: ns. elaborazione

Come mostra la Figura 10, la crescita delle esportazioni a livello mon-


diale nettamente superiore rispetto alla crescita delle esportazioni italiane:
le imprese italiane quindi sembrano perdere opportunit di mercato.

Fig. 10 Le esportazioni di caff torrefatto non decaffeinizzato mondiali e italiane a con-


fronto (in dollari)

10.000.000.000
8.000.000.000
6.000.000.000
4.000.000.000
2.000.000.000
0
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011

EXPORT MONDO EXPORT ITALIA

Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE

240
Conseguenza di tutto ci che la quota in valore (export market share)
delle esportazioni italiane sul totale mondiale in sensibile calo dal 2004
(si veda la Figura 11). La quota in valore stabilmente al di sopra di quella
in quantit, anche se negli ultimi anni il gap si progressivamente ridotto, e
nel 2011 la quota in quantit ha addirittura superato quella in valore.

Fig. 11 Evoluzione delle quote export in quantit e in valore (a prezzi correnti) dellItalia

30%
23,4% 24,7%
25%
19,9% 18,9% 22,1% 21,4%
23,6% 20,9%20,1%
20% 16,9% 17,2%18,0% 19,5% 18,7%
16,2% 16,2% 15,3% 17,0% 14,4%
18,4% 15,6%
15% 16,4% 16,1% 15,0%
15,4% 15,8% 15,5% 15,6% 14,9% 15,7%
14,2% 14,5% 14,9% 15,2%
10%

5%

0%
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
QUOTA IN VALORE QUOTA IN QUANTITA'

Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE.

Nella Figura 12 viene illustrato landamento dellindice di vantaggio


comparato di Balassa, che esprime la specializzazione di un Paese nelle
esportazioni di un dato prodotto, rilevando cos se per quel settore il Paese
possiede un vantaggio comparato a livello internazionale. Esso calcolato
come rapporto tra la quota delle esportazioni di caff di un Paese sul totale
delle esportazioni di quel Paese e la quota delle esportazioni di caff mon-
diali sul totale delle esportazioni mondiali. Valori maggiori di 1 come nel
caso esaminato denotano una specializzazione commerciale del Paese nel
settore considerato, e un vantaggio in termini di competitivit rispetto agli
altri Paesi. Interessante osservare il trend di tale indice, che risulta in netto
calo nella seconda met degli anni 2000, dopo un periodo di crescita signi-
ficativa.

241
Fig. 12 Indice di vantaggio comparato rivelato di Balassa (RCA)

9
8,04
8
6,45
7 5,97
5,98 6,08
6 5,60 5,64 5,55
5,25 5,22 5,31
5 4,54 4,04 4,47 4,48
4,05 4,10
4 3,79

0
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE.

Ulteriore conferma delle difficolt che il settore italiano del caff torre-
fatto sta attraversando dalla met degli anni 2000 viene anche
dallandamento del grado di copertura commerciale dato dal rapporto tra
valore delle esportazioni e valore delle importazioni di caff torrefatto non
decaffeinato che nel periodo considerato ha subito un vero e proprio
crollo, come illustrato nella Figura 13.

Fig. 13 Grado di copertura commerciale

18 17,0
16
14
10,9 10,8 11,0
12 9,9 10,610,2
8,4 9,1
10 7,5 7,0 7,2 7,5 6,8
6,3 5,9 7,0 6,2
8
6
4
2
0
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011

Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE.

242
In conclusione, dallanalisi congiunta dei vari indicatori, emerge abba-
stanza chiaramente che dalla seconda met degli anni 2000 le imprese ita-
liane stanno perdendo competitivit a livello internazionale.

6.3. Principali competitors e mercati di sbocco delle im-


prese italiane

Nel 2011 i primi 5 esportatori di caff torrefatto non decaffeinizzato,


che controllavano il 63,1% del mercato mondiale, erano5:
Svizzera con 1.534.056.568 $;
Italia con 1.160.732.317 $;
Germania con 1.137.304.622 $;
USA con 782.977.904 $;
Belgio con 478.910.976 $.
Osservando le quote export dei principali Paesi esportatori, la Svizzera
quello che ha visto lo sviluppo maggiore proprio nel periodo di calo
dellItalia. La posizione della Svizzera da attribuire alla presenza di una
delle maggiori multinazionali del caff e cio la Nestl, che dal 2000 ha regi-
strato una crescita notevole specie nel comparto del caff porzionato in cap-
sula con il marchio Nespresso. Basti osservare che tra il 2006 e il 2007 le
vendite Nespresso sono balzate del 46% (da 1.170 milioni di franchi svizzeri
a 1.700 milioni) ed hanno raggiunto i 2.770 milioni nel 2010: una crescita
impressionante, dovuta allintroduzione di un innovativo modello di business
fondato sullefficace integrazione di competenze tecniche e di marketing.
Lavvento del caff porzionato e il contributo che Nespresso ha fornito allo
sviluppo di tale comparto del mercato hanno avuto effetti dirompenti
sullassetto e sulle relazioni competitive del settore, a livello mondiale.
I trend delle quote di mercato dei primi 5 Paesi mostrano chiaramente la
perdita di competitivit dei tradizionali Paesi esportatori (in primis lItalia e
la Germania, e in misura minore il Belgio) a favore soprattutto della Svizze-
ra, che specie a partire dal 2000 ha visto una crescita marcata (sia in quantit,
sia in valore). Anche confrontando lindice simmetrico RSCA (indice di Ba-
lassa normalizzato in modo da eliminare il problema dellampiezza del cam-
po di variazione, che altrimenti sarebbe compreso tra 0 e infinito) dei quattro
5
Mentre Germania, USA e Belgio (oltre allItalia) sono stabilmente nel gruppo dei primi
esportatori, altre nazioni si sono alternate per la quinta posizione: nel 1996/1997 la Svezia,
poi il Canada fino al 2002, poi lAustria fino al 2006 e successivamente la Svizzera, che nel
2010 ha superato lItalia in termini di valore delle esportazioni.

243
principali Paesi esportatori emerge chiaramente la crescita della Svizzera, che
ha addirittura superato lItalia dal 2006 (si veda la Figura 15)6.

Fig. 14 Evoluzione delle quote export dei primi 5 Paesi esportatori (a prezzi correnti)

30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%

SVIZZERA GERMANIA USA


BELGIO ITALIA

Fonte: ns. elaborazione su dati COMTRADE.

Un altro aspetto va rilevato: la concentrazione delle vendite dei primi 5


Paesi esportatori andata diminuendo nel periodo complessivamente con-
siderato, passando dal 73,1% del 1996 al 63% del 2011. Ci vuol dire che
nuovi Paesi stanno emergendo nello scenario competitivo internazionale,
aumentando la loro presenza come esportatori di caff torrefatto e rappre-
sentando quindi una ulteriore minaccia per le imprese italiane.
I tradizionali mercati di sbocco delle imprese italiane sono la Germania
e la Francia. Va per osservato che il peso di tali Paesi sulle esportazioni
italiane progressivamente diminuito tra il 1995 e il 2011 passando dal
57,8% al 28,6%. Parallelamente diminuito il peso dei primi cinque part-
ner commerciali dellItalia, che pertanto andata nel senso di una progres-
siva riduzione della concentrazione geografica del fatturato con un aumento
del numero dei Paesi verso i quali si esporta (si vedano in proposito i grafi-
ci contenuti nella Figura 16): basti pensare che il numero dei mercati esteri
complessivamente servito dalle aziende italiane cresciuto da 99 Paesi
(1995) a 148 Paesi (2011). Questa maggiore diversificazione geografica
6
RSCA dato dal rapporto tra (RCA -1) / (RCA + 1) ed ha una variazione compresa tra -1 e
+1.

244
da intendersi positivamente, in quanto indicatore di un maggior grado di
sviluppo internazionale delle imprese italiane, che hanno ricercato nuovi
mercati da servire.
Andando ad analizzare i dati in maggiore profondit, si evincono per
alcuni limiti, che caratterizzano la presenza delle imprese italiane allestero.
vero infatti che il peso dei Paesi dellEuropa occidentale, i quali possono
essere ricompresi nella categoria dei mercati maturi per quanto concerne il
consumo di caff, si ridotto (passando dall82,5% del 1995 al 62,3% del
2011), ma tale riduzione andata quasi del tutto a favore dei mercati geo-
graficamente vicini dellEuropa centro-orientale (passati dal 3,6% al 14,2%
nello stesso arco di tempo) e, in misura minore, dei mercati asiatici (dal
3,1% al 7,4%); rimangono totalmente fuori dal raggio di azione delle im-
prese italiane i mercati dellAmerica centrale e meridionale e i mercati afri-
cani; va segnalato anche il lievissimo calo dei mercati del nord America
(USA e Canada).

Fig. 15 Evoluzione del RSCA dei principali Paesi esportatori

0,8

0,6

0,4

0,2

0
1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

-0,2

-0,4

Svizzera Italia Germania Usa

Fonte: ns. elaborazione su dati Comtrade.

opportuno precisare anche che, nel caso dei mercati asiatici, gran par-
te dei numeri dipendono dalle vendite in tre Paesi: Israele e Giappone, ai
quali si aggiunta nel 2011 la Corea.
Appare pertanto che le aziende italiane non abbiano ancora colto in pie-
no le opportunit derivanti dallo sviluppo della domanda di caff in Paesi
tradizionalmente non consumatori, nei Paesi emergenti e nei Paesi tradizio-

245
nalmente produttori di caff, che sono quelli ove i tassi di crescita della
domanda sono stati pi elevati negli ultimi anni (Brasile, Vietnam, Cina,
India ecc.).
Le esportazioni italiane verso questi Paesi sono s aumentate nel corso
degli ultimi anni, ma sono ancora trascurabili in termini di incidenza per-
centuale sul totale delle esportazioni italiane con valori assoluti molto bassi.
Il mercato emergente nel quale la posizione italiana pi forte la Russia,
sia come valore assoluto delle esportazioni, sia come peso che le imprese
italiane ricoprono nelle importazioni di caff di quel Paese e quindi in rap-
porto alle imprese estere concorrenti. Le torrefazioni italiane infatti sono
stabilmente da anni i primi esportatori nel mercato russo e contano per il
35,8% sul totale delle importazioni russe in valore e per il 39,6% sul totale
di quelle in quantit. Pi debole la posizione nei mercati geograficamente
pi lontani, come quelli dellEstremo Oriente e dellAmerica Latina. In Ci-
na, ad esempio, lItalia si posiziona al secondo posto come Paese esportato-
re dietro gli USA, molto distanziata e ormai raggiunta dalla Svizzera. Nella
repubblica di Corea le torrefazioni italiane hanno perso il secondo posto a
favore della Svizzera, mentre gli USA si confermano il principale Paese
fornitore con numeri notevolmente superiori. Stesso risultato in Indonesia.
In India invece le imprese italiane mantengono la leadership con il 77% del
mercato sia in quantit, sia in valore. Passando ad analizzare i mercati
dellAmerica Latina, le imprese italiane hanno perso il primato a favore di
quelle svizzere ed inglesi, scendendo dal primo al terzo posto in Brasile.

Fig. 16 Evoluzione della composizione del portafoglio di Paesi clienti delle imprese italiane

Fonte: ns. elaborazione su dati Comtrade.

246
6.4. Le possibili cause della perdita di competitivit: un
framework metodologico
Lanalisi della situazione delle imprese italiane sullo scenario interna-
zionale non ha mostrato un quadro particolarmente confortante: le torrefa-
zioni italiane hanno s continuato ad aumentare il loro giro daffari
allestero, ma in termini relativi stanno perdendo quote di mercato e signi-
ficative opportunit legate alla crescita della domanda mondiale di caff.
Ma come stato giustamente rilevato da altri studiosi, lapproccio fondato
su dati e modelli quantitativi presenta dei limiti nel comprendere le logiche e
i percorsi di internazionalizzazione delle imprese; pertanto esso va integrato
con un approccio firm-oriented, che ponga al centro dellanalisi le strategie
delle imprese (Bertoli e Resciniti, 2013).
I fattori alla base della competitivit aziendale possono essere delle due
seguenti tipologie.
a) Fattori firm specific, ovvero le risorse e le competenze dellimpresa. La let-
teratura sulle determinanti interne della competitivit aziendale molto am-
pia e non pu essere trattata in modo esaustivo in questa sede. Nel corso
degli ultimi trenta anni gli studiosi di varie nazionalit hanno indagato la ri-
levanza di una serie di elementi strutturali, tra i quali: la dimensione azien-
dale, la struttura produttiva, la struttura economico-finanziaria, lesperienza
internazionale dellimpresa, lassetto proprietario. Altri hanno focalizzato
lattenzione su diverse variabili sociali, psicologiche e organizzative, tra
cui: la cultura organizzativa; la propensione allinternazionalizzazione
dellimprenditore e dei manager; le aspettative manageriali relative ai costi,
ai profitti e ai rischi; le aspirazioni dei dirigenti in maggiore o minore sinto-
nia con gli obiettivi aziendali.
b) Fattori ambientali, ovvero le caratteristiche del sistema-paese di origine
dellimpresa. Non pu sfuggire che questo possa fungere da palestra per
le imprese, cio un luogo dove maturano competenze e capacit, le quali
possono favorire (o viceversa ostacolare) la competitivit aziendale anche
a livello internazionale. Come verr illustrato nei capitoli 7 e 8, il tipo di
concorrenza che si sviluppata negli anni in Italia, le caratteristiche della
domanda di caff (a livello sia di consumo, sia intermedia), il know-how
sviluppato dalle imprese sono tutti elementi che hanno condizionato il
modo di approcciare i mercati esteri ed hanno quindi influenzato la per-
formance. In particolare, un aspetto critico il rapporto che si venuto a
creare tra impresa di torrefazione e bar, frutto di una intensificazione della
concorrenza che ha spostato il proprio focus da elementi riconducibili al
core business aziendale (la qualit del prodotto) a elementi che si colloca-
no al di fuori di esso (i servizi di natura finanziaria).

247
In questo capitolo lattenzione verter sui fattori firm specific e
lobiettivo quello di comprendere quali siano i punti di debolezza delle
torrefazioni italiane, che possano spiegare il peggioramento della perfor-
mance internazionale e i punti di forza che esse stanno attualmente sfrut-
tando sui mercati esteri. evidente che ci richiede di entrare nel merito
delle strategie aziendali, anche perch la performance di un settore deter-
minata prima di tutto dalle performance delle imprese che ne fanno parte e
quindi dalle scelte operate dai rispettivi imprenditori e/o manager.
A tale scopo stata realizzata unindagine empirica, articolata in tre parti:
una survey, svolta mediante la somministrazione di un questionario
strutturato ad un campione di imprese; il questionario stato costrui-
to mediante il programma gratuito Google Drive ed stato articolato
in 19 domande, finalizzate a conoscere il grado di internazionalizza-
zione commerciale delle imprese, le modalit di operare allestero, il
posizionamento strategico, le difficolt incontrate. Sono state contat-
tate 200 aziende, alle quali stata inviata una e-mail contenente, ol-
tre ad una lettera di presentazione del progetto di ricerca, anche il
link per accedere al questionario online. Riguardo alla tempistica,
linvio avvenuto tra febbraio 2013 e settembre 2013. Delle 200
aziende, 51 hanno fornito risposte complete, per un tasso di risposta
del 25,5%. evidente pertanto che i risultati successivamente esposti
non possono essere rappresentativi delluniverso delle torrefazioni
italiane; essi forniscono per alcune utili indicazioni per approfondi-
re la conoscenza delle strategie di internazionalizzazione delle im-
prese, soprattutto se integrati con le altre informazioni;
interviste in profondit semi-strutturate, realizzate presso alcune tor-
refazioni selezionate; i soggetti intervistati sono stati, a seconda dei
casi, limprenditore titolare dellimpresa o il direttore generale o
lexport manager, oltre che altre figure particolari per specifiche te-
matiche di approfondimento (come i responsabili di qualit);
analisi di dati secondari tratti da varie fonti (riviste specializzate, siti
web aziendali ecc.), nonch informazioni ottenute durante la parteci-
pazione a fiere di settore e workshop.

6.5. Le torrefazioni italiane allestero: i risultati dellindagi-


ne sul campo

In questo paragrafo vengono illustrati i risultati della survey condotta sulle


51 aziende di torrefazione. Come illustrato nella Figura 17, la maggior parte

248
delle torrefazioni rispondenti (42,3%) sono state costituite nel secondo dopo-
guerra: sono gli anni del Boom del caff in Italia, durante i quali si sviluppato
il mercato di massa dellespresso, che era il simbolo della rinascita italiana do-
po la guerra e della modernit7. Quasi tutte (tranne 6) sono a conduzione fami-
liare: il 39,2% degli intervistati ha dichiarato di appartenere alla terza genera-
zione di famiglia e oltre.
Tutte le aziende hanno affermato di svolgere attivit di esportazione, la qua-
le per stata intrapresa con tempistiche differenti: la maggior parte ha iniziato
a vendere nei mercati esteri dopo una decina di anni dalla costituzione (68,6%)
e di queste 13 hanno iniziato dopo cinquantanni; si tratta delle torrefazioni na-
te negli anni del pre-boom (1901-1950) e delle torrefazioni storiche (costituite
prima del 1900). Il 31,4% ha invece intrapreso precocemente lattivit
allestero: 4 fin dallinizio, 7 entro cinque anni e 2 tra sei e dieci anni dalla co-
stituzione. Si tratta delle torrefazioni pi giovani (nate dopo il 1991).
Tale risultato risulta coerente con levoluzione del mercato del caff in Ita-
lia: le imprese di pi lunga tradizione hanno potuto ritardare lingresso nei
mercati esteri, grazie alle condizioni favorevoli del mercato italiano negli anni
antecedenti al 1990; mentre quelle pi giovani hanno iniziato ad operare in un
contesto domestico gi maturo e fortemente competitivo, che le ha indotte ad
orientarsi verso lestero in un pi breve arco di tempo. La maggior parte delle
aziende ha iniziato infatti a vendere allestero a partire dagli anni Ottanta del
secolo scorso. Inoltre, non va dimenticato che soltanto negli ultimi trentanni
che il consumo di caff si diffuso a livello internazionale in maniera signifi-
cativa, tale da creare opportunit di vendita per le imprese italiane.

Fig. 17 Ripartizione del campione di imprese per anno di costituzione


5,8%
25% Torrefazioni Storiche (Prima del 1900)
26,9%
Anni del Pre-Boom (1901-1950)

42,3% Anni del Boom (1951-1990)


Torrefazioni Giovani (dopo il 1991)

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

7
Come efficacemente scritto da Cociancich (2008, 2): La comparsa del caff crema segna-
l non solo la creazione di un tipico caff allitaliana, ma anche la nascita di una cultura di
massa del caff in Italia []. La forza motrice di questo sviluppo stata la modernizzazione
delleconomia italiana, che aveva visto lindustria prendere il sopravvento sullagricoltura
[]. Durante gli anni del miracolo economico, oltre alla crescita del consumo di caff al
bar, si assistette anche allaumento del consumo domestico.

249
Nella Figura 18 viene illustrato il numero percentuale delle imprese che,
in ciascun periodo indicato, esportavano i loro prodotti sul totale delle im-
prese esistenti nello stesso periodo (ovviamente si fa riferimento al totale
delle imprese del campione). Come si vede sono gli anni successivi al 90
quelli in cui la maggior parte delle torrefazioni si sono affacciate per la
prima volta sui mercati esteri; negli anni precedenti poche erano quelle che
avevano intrapreso lattivit allestero.
Nella Tabella 1 vengono riportati alcuni dati descrittivi del grado di in-
ternazionalizzazione delle imprese esaminate: il numero di anni di espe-
rienza allestero (calcolato come differenza tra lanno di inizio dellexport
ed oggi 2013), lexport intensity (rapporto percentuale tra il fatturato rea-
lizzato allestero e il fatturato totale) e il numero di mercati esteri serviti.
Come si vede dalla tabella, il livello di variabilit nelle risposte fornite ri-
sulta piuttosto elevato (coefficiente di variazione superiore a 0,5), pertanto
il valore pi indicativo per rappresentare la situazione reale il valore me-
diano, piuttosto che quello medio8.

Fig. 18 Trend dellinternazionalizzazione delle torrefazioni italiane (numero delle torrefa-


zioni esportatrici sul totale delle torrefazioni esistenti in ciascun periodo)
100%
100
90
80 73,68%
70
60
% 50
40
30
20 15,15%
7,41% 10%
10
0
Prima degli 1971-1980 1981-1990 1991-2000 2001-2010
anni '70

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

8
Quando la variabilit nelle risposte elevata e vi sono valori anomali, la media pu non
essere un indicatore corretto, essendo influenzata da tali valori anomali. Il coefficiente di
variazione, dato dal rapporto tra deviazione standard e media, rappresenta un indice del gra-
do di variabilit: esso varia tra 0 e 1; tanto pi si avvicina allunit, tanto pi il grado di va-
riabilit alto.

250
Osservando i valori si pu concludere che il grado di internazionalizza-
zione non particolarmente elevato, n in termini di export intensity, n di
dispersione geografica delle vendite, che risultano concentrate in un nume-
ro ridotto di Paesi (15)9; la limitata dispersione geografica risulta conferma-
ta dal punto di vista, oltre che numerico, anche culturale: la principale area
di sbocco del caff esportato lEuropa (in primis occidentale e quindi
orientale), pertanto la diversit dei contesti nazionali nei quali le imprese
operano risulta ridotta. Non mancano ovviamente imprese che hanno indi-
cato lAsia, il Medio Oriente e il Nord America tra le principali aree di
sbocco, ma sono in numero molto limitato e nessuna ha indicato il Centro-
Sud America.

Tab. 1 Grado di internazionalizzazione commerciale delle imprese

VALORE COEFF.DI
MEDIANO VARIAZIONE
Anni esperienza allestero 14 0,62
Export Intensity 25% 0,75
N. Mercati esteri Serviti 15 0,83

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

Non pochi studi empirici hanno verificato che lesperienza, derivante


dallinterazione con i mercati esteri, favorirebbe il processo di internaziona-
lizzazione, grazie alla maturazione di competenze specifiche per la gestione
del marketing mix internazionale. Unimpresa avente una maggiore espe-
rienza allestero, ovvero che da molti anni opera sui mercati internazionali,
conosce in modo approfondito le specificit di ogni mercato, riesce a sele-
zionare con maggiore efficacia i mercati pi attraenti e a comprendere me-
glio le dinamiche in ciascuno di essi e pu contare su una rete di relazioni
consolidata con i clienti e altri soggetti economici esteri (OCass e Julian,
2003; Theodosiou e Leonidou, 2003; Baldauf et al., 2000; Zou e Stan,
1998). Vi sarebbe pertanto una relazione positiva tra esperienza internazio-
nale e performance sui mercati esteri. Nel caso delle torrefazioni italiane
levidenza empirica non conferma tale relazione (si veda la Tabella 2): il
numero di anni di esperienza allestero non correlato n con il numero di
mercati esteri serviti, n con lexport intensity. In altre parole, il fatto di es-

9
Il 64,7% esporta in un numero di Paesi superiore o uguale a 10, arrivando ad un massimo
di 60 in due casi. Il 65,9% delle torrefazioni presenta un export intensity superiore al 20%
con punte del 90%; mentre per il 10,6% si scende al di sotto del 10%.

251
sere da un pi lungo periodo di tempo operativi a livello internazionale, non
determina un maggior grado di internazionalizzazione commerciale. Una
possibile spiegazione di tale risultato potrebbe derivare dal fatto che i prin-
cipali mercati esteri di sbocco delle torrefazioni italiane appartengono
allEuropa occidentale, che unarea culturalmente vicina allItalia e ci
ridurrebbe la rilevanza dellesperienza, come verificato da altri studiosi
(Lado et al., 2004).
Secondo altri studiosi, let pu essere considerata un indicatore
dellesperienza e della familiarit dellimpresa con le regole competitive e
le caratteristiche strutturali del settore al quale essa appartiene. La storia
che lazienda ha alle spalle condiziona il suo modo di competere e la dota-
zione di risorse e di competenze sulla quale essa pu fare leva e si presume
pertanto che influisca anche sulla condotta e sulla performance nei mercati
esteri. Le evidenze empiriche sulla relazione tra et dellimpresa e perfor-
mance sono piuttosto contrastanti: in alcuni studi let risultata correlata
negativamente con la performance, in altri non risultata significativa
(Baldauf et al., 2000; Zou e Stan, 1998), in altri ancora risultata correlata
positivamente (Brouthers e Nakos, 2005). Via via che limpresa matura,
da un lato, accumula conoscenze ed esperienze che si rivelano utili nei pro-
cessi concorrenziali a livello internazionale, ma dallaltro, le scelte e i mo-
delli di comportamento che si consolidano nel tempo generano path depen-
decies, che aumentano il grado di rigidit delle strutture e delle capacit
aziendali (Lefebvre e Lefebvre, 2001).
Nel caso delle torrefazioni italiane non risultata alcuna correlazione
significativa tra let dellimpresa e lexport intensity (che mostra addirittu-
ra un valore negativo), mentre vi correlazione positiva significativa con il
numero di mercati esteri serviti, anche se non particolarmente marcata.

Tab. 2 Correlazione tra esperienza dellimpresa e internazionalizzazione

N. mercati esteri serviti Export Intensity

Esperienza int.le -0,185, p-value a due code 0,2125 0,227, p-value a due code 0,1237
Et 0,501, p-value a due code 0,0004 -0,23, p-value a due code 0,125

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

Quasi il 40% (39,2%) delle torrefazioni intervistate riconosce che, nel


contesto economico e competitivo attuale, linternazionalizzazione rappre-
senta la principale strategia per la crescita; mentre il 54,9% ha dichiarato
che essa soltanto una delle strategie di sviluppo attualmente perseguite e

252
solamente in tre casi risultata unimportanza marginale o nulla di tale
strategia. singolare per che tra le imprese, le quali attribuiscono una
priorit alle vendite sui mercati esteri, ve ne siano 5 che non hanno una
struttura appositamente dedicata a tale attivit, dimostrando una certa di-
screpanza tra obiettivi strategici e risorse destinate alla loro realizzazione.
Complessivamente, il 64,7% delle imprese possiede una struttura dedicata
alla gestione delle attivit allestero.
Riguardo alle strategie di entrata, nella maggior parte dei casi le imprese
ricorrono allesportazione indiretta (nella quale domina la figura dellim-
portatore specializzato nel mercato caff), a volte associata a quella diretta.
Rari sono i casi di filiali estere (soltanto in 9 imprese).
Riguardo alla tipologia di cliente estero, ristoranti, hotel e coffee shop
sono quelli prevalenti, mentre la grande distribuzione riveste unimportanza
minore (si veda la Figura 19). Nel retail, i piccoli negozi al dettaglio risul-
tano maggiormente rilevanti, anche se le risposte fornite presentano
unelevata variabilit. Il canale del vending/serving risultato pi rilevante
del canale retail, ma anche in questo caso la variabilit delle risposte mol-
to elevata.

Fig. 19 Importanza attribuita ai diversi canali distributivi del caff nei mercati esteri da
parte delle torrefazioni (punteggio mediano da 1 a 5)

5
4
3
2
1
0
COFFEE SHOP
VENDING/SERVING

RISTORANTI/HOTEL
GDO

PICCOLI NEGOZI

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

Nelle figure seguenti vengono illustrati alcuni dati, che consentono di


ricostruire il posizionamento competitivo delle torrefazioni italiane sui
mercati esteri. Nella maggioranza dei casi (52,9%) le imprese italiane prati-
cano dei prezzi in linea con quelli della concorrenza allestero, ma una per-
centuale significativa (35,3%) si colloca su una fascia di prezzo pi alta.

253
Fig. 20 Politiche di prezzo nei mercati esteri rispetto alla concorrenza

Prezzi dell'impresa
35,3% mediamente pi alti
52,9%
Prezzi dell'impresa
11,8%
mediamente pi bassi
Prezzi dell'impresa in linea

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

Fig. 21 Miscele pi vendute nei mercati esteri

Miscele pi
economiche Miscele premium
13,7% 39,2%

Miscele medie
47,1%

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

Solo il 13,7% delle torrefazioni vende sui mercati esteri principalmente


le miscele pi economiche che ha nella gamma produttiva, mentre il 39,2%
vende principalmente le miscele premium. Per il 47% delle imprese la qua-
lit del caff richiesto allestero inferiore rispetto a quella richiesta sul
mercato domestico e solo per il 27,5% superiore.
Il caff un tipico prodotto del Made in Italy, per il quale pertanto ra-
gionevole attendersi un positivo country of origin effect ed in effetti per il
86,3% delle torrefazioni analizzate il Made in Italy facilita la vendita di caf-
f allestero, mentre per il restante 13,7% ha una scarsa rilevanza. Un dato
interessante che quasi tutte le imprese che hanno dichiarato la scarsa rile-
vanza del Made in Italy vendono allestero le miscele premium piuttosto
che le altre, a significare che vi una differente percezione della rilevanza
dellorigine italiana del prodotto in funzione del posizionamento di mercato
della torrefazione: in altre parole, laddove si opera sulla fascia alta del
mercato, il Made in Italy sembra influire di meno sulla competitivit nei
mercati esteri10.

10
Il 20% delle imprese che offrono prevalentemente le miscele premium allestero hanno
dichiarato che il Made in Italy ha una scarsa rilevanza; mentre soltanto il 9,6% di quelle che

254
Fig. 22 Qualit del caff venduto allestero rispetto a quella del caff venduto in Italia

Superiore 27,5%
Inferiore 47%
Uguale 25,5%

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

Nella Tabella 3 vengono illustrati i risultati riguardanti le principali dif-


ficolt che le torrefazioni intervistate hanno incontrato nelloperare sui
mercati esteri. Cinque voci hanno ottenuto un punteggio mediano pari a 3
(con 1 poco importante e 5 molto importante) ma la variabilit nelle rispo-
ste fornite piuttosto elevata, denotando un certo grado di disaccordo tra le
imprese rispondenti; tale variabilit misurata dallindice di Mutabilit di
Gini, il quale pu assumere un valore compreso tra 0 e 0,8: valori prossimi
allo 0,8, come nel caso in esame, indicano un elevato livello di variabilit.

Tab. 3 Rilevanza delle barriere allesportazione (punteggio mediano da 1 a 5 e indice di


Mutabilit di Gini)

Barriere allesportazione Punteggio Indice di Mutabilit


mediano di Gini
Mancanza di informazioni sui mercati esteri 3 0,759
Scarsit di risorse finanziarie 3 0,798
Difficolt nellaccesso ai canali di distribuzione esteri 3 0,766
Difficolt nel mantenere prezzi competitivi 3 0,771
Difficolt legate allattivit di comunicazione e promozione 3 0,754
Difficolt di natura logistica (trasporti, magazzino ecc.) 2 0,716
Mancanza di adeguate competenze per la gestione estero 2 0,686
Difficolt nellofferta di prodotti in grado di soddisfare le aspet-
tative dei clienti esteri 1 0,592

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

offrono le restanti tipologie di miscele considerano il Made in Italy un facilitatore delle ven-
dite.

255
Le imprese sono invece abbastanza concordi (indice di Mutabilit di Gi-
ni relativamente inferiore) nellattribuire unimportanza bassa a due voci:
difficolt nelloffrire prodotti che soddisfino le aspettative dei clienti esteri
(che ha ottenuto un punteggio pari a 1 su 5), e mancanza di competenze per
la gestione dellestero (che ha ottenuto un punteggio pari a 2 su 5); su tali
fattori quindi le torrefazioni intervistate si sentono abbastanza sicure.
La qualit del prodotto risultata la leva competitiva pi importante
per la maggioranza delle imprese indagate (Tabella 4); la formazione dei
baristi e la comunicazione di marketing sono state giudicate molto rilevanti,
ma con una maggiore variet nelle risposte fornite. Il controllo della distri-
buzione mediante lapertura di propri coffee shop risultata la leva compe-
titiva meno importante, ma anche in questo caso con unelevata variabilit
nelle risposte fornite. Si pu pertanto affermare che, vista la variabilit del-
le risposte, ogni azienda fa leva su fattori differenti per competere a livello
internazionale, denotando proprie peculiarit rispetto alle altre.
Tra i servizi offerti allho.re.ca., la maggioranza delle imprese daccordo
che la formazione sulla qualit del caff rappresenti il servizio pi importan-
te, mentre quelli di natura finanziaria rilevano meno. La formazione sulla ge-
stione dellattivit commerciale e il servizio logistico si trovano in una posi-
zione intermedia, ma con unelevata variet nelle risposte.

Tab. 4 Le principali leve competitive nei mercati esteri (punteggio mediano da 1 a 5 e in-
dice di Mutabilit di Gini)

Leve competitive Punteggio Indice di Mutabilit


mediano di Gini
Qualit del prodotto 5 0,662
Servizi allho.re.ca. 4 0,736
Comunicazione di marketing 4 0,764
Formazione dei baristi 4 0,715
Riduzione dei costi di produzione 3 0,792
Diversificazione produttiva nei comparti del monoporziona-
to, monorigine, ecc. 3 0,748
Sostenibilit 3 0,775
Maggiore controllo della distribuzione mediante lapertura
di propri coffee shop 2 0,776

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

256
Lorientamento al mercato delle torrefazioni italiane.
In un mercato contraddistinto da livelli crescenti di competitivit e di
dinamicit (specie allestero), guidato pi dallevoluzione della domanda
che non dallofferta, la capacit di comprendere, interpretare e valorizzare
le opportunit di mercato emergenti diventa fondamentale. Da qui la rile-
vanza del concetto di orientamento al mercato, inteso come capacit
dellimpresa di rispondere efficacemente nel tempo alle dinamiche di cam-
biamento (positive e negative) derivanti dal contesto esterno.
Lobiettivo dellultima parte dellindagine survey stato quello di andare
a misurare il livello di orientamento al mercato delle torrefazioni italiane.
In letteratura esistono due principali modelli di riferimento per lanalisi
e la misurazione del costrutto orientamento al mercato, entrambi applicati
anche nel caso di ricerche aventi per oggetto piccole e medie imprese:
il modello MKTOR, sviluppato da Narver e Slater (1990), i quali con-
cettualizzano lorientamento al mercato sulla base di tre componenti
(orientamento al cliente, orientamento alla concorrenza e coordina-
mento inter-funzionale) e tendono a sottolinearne la natura culturale;
il modello MARKOR, sviluppato da Kohli e Jaworsky (1990), i quali
tendono a sottolinearne la natura organizzativa, che si traduce in com-
portamenti organizzativi (generazione di informazioni sui bisogni pre-
senti e futuri dei clienti, diffusione di informazioni allinterno
dellorganizzazione e lutilizzo delle informazioni per reagire al mer-
cato).
La maggior parte degli studi aventi come oggetto le PMI hanno utilizzato il
modello MARKOR, del quale pertanto stata verificata la validit anche per
questa categoria particolare di imprese (Kara et al., 2005, 112). Tale modello
stato per sviluppato per analizzare il comportamento delle imprese nel conte-
sto domestico; lobiettivo della nostra ricerca invece quello di indagare il
comportamento delle imprese nei mercati esteri. In proposito, appare utile il
riferimento al modello proposto da Cadogan et al. (2001, 278-279), il quale ri-
calca le tre componenti fondamentali dellorientamento al mercato considerate
nel modello MARKOR, inserendole per in un contesto di export:
il monitoraggio dellambiente estero per lacquisizione delle informa-
zioni (export market intelligence generation EMIG).
la condivisione delle informazioni raccolte allinterno dellazienda (ex-
port market intelligence dissemination EMID).
la capacit di modificare le proprie azioni e le proprie competenze in ri-
sposta alle esigenze dei clienti esteri e ai cambiamenti dellambiente
(export market responsiveness EMR).

257
In definitiva unimpresa con uno spiccato orientamento al mercato
unimpresa che sa cogliere le informazioni rilevanti sui mercati esteri, sa
adeguatamente processarle allinterno dellorganizzazione e le sa utilizzare
in maniera efficace per rispondere alle dinamiche dei mercati. Si tratta per-
tanto di una capacit fondamentale, la quale pu influire sulle scelte strate-
giche e quindi sulla performance internazionale.
Nel presente lavoro stato impiegato il modello di Cadogan et al., sem-
plificato e adattato in minima parte per risultare pi efficace, rispetto
alloggetto di analisi della ricerca (PMI del settore della torrefazione).
Riguardo alla misurazione, ognuna delle tre componenti dellorientamento
al mercato stata descritta da una serie di proposizioni, rispetto alle quali la
persona intervistata ha espresso un grado di accordo/disaccordo su una scala
intervallare costante (Linkert) da 1 a 7, dove 1 indica il massimo di disaccordo
con la proposizione e 7 il massimo di accordo.
Dalle risposte fornite emerso un valore medio dellorientamento al
mercato delle torrefazioni intervistate pari a 4,44, mentre le singole compo-
nenti hanno ottenuto il punteggio indicato nella Tabella 5. Come si pu ve-
dere, in tutti i casi si al di sopra del valore mediano 4, denotando quindi
un sufficiente orientamento al mercato, che risulta per pi debole per
quanto riguardo le capacit di raccolta (EMIG) e di condivisione delle in-
formazioni allinterno delle organizzazioni aziendali (EMID), mentre pi
spiccato nella componente relativa alla capacit di risposta (EMR).

Tab. 5 Orientamento al mercato: valori di statistica descrittiva

ORIENTAMENTO AL EMIG EMID EMR


MERCATO

PUNTEGGIO MEDIO 4,44 4,23 4,35 5,12

PUNTEGGIO MEDIANO 4,60 4,25 4,25 5,33

DEVIAZIONE STANDARD 1,033 1,206 1,282 1,334

COEFFICIENTE DI VARIAZIONE 0,232 0,285 0,294 0,26

VALORE MIN 2,40 1,75 1,75 1,33

VALORE MAX 6,27 6,50 7 7

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine empirica.

258
Sembrerebbe essere pertanto la componente informativa, ovvero quella
legata alla gestione delle informazioni, lelemento di maggior debolezza
rispetto alla componente operativa, ovvero alla capacit di azione in rispo-
sta allambiente estero. Ci pu essere collegato alla dimensione prevalen-
temente piccola delle imprese di torrefazione italiane, le quali non hanno le
risorse interne sufficienti per svolgere una sistematica raccolta delle infor-
mazioni prima dei processi decisionali, ma si affidano sovente alle capacit
cognitive e allesperienza dellimprenditore e dei manager. Inoltre, la fles-
sibilit tipica delle imprese di minore dimensione, meno strutturate e meno
burocratizzate, favorisce la capacit di adattamento allambiente esterno.

6.6. Strategie e processo di internazionalizzazione: lanali-


si di alcuni casi aziendali

Una parte dellanalisi empirica stata diretta ad approfondire le strate-


gie e il processo di internazionalizzazione di una selezione di imprese di
torrefazione, mediante una metodologia di analisi di tipo qualitativo. Il
principale obiettivo conoscitivo del lavoro era quello di verificare
lesistenza di un modello di crescita internazionale comune tra le imprese,
in termini di tempi, Paesi-obiettivo, strategie di entrata e modalit operative
e quindi riflettere sullefficacia di tale modello, alla luce del mutato conte-
sto economico-competitivo internazionale.
Nella Tabella 6 vengono forniti i principali dati relativi ai nove casi
aziendali selezionati. Sono tutte aziende familiari, che presentano un diffe-
rente livello di internazionalizzazione (misurato dallexport intensity e dal
numero di mercati esteri serviti) e che hanno intrapreso lattivit di esporta-
zione in differenti momenti storici: la prima ad iniziare a vendere nei mer-
cati esteri stata Illy (anni Sessanta), seguita da Lavazza (anni Settanta) e
da Zicaff (fine anni Ottanta), quindi negli anni Novanta altre tre imprese
(Caff Pascucci, Corsino Corsini e Mokambo) e infine negli anni 2000 le
restanti tre (Diemme, Essse Caff e Kimbo).

259
Tab. 6 Le imprese analizzate: alcuni dati sintetici
Impresa Principali aree Anno di Inizio atti- Export intensity Principale
(dimensione) di costituzione vit di e n. mercati area geogra-
business export esteri serviti fica di espor-
tazione
CAFF Ho.re.ca. 1959 Inizio anni 50% Asia e Medio
PASCUCCI Vending/Serving Novanta 40 Paesi Oriente
(media impresa)
CORSINO Retail 1950 Met anni 30% Russia
CORSINI Ho.re.ca. Novanta 60 Paesi
(media impresa)
DIEMME SPA Ho.re.ca. 1927 Inizio anni 28% Europa occi-
(media impresa) 2000 35Paesi dentale
ESSSE CAFF Ho.re.ca. 1979 Inizio anni 12% Nord America,
(media impresa) 2000 42 Paesi Europa
ILLY CAFF Retail 1933 Anni Ses- 65% Europa occi-
(grande impresa) Ho.re.ca santa 140 Paesi dentale, Usa
Vending/Serving
KIMBO SPA Retail 1963 Inizio anni 12% Europa
(grande impresa) Ho.re.ca 2000 52 Paesi occidentale
Vending/Serving
LAVAZZA SPA Retail 1895 Met anni 46% Francia, Ger-
(grande impresa) Ho.re.ca Settanta 90 Paesi mania, Usa
Vending/OCS
MOKAMBO (pic- Ho.re.ca. 1972 Met anni 30% Europa
cola impresa) Retail Novanta 30 Paesi occidentale
Vending/serving
ZICAFF (media Ho.re.ca. 1929 Fine anni 35% Marocco,
impresa) Ottanta 45 Paesi Germania,
Russia

Fonte: ns. elaborazione sulla base di interviste dirette.

La pi internazionalizzata Illy, la quale anche la torrefazione che


presenta il maggior numero di anni di esperienza allestero; seguono La-
vazza e Caff Pascucci, che presentano un export intensity abbastanza simi-
le, ma un diverso grado di diversificazione geografica: Lavazza infatti
esporta in un numero significativamente maggiore di Paesi.
Rispetto alle imprese che hanno risposto allindagine survey (paragrafo
6.5), queste presentano in media un grado di internazionalizzazione supe-
riore e quindi possono essere considerate casi di eccellenza, in termini di
performance sui mercati esteri.

Il processo di internazionalizzazione.
Seppur con tempistiche ed esiti differenti, lapproccio allinterna-
zionalizzazione ha seguito un pattern comune: le imprese hanno dapprima

260
focalizzato le proprie risorse sullo sviluppo del mercato domestico (le
aziende hanno iniziato la loro attivit rifornendo i bar, ristoranti o locali
della zona, poi hanno esteso il raggio dazione, distribuendo i propri pro-
dotti nelle citt vicine, nelle province e poi in altre regioni italiane) per poi
affacciarsi sui mercati esteri, in una prima fase in modo sporadico (se non
addirittura casuale), e successivamente in modo pi organizzato e consape-
vole, incrementando le risorse destinate allexport.
Emblematica in proposito laffermazione dellexport manager Diemme
Abbiamo iniziato la nostra esperienza nellinternazionalizzazione verso la
fine degli anni Novanta con una certa prudenza, e lazienda in questa prima
fase era refrattaria ad investire per crescere oltre confine. Con lavvento
della nuova generazione nel board dellazienda, abbiamo cominciato a de-
dicare pi tempo ed energie allexport (Stefano Martin, Diemme S.p.a.).
I primi contatti commerciali sono stati sovente avviati durante la parteci-
pazione a fiere internazionali di settore11, che rappresentano ancora tuttoggi
uno strumento fondamentale nel processo di internazionalizzazione.
Il processo di espansione a livello territoriale delle varie torrefazioni
avvenuto quindi in maniera progressiva, pur non ricalcando in modo preci-
so il classico modello dellinternazionalizzazione per stadi12.
Com noto, secondo la teoria della internazionalizzazione per stadi,
lo sviluppo internazionale dellimpresa si configura come un processo gra-
duale, perch presuppone un livello di impegno (coinvolgimento) nei mer-
cati esteri progressivamente crescente: le imprese entrano inizialmente nei

11
Le fiere commerciali rappresentano una delle modalit pi efficaci per promuovere le
esportazioni.
Le manifestazioni fieristiche hanno subito unimportante evoluzione nel tempo: non sono
solo un generico strumento promozionale ma rispondono ad obiettivi ben definiti di comuni-
cazione e di relazione con il mercato. Inoltre, consentono di comunicare con i potenziali ac-
quirenti nel momento in cui la loro attenzione maggiore, in quanto sono alla ricerca di in-
formazioni pre-acquisto ed effettuano confronti tra le varie alternative di prodotto e di forni-
tura (Golfetto e Uslenghi, 1999).
Alcuni esempi di importanti fiere di settore, che si svolgono in Italia sono: Host, il Salone
dellOspitalit, che si tiene a Milano ogni due anni; Trieste Espresso Exp, fiera specializza-
ta nel caff espresso; SIGEP, Salone internazionale gelateria, pasticceria e panificazione ar-
tigianali, Rimini; Venditalia, Esposizione internazionale distribuzione automatica, Milano.
Alcune importanti fiere che si svolgono allestero sono: Caff Culture, Fiera del mercato
europeo dei bar e della caffetteria, Londra; Coffeena, Salone Internazionale del caff, Colo-
nia - Germania; Oteca, esposizione internazionale mercato del caff, the, cacao, Amburgo -
Germania; Sial, Esposizione mondiale del food, Parigi Francia; Summer e Winter Fancy
Food Show, USA.
12
Per ulteriori approfondimenti sul modello, si vedano: Johanson e Wiedersheim-Paul
(1975); Johanson e Vahlne (1977).

261
mercati esteri geograficamente pi vicini, mediante modalit che presenta-
no un basso grado di rischio e un limitato grado di controllo. Lesperienza
maturata nelloperare in un certo mercato-Paese determina un aumento del-
la conoscenza e del know-how, relativi a quel mercato; ci contribuisce a
ridurre il rischio percepito dal management o dallimprenditore nella ge-
stione delle attivit allestero e quindi a stimolare linvestimento di pi ri-
sorse in quel mercato. Con questo modello si fa quindi riferimento ad un
approccio incrementale delle imprese ai mercati esteri, non solo in relazio-
ne allampiezza geografica del raggio di azione, ma anche in termini di
coinvolgimento a livello organizzativo, strategico e finanziario. In altre pa-
role, la crescita internazionale accompagna la crescita dimensionale
dellimpresa e si manifesta come un percorso sequenziale, che parte dalle
esportazioni indirette per arrivare agli investimenti diretti (Musso, 2006). In
realt, nel caso di alcune torrefazioni esaminate (Corsino Corsini, Essse
Caff, Mokambo, Zicaff) non si arrivati agli investimenti diretti, pur es-
sendo comunque cresciuto il livello di commitment, in termini di risorse
dedicate ai mercati esteri.
Nel caso della grande multinazionale Lavazza stato invece possibile
ricostruire lintero processo evolutivo graduale (si veda la tabella seguente).

Tab. 7 Il processo di internazionalizzazione nel caso Lavazza

Lavazza che la pi grande delle torrefazioni storiche italiane (essendo stata costituita nel
1895) intraprese lattivit allestero nei primi anni Settanta del secolo scorso. Inizialmente manc
un disegno strategico ben definito: le prime occasioni di contatto con lestero si presentarono verso
la fine degli anni Sessanta, a seguito della richiesta proveniente da emigranti italiani che vendeva-
no caff nel loro Paese; si trattava di esportazioni sporadiche e quindi di un modello di internazio-
nalizzazione casuale e non strutturato. In questa prima fase lazienda decise di non adattare
lofferta dei prodotti ma di sfruttare la domanda che proveniva da clienti che, per ragioni di prove-
nienza geografica o per la volont di differenziarsi, ricercavano il caff italiano. Anche se allinizio
non venne seguita una strategia ben precisa, questi primi anni consentirono allazienda di avviare
un processo di apprendimento sulle caratteristiche dei mercati esteri, che si rivel molto utile negli
anni successivi.
Fu verso la met degli anni Settanta che, una volta raggiunta nel mercato domestico una quo-
ta pari al 30-35%, Lavazza decise di pianificare una strategia di penetrazione allestero, diversifi-
cando i mercati di sbocco. Adottando un modello di internazionalizzazione graduale, scelse ini-
zialmente quei mercati pi vicini al proprio Paese dorigine da un punto di vista culturale, economi-
co e per tipologia di caff consumato. La Francia fu il primo Paese in cui Lavazza decise di entra-
re, inizialmente con una strategia di esportazione indiretta, al fine anche di testare e conoscere
meglio il mercato, poi, nel 1982, mediante la costituzione di una unit operativa di commercializza-
zione (la consociata Lavazza France). In altri Paesi, come la Germania e lAustria, lazienda si affi-
d a importatori locali operanti nel canale dei pubblici esercizi. Lo sviluppo dei rapporti con questi

262
mercati esteri rese necessario linserimento in azienda della nuova figura del Direttore Commercia-
le Estero, le cui mansioni variavano a seconda dei mercati. Alla fine degli anni Ottanta vennero
create altre tre consociate: in Austria, Germania e Stati Uniti.
Durante tutti gli anni Novanta e 2000 sono proseguiti gli investimenti diretti esteri per lapertura
di altre unit operative nei Paesi considerati chiave nella strategia di sviluppo internazionale
aziendale ed attualmente le consociate sono nove (sei in Europa, due negli USA e una in Brasile,
tutte controllate al 100%).
Lo sviluppo dei mercati esteri ha acquisito nel tempo unimportanza crescente nella strategia
dellazienda torinese, testimoniata da un aumento progressivo del livello di commitment in termini
di risorse finanziarie investite e di risorse organizzative dedicate.
Lattuale portafoglio di strategie di entrata si presenta ampio e variegato: alla classica modalit
di esportazione indiretta impiegata soprattutto nella prima fase dello sviluppo internazionale ed
attualmente in alcuni mercati come quelli dellEst Europa si sono aggiunte le modalit di esporta-
zione diretta (mediante una propria rete di vendita ed unit operative estere) e, pi recentemente,
anche le modalit in partnership con operatori esteri.
Tra queste, la pi importante la recente partnership con lazienda leader nel settore del caff
monoporzionato e delle macchine da caff Green Mountain Coffee Roaster finalizzata
allingresso nel mercato USA (2010). Si tratta di un accordo di natura industriale e commerciale, al
quale poi ha fatto seguito lacquisizione dell8% del capitale della societ americana. Laccordo ha
permesso nel 2012 il lancio di un nuovo sistema macchina-cialda di caff (KueringRivo Latte e
Cappuccino), il quale consente di lavorare tutti i tipi di latte fresco per preparare bevande a base di
caff espresso. Lobiettivo quello di penetrare nel mercato domestico nord-americano, con un si-
stema chiuso.
Un ruolo fondamentale nello sviluppo internazionale dellazienda stato svolto dal Training
Center, il Centro di formazione e di diffusione della cultura dellespresso italiano nel mondo. Nato
nel 1979, esso offre percorsi formativi, non soltanto sulle tecniche di preparazione dellespresso,
sulla gestione delle attrezzature, sul caff verde, ma anche sulle modalit di organizzazione e ge-
stione del pubblico esercizio. Il supporto di tale Centro diviene particolarmente strategico nel mo-
mento in cui si va ad esportare il prodotto in mercati dove la cultura del caff ancora poco svilup-
pata. Inoltre, il trainer non svolge soltanto attivit di formazione classica allinterno dei training cen-
ter sparsi in tutto il mondo, ma svolge anche unattivit di supporto durante le fiere o eventi partico-
lari e supporta il marketing e le vendite, in occasione delle presentazioni di prodotto a nuovi poten-
ziali clienti.

Fonte: ns. elaborazione su intervista diretta.

Dal modello comune appena illustrato si discosta Illy, che nasce con una
forte vocazione per lestero e il cui processo di internazionalizzazione si
svolto parallelamente allo sviluppo del mercato domestico. Linnovazione

263
della presurizzazione13, introdotta nel 1935, si inseriva gi nellottica di usci-
re, non soltanto dai confini della propria regione, ma anche dai confini nazio-
nali. Gi dalla fine degli anni Cinquanta e linizio degli anni Sessanta venne-
ro create le prime filiali commerciali nei mercati europei vicini, come Francia
e Olanda; ma dagli anni Ottanta e Novanta che il processo di internaziona-
lizzazione subisce una forte accelerazione, avviata con lapertura della filiale
Usa nel 1980. Venne quindi creata una struttura ad hoc allinterno
dellimpresa che potesse supportare le vendite nei mercati esteri a 360 da-
gli aspetti legali a quelli amministrativi, dal customer service alla consulenza
tecnica e che arrivata attualmente a contare circa 30 persone. Si diede av-
vio cos allo sviluppo del network distributivo internazionale.
I primi mercati nei quali le imprese esaminate hanno fatto il loro ingres-
so sono stati quelli europei e gli USA: si tratta di mercati nei quali erano
presenti consistenti comunit di emigranti italiani e nei quali quindi, prima
che in altri, si sviluppata la domanda di caff. Ci sono dei Paesi in cui il
caff espresso era radicato gi molti anni fa e sono quei Paesi nei quali c
stata storicamente una forte immigrazione di italiani: sono mercati per noi
tradizionali, parlo ad esempio della costa atlantica degli Usa; in altri Pae-
si il consumo (allitaliana) ha iniziato a diffondersi pi tardi, dal 2000 in
poi, come la Svezia e il Sud Africa e ancor pi di recente Israele (Nicola
di Nisio, Caff Mokambo).
Il raggio dazione delle aziende si poi progressivamente esteso e il
numero dei mercati esteri attualmente serviti dalle imprese intervistate
elevato: la loro presenza si distribuisce su un numero di Paesi compreso tra
35 (Diemme Caff) e 140 (Illy). Anche le torrefazioni medie e piccole
quindi prediligono una certa diversificazione geografica delle esportazioni.
Ci che emerso dalle interviste fatte che nella maggior parte dei casi
non vi una ricerca a tavolino dei mercati esteri nei quali iniziare ad ope-
rare: da un punto di vista normativo, lingresso in un mercato estero do-
vrebbe essere il frutto di un processo di pianificazione (illustrato nella figu-
ra seguente), il cui punto di partenza lanalisi delle opportunit di mercato
per la selezione delle aree geografiche verso le quali esportare; tale analisi
presuppone a sua volta unapprofondita conoscenza della situazione eco-
nomica, demografica, geografica e socio-culturale del mercato, dalla quale

13
La pressurizzazione era un metodo innovativo per la conservazione della miscela, fondato
sullintroduzione di gas inerte allinterno del barattolo. Tale metodo consente di mantenere
lequilibrio chimico del caff, conservandone laroma ed il sapore anche per lunghi periodi
di tempo.

264
far emergere, da un lato, il grado di attrattivit di ciascun Paese e,
dallaltro lato, il grado di accessibilit dello stesso14.

Fig. 25 Il processo di pianificazione delle attivit nei mercati esteri

(1) (2) (3) (4)


Analisi delle Valutazione del Scelta della Definizione del
opportunit di potenziale del modalit di livello di
mercato prodotto entrata nel commitment
mercato estero

(10) Integrazione e (5)


Valutazione e valutazione Allocazione
controllo delle continua delle delle risorse
attivit varie attivit necessarie

(9) (8) (7) (6)


Attuazione della Organizzazione Sviluppo del Analisi delle
strategia di del team piano strategico questioni
marketing operativo di marketing tecniche

Fonte: Darling e Serist, 2004, 30.

Nella realt osservata presso le imprese esaminate non si parte dal merca-
to ma dal cliente: in molti casi sono i clienti esteri che prendono liniziativa e
contattano il fornitore, in altri il fornitore di caff che si attiva per cercare il
cliente estero, soprattutto tramite la partecipazione alle fiere; in altre parole,
pi che di selezione dei mercati esteri, bisognerebbe parlare di selezione
dei clienti esteri. La scelta dei mercati non sempre frutto di unattenta pia-
nificazione, ma il risultato di una strategia emergente, anche per la man-
canza di risorse umane adeguatamente preparate da dedicare a tale attivit
(come espressamente dichiarato dallarea manager di Zicaff).

14
Per grado di attrattivit si intende il potenziale di vendita della classe di prodotto offerta
dallimpresa (potenziale industry specific), mentre per grado di accessibilit si intende la
presenza/assenza di barriere allentrata nel mercato-obiettivo. Indispensabile poi una valu-
tazione del potenziale dello specifico prodotto dellimpresa (potenziale firm specific), che
costituisce la seconda fase del processo di pianificazione, e il quale risulta influenzato
dallintensit della concorrenza nel mercato estero, oltre che della condizioni macroecono-
miche.

265
Fanno eccezione le imprese pi grandi, come Lavazza, dove viene per-
seguita una strategia di crescita mirata in alcuni mercati, considerati ad alto
potenziale come i Paesi emergenti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e
come gli USA, dettata anche dalla necessit di razionalizzazione degli inve-
stimenti. Pure Illy impiega una strategia pianificata, fondata su accurate
analisi di ciascun mercato-Paese, le quali riguardano la situazione macro-
economica, il mercato del caff, la concorrenza e la struttura distributiva.
Va per rilevato che la copertura geografica di Illy attualmente cos estesa
che pi che alla ricerca di nuovi mercati, si punta allo sviluppo di quelli gi
presenti in portafoglio.
La maggioranza delle aziende esaminate ha intrapreso lattivit di espor-
tazione tra gli anni Novanta e 2000, indipendentemente dalla data di costi-
tuzione. Il principale driver riconducibile alle condizioni del mercato do-
mestico, il quale avendo ormai raggiunto la fase di maturit e essendo ca-
ratterizzato da unintensit competitiva particolarmente elevata, ha indotto
le imprese a guardare ai mercati internazionali come nuovi mercati di
sbocco. A ci si aggiunga il ruolo fondamentale della governance azienda-
le: nel caso Kimbo Spa infatti stato il passaggio dalla gestione familiare
alla gestione manageriale, avvenuto nel 2011, a dare una spinta decisiva
allinvestimento di risorse per linternazionalizzazione.

Le strategie di entrata e la politica distributiva nei mercati esteri.


Per quanto riguarda le strategie di entrata nei mercati esteri,
lesportazione senza dubbio quella prevalente tra le imprese di torrefa-
zione, confermando perci il modello di internazionalizzazione della mag-
gior parte delle PMI italiane, anche di altri settori economici (Guerini,
2002; Cedrola e Battaglia, 2011). Come evidenziato da Silvestrelli (2001),
tra le possibili forme di internazionalizzazione delle PMI (specialmente del
Made in Italy) la forma pi diffusa di gran lunga quella mercantile, cio
lesportazione di prodotti finiti.
In tal caso, le aziende effettuano tutte le lavorazioni sul caff crudo im-
portato allinterno del proprio stabilimento in Italia ed esportano poi il caff
torrefatto. Le modalit di esportazione sono diverse da impresa a impresa,
cos come pure da mercato-Paese a mercato-Paese per una stessa impresa.
Come evidenziato nel paragrafo 6.5., quella di gran lunga prevalente co-
munque lesportazione tramite importatori/distributori di prodotti alimen-
tari o specializzati nel mondo caff, che si assumono tutti i rischi e gli oneri

266
dellesportazione15: in tal caso limpresa si limita a vendere il caff torrefat-
to allintermediario, che provveder poi a collocare il prodotto nel mercato-
Paese di destinazione attraverso una rete di distributori e/o direttamente.
Poich la scelta della strategia di entrata condiziona il grado di controllo
che il management pu esercitare sulle leve di marketing nel mercato estero
(si veda in proposito la Figura 26), si pu concludere che le aziende esami-
nate prediligono strategie di entrata che consentono un grado di controllo
limitato, a fronte per di un minor fabbisogno di risorse da investire e quin-
di di un minor rischio economico da affrontare. Ricorrendo infatti alla figu-
ra dellimportatore/distributore limpresa di fatto perde il controllo sul pro-
cesso di vendita nel mercato estero, il quale gestito dallintermediario.
Proprio per recuperare parte di questo controllo, le imprese attuano una
serie di politiche, volte ad aumentare la capacit di influenzare le decisioni
e i comportamenti dellintermediario.

Fig. 26 Strategie di entrata in funzione del grado di controllo e del rischio economi-
co

Elevato
ESPORTAZIONE
TRAMITE PROPRIE
Grado di controllo sui processi di

FILIALI/CONSOCIATE
marketing nel mercato estero

ESPORTAZIONE
DIRETTA TRAMITE
PROPRIO PERSONALE
DI VENDITA
ESPORTAZIONE
DIRETTA TRAMITE
AGENTI DI VENDITA

ESPORTAZIONE
TRAMITE
Basso IMPORTATORI/DISTRI-
BUTORI
Basso Elevato
Entit dell'investimento e del rischio economico

15
La figura dellimportatore/distributore ha subito una certa evoluzione nel corso del tempo:
mentre in passato era dominante limpresa specializzata nei prodotti alimentari (sovente ti-
pici del Made in Italy, come pasta, olio, vino, ecc.), ora tende ad esserci una maggiore spe-
cializzazione sul caff e sulle attrezzature destinate allho.re.ca. (concessionari di macchine
per il caff). Ci anche comprensibile, riflettendo sul fatto che il caff un prodotto semi-
lavorato, il quale ha bisogno di tante altre componenti per trasformarsi in prodotto finito da
consumare (dalla macchina al macinino alla formazione) e quindi richiede una certa specia-
lizzazione. In parte dipende anche dal livello della cultura del caff che si sviluppata nel
mercato estero: nei Paesi dove tale livello elevato, pi probabile che ci siano importato-
ri/distributori specializzati.

267
Diffusa la prassi di concedere lesclusiva allimportatore/distributore
per la vendita del prodotto; ci per due ragioni principali:
per fidelizzare maggiormente il cliente estero, incentivarlo ad inve-
stire nel prodotto dellimpresa e nella relazione con limpresa, in
unottica di crescita congiunta; ci stato rilevato in modo particola-
re nel caso Diemme: Amiamo, se possibile, lavorare con contratti di
esclusiva, perch il cammino insieme deve essere di reciproca fedel-
t: lui (importatore/distributore) investe per sviluppare il canale e noi
(azienda Diemme) ci impegniamo a trasferirgli tutte le conoscenze e
le competenze sul caff. Laddove si crede di aver trovato la persona
giusta, si disposti anche a perdere la vendita di alcune migliaia di
kg. di caff pur di mantenere la relazione e non minare la fiducia
(Stefano Martin, Diemme S.p.a.);
per semplificare la gestione del portafoglio dei clienti esteri, che,
concedendo lesclusiva, meno numeroso e richiede quindi minori
risorse da investire; ci stato rilevato nel caso Zicaff: Dovendo
gestire pi di un cliente per Paese, raddoppia il tempo da dedicarvi,
con risultati non necessariamente doppi, anzi (Giuseppe Trovato,
Zicaff S.p.a.).
Gli investimenti specifici effettuati dallimportatore e un comportamen-
to non opportunistico da parte dellimpresa fornitrice influiscono positiva-
mente sul commitment del primo e quindi sulla sua performance; daltro
canto, il successo dellimportatore una condizione fondamentale per la
performance dellimpresa esportatrice nel mercato estero. Quando si riesce
a sviluppare una relazione di fiducia tra le due parti, per lazienda di torre-
fazione si riducono notevolmente i rischi connessi allesportazione indiret-
ta, derivanti dal fatto che limportatore ha in genere un buon potere nego-
ziale e pu abbastanza facilmente cambiare fornitore, non appena se ne pre-
senta loccasione. Ci che stato pi volte sottolineato dalle persone inter-
vistate che tra impresa distributrice e impresa di torrefazione non vi un
mero rapporto di compravendita ma piuttosto un rapporto di collaborazio-
ne, il quale costituisce peraltro una fonte preziosa di informazioni sul mer-
cato estero per limpresa italiana. In alcuni casi, il rapporto professionale
sfocia anche in un rapporto personale di amicizia: Il cliente deve sentirsi
come in una famiglia, mi devono vedere come un amico. Il cliente fide-
lizzato quando ti chiama e ti parla dei suoi problemi personali (Nicola di
Nisio, Caff Mokambo). In ogni caso la conoscenza personale del partner
estero ritenuta di fondamentale importanza, specialmente dalle imprese di
medio-piccola dimensione: Io prima di venderti un caff devo sapere chi

268
sei, che azienda hai, che relazione hai con le persone, come ti comporti e
poi la mia porta sar sempre aperta (Stefano Martin, Diemme S.p.a.).
Particolarmente interessante la politica seguita da Illy riguardo alla ge-
stione del network dei distributori esteri, illustrata nella Tabella 8.

Tab. 8 La politica distributiva nei mercati esteri di Illy

Tutte le politiche di marketing di Illy sono coerenti rispetto agli obiettivi e alla natura della stra-
tegia competitiva seguita dallazienda e la politica distributiva non fa eccezione. Tale strategia
competitiva ha puntato da sempre alla creazione di unimmagine globale (unica) del brand, che ri-
specchiasse un posizionamento nella fascia alta del mercato, fondato su una spiccata differenzia-
zione del prodotto e dei servizi offerti dal punto di vista, non soltanto qualitativo, ma anche senso-
riale ed etico. Sulla base di questi obiettivi il management aziendale ha sviluppato un ben definito
modello di business, che si fonda su specifiche strategie di approvvigionamento e di relazione di-
retta con i produttori di caff verde, sulla politica di produzione di ununica miscela di caff e
sulladozione di soluzioni tecniche finalizzate al miglioramento della qualit nella tostatura del caf-
f, sulla continua ricerca e sviluppo volta alla generazione di innovazioni, su politiche di marketing
(dal prezzo alla comunicazione) e di vendita miranti alla valorizzazione del brand.
Il brand ha un ruolo centrale nella strategia Illy, al pari del prodotto e delle persone (Giusep-
pe Taccari, Illy Spa).
Tra quelle politiche vi anche quella distributiva.
Nei Paesi dove Illy non ha proprie filiali commerciali, si opera tramite un network di importato-
ri/distributori, secondo una politica distributiva esclusiva. La selezione degli operatori esteri avvie-
ne sulla base di numerosi criteri: la dimensione aziendale, la tipologia e la numerosit di prodotti in
portafoglio, la reputazione nel mercato estero, la conoscenza del mercato, la capacit di credito, la
capacit strategica dellimprenditore.
Le formule distributive sono due:
importatori/distributori nei quali Illy detiene una quota di minoranza del capitale e rispetto ai
quali si ha un diritto di opzione ad acquistare il business in caso di vendita da parte del distributore;
lobiettivo quello di aumentare il grado di controllo delloperato di tali soggetti economici, localiz-
zati in mercati considerati dallazienda triestina particolarmente strategici (come il mercato ingle-
se); a tale scopo viene nominato anche uno steering comittee, al quale partecipano sia manager
Illy, sia limprenditore locale, per garantire la condivisione delle decisioni strategiche relative a quel
mercato che hanno per oggetto il brand Illy (come il posizionamento del brand, il pricing,
lelaborazione del business plan);
importatori/distributori totalmente indipendenti, rispetto ai quali non c alcun diritto di opzio-
ne, n steering committee, n partecipazione al capitale da parte di Illy.
Indipendentemente dalla formula commerciale, il rapporto tra distributore e azienda di torrefa-
zione molto stretto e normalmente di lunga durata. Si tende infatti a prediligere relazioni di lungo
periodo, in quanto la sostituzione di un distributore con un altro pu risultare molto problematica e
comportare costi significativi (per la chiusura del contratto, per la ricerca di un nuovo soggetto
estero, per la perdita di clienti, ecc.). Nellambito di questo rapporto di lungo periodo, il distributore
viene comunque stimolato al raggiungimento di determinati obiettivi di vendita e alla realizzazione

269
di determinati progetti: annualmente esso deve redigere un business plan, sulla cui base poi
lazienda di Trieste pianifica il tipo e lentit del supporto, in termini di servizi, che verr fornito.
Gli export manager aziendali agiscono come consulenti nei confronti del distributore, oltre ad
avere una funzione di controllo sul loro operato. Essi vengono supportati dal personale aziendale e
dallUniversit del Caff, che organizza corsi, non soltanto sulla tematica del caff, ma anche sulle
tematiche di gestione aziendale.
Storicamente gli importatori/distributori Illy sono operatori specializzati nellho.re.ca., ma con lo
sviluppo del business del monoporzionato la tipologia di partner tende a differenziarsi e ci porta
ad avere pi interlocutori in ciascun mercato Paese. Il monoporzionato destinato al canale uffici
(OCS) e al vending viene infatti commercializzato da grandi multinazionali specializzate; quello in-
vece destinato al consumo domestico viene commercializzato direttamente da Illy tramite i propri
punti vendita Illy Point shop (in shop o stand alone) o punti vendita indipendenti selezionati; coe-
rentemente infatti con limmagine del brand, si scelto di non impiegare il canale della GDO.

Fonte: ns. elaborazione su intervista diretta.

In alcuni mercati considerati pi strategici e importanti per i volumi di


vendita realizzati, alcune imprese hanno preferito creare una propria pre-
senza diretta, mediante un insediamento di natura commerciale, in modo da
essere pi vicini al cliente finale, gestire tutte le leve del marketing mix e
quindi fronteggiare la concorrenza in modo pi efficace16. Oltre alle due
grandi multinazionali Lavazza e Illy che hanno rispettivamente nove e
otto consociate, tutte controllate al 100% il caso di Kimbo Spa, che, per
essere presente in un mercato strategico come quello inglese, ha acquisito
nel 2009 una societ di distribuzione di bevande, operante in prevalenza
nellho.re.ca., con la quale era gi in rapporto daffari.
In unimpresa multinazionale, che ha costituito sui mercati esteri una o
pi unit operative locali, un aspetto critico nella progettazione della strut-
tura organizzativa dato dalla distribuzione del potere decisionale tra la se-
de centrale (corporate o headquarter) e le consociate estere (subsidiary).
Da un lato, vi lesigenza di garantire al management dellunit operativa
locale un sufficiente spazio di autonomia, affinch esso possa operare nel
modo pi consono, rispetto alle esigenze emergenti nella propria specifica
area geografica di competenza; dallaltro lato, c la necessit della sede
centrale di imporre certi obiettivi e determinate politiche a tutte le unit

16
Da alcune indagini empiriche emerso che lesportazione diretta si associa a performance
migliori rispetto a quella indiretta: il presidio diretto del mercato estero consente di racco-
gliere un maggior numero di informazioni, di recuperare parte del margine di profitto rico-
nosciuto agli intermediari e di migliorare la capacit di risposta ai cambiamenti nel mercato
(Lee e Griffith, 2004).

270
estere, al fine di uniformare la condotta dellimpresa nel suo complesso e di
garantire le condizioni di efficienza necessarie per la sopravvivenza.
Nel caso delle aziende di torrefazione esaminate, il modello impiegato
quello accentrato, nel quale il management della sede centrale mantiene il
potere decisionale riguardo alle linee guida strategiche, mentre le unit
estere hanno autonomia nella gestione operativa, rivestendo per un impor-
tante ruolo di consulenza rispetto agli obiettivi e alle decisioni da prende-
re, in unottica collaborativa con la casa madre.
In altri casi sono stati realizzati accordi di tipo equity (ovvero che pre-
vedono una partecipazione al capitale di rischio) con partner locali: nel caso
delle partnership, limpresa si avvale della collaborazione di soggetti locali
(di solito imprese di distribuzione) con i quali viene stipulato un contratto
finalizzato a sfruttare competenze complementari. Limpresa produttrice
fornir al partner estero i propri prodotti ed il know how relativo al caff; il
partner estero, invece, potr fornire laccesso ai canali distributivi e le pro-
prie conoscenze in merito alle caratteristiche della domanda locale. In que-
sto modo limpresa riesce, con un minore dispendio di risorse e ripartendo
il rischio con il partner, a competere in un mercato in cui sarebbe potuta en-
trare con maggiore difficolt. Le forme dellaccordo possono essere diver-
se: acquisizione di una partecipazione in una societ di distribuzione esi-
stente oppure creazione di una joint venture con un distributore locale; si
tratta, nel caso di Caff Pascucci ad esempio, di unevoluzione della rela-
zione daffari con il distributore estero: quando questa assume una rilevan-
za strategica, viene ulteriormente consolidata per condividere rischi e op-
portunit e per una gestione pi efficace del mercato estero.
Sempre nel caso Caff Pascucci, un altro importante canale di entrata
nei mercati esteri rappresentato dal ricorso al master franchising, impie-
gato nei mercati del Medio Oriente, in Corea e in India17. Al master fran-
chisee distributore, se possibile, viene affidato il compito di controllare in
esclusiva sia la commercializzazione del caff nellho.re.ca., sia lo sviluppo
dei coffee shop a marchio Pascucci: separando i due ruoli, si potrebbero ve-
rificare dei conflitti tra la distribuzione indipendente e quella legata al
franchising dei coffee shop Pascucci.
Un accordo di tipo non equity stato invece realizzato in Francia da
Kimbo S.p.a. con France Bousson, una societ del gruppo Heineken, per la
distribuzione in esclusiva dei prodotti.
17
Il Master Franchising un accordo mediante il quale il franchisor affida in via esclusiva al
master franchisee il diritto di stipulare contratti di franchising con i sub-franchisee in una
certa area geografica.

271
Raramente le imprese di torrefazione optano per la creazione di un inse-
diamento produttivo estero. Trattandosi generalmente di torrefazioni di pic-
cola e media dimensione, numerosi sono gli ostacoli di natura economica e
organizzativa per la realizzazione di un insediamento produttivo. Non un
caso che questultima strategia di entrata sia impiegata soltanto dallazienda
pi grande Lavazza, che controlla due stabilimenti produttivi allestero: uno
in Brasile e uno in India. Essi sono il frutto di acquisizioni di aziende locali
operate dalla Lavazza tra il 2007 e il 2008: la Fresh&Honest Caf, leader nel
settore ho.re.ca indiano e la Caf Grao Nobre brasiliana. La scelta di produrre
allestero si fonda pi su un orientamento market seeking che non resour-
ce seeking (Silvestrelli, 2008): essa non dettata dalla volont di delocaliz-
zare la produzione tant che la produzione negli stabilimenti italiani stata
potenziata negli ultimi anni quanto piuttosto da opportunit di mercato,
combinate con la necessit sia di ovviare a barriere doganali, che renderebbe-
ro lesportazione troppo onerosa, sia di razionalizzare i costi, ottimizzando la
logistica. Non pu sfuggire che India e Brasile sono, oltre che mercati con
alto potenziale di consumo, anche produttori di caff verde e quindi fornitori
della materia prima dellazienda di torrefazione.
Non va inoltre sottovalutato un altro fattore, che ha ostacolato finora
linsediamento produttivo estero delle torrefazioni italiane: leffetto country
of origin del prodotto. Il caff uno dei prodotti tipici del Made in Italy,
contraddistinto da una forte valenza culturale e da un prestigio che si espri-
mono anche nellaver imposto termini tipicamente italiani legati al prodotto e
alla sua lavorazione (espresso, cappuccino, bar) nel linguaggio internaziona-
le (de Luca e Pegan, 2012, 6). Il timore di influire negativamente sulla per-
cezione dei clienti esteri circa litalianit del prodotto, unito allo spiccato ra-
dicamento territoriale nella propria area geografica di origine, hanno scorag-
giato le torrefazioni italiane ad investire nella produzione allestero.
Limportanza dellorigine italiana del prodotto riconosciuta un fattore tal-
mente strategico, da spingere ad esempio Kimbo S.p.a. a creare nel 2012 un
nuovo brand per i mercati esteri Kimbo Espresso Italiano proprio per
rendere maggiormente riconoscibile litalianit della propria offerta.
Nel caso di Illy la scelta di non aprire stabilimenti allestero dovuta
anche allimportanza strategica della ricerca e sviluppo, che si realizza
allinterno dei centri di ricerca localizzati in prossimit dello stabilimento
di tostatura18: lesigenza di coordinamento tra le due funzioni aziendali,
18
In Illy sono attivi quattro laboratori di ricerca: Aroma Lab, dove si studia il profilo aroma-
tico del caff e si valuta la qualit del caff verde e tostato; SensoryLab, dove si studiano
sensazioni e percezioni evocate dal caff e da altri tipi di alimenti; TechLab, dove si appli-

272
rende non opportuna la loro separazione e sarebbe estremamente difficile
replicare allestero il modello di ricerca. Inoltre, le vendite in ciascun mer-
cato non hanno ancora raggiunto un livello tale da giustificare economica-
mente linvestimento in un insediamento produttivo estero.
Va per rilevato anche un elemento a favore della produzione allestero:
una delle criticit maggiori per il caff italiano esportato riguarda la con-
servazione e la freschezza, una volta giunto nel mercato-Paese di destina-
zione. Specialmente nei Paesi geograficamente molto distanti, per raggiun-
gere i quali il caff deve affrontare un viaggio molto lungo, si pone il pro-
blema del mantenimento della qualit e dellaroma, il quale potrebbe indur-
re il cliente estero ad acquistare un prodotto locale, piuttosto che il prodotto
italiano. il caso dellAustralia, ad esempio, citato dal presidente di Caff
Pascucci: Laspetto freschezza va contro lesportazione dallItalia. Pren-
diamo il caso dellAustralia, dove ci sono molte torrefazioni locali. Perch
laustraliano dovrebbe comprare il caff Pascucci, che impiega due mesi
solo per arrivare? Allora si pu valutare di aprire uno stabilimento l, pur
nel mantenimento dellidentit italiana. Aprire uno stabilimento allestero
non per forza significa perdere, ma pu servire a far crescere lazienda
(Mario Pascucci, Caff Pascucci).
Un approccio comune che stato riscontrato tra i casi esaminati riguar-
da il tipo di business nel quale si entra nel mercato estero: in una prima fase
lobiettivo di penetrare nellho.re.ca. ovvero nel consumo extradomesti-
co e soltanto dopo che il brand ha ottenuto un certo grado di notoriet, si
cerca la penetrazione nel retail ovvero nel consumo domestico. Afferma
in proposito Giovanni Troisi di Kimbo: Generalmente quando approccia-
mo un mercato estero iniziamo dallho.re.ca., perch un po pi facile co-
struire la marca; lho.re.ca. fondamentale perch d riconoscibilit e repu-
tazione al brand. Una volta che il brand si affermato probabile che il
consumatore lo vada ad acquistare anche al supermercato (Giovanni
Troisi, Kimbo Spa). Ad esempio, lessere diventati fornitori della catena
Autogrill ha consentito allazienda napoletana di acquisire una grossa visi-
bilit anche a livello internazionale, aprendole le porte del canale retail.

Le politiche di marketing nei mercati esteri.


Riguardo alla politica di prodotto, in quasi tutti i casi esaminati non
vengono create miscele ad hoc per i mercati e/o clienti esteri, ma si offrono

cano i risultati ottenuti dagli altri centri in soluzioni e tecnologie nuove; BioLab, dove si
studia la biologia del caff.

273
quelle vendute nel mercato domestico. I prodotti venduti in Italia e quelli
venduti allestero sono identici, per avere la sicurezza di dare un prodotto di
qualit. Sono uguali le miscele e i promozionali che utilizziamo per suppor-
tare le vendite (Nicola Di Nisio, Caff Mokambo S.r.l.).
Le miscele vendute nei mercati esteri sono le stesse di quelle vendute
in Italia. Non facciamo un prodotto su misura. Crediamo di fare diverse ot-
time miscele per tutti i palati e di conseguenza riproponiamo quello che
viene offerto in Italia (Barbara Chiassai, Essse Caff S.p.a.).
Coerentemente con la strategia aziendale di prodotto, Illy propone
allestero ununica miscela di caff, che per viene adattata alle preparazio-
ni (caff pi lunghi o pi ristretti) prevalenti nei diversi mercati esteri me-
diante una differente tostatura e macinazione.
Fa eccezione Zicaff, che ha creato una miscela specifica per lestero,
non tanto per rispondere meglio alle differenze di gusto che i consumatori
stranieri possono presentare rispetto a quelli italiani, quanto per evitare il
fenomeno delle esportazioni parallele19.
Differente la strategia seguita da Lavazza, che conta oggi una gamma
di quasi 400 referenze dedicate al mercato nazionale e internazionale, con
prodotti ad hoc per specifici mercati, come i Caff Crema per la Germania
o la nuova gamma di caff filtro per il mercato nordamericano. La cono-
scenza del mercato estero tanto importante (non soltanto per la definizio-
ne dellofferta del prodotto, ma anche per gli altri aspetti del marketing),
che stato necessario effettuare una modificazione sostanziale del modello
organizzativo delle attivit da una specializzazione per aree di business
ad una specializzazione territoriale, per cui ogni Paese o area geografica
ha un proprio responsabile che coordina tutta lattivit Lavazza su quel
Paese (o area) a prescindere dal business (ho.re.ca., retail, vending e OCS).
Coerentemente con tale impostazione, negli ultimi anni si incrementato il
numero degli area manager residenziali, ovvero uomini locali che risiedono
nel mercato estero. Questo avviene anche nel caso Illy: si cominciano an-
che a sperimentare forme di resident manager, cio che risiedono in loco
perch in alcuni mercati fondamentale agire da insider pur continuando a
lavorare con i distributori indipendenti; ad esempio, a Dubai, dove stato
aperto un ufficio di rappresentanza (Giuseppe Taccari, Illy Caff).

19
Le esportazioni parallele si verificano quando i flussi non autorizzati di merce hanno ori-
gine da operatori del canale distributivo autorizzato nel mercato nazionale dellimpresa pro-
duttrice; in tal caso il distributore nazionale autorizzato vende a clienti esteri in maniera non
autorizzata dallimpresa produttrice (Bellagamba, 2006).

274
Prodotti specifici vengono poi creati per i grandi clienti retail, in alcuni
casi anche con la marca commerciale. Ci sono prodotti a marchio con ca-
ratteristiche particolari sviluppati in grandi volumi per clienti specifici; in
tal caso, una produzione di una certa entit fatta apposta per loro (Barba-
ra Bendoni, Corsino Corsini). Per la GDO, per la quale facciamo miscele a
marchio, tutto nasce dalla necessit di rispondere alle loro esigenze, fac-
ciamo delle prove nel nostro laboratorio e poi sottoponiamo il campione al
cliente, il quale potr a sua volta fare dei test (Santi Anedotti, Corsino
Corsini).
Riguardo alla politica di prezzo, non stato possibile purtroppo racco-
gliere informazioni su tutti i casi indagati, essendo considerato il pricing
una decisione strategica riservata. Illy ha scelto di impiegare un unico listi-
no in tutti i mercati esteri, espresso in dollari ed in euro: ci sia per evitare
fenomeni di commercio parallelo tra i Paesi, sia per salvaguardare
limmagine globale del brand. Coerentemente con il posizionamento alto di
mercato e il perseguimento di una spiccata strategia di differenziazione del
prodotto, limpresa triestina applica un premium price rispetto ai prodotti
delle aziende concorrenti, rigettando ogni pratica di promozione di prezzo.
La comunicazione nei mercati esteri viene normalmente effettuata dai
distributori locali e limpresa di torrefazione italiana si limita a fornire il
materiale promozionale o qualche forma di supporto, ad esempio, per la
partecipazione alle fiere locali. Ovviamente ci non vale per le grandi im-
prese come Illy e Lavazza, che hanno le risorse umane, finanziarie ed orga-
nizzative per affrontare anche ingenti investimenti nella comunicazione.
Entrambe seguono un approccio che mira a privilegiare limmagine globale
del brand e quindi hanno necessit di controllare e coordinare in maniera
stretta la grafica e i format della comunicazione, mentre si declinano local-
mente i messaggi. La comunicazione allestero standardizzata dal punto
di vista grafico (insegne, layout e immagini); i contenuti possono essere
adattati, in funzione del tipo di prodotto venduto nel mercato estero e del
ciclo di vita del prodotto: se il prodotto sconosciuto sul mercato il tipo di
comunicazione da fare sar pi basilare e volto a diffonderne la conoscen-
za, rispetto al caso in cui il brand conosciuto e gi affermato (Giuseppe
Taccari, Illy Caff). Anche laddove il distributore coinvolto nelle campa-
gne di comunicazione, perch partecipa allinvestimento, le linee guida so-
no comunque dettate dallimpresa di torrefazione.
Riguardo alla struttura organizzativa dedicata alla gestione delle attivit
nei mercati esteri, tutte le imprese intervistate hanno ormai predisposto un
ufficio export, pi o meno ampio e pi o meno strutturato a seconda dei ca-
si. Si va infatti da strutture ampie ed articolate, come nei casi Lavazza ed

275
Illy, a strutture molto semplici, che comprendono pochissime persone, co-
me nel caso Zicaff e Caff Mokambo, che svolgono la funzione di area
manager (o di export manager).

6.7. Punti di forza e punti di debolezza delle torrefazioni


italiane sui mercati esteri

Dallanalisi svolta sui nove casi emerge chiaramente lesistenza di un gap


nei comportamenti e nelle strategie di internazionalizzazione tra le imprese di
maggiore dimensione e le imprese pi piccole: sono evidenti infatti le differen-
ze tra Lavazza ed Illy, da un lato, e il resto delle torrefazioni, dallaltro lato, in
termini di risorse destinate allo sviluppo dei mercati esteri, modalit organizza-
tive, politiche di marketing perseguite. Tali differenze si riflettono pure in un
maggior grado di internazionalizzazione ottenuto dalle due grandi imprese, do-
vuto in parte anche al fatto che sono state le prime ad intraprendere lattivit di
esportazione. Le osservazioni che seguiranno quindi faranno riferimento alla
maggioranza delle imprese indagate, tenendo conto che nella realt esistono
tali eccezioni. Nella Tabella 9 vengono sinteticamente indicati i principali punti
di forza e di debolezza che sono stati riscontrati nellanalisi svolta.

Tab. 9 Principali punti di forza e di debolezza delle imprese di torrefazione sui mercati
esteri

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA


Effetto country of origin del pro- Difficolt nella raccolta e nella gestione delle informa-
dotto. zioni sui mercati esteri, che si traduce anche nella
Focus sulla qualit del prodotto mancanza di ricerche di marketing a supporto della
e dei servizi offerti. scelta dei mercati in cui operare.
Flessibilit dellorganizzazione, Prevalenza dellesportazione indiretta, mediante im-
derivante anche dalla ridotta di- portatori/distributori, come strategia di ingresso nei
mensione aziendale. mercati esteri.
Cura per lo sviluppo della rela- Scarso ricorso a modalit di entrata pi impegnative,
zione con gli importato- che garantirebbero un maggior presidio del mercato
ri/distributori esteri. estero.
Scarso o nullo adattamento dei prodotti venduti
allestero rispetto a quelli venduti nel mercato dome-
stico.
Scarsa comunicazione di marketing sui mercati esteri.
Struttura organizzativa sottodimensionata.

Fonte: ns. elaborazione sulla base dellindagine diretta.

276
La maggior parte di questi punti verranno approfonditi nel paragrafo 9.4
(al quale pertanto si rimanda), dove saranno presentate alcune riflessioni, vol-
te ad individuare possibili azioni per il miglioramento della capacit competi-
tiva internazionale delle torrefazioni italiane. Non pu sfuggire infatti che tali
azioni debbono partire innanzitutto dalla valorizzazione dei punti di forza e
dal superamento dei punti di debolezza attualmente presenti.
In questa sede si vuole porre laccento sul tema della qualit del prodot-
to. Questa infatti emersa essere la principale leva competitiva impiegata
dalle imprese nei mercati esteri e ci rappresenta sicuramente un aspetto
positivo, che acquister sempre maggiore rilevanza in futuro, via via che
aumenter il grado di sofisticazione della domanda estera e quindi la capa-
cit di valutare la bont del prodotto caff.
Tutte le aziende intervistate hanno dichiarato di essere impegnate a fare
qualit e qualit la parola pi frequentemente ricorrente nei siti web
delle imprese. Un problema stato per riscontrato: nella maggioranza del-
le torrefazioni prevale una concezione interna della qualit, intesa come
rispondenza ad una serie di standard predeterminati dallimpresa stessa, so-
vente tramandati di generazione in generazione o imposti da enti esterni,
riguardanti il prodotto e il processo produttivo. Ma nel mutato contesto
competitivo internazionale tale concezione pu non essere pi sufficiente a
garantire un vantaggio rispetto ai concorrenti. Appare infatti necessario
proiettare tale concetto allesterno dellimpresa per abbracciare lottica del
cliente, che invece appare piuttosto trascurata; cos qualit diventa la ca-
pacit di soddisfare le aspettative del cliente, le quali, specialmente nel
contesto internazionale, possono essere profondamente differenti da quelle
del cliente italiano. Rimanere ancorati alle proprie convinzioni su cosa sia
un buon caff espresso, e quindi su rigidi parametri prestabiliti, potrebbe
rappresentare un limite nel momento in cui impedisce di cogliere le oppor-
tunit derivanti dallo sviluppo della domanda a livello internazionale, che
va in direzioni differenti rispetto a quello della domanda interna. Lo stesso
discorso pu valere anche per la chiusura manifestata da certe torrefazioni
verso forme diverse dal caff espresso. Ci sono ovviamente delle eccezioni,
cio casi di torrefazioni aperte nelle quali pi spiccata la volont di
mettersi in gioco, sperimentando soluzioni nuove, ma sono ancora poche.
In altre parole, il rischio che si verifichi uno scostamento tra la quali-
t attesa dal cliente estero e la qualit percepita dallo stesso una volta
consumato il prodotto. Tale scostamento pu essere determinato da due
componenti:
un gap tra qualit offerta dallimpresa e qualit attesa dal
cliente, il quale pu essere dovuto al fatto che la prima non ha ade-

277
guatamente ascoltato e compreso quali sono i gusti e le aspettative
del secondo e quindi si presenta sul mercato con un prodotto diffe-
rente da quello in grado di soddisfarlo;
un gap tra qualit offerta dallimpresa e qualit percepita dal
cliente, il quale pu verificarsi anche se la prima stata in grado di
intercettare correttamente le aspettative della domanda, ma non sta-
ta capace di comunicare adeguatamente la qualit al cliente.
In entrambi i casi fondamentale il ruolo della comunicazione tra im-
presa e cliente, la quale deve essere a due vie: nel primo gap limpresa
che deve ascoltare la voce del cliente, al fine di migliorarne la conoscenza;
nel secondo gap limpresa presenta al mercato la propria proposizione di
valore, comunicando in maniera trasparente la qualit del prodotto. Le evi-
denziate carenze della maggioranza delle torrefazioni proprio sugli aspetti
comunicativi possono quindi influire negativamente anche sulla soddisfa-
zione dei clienti esteri, la quale dipende dalla consonanza tra qualit attesa
e qualit percepita.
evidente che sulla qualit offerta dallimpresa influiscono poi anche
una serie di fattori, legati alle modalit con le quali le torrefazioni gestisco-
no le attivit della propria catena del valore: dagli approvvigionamenti alle
operations (R&S, produzione, logistica) alle vendite. Come stato sottoli-
neato nella tavola rotonda Quale futuro per lespresso italiano, che si
tenuta al Sigep di Rimini il 19 gennaio 2014, per ottenere qualit occorre
partire dalla cultura del caff e non ci pu essere cultura se non si conosco-
no in modo approfondito le realt dalle quali la materia prima cio il caff
verde proviene. Sono invece poche le torrefazioni che hanno questa cono-
scenza, perch manca il contatto diretto con i coltivatori: la maggioranza di
esse infatti adotta politiche di approvvigionamento indirette, ricorrendo ad
intermediari (per lo pi broker e dealer).
In definitiva, il focus sulla qualit pur rientrando tra i punti di forza delle
torrefazioni, rischia di tramutarsi in un punto di debolezza se le imprese
non riescono a rinnovare il proprio atteggiamento e ad aprirsi maggiormen-
te agli stimoli esterni.

Riferimenti bibliografici

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280
7. Il ruolo del contesto nazionale nella
competitivit delle torrefazioni italiane:
fattori produttivi e domanda interna

di Maurizio Giuli

7.1. Il modello porteriano del Diamante: caratteri e limiti

Nel corso dei precedenti capitoli emerso in modo chiaro che il caff
espresso sta vivendo a livello globale una fase espansiva senza precedenti:
da prodotto locale simbolo dellItalia1 divenuto un prodotto globale,
icona di uno stile di vita moderno, giovane, dinamico e colto, in cui agli
aspetti gustativi si associano tutti quei valori e significati (come la socializ-
zazione, il rilassamento, la rigenerazione ecc.) che tradizionalmente nel no-
stro Paese legano latto del consumo alla bevanda.
In tale contesto ci si aspetterebbe che le torrefazioni italiane siano state
protagoniste di questa dinamica, sfruttando il vantaggio competitivo che un
secolo di tradizione attribuiva loro. Eppure dai dati emersi risulta che esse
abbiano incontrato una certa difficolt nel saper profittare delle opportunit
che lo scenario internazionale offriva loro. A questo riguardo Morris, nel ri-
costruire la storia del boom dellespresso nel mondo, si chiede: Doverano
gli italiani nel frattempo? (Morris, 2008, 26).
Dovremmo chiederci infatti: per quali ragioni le torrefazioni italiane nel
loro complesso non sono riuscite a essere competitivamente protagoniste in
un contesto che le vedeva favorite? E poi ancora, quali sono i fattori che
hanno ostacolato la loro ascesa sulla scena internazionale?

1
Tutti riconoscono allItalia la paternit di questa bevanda, tanto che allestero viene spesso
denominato Italian coffee. A questo proposito, Daviron e Ponte tengono a sottolineare
che: Italian coffee is obviously not Italian as far as the origin of the raw material is con-
cerned. It is the espresso preparation that makes it such (Daviron e Ponte, 2005, 142).

281
Nel presente capitolo vogliamo fornire risposte a queste domande indi-
viduando da un lato tutti quei fattori che rafforzano la competitivit e
dallaltro quelli che invece fungono da ostacolo; in altri termini ci propo-
niamo di analizzare le cause che sono alla base della competitivit delle tor-
refazioni italiane.
Affronteremo la questione da una prospettiva macro, cio a livello di
aggregato e non di singola impresa, poich ci che ci preme verificare sono
le dinamiche strutturali piuttosto che individuare i singoli casi di eccellenza
o di criticit. Questa prospettiva ci permette di fornire un quadro pi gene-
rale, in cui, i punti di forza, cos come le debolezze, delle singole realt
aziendali vengono contestualizzati nel sistema di cui esse fanno parte. Ci
ci consente oltretutto di tracciare un quadro pi chiaro dello scenario gene-
rale in cui le singole imprese di torrefazione si trovano a operare quotidia-
namente. Da esso risulta pi agevole poi comprendere le leve su cui ogni
impresa pu agire per raggiungere risultati pi ambiziosi. Come fa notare
Porter, per unazienda importante poter capire quali elementi nella pro-
pria nazione sono i pi decisivi nel determinare le sua capacit, o incapaci-
t, di conquistare e mantenere il vantaggio competitivo a livello internazio-
nale (Porter, 1990, 16).
Lassunto di fondo quello secondo cui, se le imprese di una nazione ri-
sultano essere particolarmente competitive in un determinato settore, vero-
similmente ci sono dei fattori a livello di sistema Paese che fungono da
linfa per la loro forza competitiva; daltro canto, se le imprese di un com-
parto risultano deboli sul mercato, ci non si pu attribuire in toto ai loro
limiti strategico-manageriali, quanto a un ambiente che nel suo complesso
non in grado di fornire il giusto supporto, o i corretti stimoli alla loro
competitivit2.
Abbiamo dunque bisogno di ricorrere a un framework metodologico che
ci permetta di esaminare le variabili che concorrono alla competitivit dei
torrefattori nella loro globalit.

2
Ho raggiunto la piena convinzione che lambiente nazionale svolge di fatto un ruolo cen-
trale nel successo competitivo delle imprese. Con sorprendente regolarit, imprese di una o
due nazioni raggiungono un successo mondiale sproporzionato in settori industriali partico-
lari (ivi, pp. 4-5) [] Perch certe nazioni hanno successo e altre falliscono nella concor-
renza internazionale? [] La domanda giusta sarebbe per quali motivi una certa nazione
diventa la patria di imprese che raggiungono il successo nella competizione internazionale in
determinati settori industriali? Come mai le imprese situate in una particolare nazione sono
in grado di ottenere e mantenere il vantaggio competitivo nei confronti dei migliori concor-
renti su scala mondiale in un determinato settore? (Porter, 1980, 15).

282
Il modello del vantaggio competitivo delle nazioni di Porter risponde
senzaltro a questa esigenza poich, attraverso il paradigma del diamante,
fornisce un valido schema di riferimento per individuare quali sono i fattori
che favoriscono o che indeboliscono la competitivit delle imprese di un
determinato settore.
Secondo lautore infatti il successo di alcuni Paesi in determinati com-
parti industriali attribuibile al fatto che essi risultano possedere un dia-
mante nazionale favorevole per questo genere di imprese3.
Quattro sono i macro-determinanti che costituiscono il diamante (si ve-
da Fig. 1):
condizioni dei fattori e delle risorse;
condizioni della domanda interna;
condizioni dei settori correlati e di supporto;
contesto del business, ovvero le strategie delle imprese, la struttura e
la rivalit allinterno del settore.

Fig. 1 Le determinanti del modello del Diamante di Porter

Contesto del
Caso business e
rivalit

Condizioni dei Condizioni del-


fattori e delle la domanda
risorse

Settori correlati Governo


e di supporto

La capacit di generare o meno vantaggio competitivo dipende dalla re-


lazione sistemica che si genera fra di loro, pi che dalla disponibilit o dalla
dimensione del singolo determinante; per questo lautore parla di diaman-

3
Le imprese conquistano il vantaggio competitivo tutte le volte che la loro base domestica
consente e sostiene la pi rapida accumulazione di risorse e di competenze specializzate
(Porter, 1980, 96).

283
te. Secondo questa prospettiva un vantaggio competitivo solido scaturisce
da unappropriata combinazione dei diversi fattori: tanti pi sono i determi-
nanti che concorrono a conquistare il vantaggio competitivo, tanto pi esso
risulter forte e difendibile anche nel medio e lungo termine.
Oltre ai quattro determinanti, il modello contempla anche altre due va-
riabili, che sono:
a) il caso (o anche eventi casuali),
b) il governo,
le quali per sono considerate esogene, in quanto, pur giocando un ruolo
nella competitivit del sistema, secondo Porter, seguono dinamiche proprie.
Gli eventi casuali si sviluppano al di fuori del potere di controllo delle
imprese, e spesso anche al di fuori della portata del governo. Fra esse pos-
siamo ad esempio annoverare le invenzioni pure, o le scoperte innovative
nelle tecnologie di base ecc. Chiaramente ognuno di questi eventi genera del-
le ripercussioni sulla competitivit di un dato Paese in un determinato settore,
in quanto origina discontinuit, che possono riconfigurare la struttura di un
settore industriale e quindi creare nuove opportunit per le aziende di quella
nazione. Tuttavia, non sempre sono in grado di definire la competitivit delle
imprese in esso operanti. Se prendiamo ad esempio lapporto delle invenzioni
pure, notiamo che, in diversi casi, i Paesi che si sono maggiormente avvan-
taggiati di una scoperta tecnologica non sono gli stessi in cui la stessa ha avu-
to origine. Questo, secondo lautore, significa che sono altri i fattori che ali-
mentano la competitivit delle imprese di un settore.
Discorso simile vale per il governo, il quale pu evidentemente rafforza-
re o indebolire il vantaggio nazionale a seconda delle politiche attuate e del
sistema di regolamentazione impiegato. Cos ad esempio un intervento da
parte del governo volto a favorire politiche protezionistiche o corporativi-
stiche, si traduce inevitabilmente in un indebolimento nel medio termine
della capacit competitiva delle imprese nazionali, poich tali misure fini-
scono per affievolire la competizione interna e per attenuare gli stimoli
allinnovazione e al rinnovamento; essendo il contesto della concorrenza
profondamente dinamico per sua stessa natura, qualsiasi vantaggio, senza
una continua evoluzione, destinato a essere eroso. Joseph A. Schumpeter
(1934) ci ha illustrato quanto la concorrenza sia profondamente dinamica e
pertanto non tenda mai allequilibrio, ma a un continuo stato di cambia-
mento. I miglioramenti e le innovazioni in un settore industriale non sono
eventi isolati, ma processi senza fine, per cui i vantaggi di oggi sono desti-
nati a essere rapidamente superati o vanificati se non evoluti. Tutte le misu-
re protezionistiche rispondono alla logica di isolare le aziende nazionali
dalla dinamica competitiva, cercando di alzare barriere volte a consolidare

284
uno status quo, che per senza evoluzione destinato a logorarsi in una
prospettiva di medio termine.
Laddove invece le politiche del governo mirano a costituire un ambiente
dinamico e sfidante, le imprese sono stimolate a potenziare sempre pi i lo-
ro vantaggi e a generare in modo continuo nuove informazioni e idee, che,
in una logica di lungo termine, le rendono particolarmente competitive, so-
prattutto in ambito internazionale.
Occorre rilevare che non tutti gli autori condividono linterpretazione
fornita da Porter riguardo al ruolo esogeno svolto dal governo; in particola-
re alcuni autori4 ritengono che il ruolo del governo non possa essere consi-
derato esterno al modello, poich rappresenta un importante fattore capace
di influenzare e di interagire con i quattro determinanti del diamante.
Altri rilievi al modello sono stati sollevati da parte di diversi autori5, re-
lativamente alla sua concezione troppo orientata sulle attivit home-
based, e dunque incapace, secondo questa visione, di riflettere in modo
accurato tutte le sfide che caratterizzano il mercato globalizzato.
In particolare, questi autori criticano il fatto che il modello porteriano non
considera adeguatamente le attivit multinazionali, come gli FDI (Investi-
menti Diretti Esteri in ingresso e in uscita). In uneconomia globalizzata, qual
quella attuale, occorre anche tener conto delle capacit delle imprese di at-
tingere ai vantaggi localizzativi in altre nazioni, cosa che il modello originale
ignora quasi completamente (Cartwgright, 1993; Lagrosen, 2007).
Rugman e DCruz (1993) ritengono che per questi aspetti il modello mal si
adatti alle economie diverse dagli Stati Uniti, in particolare a quelle pi piccole
e molto aperte agli scambi internazionali (come Canada, Nuova Zelanda).
Questi stessi autori tuttavia riconoscono la validit di fondo del modello
porteriano, per cui si limitano a proporre una sua integrazione con il modello
del Doppio Diamante (Double Diamond Model, DDM), sviluppato prima
da Rugman e DCruz (1993) e poi migliorato e completato da Moon, Rugman
e Verbeke (1995). Esso aggiunge alle variabili di Porter le attivit multinazio-
nali e le attivit del governo, che non sono pi considerate esogene.
La Figura 2 illustra il modello DDM, in cui la parte esterna rappresenta
la dimensione globale, che generalmente fissa, mentre la parte pi interna
evidenzia il diamante domestico (corrispondente al modello di Porter) che
invece varia da Paese a Paese a seconda della dimensione e della capacit
competitiva delle sue imprese. Infine quella intermedia rappresenta il dia-
4
Rugman e Verbeke (1990), Moon (1992), Sardy e Fetschering (2009).
5
Dunning (1992), Cartwgright (1993), Rugman e DCruz (1993), Moon, Rugman e Verbeke
(1995), Cho e Moon (2000), Dunning (2005), Lagrosen (2007), Sardy e Fetschering (2009).

285
mante internazionale, che delinea la competitivit della nazione e tiene con-
to sia dei parametri domestici, sia di quelli internazionali; la differenza fra
il diamante internazionale e quello domestico, esprime le attivit interna-
zionali o multinazionali e dunque gli investimenti diretti esteri in entrambe
le direzioni.

Fig. 2 Il modello del doppio diamante (DDM)


Contesto del business
e rivalit

Condizioni dei
fattori e delle Condizioni del-
risorse la Domanda

Settori correlati
e di supporto

In particolare il DDM propone tre importanti integrazioni:


incorpora le attivit multinazionali, per cui la sostenibilit del valore
aggiunto in un determinato Paese pu indifferentemente provenire da
aziende nazionali o da aziende a propriet estera che operano sul ter-
ritorio interno;
rende operativo il paradigma delle attivit, che contempla la possibi-
lit di una loro riconfigurazione geografica in diverse nazioni, e
quindi i vantaggi aziendali e i vantaggi localizzativi presenti in diver-
se nazioni possono completarsi vicendevolmente;
considera il governo come una variabile importante capace di in-
fluenzare i quattro determinanti del diamante.
Secondo questo nuovo modello la competitivit di una nazione dipende
in parte dal diamante domestico e in parte da quello internazionale6.

6
In the generalized double diamond model, national competitiveness is defined as the ca-
pability of firms engaged in value added activities in a specific industry in a particular coun-

286
evidente che il modello del doppio diamante offre una panoramica pi
esaustiva e pi completa riguardo la capacit competitiva di una nazione in
un dato Paese; esso risulta pertanto molto pi adeguato rispetto al modello
porteriano nel fare analisi comparative fra nazioni, soprattutto se presenta-
no caratteristiche diverse in termini di apertura ai mercati internazionali.
Cercheremo nel corso della nostra analisi sulle imprese di torrefazione
italiane di tener conto sia dei fattori interni che dei fattori internazionali,
anche se, per le specificit del settore in oggetto, che tuttora molto con-
centrato al mercato interno e dove gli FDI svolgono un ruolo marginale7,
risulta difficile valorizzare la dimensione internazionale, in quanto manca-
no dati aggregati attendibili relativi agli investimenti diretti esteri in ingres-
so e in uscita.
Questa difficolt peraltro non circoscritta al solo comparto in oggetto, ma
probabilmente a carattere generale, se, anche in settori industriali ben pi ri-
levanti per leconomia di un Paese, si riscontrano le medesime difficolt. In un
recente studio comparativo sullindustria automobilistica cinese, coreana e in-
diana, Marc Sardy e Marc Fetscherin (2009) hanno dovuto ricorrere ai dati ag-
gregati dei flussi e degli stock di FDI generali per la mancanza di dati sui FDI
inbound e outbound specifici al comparto esaminato. Essendo il settore da
loro esaminato particolarmente rilevante in termini dimensionali nelleconomia
generale di un Paese, ragionevole ipotizzare che lapprossimazione effettuata,
secondo cui la parte di FDI relativi allautomotive pu essere estrapolato come
proporzione del suo peso specifico, sia quanto meno condivisibile. Diversa, sa-
rebbe lattendibilit relativamente a settori dimensionalmente pi piccoli nel
computo generale del PIL di una nazione e meno attivi sul lato FDI, qual ap-
punto quello del caff espresso, dove tale approssimazione risulterebbe erronea
e priva di significato.
Occorre inoltre precisare che lo scopo della presente analisi quello di
comprendere quali sono i fattori che giocano a favore, e quali a sfavore,
della competitivit delle imprese di torrefazione italiane; lapproccio qui
seguito non dunque quello comparativo fra una Paese e un altro, che pre-
supporrebbe inevitabilmente limpiego del modello del doppio diamante,
quanto piuttosto di comprendere le dinamiche specifiche del sistema italia-
no. Pi che unanalisi comparativa, si effettuer dunque unanalisi evoluti-

try to sustain this value over long periods of time in spite of international competition
(Moon, Rugman e Verbeke, 1998, 138-139).
7
A parte gli Investimenti Diretti Esteri realizzati negli ultimi anni da Segafredo e da Lavaz-
za per lacquisizione di aziende estere e per la realizzazione di impianti produttivi in altri
Paesi, possiamo ritenere del tutto trascurabile il contributo degli FDI nel settore esaminato.

287
va, volta a cogliere le dinamiche di mutazione dei singoli fattori. Ci per-
mette di utilizzare i modelli con un maggiore margine di flessibilit.
Tornando al nostro oggetto danalisi, risulta legittimo a questo punto
porci alcuni interrogativi:
Il Paese Italia costituisce oggi per le imprese di torrefazione un fat-
tore di stimolo competitivo, o un ostacolo?
esso elemento di spinta verso un continuo accumulo di nuove
competenze, o piuttosto un freno allinnovazione e al cambiamento?
esso in grado di indirizzare le risorse e le competenze verso la
creazione di vantaggi difendibili, oppure costituisce una piattaforma
di distorsione della realt competitiva e quindi di distrazione delle
stesse in direzioni poco sostenibili?

7.2. Il ruolo dei fattori produttivi e delle competenze tecni-


che

Il primo determinante rappresentato dai fattori della produzione. Dagli


economisti classici abbiamo appreso che lo sviluppo economico di una na-
zione non pu prescindere dal possesso di determinati fattori produttivi8,
quali terra (incluse le risorse naturali), capitale e lavoro. A questi,
che vengono definiti fattori di base occorre aggiungere i cosiddetti fattori
di nuova generazione, anche noti come fattori creati, fra cui ricordiamo le
infrastrutture generali9, quelle dedicate, le competenze specifiche ecc., che,

8
Terra intesa pi propriamente come risorse fisiche e quindi labbondanza, la qualit,
laccessibilit e il costo della terra, delle acque, dei depositi minerari, le condizioni climati-
che, la posizione geografica della nazione rispetto alle fonti di approvvigionamento e/o ai
mercati di sbocco. Normalmente rientrano nella voce capitale non solo la quantit e il co-
sto dei capitali disponibili per finanziare lindustria, ma anche la presenza di strutture finan-
ziarie e le forme impiegate per rendere disponibile queste risorse al tessuto produttivo. Per
lavoro da intendersi non solo la quantit di mano dopera, ma anche le competenze pro-
fessionali, il costo del personale in senso lato (compresi quadri direttivi), condizioni lavora-
tive standard ecc. A queste voci occorre poi aggiungere anche tutte quelle legate alla cono-
scenza e quindi il patrimonio di conoscenze scientifiche, conoscenze del mercato, conoscen-
ze tecniche e attitudine allinnovazione.
9
Infrastrutture generiche sono le vie di comunicazione, il sistema autostradale, quello ae-
roportuale e ferroviario, sistema di telecomunicazione ecc. Questa tipologia di infrastrutture
risulta essere utile allintera economia di un Paese e non dedicata a particolari settori indu-
striali. Per infrastrutture dedicate si intende invece tutte quelle infrastrutture che possono
essere sfruttate solo da alcuni settori. Nel caso del caff ad esempio esse sono rappresentate
dalla presenza di porti attrezzati per il commercio del caff verde, sistemi di stoccaggio, si-
stemi di intermediazione dedicati ecc.

288
a differenza dei primi, non vengono ereditati ma scaturiscono da investi-
menti pluriennali e che quindi risultano essere risorse pi limitate e pi dif-
ficili da replicare. In chiave competitiva i fattori avanzati risultano pi
importanti dei fattori di base in quanto forniscono vantaggi pi sostenibili
nel lungo periodo.
Normalmente le imprese di un Paese, appartenenti a un determinato set-
tore, conquistano il vantaggio competitivo se posseggono fattori dedicati ed
esclusivi a basso costo o di alta qualit. Ci che importante, non tanto la
dimensione quantitativa, e quindi lammontare di risorse disponibili, quanto
la capacit di impiegarle nel modo pi efficace ed efficiente possibile. Co-
me afferma Porter, una grande abbondanza di fattori pu compromettere,
invece di rafforzare, il vantaggio competitivo (Porter, 1990, 99). Non si
spiegherebbe altrimenti il perch i Paesi ricchi di materie prime risultano
essere allo stesso tempo quelli che meno riescono ad avvantaggiarsi eco-
nomicamente di questa loro ricchezza.
Tale dato particolarmente evidente anche nellambito del mercato del
caff, laddove riscontriamo che gran parte del valore della Global Value
Chain10 (GVC) non viene creato dai Paesi produttori (molto ricchi di mate-
rie prime, di fattori climatici, di manodopera specializzata ecc.), ma da
quelli consumatori, ricchi di infrastrutture, e di conoscenza del mercato. Da
alcune analisi effettuate sulla capacit di creare valore aggiunto nei vari
stadi della catena (si veda Fig. 3), risulta che nei Paesi produttori rimane
non pi dell1,5% del valore finale, mentre ai Paesi consumatori va la re-
stante parte cos suddivisa (De Toni e Tracogna, 2005): 5% al crudista,
14% alla torrefazione e l84% al bar (a cui occorre sottrarre limposta sul
Valore Aggiunto).
Questo apparente paradosso spiegabile dal fatto che non tutti i fattori
svolgono lo stesso ruolo nel rafforzamento del vantaggio competitivo: Il
vantaggio pi sostenibile nel tempo scaturisce quando una nazione possiede
i fattori che servono per competere in un determinato settore industriale,
che siano al tempo stesso avanzati e specializzati (Porter, 1990, 104).

10
Il metodo per calcolare la distribuzione del reddito nella GVC quello di prendere
lammontare dei soldi spesi dai consumatori per lacquisto di caff nei principali mercati di
consumo e ripartire tale valore per tutti i partecipanti alla GVC. Nello specifico, si calcola il
prezzo medio di vendita di una libbra di caff in grani e in polvere. La quota di reddito che
rimane nei Paesi di consumo data dal prezzo medio di vendita meno il prezzo medio del
caff verde importato; mentre la quota che rimane nei Paesi produttori rappresentata dal
prezzo medio di esportazione del caff verde, che va diviso a sua volta tra il prezzo pagato ai
coltivatori e il valore aggiunto apportato nei primi processi di lavorazione in loco (per
unanalisi pi approfondita si rimanda a Parenti, 2008).

289
Occorre inoltre rilevare che il vantaggio legato ai fattori non statico,
ma dinamico, per cui qualsiasi fattore avanzato destinato col tempo a non
offrire pi vantaggi competitivi man mano che le conoscenze, lo stato della
scienza e della tecnologia progrediscono. Qualsiasi vantaggio sottoposto a
un continuo processo di logoramento, e per questo occorre che esso sia con-
tinuamente alimentato ed evoluto.

Fig. 3 Scomposizione del costo del caff al bar fra i vari attori della filiera

Fonte: ns elaborazione su dati Parenti, 2008.

Riguardo al caso delle torrefazioni lItalia, pur non disponendo delle pi


importanti infrastrutture portuali per limportazione del caff verde11 in Eu-
ropa, ha tuttavia dei porti ben attrezzati per accogliere il flusso di caff,
come quelli di Trieste, Genova e Savona. In particolare quello friulano, che
vanta una secolare tradizione, ha sviluppato tutta una serie di servizi logi-
stici e accessori (come brokeraggio, intermediari, trattamento del prodotto
ecc.), che lo rendono particolarmente competitivo. Inoltre la condizione
portuale italiana nel corso degli ultimi decenni non ha subito cambiamenti
tali da influire negativamente sulla competitivit delle torrefazioni italiane.
Un ruolo pi importante stato giocato dal fattore delle competenze
tecniche sul caff. indubbio che in Italia questo genere di competenze le-
gate al caff espresso12 si siano sviluppate prima, e sicuramente pi che in

11
In termini comparativi, relativamente al caff, i porti italiani sono pi piccoli rispetto ad
alcuni porti europei affacciati sulla costa Atlantica del Belgio, della Germanica, o della
Francia.
12
Per competenze tecniche in questa sede si fa riferimento a quelle legate alla realizzazione
di una miscela di caff, alla sua tostatura, alla conservazione e confezionamento, fino alle
tecniche di trasformazione del prodotto in bevanda.

290
ogni altro Paese. La nostra penisola vanta quindi un primato di know-
how e conoscenze sullespresso, che sicuramente costituisce un vantaggio
competitivo importante.
Tuttavia, negli ultimi due decenni si assistito a unerosione di questo
vantaggio, non tanto per la perdita del patrimonio culturale acquisito, quan-
to perch esso non si evoluto con lo stesso ritmo con cui si sviluppato in
altri Paesi. Abbiamo visto nei precedenti capitoli quanto avvenuto con il
susseguirsi delle varie ondate e in particolare di come la Second e la
Third Wave abbiano influito sugli assetti e sulle competenze degli opera-
tori. Riguardo a questo fenomeno si ha la sensazione che gli operatori ita-
liani, probabilmente a seguito dello status acquisito e della lunga tradizione
nel settore, abbiano perso quello spirito di esplorazione, che avevano avuto
nelle prime fasi, ritenendo, forse implicitamente, che dopo tanti decenni di
esperienza non ci fosse oramai spazio per ulteriori innovazioni. anche
plausibile che questo rallentamento allo sviluppo di nuove competenze sia
in parte legato a un senso di appagamento e di superiorit nei confronti de-
gli operatori esteri che lamentavano un forte ritardo relativamente al caff
espresso.
Abbiamo invece avuto modo di riscontrare che, in diversi Paesi,
lespresso stato protagonista di una dinamicit senza precedenti, la quale
ha favorito una rapida evoluzione delle competenze, agevolata anche dal
fatto che questa bevanda costituiva una new entry e quindi era un fenomeno
tutto da scoprire. Si cos alimentata una certa effervescenza esplorativa,
trainata per lo pi dalle giovani generazioni, che, nonostante in qualche cir-
costanza sia sconfinata in degli eccessi, ha tuttavia permesso una rapida
crescita delle competenze, facendo recuperare in pochi anni il gap di com-
petenza nei confronti degli operatori italiani.
Come ha riconosciuto Gwilym Davies, linglese che si aggiudicato il
campionato del mondo baristi 2009, chi come lui proviene da Paesi che non
vantano una lunga tradizione della nostra bevanda, sono per certi versi av-
vantaggiati rispetto agli italiani, che invece sono nati e cresciuti con
lespresso, perch essi sono pi inclini a non dare nulla per assodato e a in-
terrogarsi continuamente sul perch si utilizza una specifica metodologia, o
sul cosa succederebbe se si cambiassero alcuni parametri. Questa voglia di
acquisire quella conoscenza che non hanno ereditato li conduce a sperimen-
tare liberamente, e senza vincoli culturali, nuove metodologie. Attraverso
questo percorso esplorativo, che normalmente viene condiviso in rete con le
migliaia di altri giovani curiosi dellespresso, sono riusciti a colmare in
poco tempo il gap culturale che lamentavano e a mettere in discussione al-

291
cune delle regole auree dellespresso italiano13 che, magari per un italiano
sarebbe stato difficile poter fare per il suo retaggio culturale14.
Un altro aspetto che si verificato in questi Paesi stato quello di voler
conoscere a fondo il prodotto caff, anche attraverso la visita diretta delle
piantagioni dei vari Paesi produttori, per comprenderne le peculiarit nella
coltivazione, nella raccolta e nella lavorazione, e poter cos selezionare i
caff pi pregiati. Come abbiamo gi avuto modo di esaminare, molti dei
torrefattori della Third Wave (fra cui Stumptown Coffee, Intelligen-
tsia, Counter Culture Coffee, Maruyama coffee ecc.) hanno fondato il
loro successo commerciale sulla ricerca e selezione delle migliori partite di
caff attraverso frequenti visite nei Paesi produttori anche al fine di instau-
rare rapporti di collaborazione, non solo commerciale, con i coltivatori.
Tutto ci ha alimentato un interscambio di esperienze che ha sicuramente
elevato il livello di conoscenza tecnica sul prodotto e ha favorito il miglio-
ramento qualitativo dei caff usati. Purtroppo questa prassi non diffusa in
egual misura fra i nostri torrefattori15, i quali spesso continuano a preferire
13
Per regole auree dellespresso si intende linsieme di norme sulla procedura di prepara-
zione del caff espresso legate alla prassi consolidata. Fra esse ricordiamo i 7 grammi di caf-
f macinato necessari per ogni dose, la temperatura dellacqua di infusione pari a 92C, una
pressione dellacqua pari a 9 bar, una velocit di estrazioni pari a 25 ml in 25 secondi.
14
A conferma di questo approccio, potremmo citare un episodio, avvenuto nel luglio 2009,
quando nel blog Jimseven il campione del mondo baristi 2007 James Hoffman, ha postato
un video in cui dichiarava che, contrariamente a quanto ritenuto fino ad allora, se da una
tazzina di espresso si toglieva via la crema superficiale, il gusto aromatico della stessa risul-
tava migliore. Era giunto a questa conclusione, per certi versi sconvolgente per un italiano,
osservando le fasi di preparazione dellassaggio alla brasiliana (cupping), in cui prassi
rimuovere la crema superficiale (crosta) che si forma quando si versa lacqua calda sulla
polvere di caff; si allora chiesto cosa sarebbe successo se si fosse applicata la stessa me-
todologia al caff espresso? Pur riconoscendo che la crema rappresenta comunque uno degli
aspetti che rende la tazzina di caff desiderable agli occhi dei consumatori, tuttavia ha ve-
rificato che la crema ha un sapore amaro, quasi sgradevole con richiamo di cenere, mentre
il liquido sottostante risulta gradevole e dolce. (Per chi volesse approfondire pu vedere il
video originale a questo indirizzo: http://www.jimseven.com/2009/07/06/video-1-crema/).
15
Occorre per rilevare che anche su questo fronte, diversi torrefattori italiani sono stati veri
e propri precursori di alcuni programmi che sono poi stati ripresi e sviluppati su scala inter-
nazionale da altre Organizzazioni. La Illy ad esempio, nel 1991, ha istituito il Premio Brasil
de Qualidade do Caf para Espresso, attraverso il quale lazienda triestina riconosce un
premio economico ai produttori che si contraddistinguono per fornire caff verde di migliore
qualit. Lazienda si rivolge ai migliori produttori sviluppando una collaborazione diretta; da
questi coltivatori lazienda acquista le partite di caff riconoscendo un prezzo superiore a
quello di mercato. Il Premio Brasile ha contribuito a migliorare la qualit dei caff brasiliani.
Pi recentemente lazienda ha avviato un analogo premio destinato ai produttori dellIndia
(India Coffee Quality Prize). Tale iniziativa per certi versi molto simile a quella del
Cup of Excellence, istituito nel 1999, ma che ha assunto carattere internazionale e ha ac-
quisito maggior visibilit.

292
forme di approvvigionamento indirette (o attraverso il ricorso di interme-
diari, come brokers o crudisti).
La cultura e la competenza tecnica maturata dagli italiani in decenni di
attivit ha finito per non costituire pi un benchmark per gli operatori este-
ri, i quali hanno sviluppato un pattern di sviluppo autonomo. Lo dimostra la
scarsa considerazione degli operatori nazionali in ambito internazionale: i
principali opinion leader e advisor del settore sono nord-americani, inglesi,
nord europei, giapponesi o australiani16. Se consideriamo che nel nostro
mercato operano professionisti e aziende, fra cui la Illy o la Lavazza, che
hanno realizzato studi sul caff e curato pubblicazioni scientifiche, prima
ancora che questi Paesi si cimentassero nel caff espresso, tale constatazio-
ne fa riflettere.
A fronte di questi riscontri possiamo concludere che, come evidenziato
da Porter, non sempre lampia disponibilit di un fattore, sia pur avanzato
(come nel caso della conoscenza tecnica specializzata) comporti un vantag-
gio competitivo per le imprese; a volte la scarsit crea pressioni a colmare il
gap, mentre labbondanza favorisce forme di inefficienza e lassismo. Risul-
ta allora fondamentale, pi che la disponibilit di un fattore, la presenza di
un tessuto ambientale che favorisca il continuo sviluppo delle competenze,
tessuto che lItalia ha avuto in passato, soprattutto negli anni del boom
dellespresso al bar, ma che si progressivamente affievolito nel corso de-
gli ultimi decenni.
Sembra sia questo laspetto che, pi di altri, sia venuto a mancare alle
torrefazioni italiane, ovvero quello stimolo a evolvere sempre pi la cono-
scenza sul caff, tale da alimentare linnovazione. In realt esso, pi che
una causa capace di spiegare la mancata crescita di competitivit delle im-
prese nazionali, sembra costituisca a sua volta un sintomo e in quanto tale
ci sollecita a ricercare altrove le vere cause di questa mancata innovazione.

7.3. Il ruolo della domanda domestica

Pur vivendo in un mondo globalizzato, la domanda interna riveste tuttora


un ruolo predominante nello sviluppo delle competenze competitive delle
imprese di una nazione. Ci perch la base domestica di solito ha un impatto
maggiore sulla capacit delle aziende di percepire e di interpretare i fabbiso-
16
Se ad esempio prendiamo a riferimento lelenco dei buyer facenti parte del programma
Cup of Excellence, che seleziona i migliori caff dei vari Paesi produttori, notiamo che
essi provengono da oltre 20 Paesi e lItalia sottorappresentata.

293
gni dei clienti. Diverse sono le ragioni; innanzitutto perch il contesto interno
lambito in cui si imposta la strategia, si realizza lo sviluppo dei prodotti e
dei processi essenziali. Lattenzione verso i fabbisogni pi vicini risulta esse-
re la via pi semplice e facile da comprendere. Inoltre, le pressioni esercitate
dagli acquirenti interni vengono avvertite pi intensamente dal management,
poich la vicinanza fisica e laffinit culturale oltrech linguistica, rendono
pi veloci e chiare le comunicazioni. Questo comporta che le imprese sono
pi reattive e veloci nelladeguare la loro offerta ai fabbisogni interni rispetto
a quanto riescano a fare nei confronti dei fabbisogni esterni.
Un riscontro di questa evidenza la troviamo ad esempio nel mercato delle
macchine per caff espresso. Se infatti, i produttori italiani sono da sempre i
leader mondiali nella produzione di macchine da caff espresso tradizionali17,
non altrettanto lo sono per ci che riguarda il comparto delle macchine supe-
rautomatiche, dove i principali player sono aziende tedesche e svizzere
(WMF-Schaerer, Thermoplan, Franke ecc.). Ci in parte conseguenza del
fatto che il principale bacino di utenza per questa tipologia di macchine sto-
ricamente concentrato nei mercati del centro-nord Europa (come Germania e
Svizzera), oltre che del Nord America e dellAsia. In Italia, dove preparare
una tazzina di caff con una macchina tradizionale non costituisce una barrie-
ra, essendo un gesto entrato nella quotidianit dellintera popolazione, la dif-
fusione delle macchine superautomatiche in ambito professionale non ha mai
trovato terreno fertile. I produttori italiani, che pure si sono cimentati in questo
mercato, si sono trovati in condizioni svantaggiate rispetto ai loro competitor
stranieri, poich, non avendo una forte domanda locale, facevano pi fatica a
comprendere e interpretare le esigenze degli operatori esteri nellespletare le
funzioni tipiche del barista. Inoltre, essendo lattenzione del mercato interno
prevalentemente orientata sulla qualit dellespresso, piuttosto che sulle be-
vande con aggiunta latte (come cappuccino, latte macchiato ecc.), i produttori
nazionali hanno focalizzato i loro sforzi progettuali essenzialmente nello svi-
luppare tecnologie capaci di garantire una elevata qualit del caff espresso,
quando invece i loro competitor nord europei erano pi attenti a sviluppare

17
A seconda della tecnologia impiegata, il mercato delle macchine per caff espresso si divide
fra macchine tradizionali e macchine superautomatiche. Le prime sono quelle in cui mac-
china e macinino costituiscono due entit separate, per cui la preparazione della bevanda av-
viene attraverso una sequenza di fasi svolte dal barista e quindi, lo sgancio del portafiltro dal
gruppo erogatore, lo svuotamento del filtro dai residui di caff, il suo riempimento con la giu-
sta dose di caff macinato, la pressatura, laggancio del portafiltro sul gruppo e infine
lattivazione dellerogazione. Nel caso delle macchine superautomatiche invece, tutte queste
fasi sono automatizzate e svolte direttamente dalla macchina, per cui lintervento del barista si
limita a posizionare la tazzina e premere il tasto della bevanda che si vuole ottenere.

294
tecnologie per il latte. Il consumatore medio tedesco o svizzero, non fa molta
attenzione al colore della crema dellespresso, n tanto meno guarda alla ti-
gratura del caff, anche perch abituato a usare dosi molto pi lunghe per
cui la crema di per s pallida; esso molto pi attento alla cremosit del
cappuccino o alla striatura del latte macchiato, che rappresentano le bevande
pi diffuse. La non vicinanza culturale dei produttori italiani agli acquirenti
driver di questo mercato, li ha dunque posti in una condizione di svantaggio
competitivo.
Questo esempio rende evidente che, nei casi in cui i fabbisogni del mer-
cato interno divergono da quello estero, a dominare sono di solito i segnali
del mercato domestico. In altri termini, vendere a clienti stranieri, non co-
stituisce un buon viatico alla carenza di una domanda locale.
Da queste considerazioni emerge che la prossimit a una tipologia di
clientela che al tempo stesso espressione delle esigenze generali e antici-
patrice delle esigenze degli altri mercati, costituisce un fattore fondamenta-
le per il rafforzamento del vantaggio competitivo delle imprese locali.
Secondo Porter sono tre gli attributi della domanda importanti a questo
riguardo (si veda Tab. 1), ovvero:
A) la sua composizione (la natura dei fabbisogni degli acquirenti);
B) la sua dimensione e il suo modello di crescita;
C) i meccanismi mediante i quali le preferenze interne di una nazione
vengono trasmessi ai mercati esteri.
Relativamente alla composizione della domanda si fa riferimento in par-
ticolare ai seguenti aspetti:
A.1 la struttura per segmenti della domanda; essa ha rilevanza in
quanto orienta le priorit di investimento delle imprese. I segmenti
pi consistenti, o pi redditizi, o che presentano una maggiore di-
namicit di sviluppo, attirano maggiore attenzione dalle imprese in
quanto risultano pi allettanti. Per questo vengono loro assegnate
prioritariamente le risorse di innovazione, di fabbricazione e di
marketing, mentre ai segmenti pi piccoli e con minor tasso di cre-
scita, vengono assegnate le risorse residuali;
A.2 il grado di sofisticatezza degli acquirenti; un ruolo altrettanto
importante nel guidare le strategie delle imprese viene svolto dalla
presenza interna di clienti sofisticati ed esigenti, che costituiscono i
driver delle nuove tendenze;
A.3 la capacit anticipatoria dei fabbisogni generali; tanto pi la
domanda interna costituita da clienti interpreti delle esigenze che
si diffonderanno nel resto del mondo, tanto pi le imprese di un
Paese risulteranno avvantaggiate rispetto ai loro competitor esteri.

295
La capacit anticipatoria della domanda interna stimola le aziende
locali a muoversi prima dei rivali; essa normalmente correlata al
livello di sofisticatezza.

Tab. 1 Attributi della domanda rilevanti per la competitivit delle imprese

A. Composizione della Domanda


A.1 Struttura per segmenti della Domanda
A.2 Grado di sofisticatezza degli acquirenti
A.3 Capacit anticipatorie
B. Dimensione della Domanda
B.1. Consistenza del mercato
B.2. Ritmo di crescita della domanda
B.3. Numerosit degli acquirenti indipendenti
B.4. Precocit della domanda interna
B.5. Saturazione precoce della domanda interna
C. Meccanismi di trasmissione delle preferenze interne a altre nazioni
C.1. Presenza di acquirenti locali mobili e multinazionali
C.2. Influenza che il Paese esercita sui consumatori esteri

Secondo Porter, nel caso dei settori B-to-B, in cui i clienti sono costituiti
da aziende, com appunto il caso delle torrefazioni che si rivolgono al ca-
nale Ho.Re.Ca, il grado di innovazione il risultato dellalto livello di
competitivit esistente nel mercato a valle; tanto pi forte la pressione
competitiva fra le aziende clienti (e quindi nel nostro caso fra i bar) tanto
pi intensi saranno gli stimoli che essi forniscono ai loro fornitori.
Occorre allora chiedersi: il bar italiano costituisce un cliente sufficien-
temente sofisticato per le torrefazioni?
Per rispondere opportunamente al quesito occorre prendere in esame an-
che alcuni aspetti che riguardano il lato dimensionale della domanda e in
particolare:
B.1 la consistenza del mercato;
B.2 il ritmo di crescita;
B.3 la numerosit degli acquirenti indipendenti.
Ci perch, come fa notare lautore, una vasta base domestica di clienti
pu rappresentare per le aziende locali uno sprone a investire. La domanda
interna normalmente percepita come pi certa e pi facile da prevedere,
mentre quella estera avvertita come pi incerta, anche laddove le imprese
sono multinazionali in grado di saperla soddisfare (M.E. Porter, 1990,
129). Un grande bacino interno, oltre a consentire alle imprese di prolifera-

296
re e di crescere, abbassa il rischio legato agli investimenti e dunque invo-
glia le aziende a realizzare nuovi impianti o a sviluppare nuove tecnologie.
Per questa ragione, generalmente la dimensione della domanda tanto pi
importante quanto pi sono rilevanti le economie di scala e di apprendi-
mento, poich essa offre lopportunit di fare maggiori investimenti.
Nel caso delle torrefazioni operanti nel canale Ho.Re.Ca, come avremo
modo di vedere meglio in seguito, le economie di scala hanno una rilevanza
contenuta, per cui possiamo ritenere che la dimensione del mercato, pur
avendo una sua importanza, non costituisce un fattore cruciale per la com-
petitivit delle imprese nazionali. Diverso invece il discorso per ci che
concerne il mercato retail in cui le economie di scala giocano un ruolo pi
importante, sia per la presenza di maggiori barriere distributive e sia per i
vantaggi di costo (economie di acquisto, economie di produzione, econo-
mie distributive) che esse permettono di conseguire. Il mercato italiano del
caff, con i 5,7 milioni di sacchi comunque fra i pi grandi al mondo (Fig.
4): insieme a quello francese, esso si contende la quinta posizione (Tab. 2).
Tab. 2 Evoluzione dei consumi di caff nei principali Paesi (000 sacchi da 60 Kg)
2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012
USA 20.667 21.033 21.652 21.436 21.783 22.043 22.238
Brasile 16.133 16.927 17.526 18.583 19.070 19.573 20.178
Germania 9.151 8.627 9.535 8.897 9.292 9.460 8.830
Giappone 7.268 7.282 7.065 7.130 7.192 7.015 7.131
Francia 5.278 5.628 5.152 5.677 5.713 5.962 5.789
Italia 5.593 5.821 5.892 5.806 5.781 5.689 5.731
Russia 4.055 3.716 3.131 3.661 3.661 3.663 3.767
Indonesia 2.750 3.208 3.333 3.333 3.333 3.333 3.584
Canada 3.066 3.245 3.210 3.273 3.586 3.574 3.498
Spagna 3.017 3.198 3.485 3.352 3.232 3.149 3.435
Etiopia 2.644 2.785 2.933 3.089 3.253 3.383 3.387
Regno Unito 3.059 2.824 3.067 3.220 3.134 2.925 2.926
Messico 1.794 2.050 2.200 2.200 2.239 2.354 2.354
Filippine 1.050 1.060 1.390 1.770 1.973 2.150 2.175
Algeria 1.836 1.968 2.118 2.066 2.021 1.789 2.117
Polonia 1.993 1.554 1.681 2.001 2.156 2.034 1.950
India 1.357 1.438 1.518 1.605 1.713 1.763 1.917
Corea Sud 1.437 1.425 1.665 1.551 1.666 1.801 1.714
Venezuela 1.472 1.534 1.599 1.649 1.650 1.650 1.650
Australia 992 1.031 1.145 1.223 1.370 1.407 1.631
Altri 50.795 54.016 55.311 52.378 55.119 56.310 58.238
Totale Mondo 124.740 129.337 132.956 132.464 137.154 139.000 142.002
Fonte: Ico.

297
Il consumo di caff tostato nel 201118 stato pari a 248.000 tonnellate,
di cui due terzi (160.000 tonnellate) riguarda il consumo domestico (che
genera un volume daffari pari a 1.450 milioni di euro e ha un prezzo medio
pari a 8,7 euro/kg), mentre la restante parte costituito dai consumi fuori
casa, che, oltre al mondo Ho.Re.Ca, comprende anche il vending e lOffice
Coffee System (OCS). Il canale Ho.Re.Ca vale allincirca 55.000 tonnella-
te, generando un giro di affari intorno ai 900 milioni di euro (prezzo medio
15,8 euro/kg).
Il caff espresso, in tutte le sue forme (grani, polvere, cialde, capsule
ecc.) corrisponde al 43,8% del mercato (Fig. 5), di cui il 56% (Fig. 6) viene
consumato nel canale Ho.Re.Ca, mentre la restante parte equamente ripar-
tita fra canale retail (22%) e canale serving/vending (22%).
Da questi dati emerge che da un punto di vista dimensionale, il mercato
italiano del caff espresso sicuramente grande abbastanza per favorire in-
vestimenti in innovazione da parte delle imprese di torrefazione.

Fig. 4 Consumi mondiali di caff dei principali Paesi consumatori (000 sacchi da 60 Kg,
anno 2012)
22.238
20.178

25.000
20.000
8.830
7.131

15.000
5.789
5.731
3.767
3.584
3.498
3.435
3.387
2.926
2.354
2.175
2.117

10.000
1.950
1.917
1.714
1.650
1.631

5.000
-
Regno Unito
Brasile

Francia
Italia
Russia

Canada
Spagna

Filippine
Algeria
Polonia
India

Venezuela
Australia
Messico

Corea Sud
Usa

Germania
Giappone

Indonesia

Etiopia

Fonte: ns. elaborazione su dati Ico e Coffitalia 2012-2013.

Occorre tuttavia rilevare che, nel contesto del mercato del caff
Ho.Re.Ca, la dimensione di per s, non si traduce immediatamente in un
vantaggio competitivo per due motivi: oltre che per la scarsa rilevanza as-
sunta dalle economie di scala, anche per il paradosso che evidenzia Porter
(1990), secondo cui, laddove la domanda interna sia cos grande da offrire
18
Dati tratti da Coffitalia, 2012.

298
ampie opportunit, le imprese potrebbero non avvertire il bisogno di rinno-
varsi e di aprirsi ai mercati internazionali, finendo cos per scoraggiare ogni
forma di dinamismo competitivo.
Risulta allora importante associare questo dato sia al ritmo di crescita
(che esprime la dinamicit della domanda) e sia alla numerosit dei clienti
indipendenti (che invece esprime il tasso di concorrenzialit che esiste nel
mercato a valle).

Fig. 5 Ripartizione del mercato italiano del caff a seconda della modalit di estrazione

Altri; 8,3%

Espresso;
43,8%

Moka; 47,9%

Fonte: ns. rielaborazione su dati Coffitalia 2008 (riferiti al 2006).

Riguardo al primo aspetto dobbiamo rilevare che nel corso dellultimo


decennio il consumo italiano di caff stato piatto e addirittura negativo
negli ultimi anni. A complicare il quadro concorrono le scarse prospettive
di crescita futura dovute a (De Toni e Tracogna, 2005):
lelevata quota di penetrazione della bevanda, che pari all88%
della popolazione e dunque prossima alla soglia di saturazione.
lelevata frequenza di consumo, molto vicina alla soglia fisiologica19,
soprattutto se si tiene conto delle caratteristiche organolettiche del
prodotto; il 60% dei connazionali beve spesso il caff e il 45% ne
beve addirittura pi di tre tazzine al giorno. La tradizione italiana nel
consumo di caff (sia se preparato tramite la classica moka, sia che
19
Questo nonostante che il consumo medio pro capite italiano, pari a 5,8 kg, sia di gran lun-
ga inferiore rispetto a quello di altri Paesi (come la Finlandia o la Norvegia) in cui si supera
la soglia dei 10 kg.

299
venga estratto mediante il sistema espresso) impiega una quantit
modesta di polvere per ogni dose, allincirca sette grammi. Tale valo-
re differisce da quello diffuso in altri Paesi, fra cui la Finlandia, dove
si preferiscono metodi di estrazione che richiedono maggiori quantit
di polvere per dose.
Questi fattori ci indicano che il mercato nazionale del caff oramai
maturo, come del resto lo si evince anche dalla serie storica dei consumi
pro capite, da cui emerge che, nel corso degli ultimi tre decenni (Fig. 7), il
tasso medio annuo di crescita (CAGR) stato rispettivamente pari a: 1,68%
nel periodo 1983-1992, 0,92% nel decennio 1993-2002 e -0,14% nel perio-
do 2003-2012. Non sono dunque ipotizzabili ulteriori margini di crescita
quantitativa nel medio-lungo termine, almeno per quanto concerne i volu-
mi, mentre plausibile supporre che il mercato possa crescere in valore,
soprattutto se i torrefattori saranno in grado di spostare la domanda verso
segmenti a maggior valore (up-selling)20.

Fig. 6 Ripartizione del mercato italiano del caff espresso fra canali

Vending; 14,3% Retail Miscela


espresso; 15,8%
Retail
OCS/Serving; 8,0% Cialde/Capsule;
5,6%

Bar/HoReCa;
56,3%

Fonte: ns. rielaborazione su dati Coffitalia 2008.

Lunico margine di crescita della domanda di caff riguarda le fasce det


pi giovani, le quali presentano tassi di consumo pi bassi rispetto alla media
della popolazione, e quindi potrebbero offrire delle opportunit, se le imprese
riuscissero a intercettare i loro bisogni. Oltretutto, sensibilizzare questa fascia
di popolazione risulta importante anche in chiave prospettica in quanto essa
rappresenta gli adulti di domani e quindi il bacino di domanda futuro.
20
Lup-selling una tecnica di vendita che mira a offrire al consumatore qualcosa di mag-
gior valore rispetto alla sua scelta dacquisto iniziale.

300
Il quadro risulta ancora pi critico se si analizza il trend dei consumi del
comparto fuori casa e in particolare del canale bar. Come evidenziato
nella Figura 2 del capitolo 2, nellultimo decennio si sta assistendo a un
lento, ma graduale spostamento della domanda dal mercato fuori casa a
quello domestico. Questo significa che la fetta dei consumi rivolta al bar
tende progressivamente ad assottigliarsi e ci al di l degli effetti congiun-
turali legati alla difficile situazione economica degli ultimi anni.

Fig. 7 Consumo di caff annuo pro capite in Italia (Kg pro capite)

Fonte: ns. rielaborazione su dati ICO.

Se si va ad analizzare la dinamica allinterno del mercato fuori casa


(Fig. 8), emerge che la quota di caff assorbita dal canale Bar/Ho.Re.Ca sta
progressivamente perdendo posizioni a vantaggio del canale Ser-
ving/Vending, che dalla fine degli anni Novanta al 2010 ha raddoppiato la
sua quota nel comparto fuori casa.

Fig. 8 Trend quota di assorbimento del caff allinterno dei principali mercati del fuori
casa

30% 27,2% 26,7% 26,0% 25,2% 24,6% 24,3% 23,9% 23,6% 23,2% 22,9%

20%

10%
9,8% 9,9% 10,7% 10,9% 10,7% 10,4%
7,9% 8,5% 9,1%
7,6%
0%
2002 2003 2004 2005 2006 2006 2007 2008 2009 2010
Bar/HoReCa Serving/Vending

Fonte: ns. elaborazione dati Coffitalia 2008, 2011, 2012.

301
Tradotto in volumi, significa che in 10 anni il canale bar ha subito una
contrazione di 14.000 tonnellate (-20%), passando da 66.330 tonnellate del
2002 alle 52.700 del 2012 (si veda Fig. 9).

Fig. 9 Trend dei consumi caff nel canale Ho.Re.Ca

68.000 66.330
65.400
66.000 64.310
64.000 63.000
62.000 60.800
60.000 59.00058.500
57.40056.970
58.000
56.000 55.080
54.000 52.700
52.000
50.000
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Fonte: ns. elaborazione su dati Annuario del caff Coffitalia 2008, 2010, 2012.

Alla luce di questo quadro possiamo trarre due considerazioni: da un la-


to, possiamo ritenere che il rischio ventilato da Porter, secondo cui un mer-
cato di grandi dimensioni possa costituire un contesto confortevole e tale da
non stimolare le imprese ad aprirsi ai mercati internazionali, non sembra
verificarsi nel caso del mercato italiano del caff (canale Ho.Re.Ca), pro-
prio per il suo ritmo di crescita negativo, che non lascia presagire condizio-
ni di mercato favorevoli.
Dallaltro, la dinamica regressiva del canale Bar, che costituisce il prin-
cipale canale distributivo per la quasi totalit delle torrefazioni nazionali,
getta una fosca ombra sulle prospettive future di queste realt. Infatti, come
rileva Porter, spesso, pi che la dimensione, il tasso di crescita della do-
manda interna il fattore cruciale per la competitivit delle imprese. Ci in
quanto gli investimenti sono normalmente correlati alla rapidit con cui
cresce il mercato; unelevata potenzialit di crescita porta le imprese ad
adottare velocemente nuove tecnologie e a fare investimenti con pi disin-
voltura che si traducono in maggiori innovazioni. Per contro, nei contesti in
cui il tasso di crescita della domanda pi incerto, o addirittura negativo,
com appunto nel caso del bar italiano, le imprese operanti tendono a esse-
re molto pi caute, espandendosi in modo incrementale, e risultando pi re-

302
stie a fare investimenti che potrebbero rivelarsi ridondanti e rischiosi in una
prospettiva di contrazione del mercato.
Dal quadro tracciato consegue che le poco promettenti prospettive di
crescita finiscono per frenare gli investimenti in innovazione da parte delle
imprese di torrefazione e, dunque, indeboliscono la loro capacit competiti-
va futura. Inoltre, come vedremo meglio in seguito, il calo dei consumi in-
terni sta spingendo sempre pi torrefattori a muoversi verso una maggiore
presenza sui mercati internazionali, ma se ci non avviene attraverso un
corretto approccio strategico, rischia di costituire un palliativo alle difficol-
t interne, anzich unopportunit di sviluppo di medio-lungo termine.
Data la centralit che la dinamica del bar assume nelle prospettive com-
petitive delle torrefazioni italiane, occorre analizzare le cause del declino
dei consumi di caff nel bar; a questo scopo necessario esaminare le ca-
ratteristiche e le condizioni del bar italiano nellattuale contesto di mercato.

7.4. Il Bar italiano: caratteristiche e dinamiche competitive

Ogni Paese ha sviluppato una propria cultura di locali di pubblico eser-


cizio, in cui cio la gente ama ritrovarsi e rilassarsi nel dopolavoro o nei
momenti di relax; pensiamo al pub inglese, al bistrot francese, alla
birreria tedesca. Il bar, e con esso la figura del barista, costituisce licona
italiana del caff nel mondo: la sua atmosfera, i suoi ritmi, il suo layout e i
suoi riti, sono oggetto di imitazione in varie parti del mondo. Come gi vi-
sto anche nel presente lavoro, gran parte delle novit che hanno alimentato
levoluzione del business del caff nei vari Paesi ha tratto origine dal bar
italiano: cos esso stato ispiratore del successo di Starbucks, che oggi con-
ta oltre 18.000 negozi in 54 Paesi. Ricordiamo quanto pi volte ha dichiara-
to Howard Schultz, lautore di questo successo, fu proprio nel mio viaggio
nel 1983 a Milano e Verona che mi spinse a voler portare in America quel
senso di comunit che avevo scoperto nei bar italiani (M.T. Cometto,
2011). Lo stile del bar italiano stato centrale anche nella diffusione del
caff espresso in Australia e in Nuova Zelanda, Paesi da cui ha tratto origi-
ne la Third Wave, cos come, sempre il bar italiano, stata la fonte di
ispirazione per linvenzione della capsula, che ha lanciato il business del
monoporzionato e quindi di quella che nel capitolo 4 abbiamo identificato
come la Fourth Wave.

303
Il rapporto che esiste fra caff e bar simbiotico; storicamente, la parola
caff nel nostro Paese21 era sinonimo anche del locale in cui tale bevanda
veniva consumata. Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, tutti i bar
italiani erano chiamati caff22; in virt del fatto che la vendita di questa
merceologia costituiva non solo il principale motivo di attrazione della
clientela, ma la ragione stessa dellesistenza del locale.
Oggi il rapporto che lega il torrefattore al bar da un lato, e il bar al caff
dallaltro, interdipendente, nel senso che tanto importante il canale bar
per il torrefattore, quanto la merceologia del caff lo per lattivit del
pubblico esercizio. Questo crea un legame indissolubile, una sorta di sim-
biosi, in cui il destino delluno interferisce direttamente su quello dellaltro.
Come ha affermato Sparvoli (1989), il caff espresso il simbolo del
bar allitaliana; non solo una delle voci determinanti del suo successo
economico, ma un prodotto che fa limmagine del locale stesso presso il
consumatore.
Per il bar infatti, la merceologia del caff non una fra le tante offerte,
ma spesso il core business dellattivit. Secondo dati recenti (Fipe,
2011a), lincidenza della caffetteria sul fatturato del locale, mediamente
del 33,7% (si veda Fig. 10), ma pu arrivare anche al 67,8%, come nel caso
dei morning bar. Nelle altre tipologie di bar questa incidenza tende a
scendere a seconda della specializzazione del locale, cos nei multipurpo-
se23 essa pari al 34%, nelle sale giochi al 28,4%, nei lunch bar al
23,8%, nei bar specializzati24 al 23,8%, nei bar stagionali al 18,3%, fi-
no agli evening bar in cui pari al 15,8%.
Il consumo medio giornaliero di caff per punto vendita di circa 1,2
Kg, che corrisponde a 170 erogazioni, ma (come evidenzia la Fig. 11) die-
tro a questo dato si celano realt significativamente diverse: a seconda della

21
In Italia la parola Caff, oltre al prodotto, indica il locale in cui esso viene servito; ci
avviene anche in altri Paesi Mediterranei, come Francia e Spagna, cos come in alcuni Paesi
latino-americani.
22
solo negli anni Cinquanta che la denominazione caff si trasforma in bar, parola
anglosassone che indica sbarra, facendo riferimento alla sbarra poggiapiedi molto diffusa
nei banchi di mescita del tempo. Ma il cambio del nome non corrisponde a un cambio di
identit; anzi proprio in quegli anni che il bar si diffonde e penetra la societ italiana e con
esso il caff espresso.
23
I multipurpose sono locali in cui oltre alla caffetteria si associano i servizi di lunch, snack
e aperitivo.
24
I bar specializzati sono prevalentemente gelaterie, pasticcerie. Essi sono frequentati in
prevalenza da donne e giovani in cui la consumazione prevalentemente con servizio al ta-
volo.

304
tipologia di bar, la produzione media pu oscillare dalle 220 tazzine quoti-
diane dei lunch bar25, fino alle 85 degli evening bar26.

Fig. 10 Incidenza percentuale della caffetteria sul fatturato nelle varie tipologie di bar

Fonte: ns. elaborazione su dati Fipe 2011a.

Tradotto in cifre, significa che nei 160.000 bar presenti, ogni anno ven-
gono servite circa 7 miliardi di tazzine di caff, per un consumo complessi-
vo di 47.000 tonnellate di caff torrefatto27, che corrisponde a un volume
daffari pari a 5,4 miliardi di euro.
In una precedente analisi effettuata a met degli anni Ottanta, risultava
che la caffetteria contribuiva per il 28,2% al fatturato del bar (Settimo,
1989). Da allora si sono intensificati gli sforzi per cercare di diversificare
lofferta aggiungendo nuove merceologie e nuovi servizi (si pensi al pasto
veloce, allhappy hour o alle pi recenti slot machine). Malgrado ci, il pe-
so della caffetteria non si ridimensionato, anzi cresciuto di 5 punti per-
centuali. Questo denota che, nonostante tutto essa continua a rivestire un
ruolo centrale nellattivit del bar.

25
I lunch bar sono specializzati nelle prime colazioni e nei pasti veloci, per cui, alle vendi-
te delle prime colazioni, si aggiungono quelle del caff a chiusura del pranzo.
26
Gli evening bar sono locali aperti solo nelle ore notturne, come club, discoteche.
27
Il dato differisce da quello relativo al consumo dei pubblici esercizi poich si riferisce al
solo comparto dei bar, escludendo quello dei ristoranti. Dati tratti da Fipe (2011a).

305
Fig. 11 Numero di tazzine medie vendute nelle varie tipologie di bar

Fonte: ns. elaborazione su dati Fipe (2011a).

Il calo dei consumi di caff al bar, in un contesto in cui lincidenza di


questa merceologia sul fatturato rimasta pressoch invariata, ci porta a
escludere che esso sia attribuibile a un cambio del mix dofferta (e quindi
allo spostamento delle vendite verso altre merceologie) e ci segnala invece
una condizione di intrinseca difficolt che riguarda lattivit del pubblico
esercizio.
Per comprendere le ragioni di questa difficolt occorre esaminare la
condizione di competitivit del settore bar, che a sua volta si ripercuote
inevitabilmente sulla competitivit dei torrefattori.
Secondo la visione porteriana, un primo parametro di valutazione della
competitivit il numero di operatori indipendenti; la presenza nel mercato
a valle di una moltitudine di acquirenti indipendenti (nel nostro caso il bar
appunto) crea i presupposti per un ambiente dinamico che dovrebbe, a sua
volta, favorire linnovazione delle imprese fornitrici (nel caso specifico le
torrefazioni). Questo perch, un nutrito numero di acquirenti, ciascuno con
le sue esigenze e, a sua volta esposto a una forte pressione competitiva, do-
vrebbe stimolare i fornitori a rinnovare le loro proposte commerciali.
Da tale prospettiva possiamo affermare che il mercato italiano dei bar,
con le sue 164.00028 unit locali (Tab. 3) dovrebbe costituire un tessuto fer-
28
Secondo i dati di Movimpresa, settembre 2011 il numero di unit rilevate era pari a
158.075 unit, di cui 140.000 attive (Movimpresa sett. 2011). Secondo i dati del Registro
Imprese, settore di riferimento codice Ateco 2007/56.3 bar e altri servizi simili senza cuci-

306
tile per linnovazione e dunque per il rafforzamento competitivo delle torre-
fazioni; in pochi altri Paesi (si veda Fig. 12) troviamo una cos elevata den-
sit di esercizi indipendenti.
Tutto ci lascerebbe supporre che ci troviamo di fronte a un ambiente
altamente stimolante per i torrefattori, e quindi artefice di stimoli per la ri-
cerca di vantaggi competitivi sempre pi qualificati. Eppure, i dati relativi
al trend del consumo di caff ci segnalano una condizione diversa; ci si
chiede allora perch lelevata frammentazione del settore bar non alimenta
un processo evolutivo delle torrefazioni?
Uno dei presupposti necessari, affinch un gruppo di acquirenti indipen-
denti eserciti spinte sui loro fornitori volte a rafforzare lofferta, che ci
siano le condizioni di domanda sana, ovvero competitiva al suo interno e
allo stesso tempo costituita da soggetti capaci di condizionare propositiva-
mente i fornitori.
Purtroppo il sistema bar italiano, per una serie di caratteristiche intrin-
seche e di circostanze congiunturali che lo stanno caratterizzando, non
sembra avere i requisiti dellinterlocutore forte; questo a causa di tre condi-
zioni, che analizzeremo nel dettaglio:
a) piccola dimensione;
b) basse barriere allingresso;
c) elevato turnover.

Tab. 3 Dati sullevoluzione del numero di bar negli anni 2009-2012 nelle vari regioni
Regioni N. Bar 2009 N. Bar 2010 N. Bar 2011 N. Bar 2012
Valle dAosta 489 465 508 543
Liguria 6.275 6.266 6.467 6.650
Sardegna 5.001 5.080 5.306 5.477
Trentino Alto Adige 2.945 2.998 3.030 3.079
Friuli Venezia Giulia 3.761 3.749 3.852 3.980
Veneto 13.507 13.716 14.019 14.308
Abruzzo 3.508 3.579 3.738 3.894
Emilia Romagna 12.565 12.789 13.073 13.533
Lombardia 26.594 26.974 27.706 28.656
Piemonte 12.231 12.423 12.733 13.085
Lazio 15.730 15.931 16.468 16.981
(continua)

na. Dati tratti da: Bar e Pubblici Esercizi in Italia. Caratteristiche strutturali e dinamiche
congiunturali a cura di Confercenti e Unioncamere Toscana, anno 2011, risulta che il si-
stema bar italiano sia composto da 140.000 imprese indipendenti.

307
(segue)
Molise 841 853 852 886
Toscana 9.598 9.683 9.942 10.385
Umbria 2.021 2.065 2.162 2.270
Marche 3.611 3.616 3.761 3.899
Basilicata 1.344 1.355 1.406 1.418
Campania 12.518 12.710 13.166 13.767
Calabria 3.995 4.051 4.214 4.396
Puglia 7.577 7.766 8.082 8.428
Sicilia 7.704 7.740 7.942 8.299
ITALIA 151.815 153.809 158.427 163.934

Fonte: ns. rielaborazione su dati Infocamere (Ferro, 2013).

A. Piccola dimensione
La dimensione dellimpresa costituisce un primo fattore di debolezza; il
bar italiano infatti tipicamente una piccola realt, spesso a carattere fami-
liare, basata sulla collaborazione di un ristretto numero di persone:
nell85% dei casi la conduzione del locale affidata a non pi di quattro
addetti.

Fig. 12 Densit commerciale (numero di imprese ogni 100.000 abitanti) dei pubblici eser-
cizi* nei Paesi europei (anno 2008)

* In Europa non esiste la stessa classificazione esistente in Italia. Per questo motivo i dati si riferiscono
alla categoria dei Pubblici esercizi che nel nostro Paese raggruppa i Bar e i ristoranti.

Fonte: ns. elaborazione su dati Fipe (2011c), Ristorazione 2011 Rapporto annuale.

308
Il numero medio di dipendenti per unit locale particolarmente bassa,
pari a 2,6 unit (Tibollo, 2011), valore questo che risulta abbastanza uni-
forme nelle varie regioni del Paese (come mostra la Fig. 13).
Se confrontato con il dato del 1988 e del 2006, in cui in entrambi i casi
tale media29 era pari a 2,9 addetti, notiamo che la condizione di micro-
imprese risulta essere una costante del panorama settoriale. Infatti, da una
ricerca condotta da Confesercenti (2011) risulta che quasi i tre quarti delle
realt opera nella classe di 1-2 addetti e che solo l11% conta pi di 6 ad-
detti (Fig. 14).

Fig. 13 Numero medio addetti per unit locale nei bar italiani (anno 2011)

Fonte: ns. elaborazione su dati Tibollo, 2011.

noto che la condizione di micro-impresa una caratteristica intrinseca


del tessuto economico del nostro Paese, tuttavia, se confrontiamo il dato del

29
Da una ricerca condotta nel 1988 da Ac Nielsen per conto di Bar Giornale (e pubblicati in
Un Caff per favore, A. Settimo, 1989) risultava che il numero di dipendenti medio di allora
era pari a 2,87. In uno studio condotto da Confesercenti nel 2006 risulta 2,9 addetti.

309
bar con quello generale delle imprese degli altri comparti, riscontriamo che
in questo genere di attivit il fenomeno molto pi accentuato; infatti a li-
vello generale le aziende con oltre 10 addetti rappresentano il 5,5% del to-
tale e assorbono il 49,5% degli addetti, mentre nel bar esse sono il 5,1% e
assorbono il 12,5% di addetti.

Fig. 14 Distribuzione dei bar per classe di addetti

Fonte: ns. rielaborazione dati Confesercenti Toscana (2009), Tibollo (2011).

Il quadro non cambia se si confronta la situazione italiana con quella


degli altri Paesi europei: da un recente studio (Fipe, 2011b) sul settore dei
pubblici esercizi (bar pi ristoranti) emerso che la media italiana di occu-
pati per impresa pari a 3,9, contro una media europea di 5,1 addetti; ci
posiziona il nostro fra i Paesi con il minor numero medio di addetti
allinterno del panorama europeo (si veda Fig. 15).
Ancora pi significativo il trend: confrontando i dati del 2011, con
quelli emersi da unanalisi condotta da Confesercenti Toscana30, emerge
una tendenza ancora pi accentuata verso la microimpresa: il numero di bar
fino a due addetti infatti salito dal 65,8% al 74% (si veda Fig. 14).
Il bar si conferma dunque essere una micro impresa, dove il lavoro fa-
miliare esercita ancora un ruolo fondamentale. Delle 140.000 realt, solo
51.000 si avvalgono di almeno un dipendente (Fipe, 2008), le quali occu-
pano complessivamente 148.00031 lavoratori.

30
Dati riferiti allanno 2009.
31
Con una forchetta che presenta un valore minimo di 131.000 unit e un valore massimo di
171.00.

310
Fig. 15 Dimensione media delle imprese di pubblico esercizio in Europa (numero di occu-
pati per impresa, anno 2008)

Fonte: Fipe (2011c)

Un altro indice della condizione dimensionale del settore ci dato dalla


distribuzione delle realt in funzione alla forma giuridica adottata: ben oltre
la met, ovvero il 54,1% delle imprese, ha forma giuridica di ditta indivi-

311
duale32; fra quelle che hanno una struttura societaria, la forma prediletta
ancora quella delle societ di persone (con il 38,4% dei casi), mentre le so-
ciet di capitali hanno un peso residuale (6,7%).
il nanismo dunque uno dei fattori caratterizzanti lattivit dei bar,
che risulta essere, fra laltro, una costante spazio-temporale. Nel caso del
bar esso non costituisce uno status embrionale dellattivit, ma una sua ca-
ratteristica intrinseca e ci significa che, limpresa, una volta avviata, non
subisce alcuna evoluzione dimensionale e quindi non progredisce verso
forme pi strutturate.
Quello del bar, sembra essere soprattutto unattivit di lavoro e quindi
un mestiere, piuttosto che una vera attivit imprenditoriale e pertanto anche
la gestione viene affrontata secondo logiche dilettantistiche, anzich azien-
dalistiche.

B. Basse barriere allingresso


Avviare un bar in Italia non richiede particolari investimenti iniziali, n
elevati livelli di competenza.
A tenere bassi gli investimenti finanziari concorre la prassi competitiva
attuata dalla maggior parte dei torrefattori italiani, che consiste nel fornire
sovvenzioni a vario titolo (sia in attrezzature che finanziarie) per acquisire
la fedelt del cliente. Ci, se da un lato rende pi agevole lavviamento
dellattivit a chi intende intraprendere questa professione, dallaltro, an-
nulla ogni sorta di selezione allingresso.
Ad abbassare linvestimento finanziario ha concorso anche il decreto
Bersani33 che dal 2006 ha liberalizzato le licenze; questa norma ha contra-
stato la rendita ricardiana di chi gi possedeva una licenza, ricreando le
condizioni per una libera concorrenza. Se, come vedremo meglio pi avan-
ti, uno dei primi effetti stato quello dellaumento del numero dei bar, in
unottica di medio-lungo termine essa ha creato le condizioni affinch siano
le leggi del mercato a definire i nuovi equilibri.
Anche in termini di requisiti minimi di professionalit le barriere risul-
tano essere particolarmente basse; per aprire un bar non sono infatti neces-
sari particolari titoli di studio e/o qualificazioni e chiunque pu aprirne o
rilevarne uno; lunico impegno formativo richiesto, per chi non fosse in

32
Esistono oscillazioni abbastanza marcate fra regione e regione (dal 41,7% della Toscana,
all80,7% della Calabria) Bar e pubblici esercizi in Italia. Caratteristiche strutturali e dina-
miche congiunturali, Confesercenti Toscana.
33
Decreto legge n. 223 del 4 luglio 2006, convertito in legge il 4 agosto (legge n. 248/2006)
e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.186 dell11 agosto 2006.

312
possesso di alcun titolo e/o esperienza, il superamento di un esame presso
la camera di commercio, che normalmente avviene al termine di un corso di
somministrazione alimenti e bevande (SAB)34.
Secondo lopinione di molti operatori, questa condizione ha portato il
bar a essere considerato sempre pi spesso come un settore rifugio, nel qua-
le cio poter trovare occupazione e/o trovare un diversivo alla propria espe-
rienza professionale. In altri termini, spesso aprire un bar costituisce
lultima prospettiva per chi senza lavoro o per chi insoddisfatto
dellattuale occupazione.
Il tutto si traduce in una sorta di despecializzazione e dequalificazio-
ne dellattivit del barista, confermata anche dallanalisi del titolo di stu-
dio posseduto dagli operatori, secondo cui il numero di laureati molto
basso e solo il 50% dei neo imprenditori con et fra i 36 e i 51 anni possie-
de un diploma. Stesso quadro emerge per quanto riguarda la qualificazione
dei lavoratori impiegati: dei 148.000 dipendenti, oltre l80% ha la qualifica
di operaio, il 15% di apprendista e il 5% di impiegato.
Tale condizione contrasta con quanto avviene negli altri Paesi, dove, sia
nel caso delle catene, sia nel caso degli indipendents (o anche third wa-
vers), la gestione avviene su basi professionali molto pi evolute. In parti-
colare, nel caso delle catene lattivit di management affidata a personale
altamente qualificato, mentre, nel caso degli indipendents, il barista a es-

34
In generale, per aprire un bar servono queste credenziali: a) maggiore et, a eccezione del
minore autorizzato a norma di legge allesercizio di attivit commerciale; b) aver assolto gli
obblighi scolastici; c) aver frequentato ovviamente con risultati positivi corsi di scuola
alberghiera o corsi professionali riguardanti lattivit di somministrazione alimenti, oppure
aver superato lapposito esame di idoneit presso la Camera di Commercio al quale si pu
accedere solo se si in possesso di titolo di studio universitario o di istruzione secondaria
superiore o se si ha prestato servizio, per almeno due anni negli ultimi cinque anni, presso
imprese esercenti attivit di somministrazione di alimenti e di bevande, in qualit di dipen-
denti qualificati addetti alla somministrazione, alla produzione o allamministrazione o, se si
tratta di coniuge, parente o affine entro il terzo grado dellimprenditore, in qualit di coadiu-
tore. I corsi SAB (somministrazione alimenti e bevande) dallabrogazione del REC, avvenu-
ta con lentrata in vigore del Decreto Legislativo n. 114 del 31 marzo 1998, sono obbligatori
per chiunque voglia aprire unattivit di somministrazione di alimenti e bevande e non abbia
maturato una sufficiente esperienza lavorativa (di solito sono richiesti almeno 2 anni di lavo-
ro negli ultimi 5) o un titolo di studio che possa permettere unadeguata conoscenza di quel-
lo che sar il nostro lavoro (alberghiero, eventuale laurea in materie scientifiche ecc.). I corsi
di somministrazione alimenti e bevande, SAB, pur obbligatori in tutta Italia, hanno modalit,
durate e costi molto diversi da regione a regione e da un ente formativo allaltro. Prima di
sceglierne uno opportuno consultare la Camera di commercio o le associazioni di categoria
(Confesercenti o Confcommercio) per sapere qual il numero di ore di corso richiesto nella
propria regione. Il costo di tali corsi, cos come la loro durata, varia da regione a regione e
pu oscillare dalle 30 alle 150 ore per un costo che va dalle 300 ai 1.000 euro.

313
sere tecnicamente molto preparato, il quale in grado di offrire un servizio
superiore a quello medio di un bar italiano: egli infatti oltre a servire cap-
puccini con la tecnica del latte art, un profondo conoscitore del caff
sapendo al tempo stesso selezionare le origini o le miscele da servire ai
clienti, trasformarle in deliziose bevande e, se necessario, anche descriverle
e spiegarle al consumatore.
Unulteriore conferma dello scenario sin qui tracciato si ricava dalla
concentrazione di lavoratori stranieri (Fig. 16), che, come noto nel caso ita-
liano sono prevalentemente persone poco qualificate: dei circa 1,6 milioni
censiti nel nostro Paese, oltre il 10% occupato nel settore del pubblico
esercizio.

Fig. 16 Peso percentuale di imprese straniere nel panorama del bar italiano

Italia 10,2
Sardegna 4,5
Sicilia 6
Calabria 5,3
Basilicata 5
Puglia 5,3
Campania 5,2
Molise 10,1
Abruzzo 12,6
Lazio 8,1
Umbria 11,7
Marche 11,2
Toscana 10,4
Emilia Romagna 14,6
Liguria 9,1
Friuli Venezia Giulia 15,4
Veneto 15,2
Trentino Alto Adige 14,6
Lombardia 12,8
Valle d'Aosta 10,4
Piemonte 9,7

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

Fonte: Bar Giornale n. 12/2011, in Ferro (2011).

314
Non solo come dipendente, ma sempre pi spesso come imprenditore.
questo un fenomeno relativamente recente, ma in rapida ascesa. Basti pen-
sare che da uno studio pubblicato da Bar Giornale (Ferro, 2011) risulta che
nel giro degli ultimi 10 anni le imprese straniere nel settore dei pubblici
esercizi sono passate dal 4 al 10% del totale; secondo dati ancora pi recen-
ti (Rossi, 2013) il numero di bar gestiti da imprenditori stranieri nel 2013
salito a 12.700 (+12,1% rispetto al 2012). In particolare nel nord Italia e a
Milano, dove unimpresa su tre gi guidata da stranieri35.
La dequalificazione professionale che si verificata nel mondo del bar nel
corso degli ultimi decenni ha condotto alla perdita di quella che costituiva la
cultura del bar italiano, la stessa che stata ispiratrice delle grandi innova-
zioni e che, come abbiamo visto nel capitolo terzo, hanno rivoluzionato e ri-
lanciato il business del caff nel resto del mondo. allora importante riporta-
re lattenzione sulla centralit della figura del barista, che senza unappro-
priata riqualificazione professionale si rivela particolarmente fragile e rischia
di trascinare nel baratro lintero comparto. Occorre dunque fare uno sforzo
congiunto da parte di tutti gli operatori della filiera per rilanciare questa figu-
ra, trasformandola in una professione altamente qualificata.

C. Elevato turnover
Questa situazione di debolezza e di fragilit ci conduce direttamente al
terzo elemento caratterizzante il bar italiano: il suo elevato turnover. Le
basse barriere allingresso hanno infatti stimolato una certa effervescenza di
nuove imprese. Come sostiene Roberta Susanna, direttore comunicazione e
relazioni istituzionali di InfoCamere, il gran numero di nuove aperture
conferma che i pubblici esercizi sono uno dei settori dimpresa dove si con-
centrano le prime modalit dellintraprendere (Tibollo, 2011).
In termini di trend si pu constatare infatti che, nel decennio 2001-2011
il settore ha fatto registrare la crescita di unit operative36; nonostante la
crisi economica esse sono cresciute del 22%, percentuale molto pi alta di
quella registrata nei decenni precedenti, quando erano cresciute rispettiva-
mente del 7,9% nel periodo 1991-2001, dello 0,3% negli anni 1981-1991 e
del 4,6% nel decennio 1971-1981 (si veda Tab. 4).

35
Curioso inoltre il fatto che sembra verificarsi una certa specializzazione etnica: mentre le
comunit egiziane prediligono la ristorazione, quelle cinesi si concentrano nellattivit del
bar.
36
Relativamente agli anni 2010 e 2011 fonti diverse forniscono dati divergenti. Secondo lo
studio Fipe Il bar italiano del 2012, ad esempio il saldo, delle imprese iscritte stato nega-
tivo: meno 3.331 nel 2010 e meno 3.886 nel 2011.

315
Tab. 4 Evoluzione numerica dei bar in Italia (anni 1971-2011)

Imprese Unit Locali


Numero Var % Numero Var %
1971 102.660 105.349
1981 107.360 4,6% 110.795 5,2%
1991 107.685 0,3% 113.031 2,0%
2001 116.218 7,9% 121.751 7,7%
2011 141.764 22,0% 148.513 22,0%

Fonte: Fipe (2012), Il bar italiano, su dati Istat 1971-2001 proiezione su dati InfoCamere
(2011).

Come emerge dal rapporto sullo stato dellarte del pubblico esercizio re-
datto da Confesercenti Toscana37, nel quinquennio 2006-2011 si addirittura
verificata unaccelerazione del fenomeno rispetto al quinquennio precedente
(anche per effetto del Decreto Bersani). Questo dato di per s potrebbe in-
durci a ritenere che il settore viva una florida fase di espansione, ma la realt
sembra essere un po pi articolata. Se infatti mettiamo a confronto questi da-
ti con quelli relativi alla durata media dellattivit e a quelli del volume di
caff venduto nel canale Bar/Ho.Re.Ca., emerge un quadro tuttaltro che flo-
rido.
Per ci che concerne la sopravvivenza dei bar, si pu affermare che,
come sostiene Mauro Bussoni, vicedirettore generale di Confesercenti,
lelevata voglia di imprenditorialit, spesso si rivela in un salto nel vuo-
to (Tibollo, 2011). I dati relativi alla mortalit indicano che spesso si trat-
ta di morte in culla: il 4-5% delle nuove attivit chiude i battenti entro il
primo anno di vita. Delle 86.000 imprese nate nel triennio 2007-2010, il
40% gi non esiste pi.
A livello nazionale oltre la met dei bar (55,4%) si costituito dopo il
2000 e quindi ha meno di 10 anni di vita38. Il 25,3% si costituito nel corso
degli anni Novanta, il 17,4% nel ventennio Settanta-Ottanta e solo l1,3%
prima degli anni Settanta (Fig. 17).
Secondo ricerche pi recenti (Tibollo, 2011), risulta che il ciclo di vita
di un bar non supera i 4 anni, quando solo fino a un quinquennio prima si
aggirava su una media di 12 anni.

37
Confesercenti, 2011. Secondo questa fonte il numero di unit sono cresciute del 10,6% nel
quinquennio 2006-2011 contro l8,7% del quinquennio 2001-2006.
38
Lanalisi si riferisce al 2011.

316
Fig. 17 Distribuzione dei bar in funzione del periodo di costituzione

55,40%
60%
50%
40%
25,30%
30% 17,40%
20%
10% 1,90%
0%
Dopo il 2000 Dal 1990 al Dal 1970 al Prima del
1999 1989 1969

Fonte: Confesercenti 2011.

Se quindi da un lato, come sostiene Roberto Susanna, funzionario di In-


focamere, il gran numero di nuove aperture conferma che i pubblici eser-
cizi e il bar in particolare sono uno dei settori dimpresa dove si concen-
trano le prime modalit dellintraprendere (Ferro, 2011), dallaltro, lalta
mortalit delle stesse evidenzia una sostanziale fragilit di fondo, legata
prevalentemente a una scarsa e sempre minore professionalit degli eser-
centi e allassenza di unadeguata capitalizzazione.
Mettendo a confronto i dati relativi al numero di bar attivi con quelli del
consumo di caff assorbito da questo canale, emerge ancora di pi lo stato
di estrema debolezza che sta contraddistinguendo il bar italiano in questa
fase storica. Infatti, a fronte di una proliferazione dei locali (+8,7% nel pe-
riodo 2001-2006; +10,6% nel periodo 2006-2011), corrisposto un calo dei
consumi complessivi di caff (di un 8% nel primo quinquennio e di un ulte-
riore 9,5% nel secondo).
Il tutto si traduce in un sensibile calo di erogazioni per unit, che, non
essendo compensato da uno spostamento del mix di vendita verso altre
merceologie (si veda Fig. 18), equivale a un inesorabile calo del fatturato e
di marginalit.
Il bar sembra quindi costituire il vero anello debole del sistema caff
espresso italiano, incapace da un lato di interpretare e contrastare le mag-
giori pressioni competitive provenienti dagli emergenti canali di diffusione
dellespresso, primi fra tutti il monoporzionato e, dallaltro, di avanzare nei
confronti dei torrefattori lesigenza di una maggiore qualit in termini di
prodotto e di servizio. Anzi la sua strutturale debolezza economico-
finanziaria, unita alla bassa competenza professionale, sta sempre pi tra-

317
scinando la competizione dei torrefattori verso forme di supporto finanzia-
rio, piuttosto che su aspetti legati al core-business della loro attivit, ovvero
al miglioramento qualitativo delle forniture di caff.

Fig. 18 La distribuzione del fatturato del bar per merceologia (valori in percentuale)

Fonte: ns. elaborazione su dati Fipe (2012) e Infocamere.

Dal momento in cui il bar non costituisce per il torrefattore un interlocu-


tore esigente dal punto di vista di prodotto, risulta vano e poco efficace
qualsiasi sforzo rivolto al miglioramento della qualit del caff. Tutto ci
porta a un degrado qualitativo, poich il torrefattore stimolato a ricorrere
a leve diverse dal prodotto, in particolare quelle finanziarie, per conquistare
e difendere il proprio mercato.
Tale degrado, che inevitabilmente si ripercuote in una perdita di know-
how tecnico e di competenza da parte del torrefattore, innesca un pericolo-
so circolo vizioso che inesorabilmente indebolisce la capacit competitivit
sia del bar e sia del torrefattore italiano.
Infatti al degrado della qualit del caff al bar, o quanto meno al suo non
miglioramento, il consumatore risponde spostando una parte dei suoi con-
sumi sugli altri canali (come serving/vending, punti vendita non conven-
zionali, retail ecc.), magari perch di qualit superiore o, molto pi spesso,
perch a parit di qualit risultano di gran lunga pi economici e pi pratici.
Al calo del fatturato e quindi della marginalit generata dalla caffetteria, il
bar cerca di recuperare marginalit abbassando i costi di acquisto, chieden-

318
do quindi caff pi economici, anche se di qualit pi scadente e ci ali-
menta unulteriore disaffezione dei consumatori con relativa perdita di fat-
turato e cos via, fino al progressivo deterioramento dellintero sistema.
In questo modo il bar, anzich fronteggiare lavanzata del monoporzio-
nato, che costituisce il suo principale competitor, lo sta favorendo. Il con-
sumatore non trovando nel servizio offerto dal bar un sostanziale differen-
ziale qualitativo, sempre pi orientato a prediligere soluzioni pi agevoli
e pi economiche, rappresentate appunto dal mondo del vending/serving.
Risulta chiaro quindi che il recupero di competitivit da parte dei torre-
fattori operanti nellHo.Re.Ca non pu prescindere da una riqualificazione
e da un rafforzamento del loro principale interlocutore, costituito appunto
dal bar.

7.5. Le capacit anticipatorie e la saturazione della do-


manda interna

Tornando agli aspetti dimensionali della domanda, oltre ai tre gi esa-


minati (la consistenza del mercato, il ritmo di crescita e la numerosit degli
acquirenti indipendenti), ci sono altri due fattori che possono esercitare de-
gli stimoli positivi alle imprese di torrefazione nazionali; essi sono:
B.4 la precocit della domanda interna;
B.5 la saturazione precoce.
Riguardo il primo aspetto, risulta evidente che le imprese sono avvan-
taggiate nel caso in cui la domanda interna anticipa i fabbisogni internazio-
nali. Purtroppo, da quanto emerso sino a ora risulta evidente che il bar ita-
liano non sia nelle condizioni di interpretare tale ruolo. Al contrario, esso
ha sviluppato un modello di domanda alternativo a quello vigente negli altri
Paesi, per cui ha finito per disorientare i torrefattori nazionali facendo loro
perdere capacit competitiva. Lattenzione che nel corso dellultimo tren-
tennio il bar italiano ha dedicato alle politiche di supporto finanziario dei
torrefattori, piuttosto che agli aspetti qualitativi del prodotto ha indirizzato i
torrefattori verso percorsi che si sono rivelati improduttivi sul piano inter-
nazionale, indebolendoli in termini competitivi.
Laltro elemento rilevante della domanda la sua saturazione precoce;
un mercato domestico saturo alimenta forti pressioni competitive e quindi
stimola il miglioramento dellefficienza, delle prestazioni e linnalzamento
del valore offerto. In altri termini, la saturazione della domanda interna fa
salire il tasso di rivalit locale e provoca leliminazione darwiniana delle

319
imprese pi deboli che, per le realt pi forti e pi dinamiche, si traduce in
maggiori opportunit.
Inoltre, quando la domanda interna satura, le imprese sono anche pi
stimolate a cogliere qualsiasi opportunit di sviluppo a livello internaziona-
le, soprattutto quando la saturazione della domanda domestica si associa a
una contemporanea fase di crescita della domanda estera. In tale contesto
infatti, le imprese locali hanno forti stimoli a internazionalizzarsi, anche
perch normalmente risultano competitivamente pi forti rispetto ai player
esteri in quanto la difficile condizione del mercato interno ha fatto loro svi-
luppare maggiore aggressivit.
Pur corrispondendo questa condizione allo scenario che si verificato
nel mercato del caff espresso nel corso degli ultimi due decenni, tuttavia,
le torrefazioni italiane non sono riuscite a cogliere in pieno le opportunit
che si erano presentate loro, nonostante abbiano fatto registrare una crescita
significativa dellexport.
Sono diverse le ragioni che possono spiegare questa situazione: innanzi-
tutto la piccola dimensione che contraddistingue la maggior parte delle tor-
refazioni italiane, ha costituito un vincolo di risorse e di competenze per
avviare con successo un processo di internazionalizzazione strutturato.
Molte aziende hanno mosso dei passi verso lesportazione, ma, molto spes-
so, si trattato di eventi sporadici, avvenuti a seguito di contatti avuti con
operatori esteri in occasione di fiere internazionali e senza aver attivato al-
cuna struttura organizzativa dedicata allinternazionalizzazione. Si quindi
trattato di vendite passive, basate prevalentemente sugli ordini ricevuti dai
partner esteri e spesso, anche a livello di prodotto, ci si limitati a ripropor-
re la stessa gamma creata per il mercato interno (magari con la variante del
packaging per adeguarlo alle esigenze linguistiche e normative del mercato
estero). Raramente stata effettuata, o imposta, una politica di brand, per
cui il legame con il consumatore estero rimasto molto debole. In alcuni
casi non si provveduto neanche a depositare il marchio, lasciando
liniziativa allimportatore che risultava cos libero di operare nel proprio
mercato col brand delloperatore italiano, senza avere pi neanche il vinco-
lo di acquisto del caff italiano.
In passato ci sono stati anche casi di opportunismo in cui il torrefattore
ha sfruttato questi mercati per smaltire le partite meno pregiate di caff,
nellerronea convinzione che i consumatori esteri fossero degli incompeten-
ti in materia di caff espresso; ci ha finito per danneggiare limmagine di
bont del caff italiano e favorito i torrefattori locali che si sono nel frat-
tempo organizzati nel creare la propria gamma di caff espresso.

320
Evidentemente, accanto a queste realt ci sono quelle che, invece, hanno
approcciato i mercati esteri in modo pi strutturato, ma spesso ci ha ri-
guardato imprese pi grandi e organizzate, capaci di fronteggiare meglio le
sfide dellinternazionalizzazione.
Una seconda ragione della scarsa penetrazione raggiunta allestero dai
torrefattori italiani costituita dal modello di business applicato, spesso
fotocopia di quello utilizzato nel mercato interno, che per, per le diverse
dinamiche che si sono sviluppate in questi mercati, si rivelato inadeguato.
Ci sono per dei torrefattori che sono stati capaci di interpretare le di-
namiche e di comprendere i driver competitivi che si stavano sviluppan-
do nei vari mercati, riuscendo cos ad avviare una politica di internaziona-
lizzazione pi efficace; fra questi, oltre ai tre big del mercato, ovvero La-
vazza, Segafredo Zanetti e Illy (che per sono difficilmente equiparabili al
resto delle torrefazioni) ci sono aziende come Caff Vergnano, Zicaff,
Caff Carraro, Caff Pascucci, Caff Moak ecc.
In sintesi possiamo affermare che, la saturazione precoce costituisce un
vantaggio per le imprese nazionali soltanto laddove le esigenze della do-
manda interna riflettono quelle della domanda internazionale. Per le ragioni
sopra evidenziate, ci non si verificato nel settore del caff italiano e que-
sto, insieme ai vincoli strutturali della piccola dimensione, ha finito per im-
pedire alle torrefazioni italiane di sfruttare tutte le opportunit che il merca-
to internazionale offriva loro.

7.6. Linternazionalizzazione della domanda interna

A fianco alla composizione e agli aspetti dimensionali della domanda


interna, c un terzo attributo della stessa che pu contribuire a rafforzare, o
indebolire, la competitivit delle imprese in ambito internazionale. Esso ri-
guarda la capacit di influenza che il mercato interno esercita nei confronti
della domanda internazionale e in particolare:
C.1 la presenza di acquirenti locali mobili e multinazionali;
C.2 linfluenza che i consumatori interni riescono a esercitare sui fab-
bisogni esteri.
Relativamente al primo fattore possiamo rilevare che nel settore del caf-
f espresso le prime forme di sviluppo del mercato internazionale sono state
sostenute dal fenomeno dellemigrazione; erano le comunit dei nostri con-
nazionali emigrati allestero che alimentavano la gran parte della domanda
di caff italiano allestero. Gli stessi operatori commerciali e importatori
erano spesso membri della comunit italiana; la volont degli emigrati a

321
non rinunciare alle abitudini alimentari tipiche del Bel Paese ha rappresen-
tato il primo mercato di sbocco del caff allestero (al pari della maggior
parte dei prodotti alimentari nazionali, come pasta, formaggi, parmigiano,
salumi, olio ecc.).
Quando, per merito degli americani, il caff espresso ha varcato la so-
glia dellItalian community ed divenuto un prodotto globale, sono stati i
consumatori statunitensi (insieme ai loro visitatori) i nuovi impollinatori
del business dellespresso negli altri Paesi, i quali sono risultati pi efficaci
degli stessi italiani, sia per la loro maggiore numerosit e sia per la maggio-
re influenza che il loro lifestyle storicamente esercita nelle altre nazioni.
Ci significa che, pur essendo lespresso una bevanda tipicamente italiana,
sono state soprattutto le imprese americane a poter beneficiare del fenome-
no dei consumatori mobili e infatti molte catene di coffee shop hanno mos-
so i passi verso linternazionalizzazione proprio per soddisfare innanzitutto
la domanda dei consumatori americani viaggianti e delle loro comunit
allestero (basti pensare alle basi militari).
Le aziende statunitensi, sono state favorite anche dalla forte influenza
che la cultura americana esercita in molti Paesi del mondo in termini di stile
di consumo, anche a seguito della sua leadership nellindustria cinemato-
grafica, del turismo e della formazione universitaria, settori questi che tra-
smettono il modello americano a milioni di spettatori, visitatori e studenti
di tutto il mondo.
evidente dunque che lItalia, pur avendo un buon flusso turistico, non
in grado di esercitare la stessa influenza degli Stati Uniti e quindi le im-
prese nazionali risultano da questo punto di vista meno favorite. A ci si
associa anche lampio ricorso allItalian sound che le grandi organizza-
zioni americane hanno utilizzato per promuovere il prodotto caff espresso
(e lo stile di consumo a esso associato) nelle varie comunit di consumatori,
creando loro una certa confusione sullautenticit del prodotto.
tuttavia, corretto riconoscere che lespansione a livello globale delle
catene americane di coffee shop, pi che costituire una minaccia per le im-
prese italiane, ha rappresentato una grande opportunit, aprendo loro le por-
te allesportazione; opportunit che le imprese tricolori sono riuscite a co-
gliere solo in parte.

7.7. Analisi del consumatore italiano

Alla luce di quanto emerso sin qui, risulta chiaro che le condizioni del-
la domanda interna rivestono un ruolo importante nella definizione della

322
competitivit delle imprese nazionali, soprattutto perch essa in grado di
potenziare o di indebolire le condizioni create dagli altri determinanti del
diamante.
Abbiamo altres visto che lattuale condizione del bar italiano costitui-
sce un forte elemento di criticit per la capacit competitiva delle torrefa-
zioni. Eppure il bar non lultimo anello della catena; esso, a sua volta, si
rivolge al consumatore. legittimo allora chiedersi se la scarsa competitivi-
t del bar italiano non derivi dalle condizioni della domanda finale. Per ri-
spondere a questo interrogativo occorre comprendere le peculiarit del con-
sumatore italiano di caff.
Il rito del caff espresso al bar per molti italiani risulta essere unabitudine
irrinunciabile, una questione didentit; ben il 57,8% degli italiani consuma il
caff o il cappuccino sia in casa che al bar, il 29,6% lo consuma esclusiva-
mente in casa e un 2,6% consuma caff solo al bar (Plazanet, 2006). Secondo
unaltra ricerca (Astra Ricerche, 2006) il 24% degli italiani inizia la giornata
con il caff al bar. In realt, spesso, il caff al bar non il primo, ma il secon-
do, in quanto una tazzina viene bevuta a casa appena svegli.
Lelevata concentrazione delle visite nelle prime fasi della giornata
una peculiarit del cliente tricolore, che legata essenzialmente al consumo
di caff espresso o cappuccino (a volte accompagnata da una brioche). Essa
denota che la colazione al bar costituisce un vero e proprio rito culturale, a
cui gli italiani non intendono rinunciare facilmente, anche perch il caff
considerato un energy booster, che risponde a uno specifico bisogno.
In termini geografici, il consumo al bar diffuso in modo abbastanza
uniforme tra le varie aree del Paese, con una penetrazione pi accentuata
nei centri con oltre i 30.000 abitanti. Anche da un punto di vista di et, non
esistono grandi difformit, anche se si nota una maggiore concentrazione
dei consumi nella popolazione maschile dai 35 ai 54 anni.
Da una ricerca Astra (2006) emerso che la colazione al bar preferita
dal 22,4% degli italiani; sono 10,6 milioni coloro che fanno colazione al
bar almeno due volte alla settimana. Si tratta di persone attive, prevalente-
mente studenti e lavoratori, abitanti delle grandi citt, con unet inferiore
ai 45 anni e tendenzialmente di sesso maschile. Il protagonista della prima
colazione il cappuccino, ordinato dal 58% degli italiani, seguito dal caff
espresso, ordinato dal 40% dei clienti del bar.
Il caff innanzitutto un rito; il nostro consumatore vive il piacere del
caff anche nel rito della preparazione, tant che la diffusione del solubile
nel nostro Paese sempre stato marginale (si veda Tab. 5).
Per comprendere il ruolo svolto dal consumatore italiano in chiave com-
petitiva per importante chiedersi se esso sia sufficientemente sofisticato.

323
Tab. 5 Vendite caff torrefatto nel dettaglio moderno

2007 2008 2009 2010 2011


Volumi in milioni di kg
Caff Tostato Macinato 113,9 113 113,7 115,3 110,8
Caff Tostato Decaffeinato 8,9 9,1 9,3 9,4 9,4
Caff Tostato Grani 8,1 8,6 8,3 8,4 8,4
Caff Solubile 1,5 1,6 1,8 1,8 1,9
Totale 132,4 132,3 133,1 134,9 130,5
Valore in milioni di euro
Caff Tostato Macinato 849 891 927 943 1040
Caff Tostato Decaffeinato 83 89 94 97 106
Caff Tostato Grani 55 59 59 61 66
Caff Solubile 53 54 58 58 63
Totale 1040 1093 1138 1159 1275

Fonte: Coffitalia, 2012.

condiviso da pi parti che litaliano medio ha una bassa competenza va-


lutativa del caff. Pur essendo stato il primo consumatore al mondo di caff
espresso, e quindi sicuramente un innovatore da questo punto di vista, esso
ha poi finito per accontentarsi di ci che gli veniva servito, senza avanzare
ulteriori pretese di miglioramento e di evoluzione qualitativa della bevanda.
Come sostengono Daviron e Ponte: il consumo di caff fa parte della
vita quotidiana per molti italiani. una routine quotidiana scandita da alcu-
ni eventi regolari: il cappuccino per colazione, lespresso macchiato a met
mattinata, un espresso dopo pranzo e forse un espresso corretto dopo cena.
[...] Gli italiani sono orgogliosi della loro cultura di consumo del caff, e
spesso danno per acquisito che il loro caff sia di buona qualit. In realt la
loro idea di qualit ha pi a che fare con la modalit di preparazione (tosta-
tura scura, buona corposit) e con la bravura del barista nel servire un cre-
moso caff, che non con gli altri attributi della qualit (qualit degli ingre-
dienti base della miscela). [...] Limmagine generale che emerge nel con-
sumo generale del caff (due terzi dei quali avviene nel consumo domesti-
co) di una offerta di miscele di medio-bassa qualit, senza che ci sia con-
trastata in termini di risposta da parte dei consumatori. Questa non entusia-
smante immagine per certi versi simile a quella del mercato americano
con una differenza sostanziale: mentre gli italiani credono di bere caff ec-

324
cellenti, i consumatori americani sono coscienti della mediocrit del loro
caff medio (Daviron e Ponte, 2005, 144-146).
Possiamo dunque concludere che il nostro consumatore sia poco incline
alla qualit e quindi poco esigente?
Se allarghiamo il focus dal caff ai prodotti alimentari ci accorgiamo
che in realt litaliano medio molto esigente dal punto di vista gastrono-
mico; raramente si accontenta di cibi mediocri, e molto spesso riesce a ri-
conoscere e apprezzare la qualit dei cibi. In questo contesto non casuale
la difficolt che le catene di fast food, fra cui la stessa Mc Donalds39, han-
no a lungo incontrato nel penetrare il mercato italiano, cos come non ca-
suale il successo internazionale che lindustria agro-alimentare italiana sta
riscuotendo in ambito mondiale.
Ci viene allora da chiederci: perch se il nostro consumatore si rivela
cos sofisticato nei prodotti gastronomici, non lo altrettanto nel caff?
Una plausibile spiegazione ce la fornisce la risposta di un influente ope-
ratore italiano del mercato del caff riportato da Daviron e Ponte, la clien-
tela ignorante sulla qualit del caff. Se i consumatori fossero pi consa-
pevoli e competenti sul caff, cos come lo sono nellambito del vino, allora
i torrefattori sarebbero costretti a fornire un prodotto migliore con relativi
maggiori costi industriali. I grandi torrefattori non vogliono che ci accada
(Daviron e Ponte, 2005, 150). Questa visione confermata anche da altri
esperti del settore, fra cui anche alcuni baristi con cui abbiamo avuto modo
di interfacciarci, secondo i quali i torrefattori non hanno interesse a diffon-
dere la cultura delle origini del caff in quanto vogliono difendere i loro
marchi. In altri termini non vogliono che il cliente identifichi il caff etiope,
keniano, indonesiano o colombiano, ma vogliono che identifichi il brand
del torrefattore e vada quindi alla ricerca del brand e non dellorigine.
A differenza di quanto avviene in altri Paesi, in Italia questa condizione
non una peculiarit dei torrefattori che operano su larga scala e con pro-
dotti di basso costo (mainstream roasters), ma riguarda anche quelli che
differenziano la loro offerta puntando sulla qualit. La stessa Illy ad esem-
pio, pur operando nel segmento alto del mercato, si propone al consumatore
come brand, (miscela Illy), senza fornire particolari dettagli40 sulla ricetta
39
Mc Donalds ha aperto il suo primo ristorante in Italia a Roma (Piazza di Spagna) nel
marzo del 1986 e, nonostante negli ultimi anni abbia sensibilmente aumentato la velocit di
penetrazione, tuttora la presenza di questo genere di ristoranti molto contenuto nella peni-
sola.
40
Illy comunica le origini che normalmente compongono la propria miscela, ma non comu-
nica il mix delle stesse. Solo recentemente e limitatamente al mercato capsule e, soprattutto
sulla spinta delle evoluzioni che stanno caratterizzando il mercato internazionale e quello del

325
della propria miscela, n informazioni sulle origini di caff utilizzate di vol-
ta in volta. A questo riguardo si potrebbe obiettare che non esiste in realt
una ricetta unica, in quanto la composizione della miscela varia in funzione
delle partite di caff, delle condizioni climatiche dei raccolti, delle origini
del caff ecc. In questo contesto, lobiettivo della stabilit del profilo senso-
riale della miscela viene perseguito modulando di volta in volta il mix dei
caff proprio per compensare le variazioni organolettiche della materia
prima. A nostro parere tale condizione non costituisce necessariamente un
vero impedimento, poich il torrefattore, volendo informare il consumatore,
potrebbe riportare sulla confezione il mix utilizzato nel singolo lotto.
Tuttavia, bene rilevare che la trasparenza sulle origini del caff, di per
s, non necessariamente si traduce in una maggiore competenza del consu-
matore; laddove collegata a un profilo gustativo unico e standardizzato il
consumatore ha scarse possibilit di acquisire una competenza sul prodotto
in quanto non in grado di percepire lapporto di ogni singola origine.
Questa politica risulta invece molto pi efficace laddove abbinata a
unofferta variegata di miscele, in cui cio il consumatore in grado di as-
sociare alle varie origini un determinato profilo gustativo, al pari di quanto
avviene con i vini.
Alla luce di queste considerazioni possiamo ritenere che la condizione
di ignoranza del consumatore italiano non tanto attribuibile a un proprio
limite culturale, quanto a una condizione creata dallindustria di torrefazio-
ne nel suo complesso. Occorre per rilevare che tale circostanza non costi-
tuisce una peculiarit del nostro mercato nazionale, ma piuttosto una ca-
ratteristica del mercato del caff in generale, essendo comune a molti altri
Paesi. Ci che invece contraddistingue il mercato italiano il fatto che tale
pratica non riguarda solo i mainstream roasters che operano nel canale re-
tail, bens la quasi totalit dei torrefattori.
Nel mercato retail, sono i grandi torrefattori, con i loro brand, i principa-
li player nella manipolazione degli attributi di qualit41, lasciando ai con-

monoporzionato lazienda triestina ha allargato la sua gamma di offerta, affiancando alla sua
miscela, anche una selezione di caff monorigine
41
Quando si parla di qualit del caff non si fa riferimento a ununica accezione: per
qualit si pu intendere quella intrinseca del caff verde utilizzato, o al metodo di prepara-
zione (filtro, moka, espresso) utilizzato per estrarre la bevanda, o ad aspetti pi immate-
riali, come lambiente in cui viene servita la bevanda, quindi latmosfera e gli arredi del lo-
cale, dalla cura del servizio fornita dal barista nellinterazione col cliente, o dalla spettacola-
rit con cui viene servita (basti pensare ai bartender), o persino dalla interazione cosciente o
incosciente con altri consumatori. A seconda di quale Paese e segmento di mercato si fa rife-
rimento, diversi sono gli attori artefici della qualit del caff per il consumatore. Ci signi-

326
sumatori un ruolo passivo, mentre nel mercato specialty il concetto di qua-
lit composto dal contributo sinergico di piccoli torrefattori, punti di ser-
vizio (bar e coffee shop) e consumatori; in questo caso il consumatore ten-
denzialmente svolge un ruolo pi attivo, anche se varia a seconda del Paese
di riferimento, della tipologia di operatori presenti (catene, indipendent
ecc.) e del sistema di preparazione dominante.
Secondo Ponte (2002) normalmente i torrefattori, soprattutto quelli che
operano nel mercato retail (mainstream roasters), hanno necessit, da un lato,
di minimizzare i costi di produzione attraverso luso di caff pi economici,
al fine di massimizzare i profitti (o di incrementare la loro competitivit),
dallaltro di mantenere una certa costanza del profilo aromatico. Una volta
che il caff viene tostato e miscelato, il principale aspetto qualitativo preso in
considerazione lomogeneit spazio-temporale: ogni miscela deve avere lo
stesso sapore e aroma in tutti i punti vendita, giorno dopo giorno. La compo-
sizione delle miscele risponde quindi a questa logica e molto spesso i torre-
fattori mantengono massima riservatezza nelle modalit di creazione della
loro miscela per proteggere le loro politiche, quindi senza dover rivelare al
consumatore, o al distributore, i cambiamenti apportati alla loro miscela per
raggiungere gli obiettivi di cui sopra. Il consumatore non ha competenze per
riconoscere le differenze fra le varie miscele, n tanto meno per poter decifra-
re gli ingredienti utilizzati. Come conseguenza non ha altra alternativa di
scelta se non basarsi sulla marca. In questo contesto, la confezione, lo shelf
placement e la pubblicit ricoprono un ruolo prioritario nella determinazio-
ne della percezione di qualit per il consumatore.
In altri termini, nel mercato retail, i torrefattori hanno tutte le informa-
zioni sulla qualit del caff, ma non trasmettono questa conoscenza a valle
per preservare il loro potere contrattuale e per orientare il mercato a proprio
vantaggio. Molto spesso hanno sfruttato questa asimmetria di conoscenza
per massimizzare la marginalit, abbassando la qualit del loro prodotto
mantenendo inalterato il prezzo di vendita.
Risulta evidente che lignoranza del consumatore frutto delle politiche
di marketing attuate dai torrefattori, e in particolare da quelli di grandi di-
mensioni che operano nel mercato retail.
Nel quarto capitolo abbiamo riscontrato che nella maggior parte dei
Paesi la condizione dei torrefattori che operano nel mercato retail piutto-
sto simile a quella italiana. Tuttavia, lapproccio seguito dalle piccole torre-

fica che il concetto di buon caff per il consumatore varia sensibilmente da Paese a Paese
e da canale a canale (Daviron e Ponte, 2005, 140).

327
fazioni, soprattutto da quelle dello Specialty e della Third Wave, si disco-
sta significativamente da quello perseguito dai grandi colossi (mainstream
roasters), anche per esigenza di differenziare la loro offerta e qualificarla
agli occhi del consumatore. Esse informano e coinvolgono il consumatore
nella conoscenza e nellesplorazione del caff delle varie origini; il barista
descrive il prodotto servito al pari di quanto fa un sommelier con i vini pre-
giati e inoltre sulla confezione viene spesso riportata una scheda descrittiva
della composizione e del profilo aromatico del caff proposto, permettendo
al consumatore di acquisire quella conoscenza necessaria per conseguire
una competenza valutativa. In molti casi i third wavers rendono i loro
prodotti perfettamente tracciabili, riportando in confezione non solo le ori-
gini utilizzate, ma addirittura le farm da cui proviene il caff verde.
In Italia invece anche i piccoli e i medi torrefattori hanno agito con la
stessa logica della segretezza attuata dai grandi player del retail. Quasi mai
essi comunicano le origini di caff impiegate nella loro miscela; ancor meno
rivelano le percentuali di composizione della miscela. Ci che sono disposti a
comunicare alla clientela una generica percentuale del mix Arabica-
Robusta impiegato, tipo (80/20, o 70/30 le pi comuni). A volte, come diver-
si operatori ci hanno fatto rivelare, neanche questa percentuale risulta veritie-
ra, in quanto spesso utilizzata per una logica di marketing, per differenziare
la gamma delle miscele proposte e giustificare il differenziale di prezzo.
Questo significa che il consumatore italiano, al pari del barista, ha scar-
se possibilit di valutazione della qualit del caff consumato, n ha del re-
sto grandi opportunit di acquisire altrove queste competenze. Nel corso
dellultimo decennio, molti torrefattori hanno attivato al proprio interno
scuole del caff, con cui forniscono formazione ai propri baristi, ma il pi
delle volte, esse rispondono a esigenze di comunicazione e di persuasione
sul prodotto, volte a fidelizzare il cliente, piuttosto che a fornire le basi per
una valutazione oggettiva del caff.
Da ci consegue che, in mancanza di elementi, la percezione di qualit del
consumatore ripiega su altri fattori, come quello dellabitudine al gusto42 e su
aspetti pi tangibili, come, il colore della crema del caff, o la sua consisten-
za, o la sua persistenza ecc. Spesso le sue valutazioni sconfinano su parametri
insignificanti, come ad esempio quello della prova dello zucchero, secondo
cui un caff pi buono quanto pi a lungo lo zucchero versato rimane in
superficie prima di affondare nel liquido. In realt questa prova non ha alcuna

42
Secondo questo principio buono tutto ci che si avvicina al caff che abituato a con-
sumare.

328
valenza descrittiva della qualit dei caff utilizzati, in quanto, molto spesso,
sono i caff di minor pregio, quelli che offrono maggiore resistenza allaffon-
damento dello zucchero. Come sostengono De Toni e Tracogna (2005, 242),
la qualit attribuita dai consumatori a un caff non deriva intrinsecamente
dal tipo di miscela, ma in gran parte qualit percepita: una particolarit
del mercato del caff. Tutto ci dovuto a una conoscenza ancora insuffi-
ciente da parte della gran massa dei consumatori.
Questa condizione di ignoranza del consumatore finisce evidentemente
per indebolire, anzich rafforzare, la posizione competitiva dei piccoli tor-
refattori e conseguentemente del bar, poich non permette loro di erigere
barriere difensive alle politiche attuate dai mainstream roasters. Il consuma-
tore non infatti capace di riconoscere e apprezzare gli sforzi compiuti in
direzione del potenziamento della qualit del caff e cos risulta pi vulne-
rabile alle aggressive politiche di marketing messe in campo dai grandi tor-
refattori. Tutto ci finisce per affievolire i consumi al bar, come del resto i
dati inesorabilmente dimostrano.
Da questa prospettiva, il perseverare da parte dei piccoli e medi torrefat-
tori italiani su logiche competitive fondate sullignoranza del consumatore
appare una politica alquanto miope e autolesionistica, poich, come ha di-
chiarato Tony Konecny, roastmaster presso Victrola, abbiamo molto pi
da guadagnare nel rivelare alla gente la cura che dedichiamo nel prodotto
che offriamo, piuttosto che presentarglielo come un semplice marchio dagli
ingredienti misteriosi (Reynolds, 2006).
Infatti, se il consumatore non ha competenze sufficienti per valutare la
qualit del caff, non significa necessariamente che esso mantenga un at-
teggiamento passivo nei confronti di un progressivo degrado qualitativo
della bevanda. Come ci insegna il caso nord americano43, quando latto del
consumo del caff non appaga pi il senso del piacere, resta solo quella
parte di domanda legata al bisogno di caffeina, e ci si ripercuote in una
progressiva contrazione dei consumi. Negli Stati Uniti, ad esempio, questa
contrazione ha determinato lo sviluppo di un nuovo mercato del caff, quel-
lo dello Specialty coffee (e della Second Wave), in cui i protagonisti
erano nuovi operatori (costituiti per lo pi da torrefattori medio-piccoli con
una particolare dedizione alla qualit del prodotto), che pian piano hanno
eroso terreno ai precedenti attori.

43
Come esaminato nel capitolo terzo, negli Stati Uniti, a partire dal 1962, il trend del con-
sumo pro capite di caff ha invertito la rotta iniziando la fase di contrazione, a seguito di un
continuo impoverimento della qualit fornita dai torrefattori mainstream.

329
Sorge allora una domanda: perch i medio-piccoli torrefattori italiani
che operano nel mercato Ho.Re.Ca hanno seguito lo stesso modello del
consumatore ignorante vigente nel canale retail, anzich differenziarsi
con unofferta altamente qualificata e trasparente?
Una risposta esaustiva a questa domanda riusciremo ad averla solo dopo
aver completato lanalisi dei fattori che caratterizzano la competitivit delle
imprese di torrefazione. In questa sede possiamo tuttavia rilevare che, col-
tivare lo stato di ignoranza del consumatore italiano si traduce per le impre-
se di torrefazione (in particolare quelle medio-piccole) in una perdita di
competitivit, soprattutto allorquando esse, allestero, sono chiamate a
competere in un mercato, quale appunto quello del caff espresso, a cui
viene associato il segmento premium e quindi di alta qualit. In tale con-
testo fondamentale per le aziende italiane poter contare su consumatori
sofisticati ed esigenti, tali cio da stimolare i produttori ad acquisire nuove
e sempre pi elevate competenze necessarie per migliorare la qualit del
prodotto, e, conseguentemente, per alzare limmagine di qualit del caff
italiano nel mondo. Elevare limmagine a livello di Sistema-Paese significa
rafforzare il fattore country of origin effect (COOE)44 del caff Made in
Italy, che, invece, da qualche anno sta perdendo appeal, soprattutto nei
segmenti alto di gamma del mercato.
Da varie interviste avute con diversi export manager di torrefazioni ita-
liane emerso chiaramente che lappellativo Made in Italy risulta ancora
importante soprattutto per quelle realt che operano nel basso di gamma,
mentre per quelle che operano nel segmento alto del mercato, esportando
quasi esclusivamente miscele premium, il COOE riveste un ruolo margina-
le e in qualche caso costituisce addirittura un fattore negativo.
Affermare che il consumatore italiano non al momento particolarmen-
te esigente in materia di caff, cosa ben diversa dal sostenere che esso non
ha le capacit valutative necessarie per divenire un interlocutore sofisticato
ed esigente. Spesso un indicatore del grado di sofisticatezza degli acquirenti
di una nazione rappresentato dalle passioni nazionali; gli italiani sono noti
per la loro raffinatezza nellabbigliamento, nelle automobili veloci e
nellalimentazione. Come fa rilevare Porter (1990), le passioni nazionali si
traducono con sorprendente regolarit in settori industriali competitivi su
scala internazionale. Lo dimostra il ruolo che il consumatore italiano svolge

44
Il Country of Origin Effect, anche noto come Made in Effect, leffetto psicologico che
il Paese di provenienza di un dato prodotto o servizio (made in ) esercita sulla percezione
dei consumatori, influenzando la loro attitudine allacquisto (per un approfondimento si ri-
manda a Dinnie, 2003).

330
nello stimolare le imprese dellagro-alimentare a migliorarsi, elevando il
prestigio e la reputazione del food italiano nel mondo. Il caff costituisce
una passione nazionale, e quindi anche in questo caso il consumatore po-
trebbe rivelarsi unimportante fonte di stimoli per le imprese se solo fosse
messo nelle condizioni di esercitare la sua influenza.
Un esempio concreto del contributo che un pubblico erudito pu svolgere
nel rilancio della capacit competitiva delle imprese ci viene dallindustria
del vino. Gli italiani sono tradizionalmente grandi consumatori di vino, ma
non sempre laspetto quantitativo ha riflesso le valenze qualitative della be-
vanda. Il consumatore medio degli anni Sessanta-Settanta, non aveva spicca-
te capacit valutative, n era un grande degustatore. Se andiamo un po indie-
tro con la memoria, ricorderemo che fino a due o tre decenni fa, al ristorante
veniva offerta la sola possibilit di scelta fra vino bianco o vino rosso, senza
ulteriore distinzione. Il vino era considerato una sorta di commodity e que-
sto stato di cose aveva portato il settore italiano ad avere una bassa conside-
razione a livello internazionale; la reputazione dei vini nazionali non godeva
dei favori della critica ed effettivamente la produzione era orientata pi sui
volumi, che sulla qualit. Il vino nazionale, o almeno una parte della produ-
zione, non veniva neanche considerato prodotto finito, ma un semilavorato
per tagliare vini pi pregiati, in particolare quelli francesi. Tutto ci aveva
portato il settore vinicolo a un lento ma progressivo degrado, che culminato
con lo scandalo del metanolo45 del 1986. Da quelle ceneri, il settore ha saputo
risollevarsi cambiando radicalmente le leve competitive. Anzich puntare
sulla quantit, i produttori hanno spostato il focus sulla ricerca e sullinnal-
zamento della qualit del prodotto, attraverso investimenti multidirezionali,
nelle coltivazioni, nelle lavorazioni e nellimbottigliamento. Si sono diffuse
nuove competenze, e alcune figure professionali hanno assunto un ruolo rile-
vante, vedi quella dellenologo. A ci si sono aggiunti notevoli sforzi in

45
Lo scandalo del vino al metanolo scoppia nel marzo del 1986, dopo una serie di morti so-
spette sulla quale la magistratura inizia a indagare, alzando il velo su quello che sarebbe sta-
to il primo clamoroso scandalo del settore alimentare. Diciannove morti, decine di persone
intossicate, colpite da gravi lesioni, rimaste accecate, lintero settore vitivinicolo in crisi. Il
metanolo un componente naturale del vino. Aggiungerne importanti quantit in maniera
artificiale voleva dire far salire illecitamente la gradazione alcolica e il valore commerciale
di prodotti spesso scadenti della spremitura delle uve. Lalcool metilico, altro nome del me-
tanolo, assunto sopra i 25 ml provoca danni gravissimi: cecit, coma e perfino la morte. Le
esportazioni crollarono di oltre un terzo (da quasi 18 a circa 11 milioni di ettolitri), per un
fatturato sceso da 1.668 a 1.260 miliardi di lire. Rispetto al 1985, rimasero invenduti 21 mi-
lioni di ettolitri.

331
chiave marketing e di distribuzione per differenziare ed elevare limmagine
del prodotto.
Lo stesso consumatore stato protagonista di questa metamorfosi, poich
divenuto pi esigente e ha associato, al calo dei consumi, una maggiore
competenza valutativa; diventato un interlocutore colto e sofisticato, prefe-
rendo la qualit alla quantit e per questo disposto a riconoscere un prezzo
sensibilmente superiore a fronte di un buon vino. Molti italiani, hanno fre-
quentato a proprie spese corsi da sommelier per elevare ulteriormente la pro-
pria cultura e la loro competenza valutativa. Conoscere i vini diventato cos
anche un fattore moda, dal momento che entrato a far parte di un certo life-
style e ci ha alimentato nuovi consumi del vino; da prodotto da tavola di-
venuto un prodotto da socializzazione e di appartenenza, che ha stimolato an-
che un nuovo rapporto col produttore, dando forma allenoturismo. A fronte
di un calo generale dei consumi, cresciuta sensibilmente la domanda dei vi-
ni di qualit superiore (D.O.C. e D.O.C.G.) dal prezzo unitario molto pi ele-
vato. Persino la GDO ha avvertito lesigenza di cambiare la proposta distri-
butiva, non solo ampliando e differenziando la gamma di vini offerta, ma ad-
dirittura creando allinterno dei loro punti vendita veri e propri corner in cui
trasmettere al consumatore unesperienza dacquisto pi qualificata. Stesso
cambiamento ha coinvolto anche lHo.Re.Ca, la quale oggi propone in modo
diffuso una carta dei vini piuttosto nutrita.
La combinata azione degli sforzi dei viticoltori da una parte, e la mag-
giore competenza dei consumatori dallaltra, hanno permesso al settore ita-
liano di recuperare posizioni competitive a livello internazionale, favorendo
le esportazioni, che oggi rappresentano un importantissimo canale di sboc-
co per la produzione nazionale.
Anche nel caff si potrebbe realizzare una simile dinamica. Secondo al-
cuni autori, segnali di cambiamento della sensibilit dei consumatori si stan-
no evidenziando anche nel nostro mercato. Secondo Maurizio Cociancich
(2008, 77), nella stasi dei mercati maturi, stanno nascendo nuove esigenze
sul lato della domanda che sono in grado di dare un impulso inatteso a
unindustria stagnante. I consumatori percepiscono una sempre maggiore ne-
cessit di prodotti che si differenzino dal caff generico, carente sotto il punto
di vista qualitativo e non dotato di valori simbolici in grado di arricchirlo e di
renderlo maggiormente attraente. Aggiunge lautore: negli ultimi anni
percepibile un trend che vede i consumatori leggermente pi attenti alla qua-
lit in tazzina e allorigine del caff, questo potrebbe avere una qualche in-
fluenza sulla qualit offerta. Uno dei fattori importanti nel trasferire al cliente
la percezione di qualit del prodotto laspetto dei chicchi [] poi la qualit
della miscela verr percepita solo in un secondo momento.

332
Sullo stesso avviso sono anche De Toni e Tracogna (2005, 200), secon-
do cui il prodotto caff sta assumendo una peculiare connotazione di se-
gno distintivo e di forte mezzo di comunicazione, mentre si stanno manife-
stando modi alternativi di bere caff, che si aggiungono a quelli tradizio-
nalmente italiani dellespresso al bar e della moka in famiglia, o nuove pre-
ferenze e atteggiamenti nei confronti pi in generale dei prodotti alimentari.
Per quanto riguarda il primo aspetto, si possono ricordare le nuove proposte
nellassortimento di molti bar, i cosiddetti caff speciali, realizzati con
processi di trasformazione diversi da quello a pressione, come ad esempio
il caff filtro, ottenuto per infusione. In merito al secondo aspetto nuo-
ve preferenze dei consumatori si stanno sviluppando i segmenti di con-
sumo orientati al prodotto tipico, che consumano caff non pi solo con
lindicazione del tipo di miscela, ma addirittura con quella del Paese
dorigine. Sempre in questa logica, va inoltre posta attenzione anche al fe-
nomeno del biologico, delletico e del commercio equo e solidale, che con
un forte effetto di carattere valoriale e comunicativo, sempre di pi si sta
affermando non solo nellambito della distribuzione specializzata, ma an-
che nella grande distribuzione e nel canale Horeca.
Per Luigi Odello, segretario generale dellIstituto Nazionale Espresso Ita-
liano (INEI), il passaggio del caff da un consumo disattento a uno pi at-
tento, movimento lento ma costante in questi anni, sta portando verso una
sempre maggiore infedelt nei confronti della marca. La parola dordine, in-
dotta da un contesto pi generale di tendenze sociali, sperimentare per sa-
pere. Va da s che la marca deve sapere offrire novit per dare ai suoi clienti
emozioni nuove. La risposta a questa esigenza nel comparto caff negli ulti-
mi anni si estrinsecata soprattutto mediante il passaggio nei consumi dome-
stici dai modi tradizionali di preparazione (moka, filtro, ecc.) al porzionato.
Questo, a sua volta, consente di declinare pi facilmente il prodotto per ori-
gine di caff (Brasile, Etiopia, ecc.), per profilo sensoriale di area geografica
(Roma, Napoli, Milano, ecc.) o pi semplicemente per caratteristiche senso-
riali (gusto forte, morbido, ecc.) (Coffitalia, 2011, 57-59).
In qualche modo questa azione esercitata dal monoporzionato sta con-
taminando anche il settore del fuori casa, in cui si affacciano le carte dei
caff (soprattutto nella ristorazione). Aggiunge Odello: sicuramente tali
iniziative offrono alle aziende grandi opportunit nel campo della gestione
degli infedeli, ma deve essere condotta bene: non solo i caff devono avere
profili sensoriali coerenti e ben differenziati, ma anche essere supportati da
una congrua comunicazione soprattutto al momento del consumo (Coffita-
lia, 2011, 57-59), per coinvolgere il consumatore nella conoscenza del pro-
dotto attraverso la narrazione delle storie dei Paesi produttori.

333
Si sta dunque diffondendo una certa sensibilit verso un nuovo modo di
consumare il caff, ma tale fenomeno ancora a livello embrionale. C a
nostro avviso un segnale ancora pi evidente del fatto che il consumatore
stia cambiando il proprio approccio nei confronti del caff, a prescindere
dalla volont dei torrefattori. Esso dato dalla forte penetrazione che sta
avendo Nespresso col suo monoporzionato. La sua offerta di 16 diversi tipi
di caff sta educando il consumatore ad associare un particolare profilo
aromatico a determinate occasioni di consumo e alle diverse preferenze.
Inoltre, da qualche anno la multinazionale svizzera, cos come altri player
del monoporzionato, sta proponendo anche caff stagionali a edizione limi-
tata, che, da un lato, conducono il consumatore a scoprire nuovi profili di
caff e, dallaltro, lo rendono partecipe del fatto che il caff, al pari del vi-
no, un prodotto naturale e come tale soggetto a essere diverso di anno in
anno e a seconda dellarea di coltivazione. In altri termini Nespresso, con la
sua politica di imitazione del Third Wave sta educando il consumatore
italiano a rapportarsi al caff in un modo diverso, rispetto a quanto avvenu-
to fino a ora. Una volta che il consumatore si mosso in questa direzione,
difficilmente risulter appagato dallofferta standardizzata del bar.
Ai torrefattori italiani quindi offerta lopportunit di coltivare questa
importante evoluzione che, se da un lato impone loro un cambio radicale
del modello di business e quindi li espone a nuove e impegnative sfide,
dallaltro permette loro di rafforzarsi competitivamente e dunque di conqui-
stare maggiori spazi sia nel mercato interno, che in quello internazionale.
Una testimonianza del contributo che una maggiore competenza tecnica
del consumatore pu apportare al comparto ci viene da quanto dichiarato da
un allievo a un corso di assaggio del caff: da sempre sono affascinato
dallaroma del caff, ma per tanti anni il mio consumo stato molto conte-
nuto, perch associavo al caff un retrogusto amaro e fastidiosi sintomi di
acidit allo stomaco. Per la passione che comunque nutrivo in questa be-
vanda, ho voluto approfondire la mia conoscenza frequentando dei corsi di
assaggio, in cui ho potuto apprendere le differenze botaniche e organoletti-
che fra caff arabica e robusta, fra i naturali e i lavati, fra i centro america-
ni, gli africani e gli asiatici ecc. Questa conoscenza mi ha permesso di poter
valutare i caff e di riconoscere quando una miscela ha un alto contenuto di
arabica o cattiva robusta, che ho scoperto essere la vera causa dei fastidi al-
lo stomaco. Ora, grazie a questa competenza, sono diventato un discreto
consumatore di caff espresso, bevendone anche quattro o cinque tazzine al
giorno e soprattutto sono stimolato a degustare e scoprire i caff di qualit.
Come effetto collaterale non riesco pi a consumare i caff di cattiva quali-

334
t, che lascio puntualmente in tazza, ma sinceramente non credo di perder-
mi molto.
In conclusione possiamo affermare che, se da un lato la condizione di
difficolt e di scarsa competitivit internazionale delle torrefazioni italiane
da ricercarsi nella debolezza del bar, dallaltro essa a sua volta in parte
conseguenza della politica di scarsa trasparenza attuata dalle stesse torrefa-
zioni, politica che ha lasciato i propri interlocutori (sia il consumatore, che
lo stesso barista) in uno stato di ignoranza e dunque incapaci di valutare
qualitativamente il prodotto.
Tale condizione ha favorito la dequalificazione del bar, il progressivo
degrado qualitativo del caff e il ricorso a forme competitive basate su be-
nefit e servizi finanziari, piuttosto che su aspetti legati al prodotto. Queste
logiche competitive hanno a loro volta abbattuto le barriere allingresso del
bar e annullato ogni forma di selezione, a cui conseguito un ulteriore in-
debolimento della condizione dei bar.
Il recupero di competitivit da parte dei torrefattori non pu quindi pre-
scindere da un cambio radicale di questa condizione.

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337
8. Il ruolo dei settori correlati e della rivalit
interna nella competitivit delle
torrefazioni italiane

di Maurizio Giuli

8.1. Il ruolo dei settori industriali correlati e di supporto

Per lungo tempo la letteratura sulla strategia dimpresa ha proposto mo-


delli teorici fondati su una visione atomistica del mercato, secondo cui esi-
ste una netta demarcazione dei confini dellimpresa, ovvero fra ci che co-
stituisce il sistema interno e sistema esterno di risorse. Secondo questa vi-
sione i rapporti instaurati fra le imprese lungo la filiera produttiva sono di
carattere transazionale (Coase, 1937; Williamson, 1975 e 1985), basati
cio sullinterscambio di beni o servizi contro un corrispettivo in valore. Le
aziende operano dunque individualmente, in concorrenza luna con laltra,
non solo a livello orizzontale e quindi fra competitor diretti, ma anche a li-
vello verticale, ovvero fra organizzazioni poste a monte e a valle della filie-
ra produttiva, per lappropriazione del valore generato. Da questa prospetti-
va, la creazione del vantaggio competitivo deriva dalla capacit della singo-
la impresa di ottimizzare le proprie risorse interne, espresse dalla catena
del valore (Porter, 1980).
A partire dagli anni Ottanta e in forma ancora pi evidente nel corso de-
gli anni Novanta, la crescente complessit del contesto ha provocato
unevoluzione dei modelli competitivi e organizzativi, che hanno richiesto
nuovi sistemi di creazione del valore e hanno finito per rendere sempre pi
labili i confini fra risorse interne ed esterne allimpresa. In questo ambito
infatti, la ricerca del vantaggio competitivo divenuto sempre pi frutto
della capacit delle imprese di capire, intuire, anticipare e presidiare i vari
fattori di cambiamento. Condizione questa difficilmente perseguibile a li-
vello di singola unit, ma pi facile da ottenere attraverso uno strutturato
sistema di legami con lesterno.

338
Ci significa che i rapporti fra cliente e fornitore non si strutturano pi
secondo mere logiche transazionali, ma si inquadrano in rapporti pi com-
plessi in cui la capacit di creazione del valore di unimpresa dipende in
larga misura dalle competenze e dalle conoscenze condivise con i propri
fornitori e clienti1. Lo stesso cliente diventa allora parte attiva del processo
di creazione del valore, trasformandosi in quello che Toffler nel 1980 ha
chiamato prosumer, ovvero una combinazione di producer (produttore)
e consumer (consumatore) (Rullani, 2004).
Dalla logica di catena del valore di Porter, ancorata soprattutto alle
dinamiche gestionali svolte nellambito dellorganizzazione, si passati
dunque a quella di sistema del valore, che Norman e Ramirez nel 1993
hanno riconcettualizzato nella pi nota e articolata costellazione del valo-
re (si veda Tab. 1).
Secondo questa nuova interpretazione, il vantaggio competitivo non
pi generato a livello della singola impresa, ma a livello di filiera, e quindi
dal sistema di relazioni che sono messe in atto fra i vari interlocutori che la
compongono.
Ci vale anche se si sposta il focus dal micro al macro ambiente: la
competitivit delle imprese di un determinato settore industriale pu infatti
essere rafforzata o indebolita dalla forza competitiva dei settori industriali
correlati e di supporto. Molto spesso infatti la presenza in una nazione di un
gruppo di fornitori forti e leader a livello mondiale costituisce un volano
per le imprese a valle.
Per questa ragione Porter identifica come terzo determinante del van-
taggio nazionale in un settore la presenza di settori industriali fornitori o
correlati2 che siano internazionalmente competitivi. Laddove questi produ-
cono input che sono usati diffusamente dalle imprese clienti o sono impor-
tanti per linnovazione e per linternazionalizzazione, la forza competitiva

1
Il partner di filiera non pi un semplice fornitore di prodotti/servizi che consente di ridur-
re i costi operativi, ma diventa lanello per accedere a capacit altrimenti difficilmente ri-
producibili (Gulati, 1999). Il partner entra a far parte di un sistema del valore pi ampio, che
si contrappone ad altre filiere in uno scenario di concorrenza inter-network, dove il vantag-
gio competitivo non pi una prerogativa della singola impresa ma la risultante di un com-
plesso gioco di competenze complementari (Gimeno, 2004).
2
Per settori correlati lautore fa riferimento a quelli nei quali le imprese possono coordinare
e condividere le attivit nella catena del valore quando competono, oppure quelli che hanno
a che fare con prodotti complementari (ad es.: i computer e i software). Le attivit si posso-
no condividere nello sviluppo della tecnologia, nella produzione, nella distribuzione, nel
marketing o nellassistenza ai clienti (Porter, 1990).

339
delle imprese fornitrici conferisce vantaggi potenziali anche a quelle a valle
che appartengono alla stessa nazione.
Secondo questa prospettiva si pu ritenere che le torrefazioni italiane do-
vrebbero godere dei benefici relativi alla presenza sul territorio nazionale di
un settore leader mondiale, che quello delle macchine per caff espresso.
La storia e levoluzione di questo settore, del resto, ricalca da vicino
levoluzione delle torrefazioni italiane; il business del caff espresso (e
quindi quello del caff nei pubblici esercizi) nasce e si sviluppa intorno
allinvenzione della macchina per caff espresso3.

Tab. 1 La Costellazione del valore secondo Norman e Ramirez

Lidea di costellazione del valore teorizzata da Norman e Ramirez (1993) va oltre il concetto di
somma di catene del valore interconnesse insito nel sistema del valore di Porter (1985). Secondo
lapproccio di questi autori, infatti nei nuovi sistemi economici le componenti dellofferta si aggregano
e disaggregano secondo logiche nuove, riconfigurando le attivit delle singole imprese su tre livelli:
di offerte,
di organizzazione interna ed esterne alle imprese,
di modelli mentali e concettualizzazioni organizzative.
Come gli stessi autori sostengono, in modo sempre crescente, le imprese di successo non si limitano
ad aggiungere valore, ma lo reinventano. Punto focale dellanalisi non la singola impresa o il setto-
re industriale, ma lo stesso sistema di creazione del valore allinterno del quale diversi attori economici,
fornitori, partner, clienti lavorano insieme per co-produrre valore. La loro linea di azione strategica chia-
ve la riconfigurazione dei ruoli e dei rapporti allinterno di questa costellazione di attori al fine di mobili-
tare la creazione del valore in nuove forme da parte di nuovi soggetti (Normann e Ramirez, 1993).
Ognuno degli attori che d luogo a una costellazione ha un proprio sistema di creazione del valore,
per cui il successo delle organizzazioni scaturisce da:
a) come sanno coinvolgere tutti questi attori nel proprio processo di formazione del valore;
b) come sanno riconfigurare il proprio business in maniera creativa, considerando tutti questi attori
e sorprendendo la concorrenza;
c) come sanno fare della conoscenza e dellapprendimento fattori centrali per il proprio vantaggio
competitivo.
Daltro canto unorganizzazione entra in crisi quando:
a. non pi in grado di mantenere/allineare le competenze che essa esprime e la sua base di
clientela;
b. sopraggiunge lincapacit di afferrare la molteplicit delle interrelazioni che si istituiscono tra pi
soggetti;
c. viene meno la capacit di capire come i clienti (e gli altri attori) creano il proprio valore e quindi
di aiutarli a svolgere il proprio ruolo nella costellazione;
d. non ha pi la capacit, la spinta interna, per innovare il proprio settore, individuare strade che
portino a innovazioni di valore e a strategie Oceano Blu, intraprendere cio percorsi non solo
di innovazione di processo e di prodotto ma anche di innovazione strategica e manageriale.

3
Per unanalisi pi approfondita si rimanda a Capponi, 2005.

340
Per molti decenni il principale mercato di sbocco dei produttori di mac-
chine per caff stata lItalia. Non sono mancati tentativi di esportazione del
prodotto allestero; diverse fonti segnalano che gi sin dagli inizi degli anni
Venti, alcune delle aziende pi strutturate, e in particolare la Victoria Ar-
duino, avevano varcato i confini nazionali e insediato proprie strutture
commerciali in alcuni Paesi esteri, fra cui Francia, Germania, Spagna, Stati
Uniti e Argentina (queste ultime erano terre di emigrazione e in cui erano dif-
fuse le comunit di italiani). LItalia restava tuttavia il principale mercato e,
soprattutto, costituiva il mercato pi evoluto e pi esigente in termini di pro-
dotto. Sin dalle prime fasi, i produttori collaboravano insieme ai torrefattori,
e insieme ai baristi, per mettere a punto la tecnologia del prodotto. Gli stessi
torrefattori sfruttavano poi le competenze acquisite attraverso questa collabo-
razione per ottimizzare la tostatura e la composizione della miscela.
Linterconnessione delle conoscenze era tale che a volte si verificavano
delle vere e proprie sovrapposizioni; cos ad esempio avvenuto quando il
torrefattore Francesco Illy nel 1935 realizza la illetta, una macchina per
caff automatica che sostituiva laria compressa al vapore. Da rilevare inol-
tre che la prima macchina per caff espresso della storia fu prodotta nel
1884 da un gestore di locali, tal Angelo Moriondo, che era appunto il pro-
prietario del Caff Ligure a Torino4. Lo stesso Desiderio Pavoni, che nel
1903 acquist il brevetto da Bezzera per produrre e commercializzare le
macchine per caff espresso, era un esercente milanese di locali pubblici5.
Possiamo affermare che lo sviluppo tecnologico del settore stato trai-
nato dalla sinergia che si creata fra i tre principali attori della filiera: pro-
duttori di macchine, torrefattori e baristi. Tutto il settore ha beneficiato di
questa tipologia di rapporto (si veda Fig. 1).
Ogni step evolutivo che si susseguito nella tecnologia delle macchine
per caff espresso si associato a cambiamenti del caff, dunque alloperato
del torrefattore, cos come a quello del barista. Quando ad esempio negli anni
immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, la macchina per

4
Al torinese Angelo Moriondo (Torino 1851 Marentino 1914) va riconosciuto il primato
dellinvenzione della macchina per il caff espresso: egli infatti ne present un esemplare
funzionante allEsposizione Generale di Torino del 1884, avendone ottenuto il brevetto n.
33/156 del 16 maggio 1884 (come si trova scritto nel Bollettino delle privative industriali
del Regno dItalia, 2 Serie Volume 15, anno 1884, pp. 653-655). [] giusto ribadire
questo primato di Moriondo, perch gli storiografi sino ad ora lhanno ignorato, attribuen-
done il merito ad altri (Capponi, 2011).
5
Per maggiori informazioni si rimanda a Capponi (2005).

341
caff espresso evolve dal sistema a vapore6 (in cui si sfruttava la pressione
del vapore interno alla caldaia per spingere lacqua attraverso la polvere di
caff) al sistema crema-caff (dove invece la pressione dellacqua si genera-
va con un pistone a molla collegato a una leva) avvengono cambiamenti che
riguardano tanto i torrefattori quanto i baristi. Anche in questo caso
levoluzione verso la macchina a leva avviene per opera di un gestore di lo-
cale, Achille Gaggia, che era allora proprietario di un bar a Milano e come
riporta Capponi si dilettava nel migliorare e sviluppare la sua idea applican-
do il dispositivo a pompa sulle macchine di cui disponeva nel locale. Sul co-
me egli abbia raggiunto il risultato ci sono varie notizie, la pi accreditata
delle quali quella chegli compr per mille lire un brevetto di un pistone a
vite da Rosetta Scorsa, vedova di marco Cremonese. Gaggia poi miglior il
sistema del defunto Cremonese. Di sicuro egli gi il 5 settembre 1938 aveva
depositato un brevetto per un gruppo con pistone a vite che per aveva scarsa
funzionalit (Capponi, 2011, 161-162).

Fig. 1 Modello del sistema di sviluppo della tecnologia delle macchine per caff espresso

Produttori di
macchine

Baristi Torrefattori

Questa innovazione ha significato un cambiamento radicale del prodotto


in tazza: lestrazione della bevanda non avveniva pi a temperature superiori
ai 100 C, che tendevano a bruciare le sostanze aromatiche contenute nel
6
Le macchine per espresso usavano tutte il vapore come vettore della spinta da fornire
allacqua per passare attraverso il caff e ci comportava un sapore aspro, di bruciato nel
caff che appunto veniva attraversato anche da vapore. Era tuttavia ben noto che lestrazione
ottimale degli aromi dalla polvere di caff si otteneva a temperatura inferiore a quella del
vapore, sotto ai 100C, ma non si riusciva ancora ad equipaggiare le macchine con un dispo-
sitivo adatto a sostituire la forza del vapore: la tecnologia di quei tempi non disponeva di
materiali ed accorgimenti che consentissero luso di pompe per acqua calda a temperatura
elevata (Capponi, 2011, 261).

342
chicco e quindi a dare un gusto amaro di bruciato alla bevanda (simile al
gusto del caff moka), ma a una temperatura pi bassa (intorno ai 90-92 C),
pi congeniale allo scioglimento degli oli aromatici del caff che, emulsio-
nandosi per effetto della pressione, generavano quella particolare crema (da
cui il termine crema-caff) che contraddistingue ancora oggi la tazzina di
espresso7.
Tutto ci ha significato per il torrefattore dover adeguare la composizio-
ne e la tostatura della miscela al fine di ottimizzare il risultato in tazza, sia
da un punto di vista aromatico che estetico, essendo ora la crema diventata
un descrittore di riferimento importante per la percezione della qualit della
bevanda da parte del consumatore.
Anche il barista del resto ha subito unevoluzione delle proprie compe-
tenze per effetto di questa innovazione tecnologica: le macchine di nuova
generazione infatti, se da un lato risultavano molto pi sicure8 (avendo dei
sistemi di sicurezza che evitavano potenziali esplosioni), dallaltro esigeva-
no una conoscenza pi approfondita della tecnica di estrazione del caff;
infatti molti baristi si ingegnarono nel trovare la migliore tecnica per otte-
nere una bevanda aromaticamente buona.
Emblematico a questo riguardo laneddoto raccontato da Favre,
linventore delle prime capsule Nestl (oggi Nespresso), che riguardo il ba-
rista ispiratore della sua invenzione ricorda: egli, utilizzando una vecchia
macchina a leva a quattro gruppi, per preparare un caff non abbassava la le-
va una sola volta come facevano tutti gli altri baristi; egli pompava la leva tre
o quattro volte. Facendo cos, spiegava il sig. Eugenio, faceva aerare il caff
(Wipo Magazine, 2010). Era questa la chiave di quella che stata poi la sua
invenzione. Il barista Eugenio del caff SantEustachio di Roma aveva fatto
comprendere allinventore che per un buon caff espresso occorreva iniettare
una certa quantit di aria nellacqua prima che essa entrasse in contatto con il

7
Fin dal 1909 Luigi Giarlotto aveva tentato lapplicazione di una pompa; in seguito molti
fabbricanti si erano cimentati nel cercare e trovare qualcosa che potesse risolvere il proble-
ma. Nellagosto del 1926 la Victoria Arduino costru e brevett una macchina a due gruppi,
ciascuno dei quali era equipaggiato con una pompa a funzionamento manuale a manovella;
nel 1935 Francesco Illy aveva impiegato laria compressa come fluido spingente da sostitui-
re al vapore. [] Fu Achille Gaggia colui che dette per primo il via ad una nuova vita del
caff espresso e delle macchine che servivano a prepararlo (Ibidem).
8
Le prime macchine risultavano molto pericolose e potevano addirittura esplodere se il bari-
sta distratto non controllava la pressione interna alla caldaia. Alcune cronache del tempo
riportano casi di macchine esplose in alcuni locali.

343
caff9. Questo episodio testimonia la creativit che i vari baristi esprimevano
nel tentativo di rendere migliore il caff in tazza.
A quel tempo, in nessunaltro Paese esistevano competenze cos evolute
nella produzione di macchine per caff, nella creazione di miscele ottimali
per lespresso e nella capacit di trasformazione della polvere in una squisi-
ta bevanda.
Il rapporto sinergico dei vari attori della filiera continua fino agli anni
Ottanta, quando si verificano alcune condizioni che cambiano la dinamica
del mercato:
il bar italiano entra nello stadio di maturit;
il caff espresso inizia a varcare la soglia del bar per estendersi al
consumo domestico e degli uffici;
sul fronte internazionale, il caff espresso inizia a diffondersi anche
nelle comunit fino ad allora lontane da questo prodotto10.
Tutto ci ha spinto i produttori di macchine per caff espresso ad avvia-
re processi di internazionalizzazione sempre pi strutturati, attraverso la
creazione di una rete capillare di distributori e tecnici capaci di presidiare il
mercato sia dal punto di vista commerciale, che di assistenza tecnica11; no-
nostante il mercato interno continuasse a essere il principale bacino di
sbocco, le vendite allestero, che puntavano a mercati relativamente vergi-
ni, promettevano maggiori prospettive di crescita.
Questo processo per non ha coinvolto in egual misura i torrefattori, che
sono rimasti focalizzati sul mercato interno12. Ci ha imposto ai produttori
9
Ancora Favre: Laria contiene ossigeno al 20%; esso ossida gli aromi o gli oli essenziali e
rende possibile la loro estrazione in modo pi rapido. Lespresso fatto di un mix di aria,
acqua e oli del caff (Wipo Magazine, 2010).
10
Oltre che in Italia, il caff espresso era diffuso anche in Spagna, Francia, Portogallo e
Grecia. Come riporta E. Maltoni, Faema: nel 1967 apr uno stabilimento a Barcellona in
Spagna, che dava lavoro a circa 500 dipendenti, oltre le aziende consociate in Francia a Pa-
rigi e Nizza, in Portogallo a Lisbona, e in Germania a Francoforte, per soddisfare le richieste
in forte espansione anche nei paesi confinanti (Maltoni, 2010, 16).
11
Alcuni, in particolare Gaggia e Faema, si erano addirittura spinti nella creazione di filiali
produttive estere (nel mercato spagnolo), anche se entrambe le esperienze non furono parti-
colarmente positive. Nel 1959 la Victoria Arduino visse serie difficolt economiche, soprat-
tutto a causa della reintroduzione da parte del governo francese di misure restrittive, quali le
licenze di importazione a contingente ridotto. La simultanea svalutazione del franco francese
aggrav la situazione dellazienda, che fu rilevata da un suo distributore francese insieme ad
altri finanziatori per un tentativo di risollevare le sorti. (Per maggiori dettagli si rimanda a
Capponi, 2005).
12
Lavazza ad esempio, che insieme a Segafredo ed Illy una delle aziende pi attive in
campo internazionale, inizi a muovere i primi passi verso linternazionalizzazione agli inizi
degli anni Ottanta. Come si legge nel numero monografico di Notiziario Lavazza del 2005:
il 15 giugno del 1982 nasce a Vincennes, nel circondario di Parigi, Lavazza France, la pri-

344
di diversificare i canali di vendita e di ricercare nuovi partner commerciali
allestero.
Le difficolt non mancarono in quanto nei nuovi mercati spesso il caff
espresso non era conosciuto dalla popolazione locale: il primo compito dei
produttori italiani era quello di creare il bisogno, cercando di promuovere e
far apprezzare questa diversa modalit di consumo del caff. Come alcuni
venditori di macchine per caff del tempo ricordano, una delle maggiori
difficolt consisteva nel far percepire il valore dellespresso nonostante il
suo piccolo volume13 (soprattutto se paragonato al caff filtro che era la be-
vanda prediletta in molti Paesi).
Con larrivo dello Specialty e della Second Wave, il caff espresso, in-
sieme al cappuccino, varca la soglia delle comunit italo-americane e inizia a
essere apprezzato anche dal resto della popolazione. In virt di questa mag-
giore diffusione, i produttori di macchine per caff espresso, da un lato bene-
ficiarono dellallargamento del mercato, dallaltro dovettero fronteggiare
nuove esigenze e nuovi standard di riferimento sia in termini di prodotto che
di servizio; raramente infatti i bisogni della domanda interna combaciavano
con quelli dei mercati esteri. Cos, ad esempio, alcuni iniziarono a cimentarsi
nella realizzazione di macchine superautomatiche14, per rispondere alle esi-
genze dei mercati a scarsa cultura dellespresso (come i mercati nord europei,
nord americani e in seguito asiatici), le quali erano tecnologicamente molto
diverse da quelle tradizionali richieste dal mercato interno.
Anche in termini di servizi in molti casi i mercati esteri avanzavano esi-
genze diverse rispetto a quelle interne. Sempre pi spesso infatti la vendita
delle attrezzature era destinata ad aziende strutturate, a volte anche sotto
forma di catene, dove forte era la richiesta di un servizio di assistenza tec-
nica qualificato, efficiente e ben organizzato. Tutto ci ha spinto i produtto-

ma filiale estera. Lavazza aveva gi mostrato la sua determinazione ad aumentare le attivit


allestero divenendo nel 1980 sponsor ufficiale delle Olimpiadi di Mosca. [] Nel 1987
apre una filiale in Germania, Lavazza Deutschland, una negli States, Lavazza Premium Cof-
fee a New York, e una in Austria, Lavazza Kaffee a Vienna (Lavazza, 2005, 37).
13
Spesso il consumatore, soprattutto quello nord-americano, associava il valore della be-
vanda alla sua quantit, per cui una bevanda lunga, com tipicamente una tazza di caff fil-
tro, aveva dal suo punto di vista un valore pi elevato rispetto ad una tazzina di espresso.
14
Il settore delle macchine per caff espresso si compone di diversi sub-mercati a seconda
della tipologia del mercato di riferimento (mercato domestico e mercato professionale), o a
seconda della tecnologia del prodotto (mercato delle macchine tradizionali e mercato delle
macchine superautomatiche). Ognuno di questi sub-mercati presentano specifiche peculiari-
t che li rendono molto eterogenei, sia in chiave di strategie di mercato, sia in chiave di
competitor. Queste peculiarit sono particolarmente radicate e tali da creare una sorta di bar-
riere allingresso fra un comparto e laltro.

345
ri a fare investimenti organizzativi e di prodotto per soddisfare queste nuo-
ve esigenze. Molti ad esempio hanno creato al proprio interno una struttura
di tecnici dedicata alla formazione, al supporto e allaffiancamento della
rete esterna di tecnici. Altri cambiamenti hanno riguardato la gestione dei
ricambi, laddove lefficienza e la reattivit avevano forti ripercussioni sulla
qualit del servizio percepito dal cliente straniero.
In altri termini i produttori di macchine per caff espresso, dopo una
prima fase in cui consideravano i mercati esteri come unappendice del
mercato interno e in cui quindi proponevano lo stesso mix di prodot-
to/servizio che applicavano in Italia, hanno compreso che per avere succes-
so nei mercati internazionali e cogliere cos tutte le opportunit di espan-
sione dovevano cambiare il loro modello di business, adeguando la loro of-
ferta sia in termini di prodotto, che in termini di servizio, creando una
gamma dedicata e servizi adeguati alle esigenze locali.
in virt di questa flessibilit, unita alla indiscussa competenza tecnica
e innovativa sul prodotto, che i produttori italiani continuano ancora oggi a
essere leader mondiali del settore.
Secondo il modello porteriano questa loro posizione dovrebbe tradursi in
un fattore di vantaggio competitivo anche per i torrefattori italiani, poich
dovrebbe offrire loro lopportunit di creare dei collegamenti fra le rispettive
catene del valore, tali da migliorare lintegrazione e la crescita delle compe-
tenze. Pi che la mera velocit di accesso o la tempestiva disponibilit delle
novit di prodotti e di tecnologia (beneficio questo che in un contesto di con-
correnza globale ha scarso rilievo), alla base delle condizioni per il vantaggio
competitivo dovrebbero esserci da un lato le maggiori opportunit di coordi-
namento permanente e, dallaltro, gli effetti in termini di innovazione ed evo-
luzione del rapporto sinergico fra le due tipologie di operatori, produttori e
torrefattori. In questo contesto le strette relazioni di lavoro con fornitori di
classe mondiale dovrebbe consentire alle imprese clienti, e quindi ai torrefat-
tori, di percepire nuovi metodi, nuove opportunit, nuove idee e prospettive
per affrontare con successo le sfide internazionali.
Stabilire collegamenti di questo genere fra imprese dello stesso Paese,
risulta pi facile, oltrech pi efficace, sia per la maggiore facilit comuni-
cativa e culturale, sia perch il mercato nazionale pi visibile per i forni-
tori domestici. Avere successo sul mercato interno costituisce anche una
questione di orgoglio (Porter, 1990).
La vicinanza sia fisica che culturale del personale agevola il flusso libe-
ro e aperto delle informazioni e pertanto dovrebbe favorire linterscambio
dei risultati in R&S, la condivisione delle competenze di problem-

346
solving. Tutto ci si traduce in un abbattimento dei costi delle transazioni,
rendendo le soluzioni pi rapide e pi efficienti.
Inoltre, i fornitori che hanno consolidato una posizione internazionale
normalmente sono anche importanti fonti di informazione e di stimolo per
le aziende nazionali.
Osservando il quadro delle torrefazioni italiane sembra evidente tuttavia
che queste forme di relazioni, sia pur esistite nelle prime fasi di sviluppo
del settore, si sono poi interrotte. indubbio infatti che tutte le innovazioni
e le migliorie tecniche che hanno segnato levoluzione tecnologica delle
macchine per caff espresso sono state trainate dalla domanda interna e
dallinterscambio di informazioni fra produttori e torrefattori.
Questo connubio si per interrotto nel corso degli ultimi decenni. Lo
dimostra il fatto che, dopo una fase di stasi evolutiva, il settore delle macchi-
ne per caff espresso ha riscoperto nellultimo decennio una certa vivacit
innovativa, con una ripresa degli investimenti in ricerca e sviluppo da parte
dei produttori. Molte sono state le novit tecniche incorporate nelle ultime
generazioni di prodotto15, gran parte delle quali sono volte a migliorare la
qualit in tazza. Ma, al contrario di quanto avvenuto in passato, in questa fase
gli stimoli e i fattori di spinta verso linnovazione non sono arrivati dagli ope-
ratori italiani (baristi o torrefattori), bens dagli operatori esteri16 e in partico-
lare da quelli vicini al mondo Specialty e Third Wave.
In altri termini, mentre in passato la domanda italiana del prodotto mac-
china per caff espresso costituiva il driver dellinnovazione, anticipando i
fabbisogni e le tendenze che poi si ripercuotevano nei mercati esteri, in
questo caso essa non solo non pi il driver dellevoluzione tecnologica,
ma sembra addirittura lamentare una certa difficolt nel comprendere e
sfruttare le opportunit che le nuove tecnologie offrono in termini di mag-
giore competitivit e di migliore qualit del caff.
Paradossalmente la domanda interna, anzich svilupparsi in direzione
evolutiva, si ripiegata su prodotti tecnologicamente e qualitativamente pi
poveri, che pesano sempre di pi nel mix di vendita interno. Anche questo
costituisce un ulteriore segnale del calo di attenzione che gli operatori na-

15
Si fa ad esempio riferimento allintroduzione dei macinini on-demand, ai sistemi di
montatura automatica del latte, ai sistemi di ottimizzazione della stabilit termica, ai sistemi
di gestione indipendente delle temperature nei vari gruppi di erogazione, ai sistemi di con-
trollo programmabile della pressione dellacqua, ai sistemi di inter-comunicazione fra mac-
china e macinino, ai sistemi di risparmio energetico.
16
A essere favoriti sono stati i produttori pi vicini al mondo Specialty, vedi La Marzoc-
co, Nuova Simonelli, Dalla Corte, mentre le aziende pi vicine al mercato italiano (La Cim-
bali, Rancilio ecc.) sono risultate meno innovative.

347
zionali ripongono nei confronti del tema qualit del prodotto, e che sta
portando a un divario sempre pi marcato di competenze e di capacit
competitive fra sistema interno e sistema internazionale.
In conclusione possiamo affermare che, dal punto di vista dei settori
correlati e di supporto, il mercato italiano presenta tutte le condizioni favo-
revoli alla competitivit dei torrefattori nazionali, ma che tuttavia esse non
si tramutano in vantaggi, poich le imprese stesse, sempre pi focalizzate
nel perseguire un modello di business slegato dalle capacit innovative, non
sono nelle condizioni di coglierle e sfruttarle a proprio vantaggio.

8.2. Il ruolo della struttura e della rivalit allinterno del


settore

Oltre ai fattori sin qui esaminati, Porter ritiene che la capacit di compe-
tere da parte delle imprese di una nazione in un determinato settore dipenda
molto anche dal contesto in cui esse operano e in particolare dal tipo di ri-
valit esistente fra le stesse.
Diverse evidenze empiriche dimostrano che spesso aziende operanti nel-
lo stesso settore industriale, ma appartenenti a Paesi diversi, agiscono con
stili e modalit distinte. Ci lascia dedurre che la formula competitiva adot-
tata (ovvero gli obiettivi, le strategie, i modelli organizzativi e lo stile ge-
stionale attuato) sia condizionata dal contesto ambientale17 in cui esse so-
no nate e cresciute.
Nessun sistema manageriale ha validit universale, per cui pu risultare
che il modello caratterizzante le imprese di una nazione in una determinata
fase storica possa risultare pi efficace rispetto a quello dei concorrenti in-
ternazionali, semplicemente perch si adatta meglio alle fonti del vantaggio
competitivo di quel settore industriale18.

17
Fanno parte del contesto ambientale linsieme dei valori, credi, tradizioni, linguaggi, stili di
vita, tipici delle diverse culture, nonch le modalit organizzative proprie della societ civile e
delle organizzazioni che in essa operano, fra cui appunto le imprese. In questa cornice, credi e
valori fortemente radicati sul territorio influenzano le motivazioni, i processi decisionali ed i
comportamenti dei manager, cos come i comportamenti delle imprese (Calvelli, 1998).
18
noto, ad esempio, che le imprese italiane risultano essere particolarmente performanti in
una vasta gamma di settori in cui non risultano fondamentali le economie di scala n i grandi
volumi di prodotti standardizzati, mentre lo sono fattori quali la capacit di focalizzazione su
determinate nicchie di mercato, la capacit di personalizzazione dei prodotti, o unelevata
capacit di cooperazione fra societ affiliate senza vincoli di propriet.

348
Molti sono gli aspetti di una nazione che possono influenzare i modi in
cui le imprese vengono organizzate e gestite; tra essi ricordiamo la cultura e
latteggiamento della propriet, le condizioni del sistema finanziario e cre-
ditizio, i meccanismi di motivazione del personale come quello dei dirigenti
di massimo livello e cos via. Al di l di questi aspetti, indubbio che un
ruolo centrale viene giocato dallintensit e dalla tipologia di rivalit esi-
stente nel mercato domestico e dalla pressione che essa in grado di eserci-
tare sulle imprese locali.
In tale contesto la rivalit interna costituisce una rilevante fonte di pres-
sione sulle imprese, rivelandosi unimportante fonte di stimolo al rinnova-
mento e alla ricerca di nuove fonti di conquista del vantaggio competitivo.
bene puntualizzare che non tutti gli autori convergono su questa im-
postazione; c chi sostiene, ad esempio, che la concorrenza in patria sia
dispersiva, perch assorbe risorse, conduce a duplicazioni di iniziative,
nonch a un indebolimento delle imprese e impedisce loro di raggiungere
economie di scala. Lo stesso Porter, nel suo lavoro Competitive strategy
(1980), riconosce che tanto maggiore la rivalit tra le imprese che opera-
no nello stesso ambito competitivo, tanto minori saranno le prospettive di
redditivit di un business nel lungo periodo.
Occorre precisare tuttavia che tale assunto ha validit nei contesti in cui
non c distinzione fra ambiente locale e globale, ovvero quando il settore
nel suo complesso saturo e quindi caratterizzato da una intensa rivalit dei
competitor. Diverso lo scenario nel contesto esaminato nel presente lavo-
ro, in cui cio unalta rivalit locale, si associa a una situazione di espan-
sione del mercato internazionale. In questo caso la rivalit interna funge da
fattore di stimolo allinnovazione e pertanto si rivela un elemento di raffor-
zamento delle imprese nazionali nei confronti degli altri player.
Diverse evidenze empiriche convalidano del resto questa interpretazio-
ne; infatti, come rileva lo stesso Porter, le nazioni che hanno posizioni lea-
der in un determinato settore, spesso hanno una struttura dellofferta interna
composta da numerosi e forti rivali locali. Se vero che nella competizione
globale le imprese di successo concorrono vigorosamente e si pungolano
lun laltra per migliorare e innovare, altrettanto vero che, la rivalit do-
mestica diventa superiore alla rivalit con i concorrenti stranieri, quando si
riconosce che il miglioramento e linnovazione, piuttosto che lefficienza
statica, formano gli ingredienti essenziali per il vantaggio competitivo in un
settore industriale (Porter, 1990, 151).
Molteplici sono le ragioni per cui la rivalit interna costituisce un im-
portante fattore di stimolo delle aziende, che possiamo sintetizzare nei se-
guenti punti:

349
a) forti concorrenti locali creano pressioni reciproche, particolarmente
visibili, che spingono al miglioramento. Il successo di un rivale na-
zionale segnala o dimostra agli altri che nel Paese ci sono le condi-
zioni per essere vincenti e annulla ogni possibile alibi, che invece po-
trebbe sorgere nei confronti delle imprese di altri Paesi;
b) la rivalit fra le imprese domestiche spesso va al di l del puro fattore
economico e pu assumere connotati emotivi o addirittura personali.
Le imprese locali non lottano soltanto per la quota di mercato, ma
anche per lorgoglio, per il prestigio, per la gente e, pi in generale,
per i diritti di vanteria. Su questo fronte, i rivali stranieri tendono
invece a essere visti pi asetticamente, e il loro successo vissuto co-
me pi remoto e, spesso, attribuito a vantaggi di genere diverso;
c) quando un settore industriale emerge allinterno delleconomia di
una nazione, esso finisce spesso per assumere una rilevanza naziona-
le. Diventa allora polo di attrazione delle risorse umane di qualit e
fattore di motivazione dei singoli (compresi gli azionisti), poich la-
vorare in quel settore costituisce unoccupazione prestigiosa e fonte
di orgoglio sociale e personale19;
d) la presenza di rivali interni annulla i tipi di vantaggio legati
allappartenenza a una determinata nazione (come avere facilitazioni
in termini di disponibilit o di costi dei fattori, avere una base locale
di fornitori qualificati, avere vantaggi valutari o di dazi doganali
ecc.). Ci spinge le aziende a cercare fonti del vantaggio competitivo
che siano di ordine pi elevato e pi difficilmente imitabili e, dun-
que, pi sostenibili nel lungo termine;
e) una vigorosa concorrenza locale spinge le imprese domestiche a in-
ternazionalizzarsi. Quando la competizione interna supera una de-
terminata soglia di intensit, le imprese sono stimolate a cercare
nuovi spazi allestero e quindi a internazionalizzarsi. Temprate dalle
severe condizioni del mercato interno, esse si rivelano forti per rac-
cogliere successi negli altri mercati;
f) un buon numero di agguerriti concorrenti locali inoltre stimola lo svi-
luppo di risorse umane qualificate e quindi la crescita di competenze

19
Porter rileva che tra i settori industriali dove impiegati e azionisti si erano impegnati di pi
in modo continuativo a favore dellimpresa e del settore industriale, erano spesso quelli con
il maggior vantaggio competitivo. Per contro, le nazioni nelle quali le risorse sono state ra-
pidamente ridistribuite da un settore industriale a un altro tutte le volte che le condizioni
erano diventate difficili, raramente hanno raggiunto il successo internazionale in quel settore
(Porter, 1990, 148).

350
specifiche che favoriscono linnovazione e rafforzano il vantaggio
competitivo delle imprese. La forza della concorrenza locale20, infatti,
fa s che le buone idee vengano imitate e migliorate dai competitor: il
personale si sposta con facilit da unazienda allaltra, soprattutto lad-
dove esiste una certa vicinanza geografica, e ci porta a un rapido tra-
sferimento del patrimonio di conoscenze e di competenze nel settore
industriale nazionale che, nel suo complesso, ne ricava beneficio risul-
tando dinamico e capace di ampliare il vantaggio nei confronti dei ri-
vali stranieri (che spesso non hanno la stessa struttura interna e quindi
non hanno pari stimoli e opportunit a innovarsi). Ci avviene, nono-
stante che a livello micro, ovvero di singola impresa, questa migrazio-
ne di personale possa costituire una fonte di difficolt in quanto rende
pi problematico tutelare i propri segreti industriali. Tuttavia, anche
questo aspetto si tramuta in un vantaggio in quanto le imprese sono
spinte a cercare continuamente nuove fonti di vantaggio;
g) la rivalit domestica crea anche gli anticorpi contro forme di intervento
governativo a carattere assistenziale o protezionistico, che mortificano
linnovazione e intorpidiscono la concorrenza. Allo stesso tempo sti-
mola, sia a livello di singola impresa, ma pi spesso attraverso asso-
ciazioni di categoria, le stesse autorit ad attivare programmi speciali
nelle scuole, nelle universit e nei centri di ricerca, volti a elevare il
bagaglio di conoscenze e competenze specifiche per il settore;
h) infine, una vivace rivalit domestica crea anche i presupposti per ren-
dere gli acquirenti, dei soggetti sofisticati e quindi anticipatori delle
tendenze future. La domanda interna viene continuamente stimolata
dalle innovazioni di prodotto e di marketing che si susseguono per ef-
fetto della rivalit e risulta quindi particolarmente dinamica ed esigen-
te. In quanto tale, diventa un punto di riferimento anche per la doman-
da internazionale, la quale ne riconosce la leadership e la associa alla
superiorit dellofferta delle imprese del Paese (effetto COOE, Coun-
try of Origin Effect). A ci si aggiunge un secondo effetto, secondo
cui la domanda interna raggiunge livelli di saturazione prima che negli
altri Paesi, alimentando cos iniziative di internazionalizzazione, favo-
rite anche da una riconosciuta superiorit nazionale.
Tutti questi fattori rilevano come la presenza di un gruppo agguerrito di
rivali domestici, dovrebbe porre le basi per creare un ambiente fertile per la

20
Laddove c anche una vicinanza geografica dei rivali tale fenomeno ancora pi accen-
tuato in quanto le informazioni scorrono a maggiore velocit.

351
conquista e lo sviluppo del vantaggio competitivo. Ambiente che risulta
difficile replicare da parte di aziende non appartenenti a quel sistema. Il ca-
so della Corea del Sud, che riportato nellAppendice 1 a questo Capitolo,
evidenzia come sulla spinta di una intensa rivalit interna si sia sviluppata
nel raggio di pochi anni unindustria del caff particolarmente forte e ora
aggressiva anche in campo internazionale.
Non c per una relazione di causa ed effetto fra la condizione di rivali-
t e la conquista di vantaggi competitivi; per produrre gli effetti sperati, oc-
corre da un lato che le imprese locali percepiscano la necessit di potenzia-
re costantemente le loro capacit e, dallaltro che siano attivamente impe-
gnate nelleffettuare investimenti nella giusta direzione.
Due condizioni queste che non sempre si verificano e che dunque a vol-
te finiscono per sterilizzare la portata di benefici conseguenti dalla presenza
di un gruppo di rivali interni.
Un primo requisito necessario affinch le imprese domestiche possano
godere dei benefici evidenziati sopra la presenza interna di un contesto
ad alta intensit di concorrenza. Occorre allora verificare, nel caso delle
torrefazioni italiane, se ci siano le condizioni che contraddistinguono i con-
testi ad alta rivalit:
1. una prima condizione data dal grado di densit del settore, ovvero
la numerosit di imprese che vi operano; unelevata frammentazione
dellofferta rende difficile qualsiasi tentativo di accordo o di cartello
fra imprese, volto a limitare o attenuare la concorrenza. Il settore del-
le torrefazioni Ho.Re.Ca. italiano, con le sue 715 realt pu da que-
sto punto di vista essere considerato un settore a elevata densit;
2. tuttavia, la numerosit da sola, non sempre in grado di esprimere il
livello di rivalit. A volte unelevata concentrazione fa s che pochi
grandi operatori gestiscono una fetta importante del mercato, mentre
un numero elevato di micro-realt ne gestiscono solo una piccola
parte. Occorre allora valutare anche il grado di concentrazione del
business, che esprime la distribuzione delle quote di mercato dei
principali player; minore il tasso di concentrazione delle imprese
pi difficile sar la creazione di cartelli e quindi pi viva sar la
competizione tra le stesse. Anche se a livello generale potrebbe sem-
brare che lindustria nazionale del caff sia piuttosto concentrata,
laddove i primi otto torrefattori detengono una quota complessiva vi-
cina al 60% del mercato, il quadro risulta diverso se si va a esamina-
re la situazione allinterno dei singoli comparti. Infatti, mentre nel
canale retail la concentrazione molto elevata, dal momento che la
sola azienda leader, Lavazza, sfiora il 47% di quota mercato (se

352
sommata agli altri 5 principali player, Caf do Brasil, Splendid/Kraft,
Illy, Segafredo Zanetti e Nestl, si supera il 70%), nel canale
Ho.Re.Ca. siamo di fronte a una situazione diametralmente opposta: i
primi tre player (Illy, Segafredo e Lavazza insieme) detengono a ma-
lapena una quota del 15% e il resto frammentato fra le altre centi-
naia di torrefazioni;
3. una terza condizione rappresentata dal grado di diversit dei con-
correnti. Normalmente si assiste a una maggiore rivalit quando le
imprese presentano somiglianze in termini dimensionali, comporta-
mentali o organizzative. Anche da questa prospettiva possiamo rite-
nere che il settore in esame presenti elevati tratti di rivalit, dal mo-
mento che le realt che vi operano presentano un elevato grado di
somiglianza. Dal punto di vista dimensionale, risulta infatti che delle
715 aziende, ben 650 sono realt di piccola dimensione, con una pre-
senza a carattere locale o regionale e dunque molto simili da un pun-
to di vista strutturale. C poi un gruppo di 40 imprese di medio-
piccola dimensione, che operano a livello regionale o multiregionale,
a cui si aggiunge un ristrettissimo gruppo di 8-10 imprese che vanta-
no una presenza nazionale;
4. un quarto fattore che connota un settore ad alto tasso di rivalit la
presenza di capacit produttiva in eccesso. Laddove la dimensione
dellofferta superiore alla dimensione della domanda, si verifica
uneccedenza di capacit produttiva, che spinge le imprese ad attuare
politiche aggressive di espansione al fine di saturare la capacit pro-
duttiva inutilizzata per conseguire economie di costo e dunque mag-
giore competitivit. Dalle interviste condotte con i vari operatori del
settore, risulta che la quasi totalit delle torrefazioni italiane hanno im-
pianti produttivi sovradimensionati; la maggior parte di esse alternano
giorni di produzione (tostatura) con giorni di fermo macchina. Anche
da questo punto di vista risulta quindi che il settore in esame partico-
larmente concorrenziale. Va per precisato che, non essendo esso ca-
ratterizzato da una struttura dei costi particolarmente rigida (alti costi
fissi), non si presta molto alla logica delle economie di scala, per cui
leccesso di capacit produttiva in questo caso non si traduce necessa-
riamente in inefficienza economica e dunque non costituisce un forte
stimolo a politiche aggressive per recuperare competitivit;
5. infine, un quinto elemento che caratterizza i settori con elevata rivali-
t dato dal tasso di saturazione della domanda. Un mercato satu-
ro in cui cio c un basso tasso di crescita della domanda, a parit di
offerta, porta i concorrenti a essere pi aggressivi, poich gli unici

353
spazi di crescita provengono dallerosione della quota dei competi-
tor. Anche in relazione a tale aspetto possiamo ritenere che quello
delle torrefazioni italiane costituisca un settore a elevato tasso di
concorrenzialit, poich, come abbiamo visto precedentemente, nel
corso dellultimo decennio la crescita dei consumi stata molto con-
tenuta e anzi, nel caso del comparto bar, essi hanno subito una dra-
stica contrazione.
A conclusione di questa analisi possiamo dunque ritenere che il compar-
to delle torrefazioni italiane, e in particolar modo quello che si riferisce al
mondo Ho.Re.Ca., presenta tutte le condizioni tipiche di un settore con ele-
vato tasso di rivalit domestica.
Secondo il modello porteriano da ci dovremmo desumere che le nostre
imprese sono pi forti in termini competitivi rispetto a quelle degli altri
Paesi e quindi in grado di espandere la loro quota di mercato nello scenario
internazionale.
Eppure, nei precedenti capitoli abbiamo verificato che la condizione
competitiva delle torrefazioni italiane non sia cos forte e che anzi a volte
esse lamentino una certa difficolt nel fronteggiare le realt locali che si af-
facciano al business dellespresso. Sembra allora che, nel settore in esame,
il fattore della rivalit interna, pur fortemente presente, non stia creando
quei presupposti che, secondo il modello, dovrebbero condurre le imprese
verso la conquista di vantaggi competitivi pi sostenibili.
Sorge allora la domanda: perch il sistema italiano delle torrefazioni non
capace di avvantaggiarsi dellelevata rivalit che lo contraddistingue?
Innanzitutto dobbiamo riconoscere che non sempre un elevato tasso di
concorrenza si traduce in un rafforzamento competitivo delle aziende che vi
operano. Quando essa oltrepassa determinati livelli, la spirale competitiva
pu evolvere in senso involutivo, anzich evolutivo, portando le imprese
verso un loro inesorabile indebolimento.
Potremmo in tal caso parlare di paradosso della competizione, che
Garello e Provana (2008), cercano di spiegare ricorrendo a un parallelismo
con i fenomeni naturali. Vi sono delle corrispondenze notevoli tra evolu-
zione naturale ed evoluzione dei mercati:
come la natura, anche il mondo del business in continua evoluzione;
il vantaggio ottenuto da unimpresa, un soggetto industriale, un com-
petitor porta a una maggiore spinta competitiva da parte degli altri;
il mantenimento del vantaggio competitivo raggiunto praticamente
impossibile; la concorrenza lo erode rapidamente;
la competizione una partita senza soste e senza fine;

354
questa rivoluzione permanente una verit biologica, prima che an-
tropologica, economica e sociale.
La selezione naturale regolata dal principio della competizione che non
sempre corrisponde con il principio dellefficienza. Come gli stessi autori ri-
levano: qualcuno si mai chiesto perch gli alberi delle foreste sono cos
alti? Non vi alcun vantaggio intrinseco nellaltezza in s e, in realt, se gli
alberi fossero tutti pi bassi prenderebbero ugualmente la luce. Ma bastato
che solo uno cominciasse a crescere che tutti gli altri hanno dovuto per ne-
cessit cominciare a farlo. Si potrebbe sostenere che sarebbe stato meglio non
cominciare la corsa, ma quando un albero nella foresta comincia a svettare
verso lalto, gli altri devono seguirlo (Garello e Provana, 2008).
Come la natura, pure il mondo del business in continua evoluzione;
anche qui si potrebbe obiettare che levoluzione competitiva eccessiva-
mente costosa e pu sembrare uno sperpero di risorse, ma comunque ne-
cessaria. Senza competizione non c evoluzione. Il vantaggio ottenuto da
unimpresa porta a una maggiore spinta competitiva da parte degli altri. In
un contesto dinamico, qual quello economico, il mantenimento del van-
taggio competitivo raggiunto pressoch impossibile: la concorrenza lo
annulla rapidamente.
Allinterno della sfida competitiva le aziende, e soprattutto le PMI, al
pari degli alberi della foresta, non sono in grado di contrastarne le dinami-
che, per cui sono obbligate ad assecondarle; questo anche se in unottica di
medio lungo periodo potrebbe condurle verso una condizione di maggiore
debolezza.
Secondo alcuni autori, fra cui DAveni (2010), il verificarsi di tale con-
dizione non accidentale, n del tutto esogena alle stesse imprese, ma di-
pende dal concorso di uno o pi dei seguenti fattori:
dallincapacit dinnovare;
da unofferta di prodotti di bassa qualit;
dal rifiuto di accettare trend gi in atto.
In tutti e tre i casi, la causa dunque da ricercarsi in limiti manageriali, al-
lorquando ci si focalizza esclusivamente sugli obiettivi di breve termine (co-
me quota di mercato, crescita di fatturato, redditivit immediata ecc.), igno-
rando il quadro strategico di medio-lungo termine; in tali circostanze, il ma-
nagement non riesce a cogliere con sufficiente anticipo i segnali della com-
moditization e finisce per cadere nelle trappole dellipercompetizione, il cui
impatto tale da poter distruggere in poco tempo interi settori industriali.
Lautore chiama questa condizione commodity trap, caratterizzata dalla
circostanza che le imprese, per restare al passo con la concorrenza, sono co-
strette ad aumentare costantemente la qualit o altri benefici della propria of-

355
ferta e abbassare i prezzi, oppure quando devono diminuire la qualit o altri
benefici dellofferta, per adeguarli al calo dei prezzi.
Il processo di sviluppo delle commodity trap pu avvenire per effetto di
uno dei seguenti fattori:
deterioramento: sul mercato entrano imprese che operano nella fa-
scia low-end del mercato e che, con lofferta di prodotti o servizi a
basso prezzo e di bassa qualit, penetrano il mercato di massa;
proliferazione: alcune aziende propongono varie combinazioni di
prezzo e di vantaggi unici, andando a intaccare la posizione di mer-
cato delle aziende consolidate;
escalation: ogni impresa offre prodotti o servizi di maggiore qualit
a prezzi uguali o inferiori, e i margini di tutti gli operatori del settore
si riducono (per maggiori dettagli si rimanda alla Tab. 2).
Una seconda ragione per cui i torrefattori italiani non riescono a conse-
guire i vantaggi derivanti dallalta rivalit del settore la evidenzia Porter,
secondo cui il vantaggio competitivo nazionale, pu essere perduto per gli
stessi fattori per cui pu essere acquisito; laddove le condizioni del dia-
mante nazionale non sostengono n stimolano pi gli investimenti e le in-
novazioni necessarie per fronteggiare levoluzione del settore, le imprese
nazionali possono (Porter, 1990):
non cogliere la necessit di un cambiamento;
non investire con sufficiente aggressivit per progredire;
trovarsi bloccate da competenze specifiche a sistemi competitivi ob-
soleti.
Tutto ci sembra spiegare in parte lattuale condizione di difficolt vis-
suta dai torrefattori italiani, i quali sono rimasti intrappolati da un modello
di business perverso basato sullarricchimento dellofferta mediante servizi
di natura finanziaria, che li sta inesorabilmente portando verso la condizio-
ne di commodity trap.

Tab. 2 La commodization e le commodity trap secondo DAveni

La commoditization il processo per cui un bene o un servizio divengono ampiamente dispo-


nibili e interscambiabili con altri beni o servizi forniti da altre aziende. Lestrema differenziazione por-
ta alla commoditization. Man mano che le aziende producono sempre pi proposte di offerta, che
pian piano si sovrappongono le une alle altre, finiscono per minacciare lunicit delle proposte di tutti
gli operatori. Secondo R.A. DAveni la commoditization si verifica quando ogni impresa offre prodotti
o servizi di maggiore qualit a prezzi uguali o inferiori, e i margini di tutti gli operatori del settore si
assottigliano. Il risultato che le imprese perdono il loro pricing power per cui i margini di tutti gli
operatori del settore si contraggono.

356
Le tre Commodity Trap
I pattern di sviluppo pi comuni della commodity trap sono:
1) deterioramento;
2) proliferazione;
3) escalation.

Deterioramento Proliferazione Escalation


Descrizione Il deterioramento si veri- Le aziende propongono Ogni impresa offre
fica quando sul mercato varie combinazioni di prodotti o servizi di
fanno il loro ingresso prezzo e vantaggi unici, maggiore qualit a
imprese che operano andando a intaccare prezzi uguali o inferiori,
nella fascia low-end del una parte del mercato e i margini di tutti gli
mercato e che, con delle aziende consolida- operatori del settore si
lofferta di prodotti o te. riducono.
servizi a basso prezzo e
di bassa qualit, attrag-
gono il mercato di mas-
sa.
Cause Il deterioramento cau- La proliferazione cau- Lescalation causata
sato da unimpresa con sata da minacce molte- da un aumento dei be-
un posizionamento low plici dovute a prodotti nefici a un prezzo equi-
cost - low benefit domi- sostitutivi, imitatori, valente o inferiore. I
nante che acquista frammentazione del concorrenti si muovono
sempre pi quota di mercato e innovazione in modo da offrire un
mercato e minaccia il dei nuovi prodotti. Apre maggior valore ai clienti,
posizionamento degli molte posizioni a livello spingendo la concor-
altri operatori del setto- di prezzo e benefici, renza verso il quadrante
re. Nella trappola del circondando lazienda inferiore destro della
deterioramento diminui- ed erodendo lunicit mappa prezzo-benefici.
scono sia i prezzi che i dei suoi prodotti. Nella Nella trappola
benefici. trappola della prolifera- dellescalation i prezzi
zione i prezzi aumenta- diminuiscono, mentre i
no o diminuiscono, benefici aumentano.
mentre i benefici au-
mentano o diminuisco-
no in ogni direzione
attorno ai prodotti di
unazienda focale.
Problemi e Battere i concorrenti non Non possibile combat- La concorrenza a livello
sfide possibile, ma darsi alla tere contro tutti i concor- di prezzo e benefici
fuga significa abbando- renti su un fronte sem- talvolta molto dispen-
nare i principali segmen- pre diverso. Ma evitare diosa, ma nessuna im-
ti di mercato; in entrambi la battaglia equivale a presa pu permettersi di
i casi i margini si erodo- condannare a morte uscire dalla competizio-
no. lazienda. ne per prima.

357
Sintomi: come Nel vostro mercato Il vostro mercato Vi sentite come coin-
individuare la emerso un concor- sempre pi frammen- volti in una perenne
trappola rente low-cost che tato? Ogni giorno i corsa agli armamenti
ha sconvolto lo sta- concorrenti propon- con i vostri concorren-
tus quo? gono nuove offerte? ti?
Le economie di scala La Value proposition Siete costantemente
non vi permettono di del vostro prodotto alla ricerca di nuove
competere sul prez- principale minaccia- caratteristiche e nuovi
zo con alcuni con- ta da nuove offerte benefici per i vostri
correnti? mirate a nicchie sem- prodotti?
I vostri clienti sono pre pi piccole? Continuate a diminui-
sempre meno dispo- Vi sentite frustati per- re i prezzi per rimane-
sti a pagare per be- ch non avete le ri- re al passo con la
nefici come un servi- sorse sufficienti per concorrenza?
zio clienti di qualit e combattere le guerre Pensate che un vo-
lesperienza nel set- di marketing e di in- stro concorrente stia
tore? novazione su troppi ottenendo grossi
I vostri margini e la fronti? guadagni guidando
quota di mercato di- Siete costantemente lescalation dei bene-
minuiscono, nono- costretti a ridurre i vo- fici e la riduzione dei
stante la riduzione dei stri prezzi solo per prezzi, mentre voi sie-
prezzi? mantenere i vostri te costretti a
clienti consolidati, da- unincessante corsa
to che siete comple- allinseguimento, sen-
tamente circondati da za avere alcun profit-
concorrenti di ogni ti- to?
po? Pensate che il benefi-
cio primario che ieri
ha attirato i consuma-
tori oggi sia dato per
scontato, e domani
non sar che lofferta
minima da proporre
per rimanere in gara?
I vostri clienti hanno il
potere di esigere
sempre di pi pagan-
do prezzi sempre pi
bassi?
Soluzioni stra- Gestire il potere di mer- Gestire le minacce. Gestire il momentum.
tegiche cato. Ridurre, utilizzare Ridurre la forza e il nu- Controllare il movimento
o evitare il potere del mero delle minacce, per dei prodotti verso il set-
discounter low-end. mantenere le risorse o tore low cost - high be-
per acquisire le compe- nefit della mappa prez-
tenze necessarie a zo-benefici.
combattere su fronti
molteplici.
Come liberarsi Eludere il potere di mer- Scegliere quali minacce Cogliere periodicamen-
della trappola cato delloperatore low- affrontare (restringere il te il momentum.
end. campo di battaglia).

358
Come distrug- Indebolire il potere di Circondare i concorren- Invertire il momentum.
gere la trappola mercato delloperatore ti.
low-end.
Come usare la Contenere il potere Usare la proliferazione Sfruttare il momentum.
trappola a pro- delloperatore low-end per aggirare i concor-
prio vantaggio nella fascia pi bassa renti.
del mercato.

Fonte: DAveni (2010).

Secondo Porter, diverse possono essere le cause dellerosione del van-


taggio competitivo: fra queste, un deterioramento delle condizioni dei fatto-
ri, un cambiamento tecnologico che porta a svantaggi nei fattori specializ-
zati, obiettivi incoerenti che limitano gli investimenti, la perdita di flessibi-
lit operativa e organizzativa, unattenuazione della rivalit, la perdita di
sofisticatezza da parte della domanda ecc. Nel caso dei torrefattori italiani
possiamo individuarle nei seguenti fattori:
1. disallineamento dei fabbisogni locali rispetto alla domanda globale;
2. perdita di sofisticatezza da parte degli acquirenti;
3. decadimento della rivalit.
Relativamente al primo fattore, il vantaggio competitivo risulta minac-
ciato se le condizioni della domanda interna cominciano a divergere da
quelle delle altre nazioni. In tal caso le esigenze degli acquirenti locali fi-
niscono per tirare i produttori in direzioni improduttive. Ci quanto av-
venuto nel mercato Ho.Re.Ca. italiano; leccessiva attenzione riposta dai
bar verso i fattori di natura finanziaria, anzich ai fattori legati alla qualit
del prodotto, ha condotto i torrefattori a focalizzare i loro sforzi sugli aspet-
ti finanziari, distogliendo la loro attenzione dai fattori core dellattivit.
Questo ha finito per rallentare il processo di innovazione sul prodotto fa-
cendo loro perdere quel primato in termini di know-how sullespresso.
La seconda causa del calo di competitivit legata alla perdita di sofi-
sticatezza dei clienti. Come abbiamo riscontrato nellanalisi del secondo
determinante, le imprese hanno difficolt a conservare il vantaggio, allor-
quando gli acquirenti stranieri diventano pi sofisticati di quelli nazionali.
Nel caff espresso i consumatori italiani sono stati per lungo tempo quelli
pi esigenti e sofisticati, tuttavia, negli ultimi decenni essi hanno perso par-
te di questa vitalit; al contrario, quelli degli altri Paesi (vedi australiani,
neo zelandesi, in parte nord americani, giapponesi, scandinavi ecc.) sono
diventati sempre pi esigenti e ricettivi nei confronti di caff di alta qualit.
La perdita di sofisticatezza non ha riguardato solo i consumatori finali, ma
anche i clienti diretti dei torrefattori, ovvero i bar, che hanno smesso di
pungolare le aziende nella ricerca di nuovi prodotti e servizi.
359
Le ragioni per le quali i clienti locali hanno perso in sofisticatezza sono,
almeno in parte, legate ad aspetti di assuefazione (da non confondere pe-
r con lappagamento). Nel caso specifico dei consumatori finali questa
condizione dipesa dallo stato di ignoranza in cui sono stati lasciati dagli
stessi torrefattori, al contrario di quanto avvenuto negli altri Paesi, in cui
attraverso il movimento Specialty (e in particolare della Third Wave) i
consumatori sono stati educati e coinvolti in un processo culturale volto a
valorizzare i caff pi pregiati, il consumatore italiano non ha avuto modo
di far progredire le proprie competenze valutative.
Nel caso dei bar invece la condizione di assuefazione stata per lo pi
conseguenza della sua condizione di estrema debolezza che ha bloccato
ogni processo di evoluzione verso formule competitive pi qualificate.
In entrambi i casi, i protagonisti della domanda interna si sono rivelati in-
capaci di creare nuovi stimoli ai torrefattori e, come evidenzia Porter, la per-
dita dello stimolo dei clienti locali implica una maggiore difficolt da parte
delle imprese a vincere la sfida allinnovazione contro i rivali stranieri.
Il terzo fattore legato al decadimento qualitativo della rivalit, che,
secondo lo stesso autore pu essere associato:
a cambiamenti delle condizioni nei mercati di approvvigionamento;
a particolari forme di barriere che limitano la competizione a livello
locale.
In entrambi i casi si verifica una protezione delle aziende e
unattenuazione del tasso di aggressivit. Nel caso specifico delle torrefa-
zioni Ho.Re.Ca. italiane, si sono verificate entrambe le condizioni, soprat-
tutto nellultimo decennio. Per quanto riguarda il mercato di approvvigio-
namento del caff verde, nella prima met del decennio si infatti assistito
a una lunga fase di prezzi calanti, che ha portato le quotazioni a livelli par-
ticolarmente bassi21 (si veda Fig. 2).

21
Le basse quotazioni avevano creato forte preoccupazione allinterno della comunit inter-
nazionale del caff (come numerose pubblicazioni di quegli anni facevano rilevare), poich
per diversi anni ci si posti il problema della insostenibilit economica delle piantagioni,
con relativo danno per tutti gli operatori della filiera.

360
Fig. 2 Andamento dei prezzi ICO Composite Indicator del caff verde (centesimi di dolla-
ro per libbra)

Fonte: ns. elaborazione da Indice Ico Composite (historical data).

Anche se negli anni successivi c stata uninversione di tendenza, la


lunga fase di bassi prezzi del verde, a fronte di una stabilit dei prezzi di
vendita del caff tostato, ha permesso ai torrefattori, anche a quelli meno
efficienti, di conseguire una buona marginalit. chiaro che il rialzo dei
prezzi registrato negli ultimi anni ha finito per attenuare22 questa condizio-
ne, ma il contestuale ritocco dei listini compiuto da molti torrefattori ha re-
so meno stringente e meno selettiva questa condizione.
Sul lato delle barriere invece occorre rilevare che il settore Ho.Re.Ca. ita-
liano presenta al proprio interno delle naturali barriere di tipo geografico e
logistico, che pur impedendo alle piccole imprese di crescere dimensional-
mente, le proteggono tuttavia dalla concorrenza esterna (De Toni e Tracogna,
2005). Alla base di queste barriere geografiche concorrono due fattori:
il primo legato alla scarsa rilevanza che le economie di scala rive-
stono in un mercato frammentato e ad alta intensit di servizio come
quello Ho.Re.Ca., in cui cio risulta prioritaria la vicinanza al cliente e
il mantenimento di elevati standard di servizio;
il secondo conseguenza della condizione di ignoranza del consuma-
tore: in assenza di capacit valutative, le preferenze tendono a unifor-
22
Si parla di attenuazione, piuttosto che di annullamento in quanto una parte dellin-
cremento delle quotazioni si traslata sul prodotto finito attraverso ritocchi dei listini.

361
marsi alle abitudini consolidate, per cui si sono create delle aree geo-
grafiche che si contraddistinguono internamente per una certa unifor-
mit di gusto e che risultano eterogenee fra loro. Ci permette ai pic-
coli torrefattori locali di intercettare i gusti locali in modo pi efficace
rispetto agli operatori esterni, acquisendo di fatto una condizione di
vantaggio competitivo.
Come conseguenza di questi due fattori, la rivalit in ambito nazionale
risulta mitigata e ci garantisce condizioni reddituali comunque soddisfa-
centi, nonostante la presenza di inefficienze e di unofferta altamente
frammentata. Secondo Porter23, una concorrenza mitigata, induce le aziende
a preservare lo status quo (che permette loro di godere di una rendita ri-
cardiana), piuttosto che a potenziare la loro capacit competitivit futura.
In altri termini in queste condizioni le imprese sono dissuase a stravolgere
lo status quo e a sacrificare gli utili correnti per ricercare nuove fonti di
vantaggio competitivo.
In realt, non tutte le torrefazioni italiane rientrano in questa fattispecie;
ci sono anzi casi di aziende che stanno cercando di proporre nuovi para-
digmi competitivi, ma esse sono minoritarie e dunque non hanno ancora
raggiunto quella massa critica necessaria per scardinare le resistenze di chi
difende lattuale modello di business.
Talvolta le singole imprese non riescono a correggere la rotta, non gi a
causa dellinerzia o dellautocompiacimento, ma perch risultano troppo
piccole e deboli per poter fronteggiare le forze contrarie al cambiamento;
pur coscienti dellesigenza di cambiare, esse risultano allora intrappolate
allinterno di un sistema che non riescono a cambiare.
Questa la condizione che caratterizza molti torrefattori italiani; dai col-
loqui avuti con diversi operatori emerso infatti che in molti casi c per-
fetta consapevolezza della necessit di innovare e di cambiare paradigma,
ma allo stesso tempo c la titubanza ad agire per il timore di compromette-
re il destino economico dellazienda, poich nel breve periodo alto il ri-
schio di dover subire unemorragia di clienti, ancora non pronti ad accettare
nuovi modelli di business. Ci sono tentativi di torrefattori che propongono
modelli di business alternativi, basati sulla riconosciuta qualit del prodot-
to, sulla formazione del barista e sullincremento del valore percepito dal
consumatore finale, ma spesso si trovano a fronteggiare forti resistenze da

23
Un prolungato successo economico attenua la rivalit, perch le imprese finiscono col
diventare appagate dei risultati, da non voler scuotere pi la barca. Lautocompiacimento e
un orientamento verso linterno sono alla base della perdita del vantaggio competitivo da
parte delle nazioni (Porter, 1990, 212).

362
parte di molti baristi (anche se bene sottolineare che ci sono baristi favo-
revoli a questa politica) e cos a volte sono costretti a ripiegare sulle politi-
che consolidate. Persino aziende leader e dal marchio forte e legato ad
aspetti qualitativi, come la Illy, incontrano spesso le stesse difficolt.
Lazienda triestina infatti, pur avendo sempre cercato di contrastare il mo-
dello di business prevalente nel settore attraverso il rafforzamento della po-
litica di brand, in molti casi ha dovuto sottostare (sia pur in modo non uffi-
ciale) alle richieste dei clienti di concessione di attrezzature in comodato
gratuito, per non perdere quota di mercato.
La sensazione che si ricava dai vari colloqui avuti con i torrefattori che
si stia diffondendo un atteggiamento di maggiore prudenza nel concedere
attrezzature gratuitamente o nel fornire servizi accessori e di finanziamento
ai bar, anche perch tali politiche, nel contesto dellattuale quadro econo-
mico, non offrono pi gli stessi risultati degli anni passati24. Esse sono per
lo pi utilizzate in chiave difensiva, ovvero per non perdere quote di merca-
to, anzich in chiave offensiva e quindi per aumentare quote.
La persistenza di tali pratiche dunque in parte legata alleccessiva pol-
verizzazione del settore, che rende le torrefazioni troppo deboli per poter da
sole contrastare in modo significativo questa dinamica. Sembra quindi che i
torrefattori italiani si trovino intrappolati in quella condizione, che Kim e
Mauborgne nel 2005 definirono di oceano rosso, in cui cio le mosse dei
vari attori non sono altro che limitazione di quelle compiute dai propri
competitor. Si avverte la mancanza di un leader settoriale sufficientemente
forte e capace di agire come first mover, portando il settore verso un
nuovo paradigma competitivo. Ma forse si avverte ancora di pi la carenza
di organizzazioni associative forti, capaci di trainare il settore verso posi-
zioni competitive pi solide, ruolo che ad esempio negli Stati Uniti riusci-
to a svolgere lo SCAA.
Il settore del caff in Italia si caratterizza per la presenza di una moltitu-
dine di associazioni di categoria (AIIPA, AIT, Altoga, Gruppo torrefattori
triveneto ecc.), di forme consortili di aggregazione tra imprese (Consorzio
Caf do Brasil, Consorzio del Sao Caf, Grancaff ecc.) e di altre forme as-
sociative e di collaborazione, che cercano di superare le debolezze della
piccola dimensione e i limiti di un sistema di offerta estremamente fram-
mentato. Fatta eccezione per i consorzi di acquisto del caff verde, che ri-
spondono a finalit diverse, il resto delle associazioni, alla luce dei fatti, si
24
Le difficolt economico-congiunturali, che hanno ridotto sensibilmente la liquidit sul
mercato, unite alla pi veloce mortalit delle attivit di pubblico esercizio, stanno spingendo
le torrefazioni a muoversi con molta pi oculatezza sul fronte dei finanziamenti.

363
sono rivelate poco adeguate a svolgere la funzione di guida delle imprese
verso nuovi e pi difendibili traguardi. Alcune di esse hanno anzi assunto
una forma corporativa, pi attenta a difendere uno status quo, oramai ina-
deguato al nuovo scenario competitivo, che non aperta ad accettare e favo-
rire nuove forme di competizione. Anche le varie esperienze di certifica-
zione del caff espresso (Inei, Caff speciali certificati) non si sono rivelate
allaltezza della situazione, per una carenza di risorse (come nel caso CSC)
o per unincapacit degli organi direttivi e di management nel perseguire
con seriet e determinazione la propria mission (come nel caso INEI)25.

8.3. Il modello di business dei torrefattori italiani


nellHo.Re.Ca. e le sue anomalie

Il venditore rientra sconsolato in torrefazione per aver perso un cliente


storico. Alla domanda come mai, lui risponde: ho giocato tutte le carte a
mia disposizione, ma nulla ho potuto di fronte allofferta del concorrente.
Il titolare, sapendo che il suo uomo un bravo commerciale gli chiede: ma
che caff gli ha offerto? e lui risponde: non si tratta di caff; se quello
che mi ha fatto provare una vera schifezza, ma al cliente questo importava
poco. Aveva necessit di rinnovare i locali e non aveva soldi a sufficienza
per poter fare un lavoro decente, cos, vedendo che col supporto propostogli
dal concorrente sarebbe riuscito a fare tutti i lavori necessari, ha preferito
cambiare caff cio torrefattore piuttosto che rinunciarci.
Questa una scena cui ho assistito mentre ero in visita a una torrefazio-
ne; non si tratta per di un caso isolato: situazioni di questa fattispecie fan-
no parte della vita quotidiana di molte torrefazioni italiane. Lepisodio che
ho riportato risulta particolarmente esplicativo del modello di business che,
almeno nellultimo ventennio, caratterizza il mercato Ho.re.Ca. del caff
italiano (la Tabella 3 evidenzia i principali effetti da esso generati).

25
Si pu a questo riguardo citare la politica di certificazione delle attrezzature e delle misce-
le attuata dallIstituto Nazionale Espresso Italiano (Inei), che in alcune circostanze, a causa
dellopinabile rigorosit attuata dal management, ha creato malcontento fra gli stessi asso-
ciati, al punto da decretarne luscita di alcuni di essi. Un caso, che ha fatto molto scalpore
fra i soci, quello del socio fondatore La Cimbali che, era uscita dallistituto per protesta
dopo che il direttore dellInei aveva certificato una macchina da caff superautomatica con
gruppo in plastica, la quale per limiti tecnici non garantiva le stesse performance qualitative
delle macchine professionali. Il caso rientrato dopo che la macchina in questione non pi
stata certificata. Altri casi simili, ma che hanno riguardato le certificazioni di miscele, hanno
decretato luscita definitiva dallistituto di alcune torrefazioni, fra cui Costa dOro e Zicaff.

364
Com noto il bar opera in esclusiva, con un solo torrefattore. Diventa
cruciale quindi per il torrefattore curare il sell-in, ovvero assicurarsi un par-
co clienti sufficientemente ampio da garantire lassorbimento di un certo
quantitativo di caff. Sotto questo aspetto le leve del mass marketing
hanno scarsa rilevanza; una campagna pubblicitaria che incrementa la
brand awarness, difficilmente si traduce in maggiori vendite di caff se
prima non si creata unadeguata copertura distributiva in termini di pub-
blici esercizi clienti.

Tab. 3 Schema sintetico delle principali anomalie che caratterizzano il modello competiti-
vo prevalente nel mercato del caff Ho.Re.Ca.

Anomalie Effetti negativi


1. Prezzo elevato Impedisce di sfruttare il bar come punto vendita del caff
(non giustificato dalla qualit forni- del torrefattore che spesso non ha altro accesso per rag-
ta) giungere il consumatore finale
Favorisce la pratica di comportamenti opportunistici da
parte dei baristi, che tagliano il caff del proprio torrefattore
con altro pi economico e di bassa qualit, comprometten-
do la fedelt del consumatore finale e limmagine del brand
2. Ingenti investimenti per Alto rischio finanziario per il torrefattore anche per i lunghi
lacquisizione del cliente tempi di ammortamento
I baristi pi efficienti finanziano quelli poco competitivi e gli
avventori con conseguente indebolimento dellintero set-
tore
Basse barriere dingresso per i baristi, con conseguente
attrazione di operatori poco qualificati che abbassano il li-
vello medio di servizio al cliente
3. Calo dimportanza della qualit I torrefattori attuano politiche di risparmio nellacquisto del
del caff verde per recuperare pi velocemente i costi dei servizi
erogati
Degrado qualitativo del caff che alimenta linesorabile
circolo vizioso del caff al bar.
Deterioramento del fattore COOE e conseguente perdita di
valore del Made in Italy
4. Dirottamento competenze verso Si potenziano le competenze in ambito finanziario pi che
aspetti finanziari in ambito produttivo, perdendo capacit innovativa sul pro-
dotto

Diverse evidenze concordano sul fatto che il consumatore del bar fe-
dele al punto vendita piuttosto che al brand del caff. Secondo alcuni studi
emerge che il 75% delle persone appena uscite da un bar non in grado di
ricordare quale marca di caff ha bevuto (Daviron e Ponte, 2005). Il bar ri-
365
sulta quindi scarsamente sensibile alla pubblicit e quindi alla brand reco-
gnition. Da ci consegue che lo sforzo competitivo dei torrefattori viene
orientato allacquisizione di nuovi clienti e allo stesso tempo nel garantire
una certa fedelt nel medio-lungo termine.
In questa cornice un ruolo importante svolto dalla rete vendita del tor-
refattore. Come afferma Giacomo Biviano, direttore commerciale Illy: la
conquista del canale Ho.re.Ca. si fa anche consumando le suola delle scar-
pe. Conquistare nuovi bar significa il pi delle volte buttare fuori un con-
corrente da un pubblico esercizio (De Toni e Tracogna, 2005, 186).
Proprio su questo campo i torrefattori italiani si fanno concorrenza. Lo
staff commerciale, cerca di assicurarsi un contatto personale e duraturo con
il barista, instaurando un rapporto di fiducia che si basa sul rispetto degli
impegni presi. Lassistenza tecnica, il supporto finanziario, la frequenza e
la puntualit delle consegne sono alla base di un rapporto efficace tra la
domanda e lofferta.
Pi che il prodotto in s, lelemento distintivo della proposta del torre-
fattore diviene la value proposition26, ovvero linsieme dei servizi com-
plementari che esso associa al prodotto, che vanno dal comodato delle at-
trezzature (macchine per caff espresso, macinadosatori, lava-tazzine, fab-
bricatori di ghiaccio ecc.) allassistenza tecnica, alla formazione professio-
nale, ai complementi darredo, alle tazzine, fino a vere e proprie forme di
finanziamento agevolato, spesso sotto forma di sconti anticipati sulla forni-
tura di caff (per lavvio dellattivit o per il rinnovo dei locali). In tal mo-
do il torrefattore diviene il primo e spesso il pi importante interlocutore
finanziario del bar e ne assicura la sopravvivenza in cambio di contratti a
medio-lungo termine.
Di converso tutti questi servizi vengono corrisposti dallesercente al tor-
refattore tramite una sensibile maggiorazione del prezzo del caff e un con-
tratto di esclusiva pluriennale.
Riguardo al prezzo, il barista normalmente corrisponde un valore pi
che doppio rispetto alle miscele di pari qualit offerte nel retail. Se ci, da
un lato giustificato dal costo sostenuto dal torrefattore per i servizi acces-
sori corrisposti, dallaltro costituisce un grave limite alla possibilit di
sfruttare i pubblici esercizi come potenziali punti vendita del caff per i
clienti affezionati. Una tale disparit di prezzo infatti disincentiva ogni abi-
tuale consumatore a portarsi a casa lo stesso caff che ha consumato al bar.
26
La creazione della value proposition fa parte della business strategy delle imprese. La
strategia basata su una customer value proposition differenziata. Soddisfare i clienti alla
base di una creazione del valore sostenibile (Kaplan e Norton, 2004, 10).

366
Non dimentichiamo, infatti, che la maggior parte dei torrefattori operan-
ti in questo mercato non ha accesso al canale retail, e pertanto non ha op-
portunit di vendere il proprio caff direttamente al consumatore. Se risul-
tasse competitivo, il bar potrebbe costituire, oltre che un punto di sommini-
strazione, un qualificato punto vendita del caff (in grani o macinato);
avendo per un prezzo di fornitura cos elevato, senza una corrispondente
superiorit qualitativa, risulta inadatto a svolgere questa funzione. In molti
Paesi esteri, invece, dove il rapporto di fornitura fra torrefattore e punto
vendita non viziato dalla logica dei servizi supplementari, le coffee house
o gli indipendent coffee shop costituiscono il principale veicolo di vendita
al pubblico di caff per uso domestico. La stessa Starbucks sfrutta i suoi
punti vendita come negozi per vendere caff insieme ad altri articoli di
merchandising.
Un effetto collaterale della maggiorazione del prezzo consiste nel fatto
che tale politica lascia spazio a comportamenti opportunistici da parte del
barista, il quale a volte usa canali paralleli (come i Cash&Carry) per rifornirsi
di caff27, che taglia con quello del proprio fornitore ufficiale, per conse-
guire un risparmio di costo. Per il torrefattore, al di l della perdita economi-
ca per le mancate vendite, questo fenomeno genera una conseguenza ancora
pi deleteria. Poich lacquisto avviene per una mera logica di risparmio
economico, il barista non si cura del lato qualitativo del prodotto, che inevi-
tabilmente ha una qualit mediocre, e che poi viene utilizzato per stemperare
il caff del proprio torrefattore. Il consumatore, ignaro della politica attuata
dal gestore, associa il degrado qualitativo al marchio del torrefattore che vede
sullinsegna del locale, sulle tazzine e sulla confezione di caff; limmagine
del torrefattore viene cos compromessa pesantemente a prescindere
dallimpegno da esso profuso per creare un buon prodotto.
Una terza distorsione generata dallattuale modello di business riguarda
il rischio finanziario. I servizi erogati dal torrefattore al bar hanno un tem-
po di ammortamento particolarmente lungo, in modo particolare quando si
materializzano nella fornitura di attrezzature professionali o in finanzia-
menti di vario genere. Ci impone un rapporto di lungo termine, che nor-
malmente viene formalizzato attraverso dei contratti di esclusiva che vanno
dai tre ai cinque anni. Periodo questo che per risulta spesso pi lungo della
vita media di un pubblico esercizio, che, come abbiamo visto precedente-

27
Nel canale moderno Nielsen rileva anche vendite di caff tostato in grani per il 5,3% del to-
tale volumi; presumibilmente buona parte di questo tipo di prodotto viene acquistato da baristi
e operatori Ho.Re.Ca. che in questo canale possono trovare dei prezzi di acquisto pi conve-
nienti rispetto a quelli ottenibili dallacquisto diretto dal produttore (Coffitalia 2011, 21).

367
mente, inferiore ai 4 anni e che nel 60% dei casi le nuove attivit non su-
perano il primo biennio. Questo provoca una forte instabilit allinterno
dellindustria del caff in quanto i torrefattori si trovano ad affrontare un
insidioso problema rappresentato dallinsolvenza (Cociancich, 2008), che
assume una valenza che varca i consueti confini di solvibilit commerciale
tipici di una normale impresa industriale.
Tale dinamica evidenzia inoltre una quarta anomalia dellattuale modello
di business, che risulta ancora pi deleteria delle precedenti. Dal momento
che per un torrefattore i tempi di ammortamento degli investimenti relativi
allacquisizione del cliente risultano superiori a quelli della vita media dei
bar, di conseguenza i clienti sani, coloro cio che svolgono una regolare atti-
vit e che hanno sufficienti capacit competitive per restare sul mercato e
onorare i propri impegni finanziari, di fatto finanziano, senza averne respon-
sabilit, le incapacit della parte pi debole del mercato. Infatti i torrefattori
nella definizione dei listini tengono conto, insieme al costo industriale del
prodotto, anche dei costi dei servizi accessori erogati e del rischio di insol-
venza sul mancato rientro degli investimenti effettuati. Tutto ci porta a una
lievitazione del prezzo, che spesso risulta essere quattro o cinque volte supe-
riore rispetto al costo della materia prima. In altri termini, i migliori clienti si
trovano inconsapevolmente a finanziare i costi legati alla scarsa profes-
sionalit dei molti improvvisati baristi, attraverso un prezzo di acquisto
superiore rispetto al dovuto. Sottrarre risorse agli operatori pi efficienti per
distribuirle a quelli meno performanti significa indebolire il sistema nel suo
complesso e quindi renderlo pi vulnerabile nel medio termine nei confronti
di altre forme di concorrenza (come quella del monoporzionato).
Inoltre, dal momento che la sfida competitiva viene giocata sul campo
dei servizi accessori piuttosto che su quello del prodotto in s, la qualit
del caff offerto passa in secondo piano. Al torrefattore, per risultare
competitivo sufficiente fornire una qualit idonea di caff, accettabile da
parte del consumatore.
Questo aspetto ci porta alla quinta anomalia del sistema. Dovendo cer-
care di rientrare velocemente degli investimenti effettuati per i servizi ac-
cessori erogati, i torrefattori hanno attuato politiche di contenimento dei co-
sti, anche e soprattutto attraverso luso pi intensivo di materia prima quali-
tativamente scadente. Su questo fronte ha contribuito anche levoluzione
tecnologica sul trattamento del caff verde: infatti, le nuove tecnologie di
lavorazione del caff e di pulitura a vapore (chiamati anche processi di up
grading) neutralizzano molti dei difetti contenuti nei caff di bassa qualit
(insieme anche al gusto), permettendo di variare il mix di caff verde, da
quelli pregiati a quelli pi economici, tipicamente Robusta naturali come

368
vietnamiti o ugandesi. Ci ha favorito un progressivo decadimento della
qualit dei caff, come risulta anche dalla ricerca illustrata nel paragrafo
2.4, ben il 74% dei torrefattori intervistati concorda che la qualit del caff
nel bar sia scesa negli ultimi anni e ci attribuibile in parte a un cambio
della strategia da parte dei torrefattori (11,7% degli intervistati), a un calo
di professionalit del barista (23,3%) o a entrambi i fattori (46,5%). A que-
sto proposito Enrico Meschini, presidente dellAssociazione Caff Specia-
li Certificati, afferma che la qualit dellespresso in Italia andata decre-
scendo collincremento del costo del caff Arabica sui mercati internazio-
nali. La stessa tendenza si verificata allestero, ma con una maggiore at-
tenzione alla qualit. In particolare, in Italia il livello di conoscenza sem-
pre estremamente basso e negli ultimi 10 anni lincremento del livello di
conoscenza rispetto a quanto avvenuto in molti Paesi stato estremamen-
te debole28.
Da un lato il calo di qualit, e dallaltro il simultaneo sviluppo sul mer-
cato del monoporzionato (OCS e serving), hanno alimentato un pericoloso
circolo vizioso, che potremmo denominare circolo vizioso del caff nel
mercato Ho.Re.Ca., il quale sta trascinando verso il baratro lintero com-
parto caff Ho.Re.Ca. (Fig. 3). Esso si articola nei seguenti stadi:
1. calo qualit del caff al bar;
2. disaffezione dei consumatori;
3. calo dei consumi;
4. contrazione della marginalit;
5. abbassamento dei costi di approvvigionamento;
6. calo qualit del caff;
7. ecc.
Infatti, alla minore qualit del caff servito al bar, il consumatore asso-
cia un minor valore, che non materializzandosi in un prezzo pi basso, lo
porta a prediligere modalit alternative di consumo della bevanda (OCS,
Vending e serving in particolare) che normalmente propongono un migliore
rapporto qualit/prezzo.
Dunque minori consumi, a cui corrisponde normalmente una contrazione
del fatturato; questo significa una minore marginalit per il bar, che a parit
di costi fissi gestionali corrisponde a una minore redditivit dellattivit. Al
fine di recuperare la marginalit perduta, o almeno parte di essa, il gestore del

28
Enrico Meschini, oltre ad essere socio fondatore dellAssociazione Caff Speciali Certifi-
cati, amministratore unico dellArcaff Estero srl e fra i pochi giudici italiani del pro-
gramma Cup of Excellence (Comunicaff, 12 giugno 2012).

369
bar cerca di economizzare sui costi di approvvigionamento, spostando il mix
verso caff pi economici anche se di minore qualit.
Tutto ci alimenta un nuovo ciclo della spirale che, pian piano logora la
capacit competitiva dellintero comparto del caff espresso Ho.Re.Ca. ita-
liano.
Un sesto effetto negativo dellattuale modello di business del mercato del
caff Ho.Re.Ca., sta nel fatto che la qualit della miscela, non costituendo
pi il fattore centrale della sfida competitiva, ha perso di rilevanza nella
strategia dei torrefattori, i quali hanno finito per dirottare le competenze e
le risorse in altri ambiti (come la gestione finanziaria). Non un segreto in-
fatti che dietro a molte torrefazioni operano vere e proprie societ finanziarie,
che gestiscono e massimizzano i flussi finanziari delle torrefazione (interes-
sante a questo riguardo il sistema di offerta diffuso in Francia descritto nel-
la Tab. 4). Molti torrefattori hanno cos potenziato le competenze finanziarie,
dedicando risorse che altrimenti sarebbero state destinate allattivit indu-
striale e quindi alla capacit di approvvigionamento, allo sviluppo di nuovi
prodotti, al miglioramento qualitativo del prodotto ecc. Tutto ci ha rallentato
il processo di accumulo di nuove competenze e ha fatto perdere agli operatori
italiani quel primato culturale sul caff espresso a cui in parte legato il
COOE del caff Made in Italy e che si traduce in un vantaggio competiti-
vo, poich trasmette al consumatore estero la percezione di maggior valore.

Fig. 3 Circolo vizioso dellattuale modello di business dei torrefattori italiani

Calo qualit
Disaffezione dei
del caff al bar
consumatori
Calo dei
Contrazione della
consumi
marginalit
Risparmio nei
costi di acquisto
Calo qualit
Disaffezione dei
del caff al bar
consumatori
Calo dei consumi Contrazione della
marginalit
Risparmio nei costi Calo qualit del caff al
di acquisto bar
Disaffezione dei Calo dei consumi
consumatori
Contrazione della
Risparmio nei
marginalit
costi di acquisto
Calo qualit
del caff al bar

370
Come sostiene Elisa Molle, la campionessa italiana baristi 2012: ci
siamo cullati sulla nostra paternit dellespresso ma lasciamo ad altri
levoluzione, il cambiamento, lo studio e la crescita qualitativa, professio-
nale ed economica (Comunicaff, 2012b). Un riscontro indiretto della
scarsa innovazione lo si ricava dal fatto che, per gran parte delle nostre tor-
refazioni, la miscela pi venduta risulta essere quella storica (quella crea-
ta dal nonno), quando per le torrefazioni degli altri Paesi sono spesso le mi-
scele pi giovani a generare i maggiori volumi di vendita.
Occorre dunque riportare la ricerca e linnovazione del prodotto al centro
della strategia competitiva, al fine di tutelare e rafforzare la valenza del
COOE e quindi del caff Made in Italy, che invece sempre pi messo in
discussione da parte di quei baristi, torrefattori, opinion leader e media inter-
nazionali che operano nello Specialty e nella fascia alta del mercato del caff.
Come capitato di verificare anche al sottoscritto, fino a qualche anno fa, il
modello di riferimento per tutti gli operatori esteri in tema di espresso era co-
stituito dal caff italiano, che suscitava molta curiosit e interesse.

Tab. 4 Formula di arricchimento dellofferta diffusa in Francia

Il modello di business basato sullarricchimento dellofferta con servizi accessori (attrezzature in


comodato, servizio di assistenza tecnica gratuito, finanziamenti agevolati ecc.) non una peculiarit
del nostro mercato interno; anche in altri Paesi esistono formule di offerta similari, ma raramente
esse assumono la stessa intensit e frequenza che hanno nel nostro mercato interno. In alcuni di
questi Paesi sono state sviluppate formule di offerta che risultano per il torrefattore meno impegnati-
ve dal punto di vista finanziario.
In Francia ad esempio, dove, al pari dellItalia esiste un frequente ricorso alla fornitura di servizi
accessori, la formula che si diffusa nellultimo decennio quella del leasing delle attrezzature. Il
torrefattore, anzich fornire la macchina a titolo gratuito o in comodato duso, la vende (spesso a
prezzo pieno di listino) al proprio cliente e, contemporaneamente, attiva per suo conto una pratica di
leasing con una societ terza specializzata. Il gestore diventa cos debitore della societ di leasing,
mentre il torrefattore smobilizza interamente il costo delle attrezzature. Al fine di fidelizzare il cliente,
il torrefattore contemporaneamente si impegna a fornire gratuitamente una quantit di caff corri-
spondente al valore della rata, per tutta la durata del contratto di leasing. In questo modo esso si
assicura la fedelt del gestore, senza per dover supportare i costi dellinvestimento iniziale; il clien-
te che intende cambiare fornitore, rischierebbe di perdere lagevolazione sulla fornitura del caff (a
meno che il nuovo non offra la stessa agevolazione), pur dovendo continuare a pagare le rate del
leasing fino alla sua naturale estinzione.
Il sistema francese non cambia sostanzialmente il modello di business, che rimane sempre le-
gato ai servizi accessori e quindi sganciato alla qualit del prodotto fornito (e anche in quel caso la
qualit del caff servito nelle brasserie o nei bistrot non particolarmente elevata); tuttavia esso
agevola sensibilmente la gestione finanziaria del torrefattore in quanto lo solleva dallinvestimento e
dal rischio di insolvenza.

371
Tutto ci scemato nel corso degli ultimi anni e oggi per alcuni opera-
tori internazionali, non solo il torrefattore italiano e il suo caff non pi
considerato un valido benchmarck da osservare e da analizzare, ma viene
sempre pi considerato uno standard di medio-basso livello. Per molti opi-
nion leader il caff tricolore etichettato come un caff con della Robusta
(che in molti contesti internazionali ha una valenza negativa), una tostatura
scura e povero di aromi: non certo quindi come uneccellenza.
A conferma di ci si pu far rilevare che in alcuni workshop SCAE sulla
qualit del caff espresso (in cui cio vengono fornite nozioni per com-
prendere e valutare la qualit dei vari caff anche attraverso degli assaggi
comparativi) la confezione di grani che riporta letichetta Italian coffee,
viene utilizzata come campione del caff di pi bassa qualit. Ritengo che
questo dato sia un segnale importante per comprendere il cambio di perce-
zione che il caff italiano sta avendo allestero e, come tale, un importante
campanello dallarme del possibile decadimento dimmagine del prodotto
Made in Italy.
In Paesi come lAustralia ad esempio, in cui il caff espresso molto
diffuso e in cui la qualit media particolarmente elevata, si parla di old
style, per intendere un caff stile italiano: amaro, molto scuro e con un
certo contenuto di Robusta; si tratta cio del caff che ha introdotto e ali-
mentato il consumo interno di espresso in tutte le prime fasi, ma che ora
non riscontra pi i favori del consumatore locale, il quale predilige un caff
pi delicato, pi dolce e pi aromatico (per unanalisi pi approfondita si
rimanda allAppendice 1 del Capitolo 4 :La via australiana del caff: come
da Paese bevitore di th diventare punta di diamante del caff).
Come fa rilevare Meschini, il concetto di espresso ormai universale ed
il fatto che si produca in Italia rischia di diventare marginale, visto che il no-
stro livello qualitativo medio di caff esportato resta basso. Come si pu par-
lare di valorizzazione di un prodotto che, nella maggior parte dei casi non
svela nessuna particolare caratteristica se non la sua eccessiva tostatura,
lamarezza ed una spiccata difettosit? (Comunicaff, 2012a del 12-6-12).
Tutelare il valore del prodotto Made in Italy costituisce quindi una
condizione importante per la competitivit del sistema caff italiano, poich
perdere questa valenza per i torrefattori significherebbe dover affrontare i
mercati internazionali da una posizione di debolezza anzich di forza.
Infine, un ulteriore effetto negativo che lattuale modello di business sta
comportando lindebolimento del settore bar. La politica dei servizi ac-
cessori e dei finanziamenti in primis, finisce per eliminare ogni forma di
scrematura del mercato. Conseguentemente vengono attratti operatori im-
provvisati e poco qualificati, che, grazie alle sovvenzioni del torrefattore,

372
possono permettersi di rilevare, o aprire ex novo, un bar con un minimo in-
vestimento iniziale. Come segnala la campionessa Elisa Molle, non darei
la colpa del degrado qualitativo dellespresso italiano ai torrefattori. Loro ci
propongono il loro contratto e noi (baristi) lo accettiamo. Accettiamo per-
ch non conosciamo, perch ignoriamo; ignoriamo perch il nostro lavoro
non richiede qualifiche o meglio, non etichettato. Non ha particolari rico-
noscimenti, non valutato e premiato, non c stimolo di crescita profes-
sionale perch si fa in attesa di trovare di meglio, lo facciamo perch []
semplice. Non siamo qualificati perch la legislatura italiana non lo ri-
chiede [] anzi gli studi di settore ci impongono prezzi e quantit (Co-
municaff, 2012b).
Non essendoci una selezione a monte, volta a favorire gli operatori pi
qualificati e competenti, sul mercato si inseriscono continuamente anelli
deboli che inesorabilmente abbassano il livello generale della qualit del
servizio offerto dal sistema bar, portandolo verso uninesorabile decadi-
mento. Il costante calo dei consumi, lalto turnover dei pubblici esercizi e il
continuo accorciamento della loro vita media non sono altro che manifesta-
zioni di questa debolezza.

8.4. Quadro riassuntivo del ruolo del contesto nazionale


nella competitivit delle torrefazioni italiane

Nel corso degli ultimi due capitoli si sono analizzati i fattori che, secon-
do il modello porteriano del Diamante, sono alla base del vantaggio
competitivo del sistema italiano caff.
In particolare abbiamo cercato di comprendere se il Paese Italia costitui-
sca oggi per le imprese di torrefazione una piattaforma di stimolo e di raf-
forzamento competitivo o piuttosto un fattore di ostacolo: se esso sia cio
in grado di fornire la spinta verso un continuo accumulo di nuove compe-
tenze o se piuttosto rappresenti un freno allinnovazione e al cambiamento.
Dallanalisi condotta emerge un quadro con luci e ombre, secondo cui il
sistema caff (o forse pi precisamente il sistema caff espresso, che
caratterizza la quasi totalit dei torrefattori italiani ed strettamente legato
al canale Ho.Re.Ca.) presenta molti caratteri che secondo la teoria porteria-
na favoriscono la competitivit delle imprese, i cui effetti sono per smor-
zati dalla presenza di alcune storture.
Fra i fattori che favoriscono la competitivit ricordiamo:
1. una lunga tradizione nellespresso e dunque unelevata competenza
tecnica sul prodotto, che ha permesso agli operatori italiani di essere

373
stati gli artefici delle principali innovazioni che si sono succedute nel
corso del XX secolo;
2. un positivo fattore Country of Origin Effect (COOE), in virt della
riconosciuta paternit italiana del caff espresso (heritage). Questo
valore si associa anche allimmagine generale dei prodotti alimentari
italiani, a cui il consumatore estero attribuisce le prerogative di qualit,
buon gusto, prelibatezza, bont e salubrit. Occorre per rilevare che,
riguardo al caff, per una parte dei consumatori, in particolare quelli
pi evoluti e sofisticati, tale valenza sta perdendo di significato;
3. la presenza di un grande bacino di domanda interna, essendo lItalia
il quinto pi grande Paese consumatore di caff al mondo, offre spazi
dazione a molti operatori, favorendo una certa vivacit competitiva;
4. lesistenza di un mercato a valle particolarmente frammentato, so-
prattutto nel canale Ho.Re.Ca. (in cui operano oltre 150.000 esercizi
indipendenti), costituisce uno scenario potenzialmente competitivo,
in cui la lotta per la sopravvivenza stimola i fornitori a evolvere la lo-
ro offerta;
5. un discreto flusso turistico che facilita la diffusione delle abitudini
nazionali del caff ai cittadini di altri Paesi;
6. in un contesto di domanda internazionale in rapida espansione, la sa-
turazione di quella interna (con scarsi margini di crescita futura), co-
stituisce un forte stimolo per le imprese nazionali a internazionaliz-
zarsi, al fine di cogliere ogni opportunit presente nel mercato;
7. un consumatore domestico particolarmente esigente e sofisticato in
termini gastronomici e che quindi ha elevate potenzialit per divenire
un interlocutore ricercato anche in tema di caff;
8. la presenza nel Paese di settori industriali correlati particolarmente
competitivi a livello internazionale, come quello dei produttori di
macchine per caff espresso, che pu fungere da canale di trasmis-
sione di informazioni e da incubatore di nuove idee;
9. lesistenza di tutte le condizioni che favoriscono una vivace rivalit
interna fra torrefattori, e tali quindi da spronare le imprese a miglio-
rarsi e a ricercare nuove forme di vantaggio competitivo. Fra esse ri-
cordiamo:
lalta densit del settore con oltre 700 imprese di torrefazione,
il basso livello di concentrazione, in cui i primi tre player non
raggiungono il 15% di quota di mercato nellHo.Re.Ca.;
unelevata omogeneit degli attori in cui, a parte 8-10 player che
hanno carattere nazionale e internazionale, tutti gli altri sono rela-

374
tivamente simili dal punto di vista dimensionale, di approccio al
mercato e di abilit organizzative;
la presenza di capacit produttiva in eccesso, che stimola le im-
prese a ricercare nuove opportunit di mercato per saturare gli
impianti e risultare pi competitive.
Linsieme di questi fattori, tuttavia, non si traducono in immediati van-
taggi competitivi per la simultanea presenza di alcune condizioni che fun-
gono da ostacolo a ogni forma di innovazione, rendendo il settore poco
reattivo e incapace di rinnovarsi. Questo secondo genere di fattori tende in-
fatti a disperdere le risorse e le energie delle imprese in direzioni poco utili
per la sostenibilit a medio-lungo termine del vantaggio competitivo, steri-
lizzando di fatto i vantaggi apportati dal primo genere di fattori. Fra esse
ricordiamo:
1. un senso di assuefazione generato dalla lunga e consolidata tradizio-
ne nel settore, che ha fatto perdere agli operatori gli stimoli per ac-
crescere ulteriormente le competenze tecniche e quindi per protegge-
re il loro vantaggio nei confronti dei nuovi competitor (come mono-
porzionato, catene, third wavers);
2. il basso ritmo di crescita della domanda, che nellultimo decennio si
addirittura tradotto in una contrazione, unito alle scarse prospettive
di crescita future, hanno finito per rendere i torrefattori molto pi
prudenti nelleffettuare gli investimenti necessari ad alimentare il
processo dinnovazione;
3. la presenza nel settore bar di condizioni di debolezza (fra cui ri-
cordiamo le basse barriere allingresso, leccessiva capillarit, la mi-
cro-dimensione, le politiche di agevolazioni finanziarie attuate dai
torrefattori, la scarsa competenza professionale ecc.), che hanno reso
questo soggetto economico estremamente debole e incapace di sti-
molare e indirizzare i torrefattori nella ricerca di prodotti e servizi
pi competitivi;
4. la perdita in sofisticatezza del consumatore finale, che, a seguito del-
la condizione di ignoranza in cui stato lasciato dai torrefattori, si
adagiato sul livello medio dellofferta, senza pi riuscire a essere in-
terprete dei nuovi trend che stanno caratterizzando la domanda inter-
nazionale;
5. il disallineamento fra le esigenze espresse dalla domanda interna (in
particolare quella del bar) e quelle presenti in campo internazionale,
che hanno finito per distrarre i torrefattori italiani in direzioni poco
proficue in termini competitivi;

375
6. la presenza di condizioni che mitigano la rivalit e che permettono
anche a realt poco efficienti di restare sul mercato, a scapito
dellefficienza complessiva del settore. Facciamo riferimento in par-
ticolare alla presenza di barriere territoriali, legate per lo pi
alleterogeneit dei gusti dei consumatori appartenenti ad aree geo-
grafiche distinte, che proteggono le realt locali nei confronti
dellingresso di altri competitor. Ci crea delle sacche di inefficien-
za, le quali permettono alle imprese di conseguire comunque condi-
zioni reddituali soddisfacenti e quindi, anzich favorire politiche vol-
te al miglioramento dellefficienza, vengono agevolate politiche di
consolidamento dello status quo, che ostacolano qualsiasi iniziativa
orientata a far evolvere il confronto competitivo;
7. la caratteristica della piccola dimensione, che contraddistingue la
prevalenza delle torrefazioni italiane, si rivelato un ostacolo allo
sviluppo delle competenze necessarie per affrontare opportunamente
il processo di internazionalizzazione e per alimentare un processo
evolutivo dellattuale paradigma competitivo. A rendere pi gravosa
questa situazione ha contribuito lassenza di un leader nazionale ca-
pace di avviare un processo di rinnovamento e, forse ancor di pi,
lassenza di una visione strategica da parte delle principali associa-
zioni presenti.
A causa di questi fattori si creato un pericoloso paradosso: nonostante il
settore stia perdendo capacit competitiva, che si manifesta sia a livello na-
zionale (attraverso il progressivo calo dei consumi nel canale Ho.Re.Ca.), e
sia in campo internazionale (con la progressiva contrazione della quota di
mercato del prodotto nazionale allinterno del mercato mondiale
dellespresso), esso risulta aggrappato a quello stesso modello di business
che lo ha condotto in queste condizioni e che lo sta trascinando in un perico-
loso circolo vizioso contraddistinto dal susseguirsi dalle seguenti fasi:
calo qualit caff al bar;
calo consumi e fatturato del bar;
calo marginalit;
recupero marginalit facendo economie sugli acquisti;
ricerca di caff pi economici.
Dai colloqui avuti con i diversi protagonisti del settore emerso che
questa condizione, pi che il frutto di una volont, legata a uno stato di
sostanziale impotenza da parte dei singoli attori. Ognuno di essi, pur essen-
do consapevole della necessit di dover cambiare, non in grado di poter
sovvertire questa situazione, che invece, richiede una forza superiore rispet-

376
to a quella che una singola azienda o un piccolo gruppo di aziende riesce a
esprimere.
Questa condizione di impasse rischia di rivelarsi particolarmente peri-
colosa per gli attuali attori del comparto, in quanto, oltre a indebolirli compe-
titivamente, crea le premesse per attirare nuovi operatori esterni al sistema
che, al pari di quanto avvenuto negli Stati Uniti con lavvento di Starbucks
e il susseguirsi delle varie ondate, sconvolger il corrente assetto competiti-
vo, ponendo gli attuali protagonisti di fronte a sfide ben pi insidiose.
Occorre allora prendere coscienza dellineludibilit del superamento del
modello di business attualmente vigente, rimettendo in moto tutte quelle
energie propulsive che hanno permesso in passato al sistema caff espresso
italiano di proliferare e di evolvere.
Esistono alcuni segnali che lasciano ipotizzare che si stiano materializ-
zando le condizioni favorevoli per un cambio di paradigma. Possiamo a
questo riguardo citare:
il favorevole contesto che sta caratterizzando il prodotto caff
espresso a livello internazionale, che impone una maggiore apertura
da parte delle imprese italiane;
la sempre pi diffusa presa di coscienza da parte dei torrefattori della
necessit di cambiare approccio, anche alla luce dei minori risultati
che esso sta apportando e della sua difficile sostenibilit in un oriz-
zonte di medio-lungo termine;
la particolare difficile congiuntura economica, che sta mettendo a du-
ra prova le imprese e che verosimilmente imporr leliminazione del-
le sacche di inefficienza. Essa provocher inoltre una maggiore sele-
zione degli operatori, eliminando gli anelli pi deboli e lasciando sul
campo solo i soggetti pi forti e capaci;
i sempre pi evidenti segnali di internazionalizzazione delle imprese,
che impone loro di confrontarsi con realt diverse rispetto ai compe-
titor nazionali e quindi a ricercare nuove formule competitive;
la maggiore conoscenza acquisita dal consumatore in tema di caff
anche per effetto della maggiore diffusione dei sistemi monoporzio-
nati, che propongono una ricca variet di caff diversi, sia sotto
forma di monorigini, sia di miscele speciali.
Viene da chiedersi a questo punto: quali vie potrebbero percorrere i tor-
refattori per recuperare competitivit e dunque rilanciare quello che stato
il sistema caff espresso italiano?
Nel prossimo capitolo proveremo a fornire delle risposte a queste do-
mande.

377
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379
Appendice n.1 al Capitolo 8
La dinamicit del mercato coreano

Nascita ed evoluzione del mercato


In Corea del Sud la storia del caff relativamente recente. Le prime
importazioni risalgono agli anni Trenta del XX secolo, ma si pu parlare di
mercato del caff solo dopo gli anni Cinquanta (dopo la Guerra di Corea).
Nel 1968 viene inaugurato il primo stabilimento produttivo di caff (solubi-
le) per opera di Dong Su Food. Nel corso degli anni Settanta e Ottanta il
mercato cresce, ma rimane su livelli di scarsa rilevanza fino al 1999, anno
in cui Starbucks apre il primo coffee shop a Seul, inaugurando una nuova
fase, che dar un forte impulso allo sviluppo su larga scala del mercato.
Da allora esso ha fatto registrare una crescita esponenziale, probabil-
mente unica nelle sue dimensioni.
Secondo recenti stime il mercato coreano ha raggiunto nel 2011 i 3.691
miliardi di dollari; nel quinquennio 2007-2011 cresciuto del 137% (dai
1.558 miliardi di dollari nel 2007 Fig. A). Nel 2011 la Corea ha importato
1,94 milioni di sacchi di caff verde. Il consumo pro-capite ha superato la
soglia di 1 kg (contro una media della regione Asia-Pacifico di 0,2 kg) e si
stima che ogni persona adulta consuma in media 338 tazze di caff lanno
(J. Hyunjoo, Korean coffee craze may be hit b curbs, in Reuters, 20 Au-
gust 2012).

380
Fig. A Dinamica evolutiva del mercato del caff in Corea del Sud ($MLD)

4.000
3.500
1.366
3.000
2.500 969
706
2.000 555 886
436 705
1.500 517
363
1.000 280
1.129 1.263 1.439
500 841 995
-
2007 2008 2009 2010 2011
Coffee shop business RTD Solubile

Fonte: ns. elaborazione su dati Yunson Lee (2012).

Il maggior reddito disponibile in tandem con la rapida crescita economi-


ca fatta registrare dal Paese nel corso del decennio, nonch ladozione degli
stili di vita Occidentali hanno reso il caff una bevanda alla moda e molto
apprezzata soprattutto dai giovani consumatori.

Ripartizione del mercato del caff


A dominare la scena il caff solubile che tuttora rappresenta il 40%
del mercato, seguito dal comparto dei coffee shop con il 37% e dai cosid-
detti RTD (Ready to drink o anche caff in lattina) con il restante 24%
(Fig. B).

Fig. B Ripartizione del mercato del caff in Corea del Sud (dati 2011)

Solubile
39% RTD 24%

Coffee shop
business 37%

Fonte: ns. elaborazione su dati Yunson Lee (2012).

381
Mercato del Solubile
Leader indiscusso del comparto del caff solubile Dong Sang, con una
quota relativa pari all80%, seguita da Nestl con il 17% e a seguire da Mi-
nor e Dae Sang (Fig. C).

Fig. C Volumi di vendita di caff solubile dei principali players in Corea del Sud (ton)

505
100.000
868 2.473
1.151
2.030 15.745
80.000 2.110 14.363
14.824 DaeSang
60.000
Minor
Netl
40.000 74.975
67.540 DongSuh
60.096
20.000

-
2006 2007 2008

Fonte: ns. elaborazione su dati Yunson Lee (2012).

Al di l dellimportanza che questa tipologia di prodotto tuttora riveste


nel mercato home del caff, negli ultimi anni esso ha fatto registrare ritmi
di crescita inferiori rispetto alla media generale del mercato (si veda grafi-
co). Ci conseguenza dei seguenti tre fattori:
della maturit raggiunta da questo comparto;
della dinamicit mostrata dagli altri due comparti e in particolare da
quello dei coffee shop;
dalla maggior attenzione dei consumatori sia agli aspetti della qualit
del caff e sia agli aspetti salutari (soprattutto dopo lo scandalo della
contaminazione della Melamina del 2008).
Lo spostamento delle preferenze della domanda verso caff di maggiore
qualit, ha portato i main player del comparto a inserire nel loro portafoglio
prodotti caff solubili premium con elevata percentuale di Arabica (men-
tre tipicamente viene realizzato con elevate percentuali di caff Robusta)
fra cui Maxim Arabica 100, Tasters choice supremo, Maxim Well-
being Polyphenol Coffee, Tasters choice Wellbeing Coffee.

382
Alla maggiore sensibilit verso la qualit si aggiunto anche la maggio-
re attenzione verso aspetti salutistici che hanno disincentivato luso del so-
lubile, soprattutto per la presenza di additivi volti ad ammorbidire il gusto
del caff.

Mercato RTD
La Corea per dimensioni il secondo mercato asiatico, dopo il Giappo-
ne, del caff in lattina (anche Ready to Drink, RTD). Questo comparto sta
crescendo a ritmi superiori rispetto alla media settoriale; dal 2007 al 2011 i
RTD sono cresciuti del 216% (Fig. D).

Fig. D Crescita % del mercato caff nei vari comparti in Corea del Sud
42,4%

40,9%
37,4%
36,2%
45%
40%
29,6%
27,2%

27,2%

35%

25,7%

25,7%
24,9%
22,9%
22,8%

30%
18,2%

25%
14,0%
13,5%

11,9%

20%
15%
10%
5%
0%
2008/07 2009/08 2010/09 2011/10
Solubile RTD Coffee Shops Tot Mercato
Fonte: ns. elaborazione su Yunson Lee (2012) e US Foreign Agricultural Service (2011).

Tale crescita trainata dai prodotti premium, soprattutto a seguito della


maggior sofisticatezza acquisita dal consumatore, che frequenta i coffee shop
in modo sempre pi assiduo. Il main player di questo segmento Lotte
Chilsung Beverage Co. Ltd (che opera con pi brand, di cui il pi noto
Lets Be, seguito da Cantata, creato nel 2007 e rivolto ai giovani), che
detiene una quota mercato del 44%. Un altro attore importante del segmento
Dongsuh Food Co. Ltd, che presente con tre brand: Maxwell House
(con una quota dell8%), Starbucks Discoveries (lanciata nel 2007 e ha rag-
giunto una quota mercato del 3%) e TOP (lanciata nel 2008).

383
Pubblicit e packaging costituiscono i principali driver competitivi in
questo comparto; il look del packaging ad esempio ha particolare influenza
nel pubblico femminile, soprattutto se di giovane et e per questo le lattine
tendono ad avere forme slim e immagini trendy.
Un tendenza in atto negli ultimi anni quella di attivare collaborazioni
strategiche con i principali player di coffee shop (Starbucks, Coffee Bean &
Tea Leaf, Illy ecc.) per sviluppare insieme dei prodotti ad hoc, in distribu-
zione sia nel canale dei coffee shop e sia nel retail. Ci in quanto i consu-
matori hanno mostrato un attaccamento al brand delle catene molto pi for-
te rispetto a quello del prodotto tout court.

Mercato Coffee shop


Sono tuttavia le caffetterie il vero motore della crescita del mercato: dal
2007 al 2011 il volume daffari generato da questo comparto salito del
313% facendo crescere il suo peso specifico dal 28% (del 2007) al 37%
(del 2011).

Fig. E Importazioni caff torrefatto in Corea del Sud (ton)

6.000

5.000

4.000
5.438

3.000
4.471
3.533

2.000
3.080
2.520
1.610
1.211
1.034

1.000
803
814

-
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

Fonte: Yunson Lee (2012).

Il grande sviluppo avuto dai coffee shop riflesso anche dal trend delle
importazioni di caff tostato che, in dieci anni (dal 2002 al 2011), sono cre-
sciute del 570% (si veda Fig. E). Ad alimentare questa crescita hanno con-
corso soprattutto le principali catene di coffee shop, insieme alla diffusione
del monoporzionato. Interessante anche la dinamica della provenienza del

384
caff tostato: nel periodo esaminato (Fig. F), gli USA sono rimasti il prin-
cipale Paese esportatore, ma dietro loro la Svizzera ha soppiantato il Giap-
pone nella seconda posizione, mentre lItalia ha soppiantato il Brasile nella
terza (dati US Foreign Agricultural Service, 2011). Questa evoluzione de-
nota lo spostamento della domanda interna verso prodotti di maggiore qua-
lit e a maggior valore unitario.

Fig. F Principali Paesi di origine delle importaz di caff Tostato in Corea del Sud ($ Mi-
lioni 2005-2012)

250

200

150

100 206,21

50 73,17
20,468 6,507 12,112
0
Usa Italia Giappone Svizzera Brasile
Fonte: ns elaborazione su dati Yunson Lee (2012).

Che la Corea sia diventato un mercato importante per il caff espresso lo


dimostra il fatto che per Starbucks (Tab. A) esso il terzo mercato in ordi-
ne di importanza, dietro solo agli USA e al Giappone. Esistono dati discor-
danti sul numero di coffee shop presenti nel mercato; secondo alcune fonti
(C. Hammond, 2013) nella sola Seul esistono 17.000 coffee shop1, mentre
secondo altri studi (Samsung Economic Research Institute) a fine 2011 si
contavano 9.400 caffetterie in tutto il Paese; ogni giorno si aggiungono al-
meno 10 nuovi esercizi. Tutti gli studi confermano che Seul ha raggiunto
una densit di coffee shop (almeno il 40% di quelli presenti nel Paese) tal-
mente elevata che si oramai superata la soglia di saturazione; non esistono
vie senza caffetterie e anzi spesso pi coffee shop occupano piani diversi di
uno stesso edificio (come ad esempio avviene nel quartiere centrale di
Myungdong). Il fenomeno ha raggiunto un livello tale che nel giugno 2012
1
http://chincha.co.uk/2013/04/is-koreas-coffee-scene-on-the-verge.

385
lautorit antitrust intervenuta per regolamentare la concorrenza, impo-
nendo per le nuove aperture una distanza minima di 500 metri fra una caf-
fetteria e laltra.

La crescita delle caffetterie Indipendenti


Oltre alla fitta presenza di coffee shop di catene, sempre pi frequente
trovare gli indipendent i quali sono localizzati prevalentemente nelle aree
pi accessibili dal punto di vista degli affitti; essi danno cos luogo a vere e
proprie vie del caff (si veda ad esempio Hongdae a Seul) dove una mol-
titudine di caffetterie affiancate luna allaltra si fronteggiano sul piano del
servizio e dellofferta per accaparrarsi i migliori clienti. Molte di esse sono
anche dei microroasters, che tostano internamente il caff e coinvolgono i
clienti organizzando sessioni di cupping.
Lelevata concentrazione raggiunta ha alzato lasticella della sfida com-
petitiva fra i vari attori; latmosfera del locale (luoghi third place in cui
socializzare), che stata una delle prime leve sfruttate dalle caffetterie non
garantisce pi il successo. Le aspettative del consumatore coreano si sono
elevate e hanno coinvolto la qualit del servizio e del prodotto. Secondo al-
cuni analisti i coffee shop che non evolveranno il livello qualitativo del caf-
f offerto (premiumisation), avranno difficolt a sopravvivere, dal mo-
mento che un numero sempre maggiore di coreani sta acquisendo una buo-
na competenza valutativa del prodotto. Man mano che sale lo standard di
vita, i consumatori tendono a preferire prodotti premium e il caff non fa
eccezione sostiene Lee Kyoung-ju della Kor, analista presso la Korea In-
vestment & Securities la qualit la chiave del successo, sia se si tratta di
catene o di caffetterie indipendenti (Kyong-ae Choi, 2013). I coffee en-
thusiasts, ovvero gli entusiasti del buon caff crescono di giorno in giorno
e pretendono caff di qualit.

Tab. A Principali catene di Coffee shops presenti in Corea del Sud


Paese Numero Fatturato (M$)
Brand
dorigine Locali
Starbucks USA 455 298,2
Caf Bene Corea 730 167,5
Coffee Bean & Tea Leaf USA 244 133,8
Tom&Toms Corea 315 62,5
Hollys Corea 340 57,7
Caff Pascucci (SPC) Italia 190 n.d.

Fonte: Euromonitor International Cafs/Bars in South Korea, gennaio 2013.

386
Tutto ci ha alimentato una vera e propria corsa allacquisizione di
competenze tecniche sempre pi elevate; lo dimostra il numero di baristi e
operatori che si sono diplomati nei vari corsi di formazione organizzati dal-
lo SCAA e SCAE: la Corea il Paese che vanta il pi alto numero di Q-
graders (Fig. H) al mondo (722 contro i 227 degli USA) e il maggior nume-
ro di diplomati ai corsi SCAE. Molti di questi diplomati non hanno neanche
un proprio coffee shop, ma operano come dipendenti presso altri coffee
shop o presso le principali catene di caffetteria.

Peculiarit dei consumatori coreani


Una delle particolarit dei coreani che essi prediligono il caff ameri-
cano, ovvero caff (normalmente espresso) allungato con acqua calda; ol-
tre il 50% dei drink a base di caff serviti nei coffee shop sono infatti caff
americani. Una delle ragioni di questa preferenza secondo alcuni analisti
legata al Sungyung, una dolce bevanda tradizionale coreana realizzata
aggiungendo acqua calda al riso rosolato che ha un sapore leggermente to-
stato simile a quello del caff americano.
Unaltra caratteristica dei consumatori coreani che essi interpretano il
caff in modo diverso rispetto agli occidentali; infatti non frequentano le
caffetterie al mattino, ma nel tardo pomeriggio e nella serata. Ci lo si deve
al fatto che secondo la loro tradizione consumare il caff a stomaco vuoto
non considerato particolarmente salutare. Diversi coffee shop aprono solo
al pomeriggio e restano aperti fino alle 23. Al mattino i coreani preferisco-
no prendere la dose di caffeina attraverso i RTD dei convenience store.

Fig. G Trend numero di coffee shops in Corea del Sud

10.000
8.000
6.000
9.400
4.000
6.000
2.000
1.200
-
2006 2008 2011
Fonte: ns. elaborazione su dati Samsung Economic Research Institute (Park Min-Young,
2012).

387
Espansione allestero
A seguito dellintensa concorrenza interna che ha saturato il mercato in-
terno, diversi operatori coreani si sono buttati nella ricerca di nuove oppor-
tunit in altri Paesi. La pi grande catena domestica Caffe Bene ha recen-
temente aperto due caffetterie negli Stati Uniti e tre a Pechino (Cina). Nel
suo piano industriale sono previste ulteriori aperture in questi Paesi, e
lingresso in altri, come Giappone, Cambogia, Filippine e nel Medio Orien-
te. Su questo fronte ha recentemente siglato un accordo di partnership con
lazienda saudita Keden Group, per lapertura di 100 caffetterie nei mer-
cati del Kuwait, Qatar, Oman, Bahrain e negli Emirati Arabi. Il suo approc-
cio quello di esportare il concept di coffee shop coreano negli altri Paesi,
proponendo un men con prodotti tipici coreani.
Anche Hollys Coffee presente nel mercato cinese con due caffetterie
ha in programma lapertura di 22 caffetterie nei Paesi del Medio Oriente e
Asia. Essa ha siglato un accordo con lazienda saudita Sure Business per
aprire caffetteria a proprio marchio in Qatar, Bahrain e Kuwait. Sempre ri-
guardo questa catena, essa anche attiva nel continente Sudamericano: in
Per ha aperto due caffetterie e ha in programma di aprirne altre in Messico
e Cile, cos come anche in Russia ed Europa.

Fig. H Distribuzione del numero di diplomati al Q-grade fra i principali Paesi

800
700
600
500
400 722
300
200
100 227
97 84 11
78 69 60 39 18
-
Corea

Giappone

Kenia

Regno
Usa

Colombia

Brasile

Etiopia

Australia

Guatemala
Unito

Fonte: ns elaborazione su dati Choi, Kim e Kyonghess (2012).

388
Anche Ange-in-us ha mosso i passi dellinternazionalizzazione: nel
2008 ha aperto una caffetteria in Cina e ora ne ha 9 attive, a cui si affianca-
no le 4 in Vietnam e le tre in Indonesia.

Fonti bibliografiche
Comunicaff International (2013), South Korea Coffee market valued at US$ 3
billion in 2012, Year 11th, n. 32, 19 February.
Euromonitor International (2013), Cafs/Bars in South Korea, January.
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gust.
Junho Choi, Kim B.K., Shin Kyonghess (2012), Lecturer SCAA Emerging Mar-
kets: Korea, Boston 2012.
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ald, 21 August.
Yunson Lee (2012), Korea Coffee Market, in ICO Seminar, Terarosa Coffee.
US Foreign Agricultural Service (2011), Korea Coffee Market Brief Update, in
GAIN (Global Agricultural Information Network) Report N. KS1109 del 16-2-
11.

389
9. Le vie per il recupero della competitivit

di Maurizio Giuli e Federica Pascucci

9.1. Verso un nuovo sistema di business

La condizione competitiva che i torrefattori Ho.re.Ca. italiani stanno vi-


vendo negli ultimi anni ricorda quella che Kim e Mauborgne (2005) hanno
definito oceano rosso, e che Valdani (2003) chiama guerra di posizione
(anche detta guerra di trincea). Essa corrisponde allo stadio in cui le impre-
se, dopo aver consolidato la loro presenza nel mercato, attivano strategie di
market sharing che, attraverso manovre di prezzo o di valore, perseguono
la difesa delle proprie quote o la loro crescita a danno dei rivali. Le innova-
zioni in questa fase sono di carattere incrementale, volte a differenziare
lofferta piuttosto che a creare nuovi spazi di mercato. Questo stato competi-
tivo tende, da un lato, alla massimizzazione dellutilit marginale e dei bene-
fici conseguiti dal cliente, dallaltro a ridurre anche radicalmente la redditivi-
t delle aziende che vi operano e quindi lattrattivit del settore stesso.
Secondo una visione shumpeteriana della concorrenza (Valdani, 2003),
questa condizione sollecita le imprese a ricercare modalit per sviluppare
delle strategie di market creation, attraverso significative innovazioni alla
loro condotta tecnologica e di marketing per rinnovare le regole del gioco,
oppure ricercando nuovi mercati attraverso la generazione di innovazioni
rivoluzionarie, frutto dellaccumulo delle loro conoscenze e delle capacit
market driving.

Pur essendo frutto di riflessioni comuni, i paragrafi 9.1 e 9.2 sono stati curati da Maurizio
Giuli e i paragrafi 9.3 e 9.4 da Federica Pascucci.

390
Sostanzialmente la guerra di posizione dovrebbe essere preludio di
una guerra di movimento, la quale, sconvolgendo gli equilibri e le regole
del gioco esistenti sul mercato, genera nuove opportunit al settore, rivita-
lizzandolo e rigenerandolo (si veda Tab. 1).

Tab. 1 Modello degli stadi evolutivi della concorrenza

Guerra di movimento Guerra di imitazione Guerra di posizione


Condotta anticipazione del cambia- strategie di inseguimento strategie di market sharing
mento e strategie di crea-
zione di nuovi mercati
Certezza innovazione lunico per- lattesa dellapertura di prodotti e servizi hanno
corso per sottrarsi alle finestre strategiche la vita breve perch le condi-
guerre di posizione scelta pi opportuna zioni economiche e sociali
a cui essi contribuiscono
stanno diventando obsole-
te
Creazione del capacit di generazione e capacit di generazione e leverage della conoscenza
valore cogenerazione della cono- di leverage della cono- e delle risorse dellimpresa
scenza scenza
Modello di ma- scelta del come combat- dove combattere: Dove combattere
nagement tere, selezione e sviluppo - Concorrenza parassita- - Miglioramento continuo
delle capacit per guidare i ria dei processi
mercati come combattere: - Ristrutturazione
- Concorrenza incremen-
tale
- Concorrenza radicale
Armi: conoscenza, creativit, velocit di apprendimento prezzo, valore, prezzo e
immaginazione, velocit, valore
visioning
Fine: coevoluzione del settore implosione del settore
Scenario: convergenza intersettoria- evolutivo evoluzione verso lultima
le frontiera del valore

Fonte: Valdani (2003).

Questo innesca a sua volta la guerra di imitazione a cui normalmente


segue una nuova guerra di posizione, generando un ciclo evolutivo senza
fine (Fig. 1).

391
Il modello interpretativo qui tracciato risulta utile per comprendere la
genesi e levoluzione del modello di business dominante nel mercato caff
Ho.re.Ca.
Quando le prime torrefazioni hanno introdotto la pratica dellarric-
chimento dellofferta commerciale al barista attraverso la fornitura di servi-
zi accessori (allorigine rappresentati prevalentemente dalla fornitura di at-
trezzature in comodato duso), esse hanno dato luogo a una guerra di mo-
vimento. In quanto tale, ha generato loro significativi vantaggi in termini
di crescita e di rapida penetrazione di quote di mercato.

Fig. 1 Modello schematico degli stadi evolutivi della concorrenza secondo Valdani (2003)

Guerra di
Movimento

Guerra di Guerra di
Posizione Imitazione

Questi vantaggi hanno spinto altri competitor a imitare la stessa formula


(guerra di imitazione) e quindi a riprodurre lo stesso modello di business
attuato dai first movers. Ben presto la pratica si diffusa allintero setto-
re, divenendo di fatto una consuetudine e perdendo cos quel valore diffe-
renziale che ha permesso ai primi torrefattori di conseguire dei benefici.
Si entra allora nella fase di guerra di posizione, in cui nessuno trae pi
alcun vantaggio incrementale da tale politica; questa per divenuta una tat-
tica difensiva, quindi un modo per mantenere le proprie quote di mercato: in
altri termini, un dovere necessario per poter restare e operare nel mercato.
Questa la classica condizione in cui, secondo Kim e Mauborgne
(2005, 13), la concorrenza tinge loceano di rosso. Secondo gli autori, le
aziende intrappolate nelloceano rosso seguono un approccio tradizionale,
cercando freneticamente di battere la concorrenza ricavandosi una posizio-
ne difendibile nellambito dello status quo del settore. La ricerca del valore
tende a focalizzarsi sulla creazione di valore su scala incrementale,
unattivit che accresce il valore, ma non sufficiente a distinguere
unazienda dai concorrenti sul mercato (si veda Tab. 2).

392
Tab. 2 Confronto Strategie Oceano Rosso e Oceano Blu

Strategie a confronto
Strategia Oceano Rosso: Strategia Oceano Blu
1. Competere nellattuale spazio di mercato 1. Creare uno spazio di mercato incontestato
2. Battere la concorrenza 2. Aggirare la concorrenza
3. Sfruttare la domanda esistente 3. Creare e conquistare una nuova domanda
4. Assecondare il trade-off tra costo e valore 4. Spezzare il trade-off tra costo e valore
5. Allineare lintero sistema delle attivit 5. Allineare lintero sistema delle attivit
dellazienda con la sua scelta strategica a favore dellazienda con il doppio obiettivo della differen-
della differenziazione oppure del contenimento ziazione e del contenimento dei costi.
dei costi

Fonte: Kim e Mauborgne (2005, 21).

Secondo Peter Drucker (1985) le aziende tendono a competere le une


contro le altre osservando ci che fanno i concorrenti, ponendo il focus sul
benchmarking e sullobiettivo di battere la concorrenza. Ci conduce, se-
condo Kim e Mauborgne (1997), a un approccio imitativo, e non innovati-
vo al mercato.
Normalmente i presupposti alla base delle strategie tipiche delloceano
rosso, perseguite dalle aziende sono:
a) definire il proprio settore in modo uniforme e concentrarsi
sullobiettivo di essere le migliori tra tutte le aziende che apparten-
gono a esso;
b) analizzare il settore attraverso la lente dei gruppi strategici general-
mente accettati e fare di tutto per distinguersi allinterno di quelli di
cui fanno parte;
c) porre il focus sullo stesso gruppo di acquirenti, che si tratti degli ad-
detti agli acquisti, degli utilizzatori, o degli influenzatori;
d) definire in modo uniforme la gamma dei prodotti e servizi offerti dal
proprio settore;
e) nella formulazione della strategia, porre il focus sullo stesso contesto
temporale e spesso sulle attuali minacce competitive.
A seguito di queste strategie, si verifica un aumento della pressione sui
prezzi e un rafforzamento del processo di trasformazione dei beni e servizi in
commodity che finisce per abbattere le prospettive di profitto e di crescita.

393
Secondo la visione shumpeteriana, che alla base dei modelli proposti
da questi autori, tutto ci dovrebbe dar luogo a un nuovo step innovativo
che innesca un nuovo ciclo e quindi secondo Valdani1, a una nuova guerra
di movimento, a cui segue una guerra di imitazione e poi di nuovo una
guerra di posizione.
La guerra di movimento si innesca normalmente al verificarsi dei se-
guenti eventi:
quando una impresa gi presente in un settore apporta uninnovazione
significativa e altera le regole del gioco o quando una impresa esterna
vi entra con uninnovazione tecnologica;
quando uninvenzione rivoluzionaria viene generata da una impresa
che riesce, con una nuova tecnologia, a creare un mercato completa-
mente nuovo, che soddisfa un bisogno incipiente o latente della sua
clientela.
Su questo fronte possiamo ritenere che negli Stati Uniti larrivo sulla
scena di Starbucks con il suo innovativo modello di business, fondato sulle
caffetterie in stile italiano (e quindi sulla contestualizzazione del caff nel
concetto di third place), abbia rappresentato una guerra di movimento,
che ha sconvolto i vecchi assetti, cos come ora, larrivo sul mercato dei si-
stemi monoporzionato, e in particolare alla sua forza di penetrazione a ope-
ra di grandi players come Nespresso, Green Mountain Coffeee, D.E. Ma-
sterblend, Lavazza ecc. rappresenta un grande fattore di discontinuit desti-
nato a cambiare radicalmente le regole del gioco.
Gary Hamel (1998 e 2000) ha sostenuto che il successo dipende dalla ca-
pacit di evitare la concorrenza e di reinventare il modello attualmente in uso
nel settore, sia per i nuovi arrivati sia per i player consolidati. In unopera
successiva lautore ritiene che la formula giusta per il successo non sia quella
di posizionarsi rispetto alla concorrenza, ma piuttosto di aggirarla.

1
Secondo lautore in un contesto di ipercompetizione, questa sequenza lineare pu essere
sconvolta. Infatti come egli stesso afferma: Mentre nella tradizionale concorrenza smithia-
na levoluzione della dinamica competitiva veniva descritta con strumenti quali il ciclo di
vita del prodotto, nella concorrenza shumpeteriana, ipercompetitiva, il significato stesso di
ciclo di vita inteso quale arco temporale esteso in cui si evolve la domanda e lofferta trova
difficile applicazione. [] Se la velocit della circolarit evolutiva degli stati di guerra rap-
presenta una caratteristica significativa dellipercompetizione possibile rilevare un secon-
do elemento di specificit: le discontinuit di circolarit. Tali discontinuit si manifestano
con: -) salti competitivi di uno stato di guerra, con un passaggio repentino dalla guerra di
movimento a quella di posizione, saltando quella di imitazione; -) salti tautologici, quando la
risposta imitativa dei rivali pu caratterizzarsi per un contenuto ancor pi innovativo tale da
generare una nuova guerra di movimento (Valdani, 1995, 18).

394
Kim e Mauborgne (2005) parlano di oceano blu, facendo riferimento
a quelle strategie attuate dalle imprese che, anzich usare i concorrenti co-
me benchmark, perseguono una logica di value innovation: invece di
concentrarsi sullobiettivo di battere la concorrenza, esse cercano di neutra-
lizzarla offrendo agli acquirenti stessa un aumento significativo del valore
e, dunque, aprendo uno spazio di mercato nuovo e incontrastato.
Un caso che gli stessi autori citano nel loro lavoro, come esempio di
aziende che hanno perseguito una strategia di oceano blu, per lappunto
Starbucks, la quale ha rivoluzionato il settore del caff negli Stati Uniti
(come anche in altri Paesi), spostando il focus dalla vendita del caff per
luso quotidiano allatmosfera carica di emotivit in cui i clienti si godono
la loro bevanda (Third place).
Sulla base di questi modelli si pu ipotizzare che, anche nel mercato ita-
liano del caff, sia in arrivo uninnovazione radicale, la quale, rompendo gli
schemi e sconvolgendo le regole competitive attuali, rivitalizza il settore,
con nuovi presupposti, al pari di quanto avvenuto negli Stati Uniti con
lavvento di Starbucks prima e della Third wave poi.
Bisogna altres rilevare che quando non c evoluzione, n reattivit da
parte delle imprese operanti nel settore, il cambiamento assume la forma di
nuovo paradigma, attuato da imprese esterne o fino ad allora a esso margi-
nali, le quali inevitabilmente ridimensionano lo spazio di quelle apparte-
nenti al vecchio paradigma. Questo quanto avvenuto nel mercato del caff
doltreoceano in cui la successione delle ondate (prima, seconda e terza) ha
rimodellato il business e proposto di volta in volta nuovi protagonisti.
Ignorare lesigenza di cambiamento di un modello di business, che pur
avendo generato in passato dei frutti, mostra ora tutti i suoi limiti e con-
traddizioni, costituisce per le torrefazioni italiane un atto di miopia strategi-
ca e una seria minaccia alla loro sostenibilit futura.
Come afferma Hamel (1998), non si pu creare il futuro usando i vec-
chi strumenti strategici, per cui se gli attuali attori del mercato non saran-
no in grado di cambiare i loro strumenti, saranno nuovi attori che entreran-
no e li cambieranno.

9.2. Le direttrici per il rilancio del caff nellHo.Re.Ca.

Dopo aver compreso le ragioni per le quali necessario superare


lattuale modello di business, spontaneo domandarsi quali siano le dire-
zioni in cui agire e quali siano gli spazi di azione per superare lattuale mo-
dello di business.

395
Nel corso dellanalisi della domanda italiana emerso in modo eloquen-
te che il mercato interno saturo da un punto di vista di volumi e dunque la
sola possibilit di crescita settoriale risiede nel cosiddetto upselling, ov-
vero nello spostamento dellofferta verso comparti a maggiore valore ag-
giunto.
Lofferta di caff al bar per sua natura a elevato contenuto di servizio
ed per questo unofferta ad alto valore aggiunto. Tuttavia, la consolidata
staticit che lha caratterizzato negli ultimi decenni ha finito per renderlo
vulnerabile, soprattutto nei confronti delle emergenti forme di consumo.
Dal punto di vista del consumatore infatti c stato un assottigliamento del
differenziale di valore percepito fra lofferta del bar e quella di altre forme
di consumo, e in particolare del monoporzionato (inteso sia come OCS, sia
come consumo domestico) e per questo si verificata una progressiva ero-
sione dei consumi del bar. Occorre quindi riqualificare il sistema di offerta
di questo canale in modo tale da riallungare la distanza percettiva con ogni
altra forma di consumo.
Per raggiungere questo obiettivo occorre lavorare sui seguenti tre fronti,
che di seguito analizzeremo in dettaglio:
A. sul bar;
B. sul consumatore;
C. sul prodotto caff.

A. Il fronte del bar


Per quanto riguarda il bar occorre rimuovere tutti quei fattori che lo
hanno reso un soggetto economicamente debole.
Innanzitutto necessario creare le condizioni affinch questo genere di
attivit economica torni a essere sufficientemente redditizia; leccessiva
frammentazione che contraddistingue il settore ha finito per assottigliare i
volumi medi di vendita, che secondo recenti stime equivalgono a circa
115.000 euro annui; un valore questo che non garantisce un livello di mar-
ginalit adeguato alla sopravvivenza degli esercizi. Fra linizio degli anni
Ottanta (periodo in cui il settore aveva gi raggiunto uno stadio di maturit)
e oggi, il numero di bar passato da 119.000 a 165.9482, ovvero il 38% in
pi. Nello stesso arco temporale la popolazione cresciuta del 4% (passan-
do da 57,8 milioni a 60,3 milioni di persone); ci significa che si intensi-
ficata la densit dei bar da 2,1 a 2,7 ogni 1.000 abitanti.
2
Dati relativi a giugno 2013 tratti da N. Rossi, Bar Giornale, ottobre 2013. Secondo altre
fonti il numero di esercizi nello stesso periodo passato da 110.795 del 1981 a 148.513
(+ 34%) (Fipe 2012, Istat 1971-2001 con proiezioni su dati Infocamere).

396
Nonostante il bar nel corso di questi anni abbia cercato di diversificarsi,
inserendo nuove merceologie e nuovi servizi (fra cui quella dei pasti velo-
ci3, dellhappy hour, dei giochi, delle slot machine ecc.), divenendo cos
una realt sempre pi poliedrica, tuttavia, lincidenza del reparto caffetteria
sul fatturato complessivo rimasta pressoch immutata. Questo significa
che i nuovi servizi, a livello aggregato, non sono riusciti a espandere il fat-
turato dellimpresa (ma hanno compensato il calo di altre merceologie),
poich nel frattempo c stata quella che Pellegrini definisce unesplosione
dei punti di consumo4. Come sostiene Lugli infatti, si affermata una
nuova forma di competizione fra imprese orientata alla ricerca dellam-
pliamento del proprio mercato attraverso azioni mirate a sottrarre clientela
a imprese che operano in settori diversi (intertype competition) (Lugli,
2004). Si assistito quindi a profonde trasformazioni dei canali di sommi-
nistrazione secondo cui i bar si sono trasformati in ristoranti veloci, o in
luoghi di intrattenimento, le pizzerie in ristoranti, i fast food in bar (si veda
ad esempio il caso di Mc Donalds con la formula del Mc Caf5) e cos via.
In questo quadro, come ha segnalato Manuela Falchero sulla rivista Mixer,
i bar tradizionali devono fare i conti con nuovi e ingombranti competitor:
grandi insegne scese in campo per conquistare fette importanti del mercato
della caffetteria. Se in passato la competizione si scatenava soprattutto
allinterno dei canali tra i diversi formati (intratype competition), ora esi-

3
Secondo Fipe molto cresciuta lofferta di pasti, cos come quella di intrattenimento. Tutto
ci ha dato vita a specifici format come il lunch bar o levening bar.
4
Il fenomeno pi evidente afferma Pellegrini lesplosione dei punti di consumo. Tante
le cause: la liberalizzazione, il boom del vending, libridazione delle formule. Questultimo
fattore forse laspetto pi innovativo: da un lato gli operatori dellHo.Re.Ca. hanno comin-
ciato a entrare nella GDO: il caso per esempio di Starbucks, che oramai ricava il 10% del suo
fatturato dalla vendita nei supermercati dei suoi prodotti. Dallaltro, le aziende del food si dedi-
cano sempre di pi al fuori casa: Ikea, per esempio ricava quasi il 5% del suo fatturato dai ri-
storanti interni, senza contare il cibo da asporto. Carrefour Planet permette di consumare
allinterno del centro commercicale (A. Mongilardi, 2012).
5
McDonalds nel settembre 2013 ha annunciato ufficialmente il proprio ingresso nel merca-
to della colazione fuori casa, rendendo disponibile presso 300 degli oltre 460 ristoranti pre-
senti sul territorio nazionale la colazione che non cera. In buona sostanza, con questa ini-
ziativa linsegna propone unofferta ampia e completa che, oltre ai tradizionali caff e cap-
puccini da gustare con croissant e muffin, include numerose altre varianti che spaziano
dallabbinata yogurt e frutta al classico pane, burro e marmellata, passando per pancake con
sciroppi. Come ha dichiarato Marco Ferrero, direttore marketing e comunicazione di Mc
Donalds Italia, intendiamo intercettare sia i nostri attuali consumatori che avranno la pos-
sibilit di trovare una proposta anche a colazione, sia nuovi clienti consumatori o meno di
colazioni fuori casa (Falchero, 2013, Mixer, 20-26).

397
ste una sostituibilit crescente tra i diversi canali (intertype competition)6.
Questa nuova dimensione di intertype competition, sostiene M. Cardinali
(2007) ha finito per intensificare la convergenza tra i vari comparti e allar-
gare gli orizzonti della competizione a soggetti che in passato non erano
considerati competitor.
Da ci consegue che gli effetti della diversificazione attuata dal bar ver-
so nuove merceologie si diluita per la simultanea proliferazione dei punti
di somministrazione di bevande e cibi, che secondo uno studio di TradeLab
presentato da Pellegrini (2010) (si veda Tab. 3) nel 2010 aveva raggiunto
quota 549.000 a cui vanno aggiunti i 2 milioni di distributori automatici
presenti sul territorio.

Tab. 3 Numero di punti di consumo fuori casa presenti in Italia


Fuori casa N. pdc
Bar indipendenti 136.000
Ristanti con somministrazione 112.000
Ristoranti senza somministrazione 26.000
Ristoranti e bar in catena 3.600
Gelaterie pure e gelaterie/pasticcerie 12.200
Discoteche 1.300
Totale 291.100
Distributori automatici 2.000.000
Ristorazione collettiva 8.800
Totale 2.008.800
Potenziali luoghi di offerta food&beverage
Utilities 135.000
Prossimit food 43.700
Benessere 51.000
Sport 3.700
Entertainment/edutainment 16.600
Totale 250.000

Fonte: Pellegrini (2010).

6
Come rileva Lugli, la competizione per allargare il mercato (intertype competition) si
caratterizza, rispetto alla competizione per la quota (intratype competition), sotto diversi
profili; in particolare: 1) il grado di eterogeneit/omogeneit dei rivali; 2) la lentezza/rapidit
dellimitazione delle azioni di marketing; 3) il maggior/minor coinvolgimento delle altre
funzioni aziendali; 4) lintegrazione (co-opetition)/isolamento nella gestione del rapporto col
mercato (Lugli, 2004).

398
In questo quadro, per quanto siano cambiate le formule, la caffetteria
rimasta il prodotto di punta del bar, come conferma Lino Stoppani, presi-
dente di Fipe-Confcommercio, secondo cui non solo il caff una delle
parti pi importanti del fatturato di un bar, ma anche un elemento decisi-
vo7. Nadia Rossi, giornalista ed esperta del settore, aggiunge: se vero
che il bar italiano si diversifica sempre pi, cogliendo e lanciando nuove
tendenze, focalizzate in primo luogo sullofferta alimentare e sullintrat-
tenimento, altrettanto vero che la caffetteria rimane il punto di forza del
locale medio, di cui rappresenta un terzo circa del volume daffari8.
In un contesto in cui il consumo medio di caff nel canale sceso sensi-
bilmente, ma non il suo peso percentuale sul fatturato, significa che
lampliamento dellofferta a nuove merceologie e servizi non ha giustifica-
to la maggiore densit di bar sul territorio.
Riportare la densit di questa tipologia di locali ai valori dei primi anni
Ottanta significa far scendere il numero di esercizi di almeno 45.000 unit;
un calo del 25% dei bar permetterebbe a quelli rimanenti di recuperare
margini di fatturato e soprattutto di redditivit. Inoltre, verosimilmente
creerebbe le condizioni per generare forme di consolidamento e dunque at-
tenuare uno dei limiti che contraddistingue il comparto nazionale, ovvero la
micro dimensione9.
Qualcuno potrebbe a questo punto chiedersi se sia necessaria la reintro-
duzione della regolamentazione delle licenze, abolita con il Decreto Ber-
sani del 2006. Dallanalisi condotta nel corso del presente lavoro risulta
chiaro e inequivocabile che ogni tentativo volto a generare o a proteggere
qualsiasi forma di rendita ricardiana porta nel medio termine
allinesorabile indebolimento competitivo delle realt che compongono il
sistema economico, poich finisce per ostacolare ogni forma di rinnova-
mento. Lassenza di evoluzione in un contesto economico, che per sua
stessa natura dinamico, significa andare incontro allannichilimento setto-
riale. La regolamentazione delle licenze rientra in questa fattispecie di mi-
sure e risulterebbe pertanto controproducente la sua reintroduzione.
Occorre invece riattivare le forze del mercato permettendo allo stesso di
ricreare le condizioni di efficienza attraverso leliminazione di tutte quelle
realt marginali che non hanno ragione di esistere.

7
N. Rossi, Bar Giornale, ottobre 2013, 72-73.
8
Ibidem.
9
Se infatti ad un calo del numero di punti vendita corrispondesse un processo di aggrega-
zione e consolidamento delle imprese si otterrebbe un settore pi strutturato ed economica-
mente pi forte.

399
Il vero punto, quindi, come agire per rivitalizzare il ruolo dei bar?
Innanzitutto necessario chiudere i rubinetti alla pratica del finan-
ziamento attuata dai torrefattori, che, come abbiamo visto, fra le prin-
cipali cause dellindebolimento e del declino del bar.
Essa infatti ha come conseguenza diretta una sensibile maggiorazione del
prezzo di fornitura del caff, che finisce per assottigliare i margini di mano-
vra per il recupero di competitivit da parte degli esercizi pi efficienti. Per
questa ragione i bar italiani non possono, per esempio, rappresentare un pun-
to vendita specializzato di caff, contrariamente a quanto avviene in molti
altri Paesi.
I minori spazi di manovra sono dovuti anche al fatto che le aziende vir-
tuose si trovano a pagare le inefficienze di quelle pi deboli che, per la loro
incapacit non riescono a rimanere in vita il tempo necessario per completare
lammortamento dellinvestimento iniziale realizzato dal torrefattore. Queste
perdite ricadono inevitabilmente sui clienti pi efficienti attraverso una mag-
giorazione di prezzo del prodotto superiore rispetto alla qualit ricevuta.
Leccessivo costo del caff, favorisce fra laltro comportamenti opportu-
nistici da parte dei baristi meno qualificati, che usano ricorrere a canali di
fornitura alternativi (come Cash&Carry e GDO) per conseguire economie di
acquisto, anche a discapito della qualit complessiva e quindi dequalifican-
do ulteriormente il settore.
Inoltre, la presenza di forme di finanziamento, sia diretto (attraverso ad
esempio la formula degli sconti anticipati sul caff acquistato), che indiretto
(come la fornitura a titolo gratuito di attrezzature e servizi accessori), si tra-
duce nellannullamento di ogni forma di scrematura del mercato; la perce-
zione di un rischio dimpresa attenuato finisce per attrarre figure professio-
nali poco qualificate, che squalificano lofferta e indeboliscono lintero
comparto.
Per tutte queste ragioni, auspicabile che i torrefattori italiani spostino il
focus della loro proposta commerciale dai servizi accessori forniti ai bar,
al prodotto e dunque al core-business.
Un secondo fronte su cui agire per rafforzare la capacit competitiva del
bar quello della riqualificazione professionale degli operatori. Risulta
infatti paradossale che in Italia10, in cui oltretutto la figura del barista rive-

10
In un contesto competitivo diverso, probabilmente non sarebbe necessaria una normativa
che disciplini un percorso formativo qualificato, in quanto la scarsa professionalit del bari-
sta si tradurrebbe in una debolezza competitiva del soggetto economico che ne fa ricorso, a
vantaggio dei concorrenti che offrono un servizio di migliore qualit. Tuttavia, per le moti-

400
ste anche un ruolo simbolico (in quanto costituisce unicona della nostra
cultura nel mondo) non sia richiesta alcuna particolare qualifica professio-
nale per svolgere tale lavoro. Ne conseguita una palese dequalificazione
del mestiere; lo dimostra il fatto che oggi sono attirati da questo lavoro pre-
valentemente soggetti disposti ad accettare basse remunerazioni, come ad
esempio, immigrati, studenti e disoccupati11. Tutto ci porta a un basso li-
vello qualitativo del servizio erogato: sono pochi i baristi che conoscono a
fondo il prodotto caff e ancora meno sono quelli in grado di fornire un
cappuccino attraente da un punto di vista visivo e gustativo; il termine lat-
te art nel pi dei casi unespressione priva di significato, quando invece
in altri Paesi sta diventando uno standard del servizio nei coffee shop. La
manutenzione e ligiene delle attrezzature sono spesso altri tab che acco-
munano la maggior parte dei baristi.
Del resto non esistono in Italia strutture formative qualificate in cui po-
ter acquisire le competenze necessarie per svolgere in modo professionale il
mestiere di barista; le stesse scuole alberghiere risultano poco adeguate, in
quanto nei loro programmi formativi vengono privilegiati gli insegnamenti
relativi alle attivit di cuoco, di cameriere di sala, di sommelier, di portine-
ria di hotel, di barman12 (da non confondere con il barista) mentre viene de-
dicata scarsa attenzione verso le tematiche del caff e lattivit di barista.
Occorre allora attivare tutta una serie di misure volte a riqualificare la
professione del barista, condizione fondamentale per il rilancio dellintero
settore, perch una maggiore professionalit corrisponde a un servizio dagli
standard qualitativi notevolmente superiori e dunque un maggior valore
fornito al consumatore.
Su quali azioni svolgere per raggiungere questo obiettivo lasciamo ad
altri soggetti esprimersi e in particolare, quelli che istituzionalmente sono
preposti a questo genere di attivit, come le associazioni di categoria. In
questa sede ci limitiamo a elencare, a titolo esemplificativo, alcune delle
iniziative che potrebbero rientrare in questa fattispecie:

vazioni esaminate nel corso dei precedenti capitoli, questa condizione non si verifica
nellattuale contesto italiano.
11
Nel corso degli anni la presenza degli stranieri non cresciuta soltanto tra gli imprenditori
ma molto di pi tra i lavoratori dipendenti. Attualmente la quota di lavoratori stranieri sul
totale del 22% secondo dati Inps.
12
Il Grande Dizionario Italiano Hoepli definisce Barman come colui che addetto alla
preparazione di cocktail in un locale pubblico, mentre Barista colui che serve al banco di
un bar. Nellaccezione internazionale il termine Barista sta ad indicare la figura
delloperatore addetto alla preparazione delle bevande a base di caff.

401
una prima area di intervento potrebbe consistere nella creazione di
scuole e centri di formazione dedicati, svincolati dai singoli torre-
fattori13, capaci di trasmettere le competenze professionali del bravo
barista. La presenza di percorsi selettivi, con prove desame a pi li-
velli, contribuirebbe a individuare e valorizzare le migliori figure;
una seconda area di intervento potrebbe essere diretta a creare uno
status a quei baristi che hanno realizzato un percorso formativo par-
ticolarmente qualificato e che si siano distinti per le elevate compe-
tenze professionali; una sorta di graduatoria meritocratica che sia ri-
conosciuta anche in termini professionali e retributivi. Essa pu esse-
re realizzata in vari modi, non ultimo attraverso delle competizioni,
come quelle legate al circuito del World Coffee Events14, che gi in
altri Paesi contribuiscono a valorizzare i baristi che raggiungono po-
sizioni di vertice. Possono anche essere identificati percorsi alterna-
tivi, purch basati su validi principi meritocratici;
oltre a qualificare e creare status ai baristi, occorre anche agire in di-
rezione dei bar per orientare il consumatore verso quelli pi qualifi-
cati. Occorre allora realizzare dei concorsi e delle guide dei migliori
bar italiani, una sorta di Guida Michelin dedicata al caff, in cui i
giudizi di valutatori professionisti si confrontano con quelli dei con-
sumatori qualificati (che abbiano cio acquisito una certa competen-
za valutativa del caff avendo partecipato a corsi specializzati). Le
piattaforme social e le applicazioni per dispositivi mobile possono
fornire un valido contributo alla loro diffusione fra i consumatori.
Tali guide possono avere una loro utilit se ufficiali (e quindi ricono-
sciute dai vari operatori), autorevoli (ovvero obiettive nelle valuta-
zioni) e soprattutto se sganciate da ogni logica commerciale e di sov-
venzionamento da parte di singoli torrefattori o di altre imprese del

13
Abbiamo gi visto che nellultimo decennio c stata una proliferazione di scuole del caff
da parte dei torrefattori. Tali scuole tuttavia, al di l dellappellativo con cui vengono chia-
mate (Universit, Accademia, Master, Scuola ecc.) rispondono a logiche di marketing e di
comunicazione, essendo soprattutto orientate ad indottrinare e fidelizzare il barista, piuttosto
che fornire una vera e propria formazione obiettiva.
14
World Coffee Events (WCE) is the premier producer of events for the coffee community
worldwide. Our mission is to develop events that engage the specialty coffee community
and promote coffee excellence. WCE is founded by the Speciality Coffee Association of
Europe and the Specialty Coffee Association of America. In particolare si occupa
dellorganizzazione dei campionati mondiali di: World Coffee Roasting; World Brewers
Cup, World Cup Tasters, Ibrik championship, World Coffee in Good Spirits, World
Latte Art, World Barista Championship. Per maggiori dettagli si rimanda al sito ufficiale:
www.worldcoffeevents.org.

402
settore. In caso contrario, liniziativa rischierebbe di aggiungersi a
una delle tante gi presenti sul mercato che riscuotono scarsa consi-
derazione da parte dei consumatori, perch rispondono pi a logiche
di marketing e di promozione di un brand (a volte anche in forma
subdola), piuttosto che di servizio informativo per il consumatore.
Uno degli obiettivi che la guida dovrebbe fornire quello di alimen-
tare una sorta di competizione fra i bar per acquisire e difendere pun-
teggi elevati.
Per riqualificare la propria attivit il bar dovrebbe inoltre uscire dalla
logica dellofferta unica, per proporre al consumatore una maggiore va-
riet di caff, differenziati sia dal punto di vista aromatico che di prezzo15.
Non pi quindi una proposta indistinta come quella attuale, che inevitabil-
mente risulta essere price sensitive, bens unofferta pi articolata, capace
di garantire al consumatore unofferta pi attinente alle sue preferenze e ta-
le da giustificare una differenziazione dei prezzi. La possibilit di uscire dal
prezzo unico significa per il barista avere maggiori margini di manovra
per qualificare la propria offerta e per garantire al tempo stesso competitivi-
t e marginalit.
Chiaramente, non tutte le tipologie di bar esistenti presentano le mede-
sime esigenze in termini di caff, per cui anche la loro propensione a rimo-
dulare lofferta risulter eterogenea; gi oggi ad esempio negli evening
bar la caffetteria riveste un ruolo meno importante rispetto a quello svolto
nei morning bar. Quindi plausibile ipotizzare che emergeranno nuovi
format rivolti a una clientela sempre pi specializzata e qualificata16.
Il bar potrebbe allora uscire dalla logica dellesclusivit nei confronti
di un solo torrefattore per divenire un centro di eccellenza; al pari di un
bravo chef che seleziona i migliori ingredienti per preparare le proprie ri-
cette, cos il barista dovrebbe scegliersi i caff con cui erogare il servizio al
cliente. Tale scelta dovrebbe avvenire su basi qualitative e quindi attraverso
15
Secondo alcuni operatori interpellati, il bar dovrebbe offrire anche caff ottenuto con me-
todi di estrazione alternativi allespresso.
16
Su questo fronte bene evidenziare che, da un analisi sulle diverse modalit con cui il
consumatore italiano utilizza il bar per soddisfare i suoi consumi alimentari, emerso che
solo il 22,5% delle persone dichiara di aver frequentato questo genere di esercizio commer-
ciale per soddisfare esclusivamente un unico momento di consumo (fra questi il 23,5% per
la colazione, il 19,7% per il dopo cena, il 16,1% per la pausa pomeridiana, il 15,8% per
lhappy hour, il 13,4% per la pausa mattutina e l11,5% per il lunch). Il restante 77,5% delle
persone frequenta il bar in modo pi diffuso, equamente ripartito fra chi frequenta il bar in 2
o 3 momenti di consumo e chi lo frequenta in forma decisamente pi generalista (4-6 diversi
momenti). Questo significa che per almeno tre consumatori su quattro il bar un luogo mul-
tifunzionale (Ibidem, 35).

403
unadeguata competenza professionale volta a valutare la qualit delle di-
verse proposte. Ne conseguirebbe, da un lato, unevoluzione del rapporto
fra bar e consumatore, che permetterebbe a questultimo di poter contare su
una vasta scelta e, dallaltro, un cambiamento sostanziale del rapporto fra
torrefattore e bar, non pi basato su logiche coercitive (come i contratti in
esclusiva), ma su valori qualitativi, che stimolino i produttori a fronteggiar-
si attraverso la leva del prodotto. Laddove infatti il barista ha la competenza
necessaria per valutare il caff, difficilmente sar disposto ad accettare costi
superiori alla qualit ricevuta.
Secondo Cardinali (2007) in prospettiva la destrutturazione dei consumi,
la loro terziarizzazione17 e la diffusione di nuovi stili di vita favoriranno
lulteriore intensificazione della competizione intertype, come gi avviene
ad esempio per quanto riguarda panetterie, latterie e macellerie diventate
bar o ristoranti. Secondo Pellegrini18 anche le grandi insegne della GDO e i
nuovi attori, i cosiddetti punti non convenzionali (come banche, palestre
ecc.) potrebbero in futuro entrare nello spazio di consumo attualmente oc-
cupato dai bar per attrarre nuova clientela o per offrire un miglior servizio a
quella attuale19. Un esempio in tal senso ci offerto dalla Feltrinelli, storica
casa editrice e anche catena di librerie, che nel 2012 ha dato vita al formato
RED (acronimo di Read, Eat, Dream)20, un ibrido che associa il piacere
della lettura a quello di cibo, e ha riposizionato lofferta della libreria, che
stava registrando un declino della vendita dei libri. Nonostante che il nostro
Paese sia profondamente legato alle sue tradizioni, secondo alcuni autori
(Lugli, 2004; Cardinali, 2007) anche il settore Ho.Re.Ca. italiano desti-
nato a modernizzarsi per colmare, almeno in parte, il ritardo strutturale
accumulato nei confronti dei Paesi commercialmente pi evoluti21 (Fig. 2);
17
Quando si parla di terziarizzazione delleconomia ci si riferisce alla crescita della quota
di spesa destinata agli acquisti immateriali sui consumi totali delle famiglie.
18
A. Mongilardi, Fuori Casa: si rimescolano le carte e si moltiplicano i punti di consumo,
19 giugno 2012.
19
Ci pu avvenire con due possibili declinazioni: la cosa pi semplice sarebbe mettere un
bar che soddisfa la semplice esigenza di servizio. Ma potrebbe, se ben progettato e ben ge-
stito, diventare addirittura un elemento capace di attrarre nuova clientela, puntando sulla sua
capacit di offrire unesperienza di qualit in un ambiente insolito (Ibidem).
20
Prime aperture a Roma a luglio 2012, quindi a Parma e nel settembre 2013 a Milano. La
formula prevede infatti che allinterno del negozio coesistono una libreria, un reparto di car-
toleria e oggettistica, unarea food destinata ad ospitare alimenti e vini della tradizione ita-
liana e uno spazio interamente dedicato alla ristorazione e caffetteria. Il format rappresenta
un asset importante nella politica espansiva di Feltrinelli come testimonia il piano di apertu-
re in programma in molte citt italiane.
21
Secondo questi autori, sulla base di uno studio effettuato da Foodservice Intelligence, il
nostro paese ha accumulato un gap temporale di almeno 20 anni (contro i 17 anni della

404
in altri termini avverr quanto gi accaduto nei decenni passati nel settore
distributivo grocery, in cui la moderna GDO ha in parte soppiantato la
distribuzione tradizionale.

Fig. 2 Anni di ritardo in termini di diffusione della ristorazione moderna rispetto agli Usa

25
Italia; 20
20 Germania; 17
Spagna; 15
Anni di ritardo

15
Francia; 10
10
UK; 5
5
USA; 0
0

Fonte: Cardinali (2007).

A conferma di questa evoluzione si possono gi cogliere alcuni segnali


di cambiamento, fra cui:
il moltiplicarsi di iniziative di integrazione a valle da parte dei tor-
refattori attraverso il ricorso alla formula del franchising, come nei
casi di Dersuit con La Bottega del Caff Dersuit, Italiana Caff,
Caff & Giornali, Caff Light Dersuit, Illy con Espressamente
Illy, Lavazza con Espression Lavazza e Il Caff di Roma, Pa-
scucci torrefazione con Caff Pascucci shop, Casa del caff Ver-
gnano con Caff Vergnano 1882, Goppion Caff con Goppion
Caffetteria, Linos coffee con Linos Coffee, Segafredo Zanetti,
con Segafredo Zanetti Espresso ecc.;
i tentativi da parte di diversi operatori nazionali (fra cui Autogrill,
gruppo Sarni ecc.) di trasformare le insegne in veri e propri marchi22
attraverso processi di rinnovamento dei formati di somministrazione
e forti investimenti in marketing. Il gruppo Autogrill (Falchero,

Germania, i 15 anni della Spagna, i 10 della Francia ed i 5 del Regno Unito) rispetto agli
Stati Uniti, Paese allavanguardia su questo fronte.
22
Ci significa trasformare le insegne in brand forti e riconoscibili dal consumatore finale.
Si pensi al riguardo allinsegna Brek del gruppo PAM, allinsegna Rita di CirFood.

405
2013), ad esempio, ha creato dei format ad hoc per rispondere in mo-
do pi incisivo alle variegate esigenze espresse dai consumatori; cos
ha sviluppato:
Puro Gusto, formula che fonde il modello del bar allitaliana
con quello della tradizione angloamericana, pensato per una clien-
tela cosmopolita e multiculturale tipica delle grandi citt e dei
centri commerciali;
Motta Caff Bar, che ripropone in chiave moderna latmosfera
dello storico caff milanese, con una cura nella selezione dei pro-
dotti, unambientazione classica ed elegante e la presenza di spazi
per laggregazione;
Bistrot Milano centrale, un format dal forte sapore retr, carat-
terizzato da un layout che rievoca latmosfera tipica dei mercati
coperti, dove possibile degustare un autentico caff napoletano
preparato nella tradizionale cuccuma (al momento esiste un so-
lo punto a Milano);
la progressiva estensione del contesto competitivo delle catene della
ristorazione moderna e della ristorazione collettiva23, che hanno svi-
luppato nuovi format di ristorazione commerciale (vedi il gruppo
Camst con Camstcaf, il gruppo Cascina con Caffetteria di Pitti,
il gruppo CirFood con Rita snack bar ecc.);
le acquisizioni da parte di alcuni attori della distribuzione moderna di
importanti catene della ristorazione commerciale (vedi il caso di Au-
chan con Flunch, o del gruppo Pam con Break ristoranti, Pixx,
o infine Iper con Rist). In molti casi, questi format ristorativi sono
localizzati nellambito di centri commerciali dove linsegna presen-
te con il formato ipermercato e operano secondo la logica della
complementariet nella soddisfazione dei bisogni. In risposta
allaumento dei consumi extradomestici, la distribuzione moderna ha
messo cos in atto nuove strategie finalizzate a trattenere il consu-
matore nel punto vendita trasformandolo in un punto di somministra-
zione. A volte le insegne perseguono la via della creazione di part-
nership strategiche con insegne appartenenti al mondo Ho.Re.Ca.
(vedi ad esempio il caso della catena inglese Sainsburys che ha svi-

23
Le imprese di ristorazione collettiva sono quelle che operano prevalentemente nel mondo
del pubblico e quindi allinterno di ospedali, scuole, carceri ecc. in cui generalmente si
offrono un servizio mense o self service. Le imprese di ristorazione commerciale sono inve-
ce quelle che erogano attivit di ristorazione attraverso punti vendita a insegna, al pari di
qualsiasi ristorante privato.

406
luppato unalleanza con Starbucks). interessante notare che, da
unindagine svolta dal Cermes (2004), il 38% delle insegne intervi-
state hanno dichiarato che intendono sviluppare nel prossimo futuro
servizi di ristorazione in store, con forte orientamento verso servizi
di caffetteria.
A questi fattori, secondo Pellegrini, potrebbe associarsi anche la lotta
allevasione fiscale: se la tendenza dovesse diventare permanente, potreb-
be mettere in difficolt molti esercizi marginali e di conseguenza aprire
nuovi spazi allo sviluppo delle catene (Mongilardi, 2012).
Per Cardinali (2007), linesorabile processo di modernizzazione del set-
tore della ristorazione ha due importanti riflessi:
da un lato si assiste a una graduale concentrazione e internazionaliz-
zazione degli operatori del settore24, poich molti dei player sono
aziende multinazionali;
dallaltro lato si verifica una forte contrapposizione fra i canali tradi-
zionali e moderni, che porta a una graduale, ma allo stesso tempo
inesorabile, affermazione di questi ultimi.
La portata dei cambiamenti che procurer la modernizzazione del canale
Ho.Re.Ca., fornir inevitabilmente una spinta innovativa anche agli attuali
operatori tradizionali, poich generer una crescente articolazione del si-
stema di offerta.
In sintesi, si pu concludere che il bar tradizionale italiano chiamato in
un prossimo futuro a fronteggiare nuove e impegnative sfide, da cui dipen-
der gran parte del suo destino futuro. Secondo alcuni esperti del settore, da
noi interpellati, lofferta del bar dovrebbe integrare i valori dellautenticit,
della tipicit, della sostenibilit e soprattutto dellartigianalit. Il bar do-
vrebbe cio tornare a offrire prodotti tradizionali, locali e artigianali, diversi
da quelli proposti dalla grande industria e che possono essere acquistati in-
differenziatamente presso la GDO. Occorre rianalizzare tutti gli aspetti
dellofferta, concentrandosi sulla qualit: del prodotto, del servizio e anche
della comunicazione con la clientela25.
In questa prospettiva la caffetteria avr un ruolo centrale; da una recente
indagine pubblicata da Bar Giornale (Mongilardi, 2013) emerge infatti che
il 64% dei gestori intende puntare sulla caffetteria per sviluppare il fattura-
to, contro il 40% che punta sul cibo, il 39% sugli alcolici e il 30% sui gio-

24
Secondo unindagine Horizons, i primi 10 player della ristorazione moderna in Europa
detengono una quota complessiva del mercato pari al 12%.
25
Risulta imprescindibile a questo scopo lalta professionalizzazione degli operatori.

407
chi e servizi. Se il bar sapr riqualificare la sua offerta di caff, valorizzan-
do i suoi punti di forza, che in termini di prodotto sono costituiti da:
qualit;
artigianalit;
autenticit;
genuinit;
mentre in termini di servizio sono dati da:
professionalit;
flessibilit;
interazione;
accoglienza;
riuscir probabilmente a riguadagnare posizioni competitive e ritornare
cos a essere protagonista del fuori casa italiano; sar dunque il promoto-
re del rilancio dellintera filiera del caff nazionale, tornando a essere un
interlocutore sofisticato per i torrefattori, facendo loro recuperare posizioni
competitive.
Al contrario, se non sapr rinnovarsi e rester legato alle vecchie formu-
le, sar destinato a soccombere la sfida competitiva a vantaggio di altri
player, ponendo gli attuali torrefattori di fronte a scenari inediti e a sfide
ben pi impegnative.

B. Il fronte del consumatore


Il secondo fronte riguarda il consumatore. In ambito competitivo il suo
ruolo non solo quello di ultimo destinatario del valore prodotto dalla filie-
ra, ma sempre pi parte attiva del processo produttivo (prosumer, come
visto nel capitolo 4). In questa veste il consumatore pu fornire un impor-
tante contributo al rilancio del sistema caff espresso italiano, al pari di
quanto esso riuscito a fare negli anni Ottanta e Novanta con lindustria
vinicola.
Occorre per che vengano rimosse tutte quelle barriere che gli hanno fi-
no a ora impedito di esercitare la sua influenza. Facciamo riferimento in
particolare alla condizione di ignoranza26 a cui stato relegato soprattutto
per la politica di scarsa informazione attuata dai torrefattori operanti nel ca-

26
Vi un parere unanime sul fatto che il consumatore italiano mediamente impreparato a
distinguere leffettiva qualit in tazzina del caff espresso. Secondo il consumatore il caff
espresso indice di qualit di per se, quindi si pu affermare una supremazia del procedi-
mento di estrazione sulla qualit della materia prima. evidente la poca attenzione posta da
parte del consumatore medio alla qualit del prodotto e la discrasia tra qualit percepita e
qualit reale del prodotto caff (Cociancich, 2008, 94).

408
nale bar. Sarebbero loro a conseguire i maggiori benefici del cambiamento
di questa condizione, come del resto dimostra quanto accaduto negli altri
Paesi, poich un consumatore colto ed esigente sar meno permeabile alle
strategie di marketing e di comunicazione di massa poste in essere dalla
grande industria e inoltre sar anche disposto ad accettare prezzi sensibil-
mente pi elevati se corrispondenti a caff di qualit pi pregiata (up-
selling).
Arrivare a questa condizione non tuttavia impresa semplice, anche
perch richiede una molteplicit di misure; occorre quindi far convergere
gli sforzi dei vari attori della filiera su questo obiettivo al fine di rendere il
caff un prodotto cult ed emotivamente interessante per il consumatore.
Lassenza di trasparenza sulla composizione delle miscele sicura-
mente la principale causa di questa condizione del consumatore, ma illu-
sorio ritenere che ora basti cambiare la politica comunicativa, fornendo
maggiori informazioni sulle origini utilizzate e sulla composizione delle
miscele (anche il mix, oltre che gli ingredienti) del caff, per trasformare il
consumatore distratto in un cultore del prodotto. Riformare la comunica-
zione costituisce una condizione imprescindibile, ma, se non seguita da al-
tre azioni, rischia di rivelarsi alquanto sterile. Occorre dunque superare tut-
ta quella serie di scusanti usate finora dai torrefattori per non rivelare gli
ingredienti utilizzati. Una delle pi frequenti il segreto industriale, come
se esistesse una formula segreta dietro ogni miscela. Questa giustificazione
ha scarso valore se, come spesso accade, basta portare una miscela da un
esperto di caff, ad esempio un crudista, per ottenere una miscela aromati-
camente molto simile, se non addirittura uguale, a quella presentata. Tale
pratica viene spesso usata da parte dei torrefattori che intendono espandere
il mercato in aree geografiche in cui i gusti dei consumatori divergono da
quelli serviti fino ad allora.
Del resto se facessimo un parallelismo con il mondo dei vini, possiamo
rilevare che la composizione di un vino Chianti non costituisce un segre-
to; ci tuttavia non impedisce ai singoli produttori di realizzare vini dal pro-
filo aromatico diverso, proprio perch si differenziano nelle modalit di se-
lezione degli ingredienti27. In questo caso la qualit degli ingredienti, in-
sieme al processo di lavorazione, a fare la differenza, per cui la battaglia
competitiva si sposta sulle modalit di miglioramento del prodotto finito.

27
Nel caso del vino spesso lo stesso produttore che procura le uve per realizzare i vini at-
traverso i propri vigneti.

409
Il caff verde, al pari delluva, un prodotto agricolo e come tale sog-
getto a subire variazioni organolettiche fra unannata e laltra, a seconda
delle condizioni climatiche e ad altri fattori legati alle fasi di raccolta e di
lavorazione; mantenere fissa la ricetta della miscela, senza tener conto di
queste variazioni significherebbe non garantire una costanza aromatica del
prodotto finale, che invece viene ricercata dalla maggior parte dei torrefat-
tori. Ci significa che la ricetta non fissa, ma soggetta a continue evolu-
zioni, proprio per preservare la costanza qualitativa.
E qui entriamo in unaltra discolpa ricorrente: la ricetta cambia di volta in
volta in funzione delle partite di caff ricevute, da cui limpossibilit di co-
municarla. Anche questa spiegazione ha scarso valore poich il torrefattore
conosce esattamente il mix dei vari lotti di tostatura e quindi nulla vieta che
lo indichi come informazione nel packaging. Abbiamo visto del resto come
negli altri Paesi tale pratica sia gi ampiamente in uso e quali vantaggi essa
abbia apportato ai torrefattori che competono secondo logiche qualitative.
Una delle leve usate in questi mercati per coinvolgere e stimolare il con-
sumatore quella di proporre un modello di consumo basato sul principio
della curiosit; vengono cos proposti caff di diverse provenienze o con
diverse metodologie di lavorazione (lavati, naturali, honey process ecc.),
sia monorigine che miscelati, per stimolare il consumatore a esplorare nuo-
vi gusti e allo stesso tempo educarlo sulla complessit aromatica del caff.
Esso viene coinvolto in una nuova dimensione esperienziale28, in cui,
nella ricerca delle sue preferenze, va alla scoperta di nuove sensazioni e
nuovi aromi; si tratta della stessa motivazione per cui i consumatori sono
attratti dallalta ristorazione, la quale, al di l della qualit delle pietanze
servite, normalmente propone piatti nuovi, che variano periodicamente (e
non solo per la stagionalit degli ingredienti). Questa voglia esplorativa del
consumatore alimenta una cultura sul prodotto che genera una sorta di sta-
tus. Cambia quindi la gerarchia dei bisogni che il caff va a soddisfare; non
pi solo un bisogno fisiologico, ma entra nella sfera dei bisogni di stima e
di autorealizzazione che si trovano al vertice della piramide di Maslow29.

28
Sono ormai numerosi gli studi volti a dimostrare la crescente interferenza delle emozioni
nel comportamento di consumo e di acquisto del consumatore (Hirschman e Holdbrook,
1982; Westbrook e Oliver, 1991; Richins, 1997).
29
Maslow struttura i bisogni umani in modo gerarchico; i bisogni di livello superiore insor-
gono nel momento in cui sono soddisfatti quelli inferiori. Cinque sono le tipologie di biso-
gno; partendo da quelli pi elementari, per arrivare a quelli pi complessi si ha: 1) bisogni
fisiologici; 2) bisogni di sicurezza; 3) bisogni di appartenenza; 4) bisogni di stima;
5) bisogni di autorealizzazione. In letteratura gli studiosi si sono inizialmente concentrati
sul legame tra comportamento di consumo ed emozioni e solo recentemente, sono comparsi

410
Questo cambio di prospettiva consente di intercettare quella serie di bi-
sogni contemporanei, che Fabris (2003) chiama post materialistici, in cui
cio le esigenze materiali, oramai ampiamente soddisfatte, vengono asso-
ciate alla soddisfazione di bisogni di tipo immateriale (De Toni e Tracogna,
2005). Nellattuale contesto sociale, infatti, latto del consumo si caricato
di valori simbolici che possono risultare persino pi importanti del valore
intrinseco del prodotto. Dopo gli anni Ottanta e Novanta, in cui latto
dacquisto era associato al bisogno di status symbol e quindi di ostenta-
zione del valore economico del bene posseduto, nellultimo decennio ha
assunto sempre maggiore rilevanza i consumi cosiddetti style symbol, in
grado cio di comunicare i valori culturali, lidentit e lo stile di vita di cia-
scun individuo. Questa nuova dinamica ha favorito laffermazione di alcu-
ne esigenze, fra cui:
una crescente sensibilit manifestata nei confronti dei prodotti ali-
mentari tipici30 e il contemporaneo rifiuto dei prodotti di massa;
una ricerca di prodotti etnici, un tempo espressione di culture di Pae-
si di provenienza, oggi sempre pi istituzionalizzati nei nostri model-
li di consumo e parte integrante della nostra cultura alimentare;
una crescente sensibilit nei confronti della tutela dellambiente;
una sensibilit emergente nei confronti dei prodotti del commercio
equo e solidale31;
una progressiva affermazione di una cultura dei prodotti naturali e
salutistici (prodotti biologici, dietetici ecc.).
Su questo fronte unofferta rinnovata del caff, volta a valorizzare la sua
eterogeneit, le particolarit delle singole origini, il terroir32, lesistenza

nuovi filoni di ricerca volti ad analizzare ed interpretare la dimensione emozionale ed espe-


rienziale dellatto di acquisto. In un contesto in cui i beni e i servizi devono essere in grado
di suscitare emozioni nel consumatore, cambia naturalmente il valore generato dai prodotti e
soprattutto dalle marche (Maslow, 1954).
30
Secondo alcune stime, i prodotti agroalimentari tipici hanno registrato trend positivi nel
corso degli ultimi anni, con tassi di crescita che vanno da +14,5% nella categoria dei vini, al
+23% nelle mozzarelle di bufala, al +33,5% del pane carasau. Seppure i trend siano diffe-
renziati, si conferma il forte dinamismo di queste produzioni (Cardinali, 2007).
31
Nonostante che in Italia questo genere di consumi non abbia raggiunto i livelli di altri Paesi,
tuttavia diverse ricerche mostrano il crescente interesse da parte dei consumatori italiani nei
confronti dei prodotti del commercio equo e solidale. Gi nel 2003 unindagine Cermes rileva-
va che oltre il 90% degli intervistati evidenziava una certa sensibilit su questi temi.
32
In questa accezione, la caratterizzazione produttiva regionale dovrebbe essere intesa non
sulla base dei confini regionali politico-amministrativi, bens microclimaticamente omoge-
nea al suo interno (Cociancich, 2008).

411
di rapporti diretti con i produttori ecc. pu consentire di intercettare questi
nuovi bisogni.
Occorre per cambiare radicalmente la politica comunicativa del prodot-
to, per renderlo trendy, e intercettare cos anche le fasce giovanili della po-
polazione. Questo target costituisce una nuova frontiera per il settore; nel
corso dellanalisi del pattern evolutivo dei consumi di caff (si vedano i
capitoli 3 e 4) emerso in modo inequivocabile che a trainare ogni nuova
ondata sono stati soprattutto i giovani; in questi Paesi gran parte dei con-
sumi di caff di qualit vengono assorbiti dalle fasce pi giovani della po-
polazione, che sono i pi assidui frequentatori degli specialty shop. Inoltre,
i giovani sono importanti anche sotto un altro punto di vista: negli Stati
Uniti oltre il 40% della popolazione, compresa nella fascia det tra i 18 e i
24 anni, consumatore di caff speciali e tale percentuale mostra un trend
ascendente. Questo dato risulta rilevante anche e soprattutto in chiave pro-
spettica in quanto dalla ricerca NCA 2011 risulta che il 54% degli attuali
consumatori ha iniziato a bere caff tra i 13 e i 19 anni, mentre il 22% tra i
20 e i 24 anni; in altri termini, oltre 3 consumatori su 4 hanno iniziato ad
assumere caff prima dei 24 anni.
In Italia invece il caff non costituisce un prodotto che attrae i giovani;
la popolazione di consumatori di caff si sta sempre pi invecchiando. Lo
conferma anche i dati sul profilo del consumatore del bar italiano, la cui et
media salita di due anni in un arco temporale di appena tre anni: come
emerge da una ricerca pubblicata da Mixer (Lamparelli, 2007), solo il
12,4% dei clienti ha meno di 24 anni e questa fetta sta progressivamente
scendendo a vantaggio delle fasce det degli over 45. Un segnale preoccu-
pante questo, soprattutto in chiave prospettica, come evidenzia il professor
Robert W. Thurston (2013, 208) che, riguardo lesperienza americana degli
anni Sessanta afferma: La prima causa del declino del consumo di caff
pro capite negli USA sembra sia dovuto al fatto che i giovani avevano ini-
ziato a preferire altre bevande: loro consideravano il caff come la bevanda
dei loro genitori, e non la loro. Se il mondo del caff non sapr riconqui-
stare linteresse dei giovani, difficilmente riuscir a invertire il trend di de-
clino dei consumi che lo sta caratterizzando negli ultimi anni.
Il caff in Italia ha dunque necessit di essere svecchiato, per intercetta-
re quella fascia di popolazione giovanile che al momento risulta poco attrat-
ta. Il valore esperienziale dellacquisto, linterattivit, la connettivit, la so-
cialit, la qualit, lautenticit e il giusto prezzo sono valori importanti per
interagire con questa fascia di popolazione.
Occorre dunque fare unoperazione di riposizionamento e di rilancio
della caffetteria simile a quello che, nello scorso decennio, stato fatto con

412
laperitivo33, il quale, attraverso la nuova formula dellhappy hour34 di-
ventato un fenomeno di costume, riuscendo a coinvolgere i giovani e a
riempire i locali in una fascia oraria fino ad allora poco frequentata.
Anche nel caff occorre riformulare lofferta, rinnovandola per renderla
pi attrattiva e pi coinvolgente e allo stesso tempo occorre cambiare le po-
litiche di comunicazione nello stile, nei contenuti e nei media impiegati35.
Su questo fronte, ogni operatore chiamato a fare la propria parte per rag-
giungere lobiettivo.
Il consumatore va coinvolto, formato, stimolato e incuriosito. illusorio
attendersi che esso si appassioni al caff autonomamente e diventi un cultore
del prodotto, senza che gli operatori (barista e torrefattore in primis) abbiano
creato le condizioni affinch ci avvenga; risulta altres illusorio attendersi
che il consumatore sia disposto a frequentare a proprie spese corsi di assag-
gio se prima non stata creata una necessit e un bisogno in tal senso.
La competenza e la cultura del caff deve entrare a far parte della sfera
sociale delle persone e far s che essa diventi un vettore per la comunicazio-
ne interpersonale (Dalli e Romani, 2011), nonch uno strumento di apparte-
nenza al gruppo. In questo contesto lorganizzazione di momenti di assaggio
attraverso il cupping di caff con origini e variet distinte, pu costituire un
valido strumento per fornire nuovi stimoli al consumatore e, al tempo stesso,
per creare quel senso di appartenenza, di condivisione e di gratificazione per
la cultura acquisita, facendo nascere in lui una nuova passione.

C. Il fronte del prodotto


Unultima area di intervento per il rilancio del settore riguarda il prodot-
to; senza unevoluzione qualitativa del caff da parte dei torrefattori diffi-
33
Laperitivo un rito italiano, nato a Torino nel 1786 con il primo Vermouth di Antonio
Benedetto Carpano, seguito poi da Cinzano e da Cora. Nel 1860 Gaspare Campari inventa il
Bitter alluso dhollanda, bevanda che pi tardi prender il nome di Bitter Campari.
34
Rispetto allaperitivo tradizionale, lhappy hour si contraddistingue perch ha lanciato
nuove bevande (vedi ad esempio lo Spritz), ma soprattutto perch ha aggiunto socialit e
intrattenimento allatto del consumo. Oggi questa formula particolarmente vincente tant
che in molti casi, da momento preparatorio alla cena (la parola aperitivo deriva infatti dal
latino aperire, e cio aprire e preparare lo stomaco alla ricezione del cibo), si trasformata
in un nuovo stile di cena (apericena, aperitivo cenato, ecc.). Lofferta dellhappy hour si ca-
ratterizza per lunione di bevande, con un variegato assortimento di food a complemento e
spesso servito in forma gratuita. Unatmosfera rilassante, a volte con musica di sottofondo,
una variet (unita alloriginalit) dellofferta culinaria, un buon servizio (veloce e con una
ricca variet di proposte drink alternative) ed infine un prezzo considerato equo costitui-
scono i principali fattori di successo della formula.
35
I consumatori giovani sono infatti molto pi orientati alle piattaforme social e del web 2.0
rispetto ai canali tradizionali (tv, stampa, radio ecc.).

413
cile pretendere un maggior interesse e un nuovo atteggiamento da parte del
consumatore, poich, come afferma Bart Becht, Chairman di JAB e del gi-
gante del caff D.E. Master Blenders 1753: sono profondamente convinto
che [noi torrefattori, ndr] siamo buoni quanto il prodotto che forniamo al
nostro consumatore e nel lungo termine sar ci a determinare il nostro
successo (Grimal, 2013, 10-12).
Come risulta anche dallindagine illustrata nel capitolo 2, opinione dif-
fusa che la qualit del caff proposto nei bar non sia particolarmente eleva-
ta; per il 74% degli operatori intervistati, inoltre, la qualit sarebbe addirit-
tura peggiorata nel corso degli ultimi anni. Alcuni operatori del caff verde
(che per ovvie ragioni chiedono lanonimato) ci hanno confermato che una
consistente parte dei torrefattori, in fase di acquisto, sempre pi sensibile
al contenimento dei costi, piuttosto che agli aspetti qualitativi del prodotto.
Nel corso dellanalisi dei fattori di competitivit emerso che i torrefatto-
ri italiani hanno perso quella spinta innovativa sul prodotto, che avevano in
passato, e ci ha fatto loro perdere quel primato (riconosciuto a livello inter-
nazionale) in termini di competenze e di know-how tecnico sul caff espres-
so. Come afferma Andrej Godina, dottore di ricerca in Scienze, Tecnologie
ed Economia nellindustria del caff, il settore della torrefazione in Italia
ha accumulato nel corso degli ultimi decenni un ritardo di innovazione e di
detenzione di know-how sul processo di trasformazione del chicco in con-
fronto agli operatori internazionali; in particolare nei confronti di alcuni Paesi
dove per cultura industriale la formazione professionale e la R&S il princi-
pio cardine ispiratore dellagire industriale (per esempio Giappone, USA,
Paesi Scandinavi, Corea del Sud). Attualmente ho potuto accertare che in
media il torrefattore italiano ancorato a principi produttivi obsoleti e legati
alla vecchia tradizione familiare dellazienda, principi oramai superati da una
sempre pi diffusa conoscenza scientifica del processo di tostatura e di suc-
cessiva preparazione del caff. Per queste ragioni, oggi essi non sono pi un
benchmark per i player internazionali, soprattutto per quelli che operano nel
segmento dellalta qualit; anzi, in molti casi le miscele italiane vengono pre-
se come riferimento di un prodotto mediocre36.
Tutto ci rischia di compromettere irrimediabilmente limmagine nel
mondo dellespresso Made in Italy, trasformando il COOE, che sino a oggi
ha costituito un forte vantaggio competitivo, in uno svantaggio, soprattutto
nei confronti di quella fascia di consumatori pi acculturata e pi esigente,
36
Nei workshop Scae che si sono tenuti a Colonia nel 2009, ad esempio, la confezione con
lindicazione anonima di Italian Coffee stata utilizzata come campione di un caff di
cattiva qualit.

414
che spesso funge da opinion leader. Come sostiene il pluri-campione italiano
baristi Francesco Sanapo, che nel corso della sua carriera si varie volte con-
frontato con gli operatori di altri Paesi: oggi lespresso diffuso, ma soprat-
tutto studiato, in tutto il mondo, non basta pi il logo Made in Italy. Dob-
biamo guardare avanti e capire come rinnovare quello che i nostri geni del
passato hanno realizzato e come poter onorare la nostra storia, ma ho la sen-
sazione che il nostro settore, in Italia, sia rimasto fermo nel passato. Questo
ci ha fatto perdere, anno dopo anno, quel rispetto e orgoglio che con fatica i
nostri antenati hanno conquistato (Comunicaff, 2011).
Occorre quindi intervenire in termini di prodotto per invertire questa di-
namica; continuare a proporre miscele con contenuto di Robusta, in un con-
testo internazionale in cui il consumatore associa a questa variet una va-
lenza di bassa qualit, non giova a riqualificare limmagine del prodotto tri-
colore, anzi lo rende pi vulnerabile. Dunque necessario riqualificare le
miscele per soddisfare meglio le esigenze del consumatore estero.
Per far ci occorre riprendere quel cammino dellinnovazione, interrotto
negli ultimi decenni, per riportare il caff italiano ai vertici della scala quali-
tativa e permettere al nostro Paese di ritornare a occupare il centro della sce-
na competitiva. Questo significa che il prodotto ritorna a essere il fulcro della
strategia competitiva dei torrefattori: tutti gli sforzi, le risorse e le energie del-
le aziende dovrebbero convergere nellaccrescimento del know-how,
nellacquisizione di nuove competenze e nella selezione dei migliori ingre-
dienti.
Il settore del vino pu costituire a questo riguardo un valido modello di
riferimento; il percorso che stato compiuto dopo lo scandalo del metanolo
per recuperare la sua immagine e rilanciare lintero settore italiano, fornisce
validi stimoli su quanto pu essere fatto nellindustria del caff. Uno dei
passi compiuti stata una netta separazione del mercato: da un lato i cosid-
detti vini di consumo corrente (VCC, i vini da tavola e i vini a Indicazio-
ne geografica tipica, IGT) volti a soddisfare la domanda pi tradizionalista
e la fascia bassa del mercato; dallaltro i pi pregiati vini di qualit prodot-
ti in regioni determinate (VQPRD), di cui fanno parte i vini a Denomina-
zione di Origine Controllata (DOC) e quelli a Denominazione di origine
Controllata e Garantita (DOCG), che mirano a soddisfare una domanda pi
esigente ed evoluta in termini qualitativi. Notevoli sforzi sono stati compiu-
ti in direzione di questa seconda categoria di vini, per elevare sostanzial-
mente la loro qualit e per trasmettere questa sua nuova valenza al consu-
matore. La crescita della qualit andata di pari passo con lespansione del-

415
la domanda di questo genere di prodotto37, che ha avuto unevoluzione in-
versa rispetto a quella dei vini da tavola, che invece scesa sensibilmente.
Essendo il vino, a differenza del caff, un prodotto coltivato internamen-
te, una parte degli sforzi qualitativi hanno riguardato le fasi della coltiva-
zione, passando da un genere di coltivazione tipicamente estensiva, focaliz-
zata alla massimizzazione della quantit, a una intensiva, volta alla massi-
mizzazione della qualit. Altrettanti sforzi sono stati diretti al miglioramen-
to delle tecniche di vinificazione e di invecchiamento, attraverso la creazio-
ne di protocolli stringenti. In molti casi, per elevare gli standard del prodot-
to stato necessario acquisire nuove competenze e nuovo know-how; si
diffuso cos il ricorso a figure professionali altamente qualificate, come
quella dellenologo, che supervisiona le principali fasi di coltivazione, rac-
colta, produzione e spesso anche di promozione del vino. Unintensa attivi-
t di marketing ha poi completato lopera, attraverso la cura del packaging,
della comunicazione fino alla rivisitazione di alcuni canali distributivi spe-
cializzati (enoteche, wine bar ecc.). Una particolare attenzione stata dedi-
cata alle attivit di Pubbliche Relazioni, attraverso eventi di degustazione,
attivit di promozione presso i punti vendita e i media ecc.; unattivit di-
retta sia agli operatori e sia al consumatore.
Il caff si distingue dal vino perch viene coltivato in Paesi diversi da
quelli di trasformazione, ma a parte questo presenta molti elementi in co-
mune (Cociancich, 2008):
esistono molte variet di caff che risultano eterogenee dal punto di
vista organolettico;
la qualit del prodotto finito dipende in buona parte dalla qualit e
dalla provenienza della materia prima, la quale a sua volta forte-
mente influenzata da aspetti climatici, dalla tipologia di suolo, dalle
tecniche di coltivazione e di raccolta;
a volte la materia prima viene opportunamente miscelata per ottenere
un miglior equilibrio aromatico;
la fase di trasformazione, che nel caff corrisponde al processo di
roasting e di degasaggio, fondamentale per poter esprimere le mi-
gliori caratteristiche organolettiche del prodotto.
Per conseguire leccellenza del caff occorre quindi un attento e compe-
tente controllo dellintera supply chain, con particolare attenzione alle
fasi di approvvigionamento e ai processi che la materia prima subisce una
volta giunta nella torrefazione.

37
Alimentata anche dalla capillare diffusione dei corsi sul vino.

416
Relativamente agli approvvigionamenti, il sistema italiano, a parte qual-
che eccezione38, non ha tenuto conto dellevoluzione avvenuta nei Paesi di
produzione, in cui negli ultimi anni sono stati effettuati notevoli sforzi per
passare da un prodotto commodity, e quindi indistinto, a una produzione
legata ai valori della territorialit. Lo sviluppo del mercato Specialty39 e le
nuove esigenze sul lato dei consumi che ne sono conseguite hanno accele-
rato il processo di ricerca nei Paesi produttori per elevare la qualit del caf-
f verde. Queste innovazioni stanno portando verso una spiccata differen-
ziazione del prodotto, incentrata sulla promozione dellorigine e che si fon-
da sul riconoscimento e sulla valorizzazione dei diversi terroir (Tab. 4),
cos come avviene nel comparto vinicolo.
In tale contesto, per il torrefattore, lessere legato ai tradizionali canali
di approvvigionamento costituisce un ostacolo, in quanto la presenza di vari
intermediari non permette quellinterscambio diretto di informazioni e di
competenze fra produttore e torrefattore, utile per alimentare il processo di
innovazione del prodotto. In altri termini, per acquistare materia prima di
eccellente qualit non si possono seguire i canali dello Stock Exchange o
dei trader, in cui il caff viene trattato alla stregua di qualsiasi altra com-
modity, ma necessario un rapporto diretto (direct trade) con i coltivato-

38
Fra cui si possono citare i casi di Segafredo Zanetti, che ha addirittura una piantagione
diretta in Brasile, Lavazza, con il programma Tierra, o per non limitarsi ai pi grandi a
ARC Caff estero. Su questo fronte Illy stata fra le prime aziende a cercare soluzioni alter-
native per i propri approvvigionamenti. A seguito del generalizzato depauperamento qualita-
tivo subito dal caff, soprattutto in Paesi come il Brasile, lazienda triestina a partire dagli
anni Novanta ha deciso di cambiare totalmente lapproccio di approvvigionamento e di ta-
gliare la catena di rifornimento del caff andando direttamente alla fonte. Al contrario di
quanto fatto fino ad allora (ricorreva agli stessi operatori della supply chain utilizzati dagli
altri torrefattori, vale a dire utilizzava gli importatori, i traders, i brokers), Illy ha iniziato
unattivit di rifornimento diretto partendo dal Brasile, che consisteva nel selezionare e
quindi nellentrare in contatto diretto con dei coltivatori di caff che potessero produrre caf-
f di elevatissima qualit. In pratica, si andati a trattare direttamente con il produttore, por-
tandogli anche del know-how, sia nel campo della coltivazione, sia nel campo della succes-
siva lavorazione del caff. Nel 1991 lazienda ha istituito il Premio Brasil de Qualidade do
Caf para Espresso, dedicato ai migliori produttori di caff di tutto il Paese. Attraverso
questo premio vengono valutati i prodotti della pi alta qualit e i migliori ricevono un pre-
mio. Da questi coltivatori, inoltre, Illy acquista partite di caff riconoscendo un prezzo supe-
riore a quello di mercato (De Toni e Tracogna, 2005, 197).
39
La SCAA definisce Specialty: sometimes called gourmet or premium coffee, spe-
cialty coffees are made from exceptional beans grown only in ideal coffee-producing cli-
mates. They tend to feature distinctive flavours, which are shaped by the unique characteris-
tics of the soil that produces them (www.scaa.org). Da questa definizione emerge la centra-
lit dellenfasi data allorigine e alla qualit del caff verde.

417
ri, per creare quelle sinergie di know-how e quello scambio bi-direzionale
di informazioni necessarie a elevare la qualit del prodotto finito.

Tab. 4 Terroir e marketing territoriale nei Paesi produttori di caff

Il marketing territoriale ha rappresentato per numerose filiere produttive il complemento fonda-


mentale delle operazioni di produzione e commercializzazione, nel tentativo di creare valore e di
mantenerlo lungo tutta la catena. Loperazione si appoggiata principalmente sulla creazione di
marchi e loghi, in una chiara politica di mercato di rilancio e di certificazione.
Le marche e le certificazioni dorigine, che costituiscono laspetto pi innovativo del processo di
riqualificazione del caff a livello produttivo, sono state utilizzate nelle diverse zone con una tenden-
za despansione che ha creato ambiguit. Innanzitutto, le procedure che definiscono lappartenenza
a un sistema di certificazione, lasciano libert dazione per comportamenti opportunistici. La gestio-
ne sostenibile nel lungo termine, presuppone la definizione precisa dei confini della regione in ogget-
to e il gruppo di produttori coinvolti, dispositivi e procedure di sorveglianza e controllo, e i meccani-
smi di sanzione per infrazione.
Il secondo ordine di problemi inerisce alla validit scientifica e culturale, e dunque alla credibili-
t, di questi sistemi di denominazione.

Fonte: Cociancich (2008, 110-111).

Tutto ci presuppone nuove forme di fornitura e quindi una diversa or-


ganizzazione gestionale degli approvvigionamenti, a cui occorre dedicare
maggiori risorse e in cui occorre acquisire competenze tecniche di elevato
spessore, poich in questa fase che si genera gran parte del valore strate-
gico dellimpresa.
Chiaramente, non tutte le torrefazioni saranno in grado di adeguare la
propria organizzazione interna alle nuove esigenze, cos come non tutte po-
tranno permettersi di fare gli investimenti necessari per elevare le compe-
tenze interne, verso i nuovi standard; quindi probabile che si creino nuove
figure professionali, altamente qualificate, che sotto forma di outsourcing,
consiglino e indirizzino i torrefattori alla realizzazione di prodotti qualitati-
vamente pi evoluti. Questa pratica gi ampiamente diffusa in altri compar-
ti (come ad esempio nel settore moda con la figura degli stilisti esterni, nel
settore dellinterior design con il ricorso a firme dellarchitettura, o nel set-
tore vino con gli enologi e gli agronomi) consentirebbe al settore del caff
di accelerare il processo di innovazione.
In questa dinamica un ruolo centrale potrebbe essere svolto dalla figura
del crudista (si veda Tab. 5), che potrebbe subire unevoluzione trasfor-
mandosi da operatore commerciale in consulente per gli approvvigiona-
menti, sfruttando la straordinaria conoscenza del caff e la consolidata rete
di contatti con i vari operatori dei Paesi produttori acquisita nel corso della

418
ultradecennale esperienza, per supportare i torrefattori a procurarsi i miglio-
ri caff in funzione del profilo ricercato.

Tab. 5 La figura del crudista in Italia

La figura del crudista triestino rappresenta sicuramente uno dei simboli della tradizione che il
settore del caff ha vissuto nella citt di Trieste. Il ruolo del crudista a Trieste nasce con gli elevati
volumi di caff che gi dal 1700 transitavano per il porto e che poi venivano smistati e distribuiti alle
numerose torrefazioni presenti in provincia e nel nostro Paese.
Il fondamentale peso strategico che gioca lapprovvigionamento del crudo allinterno delle dina-
miche del mercato del caff, ha fatto in modo che le torrefazioni di grandi dimensioni si siano inte-
grate sempre pi a monte (con consociate o solamente con agenti in loco) e che allo stesso tempo
siano cresciute aziende di trading specializzate negli scambi di grosse partite di crudo da ogni parte
del mondo. Tale fenomeno, insieme alla progressiva concentrazione delle torrefazioni a livello mon-
diale, ha di anno in anno limitato il ruolo del crudista alla fornitura dei cosiddetti piccoli, cio delle
tipiche e uniche piccole torrefazioni italiane che comprano esigue quantit di crudo.
Nonostante la situazione in atto faccia presupporre a una prossima estinzione, il crudista a Trie-
ste ha saputo valorizzarsi e scopre un ambito in cui realizzare un vantaggio competitivo. Sfruttando
infatti una straordinaria conoscenza del caff, del settore in generale e una solida rete di contatti in
tutto il mondo maturata in decenni di attivit, il crudista a Trieste diventato importatore di caff di
qualit, attivando servizi di controlli qualitativi sulle merci, di consulenze ai torrefattori e addirittura di
preparazione per gli operatori del caff. Cos in questi ultimi anni, non solo le torrefazioni piccole
possono godere dellappoggio e dellesperienza del crudista per la preparazione della miscela e
lapprovvigionamento della materia prima, garantendo un elevato standard qualitativo, ma addirittura
le medie e le grandi torrefazioni si rivolgono ai crudisti per partite di caff particolari difficilmente re-
peribili attraverso i grandi importatori internazionali.
Le aziende di crudisti a Trieste sono Cogeco, Imperator e Sandalj Trading & Co. Tutte con una
lunga tradizione nel settore, avviano la propria attivit di commercio del crudo intorno agli anni Cin-
quanta, con la ripresa dei traffici di caff del dopoguerra.
Il principale punto di forza dellanello dei crudisti lungo la filiera del caff di Trieste, sicuramen-
te quello di poter mettere a disposizione esperienza e know-how maturati in decenni di attivit e oggi
sostenuti da mezzi scientifici e personale altamente specializzato, promuovendo cos la qualit.

Fonte: De Toni e Tracogna (2005, 313-315).

Ci non prescinde tuttavia dalla necessit da parte del torrefattore di


creare al proprio interno figure professionali altamente qualificate, capaci
di interloquire con i vari operatori del sistema di approvvigionamento, di
valutare le proposte ricevute e, soprattutto di trasformare la materia prima
in prodotti pregiati.
Linsieme di cambiamenti che riguardano il fronte del prodotto dovreb-
be concretizzarsi, in ultima istanza, nella creazione di un nuovo italian
coffee style, fondato su nuove basi qualitative; queste dovrebbero da un

419
lato fondarsi su elementi qualitativi inconfutabili (al contrario di quanto av-
viene attualmente) e dallaltro distinguersi rispetto ai canoni qualitativi do-
minanti negli altri Paesi. Scimmiottare gli altri, proponendo caff simili ai
loro standard risulterebbe un errore strategico in quanto farebbe perdere
allItalia la sua identit e il suo valore aggiunto, cos come costituirebbe un
errore continuare a proporre miscele composte con caff poco pregiati, o
considerati di qualit inferiore. Valorizzare il bagaglio di conoscenza ac-
quisito nella secolare tradizione dellespresso per tradurlo in un prodotto
unanimemente riconosciuto di qualit superiore, significherebbe dare una
nuova linfa al Made in Italy, di cui poi ogni operatore nazionale potr
avvantaggiarsi.
Questo traguardo perseguibile solo attraverso il coinvolgimento con-
giunto di tutti gli attori del sistema del valore, ivi compreso il consumato-
re, che, se messo nelle condizioni di acquisire la competenza necessaria,
pu guidare i torrefattori nella creazione di nuovi profili, coerenti con le
tradizioni culinarie del nostro Paese e allo stesso tempo con standard quali-
tativi superiori. Da questa prospettiva, infatti, il consumatore italiano diffi-
cilmente seguir i canoni qualitativi dominanti in altri Paesi, in cui ad
esempio lestrema acidit viene considerata positivamente; ma piuttosto
orienter i torrefattori verso la realizzazione di miscele (o singole origini)
dai profili dolci, equilibrati, cioccolatosi, sciropposi, con un ottimo bilan-
ciamento fra note floreali e frutti secchi, o magari verso nuove direzioni.
Un consumatore competente non sar per mai disposto ad accettare un
caff aromaticamente piatto o con difetti, n confonder pi il carattere del-
la bevanda col suo tasso di amarezza o di astringenza.
Affinch il sistema caff possa far tesoro delle indicazioni del consuma-
tore occorre prima rimuovere tutte quelle condizioni, che, come abbiamo
visto, hanno alimentato il suo stato di ignoranza. Superare questa sua con-
dizione costituisce un pre-requisito necessario per il rilancio della competi-
tivit del caff italiano. Inoltre, come sostiene Cociancich: la presenza di
un consumatore competente e qualificato comporta anche altri vantaggi: nel
momento in cui esso in grado di riconoscere i diversi profili sensoriali, il
tipo di origine rappresenta un plus valore da offrire a un target acculturato
disposto a pagare un premium price, perch ricerca e riconosce determi-
nati attributi (Cociancich, 2008, 109). Il consumatore acquisisce una mag-
giore necessit di prodotti che si differenzino dal caff generico, per cui
cambia anche il modello di offerta: la logica della singola miscela (fino agli
estremi di one brand one blend di Illy) lascia il passo a quella della molti-
tudine di miscele (e origini), con una variet di profili aromatici e di fasce
di prezzo. Al cliente del bar non viene pi offerta una singola opzione di

420
caff, ma diverse alternative, in funzione della stagionalit del prodotto, del
momento di consumo, delle preferenze del cliente, delluso del prodotto (se
cio consumato come ingrediente di altre bevande o consumato nella sua
purezza), delle motivazioni del consumo40; questo per appagare sempre pi
la volont esplorativa41 del consumatore e dotare il prodotto di valori sim-
bolici capaci di arricchirlo e renderlo pi attraente. Tutto ci stimola la pro-
liferazione di nuove proposte e alimenta il processo di innovazione del set-
tore, spostando pi in avanti la frontiera del vantaggio competitivo, che da-
r nuovo impulso a unindustria altrimenti stagnante.
Per stimolare questo processo di innovazione potrebbero essere realizzate
iniziative volte a creare una sorta di competizione fra torrefattori; attingendo
dallesperienza del vino si potrebbero cos creare dei concorsi e delle guide
dei caff, fornendo una valutazione qualitativa dei migliori classificati. An-
che in questo caso, cos come nel caso dei bar, la validit delliniziativa di-
pende dallautorevolezza dei giudici e dalla rigorosit delle valutazioni, che
debbono essere super partes.
In conclusione possiamo affermare che le energie necessarie per mettere
in moto un cambiamento nel sistema del caff, volto a produrre risultati
tangibili, vanno al di l delle possibilit dei singoli attori. Occorre un cam-
bio di prospettiva da parte di tutti gli operatori che lo compongono; cambio
che pu essere promosso dalle principali associazioni di categoria, al pari di

40
Su questo fronte De Toni e Tracogna hanno avanzato una modalit alternativa di segmen-
tazione del mercato basato sui bisogni del consumatore. Da questo punto di vista sembra
molto promettente lo sforzo nel delineare i veri bisogni del consumatore (category motiva-
tors) e i corrispondenti segmenti di mercato:
il bisogno di ricongiungersi con il mondo, la necessit di una scossa, di un coffee kick,
della stimolazione della caffeina per riaffrontare il mondo con tutte le sue difficolt;
il bisogno di ricongiungersi con se stessi, la necessit di concedersi una pausa, di prendersi
un momento di riposo prima di ricominciare;
il bisogno di ricongiungersi con gli altri, la necessit di interagire con il prossimo, di far
parte di un gruppo.
Dietro a questi bisogni ce ne sono altri di carattere emotivo che comunque vanno ad insiste-
re sui primi tre. Non esiste quindi un bisogno in s di caff, esiste lesigenza di: a) affrontare
il rientro nella realt; b) riacquistare ottimismo, ricaricarsi psicologicamente; c) condividere
esperienze, emozioni, valori (De Toni Tracogna, 2005, 259-260).
41
Nella stasi dei mercati maturi, stanno nascendo nuove esigenze sul lato della domanda che
sono in grado di dare un impulso inatteso ad unindustria stagnante. I consumatori percepi-
scono una sempre maggiore necessit di prodotti che si differenzino dal caff generico, ca-
rente sotto il punto di vista qualitativo e non dotato di valori simbolici in grado di arricchirlo
e di renderlo maggiormente attraente. Spesso queste qualit, in particolare quando
lappagamento deriva da un comportamento fair nei confronti dei produttori o da una mag-
giore cura nei confronti dellambiente, sono intangibili ed alle volte impercettibili dal nostro
apparato sensoriale (Cociancich, 2008).

421
quanto lo SCAA ha fatto negli Stati Uniti nel promuovere e nel diffondere
il modello dello Specialty coffee. Per questa ragione importante che le
associazioni si trasformino, da organi di tutela dello status quo, a organi di
promozione dellinnovazione e del cambiamento. Da questa condizione di-
pende il futuro del sistema caff espresso italiano.

9.3. Politiche per il miglioramento della capacit competi-


tiva sui mercati esteri: alcune riflessioni

Come si visto nei capitoli precedenti, il settore italiano della torrefa-


zione presenta una significativa proiezione sui mercati esteri, anche se
lanalisi ha messo in luce alcuni nodi critici, che impediscono di fatto alle
imprese italiane di approfittare a pieno delle opportunit create dallo svi-
luppo mondiale della domanda di caff espresso. Sia dalla survey, sia
dallanalisi dei nove casi aziendali sono emersi infatti alcuni limiti del mo-
dello di internazionalizzazione seguito dalle torrefazioni italiane.
Innanzitutto, il settore appare ancorato ad un modello di internazionaliz-
zazione preciso, ormai consolidato da tempo, mostrando una scarsa capaci-
t di rinnovamento: quello fondato sullesportazione mediante importato-
ri/distributori; questo, nonostante la significativa evoluzione che il contesto
globale ha subito negli ultimi anni e che renderebbe necessario un cambia-
mento verso un maggior presidio dei mercati esteri, da attuarsi mediante
modalit maggiormente impegnative, come lapertura di unit operative o
la conclusione di accordi con partner esteri, che invece vengono praticate
soltanto in rari casi.
Alcune imprese mostrano un commitment ancora non sufficiente rispetto
allimportanza strategica che lo sviluppo dei mercati esteri riveste attualmen-
te. Fatta eccezione per la partecipazione alle fiere e le missioni allestero per
incontrare i clienti (attuali e potenziali), gli investimenti nellinternazio-
nalizzazione sono piuttosto scarsi; anche la struttura interna allorga-
nizzazione aziendale appare sottodimensionata rispetto alle effettive necessi-
t. In alcuni casi aziendali esaminati, in particolare, emerge chiaramente un
limite dimensionale, che stato ormai raggiunto e che di fatto impedisce o
rende difficile un ulteriore sviluppo sui mercati esteri.
I limitati investimenti sono sicuramente dovuti a ragioni di carattere
economico-finanziario specialmente nellultimo periodo di crisi economi-
ca ma anche al prevalere di un orientamento al prodotto in non poche

422
torrefazioni italiane42. Come illustrato nel capitolo 7, la lunga tradizione
nellespresso e lelevata competenza tecnica sul prodotto delle imprese ita-
liane se, da un lato, costituiscono un punto di forza rispetto ai competitors
esteri, dallaltro lato, hanno di fatto generato un senso di assuefazione,
che ha finito per disincentivare il rinnovamento e linnovazione. I torrefat-
tori italiani hanno da sempre individuato nel prodotto il loro fattore fonda-
mentale di successo, ponendosi sullo scenario competitivo internazionale
come gli unici detentori del sapere sul caff espresso, sovente convinti
che il caff sar sempre una prerogativa delle imprese italiane. Se ci pote-
va rispecchiare la realt fino a qualche anno fa, oggi non pi cos: il con-
testo competitivo internazionale sempre pi complesso e popolato da atto-
ri di diversa nazionalit e di diversa dimensione, i quali seguono strategie
ed attuano approcci al mercato profondamente differenti da quelli delle
aziende italiane. Sarebbe opportuno un cambiamento strategico, che condu-
ca progressivamente ad una trasformazione da un orientamento al prodot-
to, che ha progressivamente assunto elementi di autorefenzialit, ad un
orientamento ai mercati esteri pi articolato ed evoluto, ad esempio, in-
vestendo nello sviluppo di una propria rete distributiva, sia per un maggior
controllo del brand, sia per un maggior controllo sui processi di vendita, sia
per recuperare i margini di profitto dellintermediario (importatore). Il che
non significa abbandonare il focus sul prodotto e sulla sua qualit, i quali
devono rimanere elementi centrali della strategia competitiva delle torrefa-
zioni italiane, ma piuttosto reinterpretare tale focus in funzione della do-
manda; il mero orientamento al prodotto rischia infatti di generare una
marketing myopia, cio uneccessiva attenzione sul proprio prodotto, che
porta a non vedere quali sono le preferenze dei clienti.
Un approccio pi evoluto implica anche una diversa politica di prodotto.
Pur essendo consapevoli che le preferenze dei consumatori di caff nel
mondo sono piuttosto eterogenee, le imprese italiane si presentano con gli
stessi prodotti venduti nel mercato domestico, con scarsi o nulli adattamen-
ti. In realt sarebbero opportuni tali adattamenti, se non addirittura la crea-
zione di miscele ad hoc, le quali per non devono risolversi in una mera
imitazione delle miscele gi offerte dai competitors locali. La vera sfida
dovrebbe essere quella di adeguarsi alle richieste locali per soddisfare nel
modo pi efficace possibile il mercato estero, pur mantenendo lidentit e il

42
Non a caso dallanalisi dei casi aziendali sono emersi i seguenti aspetti: 1. larea della
produzione e del controllo qualit sono quelle che hanno richiesto negli ultimi anni i mag-
giori investimenti; 2. non esiste un vero e proprio ufficio marketing (tranne nei casi delle
aziende pi grandi e di Diemme Spa).

423
know how italiani. In altre parole, trovare il giusto mix di ingredienti che
consentano al prodotto italiano di distinguersi positivamente dalla concor-
renza locale, e al tempo stesso di soddisfare al meglio le preferenze della
domanda locale.
Da qui la necessit di investire su due fronti:
nella ricerca di informazioni sulla domanda estera per ascoltare e
comprendere in modo efficace le richieste dei potenziali clienti; co-
me giustamente rilevato da Massimo Barnab (Illy Spa) nella recente
tavola rotonda Quale futuro per lespresso italiano, che si tenuta
al Sigep di Rimini il 19 febbraio 2014: Una parte dellinsuccesso
dellespresso nel mondo che pretendiamo che sia lo stesso per tut-
ti. Gli aspetti relativi alla raccolta e alla gestione delle informazioni
rappresentano invece un punto di debolezza nel caso delle imprese
italiane: la maggioranza di esse non attrezzata per fare una ricerca
di marketing sistematica sui mercati esteri, n pienamente consape-
vole dellimportanza di farla;
nella ricerca e sviluppo di nuove miscele e di nuovi prodotti, che
completino la gamma produttiva. Va infatti rilevato che, specialmen-
te in certi mercati esteri, per essere competitivi occorre presentarsi
con un portafoglio prodotti molto ampio, che comprenda anche altre
tipologie di caff oltre allespresso. In altre parole, appare giunto il
momento di agevolare laffermazione del caff italiano e non limi-
tarsi a quella dellespresso italiano.
Un altro aspetto merita di essere segnalato. Ad eccezione delle grandi tor-
refazioni italiane, la maggior parte delle altre investe poco o nulla nella co-
municazione di marketing verso i consumatori, per aumentare la visibilit del
brand. Al di l della pubblicit televisiva o sulla carta stampata, che possono
risultare troppo costose per tante piccole imprese, potrebbero essere impiega-
ti strumenti innovativi, come il web e il mobile, e/o essere utilizzati in modo
nuovo strumenti tradizionali, come la partecipazione alle fiere o agli eventi.
Le torrefazioni italiane partecipano alle fiere, anche a livello internazionale,
ma senza sfruttarne a pieno tutto il potenziale. Sovente si risolvono infatti
nellallestimento di uno stand, pi o meno invitante, dove collocato un
punto di erogazione del caff e qualche depliant o catalogo prodotti, e dove il
personale aziendale attende che qualcuno chieda informazioni (possibilmente
un potenziale cliente che poi si tramuter in cliente effettivo). Quello che
manca il tentativo di coinvolgere il visitatore, di sviluppare quello che nella
letteratura di marketing viene definito engagement del potenziale cliente. Se-
condo la definizione fornita da Brodie et al. (2011, 260), lengagement
uno stato psicologico che si verifica grazie alle esperienze interattive e co-

424
creative del cliente con un oggetto (brand) nellambito di una relazione e sot-
to un set di circostanze specifico, dal quale possono derivare differenti livelli
di engagement. Si tratta di un processo dinamico e interattivo allinterno di
una relazione di co-creazione di valore43.
La fiera potrebbe essere unoccasione importante per generare quelle
esperienze mediante le quali ottenere lengagement del cliente, con effetti
positivi sulla brand awareness. Potrebbero, ad esempio, essere organizzati
mini-eventi, test di assaggio del caff, punti di ascolto del consumatore,
dove invitare il visitatore alla compilazione di questionari per rilevarne le
preferenze e i principali dati, particolarmente importanti quando si tratta di
potenziali clienti esteri. In tal modo, la fiera diventa una piattaforma rela-
zionale e di scambio bidirezionale di conoscenze tra impresa e cliente,
funzionale, non soltanto a generare contatti commerciali, in unottica esclu-
sivamente promozionale, ma anche alla raccolta di preziose informazioni
utili a conoscere meglio la domanda.
Anche riguardo agli strumenti di comunicazione pi innovativi legati al
web, si rileva uno scarso ed inefficace utilizzo da parte della maggioranza
delle torrefazioni italiane. Il sito web in genere un mero sito vetrina, ra-
ramente aggiornato, in cui vengono presentati la storia, i prodotti dellim-
presa e poco altro (ad esempio, la partecipazione alle fiere). In tal modo, il
sito concepito come un mero canale di trasferimento delle informazioni
dallimpresa ad un pubblico sostanzialmente indifferenziato, limitando
linterazione con gli utenti alla possibilit di richiedere informazioni tramite
la compilazione di un form o luso dei tradizionali strumenti di contatto
(numero di telefono ed e-mail). La presenza sui social network, laddove
esista, si risolve nella pubblicazione di qualche post o foto in occasione di
eventi particolari o tuttal pi in qualche video di presentazione
dellimpresa. Nella realt tali nuovi media comunicativi offrono il contesto
ideale per coinvolgere il cliente e creare affinit con esso: la presenza sui
social network pu essere utile in unottica di medio-lungo periodo per av-
vicinare il consumatore al brand, per conquistarne la fiducia e quindi per
creare le premesse per la sua fidelizzazione (Pascucci, 2013, 136).
Essendo strumenti relativamente meno costosi rispetto a quelli tradiziona-
li, essi potrebbero essere sfruttati in maniera molto pi efficace, specie in
unottica internazionale. Non pu sfuggire infatti che il canale elettronico
per sua natura un canale di comunicazione (e di vendita) globale: limpresa

43
Per uninteressante review della letteratura in tema di consumer brand engagement si
vedano: Gambetti e Graffigna, 2011.

425
aprendo un sito web entra quasi simultaneamente e virtualmente in diversi
mercati esteri, pu raggiungere i clienti potenziali in ogni parte del mondo e
in qualsiasi momento, annullando la distanza fisica e la distanza tempora-
le che la separa dai mercati esteri (Pascucci, in Cerruti, 2012, 106).
Oltre che a promuovere il proprio brand, la comunicazione dovrebbe as-
solvere ad altre due funzioni: da un lato, educare il consumatore, che non
vuol dire insegnargli ad apprezzare la propria miscela di caff, ma inse-
gnargli ad apprezzare le differenze e le variet, informarlo su cosa sta be-
vendo in unottica di trasparenza; dallaltro lato, ascoltare il consumatore
per comprenderne meglio i gusti e le aspettative, che in contesti geografici
differenti sono profondamente diverse.
Vi inoltre un errore di prospettiva con la quale i torrefattori italiani
guardano alla concorrenza nei mercati esteri: lespresso italiano allestero
costituisce una nicchia di mercato che si colloca nella fascia premium, ov-
vero nella fascia alta del mercato rispetto alla quale le aspettative di qualit
sono estremamente elevate. Il benchmark competitivo delle torrefazioni ita-
liane pertanto non pu essere la media del mercato, ma i competitors della
fascia pi alta; una diversa convinzione rischia di generare un gap tra la
qualit attesa sul prodotto italiano e la qualit effettivamente percepita da
parte dei clienti esteri. In realt, la maggioranza delle aziende intervistate
ha dichiarato di collocarsi nella fascia media del mercato, con prezzi in li-
nea con quelli della concorrenza e non esporta le miscele migliori. Questo
costituisce un limite evidente, che rischia di far perdere credibilit al caff
italiano nei segmenti premium del mercato. Unutile strategia, ad esempio,
potrebbe essere spostare la produzione in alcuni mercati geograficamente
lontani e strategicamente importanti, dove la domanda privilegia laspetto
della freschezza del caff. Spostare la produzione ed allargare la gamma
produttiva verso prodotti diversi dallespresso non significherebbe svilire il
Made in Italy, ma anzi attribuirgli un maggior valore, un significato rinno-
vato rispetto a quello attuale, il quale, in alcune situazioni di mercato, ha
perso in parte la sua forza attrattiva.
Come sottolineato recentemente da Enrico Meschini durante la tavola
rotonda Quale futuro per lespresso italiano, che si tenuta al Sigep di
Rimini il 19 febbraio 2014, abbiamo una terza ondata di movimenti e as-
sociazioni che addirittura nel mondo non considera pi il fatto di essere ita-
liano una cosa positiva ma la reputa negativa. Ad esempio, in questi ultimi
anni in Corea del Sud lessere italiano per un certo gruppo di persone non
ha pi quel fascino e quellappeal che aveva 10 anni fa. 10 anni fa solo se ti
presentavi e dicevi di essere un torrefattore italiano avevi una possibilit
forte di entrare nel mercato. Oggi non pi cos, la stessa cosa non succede

426
pi in Canada, dove si vende caff tranquillamente ma dove forte il fe-
nomeno delle micro torrefazioni.
Va anche considerato che la diversit dei mercati esteri rispetto al mercato
italiano non si risolve soltanto in modalit differenti di bere il caff, ma riguar-
da anche la struttura dei mercati, in termini di domanda intermedia e di offerta.
Allestero infatti non esiste il tipico cliente italiano del torrefattore, ovvero il
bar locale di piccola dimensione. In Italia il settore dellHo.Re.Ca. estre-
mamente frammentato e presenta caratteristiche per certi versi uniche;
allestero il cliente mediamente di maggiore dimensione, preparato anche
da un punto di vista economico-finanziario, ha una struttura alle spalle in ter-
mini organizzativi, se non addirittura una catena di locali.
Le catene rappresentano un segmento di mercato con un elevato grado
di attrattivit, in quanto ciascuna di esse pu garantire elevati volumi di ac-
quisto. Va inoltre rilevato che la presenza del proprio prodotto nei locali di
una catena il cui marchio gode di unelevata notoriet (si pensi ad Auto-
grill, McDonalds) contribuisce a rafforzare anche il proprio brand, il quale
viene sovente associato allimmagine e alla reputazione dellinsegna del
locale. altrettanto vero per, che se la torrefazione si disinteressa delle
sorti del prodotto e del proprio brand, diviene particolarmente vulnerabile,
legando di fatto la propria performance internazionale alle decisioni della
catena. Ecco che quindi sarebbe necessario fare co-marketing insieme ad
essa allo scopo di promuovere anche il proprio brand, renderlo maggior-
mente visibile presso i consumatori esteri e ridurre il rischio di comporta-
menti opportunistici da parte della catena.
Ulteriori aspetti problematici, derivanti dal rapporto con le catene sono i
seguenti:
1) la maggiore dimensione, che le catene sovente presentano, conferisce
loro un elevato potere contrattuale, che consente in non pochi casi di
dettare unilateralmente le condizioni negoziali dello scambio con il
fornitore;
2) il processo di acquisto di una catena pu essere molto complesso e bu-
rocratizzato: esso coinvolge un team di 5/6 figure professionali con di-
versi ruoli e pu durare a lungo. Le decisioni inerenti lapprovvi-
gionamento vengono prese in genere dalla sede centrale, per privile-
giare la standardizzazione del servizio offerto al consumatore tra i vari
punti vendita della catena, e garantire cos unimmagine uniforme. I
margini di trattativa con la catena sono piuttosto limitati, in quanto es-
sa opera con regole ben definite, che difficilmente il management di-
sponibile a violare (ad esempio, per quanto concerne le condizioni di
pagamento).

427
evidente quindi che per relazionarsi in modo efficace con tale sogget-
to economico limpresa industriale necessita di competenze nuove e di mo-
delli organizzativi evoluti, che molte aziende ancora non possiedono. La
mancanza di una struttura organizzativa e commerciale adeguata pu costi-
tuire un limite sempre pi rilevante in futuro, vista la crescente diffusione
delle catene nel panorama internazionale.
Le strategie di vendita alle grandi catene implicano inoltre un approccio
completamente diverso, rispetto a quello tradizionale: significa passare
da una gestione locale del territorio (figura dellarea manager, responsa-
bile delle vendite e della gestione delle relazioni con i clienti in una data
area geografica), ad una gestione del cliente worldwide. In altri termini, da
una specializzazione esclusivamente per area geografica ad una specia-
lizzazione anche per cliente. Infatti, alcune delle principali aziende italia-
ne del settore (come Illy) hanno introdotto la figura professionale del key
account manager, proprio per gestire nel modo pi efficace possibile la re-
lazione con questi clienti strategici.
Riguardo alla concorrenza, in ciascun mercato estero si possono indivi-
duare tre tipologie di imprese concorrenti:
altre imprese italiane;
torrefattori locali;
grandi torrefattori multinazionali.
Negli ultimi anni, osservando le dinamiche a livello internazionale,
emerge un crescente interesse verso il business del caff da parte di grandi
gruppi anche estranei a tale business, attirati dalla profittabilit del settore.
Tale interesse inizia a manifestarsi con alcune acquisizioni di torrefazioni
locali44. Se tale tendenza si consolider in futuro, porter ad un aumento
della dimensione media dei competitors e i mercati diventeranno sempre
pi concentrati.
Sia le caratteristiche della domanda, sia quelle dellofferta richiederanno
in futuro alle imprese italiane uno sforzo sempre maggiore in termini di in-
vestimenti, non soltanto finanziari, ma anche in competenze differenti ri-
spetto a quelle relative al caff (in primis di marketing ed economico-
finanziarie); oltre ad una crescita dimensionale, che consenta loro di espri-
mere una maggiore forza contrattuale nei confronti degli interlocutori inter-
nazionali.

44
il caso ad esempio dellacquisizione di due torrefazioni americane (Pit e Caribou) e
dellolandese D.E. Masters Blenders da parte del fondo Jub Investments che fa capo alla
multinazionale Reckitt-Benckiser.

428
9.4. Il ruolo delle catene di coffee shop nelle strategie delle
torrefazioni italiane

Negli ultimi anni il mercato del caff a livello mondiale stato interessato
da un fenomeno rilevante: la diffusione dei coffee shop, sotto forma sia di
grandi catene nazionali o internazionali, sia di punti vendita indipendenti. I
coffee shop sono ambienti di somministrazione e vendita in cui la tazza di
caff rappresenta la principale componente dellofferta aziendale, variamente
articolata intorno alla bevanda e alle sue diverse possibili inclinazioni. Le lo-
ro potenzialit di sviluppo derivano soprattutto dalla possibilit di assumere
molteplici significati, adattandosi ai mutevoli e differenti bisogni di clienti
diversi: il coffee shop luogo di acquisto e consumo, ma pu essere anche il
luogo preferito per conversare con gli amici, leggere un libro, navigare su In-
ternet, prendersi una pausa, o altro ancora (de Luca e Pegan, 2013).
Nel business mondiale dei coffee shop accanto ad alcuni players globali
(come Sturbucks, McCaf e Costa Coffee), vi sono numerosi player con un
raggio dazione pi limitato (come Tchibo, Caff Nero, Caff Ritazza) e tra
questi anche diversi torrefattori italiani, che ormai da alcuni anni hanno ini-
ziato ad aprire locali con il proprio brand sia in Italia, sia allestero.
Per limpresa di torrefazione si tratta di una strategia di diversificazione,
e pi precisamente di integrazione verticale a valle: con essa lazienda in-
dustriale entra in un nuovo business quello dei coffee shop (quindi
nellHo.Re.Ca.) il quale richiede competenze differenti da quelle del core
business aziendale. Ci implica di entrare in concorrenza con i propri attua-
li clienti, in primis i bar. Nella realt, ci si verifica solo in parte poich
lofferta di un bar significativamente diversa da quella proposta da un
coffee shop, sotto due punti di vista:
1. dellassortimento di prodotti offerti al consumatore; il bar normal-
mente serve poche varianti di caff ed offre una maggiore variet di
altri prodotti (alimentari e non). Il coffee shop invece focalizzato
sul prodotto caff e serve molti prodotti a base di caff;
2. dellesperienza di consumo. Nel bar tradizionale il caff si consuma
sovente in piedi e in poco tempo. Nei coffee shop latmosfera diffe-
rente: lambiente, le luci, i colori creano le premesse per offrire al
consumatore unesperienza a 360, il quale ricerca forme di appaga-
mento pi olistiche, collegate al coinvolgimento e alla stimolazione
di pi aree sensoriali. Nellevoluzione postmoderna della societ
(Fabris, 2003) le persone cercano infatti unesperienza di consumo
completa, allinterno della quale i prodotti sono soltanto una delle
componenti, insieme al servizio ricevuto e allatmosfera del locale.

429
Si tratta della cosiddetta economia dellesperienza, in cui la valen-
za ricreativa e comunicativa del punto vendita assume un ruolo cru-
ciale (Pine e Gilmore, 2000). Il consumatore dellavere si trasfor-
ma in un consumatore dellessere (Vescovi e Cecchinato, 2004), il
quale ricerca nel consumo di un prodotto unesperienza positiva, in
grado di fornire valori sensoriali ed emozionali (marketing esteti-
co: che fa leva sullesperienza estetica del prodotto, esaltando la
mutisensorialit nel consumo), cognitivi, comportamentali e relazio-
nali (esperienza simbolica del prodotto, ovvero uno stimolo intellet-
tuale e creativo) (Schmitt, 1999)45.
Il processo decisionale che porta allapertura dei coffee shop (specie se
allestero) si presenta complesso e articolato. Una decisione strategica che
deve essere presa consiste nella scelta della modalit di organizzazione del-
la rete di coffee shop, secondo quale formula e con quale grado di controllo
proprietario. Le alternative sono diverse:
si possono aprire coffee shop di propriet, controllati e gestiti al
100% dallimpresa; in tal caso si realizza un investimento diretto
estero, che pu consistere nellacquisizione di un locale gi esistente
oppure nella costituzione ex novo di un locale. evidente che si trat-
ta della scelta pi impegnativa per lazienda di torrefazione, dal pun-
to di vista, sia finanziario, sia della complessit gestionale;
si possono realizzare coffee shop in partnership con altre aziende (ad
esempio, un precedente cliente/distributore estero) con la formula
della joint venture per limitare limpegno finanziario46;
si pu ricorrere alla variet degli accordi non equity, tra i quali il
franchising e il management contract47, laddove non si intendano in-

45
Schmitt (1999) propone un modello di marketing esperienziale basato su cinque moduli
strategici esperenziali, che ricalcano i moduli della mente umana e che, ciascuno da solo
oppure in combinazione con altri, possono creare un beneficio esperenziale al consumatore.
Essi sono i seguenti:
sense, che attiva le esperienze legate alla sfera sensoriale (olfatto, udito, gusto, vista e tat-
to);
feel, che attiva le esperienze affettive e stimola i sentimenti delle persone;
think, che attiva le esperienze legate allapprendimento e stimola lintelletto;
act, che attiva le esperienze legate al mondo fisico;
relate, che attiva le esperienze aggreganti e stimola le persone a relazionarsi fra loro.
46
La joint venture un accordo di collaborazione mediante il quale due o pi imprese, man-
tenendo la propria indipendenza giuridica, realizzano un progetto comune creando una nuo-
va societ. In realt, esistono anche joint venture non societarie, che non consistono nella
creazione di un nuovo soggetto giuridico ma in un semplice accordo per la gestione di
uniniziativa in comune.

430
vestire risorse finanziarie nella propriet n totale, n parziale dei lo-
cali allestero.
Dallosservazione del business dei coffee shop emerge che la formula
maggiormente ricorrente il franchising, e pertanto su di essa verter il
proseguo del paragrafo.
Il franchising un contratto, tramite il quale unimpresa il franchisor
cede ad altre imprese franchisee il diritto ad utilizzare il proprio brand
e la propria formula commerciale in cambio del pagamento di una royalties
sulle vendite. Per unimpresa di torrefazione che voglia aprire dei coffee
shop allestero pu rappresentare una valida alternativa alla propriet diret-
ta dei punti vendita, in quanto offre alcuni vantaggi:
consente di limitare il fabbisogno di capitale da investire e quindi il
rischio derivante dallattivit; nella maggior parte dei casi infatti
linvestimento necessario per lallestimento del locale a carico del-
le imprese affiliate48;
permette di sfruttare le conoscenze e la rete di relazioni locali delle
imprese franchisee; tale aspetto si pu rivelare particolarmente rile-
vante quando si tratta di entrare in mercati significativamente distanti
da quello di origine, dal punto di vista sia geografico, sia culturale;
oppure nei Paesi caratterizzati da un quadro normativo e legale poco
sviluppato o da elevata corruzione;
essendo i franchisee imprese indipendenti, operanti in proprio, la mo-
tivazione a svolgere in modo efficace ed efficiente lattivit si realiz-
za automaticamente e si riduce la necessit di offrire incentivi.
A fronte di tali vantaggi, esistono per anche alcune criticit. La prima
si riferisce al costo opportunit del franchising, ovvero al fatto che stipu-

47
Il management contract un contratto che prevede laffidamento della gestione del locale
a unimpresa specializzata, la quale agisce in nome e per conto del proprietario, apportando
il proprio know-how gestionale. In questa tipologia di contratto la propriet fornisce le infra-
strutture necessarie, mentre limpresa specializzata offre la sua esperienza nella gestione del
locale (Della Corte, 2009). Le parti coinvolte nel contratto sono pertanto le seguenti:
il client, cio il titolare del coffee shop, che non possiede le competenze per gestire il bu-
siness del locale e che riconosce al contractor una percentuale di remunerazione (fee) calco-
lata sul fatturato ottenuto o sul profitto conseguito;
il contractor, cio il soggetto che assume la conduzione del locale, di cui ha la responsabi-
lit, impegnandosi al raggiungimento di determinati obiettivi, in termini di fatturato o reddi-
tivit.
48
Peraltro, lentit dellinvestimento iniziale che il franchisee deve realizzare, pu costituire
implicitamente un efficace meccanismo di selezione del partner: la disponibilit ad investire
una somma considerevole un indicatore del valore che il franchisee attribuisce
alliniziativa e quindi dellimpegno che metter nel proficuo sviluppo del business.

431
lando un accordo di franchising limpresa franchisor di fatto accetta di li-
mitare i propri guadagni alle royalties sulle vendite dei franchisee, ma que-
ste potrebbero essere ben inferiori rispetto ai profitti ritraibili da una propria
unit di vendita o da una joint venture, se lofferta proposta sul mercato
estero ha successo (Teegen, 2000). In secondo luogo, non vanno sottovalu-
tati i rischi relativi ad eventuali utilizzi impropri del brand ceduto dal fran-
chisor ai franchisee, specialmente nei mercati dove la tutela della propriet
intellettuale risulta meno efficace.
Elemento cruciale nel rapporto di franchising internazionale il raggiun-
gimento di un adeguato equilibrio tra due aspetti: da un lato, la necessit del
franchisor di controllare la rete per assicurare il rispetto dellimmagine del
brand e luniformit dei servizi; dallaltro lato, lautonomia da concedere ai
franchisee per rispondere nella maniera pi efficace possibile alle richieste
del mercato locale.
Esistono diverse tipologie di franchising (Amoroso et al., 2001):
1. franchising diretto, nel quale il franchisor realizza una gestione di-
retta della rete nel Paese estero; questa pu avvenire tramite diverse
modalit:
stipulando dallItalia contratti con franchisee esteri;
aprendo una propria unit operativa estera, che si occuper della
gestione della rete in franchising nel Paese estero; tale modalit
viene, ad esempio, impiegata da Segafredo Zanetti, che gestisce le
proprie reti di caffetterie in franchising Segafredo Zanetti Espres-
sion, Puccinos e Chock Full ONuts tramite tre societ Sega-
fredo Zanetti Espresso Worldwide con sede a Ginevra, Massimo
Zanetti Beverage Caf Usa, e Segafredo Zanetti Espresso World-
wide Japan;
2. franchising indiretto, nel quale il franchisor affida ad un soggetto lo-
cale la realizzazione e la gestione della rete di franchising; anche in
tal caso si possono avere diverse modalit attuative:
joint venture franchising, secondo il quale il franchisor costitui-
sce insieme ad un partner una societ nel mercato estero, la quale
si occuper dello sviluppo della rete di coffee shop in quel merca-
to. Il rapporto tra azienda di torrefazione e coffee shop pertanto
indiretto, in quanto mediato dalla joint venture; il controllo che
la prima pu esercitare sulla rete dei locali dipende dallentit del-
la sua partecipazione a tale joint venture e dalla ripartizione del
potere decisionale con il partner;
area development agreement, secondo il quale il franchisor accor-
da ad un soggetto (area developer) il diritto di individuare e di ge-

432
stire una o pi unit di vendita diretta, allinterno di un dato territo-
rio, delle quali diventa proprietario; larea developer versa un ca-
none come corrispettivo; non vi quindi alcun rapporto contrattua-
le tra il franchisor e le varie unit di propriet dellarea developer;
master franchising, secondo il quale il franchisor affida in via
esclusiva al master franchisee il diritto di stipulare contratti di fran-
chising con i sub-franchisee in una certa area geografica; si ricorre
in genere a tale formula, quando la conoscenza del mercato estero
nel quale si vuole entrare scarsa oppure quando si vogliono limi-
tare i rischi e le responsabilit derivanti dalla gestione della rete, i
quali sono tutti in capo al master franchisee; in particolare, si tratta
della forma pi frequente quando il mercato estero-obiettivo di-
stante, dal punto di vista sia geografico, sia culturale, dal mercato
di origine e quando presenta un rischio-Paese elevato (Alon e Col-
lege, 2006);
area representation, che rappresenta una variante del master fran-
chising finalizzata a limitare il potere del master franchisee; in tal
caso, si ha unarea representative che ha il compito di ricercare
potenziali affiliati e di fornire alcuni servizi ai franchisee, in cam-
bio di una quota della fee di ingresso e dei canoni per il recluta-
mento e per i servizi erogati. I contratti per coinvolgono diretta-
mente franchisor e franchisee e quindi sar il primo ad incassare
fee e canoni e a versarne poi una parte allarea representative;
franchising brokerage, mediante il quale il franchisor delega ad
un franchise broker la ricerca dei potenziali affiliati.
Nella figura seguente vengono illustrate sinteticamente le principali mo-
dalit di ingresso nel business dei coffee shop allestero: dal franchising in-
diretto allinvestimento diretto estero evidente che aumenta il fabbisogno
di capitali per limpresa di torrefazione e quindi il rischio economico
delliniziativa, ma cresce anche il grado di controllo che questa pu eserci-
tare sulla rete. Pu essere utile ricordare che il controllo dipende da come
sono stati distribuiti la propriet e il potere decisionale tra limpresa di
torrefazione e i partner esteri49.
Al di l dellistituto giuridico assunto e delle politiche di immagine
adottate, le catene vengono percepite dal consumatore come un prodotto

49
Vari fattori (interni ed esterni allimpresa) possono influire sulla scelta di una modalit
piuttosto che unaltra, ma la loro analisi non rientra negli scopi del presente lavoro. Per un
approfondimento si possono utilmente consultare: Jell-Windsperger (2013), Konigsberg
(2008), Burton et al. (2000), Anderson e Gatignon (1986).

433
unitario, ovvero un insieme di locali che, sotto lo stesso brand, offrono un
pacchetto di servizi caratterizzati da un certo livello di omogeneit, da una
stessa immagine e da uno stesso rapporto qualit/prezzo (Benevolo e Gras-
so, 2005).

Fig. 3 Principali modalit di gestione della rete di coffee shop allestero

Entit degli investimenti di risorse finanziare


Rischio economico
- Grado di controllo sui coffee shop +

Franchising Franchising Coffee shop in Coffee shop di


indiretto diretto joint venture propriet

I locali di una catena devono in genere garantire uno standard di servizio


ai clienti, il quale viene definito in funzione del posizionamento e
dellimmagine del locale: esso serve a garantire al cliente che, ovunque il lo-
cale si trovi, presso quellinsegna potr usufruire del medesimo livello di ser-
vizio.
Osservando la situazione attuale delle catene di coffee shop emerge chia-
ramente che la soluzione del franchising (ed in particolare del master fran-
chising) quella maggiormente diffusa tra le imprese di torrefazione italiane.
Levoluzione pi frequentemente riscontrata prevede, in una fase iniziale di
sviluppo della catena, lapertura di punti vendita di propriet a gestione diret-
ta e, in una fase successiva, lestensione del numero dei punti vendita con la
formula del franchising. Cos, ad esempio, stato per Lavazza, attualmente
proprietaria di tre catene: Espression Lavazza (il cui primo punto vendita fu
aperto a Torino nel 2007), Il Caff di Roma (frutto dellacquisizione di una
societ spagnola nel 1999) e Barista (frutto dellacquisizione della consociata
indiana nel 2008). La quasi totalit dei punti vendita delle tre catene oggi
gestita in franchising; la scelta di passare dalla propriet al franchising stata
motivata principalmente da due ragioni:
1. le difficolt nella gestione di un business quello del coffee shop
molto distante dal core business aziendale ossia la torrefazione di
caff;
2. lopportunit di sfruttare le maggiori conoscenze che i partner esteri
locali possono avere sulle caratteristiche del mercato-Paese.
Nellambito dellaccordo di franchising lazienda torinese ricorre sia al-
la modalit diretta, con la selezione e la gestione diretta della rete dei fran-

434
chisee, sia a quella indiretta del master franchising (come in Russia, in Ci-
na e in Brasile). In questultimo caso la scelta del master franchisee assume
un ruolo cruciale per lefficacia e lefficienza dellintera rete in un dato ter-
ritorio: nella politica di Lavazza deve trattarsi di un imprenditore con una
certa esperienza nel settore, una profonda conoscenza del mercato locale, e
disponibile ad investire nel marchio, secondo piani di medio-lungo periodo.
Pur non avendo la gestione diretta della rete dei locali, Lavazza partecipa
alla progettazione del layout del coffee shop, proponendo un format che
uguale in tutti i mercati per garantire la riconoscibilit del brand, anche se
pu essere adattato in alcune componenti in funzione delle caratteristiche
dello specifico mercato-Paese. Inoltre, compito della Lavazza provvedere
alla formazione del personale che lavora nel locale, riguardo agli aspetti le-
gati al caff. Lobiettivo quello di ricreare anche allestero unautentica
Italian Coffee Experience.
Completamente opposta invece la strategia che stata seguita da Illy,
con la propria catena Espressamente Illy. Da modalit a ridotto grado di
controllo si passati nel tempo a modalit con maggiore grado di con-
trollo sulla rete, come illustrato nella tabella seguente.
Differenti sono anche gli obiettivi perseguiti dalle due grandi torrefazio-
ni italiane con lapertura dei coffee shop; per Lavazza questi sono funziona-
li ad una strategia di brand building ovvero alla costruzione e/o amplifi-
cazione della notoriet del brand, tant che il numero di locali aperti in Ita-
lia ridottissimo, essendo il brand Lavazza gi molto noto nel mercato do-
mestico. Per Illy, oltre a tale obiettivo, i coffee shop hanno attualmente an-
che un ruolo economico ovvero sono fonti di profitto.
Nei mercati dove la cultura del caff non ancora affermata, lapertura
di coffe shop risponde inoltre allesigenza di contribuire allo sviluppo di
tale cultura e alla diffusione del caff: si tratta, in altre parole, di creare il
luogo di consumo laddove non vi sia ancora.
In generale, il mercato italiano delle caffetterie a marchio di catena
ancora ridotto: attualmente le unit sono circa 1.600, con una quota nume-
rica di appena l1% sul totale dei bar; il grado di concentrazione inoltre
molto elevato, con tre sole catene (Acaf, Enicaf e McCaf) che ne con-
trollano oltre i 2/3 (Coffitalia, Annuario 2013-2014).

Tab. 6 Levoluzione della catena di coffee shop Espressamente Illy

La formula inizialmente adottata dallazienda triestina era quella del licensing: i primi Illy Bar
concepts, aperti in Italia allinizio degli anni 2000, erano locali con i quali si era stipulato un contrat-
to di distribuzione selettiva della durata di 5 anni, comprendente anche la licenza gratuita per luso
di un modello architettonico di bar ideato dalla stessa Illy; il proprietario del locale aveva piena li-

435
bert di azione nella gestione, anche riguardo alla definizione dellofferta food e il bar non entrava
a far parte di alcuna catena controllata, rimanendo completamente indipendente.
Nel 2005-2006 inizi il processo di trasformazione degli Illy Bar concepts, con la formula licen-
sing, in locali Espressamente Illy, con la formula del franchising: si creava in tal modo una vera e
propria catena di locali, accumunati da una medesima insegna. Tale trasformazione stata indotta
dalla volont di acquisire un maggior controllo della rete dei locali rispetto a quello esercitabile con
la formula del licensing; va inoltre considerato che dallavvio dei primi Illy Bar concepts lazienda
aveva potuto maturare unesperienza significativa nella gestione del business ed era pertanto
pronta ad esercitare questo maggiore grado di controllo e ad offrire ai franchisee una pi vasta
gamma di servizi di supporto. Attualmente infatti Illy in grado di supportare il proprietario del loca-
le a 360 su ogni aspetto della gestione: dallamministrazione e finanza al marketing, dalla defini-
zione dellofferta food al design engineering; ogni franchisee ha un referente nellazienda di torre-
fazione denominato ambassador che funge da problem solver e da trait dunion tra il franchi-
see stesso e le diverse aree gestionali aziendali.
I primi Espressamente Illy sono stati aperti in Italia; attualmente su 208 punti vendita, sola-
mente 40 sono localizzati nel nostro Paese. Inizialmente si utilizzata la modalit del franchising
diretto, poi a seguito delle difficolt nel gestire direttamente una rete sempre pi ampia e dispersa
geograficamente, lazienda ha cominciato a ricorrere alla figura del master franchisee. Pi recen-
temente, la tendenza quella di sostituire i contratti di master franchising con quelli di area deve-
lopment: nella strategia dellazienda, questi ultimi offrono il vantaggio di consentire un maggior
controllo della rete, in quanto il partner pu soltanto aprire punti vendita diretti ma non ricorrere al
subfranchising, come invece accade con il master franchising. Per conseguire un controllo ancora
maggiore delle rete, in futuro lobiettivo sar quello di aumentare il peso dei punti vendita di pro-
priet che attualmente sono soltanto 7.
evidente, nel percorso seguito dallazienda triestina, limportanza strategica di accorciare il
canale di distribuzione, per essere maggiormente vicini al consumatore e controllare in modo an-
cora pi efficace limmagine e il posizionamento del brand. Ci testimoniato anche dalla creazio-
ne di una specifica divisione allinterno della struttura organizzativa, dedicata alla gestione delle at-
tivit business to consumer, ovvero alla gestione della catena Espressamente Illy (punti vendita
con somministrazione di alimenti e bevande) e degli Illy Point (punti vendita senza somministrazio-
ne di alimenti e bevande). Questi ultimi rappresentano una forma di retail puro, per la vendita di
prodotti a marchio Illy ed in particolare del sistema monoporzionato Iperespresso. Tale divisione
affianca quella destinata alla gestione delle attivit business to business, la quale si occupa della
distribuzione tradizionale del caff nellHo.Re.Ca. in tutto il mondo, mediante la rete commerciale.
La necessit di avvicinarsi al cliente finale stata indotta anche dalla recente evoluzione del
mercato del caff con la diffusione del monoporzionato; non pu sfuggire infatti che lofferta com-
merciale si presenta in modo significativamente differente, in termini di complessit, nel caso della
vendita di caff in grani e in quello della vendita di un sistema macchina e capsula. In questultimo
caso maggiore la componente di servizio che deve essere offerta al consumatore (se non altro
per la manutenzione e riparazione della macchina) e pertanto diventa necessario essergli vicino
geograficamente, incrementando la presenza capillare sul territorio.

Fonte: ns. indagine diretta.

436
Si possono individuare tre tipologie di operatori50:
operatori della ristorazione commerciale, quindi gi operanti
nellHo.Re.Ca., i quali hanno aperto locali specializzati nellattivit
di caffetteria (si pensi ad Autogrill con la catena Acaf, ad Eni con
gli Enicaf, al Gruppo Cremonini con Chef Expresse Mok);
operatori specializzati nel business delle caffetterie, come Linos
Coffee e Ca Puccino;
imprese di torrefazione. Fra queste, non vi sono soltanto le imprese
pi grandi, ma anche le torrefazioni di media e piccola dimensione
(come emerge dalla Tabella 7). Va per rilevata in proposito una dif-
ferente strategia perseguita dalle grandi imprese rispetto alle imprese
pi piccole: le tre grandi multinazionali del caff italiane (Lavazza,
Segafredo e Illy) hanno un numero di punti vendita in Italia ridottis-
simo rispetto a quello totale, mentre imprese pi piccole hanno attua-
to una strategia differente, con un maggior equilibrio tra punti vendi-
ta in Italia e allestero (ad esempio, Mokarabia, Casa del Caff Ver-
gnano, Dersut).
In realt, una maggiore investimento delle torrefazioni anche nel nostro
Paese potrebbe contribuire a rivitalizzare un mercato, che ormai maturo e
stagnante da diverso tempo e soprattutto a favorire una maggiore brand
loyalty da parte del consumatore. ben noto infatti che il consumatore ita-
liano risulta pi fedele allinsegna del locale (store loyalty) piuttosto che
alla marca del caff che vi consuma allinterno (brand loyalty) e di cui so-
vente non ne ha nemmeno ricordo, una volta uscito dal locale.

Tab. 7 Alcune catene di coffee shop di propriet di torrefazioni italiane

TORREFAZIONE NOME DELLA CATENA


Bocchia Caff Bocchia Caff
Caff Carraro Case del Caff
Caff del Doge Caff del Doge
Caff Milani Caff & Caff
Caff Molinari 1808
Caff Ottolina Ottobar
Caff Pascucci Pascucci Shop
(continua)

50
Singolare lassenza di operatori stranieri (ad eccezione di Mc Donalds e Caff Ritazza)
sul mercato italiano.

437
(segue)
Caff Port Moka Port Moka
Casa del Caff Vergnano Caff Vergnano 1882
Compagnia del Caff Nerocaff
Corsino Corsini Spa Corsini Caf
Danesi Caff Spa
Dersut Italiana Caff
La Bottega del Caff Dersut
Giornale & Caff
Foschi Botteghe del Caff
Goppion Caff Caffetteria Goppion
Illy Caff SPA Espressamente Ily
LavazzaSpa Espression Lavazza
Caff di Roma
Barista Lavazza
Lui Espresso Lui Espresso Boutique
Mokaflor Chiaroscuro
Mokarabia Mokarabia Coffee Bar
Procaff-Wedl Testa Rossa CaffBar
Saquella 1856 Saquella Espresso Club
Segafredo Zanetti Segafredo Zanetti Espresso
Puccinos
Chock full ONuts
Torrefazione Brasiloro Caffetteria Brasiloro
Universal Caff Compagnia del caff

La creazione di unesperienza di consumo appagante allinterno di una


propria caffetteria pu costituire un rilevante driver di differenziazione del
brand rispetto alle imprese concorrenti e giustificare leventuale applica-
zione di un premium price ai prodotti. Essa consente di instaurare tra il
brand e il cliente una sorta di empatia, di aumentare il coinvolgimento di
questultimo nella relazione con limpresa e quindi la differenziazione per-
cepita durante il processo di consumo. In tal modo si crea unesperienza
complessiva di marca (brand experience), funzionale al rafforzamento della

438
relazione tra questultima e il consumatore e quindi anche alla brand loyal-
ty (Iglesias et al., 2011)51.
La soddisfazione del cliente che frequenta questi locali pu avere per-
tanto un riflesso positivo sulla marca e stimolare il consumatore a scegliere
quel brand ogniqualvolta gli sia possibile, compreso nel consumo a casa.
La maggior notoriet del brand accresce poi il potere contrattuale
dellimpresa nei confronti delle imprese distributrici del luogo: se la do-
manda finale dimostra di apprezzare il prodotto, la Grande Distribuzione
Organizzata incentivata ad inserirlo nel proprio assortimento e anche i
pubblici esercizi ne guadagneranno in termini di immagine e di vendite.

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51
Le imprese del fashion (specialmente quelle della fascia medio-alta del mercato) hanno da
tempo compreso la necessit di presidiare direttamente il mercato, aprendo propri punti ven-
dita monomarca per influire in modo pi efficace sulla brand experience. In tal modo,
limpresa, facendo leva sullo spazio fisico del punto vendita, cerca di proporre un mondo
legato alla marca, il quale coinvolga e appaghi il consumatore, incentivandone la fedelt.

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366.97 25-03-2014 14:46 Pagina 1

366.97 M. Giuli, F. Pascucci - IL


Intorno al caff espresso si sviluppato in Italia un sistema di business ampio
ed articolato, al cui centro si collocano le imprese di torrefazione. Queste trasfor- Maurizio Giuli
mano la materia prima il caff verde in caff torrefatto e, sotto varie forme,
lo vendono in differenti canali, ciascuno dei quali presenta proprie specificit e Federica Pascucci
propri fattori critici di successo; nel presente lavoro, lattenzione verter soprat-
tutto sul canale Ho.re.ca. (Hotel, Restaurant, Catering), che costituisce il canale
storico del caff espresso, in cui operano oltre 700 torrefazioni, la maggior parte Il ritorno alla competitivit
delle quali sono di piccola dimensione.
Si tratta di un settore importante del Made in Italy, che in Italia ha raggiunto la
fase di maturit ormai da diversi anni: i mercati esteri rappresentano perci uno
dellespresso italiano
sbocco commerciale strategico, funzionale ad ogni strategia di crescita azienda-
le. Levoluzione che si sta verificando nel contesto internazionale, con lafferma- Situazione attuale
zione di nuovi competitors e la diffusione del consumo di caff anche in Paesi tra- e prospettive future

RITORNO ALLA COMPETITIVIT DELLESPRESSO ITALIANO


dizionalmente lontani a questa bevanda, pongono nuove opportunit ed allo stes-
so tempo nuove sfide alle imprese italiane. per le imprese
Lobiettivo del presente lavoro duplice: da un lato, riflettere sul posizionamen-
to competitivo delle imprese italiane in questo mutato quadro ambientale interna- della torrefazione di caff
zionale, anche alla luce dei vincoli e dei vantaggi derivanti dal contesto naziona-
le; dallaltro, fornire alcune indicazioni per il miglioramento di tale posizionamen-
to in una prospettiva futura.

Maurizio Giuli presidente dellAssociazione Italiana Costruttori Macchine per


Caff Espresso (UCIMAC) e dal 2002 direttore marketing della Nuova Simonelli.

ECONOMIA
Laureato in economia e commercio, ha conseguito il dottorato di ricerca in economia
e gestione delle imprese ed il Master Science in International Business a Londra. Ha
maturato esperienze come export area manager ed ha insegnato economia azienda-
le presso lUniversit degli studi di Camerino.

Federica Pascucci professore aggregato presso la Facolt di Economia


Giorgio Fu dellUniversit Politecnica delle Marche, dove insegna internet e marke-
ting; ricercatrice presso la medesima universit, ha in precedenza conseguito il tito-
lo di dottore di ricerca in economia e gestione delle imprese e svolge da anni studi
sui temi del web marketing e del marketing internazionale, rispetto ai quali autrice
di varie pubblicazioni.

La discussione continua su
www.espressocompetitiveness.com

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