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La memoria procedurale riguarda l’esecuzione di compiti, “qualcosa che posso fare”, come
andare in bicicletta o, appunto, fare le trazioni”
Molti studi hanno identificato che la memoria dichiarativa e quella procedurale sono processate
differentemente nel cervello. Vi presenterò però solo il modo con cui si pensa venga elaborata la
memoria dichiarativa anche se a noi interesserebbe di più quella procedurale. Del resto, vogliamo
fare lo squat e non impararci le poesie a memoria. Che si fottano, le poesie.
Poiché l’argomento è complesso e non è chiaro nemmeno a chi lo studia, mi permetto di
evidenziare questi aspetti: gli studi sono effettuati con esperimenti in cui i soggetti sono sottoposti a
compiti “semplici” e facilmente catalogabili come dichiarativi o procedurali (ricordare una
sequenza di lettere o picchiare le dita sul tavolo con un certo ritmo), viene registrata l’attività del
cervello per capire cosa succede.
Se il confine è netto in questi casi, è molto più labile se parliamo di compiti complessi quale ad
esempio uno squat: io posso descrivere lo squat, ho coscienza di dove sono in ogni momento della
traiettoria, per impararlo devo non solo comprendere il movimento ma anche il perché deve essere
proprio quello. L’apprendimento di uno squat coinvolge moltissime aree del cervello ed è difficile
classificarlo come solo procedurale…
Due memorie… anzi tre
Se il cervello è la più potente macchina elabora-informazioni dell’Universo, il modo con cui
memorizza le informazioni non può di sicuro essere banale e semplice…
Memoria di lavoro
MI MC
Ippocampo
DI C
Corteccia
cerebrale
DC
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Qualsiasi sensazione raggiunge i nostri sensi viene memorizzata per qualche secondo in quella che
viene definita memoria di lavoro. Queste sensazioni vengono memorizzate o scartate ma comunque
il contenuto della memoria di lavoro viene sostituito da altri ricordi.
Dalla memoria di lavoro le informazioni, le registrazioni, passano all’ippocampo, una zona del
cervello all’interno del lobo temporale, e alla corteccia cerebrale. Nel disegno le frecce MI e MC
rappresentano la “forza” con cui vengono creati questi ricordi o tracce nelle rispettive aree. Perciò,
inizialmente la memoria si forma nell’ippocampo.
I ricordi tendono a diventare più labili con il passare del tempo, cioè decadono ma con velocità
differenti nelle due aree descritte: più velocemente nell’ippocampo, freccia DI, più lentamente nella
corteccia, freccia DC: questo significa che la memoria diventa nel tempo sempre meno dipendente
dall’ippocampo.
La freccia C rappresenta il consolidamento della memoria dall’ippocampo alla corteccia ed è la
chiave di tutto: l’ippocampo non è solo una RAM veloce che memorizza informazioni ma può
“insegnare” alla corteccia.
A che serve “consolidare”?
Sarebbe tutto più semplice se qualsiasi informazione venisse memorizzata istantaneamente. Il
problema è che sarebbe un vero spreco.
Permettetemi questo parallelo: abbiamo oggi a disposizione hard disk di dimensioni di un terabyte,
mille gigabyte, che ci permettono di memorizzare qualsiasi nuovo file senza preoccuparci di
cancellare i vecchi. Questo è comodo ma è stupido, una possibilità data dal costo in picchiata dei
supporti di memorizzazione che permette di aumentare indiscriminatamente la capacità di
memorizzazione.
Nascono, però, nuovi problemi: le decine di migliaia di foto, le migliaia di canzoni, le centinaia di
film devono essere in qualche modo catalogate per essere utilizzare, per scappare fuori quando ci
servono e buttare dentro roba qualsiasi essa sia aumenta la complessità della gestione delle
informazioni stesse. Vi accorgete di questo problema quando fate vedere a vostra suocera le foto
della comunione del nipotino e scappano fuori immagini raccapriccianti dei vostri incontri sado-
maso a base di latex e fruste. “Eppure mi ricordavo che da CMG001.jpg a CMG103.jpg c’erano le
foto del piccolo…”. “Coglione! I nomi sono quelli giusti ma hai aperto la cartella sbagliata!”.
Il cervello è strutturato non solamente per memorizzare informazioni, ma principalmente per
catalogarle e poterle utilizzare.
La memoria di lavoro è pertanto un buffer dove tutto viene schiantato dentro, ma per poco tempo.
Poi, in qualche modo e con una qualche forma di filtraggio, tutto viene passato a strutture che
elaborano informazioni.
La corteccia contiene la “vera” memoria delle informazioni, i ricordi che permangono, catalogati e
classificati in modo da poterli richiamare quando servono per sopravvivere al mondo: l’immissione
tout-court di nuove informazioni porterebbe alla distruzione di questi schemi con conseguenze
estremamente pericolose. L’ippocampo permette così l’acquisizione “rapida” di nuove informazioni
che possono essere utilizzate senza che queste vadano a rovinare gli archivi della corteccia.
L’altro importantissimo ruolo dell’ippocampo è il “replay” continuo delle informazioni presenti al
suo interno verso alla corteccia che può così scoprire elementi comuni fra esperienze diverse,
categorizzare informazioni eterogenee, generalizzare ricordi particolari integrando (appunto,
sommando) tutto questo alle informazioni presenti consolidando, cioè “rendendo stabile”, il nuovo
nel vecchio.
La formazione della “memoria” è perciò l’integrazione di nuove informazioni all’interno della
struttura di ciò che è già presente, ed è un processo che richiede del tempo, giorni, settimane.
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Specialmente per i “ricordi motori” il sonno svolge un ruolo fondamentale per la riorganizzazione
degli schemi mentali connessi ai movimenti: oggi avete giocato tutto il giorno con la PS3 ma il
cattivone di turno vi ha ammazzato sempre, domani vi svegliate e il cattivone prende un sacco di
kicks in the ass. Il “ricordo motorio” dei movimenti delle vostre mani coordinate dagli occhi si è
integrato con gli altri presenti nella vostra corteccia permettendovi un controllo migliore rispetto a
quello del giorno prima. E’ necessario perciò uno stimolo ma anche del tempo perché questo
stimolo possa fondersi con gli altri. Riuscite a vederci qualcosa di buono per quanto riguarda
l’allenamento?
L’ultimo paragrafo è pericolosissimo per il palestrato medio che a seguito della lettura pensa: “se
dormire migliora la mia performance, allora dormire 10 ore è meglio di 8 ore e 12 meglio di 10”.
Mi raccomando: non c’è bisogno di raddoppiare la dose di Tavor ed andare in letargo per diventare
più forti.
Il cervello utilizza come sempre un metodo geniale per permetterci di memorizzare quantitativi
illimitati di informazioni: una compressione delle informazioni fantastica insieme ad una velocità di
acquisizione
Perché ripetere?
C’è un piccolo problema: il cervello è fantastico, l’ippocampo, la corteccia, ci vuole un po’ i tempo
poi tutto viene consolidato bla bla bla. Bene: ma se è così eccezionale, perché per memorizzare
qualcosa di minimamente complesso devo ripetere quel “qualcosa” più e più volte?
Bella domanda, no?
Come vedete, per scoprire chi è l’assassino in questo gioco è necessario continuare a giocare: la
risposta a questa domanda è semplice se si risponde a quest’altra domanda: “cosa accade
fisicamente al cervello quando memorizza qualcosa?”
Toccatevi già da ora i gioielli di famiglia perché nella prossima puntata parleremo di ictus
cerebrali…