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Il seme dell'odio

Da ieri abbiamo un problema. Dal rubinetto l'acqua non


esce pi.
- Devi uscire a prendere l'acqua, - mi dice Danica, lo
sguardo angosciato, la sigaretta nella mano tremante. Dobbiamo cucinare, i bambini hanno fame. E per lavarci, come
faremo?
Non le rispondo, guardo dalla finestra. La giornata
magnifica, il sole splende sulle case e sulle vie di Sarajevo,
citt che un tempo amavamo. Sembrano passati secoli da
allora.
- Non posso uscire ora, - le dico. - Con questa giornata, i
cecchini avranno modo di notare qualsiasi movimento. Non hai
visto quello che successo a Milan la settimana scorsa?
A Sarajevo le belle giornate sono quelle meno adatte per
uscire di casa. Milan, il nostro vicino, marted scorso ha
cercato di raggiungere la casa di sua madre, anziana e malata,
attraversando il Ponte Latino in pieno giorno. Qualcuno gli
aveva riferito che la madre stava male, e lui - solitamente molto
prudente - si era fiondato in strada. Marted era una giornata
splendida, come oggi.
Appena imboccato il Ponte, dalla parte settentrionale, Milan
crollato a terra, colpito da un proiettile alla schiena. Il grido
"Pazite, Snajper!"1 era risuonato un'altra volta invano. Il settore
del Ponte proprio quello dove caduto, nel 1914, Francesco
Ferdinando. Non ho potuto fare a meno di pensarci, quando mi
hanno raccontato di Milan.
Resta il fatto che abbiamo bisogno di acqua. Mi prenderei a
sberle per la mia dabbenaggine. Non ho pensato a farne scorta,
finora l'acquedotto aveva continuato a funzionare
perfettamente. Ieri mattina, per, c' stata una grande
esplosione, a qualche isolato di distanza. Un colpo di mortaio
1

"Attenzione, cecchino!"

deve aver colpito in pieno le tubature, e siamo rimasti a secco.


O forse qualcuno ha tagliato i tubi volontariamente, assieme a
quelli dell'elettricit. Ovviamente neppure il riscaldamento
funziona; per fortuna siamo a maggio, e per ora non ne
abbiamo bisogno. Ho voluto semplicemente verificare.
Ora i bambini hanno fame, hanno sete, sono piccoli. Danica
piange. Da qualche parte ho letto che le donne piangono pi
degli uomini perch comprendono meglio la sofferenza
presente nel mondo. Credo sia un detto ebraico.
- Dobbiamo aspettare che cali la notte, - le dico. - Abbi
pazienza. Milan non aveva moglie, n figli. Io non posso
rischiare di non tornare a casa.
Danica piange ancora di pi. Mi allontano dalla stanza, non
posso sopportare questa scena. I bambini sembrano tranquilli,
giocano per terra, in salotto. La nostra sola presenza li conforta.
Non voglio per che avvertano la nostra disperazione.
Sono settimane, ormai, che non possiamo portarli all'asilo.
Chiedono dei loro amici, delle maestre. Chiedono di uscire, di
andare al parco, a giocare.
- C' pericolo, - gli diciamo. - Ci sono le bombe che cadono
dal cielo. Ci sparano addosso dalle colline.
Ieri ho contato qualcosa come trecento bombardamenti. Ci
sono incendi ovunque. Mi hanno detto che la Biblioteca
Nazionale, dove lavoravo fino a poco tempo fa, rimasta
distrutta assieme ai suoi libri. I suoi preziosi libri.
Mi guardo attorno, giro per la casa come un topo in
trappola. C' bisogno di tutto: cibo, acqua, medicine. Se ci
ammaliamo, serviranno anche quelle.
Non posso uscire. Devo attendere la notte. Sento le bombe
fischiare, non posso fare nulla. Rimanere chiusi in casa
potrebbe comunque esserci fatale, se la nostra palazzina fosse
colpita da un razzo. C' un unico estintore in tutta la palazzina,
come potrei affrontare un incendio?
Mi butto su una poltrona, cerco di distrarmi, di pensare ad
altro. Penso al passato. Penso al mio matrimonio.

Io ero croato, Danica serba. Ricordo lo scandalo, la rabbia


dei miei genitori.
- Siamo tutti e due slavi, - insistevo. - Parliamo
sostanzialmente la stessa lingua. Serbi e croati sono
fisicamente e culturalmente indistinguibili. Cosa c' che non
va?
- I serbi sono gli eredi della fede slavo-ortodossa, - replic
mio padre.
- I serbi ci odiano, - decret mia madre.
- Un giorno la Jugoslavia esploder, - sostenevano tutti e
due. - La convivenza di etnie differenti una costruzione
demoniaca.
- Voi vivete nel passato, - continuavo. - L'odio di cui parlate
antico, superato. Il mio mondo, quello mio e di Danica, un
mondo giovane, nuovo. Diverso dal vostro.
- Tu non capisci, - disse mio padre. - Tra i croati ed i serbi
non pu esservi unione. N famiglia. N patria comune.
- Sposa pure chi vuoi, - concluse mia madre. - Noi non
parteciperemo al tuo matrimonio. Non assisteremo alla tua
rovina ed a quella dei tuoi figli.
Seduto su questa poltrona, rifletto. Rifletto e capisco.
Capisco che il caos che ci circonda rumore di sciabole
proveniente dal nostro passato.
Capisco che il seme di un odio antico ha generato un fiore
di sangue.
Capisco di avere promesso a Danica un futuro che non
esiste.
Vado nello sgabuzzino, raccolgo due secchi, esco di casa,
mi dirigo verso la fontana e mi metto in fila per l'acqua.

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