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GIAMPAOLO FRANCESCONI*
ITALIA, ITALIE, ITALICAE GENTES
PARTICOLARISMI, VARIET E TENSIONI
ALLUNITAS NELLA CRONISTICA
TARDOMEDIEVALE
Giovanni Sercambi, nel capitolo DLIII del secondo libro delle sue Croniche, tratteggia un quadro di tucte le
condictioni de paezi di Ytalia. Il cronista, tutto immerso
nella stesura di una sorta di diario politico della Lucca secondo trecentesca, opera un salto di prospettiva e allarga la
visuale ad unottica pi generale, che gli consenta di legare
le tormentate vicende cittadine ad un pi ampio contesto
sovralocale. Le ragioni di quella scelta narrativa non sono
semplici da ricostruire. La sensazione per che in Sercambi, come in Villani seppur in una misura pi sfumata, pesasse la convinzione che per comprendere pienamente e in
profondit quel che accadeva a Lucca fosse necessario guardare anche fuori da quel sistema citt. Era in fondo il
* Il contributo costituisce lesito di una riflessione e di una impostazione comune. La sua realizzazione ha tuttavia beneficiato di una ripartizione sulla base delle sensibilit e delle competenze dei singoli: Anna
Air si occupata dei materiali relativi allItalia del Mezzogiorno,
Elisabetta Caldelli di quelli dellarea romana e laziale, Valeria De Fraja
dellarea veneta, mentre Giampaolo Francesconi si occupato della
Toscana e della scrittura del testo.
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piuttosto che una storia dItalia, una storia in cui la presenza, lazione e gli ideali delle due potest universali, della
Chiesa e dellImpero, stata invasiva e condizionante, ma
correremmo il rischio dellingenuit e dellolismo interpretativo, se allinterno di quel percorso non cercassimo di ravvisarne i momenti di rottura e le asincronie di costruzioni
storiografiche che molto devono alla sete di nazione che
aveva attraversato il nostro Risorgimento. Che stata una
fase recente e decisiva della nostra storia, ricca di tensione
politica e culturale per inscriversi nel dettato del nostro
convegno , una stagione fondativa della comune vicenda
nazionale, ma che ha avuto anche la forza di innalzare costruzioni storiografiche distorsive, periodizzanti e, talvolta,
persino egemoni nei confronti del successivo discorso politico e culturale. I Medioevi antagonisti, il Medioevo delle
antitesi evocato di recente seppur in modo diverso da
Enrico Artifoni e da Ilaria Porciani , il mito del comune
come motore di libert e di democrazia, il principio della
nazionalit da rintracciare nella contrapposizione romanogermanica solo per richiamare alcuni nodi qualificanti
hanno pi spesso imposto servit che libert al linguaggio e
al discorso storiografico, hanno pi spesso indotto a rintracciare le costanti storiche dominanti e persistenti, piuttosto che le zone dombra, i progetti falliti, le aspirazioni ricorrenti ancorch destinate allinsuccesso.
pur vero che la storia dItalia una storia da declinare al plurale, pur vero che si tratta di una storia che ha vissuto nella sua plurisecolare vicenda di un movimento sinusoidale, come ricordava Ruggero Romano, dovuto per lo
pi alla frequente mancata corrispondenza fra le stagioni
della sua politica e della sua cultura, fra gli alti e i bassi di
una mancata sovrapposizione che ha spesso generato incomprensioni, ma altrettanto vero che di questa fallita
coincidenza i suoi intellettuali e, nel caso specifico, i suoi
cronisti ne sono stati interpreti fedeli, attenti, anche se spes-
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so contradditori e condizionati. E cos il panorama complesso, vario e diversificato della storiografia medievale pu
divenire, pur nelle profonde differenze dei contesti culturali, delle strutture compositive, dei modelli narrativi dominanti, un osservatorio difficile, ma interessante, della percezione e della rappresentazione di una storia che, si visto,
rischia di essere pi sfuggente e pi dinamica delle modellizzazioni e dei paradigmi postumi. Di una storia plurale e
policentrica anche nella fisionomia, nelleducazione e nella
formazione dei suoi storici come ci ha insegnato Girolamo Arnaldi. Anche per queste ragioni la storiografia medievale, varr la pena di ricordarlo, non potr essere seguita
qui che attraverso alcuni nuclei tematici forti e con il ricorso limitato ad alcuni autori e a poche opere.
Un percorso diverso ci esporrebbe al rischio evidente
della sterile elencazione e della inevitabile incompletezza,
per lo pi nello spazio breve di un intervento congressuale
e di un tema, inutile negarlo, ambiguo quanto cruciale e pericoloso nella storia italiana come quello della tensione allunitas, nelle sue pi varie accezioni. Perch andr sgombrato il campo da un altro possibile equivoco: cercare le
tracce dellunit nella storia italiana medievale o dancien
rgime rischia di essere un viaggio contromano, con tutti i
rischi che esso comporta, ma forse anche con lebbrezza e
quel po dincoscienza che lascia intravedere prospettive
meno solite e consuete. Lunit politica evidente, e persino tautologico gioca nel ruolo del grande assente: lItalia
era disunita, plurima e, lo abbiamo detto e lo ripetiamo,
innestata sul principio ideale delle sue citt, per richiamare la fortunata formula, oggi cos risorgente, di Carlo
Cattaneo. Addirittura sul modello persistente del piccolo
stato nel grande stato, anche pi avanti in et rinascimentale e protomoderna, quando gli assetti politici sembravano
attestarsi su assi di maggiore ampiezza e stabilit, come ha
ricordato anche di recente Luca Mannori.
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descritti come abili in mare e nelle battaglie marine, moderati nel cibo, sobri nel bere, curati nel parlare, prodighi nel
consigliare, attenti nelle cose pubbliche e nella difesa delle
loro libert. Era davvero un passaggio dai tratti encomiastici che sarebbe rifluito nel libro X della Polistoria e che si
sarebbe esteso alle innumerevoli qualit del Regno Italico
Italie regio nella variatio sintattica del testo con una lunga
lista di bellezze e di attributi che andavano dalle localit e
dai porti marini, ai fiumi, agli stagni, alla ricchezza delle
acque termali, fino alla presenza di metalli come il ferro, il
piombo, loro e largento e poi di ogni genere di armi, ma
anche di selve, di paludi, di animali da cacciare, di ogni genere di uccelli e di cavalli, di buoi e di animali selvaggi; per
finire con labbondanza di latte, vino e olio.
LItalia del Cavallini era davvero un paese ideale: era
ricca di ogni bendiddio, non mancava di nulla e tutte queste qualit avevano, probabilmente, contribuito a formare
lanimo e il carattere dei suoi abitanti gli ytalici tutto
calibrato sulla misura e sulla saggezza. Il giudizio, per quanto avesse indubbi connotati realistici, soprattutto dal punto
di vista paesaggistico e naturalistico, non si potr negare
che riusciva esagerato e iperbolico. Ma quel che doveva
aver giocato in quelliperbole era proprio il senso della nostalgia, la voglia di riappropriarsi della propria terra da parte di chi, come il Cavallini, ne era stato distante e, soprattutto, di difenderla orgogliosamente dalle cattiverie e dalle
invidie altrui. Seppur non sia da escludere che in quel primato italiano potesse giocare proprio il ruolo di Roma, la
sua citt, che, non diversamente da Petrarca, riteneva
dovesse essere la sede naturale del papato e della cristianit. Era il senso di appartenenza ad uno spazio culturale e a
una dimensione fisica, nella declinazione delle sue meraviglie, ma forse anche il ruolo unitario della Chiesa cristiana,
che conferiva spessore a quellidea dItalia. Una variante di
non poco conto, invece, allidea centralizzante di Roma, pi
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avvertita in termini politici, era quella espressa dallAnonimo romano nella ben nota immagine de lo ogliardino de
Roma, cione Italia: dove lItalia figurava come il giardino
di Roma, sede naturale dellImpero.
La rivendicazione di un livello alto di civilt, la consapevolezza di uneredit esaltante come quella latina erano i
vettori di una cifra culturale che, sebbene in forma discontinua, si era sedimentata ed era andata a costituire il patrimonio condiviso di una natio degli intellettuali. Si trattava,
in una qualche misura, di unidea immanente che faceva
dellItalia la terra di quel preumanesimo e di quel pi maturo Umanesimo che fra la fine del Duecento e il pieno
Quattrocento avrebbe costituito un faro assoluto di civilizzazione, a tutti i livelli del sapere e dellespressione artistica.
Se la proposta culturale, pur nel policromo paesaggio dei
centri di produzione dalle citt comunali, alle aule del Regnum, alla curia papale, alle corti signorili poteva rispondere di unistanza assimilabile, la politica esprimeva uno
scenario di differenze, di diversit, di particolarismi. Le
forme di autogoverno comunale, sullimpianto di una trama
insediativa urbana che non aveva eguali nellEuropa medievale, si erano ben presto imposte come aveva precocemente notato Ottone di Frisinga come i modelli spesso imitati
e invidiati di una funzionalit istituzionale, sociale, economica che aveva reso le civitates italiche protagoniste di un
primato indiscusso in termini di crescita e di sviluppo.
Lesperienza delle cosiddette citt-stato, per usare una
formula un po logora, era stato un vertice irripetibile di
partecipazione e di coesione fra le forme della politica e
quelle delleconomia, di prodigiosa sincronia di tutte le
forze produttive, sociali, culturali che interagivano nello
spazio ristretto della civitas. Era questo un tratto forte e
qualificante dellesperienza politica due e trecentesca va
ricordato che stiamo semplificando molto che aveva la sua
trasposizione, ma anche la sua codificazione e il suo rac-
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Lanonimo autore della Cronica di Pisa metteva laccento sulla concordia che aveva suscitato la sua venuta e sullapprovazione della chiesa romana:
Messer Arigo Settimo conte di Luzinborgo fue chiamato
in concordia re de Romani e aprovato da la Chieza di
Roma e lli suoi anbasciatori, che erano in corte di papa.
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