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) Omero, Inno a Demetra, 476-482; in G. Colli, La sapienza greca, Volume I, Adelphi, Milano, 19813, p. 93.
) B.C. Dietrich, The origins of Greek religion, Berlin, 1973, pp. 128 ss. Sulla questione sinteticamente I.
Chirassi Colombo, La religione greca, Laterza, Roma-Bari, 19942, pp. 9 ss.
3
) Utilizzo la versione proposta in Miti e personaggi del mondo classico. Dizionario di storia, letteratura, arte,
musica, Bruno Mondadori, Milano, 1997. Per il dettaglio invece ancora necessario far riferimento a R. Graves,
I miti greci, Longanesi, Milano, 19852.
2
Ma in che cosa consisteva propriamente il culto eleusino che abbiamo cos innestato nel
mito? Dobbiamo distinguerne nettamente due aspetti:
Intanto, il culto che si celebrava nel santuario di Demetra e di sua figlia, alle pendici di una
collina, in posizione bassa ed esterna rispetto alla acropoli di Eleusi (24 km nord-ovest di
Atene) nella seconda met del mese di settembre (Boedromione) era esplicitamente
indicato, nel fitto calendario di festivit religiose ateniesi con la formula ta; Musthvria, che
ha finito per denotare, in modo specifico, una tipologia di manifestazioni religiose diffuse in
altri angoli della Grecia e della Magna Grecia.
Il termine greco, attestato sia in Eraclito sia in Erodoto (e utilizzato in ambito ellenico
regolarmente al plurale), tov musthvrion (to mysterion), ha radici nel verbo mu;w, (my), mi
chiudo, sono chiuso, serrato, ma anche, per traslato, sono calmo, silenzioso; da esso deriva
un'altra forma verbale decisiva nel nostro contesto e strettamente imparentata con i mysteria:
muevw (mye), inizio ai misteri (usato per per lo pi nello forma passiva, muevomai), poi anche,
in senso lato, insegno, e, nel Nuovo testamento, do il battesimo. A muvw sono collegati pure il
sostantivo maschile muvsth" (mysts) che designa liniziato, e muhvsi" (mysis), la iniziazione.
La scelta terminologica emblematica di un risvolto essenziale della esperienza eleusina: i
misteri implicavano, soprattutto nella loro fase culminante, una dimensione di assoluta
segretezza, una prova sul piano esistenziale irripetibile e indicibile. Questo rinserrarsi in s
stessi, evocato dal myein e connotante indirettamente attraverso la parola derivata mysteria,
palesa forse, rispetto alle parole impiegate in alternativa (che esamineremo tra breve),
laspetto esteriormente qualificante del culto, la sua inaccessibilit al non-iniziato.
Non si deve tuttavia pensare che ci escluda una sua pubblicit: sebbene non si possa
escludere, per le implicazioni dei miti connessi, una precedente tradizione cultuale contadina
e barbara, le attestazioni archeologiche documentano una precisa dinamica politica tra Atene
e Eleusi, di cui la seconda verrebbe a configurarsi come il polo sacro5, e quindi linserimento
dei cicli misterici (esistevano, infatti, piccoli misteri che si celebravano ad Agre, sullIlisso)
allinterno della dimensione culturale ateniese, di cui il rito eleusino rappresentava semmai un
momento integrato di diversit, cui tutti coloro disposti a parteciparvi potevano essere iniziati.
In effetti il meccanismo di partecipazione era complesso6:
dopo che (14 del mese) i sacerdoti avevano trasferito gli oggetti sacri da Eleusi
allEleusinion (recinto delle dee sopra lagora), gli iniziati, condotti da un mistagogo
(mustagwgov", mystaggos, conduttore, iniziatore nei misteri) ateniese si riunivano
) Su questo aspetto fondamentale il contributo di D. Sabbatucci, Saggio sul misticismo greco, Laterza, RomaBari, 19792. Per una breve messa a fuoco Chirassi Colombo, op. cit., pp. 137 ss.
6
) Ricavo le informazioni dal saggio di F. Graf, I culti misterici in I Greci, 2, II, Einaudi, Torino, 1997, pp. 3145.
nella agora (15), dove ricevevano istruzioni da uno iJerofavnth" (ierophants, colui che
mostra, insegna gli usi dei sacrifici, che dice o mostra le cose sacre), che avrebbero
dovuto escludere dal culto gli impuri e coloro che non comprendevano la lingua greca;
il giorno successivo si procedeva alla purificazione (bagno al Falero con maialino, poi
sacrificato e mangiato), quindi si avviava il periodo di digiuno (che si sarebbe concluso
tre giorni dopo, allarrivo in Eleusi);
dopo due giorni di riposo, un sacrificio a Demetra e Core, una processione e un rito in
onore di Asclepio (tardivo), il rito principale era avviato alle prime luci del 19, con la
processione (pomphv, pomp nella forma dorica) da Atene a Eleusi, accompagnata da
una statua di Iacco, personificazione dellurlo rituale degli iniziati (i[akce) - e
probabilmente da avvicinare o identificare con Dioniso - lungo la Via Sacra;
la processione di parecchie migliaia di iniziati raggiungeva a sera il santuario: seguiva
la purificazione rituale e lassunzione del ciceone (kukewvn) bevanda di acqua, orzo e
foglie di mela;
il rito notturno aveva luogo nel telesthvrion (telestrion), edificio principale del
complesso e prevedeva due gradi di iniziazione: il primo, obbligatorio, era di
iniziazione vera e propria (muhvsi"), il secondo, facoltativo, di carattere contemplativo,
la epopteiva (epopteia, visione).
Limponente macchina rituale, la costante relazione tra il polo urbano principale (Atene) e
quello sacro (sottolineata dal duplice movimento da e verso Eleusi), lampio coinvolgimento
di folla credo diano, complessivamente, lidea della integrazione cui prima accennavo, tra i
culti civici, caratteristici della polis, e quelli misterici, almeno nello specifico eleusino. Le
implicazioni del mito connesso (il dono del frumento e listruzione agricola) potevano, daltra
parte, valere a sufficienza come legittimazione delle pretese ateniesi, rivendicando alla citt
un ruolo civilizzatore di riferimento nel mondo ellenico (confermato dalla rivendicazione di
un diritto di esazione, in frumento, dagli altri stati greci7).
Ma che cosa esperivano i mystas nel telestrion? Pu aiutarci, nel tentativo di rispondere,
proprio il passo dellInno a Demetra, che dobbiamo quindi passare a esaminare.
Il primo elemento da marcare luso iniziale del termine o[rgia (orghia), neutro plurale
che originariamente ha indicato il culto misterico (e le orge in tal senso), poi, per estensione,
ha finito per coprire una gamma pi ampia di significati connessi, rito religioso, culto sacro.
La radice etimologica in e[rgon (evrgon, ergon), genericamente opera (come il sassone
werk, da cui Werk tedesco e work inglese), ma anche esecuzione, atto pratico, prodotto della
operosit (nel caso dellagricoltura, come in Esiodo): interessante nella prospettiva della
presente indagine il particolare impiego del verbo derivato ejrgavzomai (ergazomai), lavoro,
sono operoso, da parte di Platone in un dialogo (considerato tra i giovanili socratici), il
Carmide (163 b), dove Crizia distingue tra pravttein (prattein), poiei'n (poiein)
e ejrgavzesqai (ergazesthai). Al primo verbo laristocratico ateniese attribuisce la valenza
nobile di un occuparsi di non necessariamente rivolto alla produzione, al secondo la
connotazione (deteriore dal suo punto di vista) del produrre cose non accompagnate da
bellezza; al nostro ejrgavzesqai, invece, riconosce la positivit del lavorare e produrre oggetti
accompagnati da bellezza. In Aristotele ergon sembrerebbe conservare un valore positivo,
significando la funzione, la esecuzione, adeguata, conforme alla natura di un certo oggetto.
Quale allora il senso di o[rgia nel contesto della tradizione religiosa dei misteri?
probabile che luso sia invalso a partire dalle attivit in cui erano coinvolti i partecipanti alla
iniziazione, non solo nella fase preparatoria collettiva in Atene, ma soprattutto in quella, forse
7
) Ibidem, p. 317).
il riferimento al dono della dea celebrata a Eleusi (la spiga), come simbolo della vita e
della fecondit;
il probabile rimando alla celebrazione di uno iJero;" gavmo" tra lo ierofante di Eleusi e la
sacerdotessa di Demetra, a simboleggiare (solamente, senza reale contatto sessuale,
come marcato anche nella testimonianza) lunione sacra cui si allude subito dopo;
il problematico richiamo a Brim, da Clemente Alessandrino identificata con Demetra
(per interpretare i misteri come evocazione della sacra unione con Zeus), ma da altri11
riconosciuta come Persefone: in questo caso lunione cui si alluderebbe potrebbe essere
quella tra lo stesso Zeus e Persefone cui accennano le teogonie orfiche (riferite nella
Teologia platonica e nei commenti platonici di Proclo), da cui sarebbe nato Dioniso,
qui forse designato con lespressione (secondo alcuni aggettivale) Brimovn (tremendo,
potente)12.
Isolando questi elementi potremmo inferire, dalla denigratoria testimonianza di Ippolito,
che le celebrazioni misteriche eleusine puntavano senzaltro a rinnovare il profondo legame
con la divinit che aveva contribuito, con i suoi doni, a elevare la vita umana dalla
selvatichezza, offrendo anche un messaggio di speranza per la fine della vita. In tal senso il
coinvolgimento di Dioniso, dei miti e della sapienza escatologica connessi13, sono
documentati almeno dalla fine del V secolo, quando, nelle Rane, Aristofane, descrivendo la
catabasi di Dioniso, sottolinea il destino felice degli iniziati mentre, nelloltretomba, in una
probabile parodia della processione eleusina, inneggiano al loro dio Iachkos14, da identificare,
anche secondo testimonianze antiche15, con Bacco-Dioniso. Daltra parte, nel IV secolo
laspetto escatologico del culto eleusino sembrerebbe chiaramente presente nel Panegirico di
Isocrate:
[] coloro che prendono parte allinziazione [telethvn] hanno speranze pi
dolci riguardo alla fine della vita e riguardo a tutti i tempi16.
Certo, rispetto al quadro per noi deludente .- di l dalle valenze simboliche delle
indicazioni di Ippolito, rimangono le allusioni (perch solo di allusioni si pu trattare,
considerato il distintivo tratto di segretezza, almeno per gli Elleni) della documentazione pi
antica che si possa riferire allevento e in particolare alla esperienza eleusina.
LInno a Demetra da cui abbiamo preso momentaneamente le mosse attesta:
12
in primo luogo la sacralit dellevento, con tre termini dal campo semantico
inequivocabile:
in secondo luogo la sua eccezionalit rispetto alla quotidianit dei partecipanti, rilevata
con espressioni che ne marcano soprattutto la indicibilit:
non infatti possibile apprendere i riti sacri: il verbo impiegato (di frequente
uso omerico), nella forma dellinfinito aoristo, punqavnomai (punthanomai)
designa il processo di ricerca di notizie e informazioni, conoscere, apprendere
appunto;
n proferirli: ajcevein forma verbale collegata a ija[cevw, che indica, anche
nella tragedia antica, gridare, far risuonare, proclamare;
per limpedimento della voce: la sacra reverenza per gli dei trattiene la
parola, ijscavnei aujdhvn (ischanei audn) - ijscanavw indica il trattenere,
ritenere, impedire (ma anche attendere, indugiare), mentre aujdhv designa
suono, parola, voce, collegato a ajeivdw (aeid, canto) e uJdevw (yde, dico,
celebro, canto);
17
nella connessione tra iniziazione e destino: chi non stato iniziato [ajtelh;"]
non avr un destino [ai\sa] di uguali [oJmoivwn]. oJ ajtelh;", costruito con lalfa
privativo, ha radice in televw, il cui primo significato compio, mando ad
effetto, porto a termine, ma che, a partire dallidea di rendere perfetto, finisce
per coprire semanticamente anche il valore di consacro, inizio ai misteri, da
cui pure il sostantivo hJ telethv (telet), riti di iniziazione, celebrazione dei
misteri, vicino a o[rgia e misthvria. Tuttavia, mentre il primo dellevento
misterico sottolinea la partecipazione attiva o il coinvolgimento degli iniziati e
il secondo la consegna della segretezza, telethv rileva soprattutto la
perfezione, la compiutezza della iniziazione. hJ ai\sa (aisa), da daivw o aijnevw,
divido, indica la parte e, per derivazione (la parte assegnata), destino, sorte,
fato, analogamente al pi diffuso moi'ra, presente nel collegato a[mmoro"
(ammoros), non destinato, da meivromai (meiromai, avere in parte, in sorte, da
cui il latino mereo, ottenere parte, meritare). Pi discusso il valore di oJmoivwn,
genitivo plurale dellaggettivo (qui sostantivato) o{moio", eguale, identico, che
potrebbe evocare laccezione politico-militare del termine, chiarita da
Detienne17, secondo cui eguali designerebbe originariamente laristocrazia
guerriera partecipe delle decisioni nella assemblea, per poi estendersi, nel VI
secolo, a significare i cittadini politicamente attivi. Nel nostro testo luso del
) M. Detienne, I maestri di verit nella Grecia arcaica, Mondadori, Milano, 1992, pp. 69ss.
Daltra parte tale destino , nel nostro testo come nei due frammenti citati,
rigorosamente vincolato alla contemplazione: o[pwpen perfetto del verbo
oJravw (hora), vedo per eccellenza, cos come participio dello stesso verbo
ijdw;n (idn, dalla radice id) impiegato da Pindaro, mentre dercqevnte" nel
frammento sofocleo participio da devrkomai (derchomai), miro, vedo, da cui
la forma intransitiva risplendere.
dalla netta contrapposizione tra cose accessibili attraverso la iniziazione e altre che
rappresentano la perfezione contemplativa;
dalla tensione verso tale vertice, che resa oltre che con lindicazione di una finalit
[w\n e{neka] e con il modo congiuntivo del verbo mevteimi (meteimi), che significa
desiderare, cercare di ottenere, ma anche ricercare, investigare, coniugato con
lavverbio ojrqw'" (orths), correttamente;
dalle sofferenze [povnoi, fatiche] necessarie per giungere alla stadio ultimo della
conoscenza;
dalla istantaneit [ejxaivfnh", exaiphns, improvvisamente] della visione [katovyetai,
katopsetai, avr davanti agli occhi].
Colli ha collegato questa pagina platonica a un frammento di Plutarco [fr. 178], in cui si
riscontrerebbe una analoga scansione della esperienza epoptica, come documentazione
storica dellevento eleusino:
E giunta alla morte, lanima prova unemozione come quella degli iniziati ai
grandi misteri. Perci riguardo al morire [teleutn] e allessere iniziato
[teleisthai], la parola assomiglia alla parola, e la cosa alla cosa. Anzitutto i
vagabondaggi, i rigiri logoranti, e certi cammini senza fine e inquietanti attraverso
le tenebre. In seguito, proprio prima della fine, tutte quelle cose terribili, i brividi e
i tremiti e i sudori e gli sbigottimenti. Ma dopo di ci, ecco viene incontro una
luce mirabile, ad accogliere sono l i luoghi puri e le praterie, con le voci e le
danze e la solennit di suoni sacri e di sante apparizioni23.
Personalmente, per concludere sulla esperienza religiosa eleusina, sarei portato a
valorizzare particolarmente la testimonianza di Aristotele, insospettabile di cedimenti al
misticismo. Nella prima parte del suo dialogo perduto Sulla filosofia, opera di grande
diffusione nellantichit greca e romana, dedicata programmaticamente a una messa fuoco del
concetto di sapienza, il filosofo aveva avuto modo di richiamarsi a quella tradizione religiosa,
in termini espliciti:
Come sostiene Aristotele, che gli iniziati [tou;" teloumevnou"] non devono
imparare [maqei'n] qualcosa, bens subire unemozione [paqei'n] ed essere in un
certo stato, evidentemente dopo di essere divenuti capaci di ci.
[] ci che appartiene allinsegnamento e ci che appartiene alliniziazione. La
prima cosa invero giunge agli uomini attraverso ludito, la seconda invece quando
la capacit intuitiva [tou' nou'] subisce [paqovnto"] la folgorazione [e[llamyin]: il
che appunto fu chiamato anche misterico [musthriw'de"] da Aristotele, e simile
21
alle iniziazioni di Eleusi (in queste difatti liniziato [oJ telouvmeno"] risultava
modellato rispetto alle visioni, ma non riceveva un insegnamento24.
Tre gli aspetti fondamentali che dal frammento [fr. 15 Ross] si possono enucleare:
il nesso tra paqei'n [da pavscw, patisco, provo, ricevo una impressione, da cui pavqo"] e
noei'n [genericamente pensare, termine tecnico con il collegato nou'" o novo",
intelligenza - della nostra tradizione filosofica, sin dallepoca arcaica, per designare la
visione della mente, il pieno dominio intuitivo delloggetto], nella misura in cui latto
apprensivo del pensiero proposto come un vero e proprio entrare in contatto della
intelligenza con il suo oggetto. Abbiamo in tal senso il brano [fr. 10 Ross] di unaltra
opera perduta di Aristotele, lEudemo, trasmessoci, come il precedente, da Plutarco,
che chiarisce la cosa, proiettandola oltretutto nella prospettiva del modello estatico
platonico di cui sopra, che per certi versi il filosofo conserver anche nei trattati della
Metafisica, come risulta dal libro IX [1051 b20- 1052 b25]26, dove sar utilizzato il
verbo qigei'n per intuire:
E lintuizione [novhsi"] dellintuibile [nohtou'] e del non mescolato e del santo, la
quale lampeggia [dialavmyasa] attraverso lanima [yuch'"] come un fulmine,
permise in un certo tempo di toccare [qigei'n] e di contemplare [prosidei'n], per
una volta sola. Perci sia Platone sia Aristotele chiamano questa parte della
filosofia liniziazione suprema, in quanto coloro [] che hanno toccato
direttamente la verit pura [kaqara'" ajlhqeiva"] riguardo a quelloggetto
ritengono di possedere il termine ultimo della filosofia, come in una
iniziazione27;
in ogni caso noei'n e novhsi", come in Platone, sono proposti come atti apprensivi di un
lampeggiare istantaneo (il fulmine), intuizioni coinvolgenti il principio.
Le conclusioni sulla esperienza eleusina e alcuni rilievi proposti nel corso dellesame del
probabile rito (il richiamo a Iacco nella testimonianza di Aristofane, il riferimento allo ieros
gamos) consentono di aprire (per noi sinteticamente) un importante circuito con due grandi e
intrecciati fenomeni, dionisismo e orfismo, i quali, se non originariamente, almeno a un certo
punto, devono aver inciso nella tradizione dei misteri a Eleusi. lo stesso autore del
documento per noi essenziale ai fini della conoscenza del dionisismo, Euripide nelle Baccanti,
a segnalare, per bocca del sapiente indovino Tiresia, la connessione:
Due sono, mio caro giovane, le cose essenziali [ta; prw'ta] al mondo
[ejn ajnqrwvpoisi]: la dea Demetra, ossia la terra (chiamala cos, se vuoi): lei a
nutrire la gente con i cereali, con il cibo asciutto. Poi venuto il figlio di Semele;
e ha trovato un corrispettivo, lumido succo della vite, e lo ha introdotto fra i
mortali31.
Quanto delineato come convergenza e complementarit sul piano dei doni colturali
(frumento e vino) sottintende probabilmente comunicazioni sotterranee anche su quello
cultuale. qui impossibile ricostruire la fisionomia del dionisismo e, soprattutto, abbozzare
una soluzione del problema della origine del dio celebrato, Dioniso, appunto. Che la sua
origine32 sia asiatica33 o egiziana34, ovvero che sia penetrato nel cuore del mondo greco a
partire da Creta35, o ancora che appartenga originariamente alla tradizione greca36, non ha per
noi, qui, importanza: la decifrazione della Lineare A e della Lineare B ha comunque, secondo
gli studi pi recenti37, documentato sufficientemente la presenza del dio nel pantheon
miceneo, rendendo quindi meno probabile la sua origine orientale.
Quello che intenderei brevemente valorizzare della fisionomia di Dioniso e del suo culto ,
in fondo, abbastanza banale:
28
in primo luogo la sua ambiguit e dunque la sua complessit che investe anche il
coinvolgimento eleusino;
) W.K.C. Guthrie, I Greci e i loro dei, Il Mulino, Bologna, 1987, pp. 347-8.
) Morgan, op. cit., pp. 233-4.
30
) Nelle pagine su Dioniso ho riutilizzato materiale prodotto da Francesca Cattaneo, Micol Guffanti, Dalila
Lattanzi e Beatrice Penati nellambito di una ricerca su Dioniso ancora tra noi? Disponibile presso il sito del
Liceo Classico A. Volta [http://www.bdp.it/~copc0001/].
31
) Euripide, Baccanti, vv. 275-80, traduzione di U. Albini.
32
) Per una ricostruzione equilibrata si veda Guthrie, op. cit., pp. 179 ss.
33
) Nilsson.
34
) Erodoto.
35
) Pugliese Carratelli.
36
) Otto.
37
) F. Frontisi-Ducroux, Dioniso e il suo culto, in I Greci, 2, vol. II, Einaudi, Torino, 1997, p. 277.
29
in secondo luogo la sua connessione, attraverso la mania, con una forma di sapienza
visionaria [che potrebbe essere parente stretta della epopteia eleusina].
Si tratta, in realt, di due facce della stessa medaglia, nella misura in cui alla sapienza
dionisiaca essenziale lesperienza dellestremo e la simultaneit dellopposizione38.
Per quanto riguarda il primo punto, potremmo considerare:
Valgano, per il nesso uomo-animale, questi passi dalle Baccanti [vv.99-104, 1017-1023]:
E Zeus gener quando le Moire
lo concessero il dio dalle corna di toro [taurovkerwn qeo;n],
e lo incoron con corone di serpenti:
perci le menadi [mainavde"] si pongono
attorno alle chiome la preda
che si nutre di bestie.
Mostrati come toro o come serpente che appare
con molte teste o come leone fiammeggiante a
vedersi.
Vieni, o Bacco, con volto che ride getta un
laccio
mortale intorno al cacciatore delle baccanti [bakca'n],
che si precipit entro il gregge
delle menadi40.
Il testo interessante non solo perch sembra alludere, nella identificazione con il toro, al
mito cretese del Minotauro, da cui originerebbe o a cui sarebbe successivamente connesso
secondo alcuni il culto greco, ma anche per il rovesciamento, implicito nella invocata
protezione delle menadi [mainav", mainas, indica la furente seguace del dio (anche bavkch,
bakch, baccante), con radice in maivnomai, sono fuori di me, furioso, da cui, soprattutto,
maniva], del rapporto animale-cacciatore (per cui il teriomorfismo di Dioniso sarebbe
38
funzionale alla difesa delle sue adepte, e alla caccia nei confronti del cacciatore delle menadi).
Nel quadro di una violenza animale, in cui il dio evocato sia come animale sia come uomo
(con volto che ride), la stessa protezione atto spietato, consumato con assoluta innocenza
(coincidenza di crudelt e mitezza).
Daltra parte, lo stesso aspetto cultuale, chiaramente marcato da Euripide nella sua
tragedia, che sembra coinvolgere la liberazione dalle convenzioni della civilt e un recupero
della piena istintualit, capace di reintegrare ogni diversit e emarginazione (e non
casualmente protagoniste sono soprattutto donne) immergendole e omogeneizzandole in una
primitiva e originaria selvatichezza e animalit. Eppure vero che il furore della esperienza
dionisiaca, che Nietzsche poteva assimilare allebbrezza e dunque, nella sua concettualit, alla
perdita della individuazione per tornare alluno-tutto naturale, appare in qualche misura
canalizzato, addomesticato. Leggiamo sempre nelle Baccanti [72-77]:
Beato [mavkar] colui che ha un buon demone [eujdaivmwn]
e conoscendo [eidw;"] le iniziazioni [teleta;"] degli di
vive santamente e
introduce [qiaseuvetai] la sua anima [yuca;n] nella schiera dionisiaca,
infuriando [bakceuvwn] sulle montagne [ejn o[ressi]
con sante [oJsivoi"] purificazioni [kaqarmoi'sin]41.
Il passo significativo - come segnala Giorgio Colli che ne ha individuato la pregnanza
perch coniuga, anche concettualmente, due momenti del culto dionisiaco tradizionalmente
mantenuti distinti: quello orgiastico e quello misterico. In questo senso, si offre ad un
accostamento al testo dellInno a Demetra con cui abbiamo iniziato. Infatti:
il furore [reso con il verbo bakceuvw, ricavato da bavkch, sinonimo di menade, seguace
del culto di Bacco-Dioniso] tipicamente associato alla oreibasia (la corsa sui monti),
in questo contesto svuotato della sua carica eversiva (scatenamento di istinti bestiali,
cui contribuiscono la danza frenetica al ritmo ossessionante di flauti e tamburelli, e
comportamenti rituali quali lo sparagmos [smembramento] e la omofagia [sbranamento
di carni crude]), temperato dal riferimento alle iniziazioni degli dei,
cos come il thiasos [qivaso", da quvw, thy, infurio, mi agito, ma anche sacrifico,
celebro], che, nel contesto della tragedia, designa originariamente il gruppo delle prime
baccanti al seguito del dio, quelle che, secondo tradizione, muovono dalla Frigia e dalla
Lidia, si connette alle sante purificazioni [katharmoi, espressione dalla radice
indoeuropea kas, da cui castus e castigo, che indica il sacrificio espiatorio e la
lustrazione];
cos laccento cade sulla felicit-beatitudine del partecipante [makar] e sulla sua
fortuna [eudaimn, letteralmente avere un buon demone], riflettendo i due aspetti
presenti nella radice o[lbo" dellaggettivo o[lbio" impiegato nellInno: condizione
legata, come in quel caso, a una forma di conoscenza [eidw;", forma aggettivata da
ei\don, eidon, con radice id, vedere (da cui video)].
Lultimo aspetto ci porta al cuore del problema, al nesso tra maniva e sapienza: il culto di
Dioniso tradizionalmente associato alla theia mana che porta il fedele, attraverso un rituale
ambiguo e terribile (come il dio), a un'esperienza di smarrimento di s, in uno stato che oggi
diremmo di trance, e che i Greci definivano e[kstasi" [ekstasis, da ejxivsthmi, existmi,
uscire, stare fuori di s] o ejnqousiva [enthousia, essere invaso dalla divinit]. Tale stato di
41
nel caso del rito dionisiaco, infatti, la menade riceve in s il dio e di conseguenza un
sapere non comunicabile, intimo e individuale,
mentre in quello apollineo il posseduto o, pi frequentemente, la posseduta,
apprendono una parola divina, per loro incomprensibile, che verr rivelata a chi la
interpreter e a chi ha richiesto l'oracolo, rendendola quindi pubblica e comprensibile
grazie all'intervento della ragione umana attraverso il sacerdote-interprete.
Un ultimo aspetto da valorizzare nel rapporto tra Eleusi e dionisismo quello sessuale:
abbiamo sopra ricordato come, soprattutto da parte cristiana, si fosse caricato il culto eleusino
quanto meno di implicazioni o simbolizzazioni sessuali, e come, in particolare, si supponesse
che, durante le celebrazioni nel telestrion, fosse mimata lunione sacra tra Zeus e Persefone o
Zeus e Demetra. Tuttavia, nonostante le probabili valenze propiziatorie (riferimento alla
fecondit), anche il cristiano Ippolito ricordava il carattere solo allusivo del gesto,
sottolineando come lo ierofante si rendesse impotente con la cicuta, cos escludendo qualsiasi
effettivo coinvolgimento sessuale. In un contesto sessualmente evocativo (e probabilmente
eccitante) veniva negata la soddisfazione sessuale, incanalando leccitazione verso uno sbocco
di tipo contemplativo. interessante il fatto che Erodoto, parlando genericamente di feste
religiose (in onore di Dioniso in Grecia e di Osiride in Egitto) in cui la sfera sessuale era
simboleggiata con specifiche rappresentazioni (falloforie nel primo caso, con processioni di
falli eretti, o esposizioni di marionette raffiguranti uomini con il sesso reclinato e non molto
pi piccolo del resto del corpo) possa pi avanti osservare:
E costoro sono i primi ad aver prescritto come norma religiosa il divieto di
congiungersi sessualmente con donne nei luoghi sacri e di entrare nei luoghi sacri
senza lavarsi, quando si allontanano da donne <con cui hanno avuto un tale
rapporto>. Difatti quasi tutti gli altri uomini, a eccezione degli Egizi e dei Greci,
si congiungono sessualmente nei luoghi sacri []46.
Qualcosa di simile, cio una fondamentale ambiguit di fronte alla sfera sessuale,
registriamo nella documentazione sul fenomeno dionisiaco nel VI-V secolo: a dispetto delle
associazioni ai riti della fecondit, alla rappresentazione fallica delle processioni, nel culto di
Dioniso manca qualsiasi accenno ad atti sessuali (che ritroviamo, invece, documentati nelle
danze sacre per Artemide)47. Ci troviamo in presenza, insomma, di un orgiasmo senza orge
sessuali.
Anche per questo aspetto le Baccanti sono fonte essenziale di informazione: nel testo,
infatti, trovano espressione sia lorgiasmo a sfondo sessuale sia quello casto e contemplativo.
Mentre il primo residuo forse di una tradizione pi primitiva ovvero di costumi esterni e
estranei al mondo greco (come la stessa divinit) rifiutato cos che, nelleconomia della
tragedia, la pretesa di Penteo di spacciare per orgia sessuale il culto del nuovo dio tra le
cause dirette della sua irrimediabile punizione finale , il secondo domina incontrastato.
I passi seguenti attestano il pregiudizio di Penteo:
[] si appiattano una per una nei luoghi
46
47
) Ibidem, p. 63.
) Ibidem, pp. 63-5.
suo culto impongono castit alle menadi, quasi a indirizzare tutta la tensione allo sbocco
contemplativo. Cos, colui che mette a rischio quella solitudine sessuale, va incontro al
proprio destino, nello scatenamento della frenesia bestiale, sottolineata dal poeta.
Orfeo
La nostra incursione nellorfismo motivata dal circuito con Eleusi e Dioniso: il dio al
centro del mito fondante quel fenomeno religioso, mentre la presenza orfica nel culto eleusino
parrebbe concreta nel IV secolo (lo storico Eforo ci riferisce che Orfeo avrebbe appreso i
segreti dei misteri a Samotracia, per insegnarli poi a Eleusi)50: tuttavia, per molti versi,
lesperienza orfica sembra, cos come risulta documentata nel V secolo, giustificare la
supposizione di una convergenza pi antica con quella eleusina, soprattutto per i suoi risvolti
escatologici.
A differenza dellintrecciato culto dionisiaco, quello orfico presupporrebbe una teologia e
una precettistica, costituendosi quindi con i tratti di una religione51, come confermerebbe un
passo famoso, invocato in tal senso da Guthrie52, del Menone platonico [81 a-b], dove Socrate
afferma, riferendosi a una dottrina che noi possiamo sostanzialmente riconoscere come orfica
(metempsicosi):
Le proponevano sacerdoti e sacerdotesse, che si curavano di saper dare ragione
del loro ministero. Ma le sostengono anche Pindaro e molti altri poeti, quelli che
sono divini.
Per quanto riguarda il primo aspetto si possono sinteticamente ricordare:
A ci si richiamavano i precetti, intesi allo sradicamento della colpa e alla unione perfetta
con il dio. In tal senso essi prevedevano:
Sullo sfondo, come dicevamo, un mito che ci cos sinteticamente proposto, nel quadro di
una presunta teogonia orfica, da un tardo (VI secolo) commentatore platonico (Olimpiodoro):
Presso Orfeo si tramandano quattro regni: il primo il regno di Urano, cui
succedette Crono [] dopo Crono regn Zeus [] in seguito, a Zeus succedette
Dioniso: dicono che per macchinazione di Hera i Titani che gli stavano intorno lo
sbranassero e gustassero le sue carni. E Zeus, adirato, fulmin costoro, e dalla
fuliggine dei vapori che si levarono da essi, sedimentata in materia, nacquero gli
uomini [] difatti noi siamo una parte di Dioniso []53.
50
Anche in Proclo (V secolo), nella Teologia platonica e nei Commenti ai dialoghi Platone,
documentato lo stesso racconto:
Ma tutte le altre parti create di Dioniso furono frantumate, dice Orfeo, dagli dei
separatori, mentre il solo cuore rimase indiviso per la previdenza di Atena []
[]
) Ibidem, p. 271.
) D.K. fr. 124 [traduzione di F. Trabattoni]:
Ahim! O sventurata stirpe mortale, o infelicissima!
Da siffatte contese e da tali gemiti voi siete nati [].
56
) Colli, op. cit., p. 121.
57
) Ibidem, p. 127.
55
Centrale nel brano il termine ei[dwlon (eidlon), immagine (anche fantasma), qui riferito
alla parvenza di vita immortale presente nelluomo, la sua parte divina, dionisiaca, sepolta nel
corpo titanico, avvolta con un manto di carni, come recita una scheggia superstite [D.K. fr.
126] del poema Purificazioni di Empedocle58. Alla stessa temperie religiosa pare riconducibile
un frammento di Euripide [fr. 638 Nauck], citato da Platone nel Gorgia:
Chi sa se il vivere non sia morire
e il morire invece vivere?59.
La visione escatologica implicita in questi testi espressa molto linearmente nel Cratilo
platonico [400 c], in un passo molto noto, che vale comunque la pena rileggere:
Difatti alcuni dicono che il corpo [sw'ma] tomba [sh'ma] dellanima [yuch'"],
quasi che essa vi sia presentemente sepolta: e poich daltro canto con esso
lanima esprime [shmaivnhi] tutto ci che esprime, anche per questo stato
chiamato giustamente segno [sh'ma]. Tuttavia mi sembra che siano stati
soprattutto i seguaci di Orfeo ad aver stabilito questo nome, quasi che lanima
espii [divkhn didouvsh"] le colpe che appunto deve espiare, e abbia intorno a s, per
essere custodita [swvizhtai], questo recinto, sembianza di una prigione. Tale
carcere dunque, come dice il suo nome, custodia [sw'ma] dellanima, sinch essa
non abbia finito di pagare i suoi debiti, e non c nulla da cambiare, neppure una
sola lettera60.
Il testo tutto giocato sulla ambiguit e polivocit del termine sh'ma (sma), che indica
segno, segnale, indizio, ma anche augurio, portento ovvero segno, figura e ancora
monumento, tomba, sepolcro. Il corpo (sw'ma, sma) cos inteso come sepolcro dellanima,
entro il quale, come in custodia, essa deve dare giustizia delle sue colpe. Ci implicitamente
comporta il riconoscimento di una origine diversa, superiore, per lanima, dal momento che il
corpo - la carnalit - solo luogo e strumento di punizione.
In questo quadro in fondo pessimistico della condizione umana, dobbiamo ora introdurre i
riferimenti, antichi, al destino dei mortali. Pindaro pu esserci guida:
[] sotto terra qualcuno giudica
i misfatti in questo reame di Zeus, dichiarando
la sentenza con ostile necessit;
ma godendo la luce del sole in notti
sempre uguali e in giorni uguali, i nobili ricevono
una vita meno travagliata, senza turbare la terra col
vigore
della loro mano, n lacqua marina,
per una vuota sussistenza; e invece presso i favoriti
degli dei che godettero della fedelt ai giuramenti
essi percorrono un tratto di vita senza lacrime,
mentre gli altri sopportano una prova cui lo sguardo
non regge.
58
In fondo, molti dialoghi platonici sono dominati da questo pothos, dalla tensione della
psych alla riconquista della propria, originaria, patria iperuranica: si pensi al Fedone
ma soprattutto al Fedro e alla connessa concezione delleros che vi si esprime, a
partire dal tralucere dellintelligibile nelle forme sensibili;
in tale prospettiva, anche nellorfismo in quanto escatologia, diventa decisiva
lesperienza finale, lestrema prova di liberazione che prelude alla conclusione delle
peregrinazioni dellanima. A questo scopo, come passaporti per leternit e istruzioni
duso per lal di l, sono essenziali le laminette funerarie ritrovate in varie localit del
mondo ellenizzato, composte tra V secolo a.C. e II d.C. La pi antica, quella di
Ipponio, in Magna Grecia, ci consente, infine, di chiudere il nostro circuito, nella
misura in cui essa, esplicitamente, salda questo sentiero di purificazione e formazione
dellanima alle analoghe iniziazioni misteriche e dionisiache:
Di Mnemosine questo sepolcro. Quando ti toccher
di morire
andrai alle case ben costrutte di Ade: c alla destra
una fonte,
e accanto a essa un bianco cipresso diritto;
l scendendo si raffreddano [yuvcontai] le anime [yucai;] dei morti.
A questa fonte non andare neppure troppo vicino;
61
Anche nella cultura religiosa orfica, quindi, la qualit della prospettiva escatologica
significativamente ancorata a una forma di suprema conoscenza, attraverso la quale si entra in
un orizzonte trascendente, divino e indicibile: la differenza di fondo rispetto ai due fenomeni
62
63
esaminati in precedenza risiede semmai nel fatto che il culmine non pi immanente al rito,
n individuabile in un momento della esperienza mortale dellanima, ma in quellistante
decisivo del confronto tra anima e eternit che gli orfici spostavano nellAde, lungo il corso
immortale della psych, quando essa, singolarmente, si sarebbe trovata a dar prova di s,
volgendosi dalle consolanti attrattive delloblio (e quindi del mondo cui esso lavrebbe ancora
incatenata) al recupero, con il travaglio del passato, della propria origine divina.
Dario Zucchello
Tuttavia sar solo nelle pagine platoniche che il termine e il concetto assumeranno una
valenza specifica e una portata universale (nel senso dellimpronta storica che ha segnato la
nostra cultura occidentale). Aspetto ancora oggi rilevante nel dibattito sul pensiero di Platone,
come si evince anche dallimpegno recente di Karl Albert68. Lautore, richiamando
filologicamente i testi centrali del filosofo (Simposio, Teeteto, Fedro, Fedone, Repubblica),
smonta una delle letture pi comuni del concetto, quella che, partendo dagli elementi
costitutivi del termine (filevw e sofiva) e dallinterpretazione affrettata delle celebri pagine del
Fedro e del Simposio, conclude che la sapienza meta ultima dellinterrogativo filosofico, ma
essendo strutturalmente un eterno non-ancora per la comprensione umana, trasforma la
filosofia in un tendere infinito, in un ininterrotto essere sulla via, rimanere sul percorso
piuttosto che nella presenza di ci che si conosce. In realt, come ha dimostrato Walter
Burkert in un saggio sullorigine del termine philosophia, philein non sta a significare il
desiderio per qualcosa di assente, lanelito verso qualcosa di irraggiungibile:
chiunque abbia coniato la parola filovsofo" non pu averla intesa come contrapposta a sofov",
come rinuncia a sofiva.69
64
Aristotele aveva affermato in apertura di Metafisica Gamma:#Estin ejpisthvmh ti" h} qewrei' to; o]n h/| o]n.
Platone, Fedone, 64a:Infatti, capita che quanti si applicano correttamente alla filosofia rischino di celare agli
altri che il loro non nientaltro che un esercitarsi al morire e allessere morti.
66
Platone, Teeteto, 176 a-b: Ma i mali non possono certo scomparire, Teodoro, - indispensabile, infatti, che
esista sempre qualcosa di contrario al bene. Daltra parte essi non possono aver sede nel mondo degli dei: per
necessit, invece, essi si diffondono nella natura mortale e in questo nostro mondo. per ci che bisogna
sforzarsi di fuggire quanto prima da qui verso lass. Fuga il rendersi per quanto possibile simili al dio; e questo
rendersi simili diventare giusti e santi, acquistando saggezza.
67
O. Gigon, Problemi fondamentali della filosofia antica, Guida, Napoli, 1983, pp. 21-2.
68
K. Albert, Il concetto di filosofia in Platone, Vita e Pensiero, Milano, 1991.
69
W. Burkert, Platon oder Protagoras, Hermes, 88, 1969, pp. 172-3.
65
Nel Simposio, Eros, che rappresenta limmagine del filosofo70 un essere mediano tra
uomini e dei, un traghettatore, un traduttore: la mediazione, insomma, dinamica e non
statica, implica il conseguimento della meta (almeno momentaneamente).
A causa della madre (Penia) Eros descritto come sempre afflitto dallindigenza: il
desiderio erotico, in cui si radica la stessa filosofia, ha la propria origine in un sentimento di
insufficienza. Di qui limpulso specificamente filosofico. In conseguenza del padre (Poros),
per, quellanelito non privo di meta, bens rivolto al raggiungimento del Bello: e il figlio,
vigoroso cacciatore come il padre, pu conseguirlo. Questi tratti rendono complessivamente
il carattere filosofico di Eros.
Certamente, quanto ha ottenuto, continuamente gli sfugge: in altre parole, nella sua
mediet Eros s in grado di raggiungere la sapienza degli dei, ma non pu trattenere quanto
ha conquistato: il filosofo non per sua stessa natura un sophos, anche se accede
provvisoriamente alla sapienza divina. Dopo questa celebre presentazione, Platone ritorna pi
avanti su queste dottrine damore e alla strada da seguire correttamente, attraverso la
conoscenza filosofica o, meglio, lascesa filosofica, fino a giungere al cospetto della Bellezza:
Chi invero sia stato condotto per mano sino a questo punto della dottrina damore, contemplando
gli oggetti belli secondo un ordine e nel modo giusto, costui oramai, giunto alla fine della
disciplina amorosa, scorger - in un istante - un qualcosa di bello, ammirabile nella sua natura,
proprio quello, o Socrate, in vista del quale, inoltre, tutte le sofferenze di prima erano appunto
esistite.
Colui che pratica la filosofia, dopo un lungo percorso conoscitivo, approda finalmente alla
sua destinazione, il suo anelito e la sua ricerca terminano, hanno improvvisamente e
meravigliosamente termine.
La stessa tensione erotica dato riscontrare nel grande mito del Fedro, dove la forma della
bellezza nel sensibile sprone alla rammemorazione. Nel dialogo che a pi riprese si
confronta con il tema della memoria (antico quanto la filosofia, almeno in Occidente), nel bel
mezzo della visione estatica e dellentusiasmo, Platone d unindicazione fondamentale: la
continua prossimit delluomo alla ajlhvqeia [altheia, verit, costruzione con alfa privativa da
lanqavnw, (lateo latino), sfuggire alla attenzione, restare nascosto, dimenticato] e quindi la
sua permanente possibilit di comprendere attraverso lei\do [eidos, forma visibile, aspetto:
da ijdei'n, vedere] che anamnesi. Il richiamo al mito della caduta implica anche caricare
lanamnesi di una potentissima significazione originaria, che altrove Platone ha chiamato
nostalgia, rimpianto (povqo). Lanamnesi assume cos anche il carattere di consapevolezza
della destinazione, di via per il ritorno71. Nel Fedro la ejpisthvmh [da ejpivstasqai, epistasthai,
essere esperto, intendersi, conoscere: attraverso la connessione con ejfivstasqai, ephistasthai,
imporre, mettere a capo, ma anche fermare, sono impliciti tanto il dominare (ejpistasiva,
epistasia, presidenza, direzione) quanto larrestare un processo (ejpivstasi", epistasis,
fermata, arresto)] il frutto di una comprensione della ijdeva, un passaggio attraverso la
molteplicit sensibile fino allunit (249 b-c). Il percorso verso la verit la conquista
anamnestica dellordito eidetico, dialettica nel senso del saper unificare e dividere rispettando
le giunture naturali, di capacit di rinvenimento, nella temporalit, dei modi dessere che la
temporalit trascendono e che costituiscono il vero sapere.
Si ripensi al famoso brano del Fedone (96b ss.) in cui Socrate (Platone) ricostruisce la
parabola della riflessione presofista, rimarcando la forza dattrazione di quel sapere che
70
Platone, Simposio, 204b: la sapienza fa parte senza dubbio di ci che vi di pi bello, ed Eros, dal canto suo,
amore a riguardo della bellezza, cosicch necessariamente Eros sar amante della sapienza.
71
Su questi aspetti illuminante il lavoro di V. Meattini, Anamnesi e conoscenza in Platone, Ets, Pisa, 1981, in
particolare capitolo 1.
chiamano indagine della natura, la sua pretesa aitiologica totalizzante, la sua progressiva
articolazione fino al presunto finalismo anassagoreo. A quella arcaica esperienza filosofica,
che per altri versi Platone anche disposto a venerare per la sua matrice sapienziale, nella
convinzione che gli antichi fossero pi vicini agli dei e quindi migliori (Filebo, 16c),
rinfacciata una insufficiente considerazione della causalit, lincapacit di discernere tra vera
causa e concausa, tra ci che fonda e giustifica e ci che solo concorre a determinare. Una
presa di posizione che, come noto, induce un radicale mutamento di rotta, investendo
laitiologia, larcheologia e lontologia platoniche: la svolta nella trascendenza,
lintroduzione di un piano fondativo dai tratti ontologici pi forti rispetto alla debolezza del
fondato. Un piano che immane, in altre parole che pu fondare, solo trascendendo, risultando
altro dal piano sensibile. Un riorientamento deciso, oltre la tradizione presofista, che ne
conserva tuttavia listanza del principio e della causa: questo si rivela estremamente
importante per la comprensione del concetto platonico di filosofia.
I libri centrali della Repubblica (VI-VII) in fondo riprendono i temi del Fedone, le
distinzioni l introdotte, ma gli sviluppi sono ulteriormente illuminanti. Problematicamente
ma chiaramente, a pi riprese, si accenna a una struttura metafisica scandita da piani
fondativi, risalente fino al principio assoluto, anipotetico, che fonda senza essere fondato. Una
struttura che, come normale in Platone, si riflette anche sul versante gnoseologico: cos la
ejpisthvmh in primo luogo un cammino allindietro, nella direzione del fondamento.
La episteme non imposta soltanto una deduzione di conoscenze, la configurazione di un campo
del sapere, essa richiede soprattutto le motivazioni del perch e del come un sapere sia tale; la
caratteristica dellepisteme non la mera conoscenza, ma la consapevolezza che d luogo alla
aletheia72.
Una consapevolezza, possiamo dire, che implica necessariamente il risalire alla ajrchv [hJ
ajrch;, arch: origine, principio, da a[rcw, precedo, guido, comincio], a quel principio che non
soffre condizioni. Lessere risaliti fino al fondamento permette di contemplare, liberati
completamente dal sensibile e da alcunch dipotetico, la trama dellintelligibile:
Risalire allarch, aver episteme, vuol dire cos star di fronte alla realt73.
Quella poi la strada di cui parla il Simposio, in un contesto meno articolato ma segnato
dallidentica verticalizzazione gerarchica. Quella intellezione (nohvsi) del fondamento (il
Bene nella Repubblica, il Bello nel Simposio) costituisce allora il pieno esaurimento e
lesaustivo compimento delloriginario sentimento filosofico dello stupore (Teeteto) di fronte
alle cose, che d alla filosofia il proprio slancio estatico, il proprio contenuto ontologico, la
propria matrice aitiologica. Il qaumavzein impronta di s il filosofei'n, con i suoi reiterati
perch, con linquietudine che muove verso giustificazioni altre e pi solide. La meraviglia
innesca un processo che non accetta ignoranza di sorta, che punta a unassoluta trasparenza
della realt: possiamo forse concedere che, in fine, essa si trasformi in senso aristotelico, nella
meraviglia che le cose possano essere diversamente da come sono.
Lesigenza platonica di dar conto di tutto si esprime paradigmaticamente nel VII libro della
Repubblica: di fronte alla richiesta radicale di fondazione soltanto il metodo dialettico pu
rivendicare per s le propriet essenziali della ejpisthvmh, riducendo quindi lambizione e il
grado di ogni altra forma di conoscenza74. Con il grande mito della caverna, Platone d una
risonanza universale al processo di superamento dellignoranza, e, nella misura in cui fa
riconoscere nella condizione dei prigionieri la nostra, ne produce linteriorizzazione:
72
nuovamente il tema della strada (qui anche fisicamente) si fa centrale, come esercizio di
libert cui affidata la nostra liberazione dalle tenebre. Una strada che conduce dalle ombre al
chiarore del lume, alla luce lunare, quindi allo splendore del sole, riconosciuto principio della
realt tutta. Una strada a ostacoli, scoscesa, percorribile a fatica, che garantisce, nel passaggio
dalla ejikasiva alla ejpisthvmh, una progressiva kavqarsi, purificazione:
Mettersi di fronte alla realt, allessente cio, ricondotto al fondamento che ne determina
quellessere, assicura la purificazione di cui parla il Fedone, rompe quel guscio dostrica che
lesistenza, impedimento alla contemplazione del perfetto, del semplice e dellimmutabile75.
Nel suo saggio Mathematics and Dialectic in the Republic VI-VII 76 Cornford, a proposito
dellavverbio ejxaivfnh [subitaneamente], afferma che nel Simposio, nel Fedro e nella
Repubblica
Platone adotta il linguaggio dei misteri eleusini, perch come liniziazione si concludeva
nellepopteia, nella vista di certi oggetti sacri in una fiamma di luce, cos il processo conoscitivo
fondato sulla matematica e sulla dialettica un passaggio dalla tenebra alla luce e termina in
unesperienza dordine diverso, in una visione77.
Lascesa al fondamento nellimmagine della linea, il percorso catartico del mito della
caverna, la strada iniziatica di Diotima, pur articolandosi differentemente, con una
sottolineatura pi o meno decisa della paideia scientifica, matematica in senso lato (su cui
saranno ritagliate le arti del quadrivio medievale), hanno in comune il compimento esaustivo
dello sforzo nella conquista del principio da cui dipende la conoscenza dogni cosa. In questo
senso condividono la stessa situazione dialettica, dove dialettica da intendersi come capacit
di dar conto dellordito della realt, come contemplazione dellordine totale:
quando uno, servendosi della dialettica e prescindendo da ogni sensazione, cerca di muovere con
la ragione verso ciascuna cosa che , in se stessa, e non desiste se prima non riuscito a cogliere
con la pura intellezione la reale essenza del bene, giunge al limite estremo dellintelligibile
(Rep.532a b).
Le vie della facolt dialettica sono quelle che conducono a quella meta dove chi giunge
potr ristorarsi del cammino percorso e porre termine al suo viaggiare: il principio, il Bene,
isolato, estratto, astratto da tutto il resto, come misura esattissima (504) (secondo la tradizione
accademica degli a[grafa dovgmata). Si tratta di pagine centrali per il nuovo paradigma
ermeneutico tubinghese, non a caso approfondite da Hans Kraemer in Dialettica e definizione
del Bene in Platone79.
Lesigenza di fondazione, di giustificazione del sapere, che lo trasforma da mera,
accidentale opinione in vera ejpisthvmh, che d ragione della realt esaurendone i perch, non
75
Ibidem, p.112.
Ora in F.M. Cornford, Studies in Plato's Metaphysics ed. by R.E. Allen, London, 1965 (edizione originale
1932).
77
Ibidem, p.93.
78
D. Pesce, Il Platone di Tubinga, Paideia, Brescia, 1990, pp.44-5.
79
H. Kraemer, Dialettica e definizione del Bene in Platone, Vita e Pensiero, Milano, 1989.
76
solo porta Platone a introdurre gli ei[dh come oggetti stabili di definizione e cause
paradigmatiche, ma anche a procedere a una ulteriore unificazione, secondo la stessa logica
elementarizzante della tradizione presofista. Lesito protologico individuato dal nuovo
paradigma si colloca al punto di intersezione tra due linee di indagine, quella appunto
elementarizzante e laltra generalizzante: nellUno inteso come misura esattissima di tutte le
cose, esse esibirebbero da un lato il principio in grado di ridurre la molteplicit e quindi di
renderla trasparente, dallaltro il principio che, alla base di ogni realt, ne garantisce la
comprensione.
Per riprendere il filo del nostro discorso, lo sforzo, lo slancio della ricerca platonica
conquistano la propria meta conclusiva, non rimangono aperti, in-finiti; il filosofo non resta in
cammino: evidentemente la via e lo star sulla via implicano per Platone sempre una
risoluzione (che teoretica ma anche esistenziale). Abbiamo gi riscontrato nel grande mito
dellauriga nel Fedro il radicamento nella trascendenza, la vita dellanima letta come
rimpianto e tensione alla riconquista della propria origine:
Anche secondo il Fedro dunque la conoscenza dellanima del filosofo non anela invano
allinfinito, per quanto essa non sia in grado di sostare per sempre presso la propria meta ma
piuttosto secondo le sue capacit, attraverso la reminiscenza sempre fissa sul ricordo di quegli
oggetti per la cui contemplazione la divinit divina80.
80
Aristotele
Passando ora a considerare la posizione aristotelica, non possiamo non rilevare nei due
capitoli iniziali del primo libro della Metafisica, luogo classico della definizione aristotelica
della filosofia, la forte connotazione sapienziale, tanto pi evidente in un autore per molti
versi laico come lo Stagirita. Anzi, proprio la sophia il tema centrale del trattato e della
raccolta. Il libro Alfa ha una storia particolare, risultando molto probabilmente dal materiale
gi utilizzato nel Peri philosophias e nel Protrettico. Cos implicito al disegno aristotelico il
riferimento alla storia della sapienza, alla sua ciclica tradizione, imperniata sullipotesi delle
grandi catastrofi, che, distruggendo parzialmente lumanit, ne condizionerebbero gli sviluppi
successivi: i ricordi, i miti, le leggende rappresentano in questo quadro residui mnestici
dellantica sapienza, conservati per gli uomini a venire dai superstiti, e destinati a fruttare nel
corso di un nuovo ciclo. Il taglio epocale di matrice accademica, essendo gi presente nel
tardo Platone (Politico, Leggi). Allinterno poi dogni ciclo, la storia della sapienza ha un
senso preciso: la crescita, delineata nel primo capitolo, delle tecniche, dalla soddisfazione dei
bisogni primari, agli agi, alla ricerca disinteressata. Nella Metafisica entrava cos uno schema
della storia della sapienza, costruita nella ripetizione di una struttura lineare: le tappe
successive della sapienza in ogni ciclo si dispongono secondo un ordine che corrisponde ad
una gerarchia di funzioni individuali83, a una scala di funzioni conoscitive.
Riallacciandosi al Peri philosophias, dove aveva sostenuto che
Fu chiamata sapienza [sofiva] nel senso che una specie di chiarezza [savfeia] , in quanto
chiarisce ogni cosa. Questa chiarezza stata cos chiamata, in quanto qualcosa di luminoso, dalle
parole che esprimano luce [fw'] , per il fatto che porta alla luce le cose nascoste. Poich, dunque,
le realt intelligibili e divine, come dice Aristotele, anche se sono chiarissime nella loro essenza, a
noi sembrano tenebrose e oscure in causa della caligine corporea gravante su di noi, chiamarono a
ragione sapienza la scienza che ci porta alla luce quelle realt [Aristotele, Sulla filosofia, fr. 8],
il discorso di Aristotele si articola nel primo capitolo a partire dalla vista, riprendendo in
altre parole il tema squisitamente greco della contemplazione e della sua connessione con il
divino (si pensi in particolare alla tradizione pitagorica, ma anche al VI libro della
Repubblica). Egli nel Protrettico aveva posto laccento sulla densit sapienziale del vedere: la
vista partecipe dellintelligenza ed il sostituto o il simbolo dellintelligenza sul piano
sensibile. A ci avrebbero alluso Pitagora e Anassagora, sostenendo che destino delluomo
fosse contemplare il cielo: a questi motivi si richiamava la concezione della sapienza come
emergere alla luce di una realt nascosta alla vista sensibile, espressa nel Peri philosophias84:
si faccia lipotesi di uomini che avessero sempre abitato sotto terra in dimore splendide e ben
illuminate, e inoltre abbellite da statue e da quadri e provviste di tutte le suppellettili possedute in
copia da coloro che sono giudicati ricchi. E si supponga che costoro, per altro, non fossero mai
usciti sulla terra, ma fossero stati informati da notizie e da testimonianze dirette dellesistenza di
una divina potenza causatrice. E che, poi, a un dato tempo, spalancatesi le fauci della terra, essi
fossero potuti da quella dimora recondita fuggire e salire in queste terre abitate da noi. E, a un
tratto, avessero visto terra, mare e cielo e si fossero fatta unidea dellimponenza delle nubi e
dellimpeto dei venti, e avessero fissato il loro sguardo sul sole e ne avessero conosciuto tanto
lampiezza e lo splendore, quanto del pari la potenza, per il fatto che causa del giorno mediante
la diffusione della sua luce in tutto il cielo; quindi, dopo che la notte aveva oscurato la terra, essi
godessero la vista di tutto il cielo ricamato e ornato di astri, e delle fasi luminose della luna
crescente e calante; e ancora del sorgere e tramontare di tutti questi astri e delle loro orbite stabilite
e immutabili in tutta leternit. Quando essi vedono questi spettacoli, credono che certamente
esistono gli dei e che queste grandi meraviglie sono manifestazioni [opera] degli dei [fr. 13a].
83
84
Aristotele, Metafisica, a cura di C.A. Viano, Utet, Torino, 1974, Introduzione, p.10.
Ibidem, p.12.
Leco platonica della vista come unico senso in grado di immettere al mondo ideale,
facilmente riscontrabile, cos come lanalogia, sempre platonica ma non solo, tra visibile e
intelligibile, tra vedere con gli occhi del corpo ed intelligere con gli occhi dellanima. Nel
Protrettico Aristotele riproduceva il modello platonico della gerarchia del sapere: il sapere
che occupa la sommit la pi elevata attivit dellanima umana, quella che merita dessere
perseguita per s, rivelando lordine naturale.
Il libro Alfa si apriva dunque con il riconoscimento della orexis tou eidenai come physis
della filosofia85. Le sottolineature aristoteliche puntano a riscontrare il nesso strutturale tra
impulso conoscitivo, che si esprime anche a livello sensoriale, e sapienza come risoluzione
della stessa orexis, e quindi a rimarcare il radicamento della filosofia nella physis umana.
Allapertura della nostra physis nei confronti degli enti corrisponde la filosofia come ricerca e
la sophia come conquista del sapere che soddisfa fondamentalmente la brama. Secondo gli
schemi prima evocati, Aristotele segue il dispiegarsi della orexis dalla sensazione, attraverso
la memoria, alla empeiria, alla techn, alla epistm, fino alla sophia. Il desiderio di sapere
trover sul piano dellesperienza e dellarte una esplicazione solo parziale: il fatto che la
epistm abbia come fine il sapere stesso ne fa campo di piena espressione dellimpulso
originario delluomo.
La epistm massimamente in grado di esaurirlo sar quella dal pi alto contenuto
epistematico, in altre parole tale da rispondere ai perch estremi, da risalire alle cause e ai
principi supremi. In questo modo Aristotele porta a compimento, coscientemente e
criticamente (come dimostra tutta la seconda parte del libro Alfa), la parabola presocratica e
platonica: vero sapere, epistm in senso proprio, consapevolezza delle cause, capacit di
dar conto e giustificare, ricostruzione ontologica e gnoseologica. La dimensione aitiologica e
archeologica limpidamente emersa nel Fedone qui approfondita, precisata, arricchita, ma
anche corroborata: Aristotele confermava nella possibilit di riduzione di un fenomeno ai suoi
principi, secondo la lezione presofista, il presupposto della scienza, ponendo di fatto anche il
problema della stessa strutturazione archeologica e sistematica della epistm, che sar poi
oggetto degli Analitici. Certamente quella lezione era filtrata dalla svolta socratico-platonica,
evidente nel privilegiamento della universalit della scienza, e nel superamento della
prospettiva meramente fisica dei physiologoi; tuttavia da segnalare nelle critiche a Platone il
pesante ritorno dei presofisti e la centralit dei temi da loro sollevati, a partire proprio dalla
physis. La ricostruzione razionale di Aristotele vuol dar ragione della realt nella sua globalit
e complessit, e quindi non rifiuta il confronto empirico, linguistico con il mondo e le sue
varie manifestazioni.
La distinzione che interviene nel secondo capitolo tra sophos e sophia, da un lato, e
philosophia e philosophos dallaltro, non solo terminologica (come invece vorrebbe Reale).
Aristotele in realt ribadisce puntualmente lo schema, da noi in precedenza esaminato, del
Simposio platonico, connotando in senso erotico il filosofare e indicando nella scienza cercata
(quella delle cause e dei principi primi) la sola scienza che possa dirsi divina. Il carattere
speciale della epistm oggetto dindagine dato dal suo radicarsi nei fondamenti primari e
quindi dalla sua mediata universalit. La filosofia nella sua ricerca si orienta quindi
progressivamente in senso protologico e nel proprio compimento sar sapienza. In questo
ambito Aristotele introduce il famoso excursus sulla genesi del filosofare dallo stupore: come
in Platone lo stupore arch della filosofia, meraviglia di fronte agli enti, per il fatto che essi
stiano come stanno. Al thamauzein segue limpegno risolutivo per superare, nella
ricostruzione eziologica, liniziale spaesamento: attraverso la comprensione, la meraviglia si
trasforma, non presentandosi pi rispetto alla realt delle cose, piuttosto di fronte alla
eventualit che quella realt possa darsi diversamente.
85
Per questo fondamentale il bel libro di L. Lugarini, Aristotele e lidea della filosofia, La Nuova Italia,
Firenze, 1962, pp.16 ss.
In linea con la tradizione naturalistica, Aristotele prende le mosse dal mondo fisico, da ci
che primo per noi, nella convinzione che esso consenta di approfondire le strutture generali
della realt. La storia della filosofia abbozzata, con taglio per molti versi asfittico, nei capitoli
3-10 di Metafisica Alfa, mostra tutta la fiducia di Aristotele nella esperienza, che stata buona
(anche se parziale) guida per i physiologoi, condizionandone le scelte, costringendoli, quasi, a
correggere le proprie impostazioni, in virt della forza della propria evidenza. In fondo
lesigenza di adesione alle cose era un originario, programmatico, portato platonico, laddove
nel Cratilo Socrate affermava (439b):
Determinare quale metodo specifico si debba poi seguire per apprendere e conoscere le cose,
compito superiore alle mie forze e alle tue; dovremo pertanto accontentarci di esserci trovati
daccordo almeno su questo: che non dai nomi bisogna partire, ma ricercare ed apprendere
lessenza stessa delle cose dalle cose stesse muovendo, assai pi che dai nomi.
A quel programma Platone non era rimasto del tutto fedele, come emerge dallo schema del
Fedone in precedenza richiamato; la tradizione presocratica aveva invece ampiamente
lavorato in quella direzione, certamente con esiti insoddisfacenti che Socrate aveva rimarcato
proprio nel dialogo platonico, ma anche con fiducia nel manifestarsi della physis. Il carattere
apofantico, rivelativo, ostensivo che Aristotele attribuisce alla filosofia come qewriva peri; th'"
ajlhqeiva", che palesa lordine del reale, ha quindi indubbiamente le proprie radici nella
lezione dei pensatori classificati come oiJ peri; fuvsew" [naturalisti], i quale si erano sforzati
di dar conto dei fenomeni, di giustificare razionalmente la stabilit della physis.
Da questo punto di vista si spiegano anche le osservazioni polemiche nei confronti del
tradimento verbalistico socratico-platonico, di quella svolta nei logoi che, almeno in parte,
aveva comportato labbandono di quel programma del Cratilo e liquidato troppo
frettolosamente, secondo Aristotele, lindagine aitiologica precedente, premendo per altro
genere di fondazione causale (formale-finale). Platone in tal modo avrebbe garantito un
riorientamento decisivo, denunciando il limite materialistico della riflessione presofistica, ma
nel contempo ridotto drasticamente il palesarsi dellessere, svuotando il mondo a riflesso
umbratile, che invece di manifestare sostanzialmente appanna, distoglie, confonde.
Ci detto, va comunque tenuto presente che lo schema storiografico del Fedone attivo ed
efficace anche in Aristotele. La verit, come in Platone, appartiene eminentemente alla
dimensione intelligibile, quindi alla stabilit, alla ingenerabilit, eternit: da questi nodi che
si articola lindagine sui fondamenti, la quale integra robustamente lo stile presocratico di
pensiero, avvicinandosi evidentemente allapproccio platonico, di cui tuttavia si rifiuta un
punto fondamentale, la disgiunzione delle due dimensioni. Se effettivamente la verit non pu
appiattirsi a livello del fenomeno sensibile, daltro canto ermeneuticamente, logicamente
contraddittorio separare leidetico dal sensibile. Se la verit, la safhvneia [saphneia,
chiarezza, evidenza] domina nellintelligibile, essa non occultata sul piano sensibile, che, al
contrario, lo ribadiamo, per Aristotele costituisce il primo per noi, in altre parole il punto di
partenza irrinunciabile dellindagine umana, il livello dellinterrogativo stupito, che non
inibisce, semmai innesca il processo teoretico.
Platone aveva fatto lezione sotto un altro aspetto essenziale, correggendo profondamente la
tradizione presofista. Immettendo sistematicamente nella riflessione razionale lesigenza
critica socratica, egli aveva sostanzialmente denunciato la superficialit del rapporto dei
sapienti con la realt naturale, la convinzione acritica della manifestativit della physis. Con la
seconda navigazione si poneva dunque anche il problema dellatteggiamento del teoreta:
centrale, dopo Socrate, era il questionare capace di svelare il falso sapere e linsufficienza del
riferimento sensibile. La dialettica muoveva proprio dal presupposto che la contemplazione
degli eid fosse subordinata a una sistematica interrogazione. Socraticamente, nel rapporto
Non si tratta di indicazione sporadica: essa confermata dal trattato dei Topici (in
particolare dalle pagine sui vantaggi della dialettica e sul suo uso filosofico) e da Metafisica
alfa 1, pi volte citato. Lo stupore, la meraviglia, il carattere erotico del filosofare sono
consapevolmente messi a fuoco a partire dalla aporeticit delle situazioni preliminari:
lindagine trova la propria pista risolutiva nel confronto dialettico, nello sviluppo sistematico
delle difficolt. Lavorare criticamente sulle opinioni altrui, organizzare un torneo di opinioni
dilemmatiche non solo in linea con la convinzione che la realt nel suo manifestarsi non
possa essere del tutto sfuggita a nessuno, e quindi che ogni apporto filosofico in qualche
misura garantisca un accesso parziale alla verit. Corrisponde anche a unaltra originaria
istanza platonica che evidentemente Aristotele fa propria: superare limpasse eristica, aggirare
ostacoli del tipo di quelli sollevati da Menone nel dialogo omonimo. Pur rifiutando
lanamnesi, lo Stagirita non rinuncia alla possibilit di costruire su un sapere precedente. Gli
endoxa rappresentano risultati da integrare, punti dappoggio da cui orientare la propria
indagine. Solo dal sistematico confronto con le difficolt possibile maturare un adeguato
approfondimento della dimensione fenomenica, per andare con sicurezza a vedere la trama dei
principi a fondamento di ci che a noi si palesa. Questa scelta diaporetica alla base della
stessa riflessione aristotelica sulle forme di razionalit.
Due parole, per concludere sulla concezione aristotelica della filosofia, a proposito del
progetto della scienza dellessere in quanto essere. Il testo fondamentale lapertura di
Metafisica Gamma:
C una scienza che considera lessere in quanto essere e le propriet che gli competono in
quanto tale. Essa non si identifica con nessuna delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre
scienze considera lessere in quanto essere in universale, ma, dopo aver delimitato una parte di
esso, ciascuna studia le caratteristiche di questa parte. Cos fanno, ad esempio, le matematiche.
oggetto scientifico88. La scienza universale prospettata in Alfa coincide allora con la scienza
dellessere nella misura in cui questa indaga i caratteri dellessere presupposti per la
possibilit delle altre scienze.
Una scienza dellessere in quanto essere, capace di ricomprendere in s la totalit del reale,
sar possibile, a dispetto dellapparente proibizione degli Analitici, ricorrendo alla analisi
semantica. Muovendo dalla valenza ontologica del linguaggio, dalla sua capacit di
manifestare lessere, Aristotele si affida allesame dei significati del termine (quindi a un
procedimento tipico della dialettica) per rivelarne lirriducibile polivocit. Lespressione
lessere si dice in molti modi equivale allammissione delloriginaria pluralit di aspetti
ontologici, gi sostenuta nelle Categorie (alla cui provvisoria classificazione lautore sembra
alludere) e fatta valere nella polemica anti-eleatica di Fisica Alfa, e in quella anti-accademica
ancora documentata negli ultimi due libri della Metafisica.
Daltra parte, la polivocit dellessere non ne implica la equivocit (la mera omonimia), dal
momento che sempre possibile il riferimento a un significato primo, in questo senso
principio da cui gli altri dipendono. Tale per Aristotele la sostanza (ousia), che rappresenta
il fondamento cui si appoggiano gli altri aspetti della realt, positivi o negativi che siano.
Lessere non un genere sommo di cui le categorie siano generi subordinati: esso
originariamente, immediatamente e irriducibilmente articolato nelle categorie che lo
esprimono. Eppure, a dispetto della molteplicit ontologica e semantica, dellessere
possibile una scienza unitaria nella misura in cui si faccia leva su quellunica natura di
riferimento, la sostanza. Gli enti saranno oggetto di ununica scienza in quanto enti, in virt
del primato della loro relazione alla sostanza. Lontologia si costituir allora essenzialmente
come indagine sui principi della ousia. Cos sembra anche dalla apertura di Metafisica Zeta:
E in verit, ci che dai tempi antichi, cos come ora e sempre, costituisce leterno oggetto di
ricerca e leterno problema: che cosa lessere, equivale a questo: che cosa la sostanza [];
perci anche noi, principalmente, fondamentalmente e unicamente, per cos dire, dobbiamo
esaminare che cos lessere inteso in questo significato.
89
noi; anchessi sono gente nostra, bench non siano ancora nati. Lamore per gli uomini ci ordina di
aiutare gli stranieri che per caso passino di qui. Poi che il messaggio del libro stato gi diffuso fra
gli uomini, ho deciso di utilizzare questo muro e di esporre in pubblico il rimedio ai mali
dellumanit90.
Queste affermazioni di Diogene di Enoanda (II secolo d.C.), con cui lanziano epicureo
dedicava il muro di un portico alla trascrizione delle massime del maestro, possono fungere da
efficace introduzione generale al senso della filosofia di Epicuro. In esse, infatti, ne emerge
nettamente la aspirazione curativa e eudemonistica, tanto pi marcata nel brano in quanto
destinata a lenire i turbamenti di unepoca esplicitamente percepita in sofferenza, a causa
delle superstizioni e dei pregiudizi correnti. Lafflato universalistico forse retaggio del tardo
ellenismo, ma la cifra del messaggio ancora direttamente riconoscibile come epicurea.
Con ci non si intende ridurre il pensiero del filosofo di Samo in senso terapeutico, perch
si comprometterebbe cos la comprensione della sua articolata complessit: tuttavia la
direzione globale dellinsegnamento epicureo era pratica, intesa a liberare luomo
contemporaneo dalle distorte rappresentazioni del mondo e degli dei, nonch dalla infondata
angoscia di fronte alla morte e al dolore. Che poi tale inclinazione morale riflettesse gi
chiaramente, nella prima et ellenistica, la temperie culturale aperta dal crollo della polis e
dalla conseguente crisi della civilt classica greca, opinione accettata da alcuni ma
autorevolmente contestata da altri91. Probabilmente essa si limitava ancora solo alla
registrazione dellonda lunga del declino delle citt-stato, culminata nella allora recente
costruzione alessandrina e nella crisi seguita alla sua disintegrazione. Dal punto di vista dei
valori, invece, Epicuro, pur fortemente critico e addirittura, per certi versi, eversore, sembra
muoversi ancora allinterno di un orizzonte di riferimento classico, platonico-aristotelico, con
accentuazioni originali che risentono comunque direttamente della elaborazione dei due
filosofi.
Le schematiche informazioni relative alla vita di Epicuro, che si concentrano sui dati pi
certi nella tradizione, sono daltra parte sufficienti a segnalare la problematicit dellimpegno
epicureo nellambito della cultura greca della fine del IV secolo a.C.: un impegno costituitosi
nel contatto con le grandi tradizioni filosofiche (platonica, probabilmente, presocratica e forse
scettica prima; aristotelica dopo, durante il primo soggiorno ateniese), ostacolato, sin dai
primi passi, dalla ostilit delle altre scuole e, in qualche caso, delle stesse popolazioni locali,
in cui la nuova impostazione di pensiero doveva suscitare pregiudizio negativo. possibile
allora rileggere la filosofia di Epicuro come un tentativo di offrire organica alternativa ai
modelli proposti nelle e dalle grandi istituzioni culturali, platonica e aristotelica, ribaltandone
alcuni presupposti.
Due i cardini della polemica epicurea:
90
Dalla combinazione di questi due ingredienti aveva principio la rotazione della ottica
speculativa: la filosofia, invece di riflessione sulla e preparazione alla morte, finiva dunque
per presentarsi come meditazione della vita, recupero del puro vivere naturale, cui si
associava un significato assiologico di riferimento. La filosofia conquistava una centralit nel
quadro della esistenza umana, quale in passato essa non aveva, almeno sistematicamente e
programmaticamente, mai rivendicato.
vero, infatti, che il nesso tra esercizio filosofico e vita non era nuovo, anzi era
sostanzialmente antico, risalente per lo meno allinizio del V secolo, allinsegnamento, cio,
di Pitagora. Tuttavia il bios pythagorikos era avanzato in contrapposizione alla quotidianit, in
un contesto iniziatico, in cui la speculazione si saldava a una prospettiva religiosa in qualche
modo trascendente, molto distante dalla libera fruizione della filosofia per giovani e anziani
proposta protretticamente in apertura della Lettera a Meneceo. Nel caso di Epicuro alla
filosofia competeva un ruolo nelle scelte quotidiane conforme alla sua destinazione
immanente, alla sua finalizzazione terrena: alla filosofia tutti dovevano avvicinarsi perch
solo grazie a essa la felicit, in altre parole il bene per luomo, era possibile.
Daltronde anche il precedente socratico, che pur possibile intravedere alle radici
dellimpegno epicureo (e delle altre scuole ellenistiche), se poteva fornire traccia di un
esercizio filosofico votato alla analisi dei valori e della condotta morale, nella coerenza tra
pensiero e azione, mancava comunque della sistematica pretesa di determinazione e
classificazione che invece caratterizza la ricerca epicurea, e risultava poi troppo coinvolto
nelle discussioni politiche del suo tempo e orientato verso il complesso della comunit
cittadina per poter essere ricalcato, nel proprio tempo, da Epicuro. Il quale si prefiggeva, dal
canto suo, di liberare luomo contemporaneo dalle false convinzioni che lo trattenevano
lontano dalla verit, e di guidarlo, con la propria concezione della natura e della vita, ovvero,
pi sinteticamente, con le proprie massime, al bene, alla felicit individuale.
Per assolvere tale funzione la comunit epicurea prevedeva appunto due diversi indirizzi:
Il comune denominatore tra i due orientamenti era costituito dalla decisiva finalit etica,
mentre la loro connessione era garantita dallinsegnamento, per cui la situazione tipica entro
cui si sviluppava il confronto tra epicurei era quella didattica, in cui il maestro (Epicuro stesso
o altri discepoli che avevano raggiunto particolari livelli di competenza) offriva
schematicamente la cornice teorica cui doveva rifarsi lesercizio concreto da parte del
seguace. Si tratta della congiuntura che ritroveremo in entrambe le lettere qui tradotte e
commentate, nelle quali, pur variando lo sfondo tematico, limpronta prevalente quella della
sinossi, del breviario o del vademecum.
Questo giustifica anche i tratti dogmatici e latteggiamento didascalico che le connotano: la
comunicazione verticale, tra maestro e discepolo, aveva lo scopo di rinforzare i pilastri su cui
doveva reggersi la ricerca della felicit e che il discente in molti casi si limitava a registrare,
almeno quando non destinato o interessato allapprofondimento teoretico. La discussione era
allora demandata ad altro contesto, cos come largomentazione serrata era affidata ai trattati
che, numerosissimi, il maestro and componendo nel corso della sua vita. Una situazione
dunque molto diversa da quella che doveva essere praticata allinterno della Accademia
platonica, ma anche del Liceo aristotelico, con la loro prassi dialettica e discutiva e la loro
esaltazione del bios theoretikos (vita contemplativa).
Pur non disdegnando la speculazione, gli epicurei la ponevano rigorosamente al servizio
delluomo, non semplicemente come compimento di una urgenza conoscitiva ma soprattutto
come necessaria condizione della vita felice. Riconsegnare la filosofia al suo ufficio pratico
significava in questo senso recuperare un risvolto fondamentale della lezione socratica, quello
per cui la vita si faceva testimonianza e trasparenza delle convinzioni teoriche, in una ottica
squisitamente morale. A essa dovevano risultare funzionali le stesse indagini ontologiche e
fisiche, che, perci, non acquisivano in Epicuro uno statuto autenticamente speculativo, n
potevano rivendicare quella eminenza contemplativa che ancora Aristotele associava alla vita
felice.
stato opportunamente notato da pi parti92 che lopzione atomistica in fisica trovava in
Epicuro un riscontro anche sul piano etico-politico, dove si trattava:
per un verso di defilare lindividuo dalla compagine statale, dopo aver messo in
discussione il modello di societ organica fondato sul primato della giustizia (Platone) o
delle relazioni parentali naturali (Aristotele), concentrandolo sul suo privato destino
personale;
per altro, poi, di ricomporre una comunit a partire da individui coscienti del proprio bene,
giocando sugli affetti naturali ma anche, originariamente, soprattutto sulla reciproca
utilit.
Lesito, eversivo della tradizione pure in questo caso, era quello di proporre nella scuola, il
Giardino (kpos), un nuovo modello di vita comune fondata sulla amicizia, lontana dai
clamori e dagli impegni della politica, unicamente votata al perseguimento e al godimento di
una felicit che, individuale in prima istanza, poteva, in virt di una piena consapevolezza del
fine, essere condivisa e rafforzata nel libero commercio con i propri simili.
Dario Zucchello
92
Tra gli ultimi a farlo A. Koen nel suo Atoms, pleasure, virtue. The philosophy of Epicurus, Peter Lang, New
York, 1995.
Aristotele in queste righe fissa due elementi essenziali della nozione greca di scienza:
la necessit propria del conoscere scientifico, sia nel senso che esso non un sapere a
caso, ma sempre riconoscibile come scienza, sia nel senso che il suo oggetto non pu
darsi diversamente da come viene presentato [con la conseguenza della immutabilit di
tale sapere];
il carattere causale, aitiologico [da causa (aitia)], di tale conoscenza: si ha ejpisthvmh
(epistm) solo laddove sia possibile individuare la condizione in virt della quale
loggetto in questione quello che [e non pu essere altro da quello che ].
93
) Per limpostazione di questa introduzione sono debitore nei confronti del bel saggio introduttivo di Umberto
Curi al suo Il mantello e la scarpa. Filosofia e scienza tra Platone e Einstein, Il Poligrafo, Padova, 1998.
94
) Ibidem, p. 24.
95
) Ibidem, p. 20.
I due termini coinvolti - quello specifico (epistasthai) e quello strumentale (aitia) sono
daltra parte ampiamente significativi nel mediare una certa idea, carica di risvolti culturali,
del conoscere.
Nel primo, infatti, [ejpivstasqai, essere esperto, intendersi, conoscere] sono impliciti
[attraverso la connessione con ejfivstasqai, ephistasthai, imporre, mettere a capo, ma anche
fermare] tanto il dominare [ejpistasiva, epistasia, presidenza, direzione] quanto larrestare
un processo [ejpivstasi", epistasis, fermata, arresto]: lo spettro semantico suggerisce dunque
la nozione di un sapere forte, nella misura in cui si rivela capace di vincere la dispersione. Si
tratta, allinterno della tradizione greca, di una lezione impostasi, tra VI e V secolo, con le
filosofie di Eraclito e Parmenide, da un lato nella correlazione tra stabilit e immutabilit del
logos (secondo cui tutto diviene) e retto pensiero, dallaltro nella coincidenza tra pensare
(noein) e essere (einai) un essere connotato dai segni che sono allorigine della ontologia
dellOccidente.
Ma lidea, soprattutto in riferimento al testo aristotelico, aveva ricevuto la sua impronta
decisiva nel quadro della revisione platonica della ontologia eleatica: un ripensamento
condotto allinterno di una istituzione, lAccademia, che era, allo stesso tempo, centro di studi
e ricerche scientifiche (in campo matematico e astronomico) nonch di insegnamento e
discussione filosofici e, attraverso quelli, di iniziativa politica. Anche in questo caso esiste un
luogo classico dellopera di Platone [Repubblica, 509d ss.], nel quale il filosofo aveva
icasticamente espresso la propria concezione del sapere.
Utilizzando limmagine di una linea bisecata, il filosofo aveva rappresentato due ambiti
gnoseologici, della dovxa [doxa, opinione; da dokevw, immagino, mi sembra, mi pare di vedere]
e della epistm, correlate a due distinte regioni della realt, oJratovn (horaton, visibile) e
nohtovn (noton, intelligibile), insistendo soprattutto sulla natura umbratile o imitativa della
prima rispetto alla seconda. In tale prospettiva, ejikasiva (eikasia, immaginazione) e pivsti"
(pistis, credenza) coglievano progressivamente riflessi, ombre, quindi le loro matrici, le cose,
globalmente costituenti quel mondo sensibile che Platone poneva come copia approssimata
degli enti intelligibili.96 Dal punto di vista posteriore della storia della scienza il contributo
96
) Tu sai senzaltro che chi si occupa di geometria, di aritmetica e di altre questioni del genere, d per scontato
il pari e il dispari, le figure e i tre tipi di angoli, e altre cose del genere, a seconda della scienza che studia, e le
assume come ipotesi, e non ritiene pi necessario discuterle n con s n con gli altri, prendendole come principi
evidenti per tutti, e partendo appunto da tali principi, passa a trattare le altre questioni, ricavando di conseguenza
in conseguenza la conclusione che si era proposto. Questo lo so, disse. E allora sai anche che si servono di
figure visibili e su esse sviluppano delle dimostrazioni, ma non si riferiscono a queste figure, bens alle cose cui
esse somigliano: per esempio, discutono del quadrato in s, della diagonale in s, e non del quadrato, della
diagonale o della figura che stanno tracciando; di queste figure, si servono come immagini per giungere a
cogliere altre realt, che sono in s e per s e che non si possono cogliere che con lintelligenza. vero, disse.
Questo genere di realt, che io detto intelligibile, lanima, per indagarlo, costretta a servirsi di ipotesi, non per
giungere al principio, perch oltre lipotesi non pu andare, ma usando come immagini di quegli oggetti che
nell'altra parte della linea corrispondono alle immagini, ma che, rispetto a quelle immagini, sono considerati
come realt. Capisco, ti riferisci alla geometria e alle scienze affini. Sappi allora che laltra sezione
dellintelligibile per me quella che la ragione stessa coglie in virt della propria attivit dialettica, considerando
le ipotesi non come principi ma per quello che sono, ossia come punti di partenza e di appoggio per giungere a
ci che non pi una ipotesi, il principio di tutto; e raggiunto questo, e tenendosi ferma a ci che da esso deriva,
discende alle ultime conclusioni, senza ricorrere mai ad alcun elemento sensibile, ma soltanto alle Idee in s e
per s, passando dalluna allaltra e concludendosi in unIdea. Capisco, disse, ma non del tutto, perch tu parli,
mi pare, di unattivit estremamente complessa: tu vuoi dire, mi pare, che quella conoscenza dellessere in s e
dellintelligibile che si ottiene con la scienza dialettica pi chiara di quella che si ottiene con le altre scienze,
che si basano su ipotesi; perch anche quelli che cercano di conoscere gli oggetti di queste scienze sono costretti
a condurre la loro indagine non con i sensi ma collintelligenza, ma lo fanno non risalendo al principio ma
partendo da ipotesi, e perci a te sembra che di tali oggetti essi non possano avere conoscenza piena, anche se
sarebbero intelligibili, una volta ricondotti al loro principio. E mi pare che quella di chi si occupa di geometria e
di altre scienze del genere tu la chiami ragione non intelletto, e la consideri a met tra lopinione e lintelligenza.
Hai capito benissimo, esclamai. E ora, fai corrispondere a ciascuna delle quattro sezioni una funzione
platonico era gi a questo livello indicativo, nella misura in cui escludeva, a causa della sua
intrinseca debolezza, il dominio della esperienza dallorizzonte della scienza.
Questo era, invece, costituito da enti meta-sensibili, oggetto di contemplazione intellettuale
(qewriva, theoria, pura visione), costantemente identici a s stessi e quindi tali da poter essere
condizione della imitazione, archetipi per le realt visibili, e fondare un sapere necessario,
esente dalla instabilit propria della opinione. Le due articolazioni della epistm platonica
intrecciate a due specifiche capacit razionali, diavnoia (dianoia, pensiero discorsivo) e nou"
o novhsi" (nous, nosis, intellezione, intelligenza) [entrambe etimologicamente legate a noein,
noein, afferrare con il pensiero: nel primo caso attraverso un percorso argomentativo, nel
secondo con una apprensione diretta] sono:
quella matematica, che designa le discipline e gli insegnamenti [maqhvmata,
mathemata, da manqavnein] cui si applica un procedimento ipotetico-deduttivo,
caratterizzato cio dalla assunzione di ipotesi (uJpoqevsei", hypotheseis) e dal loro
sviluppo in vista della soluzione di uno specifico problema;
quella dialettica, autenticamente filosofica, che denota la procedura discutiva di analisi
degli assunti che porta dalla provvisoriet delle ipotesi alla incondizionatezza del
principio [ajrch;, arch, da a[rcw, precedo, guido, comincio] anipotetico, assoluto.
Le osservazioni che si possono avanzare circa la natura di tale epistemologia vertono su
due punti essenziali:
la presenza di un paradigma di base di segno matematico - inteso a determinare le
condizioni di intelligibilit di un certo oggetto o problema - del quale si riconoscono:
come riduzione del molteplice allunit (soprattutto nella prima speculazione ionica);
come riduzione del complesso al semplice (soprattutto nel naturalismo atomistico).
dellanima: a quella pi alta lintellezione, alla seconda la ragione, alla terza la credenza, alla quarta la
congettura; e sistema poi il tutto per ordine di chiarezza, tenendo presente che ne hanno tanto pi quanto pi il
loro oggetto partecipa alla verit.
97
) I. Mueller, Mathematical method, and philosophical truth, in The Cambridge Companion to Plato, edited by
R. Kraut, CUP, Cambridge, 1992, pp. 175-8.
98
) Su questo punto utile G. Cambiano, Platone e le tecniche, Laterza, Roma-Bari, 1991, pp. 168 ss.
99
) Per chiarire questi aspetti sinteticamente utile E. Berti, Aristotele: dalla dialettica alla filosofia prima,
Cedam, Padova, 1977, pp. 112 ss.; per un approfondimento soprattutto la seconda parte di H. Krmer, Platone e i
fondamenti della metafisica, Vita e Pensiero, Milano, 1987.
100
) V. Meattini, Episteme nel libro VII della Repubblica, in Id., Anamnesi e conoscenza in Platone, ETS, Pisa,
1981, p. 111.
101
) Filodemo (I secolo a.C.), nella sua storia della scuola platonica.
potrebbe mai rendere ragione di ci di cui non avrebbe n sensazioni n ricordi [Epinom.,
1008].102
105
Si tenga presente che proprio dalla discussione in seno alle scuole aristoteliche rinascimentali si gener nel
corso del Cinquecento il dibattito sul problema del metodo, destinato a produrre, soprattutto nel secolo
successivo, esiti significativi per la modernit.
106
) E. Berti, Le ragioni di Aristotele, Laterza, Roma-Bari, 1989, p. 4.
(quella medica, per esempio) dal dominio della scienza, si stemperava nella misura in cui si
mostrava disponibile a recuperare gli elementi di costanza del mondo naturale, che esprimono
nel processo del divenire attraverso circuiti teleologici leternit delle strutture
ontologiche (ojusivai, ousiai, sostanze, essenze). Platone aveva trovato nei modelli geometrici
strumenti adatti a ordinare, per quanto possibile, la caoticit materiale, sebbene in una
prospettiva che lautore non considerava scientifica ma mitologica (lunica possibile alla luce
della natura delloggetto). Aristotele ha invece modo di redimere i fenomeni naturali
afferrandone al fondo le regolarit. questo, in particolare, il compito della induzione, al cui
approfondimento il filosofo non dedica molto spazio, ma che, nellultimo capitolo degli
Analitici Secondi introdotta in analogia con larresto: la scienza si rivolge al mondo fisico
cercando di fermarne lo scorrimento sul limite rappresentato dalle forme e dalle propriet
essenziali, di assumere, in altre parole, il divenire come essere:107
In effetti, tutti gli animali hanno uninnata capacit discriminante, che viene chiamata sensazione.
Cos, la sensazione insita negli animali, ma mentre in alcuni di essi si produce una persistenza
dellimpressione sensoriale, in altri invece ci non avviene. [] Quando si siano prodotte molte
impressioni persistenti di questa natura, si presenta allora una certa differenziazione, e di
conseguenza, in certi animali si sviluppa, sulla base della persistenza di siffatte impressioni, un
nesso discorsivo [] Dalla sensazione si sviluppa dunque ci che chiamiamo ricordo, e dal
ricordo spesso rinnovato di un medesimo oggetto si sviluppa poi lesperienza. In realt, dei ricordi
che sono numericamente molti costituiscono una sola esperienza. In seguito, sulla base
dellesperienza, ossia dellintero oggetto universale che si acquietato nellanima, dellunit al di
l della molteplicit, il quale contenuto come uno e identico in tutti gli oggetti molteplici, si
presenta il principio dellarte e della scienza: dellarte, riguardo al divenire, e della scienza,
riguardo a ci che . Le suddette facolt non ci sono dunque immanenti nella loro determinatezza,
n provengono in noi da altre facolt pi produttive di conoscenza, ma vengono suscitate piuttosto
dalla sensazione. Cos in battaglia, quando lesercito si volto in fuga, se un soldato si arresta, si
arresta pure un secondo, e poi un altro ancora, sino a che si giunge al principio dello schieramento.
Lanima daltronde costituita in modo tale da poter subire ci. [] In realt, quando un solo
oggetto, cui non possono applicarsi differenze, si arresta in noi, allora per la prima volta si presenta
nellanima luniversale [] dunque evidentemente necessario che noi giungiamo a conoscere gli
elementi primi con linduzione [Secondi Analitici, II, 19, 99 b35 100 b4].
Il passo, molto famoso anche per essere lunico dedicato negli Analitici al problema,
introduce una ulteriore prospettiva scientifica, riconosciuta tale esplicitamente dallo stesso
Aristotele: quella di un sapere che si costituisce attraverso la induzione per giungere alla
apprensione dei principi. Si tratta evidentemente di un sapere non dimostrativo
(anapodittico), che il filosofo registra accanto e come condizione dellaltro: la determinazione
dimostrativa non appartiene a ogni scienza; la scienza riguardante le premesse immediate
prescinde dalla dimostrazione.
Tuttavia non si deve pensare che in tal modo egli valorizzi le procedure empiriche con cui
si istituiscono i saperi: lo spazio limitato riconosciuto al tema indice dello scarso peso che
nella epistemologia aristotelica ha la riflessione sulle modalit della induzione (come i critici
moderni avranno opportunit di denunciare). In realt, come ha osservato Berti, nel capitolo
conclusivo degli Analitici Aristotele , pi che altro, ancora impegnato in un processo di
introduzione (cos si pu tradurre epagogh), di guida, tipico di una situazione didattica:
Si tratta del processo attraverso cui il docente guida o conduce i discepoli alla apprensione dei
principi. Esso muove, come noto, dalla sensazione, per esempio dalla visione di una figura
disegnata, passa attraverso il ricordo, cio la sua fissazione nella mente, lesperienza, cio la
ripetizione di questultimo atto, e giunge alluniversale, cio alla definizione della figura in
generale, di cui quella disegnata solo un caso particolare108.
107
108
) Su questo punto mi pare convincente lanalisi di Curi, op. cit., pp. 119-20.
) Berti, op. cit., p. 15.
Dario Zucchello