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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

Incontro di studio (cod. 5948) Labuso del processo civile Roma 16.10.2012

Stefano Benini Abuso del processo e principio della ragionevole durata

1. Laccostamento di termini antitetici. 2. Impostazione funzionalistica del problema dellabuso. 3. La valutazione etica dellabuso. 4. Il giusto processo e la responsabilizzazione dei soggetti processuali. 5. La ragionevole durata, da diritto a valore dellordinamento processuale. 6. Labuso nelle applicazioni della legge Pinto. 7. Emersione giurisprudenziale di fattispecie di abuso. 8. Applicazioni giurisprudenziali del principio di ragionevole durata. 9. Un freno alle suggestioni della ragionevole durata. 10. Labuso processuale e il regime delle spese. 11. Labuso processuale come temerariet attenuata. 12. L'evoluzione legislativa recente. 13. Case management e poteri del giudice. 14. Il calendario del processo. 15. Prima del calendario. 16. Una sintesi dei rimedi contro labuso dilatorio.

1. Laccostamento di termini antitetici. Il problema dellabuso del processo appare intimamente collegato al principio della ragionevole durata, tanto che il titolo della presente relazione rappresenta unassociazione scontata, in virt della quale il primo termine sembra avere un senso alla luce del secondo senza il quale il primo neppure meriterebbe considerazione, o anche, lattuazione del secondo strettamente legata al dimensionamento nel primo. Nel comune sentire, si tratta per di unassociazione antitetica perch se la ragionevole durata costituisce un principio dellordinamento processuale, labuso degli strumenti processuali ne impedisce la realizzazione. E unassociazione che comincia a diffondersi non appena, approssimativamente a cominciare dagli anni 90, si evidenzia il dramma della durata del processo civile, e quale rimedio alle reiterate condanne dello Stato italiano per la violazione dellart. 6 della Convenzione europea dei diritti delluomo, vengono concepiti i primi interventi legislativi, quasi sempre indotti dalla necessit di contenimento della spesa pubblica. A tal fine viene promulgata una legge che elabora un nucleo di rimedi interni alla violazione del principio (legge 24.3.2001, n. 89, c.d. legge Pinto), ed in applicazione di questa che emerge in negativo il problema dellabuso del processo che, in quanto ascrivibile al comportamento della parte, contribuisce a una dilatazione dei tempi processuali per una misura che non pu essere ascritta allinefficienza dellapparato processuale. Lespressione abuso del processo, sovente associata a perifrasi contigue o equivalenti, quali temerariet della lite o artata resistenza in giudizio, diviene patrimonio lessicale della giurisprudenza applicativa della legge Pinto. La contrapposizione si delinea dunque nella diversa natura dei due elementi, luno a carattere privatistico, contrassegnato dallesercizio delle facolt che lordinamento processuale riconosce alla parti, laltro, corrispondente allinteresse generale dellefficienza dellapparato, cui rimessa lamministrazione della giustizia. A ben vedere, la contrapposizione il frutto di una banalizzazione contingente, che deformando il vero senso di ciascuno dei due elementi della contrapposizione, rappresenta un ostacolo alla loro comprensione, e condiziona le ipotesi di lavoro che si vogliano delineare per il ristabilimento dellefficienza del processo. Il fatto che, da un lato, lordinamento processuale italiano non identifica una nozione univoca del termine abuso, che proprio grazie alle misure via via predisposte per garantire il bene costituzionale dellefficienza processuale viene fuori in negativo, con contorni per niente nitidi, tanto che non esiste una vera coscienza che il fenomeno oggettivamente esista. Dallaltro, la ragionevole durata non solo un valore pubblicistico del processo, ma anche un corollario del diritto fondamentale di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 Cost.), che riceve autonomo riconoscimento con la legge costituzionale 23.11.1999, n. 2, di riforma dellart. 111 Cost. Sicch, se labuso, dalla sua accezione etimologica, che risponde ad un uso eccessivo, strumentale, illecito, di una facolt, si traduce in termini processuali in un comportamento della parte che ostacola il tempestivo svolgimento della causa, il
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confine tra la correttezza e larbitrio si sposta ove nella strategia difensiva, comunque esplicata, si identifichi una modalit di esercizio di un diritto costituzionale che non pu essere compresso, finendosi per stemperare laccezione negativa che al termine connessa. In quanto nozione connotata da un apprezzamento negativo, lampiezza dellabuso strettamente connessa ai limiti di legittimit delloperare di chi potenzialmente potrebbe compierlo, ovvero, allestensione delluso. Labuso appare tradizionalmente assistito da unintenzionalit lesiva nei confronti dellaltrui sfera giuridica (che indipendente dalla violazione dei precetti deontologici), mentre nel momento in cui si comincia a ravvisarne le sembianze anche in altre manifestazioni, lesive di interessi pubblici, quale quello della ragionevole durata, lintensit della colpevolezza passa in secondo piano, fino a ingenerare il dubbio che la fattispecie, pur sempre oggetto di censura, possa ancora definirsi abuso. Non un caso che nellordinamento francese, labuso distinto dal comportamento dilatorio1. La constatazione trasferisce immediatamente la tematica dal terreno delletica a quello della disciplina processuale, s come configurata dal legislatore in un determinato momento storico. Su questo punto si deve constatare che la normativa recente mostra sensibilit al problema, non tanto sulla figura e sullentit dellabuso in s, quanto sulle esigenze processuali che alla luce del principio di ragionevole durata debbono assistere la realizzazione dei principi del giusto processo, in un clima che dal 1999 in poi appare nettamente mutato. La stessa giurisprudenza, in nome del principio di economia processuale, ha negli ultimi tempi reinterpretato alcuni istituti processuali, dando risposte innovative rispetto ad approdi nemmeno tanto remoti (si pensi alla questione del frazionamento giudiziale dei crediti unitari), finendo per porre in crisi gli stessi presupposti ideologici fondanti del processo ispirato al principio dispositivo, rivestendolo di prerogative sempre pi marcatamente pubblicistiche, in cui lo stesso ruolo del giudice che richiede una ridefinizione. Paradossalmente, se i concetti si abuso e ragionevole durata vengono fuori di pari passo, come luno limpedimento dellaltro, ci si accorge che non solo labuso a ostacolare la ragionevole durata, perch questa, che deve essere realizzata dalla legge, spesso insita nella disciplina legislativa degli istituti processuali, e allora, a livello di principi, la correlazione tra abuso e ragionevole durata viene sopraffatto dalla necessit di riscrivere le regole del processo rapido ed efficiente, e daltra parte labuso non solo un ostacolo allefficienza, ma anche un sistema di sviamento della ricerca della verit e in tale ambivalenza richiederebbe un appropriato sistema sanzionatorio. 2. Impostazione funzionalistica del problema dellabuso. Alla base delle incertezze e degli equivoci resta la fondamentale disomogeneit dei due termini dellassociazione antitetica che si creata, identificandosi labuso in un
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Lart. 32-2 del code de procdure civile recita: Celui qui agit en justice de manire dilatoire ou abusive peut tre condamn une amende civile. 3

comportamento soggettivo connotato in modo riprovevole, e, diversamente, la ragionevole durata in un valore astratto e obiettivo virtuoso, sicch laccostamento, sia pure in termini antitetici, ne raccomandava il collocamento in un territorio concettuale comune che rendesse possibile lanalisi della fenomenologia del comportamento nellaspirazione teleologica alla realizzazione del valore. Sicch il concetto di abuso ha assunto nellanalisi dottrinale una connotazione funzionale, con una percezione come problema incombente ed esiziale per il concreto svolgimento delle attivit procedimentali nella direzione di risultati di giustizia sostanziale2. Parimenti, la ragionevole durata, nellaspetto pubblicistico di impellente obiettivo da conseguire per ragioni economiche, ha finito per fondersi e confondersi con il principio di economia processuale, e trascendere il contesto garantistico nel quale lart. 111 Cost. lo immerge3. Da qui il tentativo di razionalizzazione del problema, nellincontro tra i due elementi antitetici, ad unaspirazione funzionale di lotta allabuso del processo quale condizione necessaria al conseguimento del bene della ragionevole durata, o se si vuole, delleconomia o dellefficienza processuale. A ci si aggiunga che loccasione di analisi giurisprudenziale dei due termini in contrapposizione pregiudizialmente condizionata dalla sistematica della legge Pinto, che interviene a posteriori non per realizzare un modello processuale ispirato al principio ottimale della ragionevole durata n per reprimere il fenomeno dellabuso, ma per regolare le conseguenze di singole violazioni della ragionevole durata, intesa non come interesse superiore, ma come diritto della parte in causa. Il ritardo nellelaborazione autonoma di una nozione di abuso del processo generalmente sembrata riconducibile ad unimpostazione essenzialmente sostanzialistica del problema, che con difficolt ha sottratto da questarea lesercizio del conseguente diritto di azione4. Ch anzi, il versante processuale rimasto a lungo impermeabile allevoluzione concernente la relativizzazione delluso di diritti fondamentali5, dalla quale ha almeno avuto leffetto di isolare una tipologia di attivit di tutela, che in quanto prive di interesse processuale e quindi processualmente non proporzionate rispetto a intenti di effettiva tutela del diritto, possono qualificarsi in tal senso abusive. E sembrato a lungo che lidea stessa di abuso fosse intrinsecamente confliggente con una concezione liberale-classica del processo civile, fondata sul dispiegamento del tutto libero delle attivit di difesa tecnica. Ignota in giurisprudenza fino alla applicazioni della legge Pinto, la nozione, nella materia processuale, stata

A. DONDI, Abuso del processo (diritto processuale civile), in Enc.dir.-Annali, Milano, III, 2010, 3. 3 L.P. COMOGLIO, Etica e tecnica del giusto processo, Torino, 2004, 88. 4 V. ANSANELLI, Abuso del processo, in Digesto disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, Torino, I, 2007, 2. 5 A. DONDI, Spunti di raffronto comparatistico in tema di abuso del processo, in Nuova giur. civ., 2003, 62. 4

oggetto di elaborazione da parte di una minoranza dottrinale, sulle indicazioni provenienti da consolidate esperienze comparatistiche6. Non un caso che proprio con riferimento alle esperienze di altri ordinamenti, le prime elaborazioni teoriche del concetto di abuso processuale sembrano subito prendere le distanze da quella concezione liberale di libera competizione delle parti in causa, dandone univoca attribuzione allattivit propria della categoria professionale pi tipicamente caratterizzante lassetto del processo civile, ossia lavvocatura, attesane lindubbia funzione-cardine di gestore della fase introduttiva e di quella di trattazione7. Tale ricostruzione suggestivamente evocativa della cultura processuale statunitense, cui sembra risalire lemersione del problema dellabuso (particolarmente nella fase del discovery allinterno della disciplina del pre-trial), con lindividuazione del difensore come soggetto-tipo al quale riferire la messa in atto di attivit abusive8. Se nella definizione minima dellabuso del processo si trova unanime consenso come utilizzazione distorta di strumenti del processo legittimi9, la constatazione che lutilizzazione abusiva presuppone che il soggetto sia titolare di una determinata attivit processuale che ammetta una qualche discrezionalit nella scelta delle modalit di esercizio, tuttuno con il riconoscimento della titolarit delle opzioni difensive in capo al difensore tecnico. Ci spiegherebbe la debolezza dei segnali di interesse nei confronti dellelaborazione di una nozione di abuso del processo, con una marcata riluttanza ad includere tra le questioni cruciali il problema delle modalit di esercizio della difesa tecnica in giudizio, giacch dei rimedi giurisdizionali lecito abusare e ci non rappresenta un fenomeno negativo10, e, corrispondentemente, con la tendenza a risolvere il problema riducendolo allo scarso apparato della disciplina di diritto positivo o allincapacit o alla cattiva volont del sistema giustizia. La virtuale attribuzione di connotazioni etiche di segno negativo allesercizio delle attivit11, determina la confluenza nella problematica di istanze extraprocessuali, perch attinenti a profili etici e deontologici della professione di avvocato, per la quale si trova un deterrente specifico nellart. 88 c.p.c., di cui si riscontra la scarsa efficacia, a causa dellattenzione solo generica che viene riservata alla norma,
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L.P. COMOGLIO, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in Riv. dir. proc., 2008,

322. A. DONDI, Abuso, cit., 3-4. A. DONDI, Spunti, cit., 66. 9 A. DONDI, Abuso, cit., 2. Analogamente, secondo M. TARUFFO, Elementi per una definizione di abuso del processo, in AA.VV., Diritto privato III. Labuso del diritto, Padova, 1998, 447, labuso definibile come impiego di un rimedio processuale per il conseguimento di un fine che non proprio di quel rimedio, poich non rientra nellambito degli scopi al cui raggiungimento esso preordinato. 10 Come osserva criticamente M. TARUFFO, Elementi, cit., 435. 11 A. DONDI, Manifestazioni della nozione di abuso del processo civile, in AA.VV., Diritto privato III. Labuso del diritto, Padova, 1998, 465. 5
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nonostante le profonde ripercussioni processuali non solo come apprestamento di tattiche dilatorie, ma anche nello sviamento dalla ricerca della verit12. Linterazione, finora non sufficientemente praticata, tra la disciplina del processo e la normativa di etica professionale dellavvocato, consiglierebbe anzi come una corretta policy di riforma del processo alla luce di una cultura dellabuso non possa che passare attraverso la predisposizione di sanzioni non riferite alla sola parte in senso sostanziale, ma con diretto coinvolgimento dellavvocato, nella forma di conseguenze disciplinari e sanzioni pecuniarie13. 3. La valutazione etica dellabuso. Le suggestioni comparatistiche vengono svalutate nella doverosa considerazione delle diversit che caratterizzano i sistemi processuali degli ordinamenti di common law, e le regole comportamentali alle quali soggetto il ceto forense in quegli ordinamenti14. Inoltre, sempre con riguardo alla professione di avvocato in Italia, sempre in forza delle tecniche processuali che vanno parametrati i criteri concernenti la deontologia forense, e sotto tale profilo non potrebbe disconoscersi come ci che processuamente lecito non pu essere deontologicamente scorrettola deontologia pu intervenire ove la legge non sia arrivata, colmando le lacune del sistema e indirizzando il ceto forense sotto un profilo pi strettamente etico, ma non pu porsi in contrasto con quanto la legge statuisca in modo sufficientemente chiaro15. In particolare non sembrato che il comportamento etico del difensore involga un dovere di collaborazione con il giudice alla realizzazione del principio di ragionevole durata16, giacch sembrato fuori luogo, e forsanche in contrasto con lo stesso art. 24 Cost., pretendere che il ruolo dellavvocato nel processo sia tuttuno con quello del giudice. Il dovere di tenere un comportamento conforme alla legge e alla deontologia, secondo criteri di lealt e probit, non comporta che i difensori tengano comportamenti in contrasto con i propri interessi, non essendo tenuti a realizzare linteresse superiore dello Stato, ma solo quello individuale della parte che assistono17. Viene anche citato Calamandrei, che dopo aver sottolineato le differenze tra malafede processuale e diritto alla difesa18, non escluse tra gli atti difensivi leciti nemmeno il c.d. negozio indiretto, sicch non apparso comportamento
A. DONDI, Abuso, cit., 5. A. DONDI, Abuso, cit., 11. 14 G. SCARSELLI, Lealt e probit nel compimento degli atti processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 95. 15 G. SCARSELLI, Lealt, cit., 96. 16 Cass. 5.9.2008, n. 22404, rv. 604515: a carico delle parti processuali vi s il dovere di non porre in essere comportamenti dilatori, ma non quello di dare impulso al processo, attraverso richieste di anticipazioni di udienza od altre istanze dirette a velocizzarne i tempi. 17 G. SCARSELLI, Il nuovo art. 96, 3 comma, c.p.c.: consigli per luso, in Foro it., 2010, I, 2238. 18 P. CALAMANDREI, Il processo come giuoco, in Studi sul processo civile, Padova, 1957, VI, 45 ss. 6
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deontologicamente riprovevole nel processo che una parte ponga in essere un atto lecito e previsto dal sistema, e tuttavia realizzato non tanto per gli effetti processuali che esso produce per legge, quanto per le prevedibili reazioni che esso provocher nellatteggiamento degli altri soggetti del processo, e in primo luogo la controparte e il giudice19. Il diritto di agire in giudizio deve comprendere anche la possibilit di compiere tutte le attivit processuali consentite in astratto dalla legge, per cui non sarebbe possibile, in nome della ragionevole durata, impedire alle parti di scegliere modi e tempi della tutela giurisdizionale, imponendo loro di agire sempre e comunque in tempi rapidi, e le esigenze di contenimento della durata del processo non possono mai ledere il diritto di difesa. Si per obiettato che la formulazione moraleggiante con cui lart. 88 c.p.c. richiama le parti e i loro difensori a comportarsi in giudizio con lealt e probit non pu indurre a relegare la norma alla dimensione di un generico richiamo alla correttezza, essendo assunto, il comportamento leale e probo, a contenuto di un preciso dovere, e daltro canto il modo con il quale la parte rispetta o viola tale dovere assunto, in altre norme del codice di rito, a criterio di diverse valutazioni o a fondamento di sanzioni (artt. 92, 116, 175)20. Il tema dellabuso del processo assume dunque, prima della necessaria valutazione in termini funzionali, ed il suo diretto collegamento con il principio di ragionevole durata, una dimensione etica. 4. Il giusto processo e la responsabilizzazione dei soggetti processuali. Il giusto processo anche assunzione di responsabilit da parte dei difensori, oltre che del giudice21. La garanzia della difesa costituzionalmente prevista dallart. 24 Cost., deve intendersi, alla luce della riscrittura dellart. 111 Cost., come garanzia di una giusta difesa, svolta nellinteresse del cliente mediante lutilizzazione corretta delle potenzialit del processo, senza che ne vengano distorte le finalit ad esso proprie22. A proposito del divieto di parcellizzazione della tutela giurisdizionale di un credito unitario, la Suprema Corte ha sottolineato la costituzionalizzazione, in base agli inderogabili doveri di solidariet, consacrati nellart. 2 Cost., dei canoni di buona fede e correttezza, ed ha invocato i canoni fondamentali del giusto processo (di cui parte integrante la ragionevole durata)23.
G. SCARSELLI, Il nuovo art. 96, cit., 2240. C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2011, I, 395. 21 Si legge in Cass. 1.3.2012, n. 3189, rv. 621254, che l'art. 111 Cost., secondo comma, con lo statuire che la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo, detta una regola per l'interpretazione delle singole norme del codice di rito funzionalizzata alla celerit del processo, secondo la quale al giudice impedito di adottare provvedimenti che, senza utilit per il diritto di difesa o per il rispetto del contraddittorio, ritardino inutilmente la definizione del giudizio. 22 V. ANSANELLI, Abuso, cit., 7. 23 Cass. 15.11.2007, n. 23726, in Foro it., 2008, I, 1519. 7
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Nel momento in cui il giusto processo, da categoria sistematica fino ad allora desumibile dallinterpretazione coordinata di pi garanzie costituzionali, si trasformata in esplicita ed autonoma enunciazione costituzionale, emerge unessenziale componente deontologica concernente non tanto lidoneit tecnica e lefficiente funzionalit dei mezzi e delle strutture del giudizio, quanto la correttezza delle condotte di tutti i protagonisti della vicenda processuale, che imporrebbe di rendere verificabile, in ogni situazione, letica intrinseca al processo, nei comportamenti di chi (parte, difensore, giudice o p.m.) esercita (o non esercita) i diritti, i poteri e gli oneri di cui titolare24. Il processo deve essere giusto in termini oggettivi, funzionali e strutturali, con riguardo alleffettivit degli strumenti messi a disposizione per la tutela dei diritti, in contraddittorio paritario, davanti a un giudice terzo e imparziale. Il processo deve per essere anche giusto in termini soggettivi e comportamentali, se ed in quanto sia retto da principi etici e deontologici, che impongono a tutti i soggetti coinvolti precisi doveri di condotta nel processo25. Ci che fino ad oggi si giustificato nel quadro di non commendevoli strategie, originanti al pi difficolt alla controparte processuale, non pu essere qualificato solo in funzione del pregiudizio che provoca ad un soggetto specifico, ma altres in considerazione del pregiudizio che arreca al sollecito e ordinato svolgimento del processo: la condotta processuale abusiva plurioffensiva26 poich mira sia a recare pregiudizio allavversario, sia a mettere in crisi il processo. E rompe il sottile equilibrio che deve caratterizzare i valori del giusto processo. Il diritto di azione e difesa non pu essere inteso in senso assoluto, potendo subire legittime limitazioni in rapporto alle esigenze di tutela di altri interessi, tra i quali la celerit del giudizio. 5. La ragionevole durata, da diritto a valore dellordinamento processuale. E proprio il richiamo allesigenza di celerit del processo, che messa in pericolo dallabuso, sia esso mirato a creare difficolt allavversario, o, direttamente, a far trascorrere il tempo perch si vuole allontanare una decisione sfavorevole, ritrasferisce il problema nella sua dimensione funzionale, dalla quale si era partiti, senza trascurare leventualit di altri, non commendevoli obiettivi (la lievitazione della parcella dellavvocato, lindennizzo per lirragionevole durata), Si detto che la ragionevole durata parte integrante del diritto di tutti ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti o interessi legittimi, e in tale veste era gi apprezzabile nella prospettiva dellart. 24 Cost.27, vuoi perch la durata del processo

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L.P. COMOGLIO, Abuso, cit., 329. L.P. COMOGLIO, Abuso, cit., 330. 26 M. TARUFFO, Elementi, cit., 453. 27 Corte cost. 22.10.1999, n. 388, in Foro it., 2000, I, 1072: il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi, garantito dallart. 24 Cost., include il diritto ad una ragionevole 8

non deve andare a danno della parte che ha ragione28, vuoi censurando un sistema che se non esclude la tutela giurisdizionale, la rende estremamente difficile29, o che impone termini dilatori senza una giustificazione costituzionalmente rilevante30. Il tema si progressivamente arricchito dei tangibili riconoscimenti risarcitori davanti alla Corte europea dei diritti delluomo, per violazione dellart. 6, 1, della Convenzione europea del 1950. Con lart. 111 Cost. si ha un mutamento di prospettiva, perch se da un lato il bene della rapidit processuale, autonomamente garantito in termini espressi, e non pi meramente ricavabile per implicito dalla garanzia del diritto di azione, pure di esso non si pu fare a meno di tener conto, quando si vogliano concretizzare i diversi requisiti che il secondo comma sancisce come essenziali per il giusto processo (contraddittorio, parit delle parti, giudice terzo e imparziale). Leffettivit della tutela giurisdizionale si misura anche in base alla capacit dellordinamento di garantire il risultato richiesto nei limiti di una giusta durata. Leconomia processuale diviene un valore dellordinamento, e i mezzi che la legge deve apprestare per assicurare la ragionevole durata si traducono in strumenti funzionali. Il principio di economia processuale, lungi da fornire un semplice canone interpretativo31, venuto ad assumere la funzione di stabilire se una norma possa dirsi conforme alla previsione costituzionale che impone al legislatore di dettare una disciplina idonea a contenere la durata del processo in termini ragionevoli32. Leconomia processuale ha anche una doppia valenza: le norme processuali devono preoccuparsi di garantire non solo leconomia interna (risparmio di attivit, di tempo), ma anche quella esterna, prevenendo il sorgere di altri processi. Questo significa che non possibile fermarsi al dato immediato della duplicazione di attivit, del dispendio di tempo, occorrendo anche verificare se tale immediata diseconomia in realt non sia utile al fine di prevenire altri e diversi processi. Il principio non comporta soltanto che il legislatore debba approntare misure per conseguire il massimo possibile risultato in termini di tempo, spese ed oneri
durata del processo, affinch la decisione giurisdizionale perseguita tramite lazione, assicuri lefficace protezione della situazione tutelata e, in definitiva, la realizzazione della giustizia. 28 Corte cost. 28 giugno 1985, n. 190, in Foro it., 1985, I, 1881. 29 Corte cost. 17 marzo 1998, n. 62, in Foro it., 1998, I, 969. 30 Corte cost. 11 giugno 1975, n. 138, in Foro it., 1975, I, 1596. 31 In relazione a tale mutamento di prospettiva, coincidente con lentrata in vigore del nuovo testo dellart. 111 Cost, si ritenuta non ravvisabile un'esigenza di tutela dell'affidamento riposto dall'attore in relazione ad intervenuto mutamento dell'orientamento giurisprudenziale in materia, atteso che il principio del giusto processo, non consente pi di utilizzare, per l'accesso alla tutela giudiziaria, metodi divenuti incompatibili con valori avvertiti come preminenti ai fini di un efficace ed equo funzionamento del servizio della giustizia, e impedisce, perci, di accordare protezione ad una pretesa priva di meritoriet e caratterizzata per l'uso strumentale del processo (Cass. 22.12.2011, n. 28286, rv. 620985). 32 G. OLIVIERI, La ragionevole durata del processo di cognizione (qualche considerazione sullart. 111, 2 comma, Cost.), in Foro it., 2000, V, 254. 9

(individuali, collettivi, sociali) nello svolgimento del processo, e pi in generale nellamministrazione della giustizia, ma ha contestualmente di mira la razionalizzazione tecnica dei meccanismi processuali, allo scopo di realizzare il massimo risparmio possibile di atti, risorse, energie, nellesercizio di diritti, poteri e doveri di cui le parti siano titolari allinterno del processo33. Limperativo enunciato dallart. 111, secondo comma, Cost., seconda parte, consacra una garanzia minima ed essenziale del giusto processo, in aggiunta a quelle della prima parte (contraddittorio tra le parti, condizioni di parit, giudice terzo ed imparziale)34. Lattuazione del principio costituzionale va concepita in una sfera in cui la piena realizzazione del contraddittorio, della parit tra le parti, del giudice terzo e imparziale avvenga nel quadro dellefficienza processuale. La nuova garanzia dovrebbe inoltre fornire unottica diversa per lo scrutinio di costituzionalit di molti istituti del processo vigente, che nel disciplinare il dipanarsi del processo, rendono possibili gli abusi di una parte in danno dellaltra, nonch un irrazionale allungamento dei tempi35. Alla luce dei principi del giusto processo ora lecito chiedersi se lart. 88 c.p.c. possa offrire una diversa possibilit di lettura, relazionata in primo luogo al contegno ispirato alla buona fede che laltra parte pu attendersi dallavversario nellesercizio dei poteri processuali contrapposti: in proposito si osservato che l'art. 88 c.p.c. finisce per innervare innervare il contraddittorio e per costituire uno degli addendi importanti ed essenziali della disposizione si cui all'art. 111, secondo comma, Cost.36. Pi in generale, s'impone una rilettura dell'art. 88 c.p.c. secondo un obiettivo di economia processuale, come rispetto dei tempi di svolgimento della procedura: dovere che diviene pregnante alla luce della nuova formulazione dellart. 81-bis c.p.c., del quale si dir oltre. Il valore rappresentato dallattuazione delle garanzie delle parti tendenzialmente in conflitto con le esigenze di semplicit, rapidit, efficienza del processo: lattuazione di quelle garanzie assume valore prioritario rispetto alle esigenze di efficacia e funzionalit del processo. La priorit nellesercizio dei poteri difensivi delle parti sullesigenza di contenere i tempi del giudizio37, tuttavia, non significa che lesplicazione ne sia per definizione corretta, dovendosi ammettere leventualit che lesercizio del potere processuale assume il riferimento alle garanzie come mero pretesto, per legittimare comportamenti diretti ad ostacolare il corretto ed efficiente funzionamento del processo38. Questa dimensione della lealt dovuta al processo come entit ispirata ai valori dellart. 111 Cost., quindi anche alle esigenze di
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L.P. COMOGLIO, Etica, cit., 89. L.P. COMOGLIO, Etica, cit., 91. L.P. COMOGLIO, Etica, cit., 92. F. CORDOPATRI, Un principio in crisi: victus victori, in Riv. dir. proc., 2011, 277. G. OLIVIERI, La ragionevole durata, cit., 254. M. TARUFFO, Elementi, cit., 455. 10

economia processuale, potrebbe altres offrire la chiave di lettura per un distacco del nuovo terzo comma dellart. 96 c.p.c. dal contesto della responsabilit aggravata per lite temeraria, con i presupposti tradizionalmente fissati per lapplicabilit del primo comma, come specifica reazione dellordinamento agli abusi dilatori del processo. Ma anche di ci si dir oltre. 6. Labuso nelle applicazioni della legge Pinto. Nellassenza di definizione di abuso del processo (lespressione non compare in alcun testo legislativo), pare necessario verificare se essa possa desumersi dallelaborazione giurisprudenziale, quale elemento negativo ricavabile dal concetto di ragionevole durata, in primo luogo, e dai tentativi operati dalla giurisprudenza allo scopo di contenere i tempi di svolgimento processuale. Un approccio al problema che parta dalla teorica definizione di abuso, sembra sterile, e irrimediabilmente destinato a sfociare in risultati di scarso utilizzo nel contesto processuale, attesa la non compiuta elaborazione della categoria a livello dottrinale: non va dimenticato che il fenomeno da pi parti viene perfino ontologicamente negato, se si fa eccezione dellutilizzo dello strumento processuale, in mala fede o con grave colpa. Anche perch lelaborazione concettuale del tema, che pur non mancata, si svolta prevalentemente a livello teorico partendo dai riferimenti comparatistici di cui ha auspicato la riproducibilit, almeno in parte, nel nostro ordinamento il che comporterebbe una riformulazione del ruolo del giudice nel processo, e dei relativi poteri, non solo nella direzione organizzativa, ma anche nelladozione di sanzioni ma senza una indagine epidemiologica completa dei casi di abuso. Nelle prime applicazioni della legge Pinto, il dovere di tener conto del comportamento delle parti fece ritenere che i rinvii concordemente richiesti dalle parti dovessero essere detratti dal processo al fine di stabilirne lo sforamento dei limiti di ragionevole durata39, specificandosi anzi che qualora la parte abbia richiesto rinvii della causa o vi abbia consentito, in base a ragioni di propria convenienza, non pu, al fine di evitare che leccessiva durata del processo derivatane sia addossata al proprio comportamento, dolersi del mancato esercizio dei poteri di direzione del processo medesimo da parte del giudice istruttore40. In prosieguo introdotta la limitazione ai casi in cui i rinvii richiesti dalle parti siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale,
Cass. 27.9.2006, n. 21020, rv. 593124; Cass. 1.8.2003, n. 11712, rv. 565559 (che fa riferimento a rinvii influenzati da scelte processuali delle parti); Cass. 29.11.2002, n. 16936, rv. 558819. Analogamente Cass. 21.9.2005, n. 18589, rv. 583289, che pure avverte come detti rinvii, pur dovendo in linea di massima essere attribuiti esclusivamente a comportamenti delle parti, possono essere imputati in parte anche all'apparato giudiziario, quando risultino violati i termini ordinatori dei rinvii di cui alle norme di rito. 40 Cass. 3.9.2003, n. 12808, rv. 566492; anche di recente, Cass. 16.7.2012, n. 12161, rv. 623351. 11
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allabuso del diritto di difesa, restando addebitabili gli altri rinvii alle disfunzioni dellapparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla p.a. evidenziare, riconducibili alla fisiologia del processo41. Negli arresti pi recenti, invece, dal computo generalizzato di tutta la durata processuale viene tenuto fuori il caso in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie utile al percepimento dellindennit, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza. Tali situazioni definibili come abuso del processo, devono essere provate dallamministrazione42. In una occasione si definito abuso del processo l'esercizio di un diritto in contrasto con lo scopo per il quale viene riconosciuto, che tradisce sul piano funzionale le dichiarate esigenze di correttezza e completezza dell'accertamento, e comporta un prolungamento dei tempi che irragionevole per definizione. Ma occorre evidentemente impedire che a questi prolungamenti del processo, come della sua stessa promozione per scopi diversi da quelli per i quali previsto, possa giovarsi colui cui l'abuso risulti imputabile. Le situazioni di abuso si pongono pertanto come limiti funzionali della norma che riconosce il diritto all'equo indennizzo per la durata non ragionevole del processo43. Si aggiunge che lesito sfavorevole del giudizio pu tuttavia incidere riduttivamente sulla misura dellindennizzo, allorch la domanda sia stata proposta in un contesto tale da renderla, se non temeraria, comunque fortemente aleatoria44. La violazione del diritto alla ragionevole durata del processo non discende, comunque, come conseguenza automatica, dallessere stati disposti rinvii della causa45 di durata eccedente i quindici giorni (art. 81 disp. att. c.p.c.), ma dal superamento della durata processuale ragionevole in termini complessivi, in rapporto

Cass. 10.5.2010, n. 11307, rv. 613258; Cass. 17.9.2010, n. 19771, rv. 615177. Secondo Cass. 12.7.2011, n. 15258, rv. 619023, non possono essere ascritti in toto al comportamento delle parti i ritardi dovuti alle continue richieste di rinvio non funzionali al contraddittorio e al corretto svolgimento del processo, rilevando gli stessi, almeno in parte, in caso di inerzia ed acquiescenza dellistruttore. Riguardo al processo penale, secondo Cass. 14.3.2011, n. 5995, rv. 617241, il giudice deve valutare se, e con quale portata quantitativa, alla protrazione temporale abbia contribuito il comportamento della stessa parte che chieda di essere indennizzata, o i suoi difensori, mediante richieste di rinvio: anche detti rinvii per possono essere imputati in parte allapparato giudiziario, ove per le relative insufficienze e disfunzioni, la lunghezza di ciascuno di essi non risulti interamente giustificata dalle ragioni per cui stato chiesto. 42 Cass. 26.4.2010, n. 9938, rv. 612722; Cass. 9.4.2010, n. 8513, 612537; in precedenza Cass. 7.3.2003, n. 3410, in Giust. civ., 2003, I, 905. 43 Cass. 26.4.2010, n. 9938, rv. 612722, cit. 44 Cass. 13.11.2009, n. 24107, rv. 244651. 45 Sono comunque scomputabili i rinvii cagionati dallastensione degli avvocati, che non costituiscono disfunzioni attribuibili a violazioni di sistema (Cass. 18.7.2005, n. 15143, rv. 513829; Cass. 19.7.2010, n. 16838, rv. 614959, questultima relativamente al procedimento penale). 12

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ai parametri di ordine generale fissati dallart. 2 della legge n. 89 del 200146. Ove complessivamente la durata sia tollerabile, i rinvii operati dal giudice per l'improvviso aumento del carico di lavoro dell'ufficio adito per effetto del contestuale deposito di numerosissimi ricorsi aventi lo stesso oggetto di quello che ha introdotto il giudizio presupposto, non comportino di per s la violazione47. Il ritardo imputabile al comportamento delle parti, viene dunque detratto dalla durata del processo nellaccertamento della violazione dei limiti fissati dalla giurisprudenza europea applicativa della Convenzione dei diritti. In altre occasioni il concetto di abuso viene allargato (ai fini della riduzione del danno) alla piena consapevolezza, incompatibile con lansia connessa allincertezza sullesito del processo, dellinfondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilit, con questo connotandosi la condotta sembra di capire: ma si tratta di affermazioni astratte anche come colpa grave48. In tali casi labuso impedisce la configurazione di quel danno morale inteso come ansia e stress di trovarsi coinvolti in iniziative giudiziarie diuturne, cui il soggetto stesso abbia dato origine. Altrove, alla lite temeraria viene associato, ma senza ulteriori specificazioni, il caso di vero e proprio abuso del processo49. Una specificazione si ha, almeno, in negativo, ove, premesso che non deve tenersi conto dellabuso del processo o della lite temeraria, non si rinviene tale ipotesi, e di conseguenza deve escludersi che nella valutazione della ragionevole durata di un giudizio promosso nei confronti di ente previdenziale per il riconoscimento del diritto allassegno di invalidit, il giudice dellequa riparazione possa tenere conto del solo tempo processuale successivo allinsorgenza dellinfermit invalidante, ove questa risulti sopravvenuta in corso di causa50. Unaltra, rara specificazione, esclude l'esistenza di un danno non patrimoniale nelle ipotesi in cui il protrarsi del giudizio appaia rispondente ad uno specifico interesse della parte o sia comunque destinato a produrre conseguenze che la parte stessa percepisce come a s favorevoli: nella specie, alla stregua di un complesso di elementi, la controversia oggetto del processo civile presupposto - conclusosi con l'estinzione per inattivit delle parti, a seguito di transazione stragiudiziale - era stata completamente gestita fuori dell'ambito processuale, con conseguente carenza di interesse del ricorrente alla celere definizione del giudizio in cui era convenuto, essendo il suo interesse quello, opposto, alla stasi del procedimento per coltivare la prospettiva, poi concretizzatasi, della definizione in sede stragiudiziale51.
Cass. 24.3.2011, n. 6868, rv. 617352; Cass. 15.11.2006, n. 24356, rv. 594625; Cass.2.3.2005, n. 4450, rv. 579810; Cass. 1.3.2005, n. 4298, rv. 580228; Cass. 5.3.2004, n. 4512, rv. 575864; Cass.1.8.2003, n. 11712, rv. 565558. 47 Cass. 23.12.2011, n. 28568, rv. 620883. 48 Cass. 29.3.2006, n. 7139, rv. 589510; 28.10.2005, n. 21088, rv. 584708. 49 Cass. 11.5.2005, n. 9921, in Guida al dir., 2005, fasc. 25, 36. 50 Cass. 30.9.2005, n. 19204, rv. 585182. 51 Cass. 13.4.2006, n. 8716, rv. 587970. 13
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Limpostazione della disciplina in tema di equa riparazione prevista dalla legge Pinto testimonia unelaborazione ancora largamente incerta della nozione, ed lontana dallimpostazione decisamente sanzionatoria che in altri ordinamenti funziona come deterrente per il futuro52. Si anche annotato che nella equazione processo lungo=abuso del processo aleggia la sensazione che il soggetto virtualmente imputabile di tale attivit dilatoria sia sostanzialmente il giudice53. Diversamente, come gi osservato, nellordinamento statunitense, in cui il soggetto-tipo cui riferire lattivit abusiva, il difensore. Il giudice presunto responsabile del ritardo del resto avvalorato dalla pi recente giurisprudenza, sopra richiamata, che in virt di una enfatizzazione del potere direttivo da parte del giudice istruttore, ascrive alle parti i soli ritardi determinati da abuso, al pi configurato come comportamento in malafede, che il solo limite oltre il quale la responsabilit della dilatazione abnorme della durata del processo, non pu essere ascritta allamministrazione, ma alle parti. Tale affermazione appare tralaticia, e apparentemente priva della consapevolezza dellabuso del processo, anche perch si osservato54 in mancanza di reali poteri coercitivi da parte del giudice il processo ha comunque una ragionevole durata quando i suoi tempi siano la conseguenza di un comportamento consapevole di entrambe le parti: se queste, con il loro comune comportamento, dimostrano di volere (o comunque di accettare) tempi processuali meno solleciti, il processo che le riguarda avr comunque una durata ragionevole. Del resto, se il legislatore intervenisse, costringendole ad agire in tempi da lui strettamente predeterminati, violerebbe il loro diritto dazione e di difesa, che riguarda anche i tempi delle attivit processuali: si vedr pi avanti come laffermazione sia da smentire alla luce delle pi recenti modifiche legislative (art. 81-bis disp. att. c.p.c.: calendario del processo). 7. Emersione giurisprudenziale di fattispecie di abuso. Il primo esempio storico di reazione giurisprudenziale ad abusi finalizzati alla dilatazione dei tempi processuali riguarda luso del regolamento di giurisdizione in funzione della sospensione automatica del processo, che la riforma dellart. 367 c.p.c. (con lart. 61 legge 26.11.1990, n. 353) ha scongiurato, rendendo la sospensione facoltativa, su apprezzamento del giudice istruttore. Prima della modifica legislativa la giurisprudenza non aveva potuto far altro che ravvisare i presupposti della

A. DONDI, Spunti, cit., 62. Il decreto che riconosce lindennit deve essere trasmesso alla Corte dei Conti per leventuale esercizio dellazione di responsabilit, oltre che agli organi titolari dellazione disciplinare (art. 5 legge n. 89/01: leventuale rivalsa nei confronti del magistrato, tuttavia, dovrebbe essere ascritta al giudice ordinario, ai sensi della legge 13.4.1988, n. 117 (Cass. 27.5.2009, n. 12248, rv. 608286). 54 G. OLIVIERI, La ragionevole durata, cit., 256. 14
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responsabilit aggravata per le spese ove ritenesse lo scopo dilatorio del regolamento di giurisdizione55. La parcellizzazione in pi giudizi della tutela giurisdizionale del credito nascente da un unico rapporto obbligatorio ora decisamente contrastata dalla giurisprudenza della Suprema corte56. In precedenza se ne era avvalorata la legittimit57, mediante largomentazione a contrario dallart. 1181 c.c., che legittima il creditore a rifiutare ladempimento parziale (e dunque gli consente anche di chiederlo), pur non mancando resistenze ad ammetterla in nome delle regole generali di correttezza e buona fede. Il revirement giurisprudenziale muove dalla constatazione di un quadro normativo evolutosi nella duplice direzione, sia di una sempre pi accentuata e pervasiva valorizzazione della regola di correttezza e buona fede siccome specificativa (nel contesto del rapporto obbligatorio) degli inderogabili doveri di solidariet, il cui adempimento richiesto dallart. 2 Cost. sia in relazione al canone del giusto processo, di cui al novellato art. 111 Cost. Il riferimento al principio di buona fede processuale quale limite allabuso che si estrinseca mediante il frazionamento di crediti unitari, appare porsi a baluardo degli interessi del debitore, ingiustamente penalizzato attraverso la moltiplicazione delle iniziative processuali a suo danno. Va anche ricordato che nelle azioni parcellizzate potrebbe comunque ravvisarsi un illecito disciplinare previsto dal Codice deontologico forense (art. 49). Per quanto interessa in questa sede, a parte il riferimento alla costituzionalizzazione del principio di correttezza e buona fede in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidariet di cui allart. 2 Cost. il che consente il controllo, da parte del giudice, dello statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi anche nella fase giudiziale in relazione allart. 111 Cost. che le Sezioni unite ritengono necessaria una lettura adeguata della normativa di riferimento (in particolare dellart. 88 c.p.c.), nel senso del suo allineamento al duplice obiettivo della ragionevolezza della durata del procedimento e della giustezza del processo, inteso come risultato finale (della risposta cio alla domanda della parte), che giusto non potrebbe essere ove frutto di abuso, appunto, del processo, per esercizio dellazione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dellinteresse sostanziale, che segna il limite, oltrech la ragione dellattribuzione, al suo titolare, della potestas agendi. In ordine alle conseguenze della proposizione di una domanda parcellizzata, la Cassazione ha affermato che la domanda improponibile; e che detta improponibilit investe ciascuna delle singole domande (in ciascuna delle relative diverse cause,
Cass. 2.3.1982, n. 1280, in Foro it., 1982, I, 1006; Cass. 12.1.1984, n. 225, in Foro it., 1984, I, 1624; Cass. 3.11.1986, n. 6420, in Foro it., 1987, I, 57. 56 A partire dalla pronuncia delle Sezioni unite, Cass. 15.11.2007, n. 23726, in Foro it., 2008, I, 1514). 57 Cass. 10.4.2000, n. 108/SU, in Giust. civ., 2000, I, 2265. 15
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contestuali o scaglionate nel tempo) in cui stata frazionata la domanda concernente l'intera somma in questione (e cio la domanda come avrebbe dovuto essere proposta per essere ritenuta rituale ed dunque proponibile)58. Ci pone una prima questione nellipotesi in cui, per una qualche ragione, il creditore abbia in qualche modo conseguito la condanna per una parte dellimporto, ed agisca per le successive tranches: in tal caso, giocoforza, dovranno esser dichiarate improponibili solo le successive domande. Sembra da ammettere la domanda giudiziale che si limiti ad una frazione dellintero ammontare di un credito unitario, purch lattore dichiari di abdicare al residuo. Del principio stata fatta applicazione in materia di trattamento di fine rapporto, qualora si sia formato il giudicato sull'inserimento, nella base di calcolo, delle indennit contrattuali erogate in maniera fissa e continuativa, restando preclusa una nuova domanda di riliquidazione della prestazione medesima ancorch fondata su profili differenti quali il riconoscimento dei compensi per lavoro straordinario59. Sempre in materia di spettanze lavorative, la restituzione di somme indebitamente ricevute e relative all'erogazione degli accessori dell'indennit di buonuscita deve avvenire attraverso il pagamento in un'unica soluzione, dovendosi escludere l'applicabilit, in via estensiva od analogica, della norma di cui all'art. 26 del d.P.R. n. 1032 del 1973, secondo la quale il recupero dell'indennit di buonuscita indebitamente corrisposta avviene mediante una pluralit di trattenute sul trattamento di quiescenza, attesa la natura speciale ed eccezionale di tale disposizione60. E improponibile la domanda di risarcimento dei danni alla persona subiti dall'attore in occasione di un sinistro stradale, nel quale lo stesso aveva subito altres danni materiali, oggetto di separato giudizio concluso con sentenza passato in giudicato61: dal principio di infrazionabilit si anzi ricavata lulteriore conseguenza che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta, per cui ove l'atto introduttivo indichi specifiche voci di danno, a tale specificazione deve darsi valore meramente esemplificativo, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volont attorea di escludere dal petitum le voci non menzionate62. Nel caso di annullamento dell'ordinanza di requisizione, la domande di risarcimento del danno consequenziale alla dedotta illegittimit del provvedimento e di quello derivante dalla perdurante occupazione dopo la scadenza del provvedimento, appartengono entrambe alla giurisdizione amministrativa, in quanto la compressione della situazione soggettiva del titolare dell'immobile travolge la distinzione tra la situazione anteriore e quella successiva alla scadenza del termine configurandosi
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Cass. 11.6.2008, n. 15476, rv. 603542; Cass. 20.11.2009, n. 24539, in Giur. It., 2010, 1875. Cass. 3.12.2008, n. 28719, in Riv. it. dir. lav., 2009, 711. Cass. 22.12.2009, n. 26961, rv. 611016 Cass. 22.12.2011, n. 28286, rv. 620984 Cass. 31.8.2011, n. 17879, rv. 619359. 16

l'occupazione per entrambi tali periodi come "usurpativa", non quindi necessario frazionare la pretesa risarcitoria in due distinte domande da rivolgersi, rispettivamente, al giudice amministrativo ed al giudice ordinario, opponendosi ad una siffatta conclusione sia le esigenze di concentrazione ed accelerazione processuale insite nella disciplina introdotta in tema di giustizia amministrativa, sia il principio di ragionevole durata del processo63. Parimenti, qualora la lesione del diritto del lavoratore abbia origine da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro (es. dequalificazione, comportamenti denunciati come mobbing), si deve fare riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso e, quindi, al momento della cessazione della permanenza, con la conseguenza che va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario allorch tale cessazione sia successiva al 30 giugno 199864. Ci si posti la questione se il divieto di frazionamento riguardi anche i crediti che maturano in relazione a rapporti di durata, trattandosi di crediti sequenziali. Ma la lettura delle pronunce in cui la corte ha fatto riferimento alla contestualit e alla sequenzialit, a ben vedere, ridimensiona il problema, giacch le uniche due sentenze che si riferiscono al dato temporale, riguardano il momento in cui stata fatta la domanda, non il momento della maturazione del credito (in un caso65, si parla, peraltro senza aggancio alla fattispecie, di frazionamento giudiziale, contestuale o sequenziale, nellaltro66 di plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo). E da ritenere, dunque, che nel caso di maturazione del credito nel tempo, sia esso o meno un rapporto di durata (ad es., forniture in tempi diversi rappresentate da varie fatture, rate di condominio o canoni di locazione) siano ammissibili domande frazionate nel tempo, purch ciascuna di esse raccolga tutti i crediti fino a quel momento maturati. In tema di legge Pinto, non si negato al medesimo ricorrente l'ulteriore indennizzo relativo ad un nuovo periodo di durata interamente eccedente la durata ragionevole gi individuata dal primo provvedimento67. Nel caso di frazionamento soggettivo, ravvisabile ove pi soggetti, che dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l'oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, contrastando con l'inderogabile dovere di solidariet, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall'aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all'allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti. Tale
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Cass. 9.3.2009, n. 5625, rv. 607088 Cass. 23.4.2009, n. 9658, rv. 607620. Cass. 15.11.2007, n. 23726, cit. Cass. 11.6.2008, n. 15476, cit. Cass. 21.12.2011, n. 27935, rv. 620929 17

abuso non sanzionabile con l'inammissibilit dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato ma le modalit della sua utilizzazione: simpone per quanto possibile l'eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, e quindi la valutazione dell'onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine68. Si ritenuto costituire violazione del dovere di lealt e probit delle parti cos come disciplinato dall'art. 88 c.p.c. la condotta processuale di una parte caratterizzata dalla ripetuta contestazione della giurisdizione del giudice adito in simmetrica opposizione alle scelte di controparte, unita alla richiesta, accolta, di sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c., trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 111 Cost. Da ci si inferita l'applicazione dell'art. 92, primo comma, ultima parte c.p.c., secondo il quale, il giudice, a prescindere dalla soccombenza pu condannare una parte al rimborso delle spese anche non ripetibili che, in violazione dell'art. 88 c.p.c., ha causato all'altra parte69. In tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, si argomentata linammissibilit della mutatio in appello da domanda di risoluzione del contratto e risarcimento del danno a domanda di recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), anche al fine di reprimere situazioni di abuso, rendendo il contraente non inadempiente doverosamente responsabile delle scelte operate, impedendogli di sottrarsi ai risultati che ne conseguono, quando gli stessi non siano corrispondenti alle aspettative che ne hanno dettato la linea difensiva, posto che la modifica potrebbe risultare callidamente e surrettiziamente funzionale a riattivare il meccanismo legale di cui all'art. 1385, secondo comma, c.c., una volta che la liquidazione del danno in primo grado si sia dimostrata poco soddisfacente70. 8. Applicazioni giurisprudenziali del principio di ragionevole durata. Negli ultimi anni la giurisprudenza ha adottato la ragionevole durata come canone interpretativo degli istituti processuali. Dallart. 111, secondo comma, Cost, in base al quale la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo, deriva una regola per linterpretazione delle norme di rito finalizzata alla celerit del giudizio71. La costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo impone allinterprete una nuova sensibilit ed un nuovo approccio interpretativo per cui ogni soluzione che adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento
Cass. 3.5.2010, n. 10634, rv. 613006; Cass. 5.5.2011, n. 9962, rv. 616894. Cass. 20.8.2010, n. 18810, rv. 614316. 70 Cass. 14.1.2009, n. 553, in Foro it., 2010, I, 1264; Cass. 6.3.2012, n. 3474. 71 Cass. 7.1.2009, n. 55, rv. 606310: la Corte di cassazione, in luogo di cassare la sentenza impugnata con il rinvio della causa ad un nuovo giudice di appello, pu decidere nel merito la controversia, con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. 18
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del processo, deve essere verificata non solo sul piano tradizionale della sua coerenza logico-concettuale ma anche, e soprattutto, per il suo impatto operativo sulla realizzazione del detto oggetto costituzionale72. Ispirandosi, in modo pi o meno esplicito, al principio costituzionalizaato della ragionevole durata, la Corte di cassazione ha apportato soluzioni davvero innovative nellapplicazione di vari istituti processuali. Si possono riportare alcuni esempi, senza alcuna pretesa di completezza : - il provvedimento del giudice di fissazione di una nuova udienza per consentire la citazione del terzo nel processo chiesta tempestivamente dal convenuto ai sensi dellart. 269 c.p.c., al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario, discrezionale, potendo il giudice rifiutare di fissare una nuova prima udienza per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo: il principio della ragionevole durata del processo rende irrilevante la violazione di legge compiuta dal giudice di primo grado che non ha consentito la chiamata in causa da parte del convenuto73; - in nome dei principi costituzionali stabiliti dal nuovo testo dell'articolo 111 Cost., che ai fini del giusto processo di durata ragionevole escludono la legittimit di soluzioni interpretative che comportino il ritardo nella definizione della controversia, si giustificata la decorrenza del termine breve per il ricorso in cassazione a decorrere dalla notifica di un primo ricorso inammissibile o improcedibile74; - la necessit di escludere soluzioni interpretative che comportino un sacrificio del principio di concentrazione delle tutele, che aspetto centrale della ragionevole durata del processo ha determinato una attrazione, in capo al Tribunale per i minorenni come giudice specializzato, della competenza a provvedere, altres, sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al mantenimento del figlio75; - la lettura costituzionalmente orientata (art. 24, 111 e 113 Cost.) della disciplina processuale, ordinaria e amministrativa, che tenga conto delle argomentazioni emergenti dalle intervenute modifiche legislative e delle prospettazioni in parte nuove svolte di recente dalla dottrina sul tema, ha indotto ad affermare che stato dato ingresso nellordinamento processuale al principio della translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, in caso di pronuncia sulla giurisdizione76; - nonostante la lettera dellart. 37 (alla cui stregua il difetto di giurisdizione del giudice ordinario rispetto a un giudice speciale rilevato, anche dufficio, in qualunque stato e grado del processo), in forza del principio della ragionevole durata del processo deve ritenersi che, in assenza di rilievo o eccezione della questione di giurisdizione nel corso del giudizio di primo grado, il giudice dappello, in difetto di
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Cos, nella motivazione, Cass. 30.7.2008, n. 20604, in Foro it., 2009, I, 1130. Cass. 23.2.2010, n. 4309, in Foro it., 2010, I, 1775. Cass. 23.7.2007, n. 16207, rv. 599892. Cass. 3.4.2007, n. 8362, rv. 595912. Cass. 22.2.2007, n. 4109, in Foro it., 2007, I, 1009. 19

specifico motivo di impugnazione in tal senso, non possa rilevare dufficio la questione, essendosi su di essa formato giudicato implicito (questa interpretazione stata oggi codificata, riguardo al solo processo amministrativo, dallart. 9 nuovo cod. proc. amm.)77; - nella vicenda di una domanda davanti al giudice di pace per la corresponsione da parte di un comune del c.d. reddito di cittadinanza, cui seguita prima la dichiarazione di incompetenza per materia da parte del giudice di pace in quanto a suo avviso si trattava di controversia assistenziale ex art. 442 c.p.c. devoluta alla competenza del tribunale quale giudice del lavoro, e poi, in sede di appello, lesclusione del carattere assistenziale della causa, e per altro verso la pronuncia sul merito del tribunale giudice dappello, la Cassazione, pur affermando il carattere assistenziale della causa, ha rigettato il ricorso senza esaminare la questione di competenza e ci in base al solo richiamo al principio della ragionevole durata del processo (e, in prospettiva, in base al richiamo del nuovo art. 360-bis, n. 2, c.p.c.)78; - la notificazione dellatto dimpugnazione eseguita presso il procuratore costituito per pi parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), valida ed efficace sia nel processo ordinario che in quello tributario, in virt della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo79; - rilevatasi dufficio la violazione della regola del litisconsorzio necessario, non si ritenuto di cassare le sentenze impugnate e rinviare le cause al giudice di primo grado ai sensi dellart. 383, terzo comma, c.p.c., non considerando rilevante la violazione della regola del litisconsorzio necessario in base al principio della ragionevole durata del processo, quando il ritorno al primo giudice comporterebbe dispendio di energie processuali non suscettibili di garantire meglio le esigenze della difesa e partecipazione della parte al processo80, cos anche allorch si sia verificata l'omessa pronuncia sull'eccezione di inammissibilit dell'appello, si omessa la cassazione con rinvio della sentenza impugnata ed esaminato il merito del ricorso, apparendo la suddetta eccezione infondata, con inutilit del ritorno della causa in fase di merito81; - nel caso in cui il ricorso per cassazione sia valutato inammissibile in mancanza dellesposizione sommaria dei fatti, della specificit dei motivi e del rispetto del principio dellautosufficienza, si ritenuto superflua la concessione di un termine per la notifica, omessa, del ricorso per cassazione alla parte totalmente vittoriosa in appello, aggiungendo che la concessione del termine richiesto avrebbe significato avallare un comportamento contrario al principio di lealt e probit processuale (art.

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Cass. 9.10.2008, n. 24883, in Foro it., 2009, I, 806. Cass. 9.8.2010, n. 18480, rv. 614384. Cass. 15.12.2008, n. 29290, in Foro it., 2009, I, 3104. Cass. 18.2.2010, n. 3830, in Foro it., 2010, I, 1775. Cass. 11.4.2012, n. 5729, rv. 622281. 20

88 c.p.c.), atteso che gli istanti erano gi in precedenza consapevoli della necessit della stessa82. 9. Un freno alle suggestioni della ragionevole durata. Le reazioni della dottrina al tentativo, peraltro definito coraggioso83, di applicare il principio costituzionale della ragionevole durata del processo come matrice di nuove regole processuali che innovano orientamenti giurisprudenziali consolidati se del caso superando interpretazioni basate sulla lettera della legge, sono state criticamente unanimi. indiscutibile che (pur affermando lart. 111, secondo comma, Cost. che la legge assicura la ragionevole durata del processo), alla presenza di pi interpretazioni consentite dalla lettera della disposizione legislativa (interpretata ai sensi dellart. 12 preleggi), il principio della ragionevole durata del processo possa (o addirittura debba) concorrere a scegliere linterpretazione (la norma) pi coerente con le esigenze di economia processuale (del sistema giustizia civile) di cui espressione il principio della ragionevole durata. Il ricorso a tale principio non invece consentito quando la lettera della disposizione legislativa esclude una simile interpretazione84. In altri termini si tratta di una collisione tra un principio costituzionale concretizzato in via interpretativa dal giudice comune e unidea del legislatore ispiratrice di una regola legislativa di segno diverso. Una cosa superare, in via di interpretazione conforme a Costituzione, il testo di una disposizione legislativa obsoleta che si regga esclusivamente su s stessa, o che entri in conflitto con unaltra regola legislativa espressiva del principio costituzionale. Altra cosa superare, sulla base di una concretizzazione interpretativa di un principio costituzionale, una disposizione che, come ad esempio lart. 37 c.p.c., espressione fedele e coerente di una mens legis, di un giudizio di valore del legislatore di segno diverso. Per quanto obsoleti, i giudizi di valore legislativi possono essere disattesi nel nostro sistema solo dallo stesso legislatore o dalla Corte costituzionale85. Si osservato che il divieto di domande giudiziali frazionate nulla ha a che vedere con il principio di ragionevole durata, in quanto il ritardo che il frazionamento della domanda produce non riguarderebbe il singolo processo, ma lorganizzazione complessiva della giustizia e i suoi costi, che sarebbero aggravati e appesantiti dalla pluralit dei giudizi, laddove la controversia avrebbe potuto risolversi con ununica sentenza: problema di cui non dovrebbe farsi carico il giudice, cui la legge non
Cass. 3.11.2008, n. 26373, in Giur. it., 2009, 668; analogamente Cass. 22.3.2010, n. 6826, rv. 612077 e Cass. 18.1.2012, n. 690, rv. 620539, per la mancanza del quesito di diritto, che rende superflua lintegrazione del contraddittorio. 83 R. CAPONI, Ragionevole durata del processo e obsolescenza di regole legislative, in Foro it., 2009, I, 3104. 84 A. PROTO PISANI, Tre note sulla recente giurisprudenza delle sezioni unite sul processo civile, in Foro it., 2011, V, 80. 85 R. CAPONI, Ragionevole durata, cit., 3196. 21
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riconoscerebbe poteri propulsivi, dietro ai quali possono annidarsi margini di discrezionalit86. La valutazione complessiva delle esigenze di celerit ed efficienza del sistema giustizia, non limitate alleconomia processuale interna del singolo processo, sono del resto presenti in alcune esplicite ricostruzioni motivazionali: a proposito delle necessit di deflazione del ricorso per cassazione, la Suprema Corte ha riconosciuto che il filtro al giudizio di legittimit, cos costruito dalla legge 18.6.2009, n. 69, non diversamente dal filtro a quesito, introdotto dal d.lgs. 12.2.2006 n. 40 ed ora abrogato, sono il risultato della convinzione di dover attuare, in nome del principio di effettivit della tutela giurisdizionale, un adeguato bilanciamento tra diritto delle parti al ricorso per cassazione per violazione di legge, affermato dallart. 111 Cost., e concreta possibilit di esercizio della funzione di giudice di legittimit, garanzia a sua volta del principio di eguaglianza del cittadino di fronte alla legge (art. 3 Cost.). Adeguato bilanciamento conseguibile solo con un impiego economico della risorsa di questa articolazione della giurisdizione, che per ragioni intrinseche alla funzione richiede dessere esercitata da un numero di giudici tale da consentire e non impedire la formazione di indirizzi interpretativi dotati, oltre che di persuasivit, di tendenziale stabilit. Adeguato bilanciamento che impone il ricorso a tecniche di esame, di decisione e di motivazione proporzionate alla novit e difficolt delle questioni di diritto prospettate dai litiganti87. Daltro canto, ribadito dalle Sezioni unite che che il significato univoco della disposizione non pu essere obliterato neppure in ossequio al principio della garanzia della ragionevole durata dei giudizi, affermato con il nuovo art. 111 Cost., principio che certamente costituisce uno dei cardini interpretativi delle norme processuali ma che non autorizza linterprete a ignorare la voluntas legis88. Alla base del progetto di riforma silenziosa del diritto processuale civile ad opera della Corte di cassazione, vi sarebbe dunque non solo la preoccupazione della gestione dei singoli processi, ma anche dellandamento complessivo del fenomeno processuale, per cui il problema del singolo processo va inserito in una valutazione complessiva e globale. Non per riconoscibile un principio costituzionale che assegni al giudice compiti propulsivi, dietro ai quali non possono non annidarsi margini di discrezionalit, nellobiettivo di combattere la proliferazione oggettivamente non necessaria dei procedimenti, che incide negativamente sullorganizzazione giudiziaria. Secondo questa opinione, pi corretto ragionare in termini di abuso degli strumenti processuali, che va sicuramente represso, senza indugiare su pretenziosi programmi di politica giudiziaria che sono preclusi allordine giudiziario89.
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G. VERDE, Il processo sotto lincubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc., 2011, Cass. 6.9.2010, n. 19051, in Foro it., 2011, I, 117. Cass. 6.9.2010, n. 19047, in Foro it., 2011, I, 120. G. VERDE, Il processo, cit., 515. 22

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514-5.

La revisione critica della dottrina riguardo ai tentativi della Suprema Corte di rivisitare gli istituti processuali alla luce del principio di ragionevole durata, ha fatto richiamare la contrapposizione tra norme costituzionali programmatiche e precettive, sembrando che la ragionevole durata del processo non possa che considerarsi quale norma programmatica, ovvero quale norma costituzionale che impone al legislatore di rendere leggi volte ad assicurare che la durata del processo non ecceda un tempo ragionevole. Il che impedisce al giudice, a prescindere dalla legge processuale, o in contrasto con la legge processuale, di determinare di volta in volta, e caso per caso, le regole del processo, e/o di leggere e/o interpretare le norme in modo difforme dal loro tenore letterale. Se il precetto della norma chiaro, il giudice non pu stravolgerlo in ossequio ad un principio costituzionale, ma solo, se crede, rimettere la questione alla Corte costituzionale, poich linterpretazione della legge non pu spingersi fino allapplicazione della stessa in aperto contrasto al suo tenore letterale, se si vuole anche in violazione dello stesso art. 12 preleggi. In questi termini, il principio di ragionevole durata del processo non costituisce pi solo per il cittadino la perdita della pre-conoscenza delle regole processuali, ma anche per il giudice lacquisizione di un potere assoluto di determinazione delle modalit di svolgimento del rito, in deroga ad ogni criterio di legalit90. Il pericolo di unevoluzione del sistema basato sulla discrezionalit dei giudici (della Suprema Corte), che le regole processuali finiscano per ingessarsi sugli atteggiamenti autoritari della giurisprudenza91. A fronte del potere di libera interpretazione delle norme processuali, che la Cassazione va applicando in contrasto con il loro tenore letterale, vi il disposto dellart. 360-bis, n. 2, c.p.c., introdotto dallart. 47 della legge n. 69/09, per il quale il ricorso in Cassazione inammissibile quando la violazione della norma processuale non ha compromesso i princip regolatori del giusto processo: ne scaturirebbe un sistema nel quale il giudice, in nome della ragionevole durata del processo, pu liberamente reinterpretare i precetti processuali contenuti nel codice di rito o in altre leggi speciali, mentre la parte non pu denunciare in Cassazione alcuna violazione della legge processuale se questa non attiene al giusto processo, ovvero ad un termine elastico che, di nuovo, rimesso alla interpretazione del giudice92. 10. Labuso processuale e il regime delle spese. Si gi osservato che lintento di scoraggiare manovre speculative nel processo divenuto obiettivo del legislatore nel pi ampio disegno di abbreviare la durata delle cause civili. Inizialmente, laccertamento della lite temeraria, o, pi in generale, dellabuso del processo, non ha perseguito finalit di sanzione diretta delleventuale illecito, ma,
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R. CAPONI, D. DALFINO, A. PROTO PISANI, G. SCARSELLI, In difesa delle norme processuali, in Foro it., 2010, I, 1797. 91 G. VERDE, Il processo, cit., 517. 92 R. CAPONI, D. DALFINO, A. PROTO PISANI, G. SCARSELLI, In difesa, cit., 1796. 23

nellideologia della legge Pinto, ha rivestito rilevanza puramente incidentale e strumentale, nella determinazione dellentit concreta di ciascuna violazione93. Lidea di fondo quella di guardare al processo in cui si abusato, come evento storico gi realizzato, e non come complessa attivit in progress in cui si debbano approntare strumenti di intervento in itinere per non permetterne labuso94. Il fatto che ad oggi la risposta legislativa, a sprazzi, per via di successivi aggiustamenti, si estrinsecata in riforme (se cos si possono chiamare) a costo zero. Non occorrono particolari riflessioni per convincersi che qualsiasi forma che riguardi le norme processuali e che non sia preceduta da una radicale modifica della nostra organizzazione sortir effetti assai scarsi95. Sfugge alleconomia del presente lavoro una meditata analisi delle cause della crisi della giustizia civile, n tanto meno possibile fare un prontuario dei rimedi che pi realisticamente occorrerebbero per una riforma strutturale96. Lunico settore dintervento al quale pu ricondursi una strategia di repressione (e dissuasione) dellabuso processuale, la regolamentazione delle spese di causa. Che per interviene sempre a posteriori. Il tentativo di prevenire linsorgere delle liti, e di deflazionare il contenzioso, viene operato, fin dagli anni 70, con lesperimento di procedure preliminari di conciliazione: da ultimo, con il procedimento di mediazione, che reso obbligatorio per particolari tipi di controversie, enumerate dallart. 5 d.lgs. 4.3.2010, n. 28. Si tratta di misure che perseguono lobiettivo della ragionevole durata, sempre in modo indiretto, cercando di raffreddare laumento delle sopravvenienze del contenzioso. Oltre alla prevista improcedibilit della causa per il mancato esperimento della procedura di mediazione, il contegno delle parti in relazione alle procedura conciliative rilevante sotto il profilo del regime delle spese. Con lart. 91, primo comma, seconda parte, c.p.c., che subito dopo laffermazione del criterio della soccombenza, ne introduce un correttivo, il giudice, salvo compensazione, accolla le spese successive alla proposta conciliativa (evidentemente formulata nel corso della causa) alla parte che abbia ingiustificatamente rifiutato tale proposta, se la domanda sia stata accolta in misura non superiore alla stessa. Lart. 92 c.p.c. prevede la facolt del giudice di escludere la ripetizione delle spese, a favore della parte vincitrice, ritenute eccessive o superflue, e inoltre, indipendentemente dalla soccombenza, pu condannare una parte al rimborso delle spese cagionate alla controparte per trasgressione al dovere di lealt e correttezza, di cui allart. 88 c.p.c.

L.P. COMOGLIO, Abuso, cit., 326. A. DONDI, Spunti, cit., 65. 95 G. VERDE, Il processo, cit., 509. 96 Una sintesi degli interventi strutturali urgenti formulata da A. PROTO PISANI, Giustizia civile: davvero impossibile la soluzione della crisi?, in Foro it., 2011, V, 149-150. 24
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La norma che in astratto poteva svolgere il ruolo pi incisivo lart. 96 c.p.c., che, intitolato Responsabilit aggravata, integra una species di responsabilit civile, dalla marcata impronta soggettivistica, costituita dalla temerariet, la quale rivela il suo proprium come abuso del diritto di azione (e di difesa, dato che riguarda anche la resistenza in giudizio con malafede o colpa grave). Lesercizio di un diritto fondamentale, quello di azione e difesa in giudizio, garantito dallart. 24 Cost., pu integrare un illecito, ogni volta che uniniziativa giudiziaria non corrisponda ad un concreto interesse della parte, che, eventualmente protetto sul piano sostanziale dallordinamento, venga utilizzato dalla stessa al solo fine di arrecare danno o molestia ad altri. Il secondo comma sanziona le ipotesi particolari dellesecuzione di provvedimento cautelare, della trascrizione di domanda giudiziale, delliscrizione di ipoteca giudiziale, dellinizio o compimento dellesecuzione forzata, ogni volta che il giudice riconosce linesistenza del diritto in base al quale tali attivit sono state avventatamente compiute. Il maggior rigore nella configurazione della responsabilit aggravata prevista nel secondo comma (anche a titolo di colpa lieve) si giustifica alla luce della gravit degli effetti ricollegabili ad iniziative che incidono direttamente sul patrimonio del debitore; o mediante escussione, o mediante vincoli che ne pregiudicano fortemente la libera circolazione. Gli elementi che legittimano la condanna ex art. 96, primo comma, c.p.c., sono costituiti dalla soccombenza del responsabile (che non pu essere parziale), dalla male fede o colpa grave nellintraprendere una lite o nel resistere in giudizio (per la verificazione dellipotesi di cui al secondo comma sufficiente la colpa lieve), dalla domanda di risarcimento della parte che risulta vincitrice (lintervento officioso limitato alla liquidazione del danno), dal nesso causale tra lite temeraria e danno. E appena il caso di notare che il problema dellindividuazione dei casi di responsabilit aggravata sempre stato distinto da quello della lealt e probit nel compimento degli atti processuali. Le stesse pronunce che hanno sanzionato gli intenti dilatori perseguiti con la proposizione del regolamento di giurisdizione, allorch, prima della novella del 90, esso comportava la sospensione obbligatoria del processo, hanno qualificato il fatto come artatamente prodotto per recare danno alla controparte, e quindi ascrivibile alla responsabilit della parte in senso sostanziale. Secondariamente, le stesse pronunce, hanno riscontrato linosservanza del difensore di detta parte ai doveri di lealt e probit posti dallart. 88, primo comma, c.p.c. (con conseguente denuncia allautorit che esercita il potere disciplinare, a norma del secondo comma dellart. 88)97, non potendosi comunque sottacere che la lite temeraria e le ipotesi di responsabilit aggravata, rappresentando sempre comportamenti deviati, fanno ritenere tali condotte non conformi al precetto della lealt processuale98.
Cass. 6.10.1988, n. 5398, rv. 460029; Cass. 6.4.1987, n. 3306, in Foro it., 1987, I, 2071; Cass. 3.11.1986, n. 6420, in Foro it., 1987, I, 57. 98 G. SCARSELLI, Lealt, cit., 136-7. 25
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La necessit che la parte deduca e dimostri nel comportamento dellavversario la ricorrenza dellelemento soggettivo, nel senso della consapevolezza, o dellignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dellinfondatezza delle tesi sostenute99, e insieme le difficolt connesse alla prova del danno, dovendo la parte farsi carico di provare, e non semplicemente allegare, sia lan che il quantum debeatur (o almeno la concreta desumibilit di detti elementi dagli atti di causa), hanno reso assai episodica lapplicazione della norma100. Negli ultimi tempi la giurisprudenza ha reso pi agevole lonus probandi, ammettendo che linteressato possa dedurre, a sostegno della sua domanda, condotte processuali dilatorie o defatigatorie della controparte, cos desumendosi il danno subto da nozioni di comune esperienza anche alla stregua del principio della ragionevole durata del processo e della legge Pinto, secondo cui, nella normalit dei casi, ingiustificate condotte processuali, oltre a danni patrimoniali (quali quelli di essere costretti a contrastare una ingiustificata iniziativa dellavversario sovente in una sede diversa da quella voluta dal legislatore e per di pi non compensata sul piano strettamente economico dal rimborso delle spese ed onorari liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente), causano ex se anche danni di natura psicologica, che per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa101. Le pronunce citate stabiliscono dunque un collegamento con la tematica del processo lungo, ma sotto un profilo del recupero degli elementi indizianti ai fini della liquidazione del danno: labuso perpetrato nella proposizione della domanda palesemente infondata, o nella resistenza pretestuosa in giudizio, si caratterizza, con le conseguenze risarcitorie della responsabilit aggravata, per il danno alla controparte processuale derivantegli dallaver dovuto subire una causa, ma senza specifica considerazione della durata. 11. Labuso processuale come temerariet attenuata. Lart. 45, comma 12, della legge n. 69/09, ha aggiunto un terzo comma dellart. 96 c.p.c. I presupposti di applicabilit della norma, che, nella sua non impeccabile
Da ultimo, Cass. 30.6.2010, n. 15629, rv. 613721; Cass. 7.5.2007, n. 10299, rv. 597087. Cass. 21.7.2006, n. 16751, in Foro it. 2007, I, 460; Cass. 9.9.2004, n. 18169 rv. 576913; Cass. 6 .2.1998, n. 1200, rv. 512281. 101 Cass. 30.4.2010, n.10606 rv. 612639; Cass. 23.1.2009, n. 1793 rv. 606252; Cass. 27.11.2007, n. 24645, in Giust. civ., 2008, I, 906: secondo Cass. 12.10.2011, n.20995, in Nuova giur. civ., 2012, 326, sotto il profilo del danno patrimoniale, in assenza di dimostrazione di specifici e concreti pregiudizi derivati dallo svolgimento della lite, legittima una liquidazione equitativa che abbia riguardo allo scarto tra le spese determinate dal giudice secondo le tariffe e quanto dovuto dal cliente in base al rapporto di mandato professionale; mentre, sotto il profilo del danno non patrimoniale, la liquidazione equitativa deve avere riguardo alla lesione dell'equilibrio psico-fisico che, secondo nozioni di comune esperienza (anche in forza del principio della ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111 Cost. ed alla legge 24 marzo 2001, n. 89), si verifichi a causa di ingiustificate condotte processuali. 26
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formulazione102, prevede la possibilit di condanna, irrogata dal giudice anche dufficio, della parte soccombente in causa, al pagamento di un somma equitativamente determinata, e inoltre, la qualificazione della nuova misura, e le modalit di irrogazione della stessa, sono al centro di un acceso dibattito, e di applicazioni giurisprudenziali contrastanti. E indubbio che lintervento legislativo miri a rivitalizzare un istituto scarsamente applicato in ragione del difficile assolvimento dellonere probatorio. E anche certo che se ne voluto fare un serio deterrente per porre rimedio alleccesso di litigiosit che affligge lordinamento giuridico italiano: si pu dunque dire, in linea generale, che esso mira a reprimere labuso dilatorio, mentre la lite temeraria concreta un abuso sostanziale. E rilevatore il contesto delle modifiche apportate al codice di rito dalla riforma del 2009, tutte finalizzate a favorire laccelerazione dei tempi processuali, nel quadro di misure pi generali per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit. La nuova norma muta completamente lo scenario della responsabilit processuale aggravata, anche se le opzioni interpretative sul rapporto che sinstaura con le fattispecie tradizionali di cui al primo comma, ancora discusso. Non chiaro se la finalit indubbiamente deflativa che insita nel terzo comma sia collegata, quanto ai presupposti, alla responsabilit aggravata, ovvero se il giudice possa emettere una condanna supplementare ogni volta che pronuncia sulle spese indipendentemente da unindagine sulle intenzioni che hanno fatto da sfondo alliniziativa litigiosa della parte. Sembra ragionevole proporre una lettura della norma atta a configurare un elemento sanzionabile recuperando valore precettivo al fondamentale dovere di osservare un comportamento processuale ispirato ai canoni della correttezza, imposto dallart. 88 c.p.c. che prescrive alle parti e ai loro difensori di comportarsi in giudizio con lealt e probit, anche nellottica della contenimento di iniziative defatigatorie: il criterioguida dovrebbe essere la condotta processuale del soccombente in ordine alla sua concreta incidenza sullobiettivo del giusto processo di ragionevole durata103, dandosi comunque un significato alla collocazione della nuova norma nel contesto dellart. 96, che esige anche requisiti soggettivi e quindi comportamenti imputabili, nel presupposto della mala fede o colpa grave, o almeno sotto il profilo della colpa lieve104. La contemporanea abrogazione dellart. 385, quarto comma, specificamente introdotto per il giudizio di cassazione, che richiedeva la colpa grave, potrebbe significare che la responsabilit si configura anche per colpa lieve, per violazione dei

S. BENINI, Abuso del processo e temerariet attenuata, in AA.VV., Libro dellanno del diritto 2012-Enciclopedia italiana, Torino, 635. 103 ACIERNO, M., e GRAZIOSI, C., La riforma del 2009 nel primo grado di cognizione: qualche ritocco o un piccolo sisma?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 167; LUPANO, M., La nuova responsabilit aggravata, in Giur. it., 2011, 236. 104 GIORDANO, R., Brevi note sulla nuova responsabilit processuale c.d. aggravata, in Giur. merito, 2010, 437. 27

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doveri di correttezza di cui allart. 88 c.p.c. Ci ha indotto la dottrina a classificare la fattispecie di riferimento del terzo comma, come temerariet attenuata105. La misura, intesa in senso sanzionatorio, presenterebbe assonanze con i punitive damages dellesperienza anglosassone, che hanno funzione deterrente e sanzionatoria106, il cui innesto, tuttavia, nel tessuto ordinamentale italiano, tuttaltro che agevole. A tale concezione sembra ispirarsi la pi parte delle pronunce di merito107, volte a ravvisare nella disposizione in oggetto una sanzione civile a carico del soccombente, mirata a evitare linstaurazione di giudizi senza ragione, opposizioni meramente dilatorie, condotte processuali unicamente volte a ostacolare la realizzazione del diritto mediante labuso di una risorsa rara quale il processo108, a scoraggiare comportamenti strumentali alla negazione del diritto109, a deflazionare il contenzioso fine a s stesso, che, aggravando il ruolo del magistrato e concorrendo a rallentare i tempi di definizione dei processi, crea nocumento alle altre cause in trattazione mosse da ragioni serie o urgenti nonch agli interessi pubblici primari dello Stato110. 12. L'evoluzione legislativa recente. La riforma del 2009 costituisce il primo nucleo di interventi di una qualche organicit, ai fini dellabbreviazione dei tempi processuali. Essa per, nellottica specifica di prevenzione e repressione dellabuso del processo, appare timida111. I possibili riferimenti ad una coerente ideologia dellabuso del processo appaiono ancora scarsi, solo allusivi, variamente collocati, e in ogni caso indicativi piuttosto di una tendenza a conformare il processo a principi di efficienza e di economia, che non a specifici propositi di reazione efficace al fenomeno dellabuso del processo112. La prima misura che il legislatore predispone contro luso dilatorio degli strumenti processuali, con lart. 96, terzo comma, c.p.c., ancora prudentemente inquadrata nello schema (pi topografico che ideologico) della responsabilit aggravata: la pregiudiziale della soccombenza raffredda molto una sanzione generale contro gli abusi dilatori perch conferma in qualche modo unidea di fondo che chi ha ragione pu comunque abusare degli strumenti processuali. Il che ribadito dalla Corte
Lespressione, che compare in MANDRIOLI C. e CARRATTA A., Come cambia il processo civile, Torino, 2009, 31, ripresa da FRADEANI, F., Note sulla lite temeraria attenuata ex art. 96, comma 3, c.p.c., in Giur. it, 2011, 144, e da S. BENINI, Abuso, cit., 636. 106 F. FRADEANI, Note, cit., in Giur. it, 2011, 147. 107 Se ne pu trovare un repertorio, con commento di G.L. BARRECA, La responsabilit processuale aggravata: presupposti della nuova disciplina e criteri di determinazione della somma oggetto di condanna, in Giur. merito, 2011, 2704. 108 Trib. Roma 11 gennaio 2010, in Giur. merito, 2010, 2175; Trib. Prato 6 novembre 2009, in Foro it., 2010, I, 2229. 109 Trib. Milano 20 agosto 2009, in Foro it., 2010, I, 2229. 110 Trib. Varese-Luino 23 gennaio 2010, in Foro it., 2010, I, 2229. 111 S. BENINI, Abuso, cit., 642. 112 A. DONDI, Abuso, cit., 8. 28
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costituzionale, che rispondendo al dubbio di legittimit costituzionale dell'art. 96, primo comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede una misura risarcitoria a favore dello Stato in ipotesi di lite temeraria, indipendentemente dalla soccombenza, fa intendere che le possibili soluzioni sono plurime, nessuna delle quali costituzionalmente vincolata, e quindi rimesse alla discrezionalit del legislatore, apparendo peraltro incompatibile con la conformazione della disciplina sulla responsabilit aggravata, a tutt'oggi ancorata al rapporto dialettico tra le parti, l'introduzione di una sorte di sanzione amministrativa per il pregiudizio recato ad un interesse pubblico, quello alla celerit del processo e alla sostenibilit dei suoi costi113. La legislazione successiva alla riforma del 2009, con interventi ancora frammentari, persegue tuttavia con maggior decisione lobiettivo di attenuare il fenomeno infausto della durata delle cause civili in Italia, intervenendo sullorganizzazione, interna ed esterna del processo, e anche con lintroduzione di sanzioni pecuniarie, limitate al processo dappello. A meno di unimprobabile intervento migliorativo sullart. 96, levoluzione legislativa pu indurre allinterpretazione di questa norma in senso decisamente sanzionatorio, dato che labuso del processo, come ha riconosciuto la Cassazione penale, con riferimento allazione civile strumentale nei confronti del c.t.u. per determinarne lincompatibilit, pu trovare risposta efficace dallapplicazione attenta e coerente delle norme che il legislatore ha posto a contrasto dellazione strumentale e temeraria, in particolare lapplicazione dellultimo comma dellart. 96 c.p.c. costituisce un ulteriore e specifico rimedio, la cui attivazione dipende solo dallattenzione, comprensione e diligenza del giudice114. La Suprema corte ha avvalorato l'interpretazione del terzo comma in chiave sanzionatoria, nel momento in cui ha ribadito il carattere risarcitorio dei primi due commi, con conseguenti oneri probatori, a differenza dallart. 45, comma 12, della legge 69/09, il quale ha aggiunto un terzo comma allart. 96 c.p.c., introducendo una vera e propria pena pecuniaria, indipendente sia dalla domanda di parte, sia dalla prova del danno causalmente derivato alla condotta processuale dellavversario115. La Corte costituzionale, nell'ordinanza sopra richiamata, ribadisce l'attinenza esclusiva al rapporto tra le parti delle conseguenze da lite temeraria anche nel caso della condanna d'ufficio alla pena pecuniaria116. Si osservato che la violazione dellart. 88 c.p.c. trova nellart. 96 sanzione ulteriore rispetto al 92, primo comma, secondo inciso, e sinserisce nella circolarit degli artt. 91, 92, 96, che sintetizza la figura dellabuso del processo117.
Corte cost. 31.5.2012, n. 138. Cass. pen., sez. VI, 11.2.2011, n. 5300, rv. 249475. 115 Cass. 30.7.2010, n. 17902, in Foro it, 2011, I, 3134. 116 Corte cost. 31.5.2012, n. 138, cit. 117 P. PORRECA, La riforma dellart. 96 c.p.c. e la disciplina delle spese processuali nella l. 69 del 2009, in Giur. merito, 2009, 1842. 29
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Dopo la riforma del 2009, lart. 37 d.l. 6.7.2011, n. 98 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 15.7.2011, n. 111, ha imposto ai capi degli uffici giudiziari la redazione di programmi annuali per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti, nello specifico obiettivo di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso. Lart. 1-ter d.l. 13.8.2011, n. 138, come introdotto dalla legge di conversione 14.9.2011, n. 148, intervenendo sullart. 81-bis disp. att. c.p.c., che era stato introdotto dallart. 52 della legge n. 69/09. precisa (ammesso che ce ne fosse bisogno) che il calendario del processo civile avviene nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo; aggiunge un secondo comma, con previsione della possibile rilevanza disciplinare del mancato rispetto del calendario. Lart. 13 d.lgs. 4.3.2010, n. 28, attuando la delega in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, contenuta nellart. 60 della legge n. 69/09, e riprendendo la metodica dellart. 91, primo comma, c.p.c., rispetto al quale, per, lintento sanzionatorio appare pi deciso, esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta conciliativa avanzata dal mediatore. Il giudice, inoltre, condanna la medesima parte vittoriosa al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonch al versamento allentrata del bilancio dello Stato di unulteriore somma corrispondente al contributo unificato dovuto. Se il provvedimento definitorio non corrisponde alla proposta, pu comunque escludersi la ripetizione delle spese per lindennit corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto allesperto. Ancora in tema di mediazione, lart. 2, comma 35-sexies, d.l. n. 138/11, cit., aggiungendo un periodo allart. 8, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2010, sanziona la parte che, senza giustificato motivo, si rifiuta di partecipare al tentativo di conciliazione. Il giudice potr condannarla al pagamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Come si vede, lintento di rendere stringente il procedimento di mediazione al fine deflativo delle controversie giudiziarie, introducendo, ora in modo certo e coerente, misure sanzionatorie a favore delle casse statali. Lideologia sanzionatoria caratterizza inconfondibilmente lart. 27 della legge 12.11.2011, n. 183 (legge di stabilit), che introduce pene pecuniarie al fine dellaccelerazione del giudizio dappello, punendo listanza di inibitoria inammissibile o manifestamente infondata (art. 283, secondo comma, c.p.c.), anche con specifica previsione nel processo del lavoro (art. 431, settimo comma, c.p.c.). Un cenno va riservato alla problematica della diretta sanzionabilit dellavvocato, anche al di fuori della sfera disciplinare, ove la lite temeraria sia attribuibile alle scelte o alle strategie del difensore. Le sentenze sopra richiamate, relative alla responsabilit aggravata, hanno ritenuto, quale pronuncia accessoria alla condanna ex
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art. 96 c.p.c., di denunciare il comportamento dellavvocato sleale allorgano disciplinare. La sanzione pecuniaria diretta, ad opera del giudice, nei confronti del difensore, estranea alla nostra tradizione giuridica, a differenza di altri ordinamenti, come sopra si rilevato, onde appare improponibile lintroduzione di misure incisive e deterrenti, capaci di dare un contenuto al generico richiamo allart. 88 c.p.c. Non si mancato di teorizzare una responsabilit dell'avvocato per le spese, giustificata alla sola stregua dell'art. 88 c.p.c. (e senza esplorare le potenzialit di un richiamo all'art. 94 c.p.c. a carico di coloro che rappresentano e assistono la parte in giudizio), valorizzando il principio di causalit nella regolamentazione delle spese, con superamento del tradizionale e stereotipato criterio oggettivo della soccombenza, ad affermare un modello unico ed omogeneo di responsabilit processuale, nel quale far rientrare accanto a quella della parte, anche la responsabilit del difensore e di tutti i soggetti che a vario titolo sono chiamati a gestire il processo118. Uno spunto di novit, nella direzione indicata, emerge dal d.m. 20.7.2012, n. 140, che in attuazione del d.l. 24.1.2012, n. 1, conv. in l. 24.3.2012 n. 27, abrogando il sistema ordinistico, detta i nuovi parametri per la determinazione del compenso per le libere prestazioni professionali. Nel caso di responsabilit processuale ai sensi dellart. 96 (o comunque in caso di inammissibilit, improponibilit, improcedibilit della domanda) il compenso dovuto allavvocato del soccombente ridotto, di regola, del 50% rispetto a quello liquidabile in applicazione dei nuovi parametri (art. 10); inoltre, in linea generale, costituisce elemento di valutazione negativa (e dunque induce alla diminuzione dei valori medi previsti per i vari scaglioni di valore delle cause) ladozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli (art. 4, comma 6). 13. Case management e poteri del giudice. Gli interventi frammentari che caratterizzano la reazione legislativa allabuso del processo, che di sistematico hanno una generica ideologia di miglioramento delle condizioni di efficienza e rapidit del processo, sembrano obliterare altre conseguenze dellevento abusivo, legate alle chances di effettiva giustizia sostanziale, e in particolare al veritiero accertamento dei fatti di causa119. Anche lintroduzione, da ultimo, di sanzioni pecuniarie, che pure ha la sembianza ideologica di sanzione dellordinamento a comportamenti illeciti, o almeno non corretti, appare eccezionale, ed dettata dallesigenza di porre rimedio ad una situazione che in quel momento apparsa impellente, limitatamente ad una singola fase del processo. Vengono introdotte misure funzionali al processo dappello, quali la possibile trattazione monocratica e la decisione immediata, nellintento di economizzare le risorse e abbreviare i tempi, e in tale ottica si concepiscono sanzioni pecuniarie per istanze di sospensione inammissibili o infondate.
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F. CORDOPATRI, Un principio in crisi, cit., 282. A. DONDI, Abuso, cit., 10. 31

Il modo di procedere del legislatore settoriale e a sprazzi, nel contesto di misure finanziarie di contenimento della spesa pubblica o di miglioramento della competitivit, quando non con decretazione durgenza, apparentemente senza un disegno dispirazione globale120. La nozione di abuso come fenomeno da sanzionare pone la questione dellattribuzione al giudice di poteri di sanzione e della configurazione del giudice come soggetto tecnico del processo al quale lattivit di reazione allabuso venga seriamente demandata121. Al tramonto dellideologia ottocentesca in cui il giudice era semplice arbitro chiamato ad assicurare la correttezza dello competizione individuale delle parti, simpone una nuova figura di giudice cui va assicurato un ruolo attivo, parallelamente allaffermazione della giurisdizione come potere fondamentale dello Stato, finalizzata allattuazione del diritto sostanziale. Lideologia pubblicistica del processo caratterizza tutti gli ordinamenti di civil law variando per lintensit e lampiezza con cui il giudice pu svolgere la sua funzione di direzione. Nel processo italiano il giudice ha i poteri direttivi del processo, che varie norme gli attribuiscono, in via generale (artt. 175 e 127 c.p.c.) e nelle specifiche attivit (ad es. artt. 183, 187, 188, 202, 245, ecc.). Prevale per una concezione formalistica del procedimento, in funzione della quale si tende a disciplinare in maniera dettagliata tutti i passaggi, riducendo proporzionalmente lambito della possibile discrezionalit del giudice122, che un burocrate funzionario123, assoggettato a regole stringenti funzionali ad assicurarne la terziet. Ad una norma intitolata direzione del procedimento (art. 175 c.p.c.) si tende a riconoscere la funzione di orientamento interpretativo, quando non di simbolo enfatico, non essendo altro, i poteri del giudice, che quelli che le singole specifiche norme gli attribuiscono124. E invalsa in Italia la cultura della diffidenza nei confronti di chi portatore di potere pubblico, cos che lesercizio del potere deve essere necessariamente limitato da un reticolo, spesso asfissiante di disposizioni regolamentari, mentre nei paesi anglosassoni prevale la cultura della necessaria fiducia in chi esercita il potere pubblico, in vista non tanto del rispetto delle regole, quanto della correttezza del risultato125. Ci si occupa delle sequenze processuali con regole formalistiche quasi ossessive, e si lascia in ombra la vera finalit del processo, che quella dellaccertamento della verit dei fatti, cui applicare il diritto. La direzione del
M. TARUFFO, Cultura e processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 74 evidenzia lincapacit di risolvere il problema fondamentale costituito dalla durata eccessiva e intollerabile del processo civile. I rimedi si sono rivelati del tutto inutili perch non hanno chiari gli scopi che il processo civile dovrebbe perseguire. 121 A. DONDI, Abuso, cit., 8; L.P. COMOGLIO, Abuso, cit., 321. 122 M. TARUFFO, Cultura, cit., 75. 123 M. TARUFFO, Cultura, cit., 74. 124 C. MANDRIOLI, Diritto processuale, cit., 66. 125 G. VERDE, Il processo, cit., 506. 32
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processo trova poi un limite nel principio generale dellart. 111 Cost., che fissa una riserva di legge in materia processuale, in modo da far ritenere che solo lelaborazione di regole specifiche pu garantire lattuazione del giusto processo, in primo luogo limparzialit del giudice. Questo spiega la reazione scettica della dottrina al nuovo trend giurisprudenziale, di interpretazioni atte al superamento di regole processuali in nome del principio di ragionevole durata. Anche nei sistemi di common law, tradizionalmente articolati come adversary sistems, in cui il corso delle cause civili era impostato dagli avvocati, con lintervento del giudice, fondamentalmente, solo nella fase del dibattimento (trial), esigenze funzionali, di contenimento dei tempi e delle spese, hanno da tempo affermato lesigenza del case management. La necessit che il percorso processuale sia finalizzato a una decisione, che realizzi la tutela del diritto invocato, impone che al giudice siano dati incisivi poteri per determinare la scansione del processo, e non trovarsi lui stesso trascinato dal processo secondo le esigenze particolari delle parti. Vi anche la necessit di adattare la disciplina procedimentale alle peculiarit del caso concreto, per non comprimere le esigenze di difesa delle parti e consentire il giusto grado di attenzione da parte del servizio giustizia126. Il case management, anche nelladattamento dei paesi di civil law, concepito come sistema per rendere pi snello lincedere del processo, e a tal fine attribuisce al giudice un ruolo attivo, consentendogli un adattamento delliter processuale alle peculiarit del caso singolo, e non stancamente affidandosi al modello precostituito dalle norme processuali. Tale personalizzazione del processo fa costruire un modello incentrato sulla cooperazione costante tra le parti e il giudice, in un trattamento individualizzato del caso singolo allinterno di una rete di regole flessibili che esaltano lo strumento contrattuale127. Il calendario del processo, innovazione della legge n. 69/09 (lart. 52 ha introdotto lart. 81-bis disp. att. c.p.c.), va salutato con soddisfazione, se non altro come prospettiva di certezza nei tempi di definizione di ogni causa. Esso articola un case management allitaliana, giacch ha unicamente il valore di una scansione temporale delle attivit istruttorie (dichiaratamente tenuto conto della natura, dellurgenza e della complessit della causa), senza peraltro scalfire minimamente la rigidit delle regole processuali. La trattazione della causa localizzata nel tempo dalla previsione di termini legali perentori, quindi vi spazio, per una calendarizzazione, solo per il compimento dellattivit istruttoria fino alla decisione della causa. Ladattamento alle possibili esigenze processuali delle controversie fatto in astratto, attraverso la teorizzazione di tre modelli (rito ordinario, rito del lavoro, rito sommario), come unificati dal d.lgs. 1.9.2011, n. 150, la cui scelta, per, non operata dal giudice in rapporto alle esigenze della singola controversia, ma, in alternativa al processo di
M. DE CRISTOFARO, Case management e riforma del processo civile, tra effettivit della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, in Riv. dir. proc., 2010, 283 127 M. DE CRISTOFARO, Case management, cit., 302. 33
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cognizione, dalla natura della controversia (cause in materia di lavoro e di locazione e anche le cause cui il d.lgs. n. 150/11 applica il rito sommario), o dalla scelta dellattore (nella previsione codicistica di cui agli artt. 702-bis e 702-ter, a meno che il giudice non ritenga la necessit di unistruttoria non sommaria). Non si pu sottacere che lintroduzione del processo sommario di cognizione ha aperto la strada verso un utilizzo meno rigido delle scansioni temporali che caratterizzano il processo nel suo divenire e nel suo estrinsecarsi, quale serie concatenata di atti volta al raggiungimento del provvedimento finale. Il giudice si preoccupa del contraddittorio, e per il resto procede nel modo che ritiene pi opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione alloggetto del provvedimento richiesto. La regola resta quella del giudice come neutro spettatore della competizione delle parti di cui deve preoccuparsi di un uso corretto e possibilmente sollecito degli strumenti processuali, ritenendosi da pi parti che le garanzie del contraddittorio, della parit delle parti, della terziet del giudice, ostino a rafforzamento dei poteri del giudice, particolarmente con laccrescimento delle iniziative dufficio, al fine della ricerca della verit. La scelta, per, della parziale deroga al principio dispositivo, rimessa alla parte. In altre ipotesi il processo conosce modelli alternativi, specialmente nelle cause che involgono contenuti socialmente ritenuti meritevoli di trattamento speciale: le controversie in materia di lavoro, di locazione, di matrimonio e famiglia, in cui il giudice chiamato ad assicurare una tutela differenziata a particolari categorie di diritti e interessi128. Nel processo ordinario, la fondamentale impostazione dispositiva preclude al giudice di supplire alle difficolt determinate da manovre abusive nel processo, di soccorrere la parte che risulti da esse danneggiata, attraverso ladozione di iniziative officiose guidate da istanze sostanziali di giustizia. Lordinamento attribuisce alle parti gli oneri e le conseguenti responsabilit per la determinazione delloggetto della decisione e per lallegazione dei fatti rilevanti, per le attivit di acquisizione ed assunzione delle prove: il ruolo attivo del giudice dunque, nella ricerca della verit, puramente supplementare e secondario, limitandosi a casi eccezionali, stabiliti dalla legge, il potere di assumere dufficio alcuni mezzi di prova129, integrando in modo imparziale il contributo offerto dalle parti nella ricerca della verit dei fatti. Resta la discrezionalit del giudice nel prudente apprezzamento delle risultanze probatorie. In tale ottica il comportamento delle parti pu assumere valore di argomento di prova, non solo riguardo alle risposte fornite allinterrogatorio libero
L.P. COMOGLIO, Etica, cit., 188. Si ricordano lart. 117 c.p.c. sullinterrogatorio libero delle parti; gli artt. 118 e 258 sullordine di ispezione; lart. 261 su riproduzioni, copie ed esperimenti; lart. 262 sullaudizione di testi nel corso di ispezioni; lart. 2711 c.c. sullesibizione di libri e scritture contabili; lart. 213 c.p.c. sulla richiesta di informazioni alla p.a.; gli artt. 2736 n. 2 c.c. e gli artt. 240-241 sul deferimento del giuramento suppletorio; lart. 257 sullassunzione dei testi di riferimento e di testi gi ascoltati; lart. 281 sulla riassunzione di mezzi di prova davanti al collegio. 34
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ed al rifiuto a consentire alle ispezioni, ma, in generale, dal loro contegno processuale: in tale quadro ben pu darsi rilevanza allattivit del difensore impostata a fini dilatori, non gi come sanzione ad un comportamento non conforme al dovere di lealt e probit, ma come rilevatore delle ragioni di merito fatte valere in causa (ad es., nella genericit della ricostruzione dei fatti, nella ipertrofia degli scritti difensivi che tradisca povert di argomenti)130. Il case management secondo lordinamento processuale potere organizzativo e direttivo in senso tecnico-processuale, volto ad assicurare la regolarit del contraddittorio e la parit delle parti, nella posizione dimparzialit che solo il rigoroso rispetto delle regole processuali pu assicurare. Linnovazione del calendario del processo, nella gi rilevata ottica acceleratoria e semplificativa della legge n. 69/09, attribuisce al giudice una funziona manageriale minima, come timing dellattivit di istruzione probatoria, priva di una apparato sanzionatorio che garantirebbe effettivit a tal genere di management endoprocessuale131. Per il vero, la seriet del sistema stata affidata alla previsione di sanzioni disciplinari, da ultimo introdotte dalla legge n. 148/11, di conversione del d.l. n. 138/11, cui possono essere assoggettati il giudice, il difensore, il consulente tecnico per il mancato rispetto del calendario. In pi, il mancato rispetto dei termini pu esser considerato ai fini della valutazione di professionalit e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi. E indubbio che al di l delle difficolt applicative delle sanzioni, e della disomogeneit delle normative disciplinari (anche applicative) relative alle categorie dei protagonisti del processo, la norma ha inteso responsabilizzare i soggetti al rispetto dei calendari132. La vera novit del sistema introdotto quella della sanzione a carico del giudice che non rispetti il calendario, anche alla luce della restrizione della possibilit di proroghe (solo per gravi motivi sopravvenuti). La sanzionabilit del comportamento dilatorio del difensore poteva trovare gi un deterrente negli artt. 5-6 del Codice deontologico forense, ricollegabile al dovere di comportarsi in giudizio con lealt e probit (art. 88 c.p.c.: con conseguente denunciabilit agli organi di disciplina da parte del giudice).
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Prima della codificazione del principio di non contestazione, con la modifica dellart. 115, primo comma, c.p.c., si era affermato che una generica contestazione, pur non comportando una ammissione, da parte del convenuto, della sussistenza dei fatti affermati dall'attore, poteva integrare violazione del dovere di lealt processuale, sanzionabile ai sensi degli artt. 88 e 92 c.p.c., e comunque essere discrezionalmente valutata, attenendo al contegno della parte nel processo, come semplice argomento di prova, ai sensi del secondo comma dell'art. 116 c.p.c. (Cass. 1.9.2000, n. 11495, rv. 539931); sullonere, in virt del principio dispositivo delle prove, di restituire il fascicolo di parte, e della conseguente pronuncia del giudice sulla base delle risultanze istruttorie ritualmente acquisite e degli atti riscontrabili nel fascicolo dell'altra parte ed in quello di ufficio: Cass. 26.4.2010, n. 9917, rv. 612726. 131 A. DONDI, Abuso, cit., 9. 132 M.F. GHIRGA, Le novit sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, Riv. dir. proc., 2012, 179. 35

Il nuovo intervento conferma limpressione, gi manifestata, di un orientamento legislativo di diffidenza verso il giudice, gi rilevato a proposito della legge Pinto. Riguardo agli abusi delle parti, che agli effetti delle ricadute sui tempi del processo, le stringenti previsioni del calendario dovrebbero rendere meno frequenti, il giudice continua a non disporre di sanzioni dirette e incisive riguardo a condotte abusive dei difensori, che pure sono additate come le principali cause dellallungamento dei tempi processuali, per le quali di conseguenza sarebbe necessario, a detta di molti, un sistema repressivo da parte del giudice133, come del resto prevedono altri ordinamenti, di common law e di civil law134. La volont del legislatore non sembra orientata a potenziare il ruolo attivo del giudice, e tanto meno dotarlo di poteri sanzionatori, se vero che ha preferito connotare lunica vera norma aperta che consente la repressione dellabuso del processo, lart. 96, terzo comma, c.p.c., come misura risarcitoria, o, al massimo, come pena privata. Tanto meno pu ritenersi che il suo ruolo muti riguardo al possibile approfondimento officioso di questioni insorte nel corso del processo, ai poteri istruttori, o alla segnalazione alle parti, al di l delle questioni rilevabili dufficio, della necessit di modificare le proprie allegazioni ove ravvisi delle lacune nellattivit difensiva finalizzata alla tutela dei diritti135. Altre norme, come gi lart. 91, primo comma, seconda parte, permettono di intervenire, in tema di regolamentazione delle spese di causa, derogando in parte al principio della soccombenza in nome della causalit, mentre la condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie prevista, in un numero di ipotesi che al momento assolutamente limitato, per violazioni specifiche. A parte il rigetto del ricorso per ricusazione del giudice (art. 54 c.p.c.)136, gli interventi legislativi che specificamente si pongono lobiettivo dellabbreviazione dei tempi del processo, lhanno prevista solo come incentivo indiretto alla conciliazione (art. 13 d.lgs. n. 28/10, quale conseguenza del rifiuto della proposta di mediazione, per un ammontare corrispondente al contributo unificato; art. 8, comma 5, per il rifiuto di partecipazione al tentativo di conciliazione). Nellultimo intervento legislativo (legge n. 183/11), che, come detto, ha riguardato il giudizio di appello, si sono previste pene pecuniarie per labuso nella richiesta della sospensione dellesecuzione della sentenza di primo grado; in una riforma di ben pi ampio respiro (anche se raccolta in un solo articolo), concernente la scansione dei tempi del processo (aggiunta del secondo comma allart. 81-bis c.p.c. per effetto
V. ANSANELLI, Abuso, cit., 6; A. DONDI, Abuso, cit., 11; M. TARUFFO, Elementi, cit., 456; L.P. COMOGLIO, Abuso, cit. 353-4. 134 Per una sintesi di modelli sanzionatori per attivit abusive dei difensori: A. DONDI, Spunti, cit., 70-1. 135 DE CRISTOFARO, Case management, cit.,, 283. 136 Le altre ipotesi di pene pecuniarie irrogabili dal giudice, sono previste dal codice, quando non siano a carico di soggetti estranei al processo (artt. 118, terzo comma; 255, primo comma), in ipotesi del tutto marginali (artt. 162, primo e secondo comma,; 220, secondo comma; 226, primo comma; 408; 815, quarto comma). 36
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dellallegato della legge n. 148/11, di conversione del d.l. n. 138/11), intervenuta solo due mesi prima, il richiamo alla sola responsabilit disciplinare (anche del giudice), sintomo eloquente che non la sanzione pecuniaria la via scelta dal legislatore per la repressione dellabuso del processo. 14. Il calendario del processo. Appare chiara la scelta del legislatore di prevenire labuso attraverso una previsione concertata dei tempi del processo, in una scansione stringente delle attivit, cui le parti, attraverso la preventiva consultazione da parte del giudice, simpegnano. Nel sistema francese, in cui per non sono di massima previste preclusioni alle possibilit di allegazioni di merito e istruttorie delle parti nel corso del giudizio, il calendario loggetto di un vero e proprio contratto, che ha il significato di una condivisione di responsabilit tra il giudice e le parti, attraverso il quale il primo rinuncia a una sua prerogativa manageriale, e le seconde sono chiamate al perseguimento dellobiettivo di miglior funzionamento del sistema giustizia137. Il calendario francese, inoltre, prevede termini relativi allo scambio di memorie difensive, per la chiusura dellistruttoria, per la discussione e decisione della causa, ma non scandisce il compimento delle attivit propriamente istruttorie, la cui peculiarit renderebbe superflua la loro collocazione temporale ex ante. Il calendario regolato dallart. 81-bis c.p.c., invece, ha proprio il compito di fissare nel tempo gli adempimenti istruttori, provvedendo sulle richieste delle parti, fino alludienza di cui allart. 189, primo comma, c.p.c. Il sistema delineato dal legislatore presenta due fondamentali inconvenienti. In primo luogo, lo svolgimento dellistruttoria, pur dopo la fissazione del thema probandum, comporta imprevisti, determinati dalla non infrequente mancata comparizione dei testi pur ritualmente intimati, per laudizione dei quali il giudice potr ben disporre laccompagnamento coattivo e lirrogazione di sanzione pecuniaria, con il risultato, per, di dover fissare una nuova udienza, e far saltare il programma predisposto, anche a detrimento dellorganizzazione complessiva del ruolo del magistrato, che, ovviamente, prevede nella stessa udienza, la fissazione di attivit istruttorie relative ad altre cause. Tale ultima circostanza, del resto, ben evidenziata dalla giurisprudenza applicativa della legge Pinto, in precedenza richiamata, in cui il termine di ragionevole durata viene commisurato in maniera globale, non tenendosi conto delle distanze, pur considerevoli, tra le udienze. E notorio che i ruoli dei magistrati sono ormai endemicamente sovradimensionati rispetto alla realt processuale in cui operava il legislatore del 42, e che lentit dei rinvii in sistematica violazione del termine di gg. 15 previsto dallart. 81, secondo comma, c.p.c. Il momento in cui deve intervenire la calendarizzazione, che quello in cui il giudice provvede sulle richieste istruttorie e per questo assimilabile al compimento
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M.F. GHIRGA, Le novit, cit., 173. 37

dellattivit di cui allart. 183, settimo comma, c.p.c. cade dunque a valle della trattazione del processo e, nella maggioranza dei casi, allesito dello scambio delle memorie in cui si esplica lappendice scritta alla trattazione: ci comporta che se la causa matura per la decisione, ex art. 187 c.p.c., non vi sar spazio per la calendarizzazione, provvedendo il giudice a invitare le parti alla precisazione delle conclusioni. Ove debba provvedere per lammissione delle prove, esigenze di economia processuale avevano ingenerato la prassi di una riserva assunta dal giudice istruttore alla scadenza della attivit difensive, con ordinanza resa fuori udienza. Sembra ora necessario invece operare una puntualizzazione delloggetto della lite e delle esigenze istruttorie, in una specifica udienza, in cui le parti devono essere necessariamente sentite ai fini della calendarizzazione: la previsione di apposita udienza alluopo, del resto, viene a soddisfare unesigenza, da varie parti evidenziata, di una non completa esauribilit delle attivit difensive preliminari nel contesto della scansione dellart. 183, sesto comma, c.p.c., per leventualit che una parte, nellindicare la prova contraria in materia contrattuale, deduca una prova testimoniale contraria indiretta (dunque con la formulazione di capitoli autonomi), dal che la necessit di eccezione di inammissibilit della controparte ex art. 2721 c.c., ed ulteriore provvedimento del giudice, che necessariamente deve precedere ludienza di assunzione di cui allart. 188 c.p.c.. E intuitivo che la consultazione delle parti non possa farsi contestualmente alle deduzioni istruttorie, presupponendo la calendarizzazione lavvenuta adozione di un provvedimento ammissivo delle prove. Da qui lesigenza di unudienza sulle decisioni istruttorie e sul conseguente programma di assunzione. La localizzazione del momento in cui formulabile il calendario, suscita le maggiori perplessit in ordine a uneffettiva idoneit del calendario processuale a contenere i tempi, e, pi specificamente, della reale intenzione del legislatore di prevenire tattiche dilatorie delle parti consentendo al giudice di adottare, allinterno del processo, incisive contromisure. 15. Prima del calendario. Si gi detto che la calendarizzazione avviene a valle della trattazione della causa. La promozione della causa in s, nel doppio profilo delloggetto della tutela invocata, che delle modalit di redazione degli atti introduttivi, rappresenta la principale specie di abuso processuale, per la quale non sembrano esservi altri rimedi che quelli a posteriori della regolamentazione delle spese, per le liti temerarie (art. 96, primo e secondo comma, c.p.c.), ma anche per le liti promosse, pur senza lintento di danneggiare la controparte, ma comunque idonee, per lingombro che esse vengano a creare nel sistema complessivo di amministrazione della giustizia, ad allungare i tempi di durata delle cause (art. 96, terzo comma, c.p.c.). La localizzazione temporale delle situazioni di abusabilit nella fase introduttiva del processo, del resto sottolineata dalla dottrina che per prima ha elaborato la
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nozione di abuso processuale, anche sulla scorta di altri ordinamenti138 e ricorrendo alla terminologia anglosassone, il contesto quello della fase di pre-trial, in unampia accezione di fase preparatoria alla decisione. Non sembra dubitabile che lobbligo di lealt e probit sancito dallart. 88 c.p.c., dalla cui violazione pu trovarsi il presupposto per unipotetica sanzionabilit, valga anche per gli atti introduttivi della causa, tanto pi che se ne possono trovare riscontri nellart. 6 del Codice deontologico che vieta di proporre azioni e assumere iniziative in giudizio con mala fede o colpa grave, e nellart. 49 dello stesso che vieta ladozione di iniziative plurime e onerose atte ad aggravare la situazione debitoria di un soggetto, se ci non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita. Ci ha indotto a ritenere che labuso possa annidarsi negli atti introduttivi qualora strutturati con modalit e nel perseguimento di finalit allevidenza contrarie ai canoni di lealt e correttezza anche in ragione dellassoluta mancanza di specificit, reticenza o falsit delle allegazioni fattuali139. Non sembra avere efficacia deterrente o deflativa, allinsorgere di controversie frivolus (nellaccezione statunitense, come prive di spessore giuridico), lauspicata intensificazione del controllo sullinteresse ad agire commisurato alla meritevolezza dellazione, che sembra preludere ad un criterio di selezione che evoca parametri di politica giudiziaria estranei al tecnicismo delle norme processuali. E un criterio, questo, che sembra presiedere alla introduzione di filtri per il ricorso per cassazione (art. 360-bis c.p.c.), con la giustificazione di premiare la funzione nomofilattica della Suprema Corte, ma non enfatizzabile davanti al giudice di merito. E intuitivo, dunque, che alla proposizione della causa temeraria, il giudice non abbia gli strumenti per non dar corso alla causa, giacch alle eventuali nullit dellatto introduttivo per carenze inerenti alla editio actionis pu porsi rimedio invitando alla rinnovazione della citazione o allintegrazione dellatto. Lo stesso dicasi in riferimento alle difese espletate da parte convenuta, ove nelle stesse sia ravvisabile una resistenza in malafede o con colpa grave. Le possibili conseguenze saranno quelle punitivo-risarcitorie di cui allart. 96 c.p.c., secondo la logica della soccombenza. Linvito a rinnovare la citazione o a integrare lesposizione dei fatti, pur inducendo a sanare ipotesi di nullit, comporta unautonoma forma di abuso, che si riflette sui tempi processuali, dovendo il giudice fissare un termine perentorio per gli adempimenti. Sul punto si rilevato che la lettura dellart. 164, quarto comma, c.p.c., porta a ritenere che una qualsiasi forma di circostanzazione dei fatti sufficiente a scongiurare la nullit della citazione, il limite della corretta redazione essendo, per converso, lassenza totale di qualsiasi circostanzazione. La conseguenza pu essere quella del differimento ad una fase processuale ulteriore rispetto a quella introduttiva la definizione delloggetto della controversia, con spostamento ad essa, in
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A. DONDI, Abuso, cit., 5. V. ANSANELLI, Abuso, cit., 7. 39

contrapposizione estrema, delle effettive attivit di difesa, in assenza di una non adeguata preparazione della causa140. A differenza di altri ordinamenti, il problema dello standard di specificit e circostanzazione fattuale degli atti continua ad essere trascurato141, e nella blanda tolleranza riguardo alle manchevolezze, la fase della trattazione, descritta dallart. 183, quarto comma, c.p.c., da momento di completamento del thema decidendum, diviene vero luogo di definizione delloggetto della causa, rendendo logicamente necessaria e indefettibile lulteriore fase dellappendice scritta alla trattazione, di cui al sesto comma. La concessione dei relativi termini una prassi non derogabile, e nella sua indefettibilit ha portato anche a trascurare leventualit, che il giudice dovrebbe porre allattenzione delle parti che si accingano alla richiesta, della possibilit di una loro solo parziale invocazione, quando ad esempio, le difese siano gi sufficientemente chiare in ordine alloggetto, e si rimanga da espletare la fase propriamente istruttoria. Il sistema della trattazione scritta gi di per s in contrasto con il principio di ragionevole durata, giacch, oltre allindefettibilit della prassi, incoraggia a strategie processuali in divenire, secondo le reazioni avversarie, a partire dallincompletezza degli atti introduttivi. E una metodica che aveva trovato coronamento nel prototipo del processo societario, con la previsione di atti considerati ex professo non completi ma destinati a completarsi e perfezionarsi nella trattazione scritta tra le parti142. Possono riscontrarsi prerogative di abuso anche in atti introduttivi, per contro, sovrabbondanti: atti introduttivi (e comparse di risposte) sovradimensionati rispetto alle esigenze difensive delle parti tradiscono spesso, oltre che una scarsa chiarezza argomentativa, una povert di argomenti rilevanti al fine di dimostrare la fondatezza della pretesa143. Per tale tipologia, che costringe il giudice ad una spesso non agevole opera di sfrondatura delle superfetazioni, la stessa fase di trattazione si dimostrer necessaria per un processo inverso a quello prima rilevato, ovvero verso una progressiva concentrazione degli argomenti difensivi. Un atteggiamento di censura dellordinamento riguardo alla sovrabbondanza delle difese pu ricavarsi indirettamente dallart. 92, primo comma, c.p.c., che permette di escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, che siano ritenute eccessive e superflue. Un orientamento del sistema verso lo spiegamento degli argomenti difensivi in modo sobrio proviene dal codice del processo amministrativo, che allart. 3, comma 2, dispone che il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, e allart. 73, comma 2, che nelludienza le parti possono discutere sinteticamente. Ed
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A. DONDI, Abuso, cit., 7. A. DONDI, Etica dellavvocatura, strategie difensive, conflitti dinteresse e abuso nel processo civile, in Studi in onore di Vittorio Colesanti, Napoli, 2009, 551. 142 V. ANSANELLI, Abuso, cit., 5. 143 A. DONDI, Etica, cit., 348. 40

sorprendente che il legislatore del 2009, nel mentre semplifica le modalit di redazione della sentenza, riducendola alla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto (art. 132 c.p.c. come riformulato dallart. 45 l.n. 69/09), non interferisce sui criteri di redazione degli atti difensivi. Analogamente, in altri ordinamenti apparso che la fase in cui maggiormente possono annidarsi abusi processuali proprio quella degli atti preparatori: la fase del discovery, inizialmente ispirata alladversary system of litigation, in senso puro, ha trovato negli ultimi anni profondi correttivi, attraverso limposizione di un controllo del giudice sullesplicarsi del discovery. Attivit tipiche di abuse of discovery, nel tentativo di ottenere risultati diversi da quelli di disclosure (cio informazione chiarificatrice circa questioni oggetto della controversia), rammentano il fenomeno della sovrabbondanza, cui sopra si fatto cenno in relazione alla prassi constatabile presso i nostri Tribunali, attraverso richieste di informazioni generiche e prive di utilit diretta per la controversia, a scopo genericamente dilatorio, ed il corrispondente sistema di risposte con una serie di obiezioni infinite, o fornendo una massa di documenti inutili. Tornando al nostro ordinamento, il tentativo di sviare la difesa della controparte, oltre che lattenzione del giudice, appare se non sanzionabile agli effetti dellart. 88 c.p.c.144 almeno apprezzabile alla stregua dellart. 96, terzo comma, ove dal complesso dellattivit difensiva appaia che lintento della parte stato inconfondibilmente dilatorio. Le strategie di sviamento inducono ineluttabilmente a trattare il preteso obbligo di verit degli atti processuali, che, ponendosi alla stregua dei doveri di probit dei difensori, e della possibile rilevanza disciplinare, interessano la tematica dellabuso nei possibili riflessi sulla ragionevole durata. Posto che lordinamento processuale, al di l del generico richiamo allobbligo di lealt e probit non pone, a differenza di altri ordinamenti (come quello tedesco), un obbligo di completezza e verit nella redazione degli atti processuali, il proposito di sancire tale obbligo si affacciato storicamente in varie occasioni, fin dalla redazione dei progetti preliminari del codice di rito145. La finalit degli atti menzogneri o reticenti, a rallentare il corso del processo, rendendo necessaria unattivit istruttoria spesso defatigante e lincidenza degli effetti sulla durata del processo, universalmente riconosciuta146. Di recente, il d.d.l. del 2007 (AS 1524), decaduto, ma i cui punti salienti sono stati poi ripresi nella riforma del 2009, proponeva di aggiungere allart. 88 c.p.c. un terzo comma, per cui le parti avrebbero dovuto chiarire le circostanze di fatto in modo leale e veritiero. Che tale disposizione fosse contenuta nellambito di interventi diretti alla razionalizzazione e accelerazione del processo civile dimostra che nella valutazione del legislatore la questione non
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Esclude sia sanzionabile agli effetti dellart. 88 c.p.c. la redazione degli scritti difensivi: G. SCARSELLI, Lealt, cit., 98 ss. 145 Sul dibattito in sede di codificazione, G. SCARSELLI, Lealt, cit., 109 ss. 146 V. ANSANELLI, Abuso, cit., 4; A. DONDI, Abuso, cit., 10. 41

presenta solo valenza deontologica (insita nel proposto collocamento della norma), ma funzionale allefficiente svilupparsi del processo. E appena il caso di notare che un dovere di verit previsto nellart. 14 del Codice deontologico, che tuttavia, non accompagnato a livello di tecnica processuale, da un obbligo di accuratezza nellinformazione, risulta sostanzialmente privo di contenuto concreto147. La bocciatura di un ingresso dellobbligo di verit nel tessuto codicistico del processo, premia la visione di chi ha sempre ritenuto che la violazione al presunto obbligo della verit non pu comportare infrazione al dovere di lealt e probit di cui allart. 88 c.p.c.148. Lo stesso dovere sancito dallart. 14 del Codice deontologico dovrebbe sistematicamente essere ristretto a ipotesi eccezionali e tassative, ovvero quando lordinamento abbia attribuito piena credibilit alla dichiarazione processuale della parte, quando la parte chieda al giudice un provvedimento inaudita altera parte, quando il venir meno del dovere potrebbe configurare unipotesi di dolo revocatorio149. In sostanza, il piano in cui si situa la verit non coincide punto con quello su cui si situa la lealt, la prima attenendo al contenuto e la seconda riguardando la forma150. Se da un lato la possibile rilevanza disciplinare dellobbligo di verit, con la graduazione minore del dovere di completezza, esula dagli obiettivi del presente lavoro, dallaltro il caso di soffermarsi sullinquadrabilit delle relative violazioni nel quadro stringente delle proiezioni soggettive del giusto processo, cui si fatto cenno, e della loro rilevanza sulla durata del processo. Le impostazioni reticenti degli atti difensivi, gli ostruzionismi alle affermazioni di controparte, di cui si smentisce, coscientemente, la veridicit, con la necessit di esperire attivit istruttorie inutili, non possono non essere apprezzate sotto il profilo del volontario perseguimento dellallungamento dei tempi del processo, onde allontanare al massimo una decisione che si sa (o si teme) sfavorevole. Per terminare la gamma dei possibili abusi in sede di trattazione della causa, posto che il giudice vincolato alla richiesta delle parti (anche una sola) alla concessione dellappendice scritta della trattazione, anche questo pu rivelarsi espediente dilatorio, specie ove sia una sola parte ad avanzarne richiesta, e il giudice si accorga poi di poter definire la causa su presupposti di giudizio di per s gi delineati negli atti introduttivi, o anche sufficientemente chiariti alla prima udienza. 16. Una sintesi dei rimedi contro labuso dilatorio. Gli artifici dilatori che siano posti in essere, particolarmente nella fase di trattazione della causa, possono essere solo indirettamente sanzionati a posteriori nella regolamentazione delle spese.
V. ANSANELLI, Abuso, cit., 7. G. SCARSELLI, Lealt, cit., 114-5. 149 G. SCARSELLI, Lealt, cit., 123. 150 F. CORDOPATRI, Nota a margine di un libro recente e di un recente disegno di legge, in Riv. dir. proc., 2008, 1341. 42
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Le misure concepite dal legislatore ai fini dellaccelerazione processuale si pongono sul piano funzionale, favorendo in primo luogo soluzioni alternative al processo a fini deflativi e di concentrazione delle risorse processuali di un minor numero di cause, con ricadute benefiche in termini di durata. Riguardo agli interventi pi direttamente incidenti sul processo, si mirato alla semplificazione di determinati atti e attivit della procedura e si introdotto un rito processuale sommario in cui valorizzato il ruolo direttivo del giudice, e riguardo alla tempistica, si concepito un calendario delle attivit fondato sullassunzione di responsabilit delle parti al rispetto di tempi che, al minimo, dovrebbero dare certezze in ordine alla durata (e alla definizione) delle cause. Manca un apparato sanzionatorio degli abusi: le sanzioni pecuniarie si riducono a poche eccezionali ipotesi, che introdotte negli ultimissimi provvedimenti, ancora presto per preconizzare un trend legislativo su una nuova via sanzionatoria agli abusi processuali. Il legislatore diffida del giudice repressore degli abusi dilatori, che mostra di voler soltanto prevenire. La stessa novit della condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, costruita secondo lo schema risarcitorio, pur se dissimula intenti sanzionatori. Il giudice, responsabile della direzione del procedimento, manager in senso solo formale, come programmatore dei tempi processuali in collaborazione delle parti, e per il resto, strettamente vincolato allesercizio delle attivit difensive delle parti, di cui assicura il contraddittorio e la parit, mentre il perseguimento degli obiettivi di ragionevole durata, pur parte integrante dei principi del giusto processo, appare ora canalizzato nella formazione e nel rispetto del calendario del processo. La possibile via giudiziaria alla ragionevole durata, attraverso uninterpretazione degli istituti processuali in chiave funzionale, ispirata al principio di economia processuale, seriamente contestata. I possibili esiti sulla decisione nel merito sono riconducibili alla blanda rilevanza del contegno della parte, complessivamente considerato. Le conseguenze in materia di spese sono concepite in primo luogo come incentivi indiretti alla conciliazione e alla mediazione (art. 91, primo comma, seconda parte, c.p.c., e 13 d.lgs. n. 28/10). La condanna alle spese in eccezionale deroga al principio della soccombenza indefettibilmente collegata alla violazione del dovere di cui allart. 88 c.p.c. (art. 92, primo comma, seconda parte, c.p.c.). Il dovere di lealt e probit dei difensori, invece, non ragione determinante per laffermazione della responsabilit aggravata dellart. 96 c.p.c., che riguarda lanimus con cui la parte soccombente si accinta ad agire o a resistere in un processo, anche se dietro alla proposizione di liti temerarie o alla pretestuosa resistenza in giudizio, apprezzabile una violazione al dovere di cui allart. 88 c.p.c. Lintento legislativo che sta alla base dellintroduzione del terzo comma dellart. 96 di costituire un deterrente a condotte processuali mirate allallungamento dei tempi, per questo pu dirsi che la norma reprime labuso dilatorio, che indipendente dallabuso sostanziale dei primi due commi, e pu con esso cumularsi, anche riguardo alle conseguenze risarcitorie, ma pu essere valutato, indipendentemente
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dalla richiesta della parte danneggiata dalla lite temeraria e/o dilatoria, per il rilievo pubblicistico che lallungamento dei tempi processuali assume, che giustifica liniziativa officiosa del giudice. Lestrema genericit di formulazione della norma in ostacolo allidentificazione dei fatti censurabili. Potrebbe dirsi che si in presenza di una sanzione senza precetto. Il collegamento in ogni caso sembra ampliare la gamma dei comportamenti, anche se la mancata indicazione dei presupposti, spinge a valorizzare linterpretazione teleologica in funzione della ragionevole durata, e cos a reprimere comportamenti processuali, con lausilio dei riferimenti a canoni etici, dei quali si trova solo generica indicazione nellart. 88 c.p.c. La figura tradizionale della lite temeraria non si trova in alcun rapporto con il dovere di lealt e probit, di cui all'art. 88 c.p.c., che riguarda il comportamento nel corso del processo di tutte le parti e dei loro difensori, indipendentemente dal fatto che abbiano ragione o torto. Il fatto illecito cui si riferisce il terzo comma dell'art. 96 c.p.c., non trova il limite descrittivo del primo e secondo comma, potendo esser esteso, in sede di ricognizione dellandamento processuale che si conclude, a tutte le esplicazioni dei poteri processuali allinterno della causa, che in quanto contrari al dovere di correttezza, abbiano cagionato un effetto dilatorio. Mentre i primi due commi dellart. 96 sanzionato propriamente labuso del processo, mediante liniziativa che ha determinato linsorgere (ed il persistere) della causa, il terzo comma appare poter sanzionare anche abusi endo-processuali. Labuso del processo deve sempre essere volontario, e se, quanto alla struttura dellillecito, deve sempre ricondursi ad una violazione dei doveri di cui allart. 88 c.p.c., al pari di questo deve esser compiuto consapevolmente: vanno dunque escluse dal novero dei comportamenti scorretti, le mere omissioni151. Non v ragione di ritenere che labuso dilatorio debba essere assistito da intensit qualificata dellelemento soggettivo: il dolo specifico di arrecare danno o la colpa grave consistente nella sconsiderata leggerezza di agire o resistere il giudizio, sono compatibili con una scelta meditata che si pone allinizio della lite con riferimento alla posizione dellantagonista in causa, nella sfera del quale sono destinati a prodursi gli effetti della scelta litigiosa. N pu dirsi che il terzo comma venga attratto nellorbita della qualificazione soggettiva del primo comma, ch anzi, il secondo comma invece caratterizzato dallagire senza la normale prudenza, e lesordio della norma in commento in ogni caso con riferimento alle due precedenti fattispecie, sembra avallare la rilevanza della nuova fattispecie di abuso, quale che sia latteggiarsi della volont dellagente. Va aggiunto che nel regolare la conseguenza risarcitorio-sanzionatoria del nuovo tipo di abuso, le regole di condotta sono mutuate dallart. 88 c.p.c. nella particolare valenza di cui esso si arricchisce alla luce della responsabilizzazione che compete alle parti in virt dei principi del giusto processo, che, come gi osservato, non vanno
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G. SCARSELLI, Lealt, cit., 98. 44

intesi solo in termini oggettivi, ma impongono doveri comportamentali ispirati al rispetto dei diritti delle parti nel processo, e al bene comune connesso alluso solidale delle risorse investite allordinamento. La misura del risarcimento-sanzione, rimessa al libero apprezzamento del giudice, va al di l della logica reintegratoria adottata dalla giurisprudenza sulla legge Pinto, per assumere, se si in presenza di sanzione, efficacia punitiva e di deterrente. Il collegamento necessitato alla soccombenza sembra consentire il riferimento alle spese liquidate per la lite, nella sistematica dellart. 92, primo comma, la cui misura da modulare in riferimento alla gravit dellabuso (e allintensit della colpevolezza), agli effetti dilatori, alle ricadute nellorganizzazione del ruolo del magistrato, e dellufficio di cui fa parte, in un range che pu ragionevolmente contenersi nel doppio dei massimi tariffari, che labrogato art. 385 c.p.c. (e di cui la norma in commento ha preso il posto) adottava per il giudizio di cassazione.

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