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IL LAVORO NELLE COOPERATIVE E LA CESSIONE DI

RAMO AZIENDALE
CORSO P18003
Scandicci, 22-24 gennaio 2018

Martedì, 23 gennaio 2018


L’Officina del Giudice
Identità e autonomia del ramo aziendale: principi,
strumenti e presupposti fattuali nell’accertamento giudiziale

Coordinatore
Maria Ida SCOTTO
Giudice del Tribunale di Genova, Sezione Lavoro

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L’Officina del Giudice:
Identità e autonomia del ramo aziendale: principi, strumenti e
presupposti fattuali nell’accertamento giudiziale

La modifica dell’art. 2112 c.c. e l’eliminazione del riferimento testuale al requisito


della “preesistenza” del ramo ceduto

Come è noto, l’art. 2112 co. 5° c.c., nel testo modificato dall’art. 32 d. lgs.
276/2003 attualmente vigente, prevede che:
“ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda
qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento
nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al
trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia
negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi
l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al
trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di
un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al
momento del suo trasferimento”.

Il testo precedente, come sostituito dall’art. 1 d. lgs. n. 18/2001, attuativo della


direttiva comunitaria n 98/50, recitava invece:
“Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda
qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica
organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di
servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a
prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è
attuato, ivi compresi l'usufrutto o l'affitto d'azienda. Le disposizioni del presente articolo si
applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione
funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata ai sensi del presente comma,
preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria
identità”.

La disposizione, nel testo attualmente in vigore, nell’identificare il


trasferimento di azienda fa riferimento ad un’attività organizzata preesistente al
trasferimento (e che conservi nel trasferimento la propria identità), mentre nel definire
il trasferimento del ramo d’azienda non ribadisce il requisito della preesistenza, in
precedenza previsto e oggi non più menzionato.

L’inquadramento della norma nel quadro del diritto dell’Unione


Poiché l’art. 2112 c.c. costituisce attuazione di direttive europee, alla luce della
tesi assolutamente prevalente in dottrina come in giurisprudenza, l’interpretazione

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della disposizione non può rescindere dal raccordo del diritto interno con il diritto
dell’Unione.
La direttiva di riferimento è attualmente la direttiva 2001/23/CE, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei
diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parte di
imprese o di stabilimenti.
Tale direttiva costituisce codificazione della precedente direttiva 77/187/CEE,
successivamente modificata in modo sostanziale dalla direttiva 98/50/CE.

L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE stabilisce che:


a) “La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di
imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a
fusione.
b) Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è considerato come
trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la
propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività
economica, sia essa essenziale o accessoria”.

Il considerando 8 della direttiva 2001/23 precisa che:


“La sicurezza e la trasparenza giuridiche hanno richiesto un chiarimento della nozione
giuridica di trasferimento alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia. Tale
chiarimento non ha modificato la sfera di applicazione della direttiva 77/187, quale interpretata
dalla Corte di Giustizia”
Tale concetto è stato ribadito dalla Corte di Giustizia, secondo la quale “la
redazione delle disposizioni di cui all’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/23 è, nella sostanza,
identica a quella delle disposizioni di cui all’art. 1, n. 1, della direttiva
77/187”( Klarenberg punto 9)i.
Restano dunque fermi tutti i principi in precedenza affermati dalla Corte di
Giustizia.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia


1. La ratio della disciplina comunitaria
Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia:
“La direttiva 2001/23 è intesa ad assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti
nell’ambito di un’attività economica indipendentemente dal cambiamento del proprietario e,
quindi, a proteggere i lavoratori nella situazione in cui siffatto cambiamento avesse luogo”
(Klarenberg punto 40; cfr. anche Temco punto 23; Botzen punto 6; Spijkers punto 11).

La stessa ratio è evidenziata dal considerando 3 della direttiva 2001/23, ai cui


sensi: “Occorre adottare le disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori in caso di
cambiamento di imprenditore, in particolare per assicurare il mantenimento dei loro diritti”.

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“Il citato considerando evidenzia il rischio rappresentato, per il mantenimento dei diritti
dei lavoratori, dalla situazione di subentro di un nuovo imprenditore, nonché la necessità di
tutelare i lavoratori dinanzi a tale rischio mediante l’adozione di opportune disposizioni”
(Amatori punto 38) .

Nell’interpretazione dell’art. 2112 c.c. occorre dunque tenere presente che:


- la disposizione costituisce attuazione della normativa europea;
- la normativa europea è pacificamente e dichiaratamente finalizzata alla tutela dei
diritti dei lavoratori in caso di mutamento dell’imprenditore.

2. La nozione di “entità economica” oggetto del trasferimento


Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia:
- il trasferimento deve avere ad oggetto un'entità economica organizzata in modo
stabile, la cui attività non si limiti all'esecuzione di un'opera determinata (Temco
punto 23; Abler punto 30; Rygaard punto 20);
- la nozione di entità fa riferimento ad un complesso organizzato di persone e di
elementi che consentono l'esercizio di un'attività economica finalizzata al
perseguimento di un determinato obiettivo ( Temco punto 23; Abler punto 30;
Süzen punto 13);
- il criterio decisivo per stabilire se sussista un trasferimento nel senso della direttiva
consiste nel fatto che l'entità in questione conservi la sua identità, il che si desume in
particolare dal proseguimento effettivo della gestione o dalla sua ripresa (Ferreira
da Silva punto 25; Spijkers punti 11 e 12; Güney-Görres e Demir punto 31);
- “infatti, l’impiego, al citato articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, del termine
«conservi» implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al
trasferimento” (Amatori punto 34).

3. Criteri per la valutazione dell’esistenza di un trasferimento di un’entità


economica
Per determinare se sussistano le caratteristiche di un trasferimento di un'entità
economica si deve prendere in considerazione il complesso delle circostanze di fatto
che caratterizzano l’operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il
tipo d’impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno degli elementi
materiali, quali gli edifici ed i beni mobili, il valore degli elementi materiali al
momento del trasferimento, la riassunzione o meno della maggior parte del personale
da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonché il
grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di
un’eventuale sospensione di tali attività (Ferreira da Silva punto 26; Temco punto 24;
Abler punto 34; Spijkers punto 13, Süzen punto 14).

Tali elementi costituiscono tuttavia soltanto aspetti parziali della valutazione


complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere considerati
isolatamente.

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Il giudice nazionale deve tener conto, nell’ambito della valutazione delle
circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione de qua, del genere d’impresa o di
stabilimento di cui trattasi. Ne consegue che l’importanza da attribuire
rispettivamente ai singoli criteri caratterizzanti la sussistenza di un trasferimento ai
sensi della direttiva 2001/23 varia necessariamente in funzione dell’attività esercitata o
addirittura in funzione dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell’impresa,
nello stabilimento o nella parte di stabilimento in questione (Ferreira da Silva punto
26; Güney-Görres e Demir punti 34 – 35; Süzen punto 18; Hidalgo punto 31; Abler
punto 35).

4. La sentenza 6 marzo 2014 causa C-458/12, Lorenzo Amatori e altri contro Telecom
La sentenza interviene su due questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di
Trento (ordinanza 20 settembre 2012) in merito alla compatibilità dell’art. 2112 c.c. con
la normativa dell’Unione.

La Corte in primo luogo ribadisce i principi già più volte affermati secondo cui:
30. “Secondo una consolidata giurisprudenza, per stabilire se sussista un «trasferimento» dell’impresa,
ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, il criterio decisivo è quello di accertare se
l’entità in questione conservi la propria identità dopo essere stata rilevata dal nuovo datore di lavoro
(v. in tal senso, in particolare, sentenza del 6 settembre 2011, Scattolon, C-108/10, Racc. pag. I-
7491, punto 60 e la giurisprudenza ivi citata).
31. Tale trasferimento deve riguardare un’entità economica organizzata in modo stabile, la cui attività
non si limiti all’esecuzione di un’opera determinata. Costituisce un’entità siffatta qualsiasi
complesso organizzato di persone e di elementi, il quale consenta l’esercizio di un’attività economica
che sia finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo e sia sufficientemente strutturata ed
autonoma (v. sentenze del 10 dicembre 1998, Hernández Vidal e a., C-127/96, C-229/96 e C-74/97,
Racc. pag. I-8179, punti 26 e 27; del 13 settembre 2007, Jouini e a., C-458/05, Racc. pag. I-7301,
punto 31, nonché Scattolon, cit., punto 42)
32. Ne consegue che, ai fini dell’applicazione di detta direttiva, l’entità economica in questione deve in
particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente, là dove la
nozione di autonomia si riferisce ai poteri, riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoratori
considerato, di organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro in seno a tale
gruppo e, più specificamente, di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati
appartenenti al gruppo medesimo, e ciò senza intervento diretto da parte di altre strutture
organizzative del datore di lavoro (sentenza Scattolon, cit., punto 51 e la giurisprudenza ivi citata)
33. Tale conclusione è corroborata dall’articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, della direttiva
2001/23, relativo alla rappresentanza dei lavoratori, a norma del quale tale direttiva è destinata ad
applicarsi a qualsiasi trasferimento che soddisfi le condizioni enunciate all’articolo 1, paragrafo 1,
della direttiva medesima, indipendentemente dal fatto che l’entità economica trasferita conservi o
meno la propria autonomia nella struttura del cessionario (v., in tal senso, sentenza del 12 febbraio
2009, Klarenberg, C-466/07, Racc. pag. I-803, punto 50)
34. Infatti, l’impiego, al citato articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, del termine «conservi»
implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento.
35. Pertanto, qualora risultasse, nel procedimento principale, che l’entità trasferita di cui trattasi non
disponeva, anteriormente al trasferimento, di un’autonomia funzionale sufficiente – circostanza
questa che spetta al giudice del rinvio verificare –, tale trasferimento non ricadrebbe sotto la

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direttiva 2001/23. In tal caso, dalla direttiva non deriverebbe alcun obbligo di mantenimento dei
diritti dei lavoratori trasferiti”

La Corte prosegue poi precisando (punti 35 – 40) che:


- la ratio della direttiva (cfr. considerando 3 della direttiva) è quella di proteggere i
lavoratori in caso di cambiamento dell’imprenditore, in particolare al fine di
assicurare il mantenimento dei loro diritti;
- la direttiva impone l’obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori soltanto a
fronte del trasferimento di un’entità economica dotata di una propria autonomia
funzionale;
- ciò non esclude che uno Stato membro possa prevedere il mantenimento dei diritti
dei lavoratori anche in caso di difetto del requisito dell’autonomia funzionale
dell’entità trasferita;
- tale conclusione è corroborata dall’art. 8 direttiva 2001/23, che precisa che la direttiva
non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori.

La sentenza risponde quindi nei seguenti termini ai quesiti formulati dal


Tribunale di Trento:
- “L’articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12
marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al
mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di
parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una
normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza
di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente
nei rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca
un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento.
- L’articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel
senso che non osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento
principale, la quale consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro
nell’ipotesi in cui, dopo il trasferimento della parte di impresa considerata, tale cedente
eserciti un intenso potere di supremazia nei confronti del cessionario”.

La soluzione data dalla Corte ai quesiti interpretativi posti dal Tribunale di


Trento non può essere scissa dalla parte argomentativa della pronuncia, in cui si
chiarisce:
- che la direttiva trova applicazione nei casi di trasferimento di un’entità economica
dotata di sufficiente autonomia funzionale preesistente al trasferimento;
- che il trasferimento che abbia ad oggetto un’entità economica non dotata di tali
caratteristiche non ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 2001/23;
- che gli Stati membri possono nondimeno prevedere - con disposizioni di maggior
favore nei confronti dei lavoratori - l’applicazione della disciplina prevista dalla
direttiva anche ad ipotesi non rientranti nell’ambito di applicazione della stessa.

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Il ragionamento della Corte si fonda quindi sul presupposto che l’estensione ai
lavoratori coinvolti in operazioni di outsourcing delle garanzie previste in caso di
cessione dell’intero complesso aziendale costituisca di per sé un rafforzamento della
tutela.
In realtà la portata garantistica di tale estensione sembra venir meno laddove il
cedente sia dotato di una struttura stabile e di grandi dimensioni e il cessionario non
presenti invece identiche caratteristiche.
Nella casistica giurisprudenziale più recente l’applicazione della disciplina
dettata dall’art. 2112 c.c. per il trasferimento del ramo d’azienda viene in effetti
invocata più spesso dal datore di lavoro piuttosto che dal lavoratore.
In ogni caso la rilevanza della pronuncia può verosimilmente essere molto
ridimensionata se si considera che la Corte di Giustizia ha chiaramente affermato che il
trasferimento di un’entità economica non dotata di sufficiente autonomia funzionale
preesistente al trasferimento esula dal campo di applicazione della direttiva e che le
sentenze della Corte hanno efficacia vincolante non soltanto quanto all’interpretazione
del diritto dell’Unione, ma anche quando ai suoi limiti di applicazione ( Cass. n.
5381/2017; n. 2468/2016; n. 22577/2012).

La giurisprudenza della Corte di Cassazione

La nozione di “ramo d’azienda” ex art. 2112 c.c. delineata dalla Corte di


Cassazione è ormai consolidata e non è mutata né dopo la modifica del testo dell’art.
112 c.c. introdotta dall’art. 32 d. lgs. n. 276/2003, né dopo la sentenza Amatori della
Corte di Giustizia.

Cass. 11 maggio 2016, n. 9682, ex multis:


“Al fine di individuare quando ricorra la fattispecie della cessione di ramo d'azienda, secondo la
Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha sostituito la direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come
modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE, "è considerato come trasferimento ai sensi, della
presente direttiva quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme
di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria" (art. 1, n.
1, direttiva 2001/23). La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto
comunitario, ha ripetutamente individuato tale nozione come complesso organizzato di persone e di
elementi che consenta l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato
obbiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C- 13/95, Suzen, punto 13; Corte di Giustizia, 20
novembre 2003, C- 340/2001, Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C- 232/04 e
C233/04, Guney-Gorres e Demir, punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di
Giustizia, 10 dicembre 1998, Hernandez Vidal, C-127/96, C-229/96, C-74/97, punti 26 e 27; Corte di
Giustizia, 13 settembre 2007, Jouini, C-458/05, punto 31; Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C-
108/10, Scattolon, punti 51 e 60). Tale interpretazione è stata confermata nella recente sentenza 6 marzo
2014, C-458/12, Amatori ed a., in cui la Corte UE - in particolare ai punti 30 e 32 - ha richiamato la
propria precedente giurisprudenza, ed ha anzi precisato (pt. 34) che l'impiego del termine "conservi"
nell'art. 6, par. 1, commi 1 e 4 della direttiva "implica che l'autonomia dell'entità ceduta deve, in ogni
caso, preesistere al trasferimento", per concludere al pt. 35 che "..qualora risultasse... che l'entità
trasferita di cui trattasi non disponeva, anteriormente al trasferimento, di un'autonomia funzionale

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sufficiente -circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare - tale trasferimento non
ricadrebbe sotto la direttiva 2001/23".
In tale sentenza la Corte di Giustizia ha anche evidenziato, in specie al punto 51, che l'obiettivo
della Direttiva è di garantire, per quanto possibile, il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di
cambiamento dell'imprenditore, consentendo loro di rimanere al servizio del nuovo imprenditore alle
stesse condizioni pattuite con il cedente: ha così ritenuto coerente con tale finalità l'allargamento da parte
della legge nazionale dell'ambito della protezione del lavoratore ceduto ad ipotesi ulteriori rispetto a
quelle di cessione di ramo d'azienda così come sopra individuata, e ciò prescindendo dall'indagine in
ordine alla genuinità della cessione ad altri fini, eventualmente concorrenti, di tutela.
La normativa nazionale non è stata tuttavia rimodellata con il fine di allargare l'ambito della
fattispecie astratta della cessione, di ramo d'azienda rispetto alla nozione adottata in sede comunitaria,
considerato che il legislatore al contrario ha manifestato l'esplicita volontà di adeguarvisi. La L. n. 30 del
2003 all'art. 1, comma 2 lettera p) ha infatti delegato il governo a rivedere il D.Lgs. 2 febbraio 2001, n.
18, (che aveva già modificato l'art. 2112 c.c.), al fine dichiarato di realizzare un "completo adeguamento
della disciplina vigente alla normativa comunitaria", costituita dalla richiamata direttiva 2001/23/CE
del Consiglio del 12 marzo 2001, già recepita dalla L. 1 marzo 2002, n. 39, richiedendo poi in particolare
al punto 2) la previsione del requisito dell' "autonomia funzionale del ramo di azienda nel momento del
suo trasferimento".
All'esito dell'esercizio della delega, l'art. 2112 c.c., nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del
2003, art. 32 applicabile ratione temporis alla presente controversia, ha mantenuto immutata la
definizione di "trasferimento di parte dell'azienda" nella parte in cui essa è "intesa come articolazione
funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata", mentre le modifiche normative hanno
riguardato la soppressione dell'inciso "preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel
trasferimento la propria identità" e l'aggiunta testuale "identificata come tale dal cedente e dal
cessionario al momento del suo trasferimento", che richiede che al momento della cessione venga
individuato l'ambito dell' autonomia funzionale del complesso ceduto. Ha altresì introdotto al comma 6
un regime di solidarietà tra appaltante ed appaltatore per il caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente
un contratto di appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione.
L'intervento normativo del 2003 ha quindi ribadito e sottolineato che costituisce elemento
costitutivo della fattispecie della cessione d'azienda l'autonomia funzionale del ramo d'azienda ceduto,
ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno
scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi (così come chiarito in più occasioni da
questa Corte, v. Cass. n. 5425 del 2015, n. 25229 del 2015, n. 8759 del 2014, n. 2766 del 2013, n. 22613
del 2013, n. 21711 del 2012). Il fatto che la nuova disposizione abbia rimesso al cedente e al cessionario di
identificare l'articolazione che ne costituisce l'oggetto non significa che sia consentito di rimettere ai
contraenti la qualificazione della porzione dell'azienda ceduta come ramo, così facendo dipendere
dall'autonomia privata l'applicazione della speciale disciplina in questione, ma che all'esito della
possibile frammentazione di un processo produttivo prima unitario, debbano essere definiti i contenuti e
l'insieme dei mezzi oggetto del negozio traslativo, che realizzino nel loro insieme un complesso dotato di
autonomia organizzativa e funzionale apprezzabile da un punto di vista oggettivo. Il requisito della
preesistenza del ramo e dell'autonomia funzionale nella previsione si integrano quindi reciprocamente,
nel senso che il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza
integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già
nell'ambito dell'impresa cedente anteriormente alla cessione. La disposizione legittima quindi anche la
cessione di un ramo "dematerializzato" o "leggero" dell'impresa, ovvero nel quale il fattore personale sia
preponderante rispetto ai beni, quando però il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare

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know how, e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in
virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio (Cass. n. 21917/2013 e 15690/2009).
Tale requisito, letto conformemente alla disciplina dell'Unione, consente di limitare le ipotesi di
deroga al principio generale stabilito dall'art. 1406 c.c., secondo il quale la cessione del contratto richiede
il consenso della parte ceduta, scongiurando operazioni di trasferimento che si traducano in una mera
espulsione di personale, in quanto il ramo ceduto dev'essere dotato di effettive potenzialità commerciali
che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato (in tal senso in particolare v. Cass. n.
5425 del 2015, n. 25229 del 2015, citate) ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta
di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato.
L'analisi non deve quindi basarsi sull'organizzazione assunta dal cessionario successivamente
alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi contratti di
appalto, ma all'organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo
costituita dal ramo ceduto. Il sistema normativo è infatti ben chiaro nel distinguere l'appalto (anche di
servizi) dalla cessione di ramo d'azienda. L'attuale art. 2112 c.c., comma 4 … ha introdotto un regime di
solidarietà tra appaltante ed appaltatore (quello di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 in
virtù della modifica apportata D.Lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, art. 9, comma 1) per il caso in cui il cedente
stipuli con il cessionario un contratto di appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d'azienda
oggetto di cessione, così manifestando come la consistenza del ramo d'azienda utilizzato e il contratto di
appalto del servizio ceduto restino su due piani distinti. Il comma 3 del citato art. 29, poi, chiarisce che
l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in
forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non
costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda, in tal modo nettamente chiarendo che, anche
quando il cedente stipuli con il cessionario un contratto d'appalto per la fornitura del servizio ceduto, si
può configurare una cessione di ramo d'azienda (solo) quando al trasferimento del personale si
accompagni quella del complesso degli altri elementi che lo rendeva autonomamente idoneo allo
svolgimento del servizio”.

L’officina del giudice


L’onere della prova
“L'onere di allegare e provare l'insieme dei fatti integranti un trasferimento di ramo
d'azienda incombe sul datore di lavoro cedente che intenda avvalersi degli effetti previsti
dall'art. 2112 cod. civ., trattandosi di eccezione al principio generale del necessario consenso del
lavoratore ceduto" (Cass. n. 4601/2015, n. 4423/2016, n. 4500/2016, n. 9682/2016).

Il requisito della preesistenza


Può parlarsi di trasferimento di ramo d’azienda soltanto a fronte di una entità
produttiva funzionalmente autonoma che sia preesistente alla cessione, dovendosi
escludere la genuinità del trasferimento d’azienda laddove la struttura produttiva sia
stata creata ad hoc in occasione del trasferimento.
Una diversa interpretazione dell’art. 2112 c.c. contrasterebbe con la normativa
dell’Unione che richiede già prima di quest'atto un’entità economica che conservi la
propria identità ossia un assetto già formato, e con gli artt. 4 e 36 Cost., che
impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori (sent. n. 115 del
1994 della Corte Cost.) ad un mero atto di volontà del datore di lavoro, incontrollabile
per l'assenza di riferimenti oggettivi (cfr. Cass. n. 22935/16, n. 8757/2014, n. 21711/2012).

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Il requisito dell’autonomia
Perché possa parlarsi di trasferimento di ramo d’azienda occorre l’idoneità di
quest’ultimo, già al momento dello scorporo dal complesso aziendale del cedente, a
provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi
(cfr. Cass. n. 9682/2016; n. 5425/ 2015, n. 25229/ 2015, n. 8759/ 2014, n. 2766/ 2013, n.
2261/ 2013, n. 21711/ 2012).

Rapporto tra autonomia funzionale del ramo ceduto e integrazioni da parte del
cessionario
“Costituisce elemento costitutivo della cessione del ramo di azienda prevista dall'art.
2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, l'autonomia funzionale
del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso
cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionale ed organizzativi e
quindi di svolgere - autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del
cessionario - il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al
momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga
contestualmente stipulato tra le parti" (Cass. n. 1316/2017, n. 10542/2016).
“L'autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto può non coincidere con la
materialità dello stesso, ma comunque l'autonomia dell'entità ceduta deve essere obiettivamente
apprezzabile, sia pure con possibili interventi integrativi imprenditoriali ad opera del
cessionario, al fine di verificarne l'imprescindibile requisito comunitario della sua conservazione
(Cass. n. 1316/2017).

Precisazioni sul requisito dell’autonomia contenute nella sentenza Klarenberg


La vicenda Klarenberg nasce dall’acquisizione, da parte della società Ferrotron
e della sua casa madre statunitense, di personale, di materiali di fabbricazione e
informatico, di diritti su software, brevetti, domande di brevetti ed invenzioni, nonché
di diritti sui nomi di prodotti e sul know how tecnico dell’impresa tedesca ET.
La peculiarità della fattispecie è data dal fatto che, sulla base degli accordi
contrattuali, la società madre di Ferrotron acquisiva tutti i diritti sui software, sui
brevetti, sulle domande di brevetti e sulle invenzioni relative ai prodotti citati, nonché i
diritti sui nomi dei prodotti e sul know-how tecnico, mentre Ferrotron acquisiva il
materiale informatico di sviluppo e i materiali di fabbricazione in magazzino
appartenenti alla ET, il relativo elenco di fornitori e clienti, nonché un certo numero di
lavoratori dipendenti della ET ed alcun ingegneri. Questi ultimi sono stati peraltro poi
adibiti anche a mansioni attinenti a prodotti diversi da quelli acquisiti.
A fronte di questa sorta di triangolazione, la Corte afferma che:
36 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’art. 1, n. 1, lett. a) e b), della
direttiva 2001/23 debba essere interpretato nel senso che quest’ultima sia applicabile anche ad una
situazione in cui il nuovo datore di lavoro non conservi, per la parte di impresa o stabilimento
ceduta, la sua autonomia dal punto di vista organizzativo.
- omissis-

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41 Dal combinato disposto di cui all’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/23 e dello stesso n. 1,
lett. b), risulta che, nel caso in cui l’entità economica trasferita non mantenga la sua identità, la
disposizione principale enunciata al suddetto art. 1, n. 1, lett. a), viene messa fuori gioco
dall’applicazione delle disposizioni del suddetto n. 1, lett. b). Ne consegue che quest’ultima
disposizione è idonea a limitare la portata dell’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/23 e, quindi,
la portata della protezione concessa dalla direttiva in parola. Una siffatta disposizione deve pertanto
essere interpretata restrittivamente.
42 Orbene, la convenuta nella causa principale sostiene che l’«entità economica», di cui all’art. 1, n. 1,
lett. b), della direttiva 2001/23 conserva la sua identità solo se viene mantenuto il nesso
organizzativo che unisce l’insieme delle persone e/o degli elementi. Per contro, l’entità economica
ceduta non conserverebbe la sua identità nell’ipotesi in cui, a seguito della cessione, perda la sua
autonomia dal punto di vista organizzativo, in quanto le risorse acquisite vengono integrate dal
cessionario in una struttura integralmente nuova.
43 Tuttavia, tenuto conto in particolare dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2001/23, intesa, come
risulta dal punto 40 della presente sentenza, a garantire una protezione effettiva dei diritti dei
lavoratori in una situazione di trasferimento, una siffatta concezione dell’identità dell’entità
economica che riposa unicamente sul fattore relativo all’autonomia organizzativa, nei termini
sostenuti dalla convenuta nella causa principale, non può essere accolta. Essa, infatti, in ragione del
solo fatto che il cessionario decida di dissolvere la parte di impresa o di stabilimento acquisita e di
integrarla nella sua struttura, implicherebbe l’esclusione dell’applicazione della direttiva 2001/23 a
tale parte di impresa o di stabilimento, privando così i lavoratori interessati della tutela concessa
dalla direttiva medesima.
44 Per quanto riguarda, più esattamente, il fattore relativo all’organizzazione, se è vero che la Corte ha
in precedenza giudicato che questo concorre a definire l’identità di un’entità economica (v., in
questo senso, sentenze 11 marzo 1997, causa C-13/95, Süzen, Racc. pag. I-1259, punto 15; 2
dicembre 1999, causa C-234/98, Allen e a., Racc. pag. I-8643, punto 27; 26 settembre 2000, causa
C-175/99, Mayeur, Racc. pag. I-7755, punto 53, nonché 25 gennaio 2001, causa C-172/99,
Liikenne, Racc. pag. I-745, punto 34), essa ha anche giudicato che una modifica della struttura
organizzativa dell’entità ceduta non è tale da essere di ostacolo all’applicazione della direttiva
2001/23 (v., in questo senso, sentenze 7 marzo 1996, cause riunite C-171/94 e C-172/94, Merckx e
Neuhuys, Racc. pag. I-1253, punti 20 e 21; Mayeur, già citata, punto 54, nonché 13 settembre
2007, causa C-458/05, Jouini e a., Racc. pag. I-7301, punto 36).
45 Peraltro, l’art. 1, n. 1, lett. b), della direttiva 2001/23 definisce esso stesso l’identità di un’entità
economica facendo riferimento a un «insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività
economica, sia essa essenziale o accessoria», ponendo così l’accento non solo sull’elemento
organizzativo dell’entità trasferita, ma anche su quello del proseguimento della sua attività
economica.
46 Dato quanto precede, la condizione relativa al mantenimento dell’identità di un’entità economica ai
sensi della direttiva 2001/23 va interpretata prendendo in considerazione i due elementi, quali
previsti dall’art. 1, n. 1, lett. b), della direttiva 2001/23, che, considerati nel loro insieme,
costituiscono tale identità, nonché l’obiettivo della protezione dei lavoratori contemplato da tale
direttiva.
47 Conformemente a tali considerazioni ed al fine di non privare la direttiva 2001/23 di una parte del
suo effetto utile, il presupposto in parola va interpretato non già nel senso che richiede il
mantenimento dell’organizzazione specifica imposta dall’imprenditore ai diversi fattori di
produzione trasferiti, ma, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 42 e 44 delle sue

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conclusioni, nel senso che presuppone il mantenimento del nesso funzionale di interdipendenza e
complementarità fra tali fattori.
48 Infatti il mantenimento di un siffatto nesso funzionale tra i vari fattori trasferiti consente al
cessionario di utilizzare questi ultimi, anche se essi sono integrati, dopo il trasferimento, in una
nuova diversa struttura organizzativa al fine di continuare un’attività economica identica o analoga
(v., in questo senso, sentenza 4 aprile 1994, causa C-392/92, Schmidt, Racc. pag. I-1311, punto 17).
- omissis -
53 La questione sollevata dal giudice del rinvio va pertanto risolta dichiarando che l’art. 1, n. 1, lett. a)
e b), della direttiva 2001/23 dev’essere interpretato nel senso che tale direttiva può essere applicata
anche in una situazione in cui la parte di impresa o di stabilimento ceduta non conserva la sua
autonomia dal punto di vista organizzativo, a condizione che il nesso funzionale tra i differenti
fattori di produzione trasferiti venga mantenuto e consenta al cessionario di utilizzare questi ultimi
al fine di proseguire un’attività economica identica o analoga, circostanza questa che spetta al
giudice del rinvio verificare.

Precisazioni sul requisito dell’autonomia contenute nella sentenza Ferreira


La controversia di merito è stata introdotta dai dipendenti di una società
operante nel settore del trasporto aereo non di linea (voli charter), destinatari di un
provvedimento di licenziamento collettivo a seguito della liquidazione della società in
data 19 febbraio 1993.
Dal 1 maggio 1993, TAP, principale azionista della società in liquidazione AIA,
ha iniziato a gestire una parte dei voli che AIA si era impegnata ad effettuare nel
periodo dal 1 maggio al 31 ottobre 1993. TAP ha effettuato inoltre un certo numero di
voli charter, mercato nel quale fino a quel momento non era attiva, poiché si trattava di
rotte servite in precedenza da AIA. A tal fine, TAP ha utilizzato una parte delle
attrezzature che AIA utilizzava per le sue attività (in particolare quattro aerei). TAP ha
altresì preso in carico il pagamento dei canoni corrispondenti ai relativi contratti di
leasing, ha rilevato le apparecchiature da ufficio precedentemente possedute e
utilizzate dall’AIA nei suoi locali, nonché altri beni mobili. Inoltre, TAP ha assunto
alcuni ex dipendenti di AIA.
I lavoratori hanno quindi impugnato il licenziamento chiedendo la propria
riassunzione da parte di TAP e il pagamento delle retribuzioni.
La Corte di Giustizia ha osservato:
32 Ciò premesso, ai fini dell’applicazione dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, è
inconferente il fatto che l’entità da cui sono stati riassunti il materiale e una parte dell’organico sia
stata integrata, senza conservare la sua struttura organizzativa autonoma, nella struttura della
TAP, in quanto è stato mantenuto un collegamento tra, da un lato, tale materiale e personale
trasferiti a quest’ultima e, dall’altro, la prosecuzione delle attività prima svolte dalla società
liquidata. Considerati tali fatti, non rileva che i materiali di cui trattasi siano stati utilizzati tanto
per la realizzazione di voli regolari quanto per quella di voli charters, trattandosi, comunque, di
operazioni di trasporto aereo e posto che la TAP ha onorato gli obblighi contrattuali dell’AIA
relativi a tali voli charters.
33 Discende infatti dai punti 46 e 47 della sentenza Klarenberg (C-466/07, EU:C:2009:85) che è il
mantenimento non già della struttura organizzativa specifica imposta dall’imprenditore ai diversi
fattori di produzione trasferiti, bensì del nesso funzionale di interdipendenza e complementarità fra

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tali fattori a costituire l’elemento rilevante per determinare la conservazione dell’identità
dell’entità trasferita.
34 Infatti, il mantenimento di un siffatto nesso funzionale tra i vari fattori trasferiti consente al
cessionario di utilizzare questi ultimi, anche se essi sono integrati, dopo il trasferimento, in una
nuova diversa struttura organizzativa al fine di continuare un’attività economica identica o
analoga (v. sentenza Klarenberg, C-466/07, EU:C:2009:85, punto 48).
35 Alla luce delle considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alla prima questione dichiarando
che l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, deve essere interpretato nel senso che la
nozione di «trasferimento di uno stabilimento» comprende una situazione nella quale un’impresa
attiva nel mercato dei voli charter è liquidata dal suo azionista di maggioranza, che è a sua volta
impresa di trasporto aereo, e nella quale, successivamente, quest’ultima subentra all’impresa
liquidata riassumendone i contratti di locazione di aerei e i contratti di voli charters in vigore,
svolge l’attività precedentemente svolta dall’impresa liquidata, riassume alcuni lavoratori fino a
quel momento distaccati presso tale impresa, collocandoli in funzioni identiche a quelle svolte in
precedenza e riprende piccole apparecchiature di detta impresa.

Il criterio “tipologico” delineato dalla Corte di Giustizia per la valutazione


dell’esistenza di un trasferimento di un’entità economica
Secondo la Corte per poter determinare se sussistano le caratteristiche di un
trasferimento di un'entità economica, dev'essere preso in considerazione il complesso
delle circostanze di fatto che caratterizzano l'operazione di cui trattasi, tra le quali
rientrano, in particolare (Ferreira da Silva punto 26; Temco punto 24; Abler punto 34;
Spijkers punto 13, Süzen punto 14):
- il tipo di impresa o di stabilimento in questione,
- la cessione o meno di elementi materiali, come gli edifici e i beni mobili,
- il valore degli elementi immateriali al momento della cessione,
- la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo
imprenditore,
- il trasferimento o meno della clientela,
- il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione
- la durata di un'eventuale sospensione di tali attività.
Tali elementi costituiscono tuttavia soltanto aspetti parziali della valutazione
complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere considerati
isolatamente.
Il giudice nazionale deve tener conto, nell’ambito della valutazione delle
circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione de qua, del genere d’impresa o di
stabilimento di cui trattasi. Ne consegue che l’importanza da attribuire
rispettivamente ai singoli criteri caratterizzanti la sussistenza di un trasferimento ai
sensi della direttiva 2001/23 varia necessariamente in funzione dell’attività esercitata o
addirittura in funzione dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell’impresa,
nello stabilimento o nella parte di stabilimento in questione (Ferreira da Silva punto
26; Güney-Görres e Demir punti 34 – 35; Süzen punto 18; 10 dicembre 1998, Hidalgo
punto 31; Abler punto 35).
In sintesi:

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- l’individuazione dell’entità economica organizzata deve essere desunta da una serie
di indici evocativi della fattispecie;
- la valutazione deve però essere complessiva, in quanto detti elementi indiziari “non
possono essere considerati isolatamente”;
- gli indici devono poi essere ponderati in modo diverso a seconda del tipo di attività
economica esercitata.

La cessione di un ramo "dematerializzato" o "leggero" e le attività c.d. labour


intensive
Con riferimento alle c.d. attività labour intensive, ovvero alle attività nelle quali
la maggior parte dei fattori produttivi è costituita da manodopera (ad esempio servizi
di pulizia o di mensa), la Corte di Giustizia ha affermato:
- che un’entità economica può essere in grado, in determinati settori, di operare senza
elementi patrimoniali materiali o immateriali significativi, di modo che la
conservazione della sua identità, al di là dell’operazione di cui essa è oggetto, non
può dipendere dalla cessione di tali elementi (UGT-FST punto 28; Temco punto 25;
Süzen punto 18; Hernández Vidal punto 31; Hidalgo punto 31);
- che ai fini dell’applicazione della direttiva, l’entità economica in questione deve,
anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente, là
dove la nozione di autonomia si riferisce ai poteri, riconosciuti ai responsabili del
gruppo di lavoratori considerato, di organizzare, in modo relativamente libero e
indipendente, il lavoro in seno a tale gruppo e, più specificamente, di impartire
istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati appartenenti al gruppo
medesimo, e ciò senza intervento diretto da parte di altre strutture organizzative
del datore di lavoro (Amatori punto 32; Scattolon punto 51);
- che quando, in determinati settori in cui l’attività si fonda essenzialmente sulla mano
d’opera, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un’attività comune può
corrispondere ad un’entità economica, si deve necessariamente ammettere che una
siffatta entità possa conservare la sua identità al di là del trasferimento qualora il
nuovo imprenditore non si limiti a proseguire l’attività stessa, ma riassuma anche
una parte essenziale, in termini di numero e di competenza, del personale
specificamente destinato dal predecessore a tali compiti. In una siffatta ipotesi il
nuovo imprenditore acquisisce infatti l’insieme organizzato di elementi che gli
consentirà il proseguimento delle attività o di talune attività dell’impresa cedente in
modo stabile (UGT-FST punto 29; Temco punto 26; Süzen punto 21; Hernández
Vidal punto 32, Hidalgo punto 32);
- che in particolare, nel caso di un’impresa di pulizie, un gruppo organizzato di
dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune può, in
mancanza di altri fattori produttivi, corrispondere ad un’entità economica ( UGT-
FST punto 30; Hernández Vidal punto 27).

Secondo la Corte di Cassazione, “seppure può oggi ritenersi che l'autonomia funzionale
del ramo di azienda ceduto non coincida con la materialità dello stesso (quanto a strutture, beni

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strumentali ed attrezzature, etc.), ma possa consistere anche in un ramo "smaterializzato" o "leggero",
costituito in prevalenza da rapporti di lavoro organizzati in modo idoneo, anche potenzialmente (od al
netto dei supporti generali sussistenti presso l'azienda cedente), allo svolgimento di un'attività
economica, ciò non toglie che tale autonomia dell'entità ceduta debba essere obiettivamente apprezzabile,
sia pur con possibili interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cessionario, al fine di verificarne
l'imprescindibile requisito comunitario della sua "conservazione". Non può ammettersi invece -alla luce
dei principi comunitari, cfr. C.G.E. 24 gennaio 2002, causa C-51100- che tale legame funzionale possa
derivare (soggettivamente) solo dalla qualificazione fattane dal cedente e dal cessionario al momento del
trasferimento, consentendo ai soggetti stipulanti il negozio traslativo (peraltro neppure portatori di
superiori interessi pubblici o collettivi), la libera definizione della fattispecie cui la norma inderogabile si
applica, e ciò in contrasto con la disciplina comunitaria in ordine all'inderogabilità dei diritti dei
lavoratori in caso di trasferimento di azienda. D'altro canto è principio consolidato nella giurisprudenza
comunitaria (cfr. C.G.E. 14 novembre 1996, C-305/1994) quello per cui la vicenda traslativa si
perfeziona ipso iure, risultando irrilevante la contraria volontà delle parti del negozio traslativo” (Cass.
n. 12103/2014; n. 19985/2014).

Tali principi possono essere estesi anche alle attività hi-tech ed in genere alle
attività in cui il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know how, e
cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che
proprio in virtù di esso sia in grado di fornire lo stesso ed autonomo servizio.

Il criterio di identificazione di natura “presuntiva”


Premesso che secondo la Corte di Giustizia il criterio ermeneutico decisivo per
stabilire se sussista un trasferimento nel senso della direttiva consiste nel fatto che
l'entità in questione conservi la sua identità, secondo alcune sentenze ciò può
desumersi in particolare dalla prosecuzione effettiva della gestione o dalla sua ripresa
(Ferreira da Silva punto 25; Spijkers punti 11 e 12; Güney-Görres e Demir punto 31).
Al riguardo occorre evidenziare che il criterio c.d. “presuntivo” è stato
affermato in pronunce relative a controversie in cui i lavoratori, licenziati, chiedevano
l’accertamento dell’esistenza di un trasferimento di azienda o di ramo d’azienda.

Casistica
Cass. civ. Sez. lavoro, 15 giugno 2017 n. 25382
Cessione del reparto carpenteria di Wartsila
Essendo pacifico che il reparto carpenteria di Wartsila non era stato creato al momento
della cessione a Meloni HI, la Corte triestina ha disatteso la tesi dell'appellante
secondo cui la mancanza di autonomia del ramo d'azienda ceduto sarebbe stata
dimostrata, da una parte, dalla circostanza che il reparto carpenteria della società
cedente era un segmento produttivo in perdita e, dall'altra, dal fatto che la società
cessionaria - dotata di un capitale costituito in gran parte da conferimenti in natura -
aveva operato per circa due anni senza effettuare alcun investimento e si era limitata
ad eseguire quasi esclusivamente le commesse della società cedente, continuando a
lavorare sempre con metodi, fornitori, mezzi e supporto del personale di Wartsila…..
Anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 … ai fini del trasferimento
di ramo d'azienda previsto dall'art. 2112 c.c. costituisce elemento costitutivo della
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cessione l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al
momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo
produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, senza
integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati
nell'ambito dell'impresa cedente (Cass. n. 11247 del 2016; conf. Cass. n. 17366 del 2016).
Pertanto la Corte triestina non ha violato o falsamente applicato la legge laddove ha
interpretato l'art. 2112 c.c. secondo i principi di diritto innanzi espressi, correttamente
ritenendo estranee alla fattispecie astratta elementi quali la necessità che il ramo
d'azienda produca utili e non sia in perdita, la durata dell'impresa cessionaria che resti
sul mercato per un certo tempo senza fallire, la capacità economica ed imprenditoriale,
e quindi i mezzi ed i capitali dell'impresa stessa; quanto poi alla valenza sintomatica di
tali elementi quali circostanze idonee a dimostrare l'assenza di autonomia funzionale
del ramo ceduto naturalmente tale valutazione investe pienamente l'apprezzamento
della quaestio facti che, per quanto innanzi detto, sfugge al sindacato di legittimità”.

Cass. 15 marzo 2017 n. 6770


Cessione del centro fitness e benessere interno ad un albergo.
La società facente capo ad una catena alberghiera aveva affidato a terzi l'appalto per la
fornitura dei servizi operativi per il centro di fitness e benessere interno all'albergo.
Al termine dell'appalto il complesso aziendale, comprensivo di tutti i beni, era rientrato
sotto la diretta gestione della società alberghiera.
Secondo la Corte di Cassazione, quando l’attività era stata nuovamente internalizzata,
al momento della cessazione dell'appalto di servizi, si era realizzato un trasferimento di
ramo d’azienda: i locali, le attrezzature, l'organizzazione complessiva del centro fitness
e quasi tutti i dipendenti erano passati alla gestione diretta della catena alberghiera.

Cass. 19 gennaio 2017 n. 1316


Cessione del call center di Sesto San Giovanni, da Wind Telecomunicazioni spa a
Omnia Service Center
33. I beni materiali effettivamente ceduti sono stati gli arredi, n. 304 personal computers, cuffie, telefoni,
stampanti, apparati di rete e apparati sale.
34. Con il contratto di appalto (di durata quinquennale), sottoscritto unitamente a quello di cessione, la
W.T. spa affidò a O.S.C. spa, per un corrispettivo di Euro 10.400.00,00, la fornitura a proprio favore dei
servizi customer care per la propria clientela corporate non Top e consumer (privati e piccole aziende), in
particolare i servizi di cali center inbound e outbound e quelli di back office.
35. La Wind, invece, non affidò i medesimi servizi per la clientela TOP, che era anche gestita dal Call
Center di (omissis), nonchè l'assistenza tecnica.
36. Inoltre, con il Long Term Agreement (LTA), fu sottoscritto un contratto avente ad oggetto "ulteriori
beni funzionali all'esercizio dell'attività del Ramo di Azienda - la cui titolarità rimarrà in capo a Wind,
senza alterare l'unità economica e funzionale del Ramo di Azienda - secondo previsto nel Contratto di
Appalto di Servizi". La durata del contratto fu determinata in cinque anni.
37. A tale riguardo non possono essere condivise le argomentazioni dei giudici di seconde cure circa la
sussistenza di un carattere consuetudinario, nell'attività di call center, e particolarmente in un settore ad
alta tecnologia informatica, dell'utilizzo di beni, quali i data base e i programmi SW necessari per gestirli
che rimangano nella proprietà del committente e vengano utilizzati dall'appaltatore, così come
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riconosciuto in altri settori dalla Corte di Giustizia, per esempio, in quello minerario (cfr. causa Allen -
CG 2.12.1999 - causa C - 234/98).
38. Infatti, in primo luogo va osservato che la mancata cessione dei programmi e dei sistemi informatici
(che venivano utilizzati dai dipendenti prima dello scorporo), nel settore della telefonia mobile, può
trovare il suo fondamento non nella consuetudine, bensì nel fatto che i data base contenevano (e
contengono) dati sensibili relativi ai clienti per cui l'incedibilità dei programmi che consentono l'accesso
e la modifica di tali data base è connessa ad esigenze di riservatezza e alla conseguente necessità che
anche gli altri programmi e gli operativi informatici utilizzati prima della cessione per lo svolgimento di
diverse attività rimangano nella proprietà della cedente.
39. In secondo luogo, deve precisarsi che la giurisprudenza comunitaria richiamata dalla Corte
territoriale, posta a fondamento della ritenuta sussistenza di un carattere consuetudinario circa il
mancato trasferimento da parte del cedente dei beni per la realizzazione dell'attività, riguarda settori
(ristorazione in ospedali, sentenza Abler; controllo passeggeri, sentenza Guney-Gorres, Demir;
trivellazione, sentenza Allen) dove l'entità economica era sin da principio costituita da due specifiche
parti (personale, da una parte, e beni materiali, dall'altra), ascrivibili alla proprietà e titolarità formale di
due distinti soggetti.
40. Circostanza, questa, non rinvenibile nel caso in esame in cui vi era un unico titolare dei beni,
materiali e personale, successivamente separati senza che i lavoratori avessero chiesto di seguire
l'azienda.
41. Con riferimento, inoltre, proprio al personale dipendente deve sottolinearsi che oggetto della cessione
furono 268 lavoratori. Per alcuni di questi, però, la stessa Corte di merito ha riattivato il rapporto con
W.T. spa perché mancava il requisito dell'appartenenza funzionale al ramo ceduto.
42. Da tale ultima circostanza possono ricavarsi due conseguenze.
43. La prima concerne il fatto che non si è in presenza di una cessione di un ramo "dematerializzato" o
"leggero" perché i lavoratori ceduti evidentemente non costituivano un gruppo coeso per professionalità,
con precisi legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifico know how tali da individuarli come
una struttura unitaria funzionalmente idonea e non invece come una mera sommatoria di dipendenti.
44. La seconda riguarda la circostanza che quella ceduta è stata una struttura produttiva creata ad hoc in
occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, proprio perché ad
essa facevano parte anche lavoratori addetti alla attività di assistenza della clientela di fascia più alta
(TOP fisso e mobile), rimasta della competenza Wind.
45. Infine, sotto il profilo dell'autonomia operativa, va considerata la mancanza di autonomia nella
organizzazione del lavoro atteso che tutte le procedure operative, anche dettagliate, erano determinate a
livello centrale, così, come gli obiettivi da raggiungere, l'autorizzazione, di spese per trasferte, rimborsi e
cancelleria nonché le regole comportamentali di base per il rapporto con il cliente al punto che, in caso di
necessità, gli interventi venivano passati ad altre strutture, interne o esterne Wind.
46. Dagli elementi sopra indicati, incontroversi e pacificamente riportati nella gravata sentenza, non può
ritenersi applicabile il disposto di cui all'art. 2112 c.c. perché non si verte in una ipotesi di cessione di un
insieme organicamente finalizzato ex ante all'esercizio dell'attività di impresa, con autonomia funzionale
di beni e strutture già esistenti al momento del trasferimento e, dunque, non solo teorica o potenziale
(Cass. n. 5038/2016).

Cass. 11 maggio 2016, n. 9682


Cessione di ramo d’azienda Vodafone Omnitel - Comdata
Con contratto di cessione di ramo d'azienda del 5 novembre 2007, all'esito della procedura di cui all’art,
47 L. n. 428 del 1990, Vodafone Omnitel NV cedeva a Comdata care s.p.a. i servizi di back office
consumer, back office corporate e gestione credito, con il relativo personale presso le sedi di (omissis). In

16
pari data le due società sottoscrivevano un contratto d'appalto dei suddetti servizi dalla prima alla
seconda società.
Disattese le argomentazioni con le quali i ricorrenti sostenevano l'intento discriminatorio della cessione,
(la Corte) argomentava che il ramo d'azienda ceduto, in conformità con l'art. 2112 c.c. e con la direttiva
98/50/CE trasfusa, con la precedente 77/187, nella Direttiva 2001/23 e con la giurisprudenza della Corte
di giustizia, aveva una stabile autonomia funzionale ed organizzativa. Infatti, erano stati ceduti i
contratti inerenti il ramo, con la sola esclusione delle locazioni delle sedi di (omissis), i beni materiali e
immateriali necessari per svolgere tale attività e le relative passività; inoltre, era stato trasferito tutto il
personale adibito alle attività cedute, ad eccezione di alcuni responsabili rimasti in Vodafone che
svolgevano però attività di direzione su reparti più ampi del back office della clientela. Né avevano pregio
le considerazioni relative all'utilizzo da parte dei lavoratori del ramo ceduto dei programmi di proprietà
Vodafone e delle interconnessioni con personale Vodafone, considerato che il servizio back office necessita
di informazioni e documenti relativi alla posizione dei clienti del gestore telefonico, imponendo tuttavia la
riservatezza dei dati sensibili che deve essere protetta; perciò, necessariamente la cessionaria deve poter
accedere ed utilizzare la piattaforma informatica di Vodafone, la quale da parte sua deve poter verificare
chi accede. Inoltre, i dipendenti trasferiti avevano piena autonomia operativa, essendo limitata a casi
eccezionali o alle informazioni su nuovi processi l'ipotesi in cui dovessero contattare gli uffici rimasti alla
cedente. Osservava che l'utilizzo da parte dei lavoratori del ramo ceduto dei programmi di proprietà della
cedente e le interconnessioni con personale di quest'ultima non contraddicono comunque il concetto di
autonomia funzionale, inteso in termini di capacità di produrre un determinato servizio, e ciò nonostante
il fatto che per ottenere il medesimo siano necessari coordinamenti e appunto interconnessioni: l'art.
2112 c.c., comma 6 legittima del resto il contratto di appalto di servizi relativi al ramo ceduto.
- omissis -
6.6. Il principio di diritto che regola la fattispecie è dunque il seguente: "Costituisce elemento costitutivo
della cessione di ramo d'azienda prevista dall'art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276
del 2003, art. 32, l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento
dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi,
funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere -autonomamente dal cedente e senza integrazioni di
rilievo da parte del cessionario - il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa
cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che
venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti
dall'art. 2112 c.c. che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto
stabilito dall'art. 1406 c.c., fornire la prova dell'esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano
l'operatività".
7. Ciò posto, occorre rilevare che la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di tale principio.
In particolare, laddove ha descritto quale fosse la dotazione del complesso ceduto, ha indicato "i contratti
inerenti il ramo - con la sola esclusione delle locazioni delle sedi di (omissis) - come pure i beni materiali e
immateriali necessari per svolgere tali attività, nonché tutto il personale adibito alle attività cedute alla
cessionaria" (ad eccezione di due responsabili). Al fine poi di disattendere il motivo d'appello che
valorizzava l'utilizzo da parte dei lavoratori del ramo ceduto dei programmi di proprietà della cedente e
delle interconnessioni con il personale di quest'ultima, ha argomentato che tali aspetti "non
contraddicono il concetto di autonomia funzionale, inteso in termini di capacità di produrre un
determinato servizio, e ciò nonostante il fatto che per ottenere il medesimo siano necessari coordinamenti
e appunto interconnessioni".
In tal modo, la Corte territoriale non ha però risposto al quesito che la stessa aveva ritenuto necessario
risolvere per qualificare il contratto intercorso tra Vodafone e Comdata come cessione di ramo d'azienda,
non risultando da quali elementi risulterebbe l'autonomia funzionale del ramo ceduto, e quindi la

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capacità di esso, indipendentemente dal coevo contratto di appalto, di svolgere autonomamente dal
cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui risultava
finalizzato al momento della cessione. Allo scopo non era infatti sufficiente che i beni materiali e
immateriali ceduti fossero "necessari" per lo svolgimento delle attività inerenti il ramo, in quanto la
Corte non ha esaminato se essi fossero anche sufficienti, né ha argomentato specificamente in ordine al
rilievo, formulato dalla parte appellante e riferito dalla stessa Corte, che fra i contratti ceduti non
risultasse quello dell'immobile in cui i lavoravano a (omissis), né fossero stati ceduti gli arredi ed i
sistemi operativi già utilizzati presso tale sede, né le infrastrutture tecnologiche necessarie per l'attività,
hub e router, né il personale fosse dotato di particolare know how o di specifica elevata professionalità.
Non poteva del resto essere sufficiente l'autonomia organizzativa e funzionale assunta della cessionaria
nello svolgimento dell'attività, non risultando chiarito quanto di tale autonomia derivasse dalle sole
potenzialità del complesso ceduto e quanto invece fosse frutto delle integrazioni strutturali e
organizzative adottate da Comdata e di quelle fornite in virtù del contratto d'appalto.

Cass., 28 ottobre 2013, n. 24262


Cessione del servizio "Document Management" di Telecom Italia s.p.a.
Orbene, nella fattispecie in esame la Corte di merito ha accertato che il negozio
traslativo non aveva avuto ad oggetto un ramo d'azienda nel senso indicato, non
essendo stato soddisfatto il requisito dell'autonomia funzionale del ramo ceduto.
La cessione aveva infatti riguardato una articolazione aziendale non in grado di
presentarsi sul mercato in modo autosufficiente, risolvendosi in una cessione di una
pluralità di contratti di lavoro subordinato e quindi in una forma di espulsione di
quote di personale non consentita.
Si trattava di un'entità costituita solo da rapporti di lavoro con parte dei dipendenti
addetti al servizio di Document Management e da dotazioni di ufficio assolutamente
prive di rilevanza, non idonee ad assicurare il servizio di "gestione della
corrispondenza in ingresso e in uscita" e delle operazioni ad esso connesse.
Non erano state trasferite al cessionario le dotazioni indispensabili all'espletamento
del servizio (computer e programmi) né erano stati posti a disposizione del cessionario
altri beni all'uopo necessari, dei quali il cedente si era riservata la proprietà. Inoltre, la
cessione non aveva riguardato tutta l'attività di gestione della corrispondenza
Telecom, essendo rimasti esclusi taluni servizi, fra cui la cosiddetta corrispondenza
"Top", ossia quella indirizzata alla sede centrale di Roma che, secondo l'assunto della
società cedente, era rimasta in Telecom per ragioni di riservatezza e di celerità.
La situazione patrimoniale allegata al contratto di cessione evidenziava, poi, che, a
fronte di immobilizzazioni materiali valutate in complessivi Euro 77.790, erano stati
ceduti debiti verso il personale pari ad Euro 367.869,00, cui erano da aggiungere Euro
3.458.077,00 per quote di accantonamento del trattamento di fine rapporto”

Corte d’appello di Bologna 24 aprile 2017


Il ramo (c.d. ramo Cavone o Gestione Operativa ramo Cavone) di ENI s.p.a., ceduto
da ENI s.p.a. e Padana Energia s.p.a, società (c.d. new. co.) appositamente costituita da
Eni s.p.a.

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“Risulta dalla analitica ricostruzione in fatto operata dal giudice di prime cure -
sostanzialmente incontestata e comunque documentale- da intendersi qui richiamata,
che il ramo G.O. è stato appositamente creato per essere ceduto con atto notarile del
18/12/09 alla Società P.E. s.p.a., con effetto dall'1/1/10.
Non si discute pertanto del fatto che il ramo in questione fosse dotato di beni immobili,
mobili, strutture, personale etc.; quanto del fatto che tale articolazione sia stata
assemblata ad hoc - anche attraverso la modifica delle mansioni e delle sedi di lavoro di
parte del personale poi destinato al reparto stesso - in occasione del trasferimento per
essere appunto ceduta alla new co all'uopo costituita.
E, ad avviso della Corte, questa operazione non è consentita, non potendosi ammettere
"un trasferimento di ramo d'azienda con riferimento alla sola decisione, assunta dal
soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un'unica
funzione al momento del trasferimento. Tanto infatti contrasterebbe, e con le direttive
comunitarie nn. 1996/50 e 2001/23 che richiedono già prima di quest'atto 'una entità
economica che conservi la propria identità' ossia un assetto già formato, e con gli artt. 4
e 36 Cost. , che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori
(sent. n. 115 del 1994 della Corte Cost.) ad un mero atto di volontà del datore di lavoro,
incontrollabile per l'assenza di riferimenti oggettivi (cfr. Cass. 15 aprile 2014 n. 8757 e
Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711 cit.) (così Cass. n. 22935/16)”.

Corte d’appello di Roma 24 marzo 2017


Il ramo servizi back-office di Banca Monte dei Paschi di Siena
Premesso quanto sopra, deve evidenziarsi che dalle allegazioni contenute negli atti di
primo e di secondo grado, nonché dalla documentazione prodotta in giudizio si ricava
che la struttura denominata COG (Consorzio Operative Gruppo MPS) aveva
provveduto a trasferire alla Banca Monte dei Paschi di Siena in data 1/3/2013 il ramo
servizi «back office», ovvero «il complesso di beni organizzato per l'esercizio di attività
amministrative, contabili e ausiliarie». — omissis.
Il suddetto ramo di azienda era, pertanto, andato a confluire nella nuova struttura di
BMPS chiamata DAACA (vale a dire Divisione Attività Amministrative, Contabili e
Ausiliarie) la quale, a decorrere dal giorno 1/1/2014, è stata trasferita alla Fruendo s.r.l.
con il contratto di cessione di ramo d'azienda per cui è causa. Tale trasferimento, però,
non aveva riguardato la DAACA nella sua iniziale consistenza ed interezza, dato che
alcuni servizi dell'originaria DAACA non erano stati trasferiti così come singoli ed
autonomi reparti o settori facenti parte degli altri servizi trasferiti, che erano stati infatti
scorporati (vedi sul punto pag.18 memoria BMPS). Tale riorganizzazione della DAACA
era stata disposta il giorno 4/12/2013, vale dire meno di un mese prima della effettività
della cessione del ramo d'azienda.
Inoltre, la società Fruendo s.r.1, è una c.d. new company (formata da Bassilichi s.p.a. e
da Accenture Insurance Service s.p.a) costituita proprio per la acquisizione della
DAACA cosi come rideterminata alla data del 4/12/2013; a ciò deve aggiungersi che i
«softwares» applicativi necessari per l'espletamento delle attività oggetto della cessione

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alla Fruendo s.r.l. sono rimasti di proprietà di BMPS, che li ha concessi in uso alla
società cessionaria.
Tale circostanza dedotta dagli appellanti è stata confermata da BMPS la quale ha
specificato che l'utilizzazione dei programmi applicativi rientra nell'oggetto di un
contratto di appalto a titolo oneroso concluso tra cedente e cessionaria (contratto del
quale gli appellanti hanno chiesto l'esibizione, alla quale si è opposta per varie ragioni
la Banca appellata, vedi sul punto le pagine 21 e 76 della memoria BMPS nel presente
grado); al riguardo va ricordato che secondo la giurisprudenza di legittimità deve
escludersi la esistenza di un ramo d'azienda suscettibile di trasferimento ai sensi
dell'art. 2112 c.c. nella ipotesi di cessione di un servizio senza la contemporanea
attribuzione in uso anche dei programmi applicativi. In particolare, la Corte di
Cassazione ha precisato che un complesso di servizi — privi di struttura aziendale
autonoma e preesistente — consistenti nella gestione e manutenzione di strutture
informatiche e nell'assistenza tecnica, che restino disomogenei per funzioni svolte e
professionalità coinvolte, non integrati tra loro e privi di coordinamento unitario, non
costituisce ramo d'azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c., senza che assuma rilievo, al fine di
ravvisare un valido fenomeno traslativo, la mera decisione, assunta dal cedente, di
unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un'unica funzione al momento del
trasferimento. — omissis.
La funzionalità del ramo ceduto è stata resa possibile in forza di due contratti di
appalto a titolo oneroso sottoscritti il 29 novembre 2013 (uno tra MPS e Fruendo e un
altro tra MPS e Accenture), contratti che tra l'altro prevedono che Fruendo ed
Accenture utilizzino, per erogare i servizi, gli applicativi e le infrastrutture di
information technology (IT) forniti dal COG. — omissis.
Ne consegue che la cessione di ramo d'azienda per cui è causa è avvenuta pur
mancando l'indispensabile presupposto della autonomia funzionale preesistente
dell'entità produttiva.

Corte d’appello di Torino, 15 luglio 2015


La cessione dello stabilimento di lastroferratura e verniciatura di Grugliasco
- nel caso in esame, è indubbio che oggetto di cessione sia stato, oltre ai rapporti di
lavoro dei dipendenti addetti alla produzione e al contratto di locazione del
capannone, l’intero complesso composto da macchinari, impianti ed accessori siti
nello stabilimento di Grugliasco, strumentali all’attività di lastroferratura e
verniciatura di scocche di autoveicoli (oggetto dell’attività produttiva svolta da
Pininfarina in tale stabilimento), “ad eccezione di quelli specificamente utilizzati per
le attuali produzioni della cedente” (cfr. verbale di accordo 20.11.2009); il contratto
di cessione esclude inoltre, per espressa pattuizione, i rapporti contrattuali esistenti
derivanti dalle commesse in corso;
- incontroverso è che non siano state oggetto di cessione le linee meccanizzate
utilizzate per le lavorazioni in corso al momento della cessione (la produzione di
scocche per le autovetture su commesse Ford Werke e Fiat Auto): tali lavorazioni
sono state terminate da De Tomaso Automobili nello stabilimento di Grugliasco in

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forza di contratto di subappalto, con l’utilizzo delle attrezzature di assemblaggio
scocca messe a disposizione della subappaltatrice dalla committente Pininfarina;
l’istruttoria svolta ha consentito di accertare che le linee meccanizzate erano sempre
realizzate ed utilizzate con stretto riferimento alla specifica produzione in corso, ed
erano destinate ad essere smantellate alla cessazione della commessa per essere
sostituite da nuove linee produttive; le linee meccanizzate, pertanto, se certamente
sono indispensabili per la singola produzione oggetto di specifica commessa, non
valgono a caratterizzare l’intrinseca idoneità all’attività produttiva del complesso
degli elementi (stabilimento, arredi, macchinari, impianti ed accessori, forza lavoro)
oggetto del trasferimento a De Tomaso Automobili;
- che quanto oggetto di trasferimento sia nel suo complesso oggettivamente
finalizzato all’attività produttiva emerge altresì dalla considerazione che, con tale
trasferimento di ramo d’azienda, Pininfarina si è del tutto spogliata
dell’organizzazione preesistente ed utilizzata per lo svolgimento di attività di
produzione di scocche: è incontroverso che, con la cessazione delle commesse in
corso al momento del trasferimento e affidate in subappalto alla cessionaria,
Pininfarina non svolge più attività di produzione di scocche e che attualmente si
occupa esclusivamente di modelleria e prototipia;
- va quindi ritenuto che quanto formalizzato come cessione di ramo d’azienda con il
contratto 31.12.2009 corrisponda alla fattispecie tipica dell’art. 2112 c.c., e che non si
sia in presenza di una cessione di singoli rapporti di lavoro, che avrebbe
necessariamente richiesto la manifestazione del consenso dei lavoratori interessati.

Maria Ida Scotto


Giudice del lavoro del Tribunale di Genova

i
Si riportano in calce degli estremi delle sentenze della Corte della Corte di Giustizia citate:
- sentenza 9 settembre 2014, causa C-160/14, Ferreira da Silva e altri
- sentenza 6 marzo 2014, causa C-458/12 Amatori e a.
- sentenza 6 settembre 2011, C-108/2010 Scattolon
- sentenza 29 luglio 2010, causa C-151/09, UGT-FST
- sentenza 12 febbraio 2009, causa C-466/07, Klarenberg
- sentenza 15 dicembre 2005, cause riunite C-232/04 e C-233/04, Güney-Görres e Demir
- sentenza, 20 novembre 2003, C-340/2001, causa Abler e a.
- sentenza 24 gennaio 2002, causa C-51/00, Temco
- sentenza 10 dicembre 1998, cause riunite C-173/96 e C-247/96, Hidalgo e a.
- sentenza 10 dicembre 1998, cause riunite C-127/96, C-229/96 e C-74/97, Hernández Vidal e a.
- sentenza Süzen 11 marzo 1997, causa c-13/95, Süzen, punto 13);
- sentenza 19 settembre 1995, causa C-48/94, Rygaard
- sentenza, 18 marzo 1986, C-24/85, causa Spijkers
- sentenza 7 febbraio 1985, causa C-186/83, Botzen e a.

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