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RAMO AZIENDALE
CORSO P18003
Scandicci, 22-24 gennaio 2018
Coordinatore
Maria Ida SCOTTO
Giudice del Tribunale di Genova, Sezione Lavoro
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L’Officina del Giudice:
Identità e autonomia del ramo aziendale: principi, strumenti e
presupposti fattuali nell’accertamento giudiziale
Come è noto, l’art. 2112 co. 5° c.c., nel testo modificato dall’art. 32 d. lgs.
276/2003 attualmente vigente, prevede che:
“ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda
qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento
nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al
trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia
negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi
l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al
trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di
un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al
momento del suo trasferimento”.
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della disposizione non può rescindere dal raccordo del diritto interno con il diritto
dell’Unione.
La direttiva di riferimento è attualmente la direttiva 2001/23/CE, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei
diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parte di
imprese o di stabilimenti.
Tale direttiva costituisce codificazione della precedente direttiva 77/187/CEE,
successivamente modificata in modo sostanziale dalla direttiva 98/50/CE.
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“Il citato considerando evidenzia il rischio rappresentato, per il mantenimento dei diritti
dei lavoratori, dalla situazione di subentro di un nuovo imprenditore, nonché la necessità di
tutelare i lavoratori dinanzi a tale rischio mediante l’adozione di opportune disposizioni”
(Amatori punto 38) .
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Il giudice nazionale deve tener conto, nell’ambito della valutazione delle
circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione de qua, del genere d’impresa o di
stabilimento di cui trattasi. Ne consegue che l’importanza da attribuire
rispettivamente ai singoli criteri caratterizzanti la sussistenza di un trasferimento ai
sensi della direttiva 2001/23 varia necessariamente in funzione dell’attività esercitata o
addirittura in funzione dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell’impresa,
nello stabilimento o nella parte di stabilimento in questione (Ferreira da Silva punto
26; Güney-Görres e Demir punti 34 – 35; Süzen punto 18; Hidalgo punto 31; Abler
punto 35).
4. La sentenza 6 marzo 2014 causa C-458/12, Lorenzo Amatori e altri contro Telecom
La sentenza interviene su due questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale di
Trento (ordinanza 20 settembre 2012) in merito alla compatibilità dell’art. 2112 c.c. con
la normativa dell’Unione.
La Corte in primo luogo ribadisce i principi già più volte affermati secondo cui:
30. “Secondo una consolidata giurisprudenza, per stabilire se sussista un «trasferimento» dell’impresa,
ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, il criterio decisivo è quello di accertare se
l’entità in questione conservi la propria identità dopo essere stata rilevata dal nuovo datore di lavoro
(v. in tal senso, in particolare, sentenza del 6 settembre 2011, Scattolon, C-108/10, Racc. pag. I-
7491, punto 60 e la giurisprudenza ivi citata).
31. Tale trasferimento deve riguardare un’entità economica organizzata in modo stabile, la cui attività
non si limiti all’esecuzione di un’opera determinata. Costituisce un’entità siffatta qualsiasi
complesso organizzato di persone e di elementi, il quale consenta l’esercizio di un’attività economica
che sia finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo e sia sufficientemente strutturata ed
autonoma (v. sentenze del 10 dicembre 1998, Hernández Vidal e a., C-127/96, C-229/96 e C-74/97,
Racc. pag. I-8179, punti 26 e 27; del 13 settembre 2007, Jouini e a., C-458/05, Racc. pag. I-7301,
punto 31, nonché Scattolon, cit., punto 42)
32. Ne consegue che, ai fini dell’applicazione di detta direttiva, l’entità economica in questione deve in
particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente, là dove la
nozione di autonomia si riferisce ai poteri, riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoratori
considerato, di organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro in seno a tale
gruppo e, più specificamente, di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati
appartenenti al gruppo medesimo, e ciò senza intervento diretto da parte di altre strutture
organizzative del datore di lavoro (sentenza Scattolon, cit., punto 51 e la giurisprudenza ivi citata)
33. Tale conclusione è corroborata dall’articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, della direttiva
2001/23, relativo alla rappresentanza dei lavoratori, a norma del quale tale direttiva è destinata ad
applicarsi a qualsiasi trasferimento che soddisfi le condizioni enunciate all’articolo 1, paragrafo 1,
della direttiva medesima, indipendentemente dal fatto che l’entità economica trasferita conservi o
meno la propria autonomia nella struttura del cessionario (v., in tal senso, sentenza del 12 febbraio
2009, Klarenberg, C-466/07, Racc. pag. I-803, punto 50)
34. Infatti, l’impiego, al citato articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, del termine «conservi»
implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento.
35. Pertanto, qualora risultasse, nel procedimento principale, che l’entità trasferita di cui trattasi non
disponeva, anteriormente al trasferimento, di un’autonomia funzionale sufficiente – circostanza
questa che spetta al giudice del rinvio verificare –, tale trasferimento non ricadrebbe sotto la
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direttiva 2001/23. In tal caso, dalla direttiva non deriverebbe alcun obbligo di mantenimento dei
diritti dei lavoratori trasferiti”
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Il ragionamento della Corte si fonda quindi sul presupposto che l’estensione ai
lavoratori coinvolti in operazioni di outsourcing delle garanzie previste in caso di
cessione dell’intero complesso aziendale costituisca di per sé un rafforzamento della
tutela.
In realtà la portata garantistica di tale estensione sembra venir meno laddove il
cedente sia dotato di una struttura stabile e di grandi dimensioni e il cessionario non
presenti invece identiche caratteristiche.
Nella casistica giurisprudenziale più recente l’applicazione della disciplina
dettata dall’art. 2112 c.c. per il trasferimento del ramo d’azienda viene in effetti
invocata più spesso dal datore di lavoro piuttosto che dal lavoratore.
In ogni caso la rilevanza della pronuncia può verosimilmente essere molto
ridimensionata se si considera che la Corte di Giustizia ha chiaramente affermato che il
trasferimento di un’entità economica non dotata di sufficiente autonomia funzionale
preesistente al trasferimento esula dal campo di applicazione della direttiva e che le
sentenze della Corte hanno efficacia vincolante non soltanto quanto all’interpretazione
del diritto dell’Unione, ma anche quando ai suoi limiti di applicazione ( Cass. n.
5381/2017; n. 2468/2016; n. 22577/2012).
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sufficiente -circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare - tale trasferimento non
ricadrebbe sotto la direttiva 2001/23".
In tale sentenza la Corte di Giustizia ha anche evidenziato, in specie al punto 51, che l'obiettivo
della Direttiva è di garantire, per quanto possibile, il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di
cambiamento dell'imprenditore, consentendo loro di rimanere al servizio del nuovo imprenditore alle
stesse condizioni pattuite con il cedente: ha così ritenuto coerente con tale finalità l'allargamento da parte
della legge nazionale dell'ambito della protezione del lavoratore ceduto ad ipotesi ulteriori rispetto a
quelle di cessione di ramo d'azienda così come sopra individuata, e ciò prescindendo dall'indagine in
ordine alla genuinità della cessione ad altri fini, eventualmente concorrenti, di tutela.
La normativa nazionale non è stata tuttavia rimodellata con il fine di allargare l'ambito della
fattispecie astratta della cessione, di ramo d'azienda rispetto alla nozione adottata in sede comunitaria,
considerato che il legislatore al contrario ha manifestato l'esplicita volontà di adeguarvisi. La L. n. 30 del
2003 all'art. 1, comma 2 lettera p) ha infatti delegato il governo a rivedere il D.Lgs. 2 febbraio 2001, n.
18, (che aveva già modificato l'art. 2112 c.c.), al fine dichiarato di realizzare un "completo adeguamento
della disciplina vigente alla normativa comunitaria", costituita dalla richiamata direttiva 2001/23/CE
del Consiglio del 12 marzo 2001, già recepita dalla L. 1 marzo 2002, n. 39, richiedendo poi in particolare
al punto 2) la previsione del requisito dell' "autonomia funzionale del ramo di azienda nel momento del
suo trasferimento".
All'esito dell'esercizio della delega, l'art. 2112 c.c., nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del
2003, art. 32 applicabile ratione temporis alla presente controversia, ha mantenuto immutata la
definizione di "trasferimento di parte dell'azienda" nella parte in cui essa è "intesa come articolazione
funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata", mentre le modifiche normative hanno
riguardato la soppressione dell'inciso "preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel
trasferimento la propria identità" e l'aggiunta testuale "identificata come tale dal cedente e dal
cessionario al momento del suo trasferimento", che richiede che al momento della cessione venga
individuato l'ambito dell' autonomia funzionale del complesso ceduto. Ha altresì introdotto al comma 6
un regime di solidarietà tra appaltante ed appaltatore per il caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente
un contratto di appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione.
L'intervento normativo del 2003 ha quindi ribadito e sottolineato che costituisce elemento
costitutivo della fattispecie della cessione d'azienda l'autonomia funzionale del ramo d'azienda ceduto,
ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno
scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi (così come chiarito in più occasioni da
questa Corte, v. Cass. n. 5425 del 2015, n. 25229 del 2015, n. 8759 del 2014, n. 2766 del 2013, n. 22613
del 2013, n. 21711 del 2012). Il fatto che la nuova disposizione abbia rimesso al cedente e al cessionario di
identificare l'articolazione che ne costituisce l'oggetto non significa che sia consentito di rimettere ai
contraenti la qualificazione della porzione dell'azienda ceduta come ramo, così facendo dipendere
dall'autonomia privata l'applicazione della speciale disciplina in questione, ma che all'esito della
possibile frammentazione di un processo produttivo prima unitario, debbano essere definiti i contenuti e
l'insieme dei mezzi oggetto del negozio traslativo, che realizzino nel loro insieme un complesso dotato di
autonomia organizzativa e funzionale apprezzabile da un punto di vista oggettivo. Il requisito della
preesistenza del ramo e dell'autonomia funzionale nella previsione si integrano quindi reciprocamente,
nel senso che il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza
integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già
nell'ambito dell'impresa cedente anteriormente alla cessione. La disposizione legittima quindi anche la
cessione di un ramo "dematerializzato" o "leggero" dell'impresa, ovvero nel quale il fattore personale sia
preponderante rispetto ai beni, quando però il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare
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know how, e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in
virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio (Cass. n. 21917/2013 e 15690/2009).
Tale requisito, letto conformemente alla disciplina dell'Unione, consente di limitare le ipotesi di
deroga al principio generale stabilito dall'art. 1406 c.c., secondo il quale la cessione del contratto richiede
il consenso della parte ceduta, scongiurando operazioni di trasferimento che si traducano in una mera
espulsione di personale, in quanto il ramo ceduto dev'essere dotato di effettive potenzialità commerciali
che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato (in tal senso in particolare v. Cass. n.
5425 del 2015, n. 25229 del 2015, citate) ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta
di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato.
L'analisi non deve quindi basarsi sull'organizzazione assunta dal cessionario successivamente
alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi contratti di
appalto, ma all'organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo
costituita dal ramo ceduto. Il sistema normativo è infatti ben chiaro nel distinguere l'appalto (anche di
servizi) dalla cessione di ramo d'azienda. L'attuale art. 2112 c.c., comma 4 … ha introdotto un regime di
solidarietà tra appaltante ed appaltatore (quello di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 in
virtù della modifica apportata D.Lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, art. 9, comma 1) per il caso in cui il cedente
stipuli con il cessionario un contratto di appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d'azienda
oggetto di cessione, così manifestando come la consistenza del ramo d'azienda utilizzato e il contratto di
appalto del servizio ceduto restino su due piani distinti. Il comma 3 del citato art. 29, poi, chiarisce che
l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in
forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non
costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda, in tal modo nettamente chiarendo che, anche
quando il cedente stipuli con il cessionario un contratto d'appalto per la fornitura del servizio ceduto, si
può configurare una cessione di ramo d'azienda (solo) quando al trasferimento del personale si
accompagni quella del complesso degli altri elementi che lo rendeva autonomamente idoneo allo
svolgimento del servizio”.
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Il requisito dell’autonomia
Perché possa parlarsi di trasferimento di ramo d’azienda occorre l’idoneità di
quest’ultimo, già al momento dello scorporo dal complesso aziendale del cedente, a
provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi
(cfr. Cass. n. 9682/2016; n. 5425/ 2015, n. 25229/ 2015, n. 8759/ 2014, n. 2766/ 2013, n.
2261/ 2013, n. 21711/ 2012).
Rapporto tra autonomia funzionale del ramo ceduto e integrazioni da parte del
cessionario
“Costituisce elemento costitutivo della cessione del ramo di azienda prevista dall'art.
2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, l'autonomia funzionale
del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso
cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionale ed organizzativi e
quindi di svolgere - autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del
cessionario - il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al
momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga
contestualmente stipulato tra le parti" (Cass. n. 1316/2017, n. 10542/2016).
“L'autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto può non coincidere con la
materialità dello stesso, ma comunque l'autonomia dell'entità ceduta deve essere obiettivamente
apprezzabile, sia pure con possibili interventi integrativi imprenditoriali ad opera del
cessionario, al fine di verificarne l'imprescindibile requisito comunitario della sua conservazione
(Cass. n. 1316/2017).
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41 Dal combinato disposto di cui all’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/23 e dello stesso n. 1,
lett. b), risulta che, nel caso in cui l’entità economica trasferita non mantenga la sua identità, la
disposizione principale enunciata al suddetto art. 1, n. 1, lett. a), viene messa fuori gioco
dall’applicazione delle disposizioni del suddetto n. 1, lett. b). Ne consegue che quest’ultima
disposizione è idonea a limitare la portata dell’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/23 e, quindi,
la portata della protezione concessa dalla direttiva in parola. Una siffatta disposizione deve pertanto
essere interpretata restrittivamente.
42 Orbene, la convenuta nella causa principale sostiene che l’«entità economica», di cui all’art. 1, n. 1,
lett. b), della direttiva 2001/23 conserva la sua identità solo se viene mantenuto il nesso
organizzativo che unisce l’insieme delle persone e/o degli elementi. Per contro, l’entità economica
ceduta non conserverebbe la sua identità nell’ipotesi in cui, a seguito della cessione, perda la sua
autonomia dal punto di vista organizzativo, in quanto le risorse acquisite vengono integrate dal
cessionario in una struttura integralmente nuova.
43 Tuttavia, tenuto conto in particolare dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2001/23, intesa, come
risulta dal punto 40 della presente sentenza, a garantire una protezione effettiva dei diritti dei
lavoratori in una situazione di trasferimento, una siffatta concezione dell’identità dell’entità
economica che riposa unicamente sul fattore relativo all’autonomia organizzativa, nei termini
sostenuti dalla convenuta nella causa principale, non può essere accolta. Essa, infatti, in ragione del
solo fatto che il cessionario decida di dissolvere la parte di impresa o di stabilimento acquisita e di
integrarla nella sua struttura, implicherebbe l’esclusione dell’applicazione della direttiva 2001/23 a
tale parte di impresa o di stabilimento, privando così i lavoratori interessati della tutela concessa
dalla direttiva medesima.
44 Per quanto riguarda, più esattamente, il fattore relativo all’organizzazione, se è vero che la Corte ha
in precedenza giudicato che questo concorre a definire l’identità di un’entità economica (v., in
questo senso, sentenze 11 marzo 1997, causa C-13/95, Süzen, Racc. pag. I-1259, punto 15; 2
dicembre 1999, causa C-234/98, Allen e a., Racc. pag. I-8643, punto 27; 26 settembre 2000, causa
C-175/99, Mayeur, Racc. pag. I-7755, punto 53, nonché 25 gennaio 2001, causa C-172/99,
Liikenne, Racc. pag. I-745, punto 34), essa ha anche giudicato che una modifica della struttura
organizzativa dell’entità ceduta non è tale da essere di ostacolo all’applicazione della direttiva
2001/23 (v., in questo senso, sentenze 7 marzo 1996, cause riunite C-171/94 e C-172/94, Merckx e
Neuhuys, Racc. pag. I-1253, punti 20 e 21; Mayeur, già citata, punto 54, nonché 13 settembre
2007, causa C-458/05, Jouini e a., Racc. pag. I-7301, punto 36).
45 Peraltro, l’art. 1, n. 1, lett. b), della direttiva 2001/23 definisce esso stesso l’identità di un’entità
economica facendo riferimento a un «insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività
economica, sia essa essenziale o accessoria», ponendo così l’accento non solo sull’elemento
organizzativo dell’entità trasferita, ma anche su quello del proseguimento della sua attività
economica.
46 Dato quanto precede, la condizione relativa al mantenimento dell’identità di un’entità economica ai
sensi della direttiva 2001/23 va interpretata prendendo in considerazione i due elementi, quali
previsti dall’art. 1, n. 1, lett. b), della direttiva 2001/23, che, considerati nel loro insieme,
costituiscono tale identità, nonché l’obiettivo della protezione dei lavoratori contemplato da tale
direttiva.
47 Conformemente a tali considerazioni ed al fine di non privare la direttiva 2001/23 di una parte del
suo effetto utile, il presupposto in parola va interpretato non già nel senso che richiede il
mantenimento dell’organizzazione specifica imposta dall’imprenditore ai diversi fattori di
produzione trasferiti, ma, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 42 e 44 delle sue
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conclusioni, nel senso che presuppone il mantenimento del nesso funzionale di interdipendenza e
complementarità fra tali fattori.
48 Infatti il mantenimento di un siffatto nesso funzionale tra i vari fattori trasferiti consente al
cessionario di utilizzare questi ultimi, anche se essi sono integrati, dopo il trasferimento, in una
nuova diversa struttura organizzativa al fine di continuare un’attività economica identica o analoga
(v., in questo senso, sentenza 4 aprile 1994, causa C-392/92, Schmidt, Racc. pag. I-1311, punto 17).
- omissis -
53 La questione sollevata dal giudice del rinvio va pertanto risolta dichiarando che l’art. 1, n. 1, lett. a)
e b), della direttiva 2001/23 dev’essere interpretato nel senso che tale direttiva può essere applicata
anche in una situazione in cui la parte di impresa o di stabilimento ceduta non conserva la sua
autonomia dal punto di vista organizzativo, a condizione che il nesso funzionale tra i differenti
fattori di produzione trasferiti venga mantenuto e consenta al cessionario di utilizzare questi ultimi
al fine di proseguire un’attività economica identica o analoga, circostanza questa che spetta al
giudice del rinvio verificare.
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tali fattori a costituire l’elemento rilevante per determinare la conservazione dell’identità
dell’entità trasferita.
34 Infatti, il mantenimento di un siffatto nesso funzionale tra i vari fattori trasferiti consente al
cessionario di utilizzare questi ultimi, anche se essi sono integrati, dopo il trasferimento, in una
nuova diversa struttura organizzativa al fine di continuare un’attività economica identica o
analoga (v. sentenza Klarenberg, C-466/07, EU:C:2009:85, punto 48).
35 Alla luce delle considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alla prima questione dichiarando
che l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, deve essere interpretato nel senso che la
nozione di «trasferimento di uno stabilimento» comprende una situazione nella quale un’impresa
attiva nel mercato dei voli charter è liquidata dal suo azionista di maggioranza, che è a sua volta
impresa di trasporto aereo, e nella quale, successivamente, quest’ultima subentra all’impresa
liquidata riassumendone i contratti di locazione di aerei e i contratti di voli charters in vigore,
svolge l’attività precedentemente svolta dall’impresa liquidata, riassume alcuni lavoratori fino a
quel momento distaccati presso tale impresa, collocandoli in funzioni identiche a quelle svolte in
precedenza e riprende piccole apparecchiature di detta impresa.
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- l’individuazione dell’entità economica organizzata deve essere desunta da una serie
di indici evocativi della fattispecie;
- la valutazione deve però essere complessiva, in quanto detti elementi indiziari “non
possono essere considerati isolatamente”;
- gli indici devono poi essere ponderati in modo diverso a seconda del tipo di attività
economica esercitata.
Secondo la Corte di Cassazione, “seppure può oggi ritenersi che l'autonomia funzionale
del ramo di azienda ceduto non coincida con la materialità dello stesso (quanto a strutture, beni
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strumentali ed attrezzature, etc.), ma possa consistere anche in un ramo "smaterializzato" o "leggero",
costituito in prevalenza da rapporti di lavoro organizzati in modo idoneo, anche potenzialmente (od al
netto dei supporti generali sussistenti presso l'azienda cedente), allo svolgimento di un'attività
economica, ciò non toglie che tale autonomia dell'entità ceduta debba essere obiettivamente apprezzabile,
sia pur con possibili interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cessionario, al fine di verificarne
l'imprescindibile requisito comunitario della sua "conservazione". Non può ammettersi invece -alla luce
dei principi comunitari, cfr. C.G.E. 24 gennaio 2002, causa C-51100- che tale legame funzionale possa
derivare (soggettivamente) solo dalla qualificazione fattane dal cedente e dal cessionario al momento del
trasferimento, consentendo ai soggetti stipulanti il negozio traslativo (peraltro neppure portatori di
superiori interessi pubblici o collettivi), la libera definizione della fattispecie cui la norma inderogabile si
applica, e ciò in contrasto con la disciplina comunitaria in ordine all'inderogabilità dei diritti dei
lavoratori in caso di trasferimento di azienda. D'altro canto è principio consolidato nella giurisprudenza
comunitaria (cfr. C.G.E. 14 novembre 1996, C-305/1994) quello per cui la vicenda traslativa si
perfeziona ipso iure, risultando irrilevante la contraria volontà delle parti del negozio traslativo” (Cass.
n. 12103/2014; n. 19985/2014).
Tali principi possono essere estesi anche alle attività hi-tech ed in genere alle
attività in cui il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know how, e
cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che
proprio in virtù di esso sia in grado di fornire lo stesso ed autonomo servizio.
Casistica
Cass. civ. Sez. lavoro, 15 giugno 2017 n. 25382
Cessione del reparto carpenteria di Wartsila
Essendo pacifico che il reparto carpenteria di Wartsila non era stato creato al momento
della cessione a Meloni HI, la Corte triestina ha disatteso la tesi dell'appellante
secondo cui la mancanza di autonomia del ramo d'azienda ceduto sarebbe stata
dimostrata, da una parte, dalla circostanza che il reparto carpenteria della società
cedente era un segmento produttivo in perdita e, dall'altra, dal fatto che la società
cessionaria - dotata di un capitale costituito in gran parte da conferimenti in natura -
aveva operato per circa due anni senza effettuare alcun investimento e si era limitata
ad eseguire quasi esclusivamente le commesse della società cedente, continuando a
lavorare sempre con metodi, fornitori, mezzi e supporto del personale di Wartsila…..
Anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 … ai fini del trasferimento
di ramo d'azienda previsto dall'art. 2112 c.c. costituisce elemento costitutivo della
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cessione l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al
momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo
produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, senza
integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati
nell'ambito dell'impresa cedente (Cass. n. 11247 del 2016; conf. Cass. n. 17366 del 2016).
Pertanto la Corte triestina non ha violato o falsamente applicato la legge laddove ha
interpretato l'art. 2112 c.c. secondo i principi di diritto innanzi espressi, correttamente
ritenendo estranee alla fattispecie astratta elementi quali la necessità che il ramo
d'azienda produca utili e non sia in perdita, la durata dell'impresa cessionaria che resti
sul mercato per un certo tempo senza fallire, la capacità economica ed imprenditoriale,
e quindi i mezzi ed i capitali dell'impresa stessa; quanto poi alla valenza sintomatica di
tali elementi quali circostanze idonee a dimostrare l'assenza di autonomia funzionale
del ramo ceduto naturalmente tale valutazione investe pienamente l'apprezzamento
della quaestio facti che, per quanto innanzi detto, sfugge al sindacato di legittimità”.
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pari data le due società sottoscrivevano un contratto d'appalto dei suddetti servizi dalla prima alla
seconda società.
Disattese le argomentazioni con le quali i ricorrenti sostenevano l'intento discriminatorio della cessione,
(la Corte) argomentava che il ramo d'azienda ceduto, in conformità con l'art. 2112 c.c. e con la direttiva
98/50/CE trasfusa, con la precedente 77/187, nella Direttiva 2001/23 e con la giurisprudenza della Corte
di giustizia, aveva una stabile autonomia funzionale ed organizzativa. Infatti, erano stati ceduti i
contratti inerenti il ramo, con la sola esclusione delle locazioni delle sedi di (omissis), i beni materiali e
immateriali necessari per svolgere tale attività e le relative passività; inoltre, era stato trasferito tutto il
personale adibito alle attività cedute, ad eccezione di alcuni responsabili rimasti in Vodafone che
svolgevano però attività di direzione su reparti più ampi del back office della clientela. Né avevano pregio
le considerazioni relative all'utilizzo da parte dei lavoratori del ramo ceduto dei programmi di proprietà
Vodafone e delle interconnessioni con personale Vodafone, considerato che il servizio back office necessita
di informazioni e documenti relativi alla posizione dei clienti del gestore telefonico, imponendo tuttavia la
riservatezza dei dati sensibili che deve essere protetta; perciò, necessariamente la cessionaria deve poter
accedere ed utilizzare la piattaforma informatica di Vodafone, la quale da parte sua deve poter verificare
chi accede. Inoltre, i dipendenti trasferiti avevano piena autonomia operativa, essendo limitata a casi
eccezionali o alle informazioni su nuovi processi l'ipotesi in cui dovessero contattare gli uffici rimasti alla
cedente. Osservava che l'utilizzo da parte dei lavoratori del ramo ceduto dei programmi di proprietà della
cedente e le interconnessioni con personale di quest'ultima non contraddicono comunque il concetto di
autonomia funzionale, inteso in termini di capacità di produrre un determinato servizio, e ciò nonostante
il fatto che per ottenere il medesimo siano necessari coordinamenti e appunto interconnessioni: l'art.
2112 c.c., comma 6 legittima del resto il contratto di appalto di servizi relativi al ramo ceduto.
- omissis -
6.6. Il principio di diritto che regola la fattispecie è dunque il seguente: "Costituisce elemento costitutivo
della cessione di ramo d'azienda prevista dall'art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276
del 2003, art. 32, l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento
dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi,
funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere -autonomamente dal cedente e senza integrazioni di
rilievo da parte del cessionario - il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa
cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che
venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti
dall'art. 2112 c.c. che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto
stabilito dall'art. 1406 c.c., fornire la prova dell'esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano
l'operatività".
7. Ciò posto, occorre rilevare che la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di tale principio.
In particolare, laddove ha descritto quale fosse la dotazione del complesso ceduto, ha indicato "i contratti
inerenti il ramo - con la sola esclusione delle locazioni delle sedi di (omissis) - come pure i beni materiali e
immateriali necessari per svolgere tali attività, nonché tutto il personale adibito alle attività cedute alla
cessionaria" (ad eccezione di due responsabili). Al fine poi di disattendere il motivo d'appello che
valorizzava l'utilizzo da parte dei lavoratori del ramo ceduto dei programmi di proprietà della cedente e
delle interconnessioni con il personale di quest'ultima, ha argomentato che tali aspetti "non
contraddicono il concetto di autonomia funzionale, inteso in termini di capacità di produrre un
determinato servizio, e ciò nonostante il fatto che per ottenere il medesimo siano necessari coordinamenti
e appunto interconnessioni".
In tal modo, la Corte territoriale non ha però risposto al quesito che la stessa aveva ritenuto necessario
risolvere per qualificare il contratto intercorso tra Vodafone e Comdata come cessione di ramo d'azienda,
non risultando da quali elementi risulterebbe l'autonomia funzionale del ramo ceduto, e quindi la
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capacità di esso, indipendentemente dal coevo contratto di appalto, di svolgere autonomamente dal
cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui risultava
finalizzato al momento della cessione. Allo scopo non era infatti sufficiente che i beni materiali e
immateriali ceduti fossero "necessari" per lo svolgimento delle attività inerenti il ramo, in quanto la
Corte non ha esaminato se essi fossero anche sufficienti, né ha argomentato specificamente in ordine al
rilievo, formulato dalla parte appellante e riferito dalla stessa Corte, che fra i contratti ceduti non
risultasse quello dell'immobile in cui i lavoravano a (omissis), né fossero stati ceduti gli arredi ed i
sistemi operativi già utilizzati presso tale sede, né le infrastrutture tecnologiche necessarie per l'attività,
hub e router, né il personale fosse dotato di particolare know how o di specifica elevata professionalità.
Non poteva del resto essere sufficiente l'autonomia organizzativa e funzionale assunta della cessionaria
nello svolgimento dell'attività, non risultando chiarito quanto di tale autonomia derivasse dalle sole
potenzialità del complesso ceduto e quanto invece fosse frutto delle integrazioni strutturali e
organizzative adottate da Comdata e di quelle fornite in virtù del contratto d'appalto.
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“Risulta dalla analitica ricostruzione in fatto operata dal giudice di prime cure -
sostanzialmente incontestata e comunque documentale- da intendersi qui richiamata,
che il ramo G.O. è stato appositamente creato per essere ceduto con atto notarile del
18/12/09 alla Società P.E. s.p.a., con effetto dall'1/1/10.
Non si discute pertanto del fatto che il ramo in questione fosse dotato di beni immobili,
mobili, strutture, personale etc.; quanto del fatto che tale articolazione sia stata
assemblata ad hoc - anche attraverso la modifica delle mansioni e delle sedi di lavoro di
parte del personale poi destinato al reparto stesso - in occasione del trasferimento per
essere appunto ceduta alla new co all'uopo costituita.
E, ad avviso della Corte, questa operazione non è consentita, non potendosi ammettere
"un trasferimento di ramo d'azienda con riferimento alla sola decisione, assunta dal
soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un'unica
funzione al momento del trasferimento. Tanto infatti contrasterebbe, e con le direttive
comunitarie nn. 1996/50 e 2001/23 che richiedono già prima di quest'atto 'una entità
economica che conservi la propria identità' ossia un assetto già formato, e con gli artt. 4
e 36 Cost. , che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori
(sent. n. 115 del 1994 della Corte Cost.) ad un mero atto di volontà del datore di lavoro,
incontrollabile per l'assenza di riferimenti oggettivi (cfr. Cass. 15 aprile 2014 n. 8757 e
Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711 cit.) (così Cass. n. 22935/16)”.
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alla Fruendo s.r.l. sono rimasti di proprietà di BMPS, che li ha concessi in uso alla
società cessionaria.
Tale circostanza dedotta dagli appellanti è stata confermata da BMPS la quale ha
specificato che l'utilizzazione dei programmi applicativi rientra nell'oggetto di un
contratto di appalto a titolo oneroso concluso tra cedente e cessionaria (contratto del
quale gli appellanti hanno chiesto l'esibizione, alla quale si è opposta per varie ragioni
la Banca appellata, vedi sul punto le pagine 21 e 76 della memoria BMPS nel presente
grado); al riguardo va ricordato che secondo la giurisprudenza di legittimità deve
escludersi la esistenza di un ramo d'azienda suscettibile di trasferimento ai sensi
dell'art. 2112 c.c. nella ipotesi di cessione di un servizio senza la contemporanea
attribuzione in uso anche dei programmi applicativi. In particolare, la Corte di
Cassazione ha precisato che un complesso di servizi — privi di struttura aziendale
autonoma e preesistente — consistenti nella gestione e manutenzione di strutture
informatiche e nell'assistenza tecnica, che restino disomogenei per funzioni svolte e
professionalità coinvolte, non integrati tra loro e privi di coordinamento unitario, non
costituisce ramo d'azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c., senza che assuma rilievo, al fine di
ravvisare un valido fenomeno traslativo, la mera decisione, assunta dal cedente, di
unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un'unica funzione al momento del
trasferimento. — omissis.
La funzionalità del ramo ceduto è stata resa possibile in forza di due contratti di
appalto a titolo oneroso sottoscritti il 29 novembre 2013 (uno tra MPS e Fruendo e un
altro tra MPS e Accenture), contratti che tra l'altro prevedono che Fruendo ed
Accenture utilizzino, per erogare i servizi, gli applicativi e le infrastrutture di
information technology (IT) forniti dal COG. — omissis.
Ne consegue che la cessione di ramo d'azienda per cui è causa è avvenuta pur
mancando l'indispensabile presupposto della autonomia funzionale preesistente
dell'entità produttiva.
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forza di contratto di subappalto, con l’utilizzo delle attrezzature di assemblaggio
scocca messe a disposizione della subappaltatrice dalla committente Pininfarina;
l’istruttoria svolta ha consentito di accertare che le linee meccanizzate erano sempre
realizzate ed utilizzate con stretto riferimento alla specifica produzione in corso, ed
erano destinate ad essere smantellate alla cessazione della commessa per essere
sostituite da nuove linee produttive; le linee meccanizzate, pertanto, se certamente
sono indispensabili per la singola produzione oggetto di specifica commessa, non
valgono a caratterizzare l’intrinseca idoneità all’attività produttiva del complesso
degli elementi (stabilimento, arredi, macchinari, impianti ed accessori, forza lavoro)
oggetto del trasferimento a De Tomaso Automobili;
- che quanto oggetto di trasferimento sia nel suo complesso oggettivamente
finalizzato all’attività produttiva emerge altresì dalla considerazione che, con tale
trasferimento di ramo d’azienda, Pininfarina si è del tutto spogliata
dell’organizzazione preesistente ed utilizzata per lo svolgimento di attività di
produzione di scocche: è incontroverso che, con la cessazione delle commesse in
corso al momento del trasferimento e affidate in subappalto alla cessionaria,
Pininfarina non svolge più attività di produzione di scocche e che attualmente si
occupa esclusivamente di modelleria e prototipia;
- va quindi ritenuto che quanto formalizzato come cessione di ramo d’azienda con il
contratto 31.12.2009 corrisponda alla fattispecie tipica dell’art. 2112 c.c., e che non si
sia in presenza di una cessione di singoli rapporti di lavoro, che avrebbe
necessariamente richiesto la manifestazione del consenso dei lavoratori interessati.
i
Si riportano in calce degli estremi delle sentenze della Corte della Corte di Giustizia citate:
- sentenza 9 settembre 2014, causa C-160/14, Ferreira da Silva e altri
- sentenza 6 marzo 2014, causa C-458/12 Amatori e a.
- sentenza 6 settembre 2011, C-108/2010 Scattolon
- sentenza 29 luglio 2010, causa C-151/09, UGT-FST
- sentenza 12 febbraio 2009, causa C-466/07, Klarenberg
- sentenza 15 dicembre 2005, cause riunite C-232/04 e C-233/04, Güney-Görres e Demir
- sentenza, 20 novembre 2003, C-340/2001, causa Abler e a.
- sentenza 24 gennaio 2002, causa C-51/00, Temco
- sentenza 10 dicembre 1998, cause riunite C-173/96 e C-247/96, Hidalgo e a.
- sentenza 10 dicembre 1998, cause riunite C-127/96, C-229/96 e C-74/97, Hernández Vidal e a.
- sentenza Süzen 11 marzo 1997, causa c-13/95, Süzen, punto 13);
- sentenza 19 settembre 1995, causa C-48/94, Rygaard
- sentenza, 18 marzo 1986, C-24/85, causa Spijkers
- sentenza 7 febbraio 1985, causa C-186/83, Botzen e a.
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