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Quale Ontologia?, in C. Gentili, F.W. von Herrmann, A. Venturelli (eds.

) Martin Heidegger: Trentanni dopo, Genova, Il Nuovo Melangolo, pp. 149-173,

Eva Picardi

Quale Ontologia?

Nel 1950 Rudolf Carnap pubblic un saggio intitolato Empiricism, Semantics and Ontology in cui difende la legittimit di fare appello ad entit astratte, quali sono i numeri, le proposizioni, le intensioni, per illustrare un aspetto del funzionamento della semantica di una teoria matematica oppure di un frammento (quello modale, ad esempio) di una lingua naturale attraverso la costruzione di una cornice linguistica allinterno della quale questioni di esistenza interne alla cornice di riferimento possono essere formulate e risolte. Nel 1950 Carnap sottolinea con vigore che ci che lo interessa la semantica di una lingua, non lontologia: la disputa fra realismo, idealismo, platonismo, nominalismo viene trattata come il retaggio di un modo arcaico di fare filosofia che i filosofi formatisi alla scuola di Moritz Schlick e che avevano letto attentamente il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein ritenevano mal poste. Come vedremo, nel 1950 le ragioni addotte per dubitare della proficuit di interrogarsi sulle questioni ontologiche al di fuori di un qualsiasi linguaggio o teoria sono un po diverse da quelle addotte nellarticolo pubblicato nel 1932, berwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache che ha Heidegger come bersaglio polemico. Se lo scetticismo di Carnap circa il modo tradizionale di articolare la domanda ontologica non cambi in modo sostanziale rispetto alle posizioni sostenute negli Anni Trenta ma soltanto si perfezion nel corso della controversia con Quine degli Anni Cinquanta, anche lo scetticismo di Heidegger circa il modo in cui i logici si accostano al linguaggio non cambi mai rispetto al giudizio espresso in Sein und Zeit 33, anzi si trasform nel corso degli anni in aperta ostilit. Nelle minute del colloquio fra un giapponese e un interrogante, che ebbe luogo intorno al 1953 e che stato pubblicato per la prima volta in Unterwegs zur Sprache, alla domanda del professor Tezuka, che sottopone a Heidegger le vedute sullIki sviluppate da Shuzo Kuki, circa il luogo dove si annidi la metafisica Heidegger risponde senza esitazione L dove Lei meno se laspetta. Nello sviluppo della logica in logistica (in der Ausbildung der Logik zur Logistik). Rincarando la dose, Heidegger aggiunge che c poca consapevolezza dellattacco contro lessenza del linguaggio celato nella logistica, e ci rende lattacco ancora pi insidioso (Und der Angriff gegen das Wesen der Sprache, der sich darin
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verbirgt, vielleicht der letzte von dieser Seite, bleibt unbeachtet (Unterwegs zur Sprache, p. 116). E dunque, conclude il giapponese Um so sorgsamer mssen wir die Wege zum Wesen der Sprache hten, al che Heidegger risponde che sarebbe gi tanto se riuscissimo a costruire un sentiero secondario per accedere alla via che conduce allessenza del linguaggio. Immagino che qui Heidegger intenda dire che lattacco della logistica minaccia la corretta concezione della natura del linguaggio. Pensare che dalla logistica possa venire una minaccia allessenza del linguaggio sarebbe una sopravvalutazione grottesca dellimportanza che una qualsiasi disciplina formale potrebbe mai rivestire per alcunch. Quel che Heidegger probabilmente intende che la logica moderna ha poco da dire sulla natura profonda degli atti di parola, e quel poco deleterio poich incoraggia una concezione calcolistica del pensare. Ora, innegabile che la logica matematica ideata da Frege abbia contribuito come poche allo sviluppo delle tecniche informatiche cha hanno cambiato la nostra vita, in una scala e in un formato che negli Anni Cinquanta non erano neppure prevedibili. Ma se il linguaggio non avesse in s una struttura composizionale atta a ospitare tecniche e procedure di carattere ricorsivo queste applicazioni della logica non avrebbero mai attecchito e dunque non si pu fare una colpa ai logici e ai matematici di aver valorizzato questo aspetto delle lingue umane. Ovviamente, parlare una lingua non si riduce ad operare con espressioni appartenenti a un calcolo retto da regole rigide. E nondimeno le lingue umane hanno innegabilmente anche una struttura logico-formale. Credo che tutti oggi possano tranquillamente dare per acquisite certe caratteristiche delle lingue umane messe in luce dalla logica e dalla linguistica senza ravvisarvi alcuna minaccia per lessenza del linguaggio. La constatazione di quelle che oggi ci sembrano ovviet rende ancora pi difficile la comprensione dei toni accesi e intolleranti, da entrambi le parti, che caratterizzarono il dibattito svoltosi fra il 1927 e il 1933 fra gli esponenti delle diverse correnti della filosofia europea, e fra Heidegger e Carnap in particolare. Pu larticolo di Carnap del 1932, berwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache essere stato il principale responsabile di questo stato di cose? Sicuramente no. Le vicende politiche che costrinsero Carnap nel 1935, insieme a tanti filosofi, matematici, letterati e scienziati, allemigrazione forzata, ebbero sicuramente una parte non meno importante delle divergenze teoriche nellinterruzione del dialogo non solo fra questi due filosofi, ma fra due importanti indirizzi della filosofia europea, che, grosso modo, possiamo identificare nella filosofia scientifica dellempirismo lo gico avanzata dai protagonisti del Circolo di Vienna, che con lemigrazione forzata and a fecondare il terreno del pragmatismo americano, e nellindirizzo ermeneutico. La situazione oggi molto cambiata e ci ci consente di riflettere in modo pi equilibrato e, spero, proficuo, sul passato recente della filosofia europea. 1. Concezione scientifica e concezione naturale del mondo
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Come ho accennato sopra, Carnap a partire dal 1928 affronta le questioni ontologiche come questioni semantiche relative a una teoria specifica e a una lingua debitamente ricostruita. Carnap non attribu mai un ruolo particolare n tanto meno privilegiato alla lingua ordinaria, che dopo tutto lunica lingua che parliamo. La cos detta filosofia del linguaggio ordinario degli Anni Cinquanta (penso qui in particolare a Strawson e a Austin) prese le mosse dalla critica ai linguaggi logicamente ricostruiti e depurati ideati da Carnap per studiare in vitro la struttura logica di una certa classe di enunciati. Ma anche dopo questa liberalizzazione il dialogo fra analitici ed ermeneutici rest lettera morta. La priorit esplicativa attribuita da Carnap al linguaggio ha superficialmente alcuni punti in comune con il primato che anche Heidegger attribuisce al linguaggio, o meglio al discorso nella grande opera del 1927. Secondo Heidegger la comprensibilit di ci che ci circonda sembra essere legata in parte al fatto che il mondo viene investito dagli uomini di una significativit derivante non tanto dallintenzionalit primaria di significare (secondo il dettato di Husserl), ma dal modo in cui il parlare si trova necessariamente legato a interessi e affetti specifici. E nel discorrere, nellascoltare e nel tacere che lanimale umano si incontra con coloro con cui condivide il modo peculiare di essere nel mondo LAnalitica esistenziale aspira a mostrare che ogni interpretazione si muove nel quadro delluniversalit trascendentale del fenomeno della Cura (Sein und Zeit, 43). Carnap che ancora negli Anni Cinquanta pronunzia con riluttanza la parola ontologia, memore forse del progetto di Fundamentalontologie delineato in Sein und Zeit o della Wesensschau husserliana, la pensa in modo completamente diverso. Per il giovane Carnap quelle che sembrano scelte ontologiche antagonistiche sono in realt scelte fra linguaggi diversi, e il solo fatto (se un fatto!) che linguaggi che assumono come primitivi nozioni antitetiche (come i linguaggio fenomenista e il linguaggio fisicalista) siano estensionalmente equivalenti, se non in senso stretto traducibili luno nellaltro, mostra che le dispute tradizionali fra Idealisti, Nominalisti e Realisti sono, au fond, pseudo-dispute. Che la metafisica tradizionale sia un tessuto di pseudo-problemi un assunto proprio anche di Heidegger, che per oltre a demolire aspira anchegli a ricostruire. Sia Carnap che Heidegger coltivarono entrambi progetti filosofici ambiziosissimi, progetti che proprio per la loro portata totalizzante presentano affinit di impostazione, pervenendo per a conclusioni antitetiche. Una lettura equanime dellopera giovanile di Carnap Der logische Aufbau der Welt apparso nel 1928 (con in appendice Scheinprobleme der Philosophie) e di Sein und Zeit lo mostra in modo lapalissiano. Laccesso alla Welt di Carnap quello quasi-cartesiano degli Erlebisse, ossia dei vissuti in prima persona: il mondo di cui Carnap vuol mettere a nudo limpalcatura logica va ben oltre la totalit dei fatti di cui si parla nel Tractatus logico-philosophicus
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di Wittgenstein, apparso, ricordiamolo, in lingua tedesca nel 1921. Esso comprende i vissuti psichici, gli oggetti culturali e gli oggetti fisici, tutti accomunati in quella che Nelson Goodman chiamer nel suo grande libro omonimo the structure of appearance. Gli strumenti impiegati da Carnap sono la logica inventata da Frege e la teoria dei simboli incompleti di Russell, che ben si presta alla realizzazione di programmi riduzionistici. Questa ricostruzione logica accede a tutti i campi dellesperienza umana in modo uniforme, con un intransigente monismo metodologico accompagnato dal solipsismo metodologico. Anzi neppure di solipsismo si pu parlare, perch del soggetto nellAufbau non se ne parla. I vissuti non hanno un portatore. A quei tempi, si sa, era imperativo decostruire il Soggetto, ci provarono un po tutti basti pensare a Mach a Freud. Heidegger e Carnap non si tirano certo indietro e forse questo tema sarebbe davvero un buon punto di partenza per capire le differenze fra i vari indirizzi della filosofia contemporanea. Carnap tratta gli Erlebnisse tutti sullo stesso piano, in aperto contrasto con le ingiunzioni di Edmund Husserl relativamente alle ontologie regionali e allintuizione categoriale appropriata ad ambiti diversi di enti. Ma anche Heidegger vuole andare pi a fondo di Husserl e mira a tratteggiare un concetto naturale del mondo (Sein und Zeit, 11, p. 52) capace di abbracciare ogni aspetto del nostro modo di rapportarci al mondo. La concezione naturale contrapposta a quella naturalistica che le scienze e la matematica ci forniscono (Sein und Zeit, 69). Questa contrapposizione, e il relativo dibattito, fra quel che Philipse (2001) ha chiamato, con riferimento a Heidegger, the natural image e contrastato con the naturalistic image ancora con noi. Nel suo monumentale libro, Heideggers Philosophy of Being, Philipse ha scritto pagine importantissime su questo tema. Per egli non fa lunica cosa che io credo si dovrebbe fare: mettere in discussione il contrasto stesso fra immagine naturale e immagine naturalistica. Da una prospettiva linguistica, per lo meno, facile convincersi del fatto che non vi un linguaggio delle scienze autonomo dal linguaggio ordinario o un organo speciale di cui gli scienziati sono attrezzati e di cui la maggioranza delle altre persone difetta: vi sono specializzazioni del linguaggio ordinario, che vi si aggiungono come nuove periferie, per accedere alle quali occorre pagare un pedaggio costoso che consiste di matematica e di tecniche sperimentali. E, per parte sua, il vocabolario scientifico infiltra continuamente il linguaggio ordinario, nel bene e nel male. Parlare del mondo del senso comune con la sua ontologia familiare contrapponendolo al mondo della scienza con la sua ontologia arcana non pu essere che fuorviante. Al progetto formulato da Heidegger di offrire die Ausarbeitung der Idee eines natrlichen Weltbegriffes (Sein und Zeit, p. 52) Carnap nel 1928 contrappone quello di tratteggiare la costruzione logica della mondo e, qualche anno pi tardi, insieme a Hahn e Neurath, quello pi ambizioso ancora di edificare una wissenschaftliche Weltauffassung. Lopera del 1928 poteva servire come esempio della forma che il progetto vagheggiato di edificare una concezione scientifica (e in questo senso
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naturalistica) del mondo avrebbe potuto avere. Per Carnap la logica matematica inventata da Frege e Russell la chiave universale per porre mano l lavoro filosofico; per Heidegger invece la messa a nudo della Grundstruktur der Sorge che apre laccesso allontologia fondamentale, mentre le scienze ci fanno accedere a ontologie relative e opzionali (Sein und Zeit, 69). Come Carnap anche Heidegger ritiene che il cos detto problema della realt del mondo esterno e dello scetticismo sia uno pseudo-problema, ma per ragioni molto diverse. Per Heidegger la formulazione stessa del problema contiene un errore: il mondo non una realt esterna al soggetto, ma si fa incontro, si offre, agli esseri umani come la cosa pi familiare che c. Per Carnap occorre invece mettere a nudo la struttura formale dei tre ambiti individuati (fisico, psichico e culturale), cos da poter formulare sensatamente la domanda circa che cosa esiste nei rispettivi domini e soprattutto per sapere se e in che misura sia possibile ridurre il culturale allo psichico e lo psichico al fisico o viceversa. I programmi riduzionistici che hanno percorso tutta la filosofia della scienza del 900 affondano le radici nellideale di riduzione carnapiano (uno dei due dogmi dellempirismo che Quine metter in discussione nel celebre saggio Two Dogmas of Empiricism). Col senno di poi possiamo dire, io credo, che lerrore di Carnap (e non solo dal punto di vista di Heidegger) di non vedere che laccesso al mondo non ha bisogno di alcun lavoro di costituzione a partire da una base di sense data. Nulla ci pu essere pi familiare, comprensibile di certi aspetti del mondo delle cose, anche se la ragione di questa familiarit difficile da capire e collocare nella giusta luce. Quello che invece non ci affatto comprensibile ad occhio nudo la struttura fisico-matematica del mondo che ci circonda e di noi stessi ed questo il lavoro che affidiamo alle scienze. Ho ipotizzato che forse la ricostruzione delle varie interpretazioni della dottrina dellappercezione potrebbe essere pi istruttiva per capire le differenze fra le varie correnti attive nella filosofia europea prima dellavvento del nazismo e dello scoppio della Seconda Guerra mondiale, sottintendendo, tacitamente, pi istruttiva di quella proposta da Michael Friedman nel bel libro del 2000, A Parting of the Ways.Carnap, Cassirer and Heidegger. Friedman ci guida con destrezza nel groviglio delle filosofie neo-kantiane da cui trassero origine le ricerche di Heidegger, Cassirer e in parte del giovane Carnap. Friedman si concentra sulle tribolate vicende che le dottrine dello schematismo e delle facolt subiscono nei diversi indirizzi del neo-kantismo. A suo parere questa indagine dovrebbe gettar luce sulle ragioni della separazione delle strade prese dai protagonisti dellincontro che ebbe luogo a Davos nel 1929, ossia Cassirer e Heidegger, con Carnap fra gli astanti. Loccasione dellincontro, com noto, fu la nuova interpretazione di Kant avanzata da Heidegger. Tuttavia a me non pare che le questioni riguardanti lo schematismo aiutino a capire la differenza fra Cassirer e Heidegger n aggiungano molto alle ragioni che portarono alla definitiva interruzione della comunicazione fra Heidegger e Carnap.
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E del resto, anche una lettura superficiale dell Aufbau e di Sein und Zeit mostra che n la dottrina dello schematismo n la questione delle facolt vi svolgono un ruolo decisivo. A mio avviso, le differenze fra Carnap e Cassirer superano di gran lunga le analogie, nonostante i valorosi sforzi di Friedman per dimostrare il contrario. I riferimenti che nellAufbau Carnap fa allidealismo trascendentale e alle scuole neo-kantiane del tempo sono pi di maniera che sostanziali. Non c dubbio che Cassirer, ben pi attento di Heidegger per ci che concerne gli sviluppi della logica matematica di Frege e Russell e sui punti di attrito con le dottrine di Kant basti pensare allinteressante scritto del 1907, Kant und die moderne Mathematik, e alla discussione con Louis Couturat - avrebbe potuto in linea di principio continuare a discutere con Carnap anche dopo il 1935. Ma nel 1929 Cassirer si era lasciato alle spalle linteresse per gli sviluppi della logica contemporanea. Dove nellAufabau Friedman ravvisa unallusione alle idee contenute in Substanzbegriff und Funktionsbegriff (1910) di Cassirer, io vi vedo piuttosto unallusione per nulla velata alla teoria del concetto come funzione di Frege, le cui lezioni Carnap aveva seguito a Jena nel 1912 e 1913 e il cui pensiero avr uninfluenza enorme in tutta la sua produzione filosofica, come ho cercato di mostrare in dettaglio altrove (Picardi 1995). La teoria russelliana delle descrizioni definite e dei simboli incompleti informa lo Aufbau nella sua interezza. Il posto occupato dalla logica nellepistemologia e nella del filosofia del linguaggio contemporanea, che riconosce nellopera di Frege, Russell e il giovane Wittgenstein i suoi antenati, decisivo e verr radicalizzato da W.V. Quine. Egli propone di riformulare la problematica ontologica classica Che cosa esiste? attraverso lascesa semantica (anzich domandarci che cosa esiste, chiediamoci che cosa una certa lingua o teoria dice che esiste) e attraverso il criterio dellimpegno ontologico contratto dalle variabili di quantificazione, incapsulato nello slogan Essere esser il valore di una variabile vincolata. Per conoscere gli impegni ontologici contratti da una teoria, mettiamo a fuoco le entit che occorre assumere nel dominio su cui si quantifica affinch gli asserti esistenziali della teoria risultino veri. Com ovvio, questo criterio ci dice solo quali sono gli impegni ontologici contratti da una teoria, non se siano stati legittimamente contratti. Per Quine la domanda ontologica viene incorporata, o meglio, scorporata, in quesiti specifici relativi alla semantica delle varie teorie scientifiche: la domanda sullEssere viene tradotta senza residui in una domanda sugli enti, con una spiccata preferenza per quelli causalmente efficaci o comunque indispensabili per gli scopi delle scienze. Non c una domanda sullEssere che eccede quelle che possiamo porci sugli enti e che sta in parte alle scienze trattare. Questo in parte il succo del programma dellepistemologia naturalizzata promosso da Quine. Fin qui c pi convergenza che divergenza fra Quine e Carnap. La divergenza fra loro riguarda due assunti ulteriori: la legittimit della distinzione fra questioni di fatto e questioni di convenzione e stipulazione(e la distinzione fra proposizioni analitiche e sintetiche) da

una lato, e la scelta estensionalismo e intensionalismo in semantica. Ma questa unaltra faccenda. Laccordo di gran lunga preponderante. Le risposte che Heidegger e Carnap danno al problema della costituzione sono davvero agli antipodi, malgrado o anzi, proprio a causa, delle somiglianze strategiche di impostazione. Se un confronto pu essere fatto con qualche chance di sensatezza (ed stato fatto pi volte, oltre che da Rorty anche da altri autori, come, ad esempio Mulhall (1990)) fra Wittgenstein e Heidegger. Ma, ancora una volta, un confronto proficuo non pu che mostrare le profonde differenze circa il modo in cui essi intesero alcuni cruciali concetti come quelli di Welt, Leben e Sprache e soprattutto il compito della filosofia, che per Wittgenstein rest sempre quello di fare completa chiarezza, poich solo cos saranno dissolti i problemi filosofici che abbiamo ereditato dalla metafisica classica. Nel Tractatus egli pensa di potere conseguire questa meta disegnando, dallinterno del linguaggio, larea del dicibile rispetto a quello del nonsenso (sia quello schietto, di carattere logico, sia quello meno evidente, che si manifesta nel tentativo di enunciare una teoria etica). A partire dal 1934, e, in particolare nelle Philosophische Untersuchungen il compito della filosofia si configurer sempre di pi come una terapia volta a dissolvere i problemi filosofici, senza per ricorrere alla logica o ai linguaggi ideali, costruiti per gli scopi delle scienze, come i filosofi cresciuti in America alla scuola di Carnap cercarono (e cercano) di fare. E, in ogni caso, semmai lidea di Wittgenstein che capire una lingua capire una forma di vita (Lebensform), che circola in filosofia fin dal 1934 (anche se stata sottoposta allattenzione del mondo filosofico nel 1953 con la pubblicazione postuma delle Philosophische Untersuchungen ) che avrebbe potuto interessare lautore di Sein und Zeit. La parola Leben nel composto Lebensform pu evocare la concezione della Lebenswelt husserliana, il progetto di psicologia descrittiva di Dilthey, linterpretazione della cultura di Spengler, ecc. ecc. Questo concetto va trattato con estrema cautela in un ambiente come quello della filosofia austro-tedesca dove la filosofia della vita ha molte complesse ramificazioni - come del resto Heidegger, cresciuto alla scuola di Rickert, sapeva molto meglio di Wittgenstein. Ma dopo il 1932 Heidegger si allontana progressivamente dal progetto dellontologia fondamentale, intesa come una ricognizione della struttura a priori della datit e della temporalit in cui gli umani - limpersonale man - si trovano gettati, che reputer viziato da una forma di antropologismo. Anche per questo la distanza rispetto al cammino intrapreso da Wittgenstein non pu che aumentare. In un certo senso, come Rorty ( 1991: 60-65) nota, Heidegger e Wittgenstein percorrono un tragitto analogo in direzioni opposte: il primo passa dalla ricognizione dellanalitica del Dasein allindagine sul senso dellEssere, il secondo dallindagine sulla forma logica del linguaggio e del mondo allanalisi del modo in cui il linguaggio si intreccia con le forme di vita.
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E dunque semmai al Tractatus logico-philosophicus che dovremmo rivolgerci per trovare una concezione di Leben e Welt paragonabile a quella che troviamo in Sein und Zeit. Il richiamo alla vita nel Tractatus si trova in un remoto decimale, ossia, nella sezione 5.621, in cui a sorpresa scopriamo che il mondo, che sappiamo dallincipit dellopera essere la totalit dei fatti e non delle cose, risulta essere tuttuno con la vita: Die Welt und das Leben sind Eins (Il mondo e la vita sono tuttuno). Una mossa a effetto di un fervente lettore di Schopenhauer? Forse, ma non solo. Con la vita appare il bistrattato Soggetto, un limite del mondo non un suo costituente, che di ci che pi alto (etica ed estetica) nella lingua che parla non pu affermare sensatamente quasi nulla, ma non pu per sopprimere laspirazione a farlo. Il che non lo esime, anzi lo obbliga, a una condotta decente. In questo senso, come Wittgenstein scrisse a Ludwig von Ficker, la parte pi importante del libro quella non scritta e il senso del libro un senso etico. McGuinness (2002) ha scritto pagine magistrali sulla genesi e la portata di queste idee. Heidegger, per quel che mi consta, non ha mai seriamente preso nota del Tractatus n tanto meno delle Philosophische Untersuchungen pubblicate postume nel 1953. Non detto per che se il giovane Heidegger avesse letto il Tractatus ne avrebbe apprezzato il carattere intrinsecamente aporetico. Altrove (Picardi 2004) ho lamentato il fatto che neppure Gadamer al tempo in cui scrisse Warhrheit und Methode abbia tenuto conto del pensiero di Wittgenstein. Unoccasione di dialogo mancata. 2. Verit, costruttivismo, pragmatismo Pochi forse sono al corrente delle parole assai elogiative dedicate dal giovane Heidegger ai saggi pubblicate da Gottlob Frege del 1892 su senso, significato, oggetto, concetto. Ma siamo nel 1912, gli anni dellapprendistato sotto la guida di Rickert, che sfoceranno nella pubblicazione della monografia dedicata a quella che Frege nella Prefazione al primo volume dei Grundgesetze der Arithmetik del 1893 aveva chiamato la deleteria irruzione della psicologia nella logica (der verderbliche Einbruch der Psychologie in die Logik), ovvero la malattia epocale dello psicologismo. Se Heidegger avesse continuato a leggere Frege (cosa, che, per quanto ne so delle letture di Heidegger preparatorie a Sein und Zeit, cio pochissimo, pu ben aver fatto) e, in particolare, se avesse letto anche la prima ricerca logica Der Gedanke, pubblicata nel 1918 nella rivista edita da Bruno Bauch, Beitrge zur Philosophie des Deutschen Idealismus, la stessa, su cui Nicolai Hartmann pubblic il suo saggio sullontologia, avrebbe anche appreso che due delle critiche che egli muove al concetto di verit come corrispondenza erano gi state anticipate da Frege. Mi riferisco alla difficolt di stabilire una comparazione fra pezzi di linguaggio (o di pensiero) e pezzi di mondo e di individuare laspetto rilevante sotto il quale la presunta congruenza andrebbe attestata. Non solo, ne avrebbe anche appreso una terza, quella del regresso. Per affermare che A corrisponde a B dobbiamo gi sapere sotto quali condizioni vero che A corrisponde a B, e dunque
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lidea di corrispondenza non spiega il concetto di verit, ma lo presuppone. Frege conclude sostenendo che il concetto di verit indefinibile, e che qui, come altrove quando incontriamo concetti basilari della logica, non possiamo dare altro che cenni (Winke) al lettore, confidando che egli colga quel che intendiamo, dal momento che gi padroneggia la lingua. Per inciso, la parola Wink ricorre con insistenza nel tardo Heidegger. Questo tema della ineffabilit della semantica o comunque della non definibilit delle nozioni fondamentali della logica che troviamo in Frege, verr ripreso da Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophicus, lopera che pu considerarsi il manifesto della filosofia analitica, oltre che il punto di partenza delle riflessioni di Carnap sullinsensatezza delle formulazioni di Heidegger riguardo alluso disinvolto della parola nulla ora quale nome proprio di un ente ora quale termine sincategorematico. Se la pars destruens della critica di Frege allidea della verit come corrispondenza avrebbe potuto incontrato il favore di Heidegger, lo stesso non si pu dire della pars construens, in cui loggettivit dei pensieri viene assicurata al prezzo del loro esilio nel Terzo Regno, mossa questa che Heidegger ben conosceva da Heinrich Rickert. Per inciso, nel 1911 ebbe luogo anche uno scambio epistolare fra Rickert e Frege, purtroppo andato perduto. Possiamo solo congetturare che Rickert in quelloccasione inviasse a Frege un estratto del suo articolo su Das Eine, die Einheit und die Eins, apparso sulla rivista Logos nello stesso anno. Ad ogni modo, lidea sostenuta da Frege nella Prima Ricerca Logica che un fatto altro non sia che una proposizione vera (e non: ci che corrisponde a una proposizione vera) sembra, in parte, andare nella direzione di una teoria dellidentit cui anche Heidegger sembra orientarsi. Se non che, il portatore degli ambito titoli vero e falso per Frege resta il pensiero, non il fatto, e i pensieri, come sappiamo, sono entit astratte desumibili da (ma non riducibili a) dagli enunciati costruibili in una lingua in base al senso delle parole componenti. E del resto per Frege la parola vero solo dal punto di vista grammaticale un predicato, alla stregua di dispari o longevo. E la forza assertoria di cui investiamo le nostre parole che accenna allessenza della logica, che per Frege indissolubilmente connessa con il concetto di verit. Ma di questo mi sono occupata ampiamente altrove (Picardi 1994) e non star qui a riprendere i termini della questione. Ovviamente Heidegger non pu concordare con Frege circa lesilio dei pensieri nel terzo regno, per le stesse ragioni per cui non condivide le idee di Husserl sullidealit dei significati e sul progetto dellontologia formale e delle ontologie regionali. Ora, anche chi non condivida i dettagli o la sostanza dellAnalitica dellesserci, esposta in Sein und Zeit , non pu che salutare con favore il fatto che (anche se non il modo in cui) Heidegger riporta a casa i contenuti di pensiero che Frege aveva esiliato nel Terzo Regno per garantirne loggettivit. Come Dummett (1992) ha messo bene in luce, Frege e lo Husserl autore delle Logische Untersuchungen, pur fra le tante differenze, condividono molti convincimenti. Ma il platonismo di Husserl e Frege ignora che i contenuti di giudizio non sono i contenuti che potremmo scegliere da un immaginario
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inventario di verit e falsit, ottenibili grazie alle propriet combinatorie di una lingua (ideale) , ma sono i contenuti pensabili e pensati da esseri umani con particolari caratteristiche esistenziali e interessi specifici. Si pu disquisire a lungo su come, esattamente, questi elementi esistenziali, storici, culturali, situazionali, contribuiscano a modellare il contenuto dei nostri pensieri e delle nostre affermazioni. Io credo per che la critica di Heidegger colga una debolezza della concezione platonista di Frege e Husserl e il conseguente mistero in cui il concetto di verit, primitivo e semplice, si trova avvolto. Nella pars construens di Heidegger relativamente al concetto di verit Friedman (2000) ravvisa una concezione della verit come apprensione diretta del modo in cui il mondo (un analogo della teoria della percezione diretta che troviamo in Sense and Sensibilia di Austin in alternativa alla concezione dei sense-data sostenuta da Russell e Ayer). Rorty vi ha visto una prefigurazione della concezione anti- rappresentazionalista della conoscenza che presenta tratti in comune con il pragmatismo di Dewey e con la filosofia del linguaggio di Davidson. Stefano Poggi nel suo recente libro La logica, la mistica, il nulla. Uninterpretazione del giovane Heidegger , ricostruisce il pensiero di Heidegger e le sue fonti di ispirazione dal 1914 al 1927, soffermandosi, sul debito di Heidegger vers Lask, Meinong, Brentano da un lato e lapertura al misticismo dallaltro. Quasi tutti negli ultimi tempi hanno insistito sulla ripresa innovativa da parte di Heidegger dellimpianto aristotelico. Sugli ultimi paragrafi della Prima Sezione di Sein und Zeit e sul paragrafo 69 della Seconda Sezione si riversata una enorme mole di lavoro esegetico, che non ambisco a incrementare. Qui vorrei solo soffermarmi brevemente sullinterpretazione pragmatista e su quella costruttivista del pensiero di Heidegger. Nellanti-rappresentazionalismo Rorty identifica il tratto che accomuna tutte le concezioni pragmatiste dellepistemologia, da Peirce a Davidson, e che consiste nel rifiuto di quella che Dewey ha chiamato la Spectator View of Knowledge, lidea, cio, che conoscere consista nel tentativo di cogliere il modo in cui la realt in se stessa, al di l del modo in cui ci appare. Una caratteristica del pragmatismo di Dewey il rifiuto della distinzione fra apparenza e realt e della teoria della verit come corrispondenza. Davidson, secondo Rorty, ha fatto per la filosofia del linguaggio quel che Dewey ha fatto per lepistemologia. A Davidson Rorty attribuisce alcune importanti intuizioni, che hanno contribuito a mettere a fuoco il nesso che sussiste fra le concezioni rappresentazionaliste del contenuto delle nostre credenze e le discutibili dottrine del relativismo e del riduzionismo (di cui lo scientismo un caso particolare). Secondo Rorty lasse portante del rappresentazionalismo ladesione alla concezione della verit come corrispondenza fra parti di mondo e parti di linguaggio. Per Rorty Heidegger ha avuto il merito di proporre una visione radicalmente anticartesiana del nostro essere nel mondo e anche per questa ragione egli andrebbe incluso nella grande famiglia dei pensatori pragmatisti un club nel quale, com noto, Heidegger non si sarebbe mai degnato di metter piede.
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Sarebbe stata interessato Heidegger, nel 1927, a questa idea di ontologia fondamentale come semantica di una lingua? Nel senso di Carnap, sicuramente no. Ma nel senso di Davidson, che stando a quel che Rorty ne dice, lacme del pragmatismo americano? Quel che di ermeneuticamente attraente c in questa idea di sussumere lontologia alla semantica, e questultima allinterpretazione (radicale), il distacco dal platonismo dei significati e lammissione che per avere unidea di quel che i nostri simili dicono occorre implicitamente fare appello a una vasta gamma di interessi umani e al fatto che il parlare presuppone un orizzonte di credenze basilari pi o meno condivise sul mondo e su noi stessi. Tuttavia, lidea di temporalit e il progetto di analitica esistenziale dellesserci in senso stretto estraneo all impostazione metodologica di autori come Davidson e Putnam. E in realt il parallelo fra la fenomenologia esistenziale di Sein und Zeit e il progetto pragmatista zoppica in pi punti, in parte, perch, come ho accennato altrove (Picardi 2001) la centralit che il concetto di Cura (Sorge) svolge nellanalitica esistenziale non ha un parallelo in ambito pragmatista e in parte perch la posizione che il concetto di verit occupa nellimpianto di Sein und Zeit ad dir poco ambigua. E del resto, nel capolavoro del 1927 come lo stesso Heidegger converr anche in seguito ALLE critiche di Husserl, lEssere rischia di essere offuscato da un gigantismo del Dasein, che ricorda un po lantropologismo contestato da Husserl e dal giovane Heidegger al le concezioni psicologistiche della logica. Non , io credo, privo di interesse notare come in Sein und Zeit (44c: p. 227) Heidegger riprenda criticamente lesempio che dovrebbe mostrare il carattere atemporale e an sich del contenuto espresso nelle leggi di gravitazione di Newton, che come ho mostrato altrove (Picardi 1997) era stata uno dei punti di contesa fra Husserl e Christoph Sigwart, impiegando di fatto argomenti simili a quelli addotti da questultimo. Quel che Heidegger aggiunge al commento di Sigwart (ed ovviamente un contributo decisivo dal suo punto di vista) il carattere a priori e trascendentale dellanalitica del Dasein, grazie alla quale dovrebbero venire a cadere le accuse di antropologismo e relativismo scettico di cui la Logik di Sigwart era stata tacciata da Husserl nei Prolegomeni alle Logische Untersuchungen. Il giovane Heidegger nella Lehre vom Urteil im Psychologismus aveva approfondito quelle critiche esaminando le idee esposte da Heinrich Maier, allievo di Sigwart e curatore dellultima edizione della Logik. Dallantropologismo al costruttivismo il passo breve. Carl Friedrich Gethman, prima e indipendentemente da Rorty, ha visto nel 44 di Sein und Zeit la prefigurazione di una concezione costruttivista della logica e strumentalista della scienza. Le osservazioni di Gethmann prendono lo spunto dalle lezioni tenute da Heidegger a Friburgo nel Winter Semester del 1926. Fra gli uditori di quelle lezioni vi erano oltre a Gadamer, Krger e Lwith anche Kamlah. Il nome (per molti, credo) inatteso quello di Wilhelm Kamlah, noto come co-autore, insieme a Paul Lorenzen, del libro Logische Propdeutik. Vorschule des vernnftlichen Redens. Il nome di Lorenzen legato, com noto alla
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Erlangen Schule, di cui stato il fondatore e che nel frattempo a subito numerose trasformazioni. Ad Erlangen lultimo esponente della scuola, migrata in parte a Costanza, il filosofo della matematica e storico della logica Christian Thiel. Lanalisi proposta d Gethmann nellarticolo pubblicato nel 1989, intitolato Heideggers Wahrheitskonzeption in seiner Marburger Vorlesungen. Zur Forgeschichte von Sein un Zeit (44) contiene linterpretazione pi accurata a me nota delle idee di Heidegger nellambito di una concezione costruttivista della logica e del linguaggio. Se questa difesa sia sufficiente a rintuzzare le obiezioni che Ernst Tugendhat, Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und bei Heidegger e nelle Vorlesungen zur Einfhrung in die sprachanalytische Philosophie difficile dirlo. E questo anche per via dellambito estremamente circoscritto cui lidea di verit come scoprimento applicabile, ossia quella in cui ricadono enunciati per i quali una demonstratio ad oculos basta a certificarne la verit seconda la (a parole) deprecata abitudine di attribuire al modello della visione il primato nella teoria della conoscenza. La concezione semantica della verit formulata da Alfred Tarski in una serie di importanti lavori pubblicati fra il 1933 e il 1935 quella che informer gli scritti di Carnap, Quine e Davidson. In questo senso la difesa di Tugendhat di questo modo di intendere il concetto di verit tocca un caposaldo, un articolo di fede, direi quasi, di tutta la filosofia del linguaggio di impostazione analitica, con la notevole eccezione di Michael Dummett che in tutti i suoi scritti ha problematizzato il concetto di verit mettendone il luce i controversi legami con la logica classica. Ma, con buona pace di Gethman, difficile immaginare un Heidegger che simpatizzi con la logica costruttivista, o con la logica dialogica ideata da Lorenzen, o con lintuizionismo. Lintenzione ufficiale di Heidegger mostrare come lidea di verit come corrispondenza non abbia riscontro nelle dottrine originali di Aristotele, senza con ci mettere a rischio lidea di adequatio in senso lato. Tarski, com noto, ravvisa nel De Intepretatione di Aristotele il germe della concezione semantica della verit, indipendentemente dallelusivo concetto di corrispondenza fra enunciati e stati di cose. La concezione semantica della verit pu, secondo Tarski, essere compatibile con le posizioni filosofiche pi disparate. Secondo Heidegger la adequatio va piuttosto ripensata nel quadro dellAnalitica dellEsserci: si tratta, come al solito in filosofia, non tanto di uningiunzione a riformare il nostro modo di pensare ma di cogliere meglio la base pi profonda su cui esso poggia. Insomma, non facile arruolare Heidegger nelle file dei costruttivisti. O lo si pu fare solo a patto di mettere fra parentesi il legame fra logica e verit. Non a caso, Rorty e Brandom, che propongono di arruolare Heidegger fra le file dei pragmatisti glissano sul concetto di verit. Ma questo , io credo, un concetto su cui nessuno pu permettersi di glissare se davvero vuol fare filosofia. Quel che a me pare interessante e (pragmatisticamente e/o costruttivisticamente) condivisibile nellimpostazione di Heidegger la ripulsa del platonismo e della formulazione tradizionale del problema della verit come corrispondenza fra due presenze. Purtroppo per lidea che il nostro
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accesso agli enti sia improntato al carattere di strumentalit e fungibit come arnesi (Zeuge) presenta non poche tensioni. Anzi, io credo che sia insostenibile per svariati motivi, fra cui, ad esempio, i seguenti. Non sar sfuggito ad alcuni che oggi in ambiente informatico la parola ontologia ha acquistato unaccezione diversa, quasi ingegneristica, che forse sarebbe andata a genio anche a Carnap. In questa nuova accezione per ontologia si intende in realt la ricerca di concetti idonei per rappresentare il modo in cui gli umani concettualizzano a fini pratici un particolare dominio di oggetti. La via daccesso allontologia oggi non passa pi (soltanto o principalmente) attraverso la struttura logico-semantica del linguaggio (lontologia come semantica, tipica della svolta linguistica, cui abbiamo accennato sopra). Lo spirito in cui i cultori contemporanei della disciplina lavorano presenta affinit con il modo Husserl nelle Logische Untersuchungen concepisce lontologia formale e le ontologie regionali. In tempi di rampante naturalismo e di tentativi di accostarsi al mondo che ci circonda nel modo pi diretto possibile (riducendo, cio, al minimo la mediazione linguistica e amplificando al massimo la dimensione ecologicopercettiva) vi un rinnovato interesse per le indagini condotte da Husserl sul momento pre-categoriale della cognizione. Linteresse per questo genere di ricerche in parte motivato da quella che nel gergo della Intelligenza Artificiale si chiama la rappresentazione della conoscenza, cio la costruzioni di programmi atti a simulare lintelligenza umana al fine di ottimizzare lutilizzo di banche di dati relativi a un certo dominio (dal traffico urbano alle cartelle cliniche). Evidentemente chi voglia costruire un programma sul modo in cui gli umani concettualizzano lo spazio geografico per recarsi da A a B, trover assai poco utile unontologia di quanti e superstringhe. I costruttori di programmi sono interessati al cos detto mondo del senso comune e possono eventualmente trarre ispirazione dalle idee di Husserl sullontologia formale (la teoria delle parti e del tutto) e sulle strutture categoriali proprie di un certo ambito di enti. Ora, supponiamo che un costruttore di programmi, convinto che lAnalitica dellesserci di Heidegger colga la struttura a priori del modo in cui ci rapportiamo al mondo, volesse fornire una simulazione la pi antropologicamente fedele possibile. Che cosa dovrebbe fare per incorporare la Grundstruktur der Sorge e la struttura della temporalit in questa rappresentazione? Forse dovrebbe dotare gli umani di stati emotivi del tipo giusto (paura, colpa, stupore, angoscia, risolutezza) e delle manifestazioni corporee appropriate. Dovrebbe mostrare lo sconcerto e langoscia che i rari momenti di autenticit imprimono sul loro volto e nei loro gesti. Ma dovrebbe anche rappresentarli abilissimi sia nellutilizzare strumenti, sia nelloccultare ci che fanno attraverso limpiego di un linguaggio oggettivista quando si recano nei laboratori e fanno attivit scientifica. Non voglio annoiare il lettore con queste fantasie, che ad alcuni possono sembrare irriverenti, eccetto che per sottoporre alla sua attenzione una tensione presente in Sein und Zeit, resa pi esplicita dalle interpretazioni pragmatiste e costruttiviste del pensiero di Heidegger proposte da Gethmann e da Rorty. Il costruttore di programmi che
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simula il comportamento degli umani si troverebbe qui di fronte a un imbarazzante problema di plausibilit psicologica. Se la lettura pragmatista/costruttivista coglie in parte lintenzione di Heidegger, si dovrebbe anche convenire che una volta che gli umani (il generico man) prendano atto di avere una teoria reificante del mondo, che scambiano per Vorhanden ci che in realt Zuhanden, dispongono di varie opzioni. Che cosa possono fare una volta che abbiamo preso coscienza di questo fatto? Sappiamo che per Heidegger non possono fare la rivoluzione, imboccare la strada dellemancipazione e dellutopia; o meglio, possono farlo, ma non guadagnerebbero in autenticit. E del resto, anche la strada additata da Hegel sbarrata. Presumibilmente gli umani seguiranno il suggerimento di Rorty e adotteranno una concezione baconiana del sapere, per cui sapere potere (e non ricerca disinteressata della verit) e si dedicheranno al dominio della natura e degli altri uomini. Insomma, se linterpretazione pragmatista-costruttivista corretta, luomo tecnologico inscritto fin dallinizio nellAnalitica del Dasein. Basta solo che decida risolutamente di diventare quel che . Costruttivismo, pragmatismo, progresso scientifico e tecnologico sono perfettamente in armonia fra loro e con le premesse e promesse dellIlluminismo. E del resto Faust, accecato da Sorge (o proprio perch accecato da Sorge, diranno alcuni) in punto di morte intona linno al progresso della scienza e della tecnica pi toccante che sia mai stato scritto. Per lo meno, questa linterpretazione che ne ho dato altrove ( Picardi 2001). E al pensiero anticipante di come la costruzione della diga render pi si cura la vita della popolazione interessata, che Faust quasi tentato di dire allattimo: Fermati! Perch mai luomo di cui ci parla Heidegger in Sein und Zeit quando si trova alle prese con Sorge e col suo tetro corteggio dovrebbe comportarsi in modo diverso da Faust? Perch mai dovrebbe trovare lautenticit di fronte allanticipazione della morte e della sua propria nullit anzich di fronte al compimento della sua vocazione di costruttore di strumenti? Detto ancora pi crudamente: perch messo di fronte ai suoi due destini, quello di costruttore sempre pi raffinato di strumenti e quello di asceta, ancorch risoluto, deve optare per il secondo? E questa domanda, a sua volta, fa venire il sospetto che lAnalitica dellesserci, lungi dallidentificare le condizioni a priori dellesperienza umana, sia unimmagine parziale e artificialmente limitata del nostro modo di essere nel mondo. Torniamo sul terreno scabro! Lassenza di attrito in filosofia pu avere effetti letali. Per tutte queste ragioni viene il sospetto linterpretazione costruttivista e pragmatista del concetto di verit che Heidegger discutte nei paragrafi 44 e 69 di Sein und Zeit non sia quella giusta. O forse c una profonda tensione nellimpianto stesso di Sein und Zeit, che verr messa a fuoco negli scritti successivi di Heidegger sulla tecnica. Ad ogni modo, comunque lo si consideri, indipendentemente dalla interpretazione costruttivista, pragmatista o semplicemente in chiave aristotelico/pratica, il concetto di verit illustrato in Sein und Zeit Heidegger a dir poco ambiguo. E quando dico questo non alludo alla nozione di verit come scoprimento, nozione che senza sforzo ci pare di
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capire quando la applichiamo a esempi semplicissimi come Il martello troppo pesante o La neve bianca, ma che ha il fiato corto quando pensiamo a contenuti di pensiero complessi e remoti dalla dimensione percettiva. Mentre lesempio reso celebre da Tarski enfatizza il carattere obiettivo dello stato di cose descritto dallenunciato, lesempio del martello scelto da Heidegger esibisce una spiccata sensibilit contestuale. I martelli, a differenza della neve, sono nostri artefatti e la valutazione della loro pesantezza generalmente relativa allutente del martello, allimpiego che se ne intende fare in una circostanza specifica, al paragone con altri utensili, ecc. E nondimeno, dal punto di vista della metafisica tradizionale, la bianchezza in senso fenomenico una qualit secondaria COLLEGATA alla quantit di luce riflessa e assorbita da un certo volume di molecole del familiare composto di idrogeno e ossigeno in un particolare stato di aggregazione Eliminare?), mentre il peso del martello (a differenza del suo risultare troppo pesante per un bambino o inutilmente pesante per fissare una puntina da disegno) gli appartiene acontestualmente (modulo, sintende, la forza di gravit), e si offre cos allo sguardo dello scienziato, come Heidegger osserva (Sein und Zeit 69). Il peso del martello esemplifica meglio della bianchezza della neve lindipendenza del modo di essere degli enti rispetto agli organi di senso e agli interessi umani. Ma per approfondire questa differenza fra lesempio della neve e quello del martello dovremmo scomodare lidea di propriet intrinseca, contrastarla con quella di propriet secondaria, alludere alla distinzione fra propriet essenziali e propriet contingenti, fra concezioni atomistiche e concezioni relazionali degli enti, insomma rimettere in funzione lapparato concettuale proprio della metafisica tradizionale che a me sembra irrimediabilmente compromesso. Per coloro che insistono sulla differenza sostanziale fra immagine naturale e immagine scientifica del mondo questo sviluppo (o questo regresso, a seconda dei punti di vista) appare inevitabile. La cosa pi sensata da fare , io credo, convenire che, considerati pi da vicino, questi esempi mostrano linevitabile dipendenza della verit di un asserto sia da come fatto il mondo sia dal significato che luso sistematico della lingua ha conferito alle parole che impieghiamo per formularlo. Quel che profondamente antipragmatista nella concezione della verit come scoprimento tratteggiata in Sein und Zeit , pace Rorty, la mancanza di socializzazione della pratica di dire la verit. Il dire la verit una pratica che apprendiamo attraverso lesempio e limitazione dai membri adulti della nostra comunit , imparando a valutare che cosa conta come prova a favore o contro quel che stato detto, quando dobbiamo ritirare quel che abbiamo affermato e quando invece possiamo continuare a insistere sulle nostre affermazione e quali conseguenze ne discendano. E dalla pratica del fare asserzioni che ricaviamo il concetto di verit, non dallesercizio di atti di giudizio evidente secondo il modello tratteggiato da Husserl nella Sesta Ricerca Logica, e perfezionato da Emil Lask, in cui il momento non proposizionale sembra avere il sopravvento su quello proposizionale (lequivalente, mutatis mutandis, della conoscenza
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di cose (acquaintance) rispetto alla conoscenza di verit di cui parla Russell nei Problems of Philosophy del 1912). Se la priorit delloggettuale sul proposizionale sia dovuta a una fedele lettura di Aristotele non saprei dire, e non ha neppure troppa importanza, se quel che ci interessa capire il pensiero di Heidegger (anzich quello di Aristotele). Di certo per si tratta di un movimento di pensiero ambiguo: la familiarit percettiva esibita dagli oggetti che popolano il mondo ambiente porta Heidegger ad attribuire la verit (non: il predicato di verit) alle cose. Ma le cose possono contribuire al massimo a rendere vere le nostre credenze, non sono esse stesse vere o false. Si obietter che la concezione della verit che troviamo in Sein und Zeit pi sfaccettata; forse verit una parola che va riservata ai rari sprazzi di autenticit di cui gli umani sono capaci. Come Tugendhat (1970) ha osservato, una cosa laspirazione a condurre una vita allinsegna della verit e una cosa completamente diversa specificare che genere di propriet (ammesso e non concesso che di propriet si tratti) sia la verit che attribuiamo ai pensieri espressi dai nostri enunciati. Saremmo dunque di fronte a un impiego equivoco del concetto di verit, inteso ora come autenticit ora come correttezza delle proposizioni accettate e asserite. Ma il concetto di verit eminentemente intersoggettivo, mentre quello di autenticit non tale. E, ad ogni modo, sembra arduo condurre una vita allinsegna della verit intesa come autenticit senza mostrare alcuna curiosit per la verit (correttezza) delle proposizioni in cui articoliamo le credenze che abbiamo sul mondo, sui nostri simili e su noi stessi e che dovrebbero guidare la condotta razionale di soggetti responsabili. Le idee successivamente sviluppate da Heidegger vanno in una direzione che tende ad ignorare lidea di verit come correttezza: la parola poetica il luogo privilegiato del dischiudersi del senso e della verit. Ma questa davvero una concezione angusta della verit. Assomiglia piuttosto allesperienza del mistico di cui parla Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophicus. Questa esperienza non passibile di unarticolazione proposizionale, e neppure ne ha bisogno. La menzione del mistico rimanda alletica, e questo mi d lo spunto per richiamare unosservazione su Heidegger contenuta nelle minute che Friedrich Waismann stil dei colloqui che Wittgenstein ebbe con alcuni esponenti del Circolo di Vienna, e con Schlick in particolare, la cui edizione stata curata da Brian McGuinness. Il brano, piuttosto noto, si trova nella minuta di un colloquio svoltosi il 30 dicembre del 1929 a casa di Schlick: Posso immaginarmi molto bene quel che Heidegger intende con essere e angoscia. Luomo ha limpulso ad avventarsi contro i limiti del linguaggio. Pensate allo stupore per il fatto che qualcosa esista. Tale stupore non pu venir espresso sotto forma di domanda e infatti non vi una risposta. Tutto quel che potremmo dire pu essere a priori solo un non-senso. Eppure ci avventiamo contro il limite del linguaggio (in nota: Il sentimento mistico sentire il mondo come un tutto limitato. Non mi pu succedere nulla, cio: qualunque cosa succeda, per
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me non ha alcun significato) Anche Kierkegaard ha visto questo urto e lo ha perfino designato con un termine simile, come urto contro il paradosso. Questo avventarsi contro i limiti del linguaggio letica. E molto importante, secondo me, porre fine a tutte le chiacchiere sulletica, se vi siano valori, se vi sia una conoscenza, se si possa definire il bene, ecc. (Wittgenstein 1975: pp. 55-6) Lorizzonte di idee cui questa osservazione rimanda ancora quello del Tractatus. Sullindicibilit in forma proposizionale delletica (nel senso di Kant, Schlick o G.E. Moore) Wittgenstein non cambi mai idea, anche se nella celebre conferenza sulletica, tenuta nello stesso anno, in cui si trovano ampliati pensieri simili a quelli sopra riportati, la nozione di nonsenso per forza di cose diversa da quella impiegata nel Tractatus, essendo venuti meno i criteri per indicare i limiti del dicibile. Sul linguaggio e sul posto spettante alla logica nella filosofia Wittgenstein cambi invece radicalmente idea. E infatti dopo il 1929 non cercher pi di tracciare il confine fra dicibile e indicibile con riferimento alla logica e alla capacit delle proposizioni munite di senso di descrivere fatti, pur continuando a ravvisare nella tendenza a trattare alla stessa stregua proposizioni empiriche e proposizioni grammaticali una delle principali fonti di confusione in filosofia. Nelle Ricerche filosofiche le forme di vita con cui si intrecciano i vari giochi linguistici non sono trattate allinsegna di unanalitica del Dasein informata dalla Grundstruktur der Sorge. La nozione di forma di vita allude allinsieme variegato e complesso delle attivit in cui la vita degli esseri umani si svolge e nel cui contesto le parole prodotte acquistano senso e significato.

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