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La vivencia irriducibile

La domanda che sta alla base delle riflessioni che seguono in se abbastanza semplice: che rapporto esiste o pu instaurarsi tra la biodanza e le neuroscienze? Ovvero: in che modo i risultati sempre pi ricchi delle neuroscienze, limpostazione metodologica che vi sta alla base, gli esiti epistemologici e filosofici che da essa derivano hanno a che vedere con la biodanza? In che senso possiamo dire che grazie alle neuroscienze molti dei meccanismi di azione della biodanza sono pi chiari e che la stessa teoria, il modello teorico e molti dei principi che fondano in certo modo la biodanza trovano in esse conferme o viceversa devono essere sottoposti a revisione? Sono domande le cui risposte non sono cos immediate. O meglio. Ci sono aspetti delle neurosceinze che senza dubbio rafforzano e rendono pi comprensibili i meccanismi dazione della biodanza in riferimento in particolare alle sue componenti neurofisiologiche. Ce ne sono altri tuttavia che non trovano conferme nel modello teorico ma addirittura risultano incoerenti e in contraddizione, se non opportunamente modulati, con alcuni dei presupposti teorici e metodologici della biodanza ed in particolare con la centralit riconosciuta alla vivencia. Dove opportunamente modulati significa appunto salvaguardati nella dimensione descrittiva e oggettiva ma ridefiniti negli esiti spesso di carattere ideologico che ne derivano. Il problema analogo a quanto si verificato nei confronti di altre importantissimi scoperte dellultimo secolo ed in particolare della genetica e della biologia molecolare. Entrambe hanno avuto momenti di quella che si definita euforia totalizzante e riduzionista: momenti in cui con enfasi si traevano conclusioni poi risultate quantomeno parziali o non dimostrabili. Tutti i tentativi di trovare per ogni comportamento o per i caratteri personali o pi in generale per lidentit personale relazioni genetiche di tipo univoco o causale o quella di trovare nel flusso dei neurotrasmettitori o degli ormoni la spiegazione dellesperienza globale di un individuo hanno dovuto arrendersi di fronte alla complessit, alla variabilit e alla storicit delle singolarit individuali. Per quanto ci siano evidenze indiscutibili e dagli esiti clinici fondamentali su aspetti peculiari dellespressione genica non esiste al momento nessuna teoria in grado direndere conto in termini scientificamente accettabili delle differenze individuali, delle singole identit biologiche, a partire dal solo patrimonio genetico. Allo stesso modo la dinamica biochimica legata ai neuromodulatori ha evidenziato relazioni importanti con singoli stati dellesperienza soggettiva, anche in questa caso in riferimento a estremi di interesse clinico che sono tuttora alla base delle terapie farmacologiche di molti disagi psichici, ma nessuno oggi si spinge a sostenere relazioni nuovamente di tipo univoco e deterministico tra i cicli biochimici e lepserienza soggettiva nella sua globalit. Quel che emerso con particolare evidenza che per quanto i geni siano una costituente essenziale dellidentit biologica e i neuromodulatori una componente fondamentale degli stati psicofisici e comportamentali non sono da soli sufficienti a spiegare la totalit e la variabilit dellesperienza umana. E non si tratta di un limite contingente, ossia legato unicamente alla mancanza di sufficienti conoscenze: si tratta di un limite epistemologico che appartiene ai sistemi viventi in quanto sistemi complessi che, in quanto tali, mettono in scacco impostazioni troppo facilmente deterministiche. Soprattutto quando si considerino i molteplici meccanismi di retroazione propri allorganismo nella sua relazione interna e con lambiente e quando a partire da questa si tenga conto del carattere

adattativi dellorganismo, della sua capacit cio di ridefinirsi in funzione dellesperienza e della relazione con il mondo e con gli altri. E questa che sta alla base di un idea dellorganismo biologico come singolarit irriducibile alla somma dei suoi costituenti e che si manifesta nel tempo come un evento in continua modificazione e creazione. Quando in Biodanza si parla per esempio di potenziale genetico lo si fa in una dimensione che non meccanistica e determinista ma improntata ad una interazione con lesperienza che ha caratteri creativi ed evolutivi. Cos come la relazione tra flussi neurochimici e ridefinita in una circolarit in cui difficile se non impossibile definire primati causali: la base dei cicli di retroazioni psicosomatici non permette determinismi unidirezionali anzi. E lidea stessa della modificabilit dei substrati fisiologici a partire dalla vivencia che sta alla base della sua azione. Queste rimodulazioni che Rolando Toro ha con esattezza definito nel modello teoricodella biodanza sono un esempio di una modalit di trattare con il dato scientifico che salvaguarda la sua evidenza oggettiva senza tuttavia sacrificare ad essa la complessit e la ricchezza della vita a sua volta evidente in un senso non pi oggettivo nel senso con cui lo si dice dei risultati scientifici, ma fenomenologico e, pi ancora vivenciale. A questa modalit bisognerebbe ispirarsi nel trattare con le neuroscienze anche se bisogner riconoscerlo da subito, la posta in gioco molto pi alta. Le neuroscienze infatti, soprattutto nelle recenti espressioni che fanno affidamento allo studio sempre pi preciso dellanatomia cerebrale ed in particolare alla diverse tecniche di imaging che permettono di vedere direttamente il cervello in azione, spingono il confine della ricerca biologica nel cuore dellesperienza psichica, nella mente e in questa della coscienza. Fino a qualche tempo fa ci che definiva l identit soggettiva, costituiva anche nei confronti della biologia una fortezza inespugnabile dietro la quale si difendevano concetti e funzioni di carattere superiore che dal sentimento di se, alla capacit di provare sentimenti come lamicizia e lamore, di essere capaci di espressione artistica poetica, alla stessa capacit riflessiva, rendevano in qualche modo la dimensione spirituale, ci che sinteticamente si indicava con anima, irraggiungibile. Tutto infatti poteva essere riportato alla originaria dimensione biologica ma la coscienza, quella che permetteva di dire io , che costituiva l identit e la soggettivit di ogni individuo nonch ogni altra espressione dello psichico restava come un residuo non ulteriormente esplorabile. Un elenco delle specializzazioni da esse espresse baster a darci un idea di quello che sta accadendo: tutti gli aspetti dellespressione umana si stanno rapidamente neurotizzando : cos troviamo la neuroestetica come la neuroetica, la neurofilosofia come la neuroteologia, la neuroetologia come la neuropsicologia Con Damasio, ma ben prima di lui con molti altri, risultato inoltre evidente che anche quello che chiamiamo coscienza, meglio il nostro essere coscienti, ha una sua radicale ed innegabile origine biologica, n pi ne meno delle emozioni, dei sentimenti o delle percezioni inconsce legate alla esperienza corporea. Essere coscienti, essere in grado di riflettere su se stessi di rendersi conto di essere se stessi, ma soprattutto di scegliere in libert cosa fare di noi stessi ha una sua precisa origine e collocazione cerebrale. Non ci sono pi isole. Non i sentimenti, anche quelli pi profondi, non larte, non la poesia, non lesperienza religiosa, non letica Fino alla ironica e dispettosa provocazione di Crick, lo scopritore del DNA che ha dedicato gli ultimi anni allo studio del cervello, quando dichiara Lanima non altro che un ammasso di neuroni. O detta in termini pi seri: La convinzione che le nostre menti, il comportamento dei nostri cervelli, possono essere interamente spiegati dallinterazione dei neuroni.

Il fatto che da un certo punto di vista i neuroscienziati e lo stesso Crick, hanno ragione. E inevitabile che ci che sentiamo, e anche quello che non sentiamo, abbia un qualche correlato neuronale. Che ci sia qualcosa cio che accade nel cervello e nel corpo in generale evidente. E anche ragionevole pensare che ci sia una spiegazione. Il problema il non detto insito nellidea di spiegazione e che ci riporta ad altri assunti epistemologici che odorano di positivismo, di casualismo e determinismo. E questa idea di spiegazione che ha caratteri ineluttabilmente riduzionistici che deve essere ogni volta vagliata. E in questa idea di spiegazione che si annidano presupposti di carattere ideologico che fanno torto alla complessit e alla ricchezza dellesperienza umana. Un complessit che una complessit biologica che ci appartiene come organismi viventi innanzitutto ma di cui ciascuno vede il riflesso nellesperienza propria e degli altri ben pi ricca di sfumature e di significati di quanto le descrizioni dei meccanismi neuronali possano mai dire. E' di queste sfumature , della questione del significato, del senso, della qualit assolutamente singolare e soggettiva del sentirsi vivi, che le neuroscienze non possono portare spiegazioni. Dire che la mia gioia visibile in qualche area del mio cervello che straordinariamente e cromaticamente attiva non dice niente ne sul mio sentire nel sul suo perch. Dice solo che nel mio cervello sta accadendo qualcosa che sta in relazione con la mia gioia. Ma non dice niente del fatto che il mio sentire ha a che vedere con lincontro che sto per avere o ho appena avuto, o con il l cielo che ho appena contemplato, con lo sguardo che mi ha rapito. Quel di pi che cositutisce lassolutamente altro rispetto a quanto qualsiasi scienza pu vedere direbbe Dilthey la dimensione irriducibile dellerlebnis. Lerlebnis, la vivencia, lesperienza immediata vissuta nel suo accadere qui ed ora, costituita dall integrit inscindibile di tutto ci che sono, che mi rivela come soggetto vivente in un universo che un mondo anchesso vivo, non riducibile a nessun discorso. E tanto meno riducibile alla sua descrizione o spiegazione in termini neuronali. Mantiene sempre una ulteriorit che ne rivela il carattere infinito. Questo il tema che sta dietro il titolo di queste riflessioni: la totalit neuronale il massimo che possiamo aspettarci dalle neuroscienze, un discorso elaborato ed esatto sul funzionamento del nostro cervello; in prospettiva anche una descrizione alquanto esatta di come eventi fisici si relazionano con eventi psichici e viceversa; linfinito vivenciale quanto appartiene invece alla mia personale e assolutamente unica esperienza di essere vivo qui ed ora; esperienza che supera la mia stessa possibilit di coglierla in termini riflessivi, di portarla alla comprensione in termini linguistici. La riflessione arriva sempre tardi e sar sempre approssimata e fragile come ogni interpretazione. Lerlebnis appartiene pi al sentire immediato che al dire. E per questo che la riconosciamo meglio nella poesia, nella musica, nellarte. La sua inaccessibilit sembra lasciare aperto unicamente il sentiero dellespressione poetica o artistica: inaccessibile e silente si fa cogliere solo tramite espressioni altrettanto infinite e non esauribili. Ma da questa soglia infinita del vivere, da questa immediatezza che precede ogni discorso che posso cogliere linfinito dellaltro. Perch se laltro anchesso spiegato, portato nella totalit di un discorso che quello scientifico ma insieme quello ideologico della spiegazione, sar difficile accogliere linfinito imporsi dellaltro, vivo anchesso, e portatore di una ulteriorit, di una trascendenza assoluta e mai colmabile. E senza questa assunzione di trascendenza, di irrudicibilit dellaltro nessun etica fondamentale pu essere sostenuta. La vivencia nella sua irriducibilit la garanzia della irriducibilit ontologica della persona, della

sua apertura su un infinito che svela la limitatezza di ogni discorso, e impone piuttosto una nuova epistemologia multidiscorsiva dove il discorso poetico e quello scientifico, quello filosofico e quello mitico, psicologico o sociologico e tutti gli altri modi con cui parliamo della vita possano ciascuno gettare uno squarcio di luce su ci che inesauribile.

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